N. 89 SENTENZA 22 marzo - 26 aprile 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Cave - Modificazione dei criteri di determinazione del  canone  annuo
  dovuto  dal  titolare  dell'attivita'  estrattiva  -   Applicazione
  retroattiva. 
- Legge della Regione Siciliana 7 maggio  2015,  n.  9  (Disposizioni
  programmatiche e correttive per l'anno 2015.  Legge  di  stabilita'
  regionale), art. 83, nella parte in cui modifica l'art. 12, commi 1
  e 8, della legge della Regione  Siciliana  15  maggio  2013,  n.  9
  (Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2013. Legge di
  stabilita' regionale). 
-   
(GU n.18 del 2-5-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS,   Franco   MODUGNO,   Augusto   Antonio   BARBERA,   Giulio
  PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'art.  83  della
legge della Regione Siciliana  7  maggio  2015,  n.  9  (Disposizioni
programmatiche e correttive per  l'anno  2015.  Legge  di  stabilita'
regionale), nella parte in cui modifica l'art. 12, commi 1 e 8, della
legge della Regione Siciliana 15  maggio  2013,  n.  9  (Disposizioni
programmatiche e correttive per  l'anno  2013.  Legge  di  stabilita'
regionale), promossi dal Tribunale amministrativo  regionale  per  la
Sicilia,  con  due   ordinanze   del   9   gennaio   2017,   iscritte
rispettivamente ai numeri 177 e 139 del  registro  ordinanze  2017  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49 e  n.  41,
prima serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visti gli atti di costituzione di Anzalone Gessi srl e altri,  di
CA.VE. srl e altri, del Consorzio  Siciliano  Cavatori,  nonche'  gli
atti di intervento della Regione Siciliana; 
    udito nella udienza pubblica del  20  marzo  e  nella  camera  di
consiglio del 21 marzo  2018  il  Giudice  relatore  Augusto  Antonio
Barbera; 
    uditi gli avvocati Ester Daina per Anzalone Gessi  srl  e  altri,
Giuseppe Ribaudo per CA.VE. srl e altri, Monica  Di  Giorgio  per  il
Consorzio Siciliano Cavatori e Marina Valli per la Regione Siciliana. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione
terza (di seguito, anche TAR), con due distinte ordinanze emesse il 9
gennaio 2017 in  altrettanti  giudizi,  rispettivamente  iscritte  ai
numeri 139 e 177  del  registro  ordinanze  2017,  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 53 e 117, primo comma, della  Costituzione,
quest'ultimo in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale  alla
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e ratificato
con la legge  4  agosto  1955,  n.  848,  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 83 della legge  della  Regione  Siciliana  7
maggio 2015, n.  9  (Disposizioni  programmatiche  e  correttive  per
l'anno 2015. Legge di stabilita' regionale), nella parte  in  cui  ha
modificato il comma 1 e introdotto il  comma  8  dell'art.  12  della
legge della Regione Siciliana 15  maggio  2013,  n.  9  (Disposizioni
programmatiche e correttive per  l'anno  2013.  Legge  di  stabilita'
regionale). 
    2.- Premette il tribunale rimettente che in  entrambi  i  giudizi
principali risultano impugnati, da soggetti esercenti l'attivita'  di
estrazione da cava,  sia  il  decreto  dell'assessore  della  Regione
Siciliana per l'energia e i  servizi  di  pubblica  utilita'  del  12
agosto 2015, adottato in esecuzione dell'art. 83 della  citata  legge
reg. n. 9 del  2015,  a  mezzo  del  quale  sono  state  definite  le
modalita' applicative del  canone  di  produzione  annuo  dovuto  dai
titolari di concessioni per lo sfruttamento  di  giacimenti  minerari
di cave, per gli anni dal 2014 in poi; sia i provvedimenti con cui  i
Distretti  minerari  territorialmente  competenti,  in  forza   delle
modifiche apportate dalle disposizioni impugnate, hanno rideterminato
i canoni dovuti a tale  titolo,  relativi  al  2014,  intimandone  il
pagamento ai singoli esercenti. 
    2.1.- In entrambi i giudizi i ricorrenti evidenziano che, tramite
le disposizioni censurate, manipolando il contenuto del comma  1  del
previgente art. 12 della  legge  reg.  n.  9  del  2013,  sono  stati
modificati i criteri di determinazione della  base  imponibile  della
prestazione imposta agli  esercenti  l'attivita'  di  estrazione.  In
precedenza, il quantum veniva computato in ragione della quantita'  e
qualita' di minerale estratto, mentre, in  forza  della  novella,  la
relativa  prestazione  risulta  commisurata  alla  dimensione   della
superficie dell'area coltivabile  nonche'  ai  volumi  di  estrazione
autorizzati. Il tutto con effetti retroattivi, dovendosi applicare  i
nuovi criteri sin dal 2014 (come disposto dal comma 8 del citato art.
12, introdotto  dalla  novella),  cosi'  da  provocare  una  notevole
maggiorazione del canone annuo dovuto (da  7  a  17  volte  superiore
rispetto a quello precedente). 
    2.2.-  Evidenzia,  ancora,  il   TAR,   che,   nell'assunto   dei
ricorrenti, esposto con argomentazioni sovrapponibili in  entrambi  i
giudizi principali, si contesta la legittimita' degli atti impugnati,
resi  in  pedissequa  attuazione  del   nuovo   disposto   normativo,
prospettando diverse eccezioni di illegittimita'  costituzionale  nei
confronti delle modifiche apportate, in parte qua, dall'art. 83 della
legge reg. n. 9 del 2015, ritenute in contrasto con gli artt. 53,  3,
23, 41, 97 e 117, primo comma, Cost., nonche' in relazione agli artt.
14, 20, 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione  Europea,
proclamata a Nizza il 7 Dicembre 2000 e adattata a Strasburgo  il  12
dicembre 2017. 
    Di qui il rivendicato annullamento degli atti  impugnati,  previa
rimessione   delle   questioni   di   illegittimita'   costituzionale
prospettate in riferimento ai citati parametri e  in  relazione  alle
indicate disposizioni dell'art. 83 della legge reg. n.  9  del  2015,
poste  a  fondamento  delle  pretese  indebitamente  veicolate  dalle
amministrazioni resistenti. 
    2.3.-  Nei  giudizi  principali,  per  quanto   evidenziato   dal
rimettente, si e' costituito l'Assessorato regionale  dell'energia  e
dei servizi di pubblica utilita'; in quello poi sfociato nel giudizio
incidentale iscritto al r.o. n. 139 del 2017 si e'  anche  costituito
il Comune di  Castelvetrano,  amministrazione  intimante,  mentre  in
quello inerente al giudizio costituzionale iscritto al  r.o.  n.  177
del 2017 sono intervenuti altri  esercenti  l'attivita'  di  gestione
cave  nonche'  il  Consorzio  Siciliano   Cavatori,   aderendo   alle
prospettazioni dei ricorrenti. 
    3.- Il TAR, con le due ordinanze di rimessione, ha delimitato  il
giudizio  di  non  manifesta   infondatezza   solo   alle   questioni
prospettate in riferimento agli artt. 53 e 3 Cost., con riguardo alle
modifiche che il censurato art. 83 ha apportato al disposto del comma
1 dell'art. 12 della legge reg. n. 9 del 2013;  ancora,  ha  ritenuto
non  manifestamente  infondata   l'eccezione   inerente   l'affermato
conflitto  tra  l'innovazione  apportata  dal   medesimo   art.   83,
introducendo, nell'impianto del citato art. 12 della legge novellata,
il comma 8, e gli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo  in
relazione all'art. 1 Prot. addiz. CEDU. 
    3.1.- Sul versante della rilevanza, ad avviso del rimettente, non
potrebbe dubitarsi  dell'ammissibilita'  delle  questioni:  le  norme
impugnate rappresenterebbero, infatti, il fondamento normativo  degli
atti impugnati, cosi'  da  influire  radicalmente  sulla  definizione
delle due fattispecie poste al suo giudizio. 
