N. 68 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 marzo 2018
Ordinanza del 16 marzo 2018 della Corte di cassazione nel procedimento civile promosso da Fondacci Fabrizio contro Ministero della giustizia. Processo penale - Domanda di equa riparazione per violazione della ragionevole durata del processo - Omesso deposito, da parte dell'imputato, dell'istanza di accelerazione del processo nei trenta giorni successivi al superamento dei termini cui all'art. 2-bis della legge n. 89 del 2001 - Esclusione del riconoscimento dell'indennizzo. - Legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile), art. 2, comma 2-quinquies, lett. e), come introdotto dall'art. 55, comma 1, lett. a), n. 2 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134.(GU n.18 del 2-5-2018 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE seconda sezione civile composta dagli ill.mi sigg.ri magistrati: Stefano Petitti - Presidente; Sergio Gorjan - consigliere; Elisa Picaroni - consigliere; Antonio Scarpa - consigliere; Gian Andrea Chiesi - rel. consigliere. Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso 12850-2016 proposto da: Fondacci Fabrizio (C.F. FNDFRZ65S14E256M), rappresentato e difeso, in virtu' di procura speciale a margine del ricorso, dall'avvocato Cristina Ciufoli, unitamente alla quale e' elett.te domiciliato in Roma, alla Piazza G. Mazzini n. 8, presso lo studio dell'avvocato Simona Bianchi; - ricorrente principale; Contro Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore (C.F. 8018440587), domiciliato ope legis in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso l'Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende; - ricorrente incidentale; Avverso il decreto della Corte d'Appello di Firenze, depositato 17 marzo 2016; udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29 gennaio 2018 dal Consigliere dott. Gian Andrea Chiesi; Osservato che Fabrizio Fondacci, con ricorso depositato presso la Corte d'appello di Firenze in data 28 aprile 2015, chiese la condanna del Ministero della giustizia al pagamento dell'indennizzo per la irragionevole durata di un precedente giudizio penale svoltosi innanzi al Tribunale di Perugia; che, in particolare, la Corte toscana, con decreto depositato il 17 marzo 2016, accolse la domanda, condannando il Ministero al pagamento, in favore del ricorrente, dell'importo di € 1.000,00 (mille/00), oltre interessi e spese di lite; che per la Cassazione di quest'ultimo decreto Fabrizio Fondacci ha proposto ricorso, sulla base di un solo motivo, illustrato da successiva memoria ex art. 380-bis.1 codice di procedura civile; che il Ministero si e' costituito, svolgendo difese e proponendo, a propria volta, ricorso incidentale, anch'esso affidato ad un solo motivo; Considerato che, con l'unico motivo, il ricorrente principale denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 91 codice di procedura civile, e del decreto ministeriale n. 55 del 2014 (in relazione all'art. 360, n. 3, codice di procedura civile), sostenendo che la Corte di appello di Firenze, nel determinare le spese della fase di merito, avrebbe violato le suddette prescrizioni, pervenendo ad una liquidazione ben al di sotto dei minimi tariffari, nonche' omettendo di liquidare il rimborso forfetario spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A.; che con l'unico motivo, il ricorrente incidentale denunzia la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2-quinquies, lettera e) della legge n. 89 del 2001, come introdotto dall'art. 55 del decreto-legge n. 83 del 2012, conv. con mod. dalla legge n. 134 del 2012, vigente ratione temporis (in relazione all'art. 360, n. 3, codice di procedura civile, ma da correttamente riqualificare in termini di denunziato error in procedendo, ex art. 360, n. 4, codice di procedura civile: cfr. Cassazione, Sez. 1, 3 gennaio 2003, n. 3, Rv. 559418-01), per avere la Corte territoriale toscana riconosciuto al Fondacci l'indennizzo per l'irragionevole durata del processo presupposto, nonostante l'improponibilita' della domanda, dovuta al mancato deposito, in esso, dell'istanza di accelerazione contemplata dalla richiamata norma; che l'esame del ricorso incidentale appare, per pregiudizialita' logica, preliminare a quello del ricorso principale; che va anzitutto disattesa l'eccezione - sollevata in via preliminare dalla difesa del