    3.2.- Secondo il TAR, ancora, deve ritenersi  non  manifestamente
infondata  l'eccezione  sollevata   in   riferimento   alla   addotta
violazione dell'art. 53 Cost., riferita al primo comma  dell'art.  12
della legge reg. n. 9 del 2013 cosi' come  modificato  dal  censurato
art. 83. Cio' in  considerazione  della  ritenuta  natura  tributaria
della prestazione  imposta,  dalla  normativa  in  contestazione,  ai
soggetti che esercitano l'attivita' di gestione delle cave. 
    Militerebbero in  tal  senso  sia  il  fatto  che  l'obbligo  del
pagamento trova la sua fonte esclusiva nella legge  regionale,  senza
costituire  remunerazione  dell'uso  di  beni  pubblici,   cosi'   da
risultare estraneo ad un rapporto sinallagmatico; sia la destinazione
del ricavato da tale esazione, giacche',  con  i  relativi  fondi,  i
Comuni e la Regione vengono dotati dei mezzi finanziari necessari  ad
assolvere le funzioni di cura concreta degli interessi  generali.  La
disposizione  censurata,  infatti,  consentirebbe  alla  Regione   di
utilizzare liberamente la quota parte di gettito che la legge riserva
al detto ente (50 per cento dell'intero), mentre  i  Comuni,  per  la
quota  residua  loro  assegnata,  devono  destinare   le   somme   al
finanziamento non solo di interventi  infrastrutturali  di  recupero,
riqualificazione e valorizzazione del territorio, del tessuto  urbano
e degli edifici scolastici  e  ad  uso  istituzionale,  ma  anche  di
manutenzione e valorizzazione ambientale ed infrastrutturale connessi
all'attivita' estrattiva o su beni immobili confiscati alla mafia  ed
alle  organizzazioni   criminali.   Tale   connotazione   funzionale,
congiunta al fatto che il prelievo si collega all'attivita' economica
di gestione  dei  giacimenti,  ad  avviso  del  rimettente,  porta  a
ritenere  il  canone  in  questione  uno  strumento  di  riparto,  ai
sensi dell'art. 53 Cost., del carico della spesa pubblica in  ragione
della capacita' economica manifestata dai soggetti interessati. 
    3.3.- Muovendo da tale presupposto, il rimettente rimarca che, in
virtu'  di  quanto  previsto   dalla   disposizione   censurata,   il
corrispettivo per l'uso del giacimento non sarebbe  piu'  commisurato
alla sua resa,  destinata  a  diminuire  nel  tempo  in  ragione  del
relativo sfruttamento, ma risulta ora rapportato alla superficie  del
terreno sul quale si  svolge  l'attivita'  di  estrazione,  la  quale
rimane, invece, immutata anche quando la stessa  e'  quasi  esaurita.
Poiche' si tratta di un canone dovuto non una tantum, ma annualmente,
sarebbe in conseguenza venuto meno il collegamento con  la  capacita'
contributiva. Non assume piu' rilievo  il  guadagno  che  deriva  dal
giacimento; si applica,  piuttosto,  un  tributo  fisso  indipendente
dallo stesso. 
    3.4.- Sempre con riferimento alle modifiche  apportate  al  primo
comma dell'art. 12 della legge reg. n.  9  del  2013,  il  rimettente
ritiene non manifestamente infondati i dubbi prospettati con riguardo
all'addotta violazione del principio di uguaglianza. 
    La disposizione  censurata  determinerebbe,  infatti,  immotivate
discriminazioni all'interno della medesima categoria dei titolari  di
giacimenti minerari, distinguendo tra quelli  che  gestiscono cave di
piccola dimensione, ma ad elevata resa, e quelli titolari  di cave di
grande estensione, ma a bassa resa.  Sui  primi  graverebbe  un  peso
identico a quello dei secondi, a parita' di  superficie  interessata,
con prospettive di rendimento, tuttavia, del tutto diverse.  Ai  fini
della quantificazione del canone, la  remunerativita'  dell'attivita'
viene,  dunque,  irrazionalmente  sopraffatta  dal  riferimento  alla
superficie dell'area coltivabile ed ai volumi autorizzati della cava. 
    Ad avviso del rimettente, pertanto, a situazioni differenti viene
applicato il medesimo trattamento in maniera irragionevole. 
    3.5.- Il TAR dubita anche della legittimita'  costituzionale  del
comma 8 dell'art. 12 della legge reg.  n.  9  del  2013,  cosi'  come
introdotto dall'impugnato art. 83 della legge reg.  n.  9  del  2015;
norma,  questa,  in  forza  della  quale  le  nuove   previsioni   di
determinazione dei canoni sono  state  estese  anche  all'anno  2014,
cosi' da giustificare le intimazioni di pagamento impugnate  nei  due
giudizi principali  dai  rispettivi  ricorrenti  in  uno  con  l'atto
amministrativo generale che le ha supportate. 
    Tale disposizione, ad avviso del rimettente, sarebbe in contrasto
con gli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in  relazione
all'art. 1 Prot. addiz. CEDU. 
    3.5.1.- Con riferimento al primo dei parametri evocati, ad avviso
del TAR, risulterebbe vulnerato il legittimo affidamento  ingenerato,
negli  esercenti  l'attivita'   di   estrazione,   dalle   previsioni
previgenti  in  punto  di  determinazione  del  canone,   considerata
l'irragionevolezza e l'arbitrarieta' della  scelta  operata  nel  far
retroagire gli effetti delle modifiche apportate al primo  comma  del
piu' volte evocato art. 12 della stessa legge. 
    Secondo  il  rimettente,  l'applicazione  dei  nuovi  criteri  di
determinazione dei canoni espone i titolari di giacimenti minerari ad
un inaspettato  e  considerevole  esborso  economico,  cosi'  da  non
metterli nelle condizioni di valutare  ex  ante,  nell'organizzazione
della  propria  attivita'  imprenditoriale,  le   conseguenze   delle
innovazioni  introdotte.  Cosi',  se  per   il   periodo   successivo
all'entrata in vigore delle  nuove  disposizioni  i  detti  esercenti
hanno avuto la possibilita' di decidere se aumentare il corrispettivo
richiesto  ai  propri  clienti  o,  addirittura,  sospendere  o   non
esercitare piu' l'attivita' estrattiva, tale scelta risulterebbe loro
preclusa per l'anno antecedente  tanto  da  ledere  irragionevolmente
l'affidamento riposto nella  quantificazione  del  canone  secondo  i
criteri all'epoca vigenti e mettere in crisi le rispettive  strategie
imprenditoriali. 
    4.- Nel giudizio di costituzionalita' iscritto al r.  o.  n.  177
del 2017 si sono costituiti alcuni dei ricorrenti del processo a quo,
ribadendo la fondatezza delle argomentazioni spese dal  rimettente  a
sostegno dei prospettati dubbi di illegittimita' costituzionale. Cio'
in ragione dell'addotta violazione  dell'art.  53  Cost.,  perche'  i
nuovi indici di determinazione dei canoni non si sostanziano in fatti
o situazioni idonei ad esprimere una potenzialita' economica, nonche'
in funzione del rilevato contrasto con l'art. 3 Cost., avuto riguardo
alla   disposta   retroattivita'   delle   disposizioni    impugnate,
irragionevolmente strumentali a coprire esclusivamente  il  disavanzo
regionale, come comprovato dal fatto che se ne e' estesa  l'efficacia
ad un ambito temporale (l'anno 2014) non compreso nelle  disposizioni
programmatiche e correttive dettate  dalla  legge  che  le  conteneva
(destinata ad operare per il 2015). 
    4.1.- Nel medesimo giudizio incidentale si sono  costituiti,  con
memoria depositata il 17 novembre 2017,  i  soggetti  intervenuti  ad
adiuvandum nel relativo giudizio principale. Con la medesima  memoria
si e' pure costituita la Fratelli Calamaio di Calamaio  Ettore  &  C.
snc, non indicata tra gli intervenienti nell'ordinanza di rimessione. 
    Tali parti, nel concludere in linea con le prospettazioni offerte
dal rimettente, hanno ribadito l'incidenza quantitativa degli aumenti
apportati con le nuove disposizioni;  hanno  rimarcato  la  lesivita'
della  disposta   retroattivita'   avuto   riguardo   all'affidamento
ingenerato  nei  soggetti  interessati  dalla  normativa   pregressa,
peraltro di recente  introduzione;  nell'ottica  volta  a  supportare
l'addotta lesione  dell'art.  1  Prot.  addiz.  CEDU,  hanno  inoltre
segnalato l'assenza del  dovuto  bilanciamento  tra  le  esigenze  di
raggiungimento degli obiettivi di bilancio perseguiti dalla Regione e
l'intensita' del correlativo sacrificio economico imposto ai  privati
interessati. 
    4.2.- Sempre nel giudizio incidentale iscritto al r.o. n. 177 del
2017, si e' costituito, con memoria depositata il 5 dicembre 2017, il
Consorzio Siciliano Cavatori, anch'esso intervenuto ad adiuvandum nel
giudizio a quo, ribadendo le indicazioni  argomentative  esposte  dal
rimettente a sostegno delle questioni, nonche' i  temi  gia'  addotti
dalle altre  parti  ad  ulteriore  supporto  della  fondatezza  delle
questioni.  Sul  versante  della  retroattivita'  delle  disposizioni
impugnate, nell'ottica della paventata lesione dell'affidamento sulla
certezza  della  situazione  giuridica  garantita  dalla   previgente
disciplina normativa, tale parte ha  rimarcato  sia  l'incidenza  dei
nuovi  criteri  su  un  periodo,  l'esercizio   relativo   al   2014,
economicamente esaurito alla data di entrata in  vigore  della  legge
impugnata, tanto che erano stati gia'  determinati  e  corrisposti  i
canoni   relativi   all'annualita'   in   questione;   sia   la   non
prevedibilita'    della    innovazione    retroattiva,    ribadendone
l'illegittimita' costituzionale in ragione  della  natura  tributaria
della relativa previsione. 
    4.3.- In entrambi i giudizi incidentali e' intervenuta la Regione
Siciliana  che  ha  spiegato  difese  identiche  e  concluso  per  la
inammissibilita' o comunque per la  non  fondatezza  delle  questioni
sollevate dal TAR con le due ordinanze di rimessione in esame. 
    Con riferimento all'addotta violazione  dell'art.  53  Cost.,  ad
avviso  della  Regione,  deve  escludersi   che   i   canoni   legati
all'attivita' di gestione dei giacimenti  minerari  di  cava  possano
essere  considerati  come  tributi,  trattandosi,  piuttosto,  di  un
corrispettivo pattuito per l'utilizzo del bene  pubblico  o  in  ogni
caso, se esercitata su un bene privato, per l'attivita' di estrazione
che incide sul bene ambiente. 
    Quanto all'addotta,  irragionevole,  diseguaglianza,  determinata
dai  nuovi  criteri  di  quantificazione  introdotti  dalla   novella
censurata, la Regione contesta  la  fondatezza  dell'assunto  sotteso
alle due ordinanze di rimessione, perche' la  ratio  delle  modifiche
apportate, destinate a dare rilievo decisivo alla  superficie  ed  ai
volumi  di  potenziale  estrazione,   corrisponde   all'esigenza   di
garantire un efficace ripristino della situazione  ambientale  incisa
da detta attivita'. Si prescinde, dunque, dall'eventuale  pregio  dei
materiali estratti, cosi' come confermato non solo dalla destinazione
vincolata  (al  recupero,  riqualificazione  e   valorizzazione   del
territorio del tessuto urbano e dell'ambiente) delle  somme  all'uopo
corrisposte, ma anche  dalla  prevista  sospensione  dell'obbligo  di
contribuzione in  caso  di  temporanea  interruzione  dei  lavori  di
coltivazione. 
    In  ordine  alla  retroattivita'   prevista   dall'ultimo   comma
dell'art. 12  della  legge  reg.  n.  9  del  2013,  come  introdotto
dall'art.  83  della  legge  reg.  n.   9   del   2015,   la   difesa
dell'interveniente evidenzia  che,  con  il  sistema  previgente,  il
calcolo dei canoni dovuti veniva effettuato l'anno  successivo  sulla
base  dei  dati  relativi  all'esercizio   precedente,   cosi'   come
comunicati  dai  gestori  delle  cave.  Coerentemente,   dunque,   la
disposizione impugnata fa retroagire gli effetti delle modifiche  sin
dall'anno 2014. 
    Del resto, la presenza di una causa normativa adeguata,  tale  da
rendere accettabile il sacrificio  imposto  dall'intervento  ablativo
attraverso contropartite intrinseche allo stesso progetto  normativo,
destinate a bilanciare le posizioni delle parti, renderebbe legittima
la scelta nel caso operata dal legislatore regionale. 
    4.4.- Nel corso del giudizio incidentale iscritto al r.o. n.  177
del 2017, la difesa dei ricorrenti del giudizio principale costituiti
innanzi a questa Corte  ha  depositato,  in  data  8  febbraio  2018,
memoria con la  quale  ha  ulteriormente  ribadito  le  ragioni  gia'
prospettate a sostegno della fondatezza delle censure. 
    4.5.- In data 26 febbraio 2018 la difesa della Regione  Siciliana
ha depositato, nei due  giudizi  incidentali,  distinte  memorie  dal
contenuto identico. Con tali atti l'interveniente ha evidenziato  che
la disciplina regionale, prima della novella  apportata  dalla  legge
reg. n. 9 del 2013, legava la determinazione del  canone  dovuto  dai
concessionari alla superficie  coinvolta  nell'attivita'  estrattiva;
criterio di correlazione, questo, peraltro adottato  anche  in  altre
Regioni senza dar  luogo  a  dubbi  di  legittimita'  costituzionale.
L'interveniente ha, inoltre, addotto l'inammissibilita' della censura
rivolta all'attuale comma 8 dell'art. 12 della legge reg.  n.  9  del
2013, prospettata in riferimento all'art  117,  primo  comma,  Cost.,
integrato dall'art. 1 Prot.  addiz.  CEDU,  perche'  non  argomentata
avuto riguardo all'evocato parametro convenzionale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione
terza  (di  seguito,  TAR),  con  due  distinte  ordinanze  rese   in
altrettanti  giudizi,  prospettando   identiche   censure   sia   per
l'oggetto, sia per i parametri evocati,  ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 83 della  legge  della  Regione
Siciliana  7  maggio  2015,  n.  9  (Disposizioni  programmatiche   e
correttive per l'anno 2015. Legge  di  stabilita'  regionale),  nella
parte in cui ha modificato  il  comma  1  e  introdotto  il  comma  8
dell'art. 12 della legge della Regione Siciliana 15 maggio 2013, n. 9
(Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2013.  Legge  di
stabilita' regionale). 
    2.- Ad avviso del rimettente, le modifiche apportate al  comma  1
dell'art. 12 della legge reg. n. 9 del 2013 si pongono  in  contrasto
con gli artt. 53 e 3 della Costituzione. L'introduzione del  comma  8
nell'impianto del citato art. 12 e', invece,  ritenuto  in  conflitto
con gli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in  relazione
all'art.  1  del  Protocollo  addizionale  alla  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e ratificato con la legge 4  agosto
1955, n. 848. 
    3.- I due giudizi  incidentali  hanno  contenuti  sostanzialmente
sovrapponibili. L'oggetto delle questioni sollevate dal rimettente, i
parametri evocati e le argomentazioni spese a sostegno delle  censure
sono identici nelle due ordinanze. 
    E'  opportuna,  in  coerenza,  una  trattazione   e   definizione
unitaria. 
    4.-  Preliminarmente,  va  dichiarata  l'inammissibilita'   della
costituzione della Fratelli Calamaio di Calamaio Ettore & C. snc, che
non risulta tra  le  parti  costituite  nel  giudizio  principale  di
riferimento (quello legato al giudizio incidentale iscritto  al  r.o.
n. 177 del 2017), per quanto emerge dalla relativa ordinanza. 