Fondacci nelle memorie ex art. 380-bis.1 codice di procedura civile - di sua inammissibilita' per tardivita', considerata la tempestivita' della consegna all'Ufficio N.E.P. (avvenuta 27 giugno 2016, data cosi' individuata ex art. 155, comma 5, codice di procedura civile) del controricorso contenente il gravame incidentale, rispetto al momento di perfezionamento della notifica del ricorso principale nei confronti Ministero presso l'Avvocatura Generale dello Stato (16 maggio 2015) e tenuto altresi' conto della nullita' della precedente notifica dell'atto introduttivo dell'odierno giudizio eseguita (in data 13 maggio 2016) presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato, con conseguente sua irrilevanza ai fini del rispetto dei termine ex art. 370 codice di procedura civile (Cass. 4979/2015); che - con cio' passando alla disamina del motivo - considerando il 21 settembre 2009 (e, cioe', il giorno in cui il Fondacci, ricevendo la notifica dell'avviso ex art. 415-bis codice di procedura penale, ha avuto conoscenza diretta dell'esistenza del procedimento a proprio carico: cfr., in termini, Cassazione, Sez. 6-2, 20 luglio 2015, n. 15179, Rv. 636085-01) quale dies a quo ai fini del calcolo di durata del processo penale presupposto, il termine triennale di «ragionevolezza» fissato dall'art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001, non era ancora decorso alla data dell'11 settembre 2012 (di entrata in vigore del cit. art. 2, comma 2-quinquies, lettera e), con conseguente necessita', ai fini della proponibilita' della domanda di equa riparazione, di deposito dell'istanza di accelerazione (Cass., Sez. 6-2, 21 dicembre 2016, n. 26627, Rv. 641921-01; Cassazione, Sez. 6-2, 17 novembre 2016, n. 23448, Rv. 641869-01); che, in accoglimento del motivo in esame, dovrebbe dunque pervenirsi alla declaratoria di improponibilita' della domanda proposta da Fabrizio Fondacci, per non avere questi depositato nel giudizio presupposto (la circostanza e' incontestata) l'istanza di accelerazione contemplata dal cit. art. 2, comma 2-quinquies, lettera e («Non e' riconosciuto alcun indennizzo: (...) e) quando l'imputato non ha depositato istanza di accelerazione del processo penale nei trenta giorni successivi al superamento dei termini cui all'art. 2-bis»); Ritenuto, tuttavia, di dovere sollevare, siccome rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-quinquies, lettera e), della legge n. 89 del 2001, come introdotto dall'art. 55 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012; che, quanto alla rilevanza della questione, trattandosi di giudizio di equa riparazione instaurato con ricorso depositato in data 28 aprile 2015, relativamente ad un processo penale che - come esposto - non aveva ancora superato il termine di durata ragionevole al momento di entrata in vigore della norma in esame, quest'ultima troverebbe piena applicazione, con conseguente improponibilita' della domanda per mancato deposito dell'istanza di accelerazione; che, quanto alla non manifesta infondatezza, devono essere in massima parte condivise - ed estese alla vicenda in esame - le riflessioni che hanno di recente portato questa Corte a sollevare analoga questione di legittimita' costituzionale delle previsioni in tema di istanza di prelievo (cfr., ex multis, Cassazione, Sez. 2, 28 novembre 2017, n. 28403) nella patte in cui la sua mancata presentazione condiziona raccoglimento della domanda di equa riparazione; che, infatti, la Corte europea dei diritti dell'uomo, con la sentenza nel caso Daddi c. Italia (n. 15476/09 del 2 giugno 2009), pur dichiarando il ricorso inammissibile per il mancato esperimento del rimedio giurisdizionale interno, aveva pero' preannunciato che una prassi interpretativa ed applicativa del decreto-legge n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, in tema di istanza di prelievo, che avesse avuto per effetto quello di opporsi all'ammissibilita' dei ricorsi ex lege Pinto relativi alla durata di un processo amministrativo conclusosi prima del 25 giugno 2008, solo in quanto non fosse stata presentata un'istanza di prelievo, avrebbe potuto essere di natura tale da esonerare i ricorrenti interessati dall'obbligo di esperire il rimedio interno; e che lo stesso sarebbe valso per quanto riguardava i procedimenti ancora pendenti in cui la fissazione d'urgenza dell'udienza fosse