    5.- All'infuori di quanto si dira' con riferimento alla questione
prospettata in relazione all'art. 117, primo  comma,  Cost.,  l'esame
delle due ordinanze di rimessione non pone in evidenza vizi  inerenti
alla motivazione in ordine  alla  rilevanza  ed  alla  non  manifesta
infondatezza delle questioni prospettate. 
    5.1.- Sotto questo profilo, va evidenziato che il censurato  art.
83 della legge reg. n. 9 del 2015, nella parte in cui viene investito
dai dubbi prospettati dal rimettente,  ha  modificato  i  criteri  di
determinazione  del  canone  annuo  dovuto  dai  soggetti   esercenti
l'attivita' di cava nel  territorio  siciliano,  tema  in  precedenza
disciplinato dal comma 1 dell'art. 12 della legge reg. n. 9 del 2013. 
    I nuovi criteri sono stati resi applicabili anche al  periodo  di
esercizio relativo all'anno 2014, grazie a quanto previsto dal  comma
8 dell'art. 12 della legge regionale  da  ultimo  citata,  sempre  in
forza delle innovazioni apportate dal censurato art. 83  della  legge
reg. n. 9 del 2015. 
    5.2.- Nei due giudizi principali risultano impugnati,  da  alcune
imprese esercenti l'attivita' estrattiva,  sia  l'atto  generale  (il
decreto dell'assessore della Regione  Siciliana  per  l'energia  e  i
servizi di pubblica utilita' del 12 agosto 2015) a mezzo  del  quale,
in attuazione delle norme censurate, sono state definite le modalita'
applicative del canone di produzione annuo dovuto per lo sfruttamento
di giacimenti minerari di cave, per l'anno 2014 e per  le  annualita'
successive; sia gli avvisi di pagamento, resi dai relativi  Distretti
minerari  territorialmente  competenti,  con   i   quali   e'   stato
rideterminato e chiesto  il  canone  dovuto  dai  diversi  ricorrenti
relativamente al 2014. 
    5.3.- In entrambi i giudizi, poi, l'invocato  annullamento  degli
atti impugnati si  lega  alla  illegittimita'  degli  stessi  siccome
derivata dalla  prospettata  incostituzionalita'  delle  disposizioni
censurate. E' dunque evidente, per  un  verso,  che  la  verifica  di
legittimita' costituzionale rimessa  a  questa  Corte  assume  rilevo
pregiudiziale rispetto all'annullamento degli atti impugnati  innanzi
al rimettente nei  due  giudizi  principali;  per  altro  verso,  che
proprio  il  petitum  volto  all'annullamento  degli  atti  impugnati
innanzi al TAR consente di escludere la sovrapponibilita' di  oggetto
tra giudizi principali e incidente  di  legittimita'  costituzionale,
con conseguente ammissibilita' delle questioni (sentenza n.  236  del
2017). 
    6.- Venendo allo scrutinio delle singole  questioni,  non  sembra
superflua  una  preliminare  descrizione  della   cornice   normativa
all'interno della quale si collocano le disposizioni impugnate. 
    6.1.- L'attivita'  di  sfruttamento  delle  cave,  ascritta  alla
competenza legislativa primaria della  Regione  in  forza  di  quanto
previsto dalla lettera h) dell'art. 14 del regio decreto  legislativo
15 maggio 1946, n. 455  (Approvazione  dello  statuto  della  Regione
siciliana), e' disciplinata dalle disposizioni contenute nella  legge
regionale Siciliana 9 dicembre 1980,  n.  127  (Disposizioni  per  la
coltivazione dei giacimenti minerari da cava e provvedimenti  per  il
rilancio e lo sviluppo del comparto lapideo di pregio nel  territorio
della  Regione  Siciliana),  negli  anni  integrata   da   successivi
interventi normativi, tra i quali va annoverato  quello  legato  alle
disposizioni oggetto di censura. 
    Sulla falsariga  di  quanto  previsto,  per  l'intero  territorio
nazionale, dal regio decreto  29  luglio  1927,  n.  1443  (Norme  di
carattere legislativo per disciplinare la ricerca e  la  coltivazione
delle miniere del Regno), e in coerenza con quanto previsto,  per  le
cave,  dall'art.  826  codice  civile,  la  relativa   attivita'   di
estrazione e' subordinata a concessione (artt. 30 e 31  della  citata
legge reg. n. 127 del 1980), se il giacimento  risulta  acquisito  al
patrimonio indisponibile  della  Regione;  diversamente,  laddove  la
disponibilita' del bene rimanga in capo al proprietario,  l'attivita'
e' subordinata ad un'autorizzazione. 
    6.2.- Con specifico riferimento al tema  del  canone  dovuto  dal
titolare dell'attivita' estrattiva, la citata legge reg. n.  127  del
1980, all'art. 33, prevede il pagamento, in favore della Regione,  di
un importo commisurato alla superficie coinvolta dalla coltivazione e
al tipo di materiale oggetto dell'attivita' estrattiva;  prestazione,
questa, legata, dalla  lettera  della  norma,  all'ipotesi  del  solo
rapporto concessorio. 
    Invece,  con  riferimento  alle  autorizzazioni,  la   legge   in
questione prevede che il rilascio delle stesse venga  subordinato  al
versamento di una somma, stabilita sulla  base  di  apposita  tabella
predisposta dal Corpo regionale  delle  miniere,  da  utilizzare  per
l'esecuzione  delle  opere  di  sistemazione  dei   luoghi   soggetti
all'attivita' estrattiva in funzione del relativo recupero ambientale
(art. 19, commi 1 e 2). 
    6.3.- Con l'art. 12 della legge reg. n. 9 del  2013,  la  Regione
Siciliana, innovando  la  precedente  disciplina,  ha  previsto,  con
generico  riferimento  all'attivita'  di  estrazione   inerente   «ai
giacimenti minerari di cava», il versamento di un canone  commisurato
alla quantita' (comma 1) nonche' alla qualita' (comma 2) del minerale
estratto. La relativa entrata era destinata per il 60  per  cento  al
comune interessato e per il 40 per cento alla Regione; la quota parte
destinata ai  comuni,  inoltre,  risultava  vincolata  funzionalmente
«alla  realizzazione  di  opere  di   recupero   e   riqualificazione
ambientale nonche' al recupero dei beni confiscati alla mafia e  alle
organizzazioni criminali». 
    6.4.- Tale disciplina e' stata  modificata,  a  distanza  di  due
anni,  dall'art.  83  della  legge  reg.  n.  9  del  2015,  portato,
nell'occasione, alla verifica di questa  Corte,  rideterminando,  per
quanto gia' anticipato, i parametri di commisurazione del canone. 
    Con disposizioni rimaste estranee alle  questioni  sollevate  dal
TAR rimettente (commi 4 e 5 del nuovo art. 12 della legge reg.  n.  9
del 2013), la novella ha, inoltre, inciso  sulla  destinazione  delle
somme percepite a tale titolo dagli enti  interessati,  con  riguardo
sia alla ripartizione (alla Regione  oggi  spetta  il  50  per  cento
dell'intero), sia al vincolo funzionale impresso alle stesse  per  la
quota parte residua assegnata ai Comuni. 
    In particolare, gli importi in questione devono essere  impiegati
esclusivamente   per   interventi   infrastrutturali   di   recupero,
riqualificazione e valorizzazione del territorio, del tessuto  urbano
e degli edifici scolastici e ad  uso  istituzionale;  una  quota  non
inferiore al 50 per cento delle suddette risorse destinate ai  Comuni
resta,  inoltre,  riservata  agli  interventi   di   manutenzione   e
valorizzazione ambientale ed infrastrutturale, connessi all'attivita'
estrattiva  o  su  beni  immobili  confiscati  alla  mafia  ed   alle
organizzazioni criminali. 
    6.5.- Va inoltre evidenziato che l'art.  12  della  citata  legge
reg. n. 9 del 2013, prima di subire  le  modifiche  introdotte  dalle
disposizioni censurate, venne sottoposto, nel 2014, a  due  tentativi
di  innovazione,  non  portati  a   termine   perche'   le   relative
disposizioni,  approvate   dall'assemblea   regionale,   non   furono
promulgate in quanto impugnate davanti a questa Corte dal Commissario
dello Stato per la Regione  Siciliana,  per  ragioni  afferenti  alla
relativa copertura finanziaria (ricorsi iscritti ai n. 5 e n. 62  del
2014, dichiarati improcedibili rispettivamente con  le  ordinanze  n.
166 e  n.  204  del  2015,  per  il  difetto  di  legittimazione  del
ricorrente). 
    Di tali modifiche non compiutamente esitate, la  prima  (prevista
dall'art. 47, comma  8,  della  delibera  legislativa  della  Regione
Siciliana del 15 gennaio 2014, in approvazione del disegno  di  legge
n. 670, recante «Disposizioni programmatiche e correttive per  l'anno
2014. Legge di stabilita'  regionale»)  riportava  la  previsione  in
oggetto all'interno dell'ambito disciplinato dall'art. 19 della legge
reg. n. 127 del 1980, incrementando la misura della somma da  versare
per il ripristino  ambientale  dell'area  immediatamente  interessata
dall'attivita' estrattiva; la seconda  (dettata  dall'art.  75  della
delibera legislativa del 1 agosto 2014, in approvazione  del  disegno
di legge n. 782, recante «Assestamento del bilancio della Regione per
l'anno finanziario 2014. Variazioni al bilancio di  previsione  della
Regione per l'esercizio  finanziario  2014  e  modifiche  alla  legge
regionale  28  gennaio  2014  n.  5.  Disposizioni  programmatiche  e
correttive  per  l'anno  2014.   Legge   di   stabilita'   regionale.
Disposizioni  varie»)  mirava,  invece,  all'introduzione  di   nuovi
criteri di determinazione del canone, in termini  identici  a  quelli
oggi disposti dalle norme censurate. 
    6.6.- Va, infine, sottolineato che dai lavori  preparatori  della
novella  censurata  (segnatamente  dall'esame,  in  commissione,  del
disegno di legge, di  origine  assembleare,  n.  887  del  2014,  poi
integralmente trasfuso in un emendamento alla  legge  di  stabilita',
sfociato nella censurata modifica dell'art. 12 della legge reg. n.  9
del 2013) emerge che i nuovi criteri  di  determinazione  del  canone
hanno  trovato   una   giustificazione   causale   nell'esigenza   di
individuare modalita' applicative tali da garantire un piu'  puntuale
accertamento del dovuto, cosi' da  rendere  effettiva  ed  efficiente
l'esazione della prestazione riducendo l'area di possibile evasione. 
    Cio' in  ragione  della  riscontrata  inadeguatezza  del  sistema
legato alla autocertificazione dei volumi  estratti,  previsto  dalla
normativa previgente, negativamente sperimentato  in  sede  di  prima
applicazione della norma. 
    7.-  Tanto  premesso,  passando  allo   scrutinio   della   prima
questione, va rilevato che il rimettente  dubita  della  legittimita'
costituzionale del comma 1 dell'art. 12 della citata legge reg. n.  9
del 2013, cosi' come modificato dall'art. 83 della legge  reg.  n.  9
del 2015, in riferimento all'art. 53 Cost., perche', sul  presupposto
della natura  tributaria  del  canone  in  oggetto,  la  disposizione
censurata, a differenza  di  quanto  accadeva  nel  passato,  non  ne
correla piu' la quantificazione al rendimento ricavato dall'attivita'
di estrazione, cosi' da recidere il necessario  collegamento  con  la
capacita' contributiva. 
    7.1.-  E'   di   immediata   evidenza   che   lo   snodo   logico
imprescindibile della censura in questione e' offerto dalla  ritenuta
natura  tributaria  del  canone  in  esame.  Smentita  tale  premessa
interpretativa, perde di consistenza l'intera prospettazione  sottesa
alla questione. 
    Secondo  la  costante  giurisprudenza  di   questa   Corte,   una
fattispecie deve ritenersi «di natura  tributaria,  indipendentemente
dalla qualificazione offerta dal legislatore, laddove si  riscontrino
tre  indefettibili  requisiti:  la  disciplina  legale  deve   essere
diretta, in via prevalente, a procurare una  definitiva  decurtazione
patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non  deve
integrare una modifica di un  rapporto  sinallagmatico;  le  risorse,
connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla
suddetta decurtazione, debbono essere destinate a sovvenire pubbliche
spese» (ex plurimis, da ultimo, sentenze n. 269 e n. 236 del 2017). 
    Ad avviso del TAR, alla luce di tali indicazioni  interpretative,
milita in favore della natura tributaria del  canone  previsto  dalla
legge in esame, in primo luogo, la fonte legislativa dell'obbligo del
pagamento;  ancora,  rileva  l'estraneita'   della   prestazione   in
questione ad un rapporto sinallagmatico; infine, sarebbe determinante
il fatto che il ricavato di  tale  imposizione  risulti  destinato  a
dotare i Comuni e  la  Regione  dei  mezzi  finanziari  necessari  ad
assolvere le funzioni di cura concreta degli interessi generali. 
    7.2.-  L'argomento  del  TAR   non   e'   condivisibile   ed   e'
conseguentemente non fondata la questione che su esso si basa. 
    7.3.- Questa Corte si e'  gia'  occupata  dei  contributi  legati
all'attivita'  estrattiva  da  cava  (segnatamente  quelli   previsti
dall'art. 20 della legge della Regione Veneto 7  settembre  1982,  n.
44, recante  «Norme  per  la  disciplina  dell'attivita'  di  cava»),
escludendone, in particolare, la connotazione  tributaria  (ordinanza
n. 387 del 1990). Innanzi ad un dato normativo che, non  diversamente
da  quello   sottoposto   all'odierno   controllo   di   legittimita'
costituzionale, risultava finalizzato, nella destinazione delle somme
ricavate dal  pagamento  del  dovuto,  anche  alla  realizzazione  di
interventi e di opere connesse al  ripristino  ambientale,  e'  stata
esclusa la natura tributaria  della  prestazione  non  essendo  stati
rinvenuti «ne' i presupposti di una indistinta imposizione ne' quelli
di tassazione specifica per un richiesto servizio». 
    7.4.- Il rimettente non si confronta con tale decisione. Quel che
piu' conta, non offre valide argomentazioni che consentano  a  questa
Corte di distaccarsi dalla relativa valutazione interpretativa. 
    7.4.1.- Il canone dovuto in forza della disposizione censurata si
pone a latere del titolo che legittima l'attivita' estrattiva. Non e'
influenzato dalla titolarita', pubblica o privata, del giacimento; si
lega, piuttosto, all'insieme di competenze  amministrative  correlate
all'attivita' estrattiva nonche' alle caratteristiche  della  stessa,
tali  da  incidere  sulla  salubrita'  e  integrita'  ambientale  del
territorio interessato dalla relativa iniziativa imprenditoriale. 
    Sotto il primo versante, non va trascurato  che  lo  sfruttamento
dei giacimenti sollecita diverse competenze amministrative, ripartite
tra  la  Regione  e  i  Comuni   interessati   dalla   localizzazione
dell'attivita' di estrazione. 
    Tra queste, in via esemplificativa, assume, di certo,  importanza
primaria l'attivita' di programmazione e pianificazione territoriale;
un   ruolo   non   indifferente   va,   pure,   ascritto   all'azione
amministrativa inerente alla fase di  affidamento  del  titolo  e  ai
compititi di verifica  ispettiva,  finalizzati,  in  particolare,  al
controllo della conformita' della coltivazione esercitata rispetto  a
quella assentita nonche' alla repressione delle iniziative abusive. 
    Con riguardo, poi, alla incidenza  dell'attivita'  di  estrazione
sulla salubrita' e integrita' del territorio  di  riferimento,  giova
precisare che  la  prestazione  in  esame  non  e'  strumentale  alla
ricomposizione   ambientale   dell'area   immediatamente    coinvolta
dall'attivita' di estrazione,  obiettivo  autonomamente  coperto  dal
pagamento della somma prevista dall'art. 19 della legge regionale  n.