stata richiesta solo dopo l'entrata in vigore della disposizione in questione. In questi casi, aveva concluso la Corte europea dei diritti dell'uomo, non si sarebbe potuto escludere che la norma, interpretata dai giudici nazionali nel senso di escludere dalla determinazione della durata soggetta a indennizzo i periodi anteriori al 25 giugno 2008, avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilita' di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente; che, piu' recentemente, con la sentenza emessa nel caso Olivieri c/Italia del 22 febbraio 2016 (ricorsi nn. 17708/12, 17717/12, 17729/12 e 22994), in una fattispecie relativa a giudizi amministrativi iniziati nel 1990, e per i quali era stata presentata la nuova istanza di fissazione dell'udienza ai sensi della legge n. 205 del 2000, art. 9, comma 2, ma non anche l'istanza di prelievo, il che aveva determinato l'inammissibilita' del ricorso per equa riparazione, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha affrontato in maniera diretta il problema dell'effettivita' dell'istanza nazionale ex legge n. 89 del 2001 soggetta alla condizione di proponibilita' del decreto-legge n. 112 del 2008, art. 54, comma 2. In particolare, esaminando diacronicamente tale disposizione, fino al suo ultimo testo scaturito dalle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 104 del 2010, la Corte ha convertito in critica espressa e consapevole la riserva formulata con la sentenza resa nel caso Daddi, chiarendo che: a) ne' dal contenuto della norma, ne' dalla relativa prassi giudiziaria si evince che l'istanza di prelievo possa efficacemente accelerare la decisione in merito alla causa sottoposta all'esame del tribunale; b) la condizione di ammissibilita' di un ricorso «Pinto» previsto dalla legge n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 risulta essere una condizione formale che produce l'effetto di ostacolare l'accesso alla procedura interna; c) l'inammissibilita' automatica dei ricorsi per equa riparazione, basata unicamente sul fatto che i ricorrenti non abbiano presentato l'istanza di prelievo, priva questi ultimi della possibilita' di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente. che nella medesima circostanza, richiamata la propria giurisprudenza sul principio di effettivita' della tutela giurisdizionale, nel senso che e' effettivo il rimedio interno se permette di evitare che si verifichi o si protragga la violazione dedotta o se permette di' fornire all'interessato una riparazione adeguata per tutte le violazioni che si siano gia' verificate, la Corte Europea ha concluso nel senso che «la procedura per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dalla lettura del decreto-legge n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 in combinato disposto con la legge Pinto, non possa essere considerata un ricorso effettivo ai sensi dell'art. 13 della Convenzione»; che, ancorche' riferite alla disciplina dell'istanza di prelievo, reputa il Collegio che le considerazioni espresse in ordine alla necessita' che il rimedio interno possa essere ritenuto «effettivo» solo se permette di evitare che si verifichi o si protragga la violazione dedotta o se permette di fornire all'interessato una riparazione adeguata per tutte le violazioni che si siano gia' verificate, si debbano estendere anche all'istanza di accelerazione de qua vertitur. Ed infatti, l'indirizzo espresso dalla citata sentenza Olivieri c/ Italia, in punto di valutazione dell'effettivita' del rimedio interno, pur non avendo ricevuto l'avallo della Grand Chambre, puo' ritenersi ormai adeguatamente consolidato, in quanto costituisce il logico e preannunciato sviluppo del principio gia' espresso nella sentenza sul caso Daddi; e' stato adottato all'unanimita'; non presenta alcuna attitudine innovativa rispetto alla tecnica dell'interpretazione convenzionale fin qui seguita. Inoltre, pur concernendo, come detto, una fattispecie diversa da quella in esame, si connota per la generalita' delle affermazioni rese, come idoneo ad orientare l'interpretazione delle diverse norme in tema di rimedi interni, collocandosi coerente, nel solco della giurisprudenza di detta Corte Europea sul principio di effettivita'; Rilevato che, con specifico riferimento all'istanza di accelerazione del processo penale di cui all'art. 2, comma 2-quinquies, lettera