127 del 1980, destinata a finanziare le opere  da  realizzare  a  tal
fine nel corso della coltivazione o al termine della stessa, in linea
con lo studio di fattibilita' previsto dall'art. 12, lettera d, della
stessa legge. 
    Trova,  piuttosto,  la  sua  ratio  fondante   nell'esigenza   di
indennizzare la collettivita' per il disagio comunque correlato  allo
sfruttamento  del   suolo,   essendo   certa   l'incidenza   negativa
dell'attivita' estrattiva sul paesaggio e sull'ambiente inerenti alle
zone limitrofe a quelle di collocazione della cava. 
    Il  costo  di  un   siffatto   disagio   finisce   per   gravare,
coerentemente, su chi  lo  produce,  in  linea,  del  resto,  con  le
indicazioni di principio derivanti, in materia  ambientale,  dall'art
191  del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione   europea,   come
modificato dall'art 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007  e
ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130. 
    Vengono  cosi'  coperti  gli  oneri  finanziari  che   gli   enti
interessati devono comunque affrontare per neutralizzare al meglio le
conseguenze - nocive ma legittime, perche' consentite dalla legge  ed
assentite dalle amministrazioni interessate -  comunque  correlate  a
siffatte iniziative economiche. 
    7.4.2.- Nel caso, tali considerazioni trovano immediata  conferma
nella significativa parte degli importi  riscossi  a  tale  titolo  e
devoluti  ai  comuni  interessati  per  finanziare   «interventi   di
manutenzione e valorizzazione ambientale ed infrastrutturale connessi
all'attivita'  estrattiva»;  finalizzazione,  questa,   espressamente
prevista dalla disposizione censurata. 
    Tale rilievo, diversamente da quanto  sostenuto  dal  rimettente,
non trova adeguata smentita nell'assegnazione alla Regione del 50 per
cento dell'intero ricavato dalla esazione dei  canoni  in  questione,
senza  che  tale  destinazione  risulti  espressamente  connotata  da
altrettante indicazioni funzionali legate al ripristino ambientale. 
    Sotto questo profilo, il silenzio assunto sul punto dalla lettera
della norma in esame non  e'  decisivo.  Una  tale  destinazione  del
ricavato dall'esazione dei canoni in  esame,  trova,  piuttosto,  una
coerente giustificazione nella necessita' di sostenere, da  un  punto
di vista finanziario, la Regione in  considerazione  dell'impegno  ad
essa spettante nel pianificare e controllare l'attivita'  estrattiva;
compiti che la disciplina di riferimento riserva  primariamente  alla
Regione stessa. 
    7.4.3.- Il  canone  previsto  dalla  disposizione  censurata,  si
correla, inoltre, a  parametri  di  determinazione  che  si  mostrano
estranei ai profili di redditivita' propri della  relativa  attivita'
produttiva, cosi' da marcare,  sempre  di  piu',  le  distanze  dalla
prospettiva tributaria. 
    Sia il  riferimento  alla  quantita'  e  qualita'  del  materiale
estratto,  previsto  in  origine  dalla  normativa  precedente,   sia
l'odierno riferimento alla estensione  della  superficie  interessata
dall'estrazione nonche' ai volumi autorizzati, si basano  su  criteri
di  determinazione  del  dovuto   che   mettono   al   centro   della
quantificazione del canone la  produzione  derivante  dalla  relativa
attivita'  non  in  quanto  indice  di  ricchezza  effettiva  desunta
dall'attivita' di sfruttamento del giacimento, bensi' come  parametro
dell'incidenza della stessa sull'ambiente circostante. 
    7.5.- In definitiva, il canone in esame  si  correla  all'impegno
profuso  dagli  enti  interessati   nella   gestione   amministrativa
collegata alla relativa attivita' di impresa e mira  ad  indennizzare
il pregiudizio che la collettivita' finisce per patire in conseguenza
dell'autorizzazione   relativa   allo   sfruttamento   delle    cave;
pregiudizio  al  quale  corrisponde   uno   specifico   onere   delle
amministrazioni interessate quanto  al  ripristino  delle  condizioni
ambientali e territoriali pregiudicate dall'attivita' di  estrazione.
Non a caso, del resto, i costi  legati  a  siffatto  pregiudizio  non
gravano  su  chi  sfrutta  il  giacimento,  laddove   i   lavori   di
coltivazione vengano sospesi e durante il periodo di tale sospensione
(ai sensi del comma 7 del piu' volte citato art. 12 della legge  reg.
n. 9 del 2013). 
    7.6.- Una tale ricostruzione si rivela conforme  all'orientamento
tracciato dalla giurisprudenza,  ordinaria  e  amministrativa,  nello
scrutinare, in  genere  per  ragioni  afferenti  alla  giurisdizione,
alcune disposizioni emanate sul tema in oggetto da altre Regioni,  ed
aventi un contenuto sostanzialmente analogo alla  disciplina  offerta
dalle norme censurate. 
    7.6.1.- Assumono, in  tal  senso,  un  rilievo  paradigmatico  le
considerazioni  interpretative  spese  in  riferimento  al   disposto
dell'art. 15 della legge della Regione Toscana 3 novembre 1998, n. 78
(Disposizioni in materia di miniere), oggi non piu'  vigente  perche'
sostituito da altra disposizione avente un contenuto non dissimile. 
    Anche  tale  norma  (al  comma  3)  destinava  il  contributo  in
questione alla realizzazione di «interventi  infrastrutturali»  e  di
«opere di  tutela  ambientale»  comunque  «correlati  alle  attivita'
estrattive», nonche' alle incombenze  amministrative  legate  a  tale
attivita' di impresa, ripartendo il riscosso tra i Comuni interessati
e la Regione; e  ne  rapportava  la  quantificazione  ad  indici  non
immediatamente   espressivi   della   redditivita'   della   relativa
iniziativa economica (comma 2). 
    Proprio in ragione di tali caratteristiche e'  stata  esclusa  la
natura tributaria del contributo previsto dalla  detta  disposizione,
il quale, piuttosto, viene descritto in termini di «strumento diretto
ad assicurare l'esecuzione di interventi  pubblici  [...]  funzionali
alla salvaguardia dei beni collettivi dell'ambiente e del  territorio
dall'impatto  su  di  essi  della   localizzazione   delle   cave   e
dell'esercizio dell'attivita' estrattiva, in quanto incidenti in modo
rilevante e diffuso sia sul paesaggio e sulla viabilita' prossima  ed
a media distanza e sia sulla salubrita' dell'atmosfera, con  evidenti
ricadute anche sulla sopravvivenza o normale sviluppo della  flora  e
la fauna nelle zone limitrofe» (Corte di Cassazione,  sezioni  unite,
ordinanze 24 dicembre 2009, n. 27347 e 19 dicembre  2009,  n.  26815;
analogamente, TAR Toscana, sezione seconda, sentenza 3 marzo 2015, n.
344). 
    7.6.2.- Una tale  lettura,  del  resto,  e'  stata  estesa  dalla
giurisprudenza amministrativa a contributi omologhi previsti da norme
di altre leggi regionali (ex multis, TAR  Campania,  Napoli,  sezione
quarta, sentenza 6 luglio 2016, n. 3402; sezione terza,  sentenza  12
gennaio 2015, n. 138). Ne emerge un quadro interpretativo complessivo
che, secondo quanto gia' evidenziato da questa Corte (sentenza n.  52
del 2018), senza assurgere al rango di «diritto  vivente»  sul  tema,
per la diversita' delle  fonti  e,  in  parte,  dei  contenuti  delle
relative disposizioni scrutinate,  rappresenta  tuttavia  una  chiara
conferma della  correttezza  delle  precedenti  considerazioni  spese
nell'escludere natura tributaria  alla  prestazione  patrimoniale  in
esame. 
    7.7.- Il canone in oggetto, principalmente caratterizzato da tale
peculiare connotazione indennitaria, e' dunque privo  della  funzione
genericamente contributiva  al  bilancio  degli  enti  interessati  o
commutativa di un servizio, che caratterizza i tributi. 
    Non ha, pertanto, natura tributaria, difettando i  caratteri  che
lo  condizionano,  sopra  indicati,  stabiliti  dalla  giurisprudenza
costituzionale. 
    Di qui l'infondatezza della prima questione. 
    8.- Secondo il rimettente, la medesima  disposizione  sarebbe  in
contrasto  con  l'art.  3  Cost.,  perche'  fonte  di   irragionevoli
discriminazioni. A parita' di superficie interessata, i nuovi criteri
di determinazione mettono, ad avviso  del  TAR,  sullo  stesso  piano
tutti i soggetti che svolgono la relativa  attivita'  di  estrazione,
quale  che  sia  il  materiale  oggetto  della  relativa   iniziativa
imprenditoriale   ed   a   prescindere   dalla   relativa   capacita'
remunerativa. 
    Secondo il rimettente, dunque, viene imposto, irrazionalmente, il
medesimo trattamento a situazioni differenti. 
    8.1.- La censura  non  coglie  nel  segno  perche'  e'  legata  a
presupposti logici non  coerenti  con  la  ratio  della  disposizione
censurata (sentenza n. 290 del 2010). 
    Si e' gia' evidenziato che la ragione fondante della  prestazione
patrimoniale disposta dalla norma in esame si lega  sia  allo  sforzo
amministrativo  correlato  a   tale   attivita'   di   impresa;   sia
all'esigenza di far gravare il  costo  del  relativo  disagio  patito
dalla  collettivita'  sui   soggetti,   che,   ottenuto   il   titolo
legittimante, determinano il pregiudizio  ambientale  intrinsecamente
legato all'attivita' estrattiva. All'interno di  questo  piu'  esteso
ambito di riferimento, la disposizione in  oggetto  persegue,  anche,
l'ulteriore obiettivo della  individuazione  del  metodo  applicativo
piu' idoneo a garantire una puntuale esazione del dovuto. 
    Muovendo da tali presupposti, non appare convincente  il  cardine
logico sul quale riposa la prospettata diseguaglianza tra le  imprese
che esercitano l'attivita' di estrazione. 
    La diversa possibilita' di rendimento dell'attivita', in  ragione
del maggior valore di mercato del materiale estratto, deve  ritenersi
ininfluente una volta che si colleghi  il  canone  in  esame  non  ai
valori   di   produzione   reddituale   della   relativa   iniziativa
imprenditoriale,  bensi'  alla  esigenza  di  compensare   il   costo
amministrativo ed il disagio ambientale conseguenti alla attivita' di
cava. In particolare, i profili di erosione territoriale e ambientale
conseguenti all'attivita' estrattiva,  prescindono  dalla  potenziale
redditivita' della  relativa  iniziativa  economica,  che  ovviamente
trovera', invece, rilievo  nella  determinazione  dell'imponibile  ai
fini della tassazione sul reddito delle imprese. 
    Infatti, nei criteri  di  determinazione  del  canone  introdotti
dalla novella, viene data rilevanza essenziale alla deturpazione  del
paesaggio,  certamente  correlata  alla   quantita'   di   superficie
interessata dall'attivita' di scavo; e, nell'ottica indennitaria,  si
tempera il relativo parametro  coniugandolo  con  il  riferimento  ai
volumi di estrazione autorizzati, ancor piu' concretamente indicativi
dell'effettiva modificazione ambientale assentita. 
    9.- Il TAR dubita, infine, della legittimita' costituzionale  del
comma 8  della  medesima  legge  reg.  n.  9  del  2013,  cosi'  come
introdotto dall'art. 83 della legge reg. n. 9 del 2015, in  relazione
agli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo  in  riferimento
all'art. 1 Prot. addiz. CEDU. 
    Con la norma censurata, secondo il  rimettente,  si  dispone,  in
modo arbitrario e irragionevole, l'efficacia  retroattiva  dei  nuovi
criteri  di  determinazione  del  canone   in   esame,   estendendone
l'applicazione anche all'anno 2014,  cosi'  da  ledere  il  legittimo
affidamento riposto, dai titolari dell'attivita' di  estrazione,  sul
mantenimento  delle   condizioni   di   quantificazione   del   detto
corrispettivo garantite dalla previgente normativa. 
    9.1.- Preliminarmente, in linea con quanto eccepito dalla  difesa
della Regione, va dichiarata l'inammissibilita' della  questione  con
riguardo al parametro convenzionale, evocato per il tramite del primo
comma dell'art. 117 Cost. 
    Tale  parametro  risulta   richiamato   solo   nominalmente   dal
rimettente, che non ha argomentato sul punto nelle due ordinanze.  Le
relative   motivazioni,   in   parte   qua,   risultano,   piuttosto,
esclusivamente riferite all'asserita lesione dell'art. 3 Cost. 
    9.2.- Con riguardo al parametro interno,  la  censura  si  rivela
infondata. 
    9.3.- Va in primo luogo confermato che la disposizione censurata,
rendendo applicabili i nuovi criteri  di  determinazione  del  canone
anche all'esercizio relativo al 2014, ha natura retroattiva. 
    I nuovi criteri previsti dalla novella, in vigore dal  15  maggio
2015, finiscono per incidere su una prestazione  che,  alla  data  di
entrata in vigore della riforma, doveva ritenersi gia'  compiutamente
definita. 
    E infatti, in virtu' di quanto previsto dall'art. 5  del  decreto
dell'assessore regionale  per  l'energia  e  i  servizi  di  pubblica
utilita' dell'11 aprile  2014,  reso  in  attuazione  dell'originario
tenore dell'art. 12 della legge reg. n.  9  del  2013,  il  pagamento
della prestazione in esame, relativa all'anno 2014, andava effettuato
entro il 31 marzo 2015. 
    9.4.- Va, poi, rimarcato che il  presupposto  logico  dell'intero
ragionamento  sotteso  alla  dedotta  illegittimita'   costituzionale
attiene alla misura  dell'aumento  fatto  gravare  sui  soggetti  che
esercitano l'attivita' di sfruttamento delle cave, nel passaggio  tra
quanto originariamente dovuto nel  2014  e  gli  importi  rivendicati
dagli enti competenti, per il medesimo periodo di esercizio, in esito
alla novella. 
    L'incidenza   quantitativa   di   siffatto   aumento   renderebbe
arbitraria e irrazionale la disposta retroattivita' delle modifiche. 
    9.5.- Cio' precisato, va ribadito che l'affidamento del cittadino
nella sicurezza giuridica costituisce  un  «elemento  fondamentale  e
indispensabile dello Stato di diritto» (sentenze n. 822 del 1988 e n.
349 del 1985) e «trova copertura costituzionale nell'art. 3 Cost., ma
non gia' in termini assoluti e  inderogabili»  (sentenza  n.  56  del
2015). 
    Come chiarito dalla costante giurisprudenza di questa  Corte  (in
consonanza  anche  con   quella   della   Corte   EDU),   la   tutela
dell'affidamento non comporta che, nel nostro sistema costituzionale,
sia assolutamente interdetto al legislatore di  emanare  disposizioni
le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina  dei  rapporti  di
durata, e cio' «anche se il loro oggetto sia costituito  dai  diritti
soggettivi  perfetti,  salvo,  qualora  si  tratti  di   disposizioni
retroattive, il limite costituzionale della materia penale (art.  25,
secondo  comma,  Cost.)»,   fermo   restando   tuttavia   che   dette
disposizioni, «al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono
trasmodare in un regolamento irrazionale e  arbitrariamente  incidere
sulle situazioni sostanziali poste in  essere  da  leggi  precedenti,
frustrando cosi' anche l'affidamento del cittadino» (sentenze  n.  16
del 2017 e n. 822 del 1988; in senso analogo, ex  plurimis,  sentenze
n. 203 del 2016; n. 64 del 2014; n. 1 del 2011; n. 302 del  2010;  n.
236, n. 206 e n. 24 del 2009; n. 409 e n. 264 del 2005;  n.  446  del
2002; n. 416 del 1999). 