e) della legge n. 89/2001, risulta evidente che la previsione di un siffatto strumento sollecitatorio non sospende ne' differisce il dovere dello Stato di dare corso al procedimento e, dopo l'esercizio dell'azione penale, al processo, in caso di omesso esercizio dello stesso, ne' implica il trasferimento sul ricorrente della responsabilita' per il superamento del termine ragionevole per la definizione del giudizio, salva restando la valutazione del comportamento della parte al solo fine dell'apprezzamento della entita' del lamentato pregiudizio (cosi', e per tutte, Cassazione, Sez. U., 23 dicembre 2005, n. 28507, Rv. 586702-01); che risulta quindi evidente, in assenza di previsioni da parte del legislatore di strumenti, anche di tipo ordinamentale, che correlino alla proposizione dell'istanza di accelerazione de qua, una differente considerazione della vicenda processuale, al fine di assicurare una tendenziale sollecita definizione, che la previsione normativa in esame si risolva nell'imporre al ricorrente di prenotare gli effetti della riparazione per l'irragionevole durata del processo e peraltro in un momento in cui (dovendo essere presentata nei trenta giorni successivi al superamento del termine di durata ragionevole) il ritardo non ha ancora assunto un'entita' tale da legittimare la richiesta indennitaria (tenuto conto di quanto disposto dall'art. 2-bis, comma 1, della stessa legge n. 89, che prevede che il ritardo per essere indennizzato debba eccedere una frazione dell'anno superiore a sei mesi). che, se per la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo il rimedio interno deve garantire o la durata ragionevole del giudizio o l'adeguata riparazione della violazione del precetto convenzionale, sicche' ogni ostacolo che vi si frapponga rende non effettivo il rimedio stesso, essendo quindi necessario che sia efficacemente sollecitatorio, l'istanza di accelerazione non garantisce alcun effetto siffatto, ma risulta puramente dichiarativa di un interesse altrimenti gia' presente nel processo ed avente copertura costituzionale. che, in assenza della possibilita' di un'interpretazione convenzionalmente orientata di tale norma che non si traduca nella sua sostanziale e intera disapplicazione, essendo contraddittoria la stessa configurazione dell'istanza di accelerazione quale condizione d'accesso all'istanza indennitaria, anche in relazione all'indennizzo dell'ulteriore ritardo nella definizione del processo, successivo all'entrata in vigore della norma, cosi' come configurata dal legislatore, ne discende la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionalita' dell'art. 2, comma 2-quinquies, lettera e), della legge n. 89 del 2001, come introdotto dall'art. 55, comma l, lettera a), n. 2 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito modificazioni dalla legge n. 134 del 2012, per contrasto con l'art. 117 Cost., comma 1, in relazione all'art. 6, par. 1, art. 13 e art. 46, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nella parte in cui, relativamente ai giudizi penali in cui il termine di durata ragionevole di cui all'art. 2-bis della legge n. 89/2001 sia stato superato in epoca successiva alla sua entrata in vigore, e per la loro intera durata, subordina la proponibilita' della domanda di equa riparazione per l'irragionevole durata dei processi penali alla presentazione dell'istanza di accelerazione.
P.Q.M. La Corte, visti l'art. 134 Cost. e 23 della legge n. 87 del 1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 117 Cost., comma 1, e ai parametri interposti dell'art. 6, par. 1, art. 13 e art. 46, par. 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-quinquies, lettera e), della legge n. 89 del 2001, come introdotto dall'art. 55, comma 1, lettera a), n. 2 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito modificazioni dalla legge n. 134 del 2012; Dispone la sospensione del presente giudizio e ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di cassazione, al pubblico ministero presso questa Corte e al Presidente del Consiglio dei ministri; Ordina, altresi', che l'ordinanza venga comunicata dal cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; Dispone l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. Cosi' deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di cassazione, in data 29 gennaio 2018. Il Presidente: Petitti