    L'affidamento da tutelare postula, tuttavia,  il  consolidamento,
nel tempo, della situazione normativa che ha  generato  la  posizione
giuridica incisa dal nuovo assetto regolatorio, sia perche' protratta
per un periodo sufficientemente lungo, sia per  essere  sorta  in  un
contesto giuridico sostanziale atto a far  sorgere  nel  destinatario
una ragionevole fiducia nel suo  mantenimento  (sentenza  n.  56  del
2015). 
    Se,  dunque,  interessi  pubblici  sopravvenuti  possono  esigere
interventi normativi in grado di comprimere posizioni consolidate, e'
comunque necessario, per un verso, che l'incidenza  peggiorativa  non
sia sproporzionata rispetto all'obiettivo  perseguito  nell'interesse
della collettivita'; per altro verso, che  l'intervento  di  modifica
sia  prevedibile,  non  potendosi  tollerare  mutamenti   retroattivi
dell'assetto di interessi relativo a rapporti di  durata  consolidati
nel tempo, del tutto inaspettati (sentenze n. 203 del 2016  e  n.  64
del 2014). 
    9.6.- L'esame della ratio e del contenuto della  norma  impugnata
induce ad escludere che questa abbia inciso  in  modo  irragionevole,
arbitrario e imprevedibile cosi'  da  ledere  -  come  denunziano  le
ordinanze rimettenti - il principio evocato. 
    9.6.1.- In primo luogo, va considerato che il canone in questione
e' stato introdotto nel 2013, mentre le modifiche apportate risalgono
al 2015. 
    L'ambito temporale sopra descritto rende evidente  che  nel  caso
non  poteva  essersi  consolidato  un   affidamento   particolarmente
radicato nel tempo quanto al tenore  delle  disposizioni  previgenti,
avuto  riguardo  ai  criteri  di  determinazione  della   prestazione
patrimoniale in esame. 
    9.6.2.- Il portato di novita' che connotava l'introduzione  delle
norme modificate dalle disposizioni censurate - tramite le quali, per
la prima  volta,  per  i  titolari  di  autorizzazione  all'attivita'
estrattiva, e' stato  disposto  il  pagamento  della  prestazione  in
oggetto - rendeva  inoltre  prevedibile,  anche  in  un  breve  lasso
temporale,  una  fisiologica  instabilita'  di  disciplina,  motivata
dall'esigenza di individuare non  solo  e  non  tanto  i  criteri  di
quantificazione del dovuto maggiormente confacenti alla tipologia dei
rapporti  in  esame,  ma  anche  le  modalita'  attraverso  le  quali
pervenire  ad   una   piu'   puntuale   escussione   della   relativa
obbligazione. 
    Siffatta prevedibilita' della  modifica,  del  resto,  trova  una
rilevante conferma nel secondo  dei  gia'  evidenziati  tentativi  di
innovazione posti in essere dalla Regione nel corso del 2014,  quello
legato al disposto dell'art. 75 della  delibera  legislativa  del  1°
agosto 2014, in approvazione del disegno di legge n.  782,  il  quale
anticipava l'introduzione dei criteri di  determinazione  del  canone
attualmente vigenti. 
    Per quanto gia' segnalato, siffatto tentativo non venne portato a
termine  per  l'impugnazione  della  delibera  legislativa   che   lo
conteneva,  all'epoca  proposta,  innanzi   a   questa   Corte,   dal
Commissario dello Stato, prospettando minori entrate: motivazioni che
si pongono in aperta distonia logica con il contenuto  della  censura
sollevata dalle ordinanze di rinvio (le quali  logicamente  riposano,
piuttosto, su un asserito considerevole aumento di entrate  derivante
dalla applicazione dei nuovi criteri). 
    La prevedibilita'  dell'introduzione  dei  nuovi  criteri  trova,
inoltre, riscontro nelle ragioni di interesse  pubblico  -  messe  in
luce dai lavori preparatori - che hanno imposto le modifiche  oggetto
di censura. Ragioni, emerse gia' nel primo anno di  applicazione  del
canone in esame (come reso evidente dal tenore dell'art. 75 citato da
ultimo), legate alle difficolta' incontrate nella  puntuale  verifica
ed esazione del dovuto;  e  cio'  in  considerazione  del  metodo  di
accertamento correlato  agli  originari  criteri  di  determinazione,
fondato sull'autocertificazione della quantita' di materiale estratto
da parte del soggetto passivo della prestazione, tale da rendere  non
agevole un utile riscontro, quantomeno in termini  di  tempestivita',
degli importi da  riscuotere  da  parte  degli  organi  demandati  al
relativo controllo. 
    9.6.3.-   E'   di   immediata   evidenza   che   la   compiutezza
dell'accertamento del dovuto e  la  puntualita'  nell'escussione  del
canone rappresentano segmenti imprescindibili del percorso che  porta
alla utile realizzazione dell'interesse della  collettivita'  sotteso
alla prestazione patrimoniale prevista dalle disposizioni  in  esame,
altrimenti vanificato. L'obiettivo perseguito con l'introduzione  dei
nuovi criteri di determinazione si  fonde,  dunque,  inscindibilmente
con le ragioni sottese alla previsione del canone dovuto dai soggetti
che svolgono  l'attivita'  estrattiva;  ragioni  dotate  di  primario
rilievo,  perche'  correlate  alla  tutela  dei   valori   ambientali
compromessi dalla detta iniziativa imprenditoriale. 
    9.6.4.-  La  natura  ed  il  rilievo  dell'interesse   collettivo
perseguito  dal  legislatore  regionale  rendono,  innanzitutto,  non
arbitrarie le modifiche introdotte dalla novella censurata,  volte  a
rendere efficiente la fase di accertamento e riscossione del dovuto a
tale  titolo.  Portano,  inoltre,  ad  escludere   che   l'intervento
normativo  in  esame   possa   aver   arrecato   una   sproporzionata
compressione delle posizioni soggettive coinvolte: sia perche' queste
ultime riposano su un affidamento tutt'altro che radicato  nel  tempo
(sentenza n. 56 del 2015), ulteriormente messo in  discussione  dalla
gia' rimarcata prevedibilita' della riforma adottata; sia perche'  e'
evidentemente modesto  l'ambito  temporale  di  retrodatazione  degli
effetti delle nuove disposizioni, limitato  al  dovuto  per  un  solo
esercizio. Considerazione, quest'ultima, che finisce per  privare  di
effettivo  rilievo  il  profilo  legato  alle   addotte   conseguenze
economiche  che  derivano  dalla  retroattivita'   dei   criteri   in
contestazione, elemento fondante la censura prospettata. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi: 
    1) dichiara inammissibile la  costituzione  della  parte  privata
Fratelli Calamaio di Calamaio Ettore & C. snc; 
    2)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 83 della legge  della  Regione  Siciliana  7
maggio 2015, n.  9  (Disposizioni  programmatiche  e  correttive  per
l'anno 2015. Legge di stabilita' regionale), nella parte  in  cui  ha
introdotto  il  comma  8  dell'art.  12  della  legge  della  Regione
Siciliana  15  maggio  2013,  n.  9  (Disposizioni  programmatiche  e
correttive per l'anno 2013. Legge di stabilita' regionale)  sollevate
dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia in  riferimento
all'art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione  all'art.
1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmato a Parigi  il
20 marzo 1952 e ratificato con la legge 4 agosto 1955, n. 848, con le
ordinanze indicate in epigrafe; 
    3)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 83 della legge della Regione Siciliana n.  9
del 2015, nella parte in cui ha modificato il comma  1  dell'art.  12
della legge della Regione Siciliana n.  9  del  2013,  sollevate  dal
Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia in riferimento agli
artt. 53 e 3 Cost., con le ordinanze indicate in epigrafe; 
    4)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 83 della legge della Regione Siciliana n.  9
del 2015, nella parte in cui ha introdotto il comma  8  dell'art.  12
della legge della Regione Siciliana n.  9  del  2013,  sollevate  dal
Tribunale amministrativo regionale  per  la  Sicilia  in  riferimento
all'art. 3 Cost., con le ordinanze indicate in epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                 Augusto Antonio BARBERA, Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 26 aprile 2018. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE