N. 70 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 febbraio 2018
Ordinanza del 28 febbraio 2018 della Corte dei conti - Sezione regionale di controllo per la Campania nel procedimento di controllo relativo al Comune di Pagani. Bilancio e contabilita' pubblica - Piano di riequilibrio finanziario degli enti locali - Previsione che consente agli enti locali, entro il 31 maggio 2017 e al ricorrere di determinate condizioni, la rimodulazione o la riformulazione di un precedente piano di riequilibrio finanziario pluriennale. - Legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), art. 1, comma 434.(GU n.19 del 9-5-2018 )
CORTE DEI CONTI
Sezione regionale di controllo per la Campania
Composta dai magistrati: Giovanni Coppola - Presidente, Rossella
Cassaneti - consigliere, Alessandro Forlani - consigliere, Rossella
Bocci - consigliere, Francesco Sucameli - primo referendario
(relatore), Raffaella Miranda - primo referendario, ha pronunciato la
seguente ordinanza;
Visto l'art. 100, comma 2 della Costituzione;
Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato
con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive
modificazioni;
Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante disposizioni in
materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti;
Visti il decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito dalla
legge 20 dicembre 1996, n. 639, e l'art. 27 della legge 24 novembre
2000, n. 340;
Vista la legge 5 giugno 2003, n. 131, recante disposizioni per
l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3;
Visto il regolamento (n. 14/2000) per l'organizzazione delle
funzioni di controllo della Corte dei conti, deliberato dalle sezioni
riunite della Corte dei conti in data 16 giugno 2000 e successive
modificazioni;
Visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante il
testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali e
successive modificazioni (TUEL);
Visto il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, recante
«Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli
enti territoriali, nonche' ulteriori disposizioni in favore delle
zone terremotate nel maggio 2012», convertito dalla legge 7 dicembre
2012, n. 213;
Visto l'art. 243-bis del TUEL «Procedura di riequilibrio
finanziario pluriennale», introdotto dall'art. 3, comma 1, lettera
r), del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito dalla legge
7 dicembre 2012, n. 213;
Visto l'art. 243-quater del TUEL «Esame del piano di riequilibrio
finanziario pluriennale e controllo sulla relativa attuazione»,
introdotto dall'art. 3, comma 1, lettera r), del decreto-legge 10
ottobre 2012, n. 174, convertito dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213;
Considerata la pronuncia di questa sezione n. 53/2016/PRSP del 14
marzo 2016, con la quale e' stato approvato il PRFP del Comune di
Pagani;
Considerata la pronuncia di questa sezione n. 3/2017/PRSP dell'11
gennaio 2017, con la quale e' stato accertato il «grave
inadempimento» del PRFP del Comune di Pagani, per il mancato
raggiungimento degli obbiettivi intermedi nel 2015, con l'emersione
di uno squilibrio aggiuntivo per debiti fuori bilancio non
riconosciuti e non evidenziati per euro 4.407.423,87;
Viste le delibere del consiglio comunale di Pagani n. 6 del 7
febbraio 2017 e n. 15/2017 dell'8 marzo 2017, acquisite al prot. n.
2463 del 3 aprile 2017, contenenti le misure correttive adottate a
valle della suddetta delibera di «grave inadempimento» degli
obbiettivi intermedi del PRFP;
Vista la deliberazione del consiglio comunale di Pagani n. 31 del
30 maggio 2017, acquisita agli atti con comunicazione prot. C.d.c. n.
5651 del 26 ottobre 2017, con la quale il PRFP originarlo e' stato
modificato ai sensi dell'art. 1, comma 434, legge 11 dicembre 2016,
n. 232;
Vista la relazione sull'attuazione del piano di riequilibrio
concernente il primo ed il secondo semestre 2017, prot. C.d.c. n.
4397 del 14 luglio 2017 e prot. C.d.c. n. 530 del 6 febbraio 2018;
Vista la relazione di deferimento del magistrato istruttore,
depositata presso la segreteria della sezione, in data 16 gennaio
2018;
Viste le ordinanze n. 2 e n. 7 con le quali e' stata trasmessa la
ridetta relazione e convocato il comune per l'adunanza pubblica,
prima del 6 febbraio e poi del 20 febbraio 2018;
Visti l'art. 134 della Costituzione, l'art. 1 della legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e l'art. 23 della legge 11
marzo 1953, n. 87;
Uditi nell'adunanza pubblica del 20 febbraio 2018 i
rappresentanti dell'ente intervenuti in udienza;
Udito il relatore primo referendario dott. Francesco Sucameli.
Considerato in fatto
1. Con deliberazione della commissione straordinaria n. 40 del 19
febbraio 2013, assunta con i poteri di consiglio comunale, il Comune
di Pagani ha fatto ricorso alla Procedura di riequilibrio finanziarlo
pluriennale (PRFP) prevista dall'art. 243-bis TUEL.
Con deliberazione della medesima commissione n. 13 del 17
febbraio 2014, assunta sempre con i poteri del consiglio comunale, e'
stato approvato PRFP per il periodo 2014-2023 (durata decennale, la
massima al tempo prevista). Il piano prevede un recupero dei
disavanzo formale evidenziato (euro 5.074.673,99) con quote costanti
decennali (euro 507.500,00 all'anno), nei termini riportati in
tabella.
Parte di provvedimento in formato grafico
Successivamente, con pronuncia n. 53/2016/PRSP del 14 marzo 2016
la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Campania,
ha approvato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale.
Con la decisione n. 3/2017/PRSP questa sezione ha accertato un
primo «grave inadempimento» degli obbiettivi del piano, per
l'annualita' 2015, nell'ambito del quale si e' registrato un
deterioramento degli equilibri rispetto al risultato di
amministrazione 2015 pari euro 4.100.097,84, a causa di passivita'
non contabilizzate per euro 4.407.423,87.
In data 15 luglio 2017, con nota del collegio dei revisori prot.
C.d.c. n. 4397, di pari data, perveniva la relazione semestrale
sull'attuazione del PRFP riguardo al primo semestre del 2017.
La rimodulazione/riformulazione e' stata effettuata con
deliberazione del consiglio comunale n. 31 del 30 maggio 2017, ai
sensi dell'art. 1, comma 434, legge 11 dicembre 2016, n. 232.
2. Nell'ambito del controllo sull'attuazione del PRFP, ai sensi
dell'art. 243-quater, comma 7 TUEL, questa sezione ha avviato
l'analisi della documentazione pervenuta; pertanto, ha iniziato
un'interlocuzione istruttoria col comune per verificare la congruita'
della rimodulazione/riformulazione del PRFP, al fine di verificare la
correttezza della riduzione degli obbiettivi intermedi annuali.
Gli uffici della sezione hanno dunque:
a) proceduto a due audizioni dei rappresentanti del comune
(verbale del 20 novembre 2017, prot. n. 7100968 del 28 febbraio 2017;
verbale prot. n. 70048610 del 22 dicembre 2017);
b) inviato una richiesta istruttoria (cfr. prot. n. 6075 del
21 novembre 2017);
c) ricevuto ed analizzato le correlate risposte (prot. Corte
dei conti n. 6167 del 1° dicembre 2017 e n. 6265 del 13 dicembre
2017).
3. Dagli atti acquisiti risultava che l'ente, a valle della
pronuncia specifica di questa sezione n. 3/2017/PRSP, aveva proceduto
alla riformulazione/rimodulazione del PRFP nell'ambito delle misure
correttive adottate.
Emergeva, altresi', che la modifica del PRFP e' stata effettuata
secondo il ragionamento logico-contabile che qui si espone in
sintesi.
Da un lato, il comune ha ritenuto rilevante il miglioramento del
risultato di amministrazione formalmente accertato nei primi tre anni
di attuazione del PRFP, nei termini seguenti:
2014 → euro 1.294.418,65;
2015 → euro 814.879,08;
2016 → (dati preconsuntivo) euro 735.414,23.
Nel complesso, il recupero del disavanzo sarebbe stato dunque
pari ad euro 2.844.629,36.
Considerato che il PRFP prevedeva un ritmo di riduzione di euro
507.500,00 all'anno, l'ente avrebbe avuto, a fine 2016, un «credito»
di recupero pari a euro 1.322.211,96, ottenuto dalla differenza tra
euro 1.522.500,00 euro 507.500,00 × 3) e il totale della riduzione
conseguita sui dati di bilancio (euro 2.844.629,36).
Peraltro, poiche' questa sezione aveva accertato maggiori
passivita' per euro 4.407.423,87, ad avviso dell'ente, l'obiettivo di
riequilibrio veniva «riformulato» in euro 6.637.468,50, per effetto
del seguente calcolo:
disavanzo originario da piano di riequilibrio → euro
5.074,673,99;
a detrarre quote recuperate nel triennio 2014-2015-2016 → -
euro 2.844.629,36;
nuovo e maggior disavanzo accertato dalla Corte dei conti →
euro 4.407.423,87;
totale = euro 6.637.468,50.
L'ente ha quindi ritenuto di avvalersi della facolta' di ripiano
trentennale concessa dal citato art. 1, comma 434 della legge n.
232/2016. Nel fare cio' ha proceduto a redistribuire il
soprariportato totale sui residui 27 anni rispetto alla data di
primigenio decorso del PRFP (2014). Di conseguenza, il suddetto
totale e' stato diviso per 27 annualita', ottenendo una quota
«rimodulata» annuale di disavanzo da ripianare annualmente pari ad
euro 245.832,17, restando peraltro invariata la quota di riduzione da
armonizzazione (art. 3, comma 16, del decreto legislativo n.
118/2011, c.d. extra-deficit), in concreto pari a euro 678.000,00
(quota che si aggiunge alla prima).
Pertanto, le quote annuali di disavanzo da applicare
complessivamente nelle annualita' dei bilanci di previsione, dal 2017
in poi, risultavano pari almeno a:
quota annua disavanzo da PRFP → euro 245.832,17 (obiettivo
intermedio minimo);
quota annua di disavanzo da riaccertamento straordinario
(art. 3, comma 16, decreto legislativo n. 118/2011) → euro
678.000,00;
totale = euro 923.832,17.
La rimodulazione, dunque, riduceva il disavanzo complessivo da
applicare annualmente al bilancio da euro 1.185.000,00 ad euro
923.832,17, recuperando un margine di spesa annuale pari ad euro
261.167,83.
4. Il magistrato istruttore, esaminati gli atti, nell'ambito del
«monitoraggio» dell'attuazione del piano ai sensi dell'art.
243-quater, comma 7, in data 16 gennaio 2018 redigeva una relazione
con la quale rilevava criticita' in merito alla
rimodulazione/riformulazione del PRFP. In particolare, ravvisava
un'anomalia nel ripiano trentennale dello squilibrio accertato con la
precedente deliberazione n. 3/2017/PRSP e poneva una preliminare
questione di legittimita' costituzionale sull'art. 1, comma 434,
legge n. 232/2016. Su tutte tali questioni, ai sensi dell'art. 111
Cost., commi 1 e 2, il magistrato istruttore chiedeva al presidente
di instaurare il contraddittorio collegiale con l'ente e di fissare
un'apposita adunanza con facolta' del comune di presentare memorie e
scritti difensivi su tutte le questioni prospettate.
Il presidente, con ordinanza n. 2/2018 del 18 gennaio 2018
trasmessa via PEC in pari data, deferiva il comune in adunanza
pubblica, per il successivo 6 febbraio.
Nelle more della pubblica adunanza, il comune non presentava
alcuna memoria ne' si presentava nel giorno fissato.
In data 6 febbraio, peraltro, giungeva la relazione semestrale
del collegio dei revisori, relativa al secondo semestre 2017. In essa
si riferiva che il risultato di amministrazione al 31 dicembre 2016
aveva assorbito lo squilibrio accertato da questa sezione
(deliberazione n. 3/2017/PRSP) per debiti fuori bilancio (euro
4.407.423,87), mediante appositi accantonamenti. in tal modo, l'ente
aveva certificato un disavanzo finale pari ad euro 25.621.468,50. le
passivita' registrate con accantonamento riguardavano segnatamente le
seguenti poste:
debito fuori bilancio verso Consorzio di bacino Salerno 1 per
interessi di mora, pari ad euro 3.166.379,73;
debito fuori bilancio verso PCM UTA per euro 753.911,06;
debito verso Sannio ambiente per euro 170.000,00;
debito verso TEFA per euro 270.000,00, relativo al versamento
dell'addizionale provinciale originariamente a carico della
partecipata Multiservice S.r.l.
La parte disponibile del risultato di amministrazione, al 31
dicembre 2017, secondo quanto riportato nell'ultima relazione
semestrale, pur rimanendo di segno negativo, si riduceva ad euro
21.225.983,18.
Nella camera di consiglio, il collegio si aggiornava alla seduta
successiva.
In data 8 febbraio c.a., il comune produceva una nota (prot.
C.d.c. n. 634 in pari data) con cui chiedeva di essere rimesso in
termini e di celebrare una nuova adunanza, adducendo a motivazione
della richiesta un errore tecnico di sistema (il quale non avrebbe
consentito di registrare correttamente e tempestivamente la
convocazione in pubblica adunanza). All'uopo corredava la richiesta
con il «ticket» dell'assistenza tecnica.
Il presidente della sezione accoglieva la richiesta e con
ordinanza n. 7/2018 del 9 febbraio, riconvocava, in pari data, il
comune nell'adunanza pubblica fissata per il successivo 20 febbraio
2018.
5. Il comune nelle more non ha presentato memorie. All'adunanza
pubblica, peraltro, senza sollevare contestazioni sulla rilevanza o
fondatezza della questione sollevata, men che meno sulla
legittimazione di questa sezione, i rappresentanti dell'ente hanno
comunque precisato che:
la rimodulazione/riformulazione e' stata effettuata per
consentire di recuperare margini di spesa per l'erogazione di servizi
ai cittadini; i bilanci prevedono pochissima spesa discrezionale e
mirano essenzialmente alla copertura della spesa obbligatoria e al
recupero del disavanzo;
sulla base di accertamenti successivi alla decisione di
questa sezione n. 3/2017/PRSP, una parte delle maggiori passivita'
per debiti, accertate in euro 4.407.423,87, sarebbero in realta'
debiti in contenzioso e, quindi, ascrivibile alla categoria delle
«passivita' potenziali». Per tale ragione (in base ad una relazione
dell'Avvocatura del 30 novembre 2017), e' stato effettuato,
successivamente, un piu' ridotto accantonamento a fondo rischi
rispetto all'originario «nuovo disavanzo» registrato al 31 dicembre
2016, sulla base dell'accertamento di questa sezione. Tale
accantonamento oggi e' infatti diminuito ad euro 1.810.077,29.
In relazione a tale importo, il comune avrebbe provveduto con una
manovra di rientro triennale, ai sensi dell'art. 188 TUEL. Esso
comprende i surrichiamati tre debiti fuori bilancio verso PCM UTA1,
Sannio ambiente e Tefa (nella misura gia' accertata da questa
sezione). Nello stesso tempo, l'ente ha ridotto l'accantonamento per
il debito verso il Consorzio di bacino Salerno 1, calcolando il solo
rischio di soccombenza nel giudizio in corso (stimato dall'Avvocatura
dell'ente pari ad euro 616.166,29, ossia pari a circa il 20% delle
somme richieste dai Consorzio). Pertanto, il comune ha ritenuto che
se anche la modifica del PRFP risultasse effettuato in base ad una
norma costituzionalmente illegittima, sarebbe comunque in grado di
dimostrare di avere raggiunto gli obbiettivi intermedi a fine 2017 in
base al vecchio PRFP. E cio' anche tenendo conto dell'obbligo di
immediato rientro, ai sensi dell'art. 188 TUEL, del maggiore
disavanzo accertato dalla Corte dei conti con la pronuncia n.
3/2017/PRSP.
Inoltre, per quel che concerne le altre irregolarita' contabili
rilevate da questa sezione con la decisione n. 53/2016/PRSP, il
comune ha evidenziato che vi sarebbe stato un sensibile miglioramento
della riscossione e che sarebbe stata completata la gara per
l'aggiudicazione dei lavori per la realizzazione dei loculi
cimiteriali.
Il collegio si ritirava dunque in camera di consiglio per la
decisione.
Considerato in diritto
1. Il collegio ritiene di sollevare, d'ufficio, pregiudiziale
questione di legittimita' costituzionale sull'art. 1, comma 434 della
legge 11 dicembre 2016, n. 232.
La norma oggetto della questione, modifica l'originario testo
dell'art. 1, comma 714, della legge n. 208/2015, che gia' prevedeva
una facolta' di rimodulazione/riformulazione di piani di riequilibrio
in corso di attuazione.
La norma era, nella precedente versione, cosi' formulata:
«714. Gli enti locali che nel corso degli anni dal 2013 al 2015
hanno presentato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale o
ne hanno conseguito l'approvazione ai sensi dell'art. 243-bis del
testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, possono ripianare la
quota di disavanzo applicato al piano di riequilibrio, secondo le
modalita' previste dal decreto del Ministero dell'economia e delle
finanze 2 aprile 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 89 del
17 aprile 2015. Entro il 30 settembre 2016, i medesimi enti, fermo
restando la durata massima del piano di riequilibrio come prevista
dall'art. 243-bis, comma 5, del citato testo unico di cui al decreto
legislativo n. 267 del 2000, possono provvedere a rimodulare o
riformulare il precedente piano in coerenza con l'arco temporale di
trenta anni previsto per il riaccertamento straordinario dei residui
attivi e passivi di cui all'art. 3 del decreto legislativo 23 giugno
2011, n. 118. La restituzione delle anticipazioni di liquidita'
erogate agli enti di cui ai periodi precedenti, ai sensi degli
articoli 243-ter e 243-qunquies del citato testo unico di cui al
decreto legislativo n. 267 del 2000, e' effettuata in un periodo
massimo di trenta anni decorrente dall'anno successivo a quello in
cui viene erogata l'anticipazione».
Seguiva il comma 714-bis: «Gli enti locali che hanno presentato
il piano di riequilibrio finanziario pluriennale o ne hanno
conseguita l'approvazione ai sensi dell'art. 243-bis del testo unico
delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, con delibera da adottarsi dal
consiglio dell'ente entro la data del 30 settembre 2016, possono
provvedere a rimodulare o riformulare il piano stesso, fermo restando
la sua durata originaria e quanto previsto nel comma 7 dell'art.
243-bis del medesimo decreto legislativo n. 267 del 2000, per tenere
conto dell'eventuale disavanzo risultante dal rendiconto approvato o
dei debiti fuori bilancio, anche in deroga agli articoli 188 e 194
del decreto legislativo n. 267 del 2000. Dalla adozione della
delibera consiliare discendono gli effetti previsti dai commi 3 e 4
dell'art. 243-bis del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli
enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000».
Nella nuova formulazione, introdotta dall'art. 1, comma 434 della
legge n. 232/2016, il comma 714, invariato il comma 714-bis, e' ora
cosi' formulato:
«714. Fermi restando i tempi di pagamento dei creditori, gli enti
locali che hanno presentato il piano di riequilibrio finanziario
pluriennale o ne hanno conseguito l'approvazione ai sensi dell'art.
243-bis del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000,
n. 267, prima dell'approvazione del rendiconto per l'esercizio 2014,
se alla data della presentazione o dell'approvazione del medesimo
piano di riequilibrio finanziario pluriennale non avevano ancora
provveduto ad effettuare il riaccertamento straordinario dei residui
attivi e passivi di cui all'art. 3, comma 7, del decreto legislativo
23 giugno 2011, n. 118, possono rimodulare o riformulare il predetto
piano, entro 31 maggio 2017, scorporando la quota di disavanzo
risultante dalla revisione straordinaria dei residui di cui all'art.
243-bis, comma 8, lettera e), limitatamente ai residui antecedenti al
1° gennaio 2015, e ripianando tale quota secondo le modalita'
previste dal decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 2
aprile 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 89 del 17 aprile
2015. La restituzione delle anticipazioni di liquidita' erogate agli
enti di cui al periodo precedente, ai sensi degli articoli 243-ter e
243-quinquies del citato testo unico di cui al decreto legislativo n.
267 del 2000, e' effettuato in un periodo massimo di trenta anni
decorrente dell'anno successivo a quello in cui e' stata erogata
l'anticipazione. A decorrere dalla data di rimodulazione o
riformulazione del piano, gli enti di cui ai periodi precedenti
presentano alla commissione di cui all'art. 155 del medesimo testo
unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000 apposita
attestazione del rispetto dei tempi di pagamento di cui alla
direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16
febbraio 2011».
1.1. Sulla legittimazione della sezione regionale di
controllo a sollevare la questione di costituzionalita' in via
incidentale nell'ambito dei controlli sul piano di riequilibrio. La
sezione ritiene di essere legittimata a sollevare questione
incidentale di costituzionalita' ai sensi dell'art. 1 della legge
costituzionale n. 1/1948 e dell'art. 23 della legge n. 87/1953,
sussistendo la giurisdizione di un «giudice, nell'ambito di un
"giudizio"».
Come e' noto, alla giurisdizione della Corte dei conti sono
intestate due diverse funzioni reciprocamente integrate, segnatamente
il «controllo» (art. 100 Cost.) e quella «giurisdizionale» in senso
stretto (art. 103 Cost.), nelle materie di contabilita' pubblica e
nelle altre specificate dalla legge.
Gia' in passato il giudice delle leggi ha in passato riconosciuto
la legittimazione di questa magistratura a sollevare questioni di
legittimita' costituzionale incidentale anche in sede di controllo,
segnatamente, nell'ambito del controllo preventivo di legittimita'
(sentenze n. 226/1976 e n. 384/1991) nonche' in quello di
parificazione dei bilanci statali e regionali (sentenze n. 165/1963,
n. 121/1966, n. 142/1968, n. 244/1995, n. 213/2008 e piu' di recente,
per le parifiche dei bilanci regionali, le sentenze n. 181/2015 e n.
89/2017), quest'ultimo caratterizzato da «forme» giurisdizionali.
Infatti, nei procedimenti «davanti alla sezione di controllo»,
«ai limitati fini dell'art. 1 della legge cost. n. 1 del 1948 e
dell'art. 23 dello legge n. 87 del 1953, la funzione in quella sede
svolta dalla Corte nei conti e', sotto molteplici aspetti, analoga
allo funzione giurisdizionale» «[a]nche se [...] non [vi] e' un
giudizio in senso tecnico-processuale» (Corte cost., sentenza n.
226/1976).
Segnatamente, nella prefata sentenza il giudice delle leggi ha
qualificato la decisione di controllo alla stregua di un «giudizio»,
a prescindere dalle forme processuali. Cio' per la concorrenza di due
circostanze: da un lato, la sussistenza di sufficienti garanzie di
contraddittorio, dall'altro, per la struttura logica della decisione
che si risolve «[...], nel valutare la conformita' degli atti che ne
formano oggetto alle norme del diritto oggettivo, ad esclusione di
qualsiasi apprezzamento che non sia di ordine strettamente
giuridico».
Tale decisione, del resto, risultava coerente con la piu'
risalente giurisprudenza della Consulta che, sin dagli esordi, per
garantire la piena attuazione del principio di costituzionalita'
delle leggi, ha affermato la necessita' di tutelare «il preminente
interesse pubblico della certezza del diritto (che i dubbi di
costituzionalita' insidierebbero) [il quale] vieta che dalla
distinzione tra le varie categorie di giudizi e processi (categorie
del resto dai confini sovente incerti e contrastanti), si traggano
conseguenze cosi' gravi, quali l'esclusione della proponibilita' di
questioni di legittimita' costituzionale» (Corte costituzionale,
sentenza n. 129/1957).
Ai fini dell'interpretazione estensiva dei requisiti di accesso
al giudizio incidentale di costituzionalita', sia pure in un
procedimento di controllo (all'epoca il controllo preventivo di
legittimita' su atti) pur in assenza delle «formalita' della [...]
giurisdizione contenziosa» (come per la parifica, art. 40 regio
decreto n. 1214/1934), decisiva risultava l'esigenza di «ammettere al
sindacato della Corte costituzionale leggi che, come nella
fattispecie in esame, piu' difficilmente verrebbero, per altra via,
ad essa sottoposte» (sentenza n. 226/1976). In sede di controllo,
infatti, e' possibile sottoporre al sindacato di costituzionalita'
atti normativi primari che per loro natura, altrimenti, difficilmente
possono venire all'attenzione del giudice delle leggi attraverso un
«processo» di tipo dispositivo (in cui ad essere tutelate sono
situazioni giuridiche soggettive intestate a soggetti direttamente
titolari dell'interesse, ai sensi degli articoli 24 e 113 Cost.). Il
controllo preventivo di legittimita', infatti, avendo a parametro
leggi ed atti aventi forza di legge che incidono in modo sensibile
sul bilancio (attraverso atti che, direttamente o indirettamente,
agiscono sugli aggregati di spesa o determinano l'assetto
macro-organizzativo dello Stato) consente verificare la conformita' a
costituzione di disposizioni normative altrimenti prive di soggetti
direttamente interessati a veicolare la questione di
costituzionalita' davanti alla Consulta.
1.2. La suddetta legittimazione della sezione regionale di
controllo a sollevare la questione incidentale di costituzionalita',
per contro, e' stata negata per taluni controlli che differiscono
profondamente per parametro e natura quelli tradizionali assegnati
alla Corte dei conti (controllo preventivo di legittimita' e
parifica). Si tratta segnatamente di una genealogia di controlli
introdotti nel nostro sistema durante una particolare fase
dell'evoluzione istituzionale dello Stato (in generale negli anni '90
del secolo scorso, cfr. in particolare l'art. 3, commi 4-9, della
legge n. 20/1994), improntata alla riduzione del sistema dei
controlli di legalità-regolarita'. Da una parte, infatti, si
ammetteva l'estensione del parametro di valutazione a criteri
economico-gestionali, sconfinanti nel merito amministrativo
(insindacabile nei controlli tradizionali), per altro verso,
l'effettivita' di tali controlli veniva ridotta esclusivamente alla
capacita' di promuovere comportamenti auto-correttivi da parte delle
amministrazioni controllate, attraverso un obbligo giuridico di
riesame (Corte costituzionale, sentenza n. 29/1995).
A causa di tale differenza di parametro ed effetti (e in ultima
analisi, di natura), nell'ambito di tali tipi di controllo, alla
Corte dei conti e' stata negata la legittimazione a sollevare
questioni pregiudiziali di costituzionalita' (Corte costituzionale,
sentenza n. 37/2011) o comunitarie (Corte di giustizia dell'Unione
europea, sentenza 29 novembre 1999, causa C-440/98, RAI, in Racc., p.
I-8597, punto 13).
In definitiva, nella consolidata giurisprudenza costituzionale,
mentre e' pacifica la sussistenza della legittimazione a sollevare un
incidente pregiudiziale di costituzionalita' in sede di controlli di
legittimità-regolarita', e' escluso che tale legittimazione sussista
nei c.d. controlli di gestione «collaborativi».
1.3. Cionondimeno, immutata e' rimasta l'esigenza
costituzionale e sistemica di favorire il sindacato costituzionale
attraverso la giurisdizione di diritto obiettivo della Corte dei
conti, attraverso i vecchi e i nuovi controlli di
legittimità-regolarita' che la Corte dei conti, in coerenza con
l'originario disegno costituzionale, svolge sui bilanci degli enti
pubblici.
Del resto, la iurisdictio che la Corte dei conti esercita secondo
la Costituzione, nelle forme del «controllo» di legalità-regolarita'
e della giurisdizione in senso stretto, appare unitaria ed integrata,
in quanto tramite le funzioni svolte da tale magistratura si assicura
la legalita' ordinaria e costituzionale rispetto al «bene pubblico»
bilancio (Corte costituzionale, sentenze n. 184/2016, n. 228/2017 e
n. 247/2017), sede delle scelte fondamentali di allocazione delle
risorse pubbliche.
Infatti, tanto nell'originario disegno cavouriano che in quello
costituzionale del 1948, la Corte dei conti viene identificata come
«giudice» speciale della contabilita' pubblica (art. 103), ed in
particolare del bilancio (art. 100).
Nella contingenza storica che puo' determinare la maggiore o
minore ampiezza delle «materie» della contabilita' pubblica ai sensi
dell'art. 103, comma secondo, Cost. (Corte costituzionale, sentenze
n. 46/2008, n. 371/1998, n. 24/1993, n. 773/1988, n. 641/1997, n.
241/1984, n. 189/1984, n. 185/1982, n. 129/1981, n. 102/1977, n.
68/1971), infatti, e' indubbio che il bilancio costituisca «la»
materia che per la Costituzione giustifica l'esistenza ed afferma la
necessita' di un magistrato speciale, giudice del diritto e perito
del fatto contabile. Infatti, anche quando il controllo si svolge su
singoli atti, la loro sottoposizione al sindacato del magistrato
contabile e' giustificata proprio per la capacita' di questi di
incidere in modo sensibile sul bilancio (art. 3, commi 1-3, legge n.
20/1994; art. 11, legge n. 123/2011; articoli 1, commi 53-57 della
L.F. n. 244/2007 e dell'art. 1, comma 173, L.F. n. 266/2005).
Il sindacato del magistrato contabile in tale materia, nelle
«forme del controllo», del resto, risponde anche a precise esigenze
pratiche e giuridiche, connesse al bene oggetto, per antonomasia,
della sua giurisdizione (il bilancio). Quest'ultimo e' infatti retto
da norme assai peculiari per struttura e fattispecie (norme
finanziarie e contabili) e si inserisce in un'attivita' pubblica, per
definizione caratterizzata da esigenze di celerita' di giudizio (la
gestione della provvista finanziaria e del patrimonio).
Pertanto, l'ideale cavouriano di un sindacato di legalita'
sull'attivita' finanziaria e sulla gestione patrimoniale, effettuato
da un giudice terzo e indipendente rispetto alla pubblica
amministrazione, mantenuto in Costituzione (articoli 100 e 103
Cost.), si traduce in «forme» che non devono ingessare i tempi
dell'amministrazione (cosa che accadrebbe senz'altro se si
imponessero i tempi e le forme del processo, dove l'esigenza di
celerita' cede il passo a quello della garanzia di interessi e
situazioni giuridiche intestati a soggetti specifici).
Le «forme del controllo», dunque, coniugano le due esigenze
(legalita' e buon andamento della pubblica amministrazione),
consentendo una completa cognizione del bilancio, attraverso la
caratteristica bilateralita' della procedura (che prevede solo il
giudice a fronte del controllato) e i poteri istruttori inquisitori.
Peraltro, tali caratteristiche sono controbilanciate da adeguate
garanzie di difesa (Corte costituzionale n. 226/1976), previste non
solo da espresse norme di procedura (regio decreto n. 1214/1934), ma
valorizzate anche dall'interpretazione adeguatrice delle stesse alla
luce della riforma del c.d. «giusto processo» (art. 111 Cost., commi
1 e 2): infatti, ai soggetti controllati, in tutti i controlli di
legittimità-regolarita' (pure quelli successivi al testo unico del
1934, in particolare nei controlli previsti dal decreto-legge n.
174/2012, convertito in legge n. 213/2012, sulle regioni, sul sistema
sanitario e sugli enti locali) e' assicurato il pieno
contraddittorio, anche attraverso la garanzia della pubblica
adunanza.
Infine, il controllo e la sua effettivita' vivono di una stretta
relazione con il momento successivo della giurisdizione in senso
stretto. Tale ulteriore «forma» del sindacato delle fattispecie
incidenti sul bilancio e sul patrimonio pubblico sussiste sia per
esigenze di garanzia dei soggetti controllati, sia per presidiare le
norme e le decisioni di controllo con dispositivi giuridici che ne
assicurino l'effettivita', eventualmente anche con la responsabilita'
individuale di coloro i quali hanno compromesso la legalita' del
funzionamento della macchina pubblica (articoli 28, 100 e 103 Cost.).
Tale integrazione si realizza attraverso l'importante funzione
del pubblico ministero contabile che consente di separare e
neutralizzare il naturale conflitto di interesse tra ente e comunita'
amministrata da un lato, e gli amministratori dall'altro. Attraverso
il pubblico ministero, infatti, le illegittimita' e le gestioni che
violano la legge e la Costituzione da parte di amministratori,
possono essere portati all'attenzione di un giudice, all'interno di
un processo, con le forme tipiche della «giurisdizione».
Si tratta dunque di una unitaria «iurisdictio», in primo luogo,
in quanto l'oggetto della disciplina normativa che il giudice e'
chiamato ad applicare, in entrambe le funzioni, e' quella afferente
la gestione della provvista finanziaria, del bilancio e del
patrimonio pubblico; in secondo luogo perche' le decisioni di
controllo si inseriscono nel fluire dell'azione amministrativa
verificando le fattispecie contabili a diretto contatto con le
scritture e con l'amministrazione, presidiando la continuita' di
bilancio, consentendo di fare emergere illegittimita' altrimenti
difficilmente conoscibili attraverso le forme tipiche della
giurisdizione, che comunque garantiscono, in un momento successivo,
la piena garanzia del principio di legalita' ed il diritta di difesa.
1.4. Tale unitaria iurisdictio e' stata di recente nuovamente
valorizzata, nell'ambito della riforma legislativa e costituzionale
stimolata dagli impegni assunti dall'Italia a livello europeo (art.
117, comma 1 Cost.), in materia di politica economica e di bilancio,
riforma culminata con la legge costituzionale n. 1/2012.
Proprio la pressione del diritto dell'Unione europea ha portato
alla introduzione del precetto dell'equilibrio di bilancio (art. 97,
comma 1 Cost. e 81 Cost.) e all'espansione del sistema dei controlli
di legittimità-regolarita' della Corte dei conti.
Infatti, al termine di un lungo processo di riforma (legge 31
dicembre 2009, n. 196; legge 5 maggio 2009, n. 42; in attuazione di
una delega di quest'ultima, il decreto legislativo n. 118/2011), con
la legge costituzionale n. 1/2012 e la legge rinforzata n. 243/2012,
alla Corte e' stato affidato un ruolo fondamentale nella tutela della
legalita' di bilancio (art. 20, legge n. 243/2012). Da un lato,
infatti, sono stati codificati e resi normativi a tutti gli effetti
regole e principi contabili (per le regioni e gli enti locali, in
particolare, il decreto legislativo n. 118/2011), per altro verso
sono aumentati i controlli previsti dalla «legge», legati a parametri
di stretta legalita': con il decreto-legge n. 174/2012 (convertito in
legge n. 213/2012) e varie novelle del TUEL sono stati introdotti
nuovi e numerosi controlli successivi sui bilanci delle regioni e
degli enti locali.
In terzo luogo - a differenza dei controlli «collaborativi» di
cui alla sentenza Corte costituzionale n. 37/2011 - tali controlli
non mirano ad ottenere meri effetti auto-correttivi, ma all'esito
dell'accertamento di illegittimità-irregolarita', comportano ipso
iure immediate conseguenze giuridiche sulle amministrazioni
controllate (e non piu' un mero «obbligo di riesame»). Si pensi al
c.d. «blocco della spesa» (art. 148-bis TUEL), all'avvio del c.d.
«dissesto guidato» (art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 149/2011)
al mutamento del regime di salvaguardia degli equilibri di bilancio
(art. 243-quater, comma 7 TUEL in virtu' del quale il giudizio
negativo della Corte sul PRFP comporta il passaggio dal regime del
piano di riequilibrio finanziario pluriennale a quello del dissesto).
Infatti, in piu' occasioni la Consulta ha qualificato tali ultimi
controlli come appartenenti al genus di quelli
legittimità-regolarita' (sentenze n. 60/2013, n. 39/2014 e n.
40/2014, n. 228/2017), non solo perche' il parametro e' strettamente
normativo e la struttura del giudizio del magistrato contabile e'
chiaramente «dicotomica», ma anche per la diversa effettivita' delle
norme a presidio degli equilibri di bilancio, che mirano «a
prevenire» in modo efficace il pregiudizio a tale precetto (Corte
costituzionale, sentenze n. 60/2013 nonche' n. 39/2014 e n. 40/2014).
In questo contesto - su stimolo della stessa Corte costituzionale
(sentenza n. 39/2014, punto 6.3.4.3.3) e nel rispetto della riserva
di giurisdizione per materia dell'art. 103, comma 2, Cost. - il
legislatore ha aumentato lo standard di garanzia del diritto di
difesa e del contraddittorio, prevedendo espressamente la facolta' di
impugnazione delle decisioni di controllo, attraverso un ricorso alle
sezioni riunite (sebbene gia' possibile in base al disposto dell'art.
103, comma 2, Cost., cfr. SS.RR. sentenze n. 2 e n. 6 del 2013.).
Tale ricorso puo' essere presentato oltre che dal soggetto
controllato, da chi vi abbia interesse in relazione alla lesione di
situazioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela ai sensi
dell'art. 24 Cost. (art. 11, comma 6, lettera e) del codice della
giustizia contabile, decreto legislativo n. 174/2016).
In questo modo, si e' realizzata un'ulteriore integrazione tra le
«forme» del controllo e della giurisdizione, che ha aumentato il
grado di prossimita' del primo con il «giudizio» ai sensi e per gli
effetti dell'art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 e
dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953.
1.5. Tanto premesso, in relazione all'odierno giudizio di
controllo (verifica dell'attuazione dei piani di riequilibrio ai
sensi e per gli effetti dell'art. 243-quater, comma 7 TUEL), la
legittimazione di questa Corte a sollevare incidente di
costituzionalita' dipende dalla verifica della natura del controllo
esercitato, in particolare dalla qualificabilita' dello stesso alla
stregua di un controllo «collaborativo» o di un controllo di
legittimità-regolarita'.
Piu' in generale, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1 della
legge costituzionale n. 1 del 1948 e dell'art. 23 della legge n. 87
del 1953, occorre verificare la sussistenza di un «giudice» e di un
«giudizio» (cfr. Corte costituzionale, sentenze n. 384/1991 e n.
89/2017).
1.6.1. Quanto al requisito soggettivo («giudice»), la Consulta ha
evidenziato che le sezioni di controllo della Corte dei conti sono
composte da magistrati «che, analogamente ai magistrati dell'ordine
giudiziario, si distinguono tra loro "solo per diversita' di
funzioni" (art. 10, legge 21 marzo 1953, n. 161)». Si tratta infatti
di una magistratura «annoverata, accanto [a quella] ordinario ed al
Consiglio di Stato, tra le "supreme magistrature" (art. 135 Cost.);
istituzionalmente investita di funzioni giurisdizionali o norma
dell'art. 103, secondo comma, Cost., la Corte dei conti e', infatti,
l'unico organo di controllo che, nel nostro ordinamento, goda di una
diretta garanzia in sede costituzionale» (Corte costituzionale,
sentenza n. 226/1976).
Tale requisito e' stato confermato anche con riguardo alle
sezioni regionali di controllo (sentenze n. 181/2015 e n. 89/2017).
La terzieta' e la neutralita' della Corte dei conti, infatti, e'
stata riconosciuta anche rispetto al sistema delle autonomie: essa
non esercita competenze di natura amministrativa, ma e' organo al
servizio del principio di legalita' repubblicana e del suo sistema
istituzionale multilivello (art. 114 Cost.): infatti, parallelamente
alla riforma del titolo V, la Consulta ha evidenziato che la Corte
dei conti non e' espressione organizzativa dello Stato, bensi' essa
e' organo dello Stato-comunita' (sentenza n. 29/1995) e dello
Stato-ordinamento (sentenze n. 267/2006; nonche' n. 179/2007, n.
37/2011, n. 198/2012).
Del resto, la Corte dei conti, nel procedimento di controllo sui
piani di riequilibrio e' «super partes», ossia e' doppiamente
neutrale: lo e' rispetto allo Stato-ordinamento (art. 114 Cost.),
nella sua plurale articolazione (Corte costituzionale, sentenze n.
29/1995, n. 470/1997 e n. 60/103); ma lo e' soprattutto rispetto alla
«comunita'» di riferimento e agli interessi afferenti il bene della
vita che tramite il controllo ricevono tutela obiettiva (il bilancio
come bene pubblico). Si tratta, infatti e segnatamente, di interessi
finanziari adespoti, afferenti i membri della collettivita' di
riferimento, i quali entrano in una relazione (soltanto) «mediata»
col bilancio: di conseguenza, gli «interessati» al bilancio non sono
solo gli amministratori, ma anche i cittadini utenti nonche' il
«mercato» che interagisce col bilancio, fornendo beni e servizi.
La Corte, quindi, si interpone tra l'interesse degli
amministratori pro tempore e quelli della comunita' di riferimento,
la quale aspira ad uno strumento adeguato di riequilibrio del «bene
pubblico» bilancio. L'interesse dei primi, infatti, si pone
potenzialmente in conflitto con quelli della seconda, per le
responsabilita' che potrebbero conseguire in caso di un giudizio
negativo ai sensi dell'art. 243-quater, comma 7 TUEL sul piano di
riequilibrio.
Si rammenta che in tal caso e' previsto che scatti il c.d.
dissesto «guidato» (art. 6, comma 2, decreto legislativo n.
149/2011), non piu' evitabile con la presentazione di un nuovo piano
di riequilibrio (SRC Campania n. 8/2018, SRC Umbria, n. 1/2018; SRC
Sicilia n. 25/2018/PRSP) e che in tale ipotesi, a mezzo del pubblico
ministero contabile, siano effettuati, presso le sezioni
giurisdizionali di questa Corte, accertamenti per la verifica delle
responsabilita' e per l'applicazione delle sanzioni di cui all'art.
248, commi 5 e 5-bis TUEL (sanzioni pecuniarie ed incandidabilita').
Tale conflitto di interessi e' gia' stato evidenziato dalla Corte
costituzionale quando ha sottolineato che «l'incuria del[lo]
squilibrio strutturale [dei bilanci] interromp[e] - in virtu' di una
presunzione assoluta - il legame fiduciario che caratterizza il
mandato elettorale e la rappresentanza democratica degli eletti»
(sentenza n. 228/2017).
1.6.2. Per quanto riguarda il requisito oggettivo («giudizio»), il
controllo sui piani di riequilibrio e' gia' stato espressamente
qualificato come un controllo di legittimità-regolarita', escludendo,
in tal modo, ogni assimilazione ai controlli «collaborativi». Il
giudice delle leggi ha infatti evidenziato - come gia' prima per i
controlli monitori ai sensi del nuovo art. 148-bis TUEL (introdotto
dal decreto-legge n. 174/2012, convertito in legge n. 213/2012; cfr.
Corte costituzionale, sentenza n. 40/2013) - che i recenti controlli
introdotti a presidio della «salvaguardia di bilancio», costituiscono
controlli di regolarità-legittimita' (sentenza n. 228/2017) e tra
questi, in particolare, quelli attinenti alla valutazione dei piani
di riequilibro e della loro attuazione (articoli 243-quater, comma 7
TUEL). Infatti in tale pronuncia si legge: «[...] appare evidente che
i controlli [...] del titolo VIII del TUEL (art. 243-bis rubricato
«Procedura di riequilibrio finanziario pluriennale»; 243-quater
rubricato «Esame del piano di riequilibrio finanziario pluriennale e
controllo sulla relativa attuazione»; 243-quinquies rubricato «Misure
per garantire la stabilita' finanziaria degli enti locali sciolti per
fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso»;
243-sexies rubricato «Pagamento di debiti»; 246 «Deliberazione di
dissesto»; 248 rubricato «Conseguenze della dichiarazione di
dissesto») - consistono appunto in controlli di
legittimità-regolarita' se non addirittura in attribuzioni di natura
giurisdizionale.
Appartengono alla prima categoria:
a) la determinazione di misure correttive per gli enti in
predissesto (art. 243-bis, comma 6, lettera a) del TUEL);
b) l'approvazione o il diniego del piano di riequilibrio
(art. 243-quater, comma 3 del TUEL);
c) gli accertamenti propedeutici alla dichiarazione di
dissesto (art. 243-quater, comma 7 del TUEL).
Riguardano funzioni di natura giurisdizionale:
a) la giurisdizione delle sezioni riunite della Corte dei
conti in speciale composizione avverso le delibere della sezione
regionale di controllo (art. 243-quater, comma 5 del TUEL);
b) l'attivita' requirente della procura regionale sulle cause
del dissesto (art. 246, comma 2 del TUEL);
c) l'accertamento delle responsabilita' degli amministratori
e dei revisori dei conti ai fini dell'applicazione delle ulteriori
sanzioni amministrative (art. 248, commi 5 e 5-bis del TUEL)» (enfasi
aggiunta).
In buona sostanza, il controllo effettuato dalle sezioni
regionali di controllo sui piani di riequilibrio «si risolve nel
valutarne "la conformita' [...] alle norme del diritto oggettivo, ad
esclusione di qualsiasi apprezzamento che non sia di ordine
strettamente giuridico». Una funzione cioe' di garanzia
dell'ordinamento, di «controllo esterno, rigorosamente neutrale e
disinteressato [...] preordinato a tutela del diritto oggettivo».
Infatti «il controllo effettuato dalla Corte dei conti e' un
controllo esterno, rigorosamente neutrale e disinteressato, volto
unicamente o garantire la legalita' degli atti ad essa sottoposti,
[...] che si differenzia pertanto nettamente dai controlli c.d.
amministrativi; svolgentisi nell'interno della pubblica
amministrazione; ed e' altresi' diverso anche da altri controlli, che
pur presentano le caratteristiche da ultimo rilevate, in ragione
della natura e della posizione dell'organo cui e' affidato» (sentenze
n. 226/1976 e n. 384/1991).
Il carattere di «giudizio» e' confermato da altre due
circostanze.
In primis, dalla procedura caratterizzata da un alto tasso di
contraddittorio.
Come sopra evidenziato, oltre a fare applicazione analogica delle
norme a suo tempo adottate dal legislatore per il controllo
preventivo di legittimita' (e gia' ritenute sufficienti, al tempo,
per superare il test di legittimazione per l'accesso alla Corte, cfr.
sentenza n. 226/1976), la Corte dei conti valorizza la norma
costituzionale sui «giusto processo» (art. 111 Cost., commi 1 e 2),
assicurando il contraddittorio su tutte le risultanze istruttorie e
la garanzia dell'adunanza pubblica (che consente di discutere
oralmente le memorie scritte sulle contestazioni che vengono
preliminarmente portate a conoscenza dell'ente controllato).
In secundis, il requisito oggettivo del «giudizio» si ravvisa
nella idoneita' della decisione di controllo a costituire uno stabile
accertamento, alla stregua di un provvedimento emesso in sede
giurisdizionale.
Sebbene non siano suscettibile di passare in giudicato alla
stregua delle sentenze, le decisioni di controllo, una volta
trascorso il termine per la loro impugnazione o in mancanza di una
sentenza di merito di riforma da parte delle sezioni riunite (art.
243-quater, comma 5 TUEL), definiscono il fatto ed il diritto coi
crismi della certezza giuridica. Ossia esse assumono, «giuridica
stabilita'» (Corte dei conti sezioni riunite, n. 64/2015/EL; SRC
Campania n. 8/2018/QMIG), costituendo la base del giudizio contabile
successivo nel caso in cui sussistano i presupposti di legge per
l'attivazione di un ulteriore e successivo controllo.
Tale stabilita' e' fondamentale per la tutela del bene della vita
sottostante al giudizio di controllo (e all'eventuale sindacato
giurisdizionale): il bilancio inteso come «bene pubblico» (Corte
costituzionale, sentenze n. 184/2016, n. 228/2017 e n. 247/2017).
Alla sede giurisdizionale, invece, compete verificare la
plausibilita' logica e giuridica del ragionamento effettuato dalla
sezione di controllo, quale premessa per la stabilizzazione degli
effetti di legge o per l'avvio di ulteriore disamina del bilancio in
sede di controllo. In questo modo, il legislatore ha assicurato la
tutela di eventuali interessi che possono essere stati lesi da
decisioni di controllo eventualmente viziate da errores in iudicando
o in procedendo.
1.7. Giova infine, ancora una volta, sottolineare che la
necessita' di assicurare la legittimazione diretta della sezione di
controllo al giudizio incidentale di costituzionalita' - anche a
fronte della possibilita' di un successivo sindacato giurisdizionale
in senso stretto - deriva dalla duplice esigenza di «garantire il
principio di costituzionalita'» ed «evitare che si venga a creare uno
zona franca del sistema di giustizia costituzionale» (Corte
costituzionale, sentenza n. 1/2014, punto 2 in diritto).
Infatti, come gia' evidenziato in passato, il «preminente
interesse pubblico della certezza del diritto (che i dubbi di
costituzionalita' insidierebbero), insieme con l'altro della
osservanza della Costituzione» vieta di ritenere esiziale la
circostanza che il giudizio di controllo non si svolga con le
formalita' tipiche della giurisdizione, in quanto dalla «distinzione
tra le varie categorie di giudizi e processi (categorie del resto dai
contorni sovente incerti e contestati)» potrebbe derivare la «grave
conseguenza» della formazione nell'ordinamento di «zone franche»
sottratte al sindacato di costituzionalita' (Corte costituzionale,
sentenza n. 226/1976).
Il rischio che la disciplina della salvaguardia di bilancio degli
enti locali si traduca in una «zona franca» sottratta al sindacato di
costituzionalita' e' particolarmente elevato in ragione di due
fattori.
In primo luogo, per la «natura particolare» (Corte
costituzionale, sentenza n. 1/2014) delle norme applicate, che
attengono ai limiti legislativi e costituzionali alla determinazione
dei contenuti del «bene pubblico bilancio».
Il contenuto del bilancio, come sede delle scelte fondamentali di
allocazione delle risorse pubbliche, e' infatti rimesso al
legislatore e all'amministrazione; solo in sede di sindacato di
controllo (e in via mediata l'eventuale, successivo, sindacato
giurisdizionale) e' possibile verificare, da parte di un giudice
terzo, la legalita' ordinaria e costituzionale nella determinazione
di quei contenuti.
Del resto, nell'ambito delle regole normative, di cui la Corte
dei conti deve verificare il rispetto, costituiscono norme
fondamentali la «clausola generale» di equilibrio «in grado di
operare pure in assenza di norme interposte» (Corte costituzionale,
sentenza n. 192/2012), nonche' la disciplina di salvaguardia (con
cio' intendendosi il sistema di prescrizioni in virtu' delle quali la
disciplina statale, che regola il bilancio di regioni ed enti locali,
stabilisce le modalita' di recupero effettivo e sostenibile dei suoi
squilibri e detta le prescrizioni in caso di mancato riequilibrio;
cfr., al riguardo, Corte costituzionale, sentenza n. 228/2017).
Ora e' evidente che la disciplina sul bilancio, ed in particolare
quella sulla sua «salvaguardia», non interferendo direttamente con
situazioni giuridiche soggettive di diritto soggettivo e di interesse
legittimo, difficilmente verrebbe alla cognizione del giudice delle
leggi nell'ambito di un «processo» dispositivo.
Si correrebbe cosi' il rischio di sottrarre al sindacato di
costituzionalita' importanti norme statali e regionali che
disciplinano la formazione dei contenuti del bene pubblico bilancio,
con l'effetto di lasciare prive di presidio giudiziale aree
importanti dell'ordinamento in cui sono regolati interessi di sicuro
rilievo costituzionale: si deve rammentare, infatti, che il bilancio
e' un «bene pubblico» attraverso cui si determinano le politiche
fondamentali e la strumentale allocazione delle risorse; di
conseguenza la disciplina ordinaria che lo governa e' essenziale per
la realizzazione dei principi costituzionali «di solidarieta' sociale
per il pieno sviluppo della persona umana attraverso la rimozione
degli ostacoli alla liberta' e all'uguaglianza di ordine economico»
(articoli 2 e 3 Cost.), gli stessi che impongono l'equilibrio di
bilancio e la sostenibilita' del debito (art. 97, comma 1 Cost.) per
assicurare, innanzi tutto, i livelli essenziali delle prestazioni
(art. 117, secondo comma, lettera m) Cost.).
Inoltre, proprio per la naturale vocazione del bilancio a
dispiegare effetti, in continuita', nel tempo, la pubblicita' e la
solidarieta' evocata non e' solo quella tra i cittadini in un dato
momento della vita della Repubblica, ma quella dinamica e
intergenerazionale» che deve sussistere per garantire l'ordinato
sviluppo della vita democratica dello Stato.
Rispetto a tale bene, dunque, si dispiegano interessi, certamente
costituzionalmente rilevanti, di natura finanziaria e adespota (in
taluni casi collegati a generazioni e soggetti futuri) che per natura
possono venire all'attenzione della Corte costituzionale solo per
mezzo della iurisdictio di diritto oggettivo della Corte dei conti ed
in particolare della sua funzione di controllo. Cio' «giustifica
[...] l'esigenza di ammettere al sindacato costituzionale leggi che,
come nella fattispecie in esame, piu' difficilmente verrebbero per
altra via, ad esso sottoposte» (Corte costituzionale, sentenza n.
384/1991), attraverso un «giudice», pur in assenza delle forme del
«processo»; si tratta cioe' di garantire che anche la disciplina
ordinaria che presiede alla formazione ed alla tutela del bilancio
possa essere giustiziata secondo Costituzione, quando tale disciplina
entra in conflitto con i fondamenti della Carta fondamentale.
In secondo luogo, la necessita' di riconoscere direttamente alla
sezione regionale di controllo la legittimazione a sollevare
questione incidentale di costituzionalita' deriva da un'attuale
lacuna procedurale dei procedimenti di controllo.
Per costante diritto vivente, nei procedimenti di controllo
diversi da quelli della parifica, si fa applicazione analogica della
disciplina procedurale prevista per il controllo preventivo di
legittimita' (articoli 21 e seguenti, testo unico n. 1214 del 1934).
L'interpretazione analogica di tali disposizioni, applicate
evolutivamente ai sensi dell'art. 111 Cost., comporta:
a) il contraddittorio durante tutta l'istruttoria;
b) lo svolgimento della pubblica adunanza nel momento in cui
il magistrato istruttore deferisce il controllato alla sezione nella
sua collegialita' per la decisione finale.
La fase finale, ed in particolare l'adunanza pubblica, consente
anche oralmente contraddittorio, con la garanzia del pubblico
svolgimento della discussione.
Peraltro, non esiste nel procedimento di controllo un soggetto o
una parte controinteressata all'approvazione o al giudizio positivo
sul PRFP; pertanto se la sezione regionale di controllo non fosse
ritenuta legittimata a sollevare d'ufficio questione incidentale di
costituzionalita', non rivenendosi violazioni di legge, sarebbe
tenuta ad approvare il piano o a non rilevare inadempimenti connessi
al mancato riequilibrio secondo la disciplina vigente.
In tale eventualita', inoltre, non vi sarebbero soggetti in grado
di introdurre un giudizio dinanzi alle sezioni riunite in speciale
composizione, nell'ambito del quale fare valere l'incostituzionalita'
delle leggi applicate. Ne', peraltro, tale funzione puo' essere
svolta dal pubblico ministero che, in base alla disciplina vigente,
non partecipa al procedimento di controllo.
Si determina, quindi, in assenza di riconoscimento della
legittimazione della sezione regionale di controllo a sollevare
questioni incidentali dinanzi alla Consulta, una situazione di
insindacabilita' di vaste porzioni dell'ordinamento, in netto
contrasto:
con la stessa volonta' legislativa che, invece, prevede anche
l'impugnazione di pronunce favorevoli all'ente locale (art.
243-quater, comma 5 TUEL, che fa espresso riferimento
all'impugnazione anche delle «delibere di approvazione»), con una
evidente irrazionalita' del sistema;
con il principio di costituzionalita', che vieta che vi siano
«zone franche del tutto impreviste dalla Costituzione, all'interno
delle quali la legislazione ordinaria diverrebbe incontrollabile
(sentenza n. 148 del 1983 e sul punto, sostanzialmente nello stesso
senso, sentenza n. 394 del 2006) - (sentenza n. 28 del 2010)» (Corte
costituzionale, sentenza n. 5/2014).
1.8. Ed infatti, in questa prospettiva, proprio tenendo conto
dell'esigenza di giustiziare, secondo Costituzione, importanti aree
dell'ordinamento, e segnatamente le norme finanziarie e di bilancio
tipicamente attratte dalla giurisdizione in sede di controllo della
Corte dei conti, il giudice delle leggi ha «sintetizzato», nella piu'
recente sentenza n. 89/2017, i contenuti e i requisiti di accesso al
giudizio di costituzionalita' incidentale per i controlli sui bilanci
delle regioni e degli enti locali. In proposito la Corte ha osservato
quanto segue.
«Tali condizioni possono essere cosi' sintetizzate:
a) applicazione di parametri normativi. E' da sottolineare,
in proposito, come nel procedimento di parifica il prevalente quadro
normativo di riferimento sia quello del decreto legislativo n. 118
del 2011 e come l'esito del procedimento sia dicotomico nel senso di
ammettere od escludere dalla parifica le singole partite di spesa e
di entrata che compongano il bilancio (sull'esito dicotomico dei
controlli di legittimità-regolarita' sui bilanci degli enti
territoriali, sentenza n. 40 del 2014);
b) giustiziabilita' del provvedimento in relazione a
situazioni soggettive dell'ente territoriale eventualmente coinvolte.
Infatti, l'art. 1, comma 12, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n.
174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli
enti territoriali, nonche' ulteriori disposizioni in favore delle
zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni,
dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, come modificato dall'art. 33,
comma 2, lettera a), numero 3), del decreto-legge del 24 giugno 2014,
n. 91 (Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela
ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e
universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il
contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonche' per
la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa
europea), convertito, con modificazioni, dallo legge 11 agosto 2014,
n. 116, dispone che avverso le delibere della sezione regionale di
controllo della Corte dei conti - tra le quali, appunto, quella
afferente al giudizio di parificazione - «e' ammessa l'impugnazione
alle sezioni riunite della Corte dei conti in speciale composizione,
con le forme e i termini di cui all'art. 243-quater, comma 5, del
decreto legislativo 18 agosto 2000, numero 267»;
c) pieno contraddittorio sia nell'ambito del giudizio di
parifica esercitato dalla sezione di controllo della Corte dei conti
sia nell'eventuale giudizio ad istanza di parte, qualora quest'ultimo
venga avviato dall'ente territoriale cui si rivolge la parifica. In
entrambe le ipotesi e' contemplato anche il coinvolgimento del
pubblico ministero a tutela dell'interesse generale oggettivo della
regolarita' della gestione finanziaria e patrimoniale dell'ente
territoriale (art. 243-quater, comma 5, del decreto legislativo 18
agosto 2000, n. 267, recante «Testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali»; articoli 53 e seguenti del
regolamento di procedura di cui al regio decreto 13 agosto 1933, n.
1038, recante «Approvazione del regolamento di procedura per i
giudizi innanzi alla Corte dei conti», ora sostituiti dagli articoli
172 e seguenti dell'allegato 1 del decreto legislativo 26 agosto
2016, n. 174, recante «Codice di giustizia contabile, adottato ai
sensi dell'art. 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124». In definitiva,
anche nel procedimento di parifica «e' garantita la possibilita' che
gli interessi ed il punto di vista dell'amministrazione, nelle sue
varie articolazioni, siano fatti valere nel corso del procedimento.
[...] D'altronde, sul piano sostanziale, il riconoscimento di tale
legittimazione [al giudizio costituzionale] si giustifica anche con
l'esigenza di ammettere al sindacato della Corte costituzionale leggi
che, come nella fattispecie in esame, piu' difficilmente verrebbero,
per altra via, ad essa sottoposte» (sentenza n. 226 del 1976).
Come e' evidente tutti i suelencati requisiti sono soddisfatti
nel procedimento di controllo ai sensi dell'art. 243-quater, comma 7,
TUEL. Infatti:
a) come gia' evidenziato nella sentenza n. 228/2017, si
tratta di un controllo di legalità-regolarita';
b) il provvedimento e' giustiziabile ai sensi e per gli
effetti degli articoli 243-quater, comma 5 TUEL e dell'art. 11, comma
6, lettera e) del Codice della giustizia contabile (decreto
legislativo n. 174/2016);
c) e' assicurato ampio contraddittorio con il soggetto
controllato, al quale si applica in via diretta, l'art. 111, commi 1
e 2 Cost. e, in via analogica, le norme sui procedimenti di controllo
previsti dal vigente testo unico della Corte dei conti (testo unico
n. 1214 del 1934).
2. Sulla rilevanza della questione. In merito alla rilevanza
della questione di legittimita' costituzionale che la sezione intende
sollevare, nel caso di specie si osserva che il giudizio non puo'
essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione
costituzionale qui prospettata, per le ragioni di seguito indicate.
Si deve preliminarmente ricordare che l'art. 1, comma 434, della
legge n. 232/2016, norma di cui qui si fa questione, ha novellato il
precedente art. 1, comma 714 della legge n. 208/2015 (legge di
stabilita' 2016) e si applica nell'ambito di un procedimento di
controllo volto a monitorare l'adempimento del piano e ad accertare
l'eventuale «grave» e «reiterato» mancato raggiungimento degli
obbiettivi intermedi.
Tale disposizione, infatti, consente la «riformulazione»
(estensione o riduzione quantitativa dell'obiettivo di riequilibrio)
o la «rimodulazione» (diversa distribuzione temporale del ripiano) di
un piano finanziario pluriennale pregresso, cioe' la modifica di un
precedente piano valido ed efficace, con un atto amministrativo di
secondo grado.
Il presupposto oggettivo di tale rimodulazione/riformulazione non
e' pero' l'emersione di nuovo disavanzo (ipotesi invece contemplata
dall'art. 1, comma 714-bis della medesima legge), ma la
redistribuzione di squilibri gia' noti, con un effetto di
alleggerimento sugli obbiettivi intermedi annuali.
Inoltre, poiche' la modifica al PRFP ai sensi del comma 714 non
e' determinata dalla sopravvenienza di un nuovo «fatto» (un maggiore
disavanzo), ma da quella di una nuova disciplina normativa contabile,
non e' necessaria una renovatio dell'intero procedimento di
controllo, ma solo una verifica in sede di «monitoraggio» del PRFP in
precedenza approvato, ai sensi dell'art. 243-quater, comma 7. Come
specificato dalla sezione delle autonomie di questa magistratura, con
la pronuncia nomofilattica n. 13/2016/QMIG «Il sopravvenuto
intervento normativo attuato con l'introduzione dei commi 714 e 715
riconosce la facolta' di riformulare o rimodulare il piano gia'
approvato o presentato solo per consentire il ripiano del disavanzo
scaturito dal riaccertamento straordinario dei residui nei termini e
con le modalita' stabilite dall'art. 3 del decreto legislativo n. 118
del 2011 e dal decreto ministeriale 2 aprile 2015 ma lascia
impregiudicati i vincoli normativi e gli impegni gia' assunti da
ciascun ente al momento dell'approvazione del piano».
Diversamente, la rimodulazione/riformulazione prevista dall'art.
1, comma 714-bis e' collegata ad un «fatto» nuovo (l'emersione di un
ulteriore disavanzo) e per tale ragione comporta nuova approvazione
del PRFP, a valle di nuova istruttoria della commissione per la
stabilita' finanziaria (Sezione autonomie, deliberazione n.
9/SEZAUT/2017/QMIG).
2.1. Tanto premesso sulla tipologia di controllo esercitato,
si rammenta che il PRFP di Pagani, in corso di attuazione, e' stato
ritenuto conforme a legge ed approvato in precedenza da questa
sezione con la pronuncia n. 53/2016/PRSP.
Con la deliberazione n. 3/2017/PRSP, la sezione ha pero'
accertato un primo «grave inadempimento» degli obbiettivi del piano,
per l'annualita' 2015, ai sensi dell'art. 243-quater, comma 7 TUEL.
Successivamente, con la citata deliberazione del consiglio
comunale (n. 30 dei 31 maggio 2017), l'ente ha effettuato la
riformulazione/rimodulazione del pregresso piano, ai sensi dell'art.
1, comma 714 legge n. 208/2015, come novellato dell'art. 1, comma
434, della legge n. 232/2016.
Come risulta dagli atti, tale modifica del PRFP mira a
redistribuire nel tempo le seguenti componenti:
l'originario disavanzo da piano di riequilibrio per euro
5.074.673,99 (a scorporo del quale si sono detratte le quote
recuperate nel triennio 2014-2015-2016 per euro 2.844.629,36);
il nuovo e maggior disavanzo accertato dalla Corte dei conti
per euro 4.407.423,87.
La «novita'» di tale ultima quota di disavanzo e' determinata dal
fatto che esso e' emerso successivamente e riguarda passivita'
diverse, non afferenti, cioe', quelle oggetto del PRFP (debiti fuori
bilancio non evidenziati per euro 4.275.874,88), con la conseguenza
che si tratta di un disavanzo «sopravvenuto». Come e' noto, tali
disavanzi sarebbero stati ripianabili alle condizioni nonche' entro i
termini (30 settembre 2016) e l'orizzonte temporale (durata
originaria del piano) concessi con la facolta' legislativa di cui al
comma 714-bis dell'art. 1 della legge n. 208/2015. La medesima
facolta' sarebbe stata quindi esercitabile entro e non oltre il 30
settembre 2016 (cfr. SRC Campania n. 240/2017/PRSP) e non il 30
maggio 2017 (com'e' invece avvenuto nel caso al vaglio della
sezione).
Ad avviso di questa sezione, allo stato degli atti, appare
evidente che la rimodulazione/riformulazione, almeno parzialmente
(ossia con riguardo alla seconda componente di euro 4.407.423,87), e'
illegittima.
Eppur tuttavia, anche a fronte di tale parziale illegittimita',
la sezione deve comunque verificare «preliminarmente» se ed in che
termini la riduzione degli obbiettivi intermedi si giustifica per la
restante quota di euro 5.074.673,99, afferente l'originario
squilibrio oggetto del PRFP e a suo tempo determinato proprio dalla
revisione straordinaria dei residui ai sensi dell'art. 243-bis, comma
8, lettera e) TUEL (cfr. SRC Campania n. 53/2016/PRSP). Tale quota di
disavanzo, stante la vigente formulazione dell'art. 1, comma 714,
legge n. 208/2015, puo' essere ripianata in trent'anni dopo avere
effettuato la corrispondente riformulazione/rimodulazione del PRFP.
La verifica della legittimita' della ridetta modifica del PRFP e'
logicamente preliminare in quanto la rimodulazione/riformulazione ai
sensi dell'art. 1, comma 434, legge n. 232/2016 modifica il quantum
degli «obbiettivi intermedi» e «finali», mediante una loro riduzione,
obbiettivi che costituiscono, per la Corte, il canone concreto di
controllo per tutta la durata del piano di riequilibrio e non
soltanto nella contingenza dell'esercizio in corso.
L'applicazione dell'art. 1, comma 434, legge n. 232/2016 e'
dunque sempre rilevante nel procedimento di controllo sull'attuazione
del PRFP, sia per l'esercizio in corso che per quelli successivi.
Infatti: in caso di conferma della costituzionalita' della norma,
la verifica dell'eventuale «grave e reiterato adempimento» dovra'
tenere conto della parziale correttezza della riduzione degli
obbiettivi intermedi intervenuta per effetto della ridetta
rimodulazione/riformulazione; in caso di illegittimita'
costituzionale della norma medesima, la rimodulazione/riformulazione
sarebbe totalmente irregolare, aggravando il parametro per la
valutazione della «gravita'» dell'inadempimento, nonche' della sua
«reiterazione».
Attiene invece al merito e a questioni logicamente successive la
verifica della congruita' degli accantonamenti unilateralmente
ridotti, a fine 2017, rispetto al maggiore squilibrio accertato dalla
Corte con la decisione n. 3/2017/PRSP (decisione non impugnata)
nonche' la valutazione dell'idoneita' delle manovre triennali di
bilancio a coprire lo squilibrio in modo siffatto riquantificato
(oltre alla questione incidentalmente emersa del non intervenuto
riconoscimento dei debiti fuori bilancio, per la quale occorrera'
verificare l'incidenza sul saldo di finanza pubblica).
Si tratta cioe' di questioni di fatto e di diritto che
presuppongono comunque la risoluzione della questione di
costituzionalita' inerente all'art. 1, comma 434, della legge n.
232/2016, questione che influenza e condiziona l'esito del controllo
effettuato da questa Corte; ragione per cui la questione medesima
risulta «rilevante» ai sensi e per gli effetti degli articoli 23 e 24
della legge n. 87 del 1953.
3. Della non manifesta infondatezza. Cio' detto, la sezione, nel
controllo sull'adempimento degli obbiettivi intermedi e nella
preliminare valutazione della modifica al PRFP, ritiene di non poter
dare applicazione all'art. 1, comma 434 della legge n. 232/2016, in
quanto, come e' noto, un giudice non puo' «ius dicere» in base a
norme della cui costituzionalita' dubita: ove infatti ritenga non
«manifestamente infondata» la questione di legittimita'
costituzionale sorta (articoli 23 e 24 della legge n. 87/1953), egli
deve rimettere alla Consulta la delibazione delle disposizioni
normative rilevanti nel proprio giudizio.
In quest'ottica, nell'ambito dei compiti e delle valutazioni che
la legge e la Costituzione affidano al giudice a quo (Corte
costituzionale, sentenze n. 221/2015, n. 262/2015, n. 45/2016, n.
95/2016, n. 240/2016), questa sezione ritiene altresi' che non sia
possibile dare della disposizione contabile qui «rilevante» una
applicazione «conforme» a Costituzione, attraverso una mera
operazione esegetica (Corte costituzionale, ex plurimis, sentenza n.
356/1996; sentenze n. 219/2008 e n. 1/2013).
Cio' in quanto la formulazione della legge e' chiara e tale per
cui e' incompatibile con la stessa qualsiasi interpretazione diversa
da quella imposta dalla sua lettera, salvo pervenire alla rottura del
testo o soluzioni esegetiche «eccentriche» (Corte costituzionale,
sentenza n. 36/2016).
Infatti, la rimodulazione/riformulazione del PRFP, in base alla
richiamata formulazione letterale, e' consentita nei limiti e alle
seguenti condizioni:
1) che sia stata effettuata la «revisione straordinaria dei
residui» (art. 243-bis, comma 8, lettera e) TUEL), condizione questa,
come e' noto, necessaria per l'accesso al PRFP ed in relazione alla
quale e' emersa una «quota di disavanzo» inglobata nel piano vigente;
2) che tale revisione sia stata effettuata «limitatamente ai
residui antecedenti al 1° gennaio 2015»;
3) che tale revisione sia stata effettuata in epoca
precedente al «riaccertamento straordinario» ai sensi dell'art. 3,
comma 16, del decreto legislativo n. 118/2011.
In presenza delle surrichiamate condizioni, la legge da' facolta'
di rimodulare e riformulare il PRFP, procedendo al ripiano
trentennale, expressis verbis, di «tale quota» (ossia quella
riveniente dalla «revisione straordinaria dei residui» ai sensi
dell'art. 243-bis, comma 8, lettera e) TUEL).
Non appare dunque possibile dare un'interpretazione diversa ne'
ricondurre il ripiano trentennale alla stessa logica contabile del
«riaccertamento straordinario» (art. 3, comma 16, del decreto
legislativo n. 118/2011), come era invece prima nella precedente
formulazione dell'art. 1, comma 714, della legge n. 208/2015.
Il ripiano trentennale del decreto ministeriale 2 aprile 2015, a
suo tempo, appunto, previsto per il «riaccertamento straordinario» ed
il connesso «extra-deficit», e' qui invece applicato per squilibri
determinati dal difetto di copertura di spese a fronte di crediti
gia' inesigibili secondo la vecchia contabilita', senza che, come
accadeva nell'art. 3, comma 16 del decreto legislativo n. 118/2011,
cio' sia associato ad altri eventi straordinari ed eccezionali.
Nell'attuale formulazione della legge, la sezione regionale, in
sede di controllo, puo' solo prendere atto di quanta parte
dell'obiettivo di riequilibrio e' scaturito, a suo tempo, dal
risultato negativo della gestione residui (cioe' quello determinato
dalla «revisione straordinaria» ai sensi dell'art. 243-bis, comma 8,
lettera e) TUEL, e correlativamente ritenere conforme a legge il
ripiano di «tale quota» con le modalita' previste in origine per il
«maggiore disavanzo», ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile
2015, scaturito dal c.d. «riaccertamento straordinario» ai sensi
dell'art. 3, comma 4, del decreto legislativo n. 118/2011.
Al termine di tale operazione, si delineano per l'originario PRFP
due diversi orizzonti temporali, quello originario, e quello
trentennale (per la quota ascrivibile alla revisione straordinaria ai
sensi dell'art. 243-bis, comma 8, lettera e) TUEL che, nella pratica,
come nel caso di specie, costituisce la fonte principale di
squilibrio nella finanza degli enti locali e l'«oggetto» del PRFP).
Infatti, la rimodulazione/riformulazione in tal guisa effettuata
determina l'attrazione, fuori dal perimetro del PRFP e dalla sua
durata originaria, di una parte del suo obiettivo di riequilibrio,
che viene ora ri planato con le stesse modalita' del c.d.
extra-deficit (art. 3, comma 16, decreto legislativo n. 118/2011), in
un arco temporale di trent'anni, senza che vi sia una esigenza
sistemica che giustifichi una riduzione degli oneri dei ripiano.
L'effetto finale e' solo la riduzione della quota di disavanzo
complessivo a diverso titolo applicabile su ogni annualita' di
bilancio, allargando la capacita' di spesa degli enti, senza questa
abbia un'idonea copertura.
Non e' quindi possibile dare della norma di cui si fa questione
un'interpretazione diversa e comunque conforme all'«art. 81 Cost. e
con gli altri precetti finanziarl di rango costituzionale» (sentenza.
n. 274/2017, paragrafo 4.4) come gia' operato in altri casi da questa
sezione (SRC Campania n. 1/2017/PRSP e sul comma 435 della stessa
legge, SCR Campania n. 219/2017/PRSP).
Gli enti locali, di tal guisa, accedono ad una disciplina di
ripiano che vanifica la dimensione temporale del bilancio e la
necessita' che entro tale orizzonte questo sia ripristinato in
equilibrio. Tale norma deroga altresi' alla disciplina, gia'
straordinaria, per il ripiano pluriennale, prevista dal TUEL (art.
243-bis e seguenti; articoli 244 e seguenti) in caso di crisi
strutturale della finanza degli enti locali.
Di conseguenza, la disciplina dell'art. 1, comma 434 della legge
n. 232/2016 consente di rompere gli ordinari argini temporali del
bilancio e quelli, gia' ampi, previsti per il suo riequilibrio in
caso di crisi strutturale, senza che cio' corrisponda al
perseguimento di finalita' costituzionali compatibili col precetto
dell'equilibrio.
A differenza del caso previsto dall'art. 3, comma 16, del decreto
legislativo n. 118/2011, la modalita' di ripiano trentennale non e'
infatti collegata al mutamento del paradigma contabile, bensi' a
squilibri determinati dall'emersione di crediti considerabili
«inesigibili» gia' in base alla vecchia disciplina contabile
(disciplinata dal testo previgente del TUEL e dal soft law costituito
dai principi elaborati dall'osservatorio ex art. 154 TUEL).
Si rammenta che la valutazione di esigibilita' di una posta
(rilevante per il FCDE e il riaccertamento ordinario), segnatamente
di un credito, attiene non solo alla sussistenza o permanenza del
titolo, ma anche alla capacita' del debitore di adempiere
regolarmente le proprie obbligazioni, grazie alla liquidita' del
proprio patrimonio e la manifestata collaborazione all'adempimento
dell'obbligazione.
Va dunque distinta la nozione di esigibilita' «sostanziale» da
quella «in senso giuridico», assunta a riferimento dai principi
contabili applicati per definire la competenza finanziaria potenziata
e l'imputabilita' a bilancio. L'esigibilita' giuridica, infatti,
attiene ad un elemento accidentale del titolo dell'obbligazione
finanziaria sottostante, in particolare, l'assenza di termini o
condizioni, sia per lato attivo che passivo (cfr. decreto legislativo
n. 118/2011, allegato 4/2, paragrafo 2, ultimo capoverso).
Pertanto, secondo il collegio, si palesa una possibile violazione
del precetto dell'equilibrio di bilancio, la cui garanzia e'
assicurabile solo a mezzo di un'eventuale dichiarazione di
illegittimita' costituzionale, ed eccede le potenzialita'
dell'esegesi di questa sezione.
Nel rinviare, per il dettaglio delle rimesse censure di
costituzionalita', a quanto segue - in estrema sintesi si evidenzia
che, ad avviso di questa sezione, la citata disposizione normativa
viola:
in primo luogo, gli articoli 81 e 97, comma 1 Cost., in
combinato disposto con gli articoli 2, 3, 1 e 41 Cost. La norma in
oggetto consente cioe' che uno squilibrio effettivo ed avente
fondamento nella mancanza di risorse (ossia quello derivante dalla
revisione straordinaria dell'art. 243-bis, comma 8, lettera e) TUEL),
possa essere ripianato in un orizzonte temporale grandemente dilatato
rispetto alla disciplina prevista per la crisi - ordinaria e
straordinaria - della finanza locale (rispettivamente articoli 162,
188, 193 e 194 per la crisi ordinaria; per la crisi straordinaria
cfr, l'art. 243-bis per il c.d. «predissesto» e l'art. 265 TUEL per
il caso di dissesto), in deroga alla regola di legge normalmente
applicabile, in assenza di qualsivoglia giustificazione
costituzionale;
in secondo luogo, gli articoli 24 e 117, comma 1 Cost., per
violazione del parametro interposto dell'art. 1, protocollo 1,
nonche' gli articoli 6 e 13 CEDU. Infatti, tale facolta' di modifica
del PREP, inserita peraltro in un quadro di costante instabilita'
legislativa della disciplina del ripiano pluriennale, determina una
situazione di incertezza del diritto, in grado di compromettere la
tutela del patrimonio dei creditori e delle loro ragioni di credito.
3.1. Violazione degli articoli 97 e 81 codificanti la
«clausola generale» dell'equilibrio di bilancio, in combinato
disposto con gli articoli 2, 3 e 1 Cost. Venendo ora alla trattazione
in dettaglio dei ravvisati motivi di contrasto, la sezione ravvisa a
carico della surrichiamata disposizione, in primo luogo, la
violazione degli articoli 97 e 81 codificanti la «clausola generale»
dell'equilibrio di bilancio, in combinato disposto con gli articoli
2, 3 e 1 Cost.
Sul punto, va in primo luogo ricordato, in linea generale, che la
Corte costituzionale, a seguito della legge costituzionale n. 1 del
2012, ha dato ricorrentemente forza al precetto dell'equilibrio (gia'
declinato quale «equilibrio tendenziale»: cfr. ex plurimis sentenza
n. 213/2008), arricchendo la sua fattispecie e trasformandolo in una
«clausola generale», «in grado di operare pure in assenza di norme
interposte» (Corte cost., sentenza n. 192/2012).
Costituendo tale precetto una clausola generale (cioe' una norma
la cui fattispecie rinvia, tramite concetti indeterminati, a regole
anche esterne all'ordinamento giuridico, garantendo porosita' e
circolarita' dello stesso con la realta' regolata) e non un semplice
principio, invoca di per se' una «disciplina di salvaguardia» (un
rimedio), con cio' intendendosi il sistema di prescrizioni in virtu'
delle quali la disciplina statale che regola il bilancio di regioni
ed enti locali stabilisce le modalita' di recupero effettivo e
sostenibile dei suoi squilibri nonche' le prescrizioni in caso di
mancato riequilibrio (sentenza n. 228/2017).
La disciplina di salvaguardia, infatti, si pone come
costituzionalmente necessaria e legittima anche interventi
sostitutivi del legislatore regionale (Corte cost., sentenza n.
107/2016).
Tale nuova prospettiva ha legittimato discipline di legge
ordinaria implementanti tali sistemi nei confronti delle autonomie
costituzionali (cfr. Corte cost., sentenze n. 40/2014 e n. 228/2017)
ovvero ha esposto a incostituzionalita' leggi statali e regionali che
contrastano con il precetto e con le altre finalita' costituzionali
cui esso e' strumentale (sentenze n. 181/2015 e n. 247/2017). La
Corte costituzionale, infatti, in proposito ha avvertito che «non
potrebbe ritenersi consentito un abuso della «tecnicita' contabile»
finalizzato a creare indiretti effetti novativi sulla disciplina
specificativa dei principi costituzionali di natura finanziaria e di
quelli ad essi legati da un rapporto di interdipendenza» (sentenza n.
247/2017, punto 10 in diritto).
Invero, «nel sindacato di costituzionalita' copertura finanziaria
ed equilibrio integrano una clausola generale in grado di operare
pure in assenza di norme interposte quando l'antinomia [con le
disposizioni impugnate] coinvolga direttamente il precetto
costituzionale: infatti «la forza espansiva dell'art. 81, quarto
[oggi terzo] comma, Cost., presidio degli equilibri di finanza
pubblica, si sostanzia in una vera e propria clausola generale in
grado di colpire tutti gli enunciati normativi causa di effetti
perturbanti la sana gestione finanziaria e contabile (sentenza n. 192
del 2012)» (Corte costituzionale, sentenza n. 184/2016).
Tanto premesso in punto di natura e struttura della norma, sul
piano dei contenuti (fattispecie ed effetti del precetto), il giudice
delle leggi ha fornito numerose indicazioni, onde evitare che il
legittimo intervento bilanciativo del legislatore ordinario possa, di
fatto, svuotare e rendere ineffettivo il precetto costituzionale in
parola. Quest'ultimo, per effetto di tali indicazioni, risulta
articolarsi su due principali coordinate, l'una quantitativa,
afferente la proporzione della spesa con le risorse economiche,
finanziarie e patrimoniali disponibili, e l'altra temporale,
coincidente con l'orizzonte cronologico del bilancio, entro il quale
devono essere corretti gli eventuali squilibri emersi. Tali
coordinate (quantitativa e temporale) devono sussistere anche sul
piano della disciplina «rimediale» per «salvaguardia» del bilancio e
dei suoi equilibri.
Piu' specificamente, sul piano quantitativo il precetto
dell'equilibrio costituisce lo svolgimento dell'obbligo di copertura
finanziaria al tempo gia' previsto dalla vecchia formulazione
dell'art. 81 (al comma terzo).
Infatti, «copertura economica delle spese ed equilibrio del
bilancio sono due facce della stessa medaglia, dal momento che
l'equilibrio presuppone che ogni intervento programmato sia sorretto
dalla previa individuazione delle pertinenti risorse» (Corte cost.,
sentenza n. 274/2017, punto 4 in diritto). A differenza dell'obbligo
di copertura, pero', nel sistema della legge costituzionale n.
1/2012, l'equilibrio non opera marginalmente, a fronte dell'aumento o
diminuzione delle risorse (cioe' sugli incrementi di spesa e sulle
riduzioni di entrate), bensi' a livello complessivo, sull'intero
bilancio attraverso i saldi tra entrate e spese, tra costi e ricavi.
Ed in particolare, esso opera sul principale saldo della contabilita'
finanziaria, ovvero sul risultato di amministrazione.
In ragione di cio', l'equilibrio prescrive che le risorse
economiche, finanziare e patrimoniali siano sufficienti e
proporzionate in modo da potere sostenere integralmente le spese e i
costi di gestione.
Sul piano temporale, la Corte costituzionale ha qualificato il
precetto de quo in termini dinamici o tendenziali, ossia come
«ricerca di un armonico e simmetrico bilanciamento tra risorse
disponibili e spese necessarie per il perseguimento delle finalita'
pubbliche» (sentenza n. 250/2013), tale da imporre
«all'amministrazione un impegno non circoscritto al solo momento
dell'approvazione del bilancio, ma esteso o tutte le situazioni in
cui tale equilibrio venga a mancare per eventi sopravvenuti o per
difetto genetico conseguente all'impostazione della stessa legge di
bilancio» (ibidem).
L'orizzonte temporale della salvaguardia e' naturalmente quello
del medesimo bilancio, in corso o immediatamente successivo;
conseguentemente, nella disciplina vigente degli enti territoriali,
l'orizzonte e' quello triennale (articoli 162, 188, 193 e 194 TUEL).
La Corte costituzionale ha infatti ricordato che per porre rimedio a
situazioni di conflitto tra gestione ed equilibrio di bilancio, lo
strumento e' quello «dell'adozione di appropriate variazioni del
bilancio di previsione» (sentenza n. 250/2013) ovvero del recupero
dello squilibrio (il quale deve essere certificato in sede consuntiva
tramite il risultato di amministrazione) attraverso i bilanci di
previsione immediatamente successivi; cio' in considerazione del
principio della continuita' di bilancio e degli esercizi finanziari
(sentenza n. 274/2017). Il principio della continuita', infatti, e'
«essenziale per garantire nel tempo l'equilibrio economico,
finanziario e patrimoniale» (cfr. sul punto Corte costituzionale,
sentenza n. 155/2015).
Quanto sin qui rilevato risponde ad una precisa logica di sistema
in cui il bilancio si configura come un bene giuridico «pubblico»
(Corte cost., sentenze n. 184/2016, n. 228/2017 e n. 247/2017),
costituzionalmente tutelato (articoli 81 e 97 Cost.), di cui occorre
preservare effettivita' e funzionalita' tramite il suo equilibrio.
Il precetto dell'equilibrio, infatti, presidia fondamentali
valori costituzionali, espressi dagli articoli 3, 2 e 1 Cost., che
del medesimo precetto costituiscono la ratio.
Se da un lato, rispettare l'equilibrio di bilancio significa
supportare con risorse effettive le politiche pubbliche
democraticamente determinate, parallelamente, questo significa
realizzare le condizioni affinche' la Repubblica possa rimuovere «gli
ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la
liberta' e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana», realizzando l'uguaglianza sostanziale dei
cittadini (art. 3, comma 2, Cost.: cfr. sentenze Corte cost. n.
10/2016 e n. 70/2015).
Tale uguaglianza, tra l'altro, proprio grazie allo strutturale
carattere temporale del bilancio, deve realizzarsi anche in chiave
trans-generazionale. Poiche' l'equilibrio «economico, finanziario e
patrimoniale» deve essere realizzato «nel tempo» - attesa la gia'
richiamata continuita' degli esercizi finanziari e del bilancio (cfr.
Corte cost., sentenza n. 155/2015 cit.) - esso costituisce un dovere
di «solidarieta' politica, economica e sociale» delle generazioni
presenti con quelle future (art. 2 Cost.).
Inoltre, il precetto di equilibrio, riguardato sotto il profilo
della «salvaguardia di bilancio», costituisce uno strumento di
verifica e misurazione della responsabilita' dei soggetti investiti
di cariche pubbliche: la violazione dell'equilibrio, infatti, attiva
un sistema di responsabilita' giuridiche e politiche, attraverso cui
il principio della legittimazione democratica delle istituzioni si
rende effettivo (art. 1 Cost.).
Come evidenziato dal giudice delle leggi nella sentenza n.
228/2017, gia' precedentemente citata, la disciplina di salvaguardia
si pone come «strumentale all'effettivita' di adempimenti primari del
mandato elettorale [e] indissolubilmente legat[a] alla cura dei
sottesi interessi finanziari. [Tale disciplina] si ricollega [...] a
un'esigenza sistemica unitaria dell'ordinamento, secondo cui sia la
mancata approvazione dei bilanci, sia l'incuria del loro squilibrio
strutturale interrompono - in virtu' di una presunzione assoluta - il
legame fiduciario che caratterizza il mandato elettorale e la
rappresentanza democratica degli eletti».
Per tale intrinseca razionalita', la disciplina della
contabilita' pubblica, laddove richieda anche complessi elaborati e
allegati, deve trovare nel risultato di amministrazione un veicolo
trasparente e univoco di rappresentazione degli equilibri nel tempo
(Corte cost., sentenza n. 274/2017, punto 4 in diritto).
3.1.1. La strumentalita' dell'equilibrio ad altri precetti e valori
costituzionali, da un lato, riempie di contenuto assiologico il
principio del «buon andamento» (art. 97, comma 1 Cost.), dall'altro
gli conferisce una flessibilita' applicativa che non consente di
assimilare equilibrio e pareggio aritmetico.
Occorre infatti assicurare, in ogni caso, effettivita' ed
efficacia dell'azione amministrativa, nella considerazione che gli
enti pubblici e la continuita' di servizi e funzioni sono necessari e
non e' possibile l'espulsione dal sistema dagli stessi alla stregua
delle imprese dal mercato.
Cosicche' l'equilibrio di bilancio, famulativo e allo stesso
tempo qualificativo del buon andamento, costituisce lo strumento per
assicurare:
la continuita' dell'amministrazione e della Repubblica (cfr.
Corte cost., sentenze n. 49/1976 e n. 104/2017 per la continuita'
degli uffici, nonche' sentenze n. 188/2015, n. 10/2016 e n. 107/2016
per la continuita' dei servizi essenziali);
l'efficacia delle politiche pubbliche, anche con riguardo a
specifiche finalita' di legge (sentenza n. 70/2012);
l'effettivita' dei LEP. Esso e' essenziale per l'uguaglianza
dei cittadini nel godimento dei livelli essenziali delle prestazioni
(art. 3, comma 2 Cost.). La Repubblica, infatti, nelle sue varie
articolazioni (art. 114 Cost.) non puo' sottrarsi per ragioni
finanziarie all'erogazione di prestazioni che sono costituzionalmente
necessarie (le funzioni fondamentali dell'ordinamento, tra cui quelle
di sicurezza e governo del territorio, e i «livelli essenziali delle
prestazioni» concernenti i diritti civili e sociali ai sensi degli
articoli 117, secondo comma, lettera m) e 120, secondo comma Cost.).
E', infatti, «la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul
bilancio, e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa
erogazione» (Corte costituzionale, sentenza n. 275/2016).
In virtu' della sopra evidenziata ratio, infatti, in caso di
crisi della finanza territoriale, ove «i disavanzi emersi non possano
essere riassorbiti in un solo ciclo di bilancio», la Corte
costituzionale ha ritenuto «inevitabili», «misure di piu' ampio
respiro temporale. Cio' anche al fine di assicurare lo svolgimento
delle funzioni della regione in ossequio al "principio di continuita'
dei servizi di rilevanza sociale [affidati all'ente territoriale, che
deve essere] salvaguardato" (sentenza n. 10 del 2016)» (sentenza n.
107/2016).
A questa logica rispondono le norme del Piano di riequilibrio
pluriennale (articoli 243-bis e seguenti) e del dissesto (articoli
244 e seguenti TUEL) che, in caso di crisi «strutturale» della
finanza dell'ente locale, gia' definiscono piu' ampi orizzonti per il
rientro da situazioni di squilibrio.
Per altro verso, non si nega che il «buon andamento» possa
giustificare la disciplina del ripiano trentennale prevista dal
decreto legislativo, n. 118/2011, in connessione al passaggio alla
nuova disciplina contabile e al c.d. «riaccertamento straordinario»
(«disavanzo tecnico» ai sensi dell'art. 3, comma 13 del decreto
legislativo n. 118/2011 «maggiore disavanzo», ai sensi dell'art. 3,
comma 16, del decreto legislativo n. 118/2011): cfr. Corte cost.
sentenza n. 107/2016. Infatti, il principio di prudenza di cui il
Fondo crediti di dubbia esigibilita' (FCDE) ed il Fondo rischi (FR)
sono espressione potrebbe portare a svalutare alla stregua di crediti
di dubbia esigibilita' (FCDE) crediti che in concreto, invece, sono
dotati di un «nomen bonum» (si pensi a crediti per cui sono stati
effettuati regolari atti interruttivi concernenti aziende debitrici
in bonis e con cui e' stato raggiunto un accordo transattivo
regolarmente evaso alle scadenze stabilite o ad un consistente
credito tributario verso una multinazionale altamente solvibile che
si e' insediata improvvisamente in un territorio storicamente
depresso e con una bassa riscossione volontaria e coattiva) oppure a
considerare come attuali, sia pure in percentuale, passivita' che
invece hanno caratteristiche solo potenziali e pertanto potrebbero
non realizzarsi (FR).
Nella stessa ottica, deve essere assicurato lo svolgimento
effettivo di funzioni attribuite (Corte cost., sentenze n. 115/2015,
n. 10/2016, nonche' n. 280/2016), pertanto la politica dei
trasferimenti o dei tagli deve rispondere a proporzionalita' e
ragionevolezza, onde evitare che gli enti siano costretti a
continuare ad erogare servizi e a svolgere funzioni in assenza di
risorse.
In definitiva, in virtu' del combinato disposto di parametri
costituzionali degli articoli 97, 81, 3, 2, 1, ogni politica non puo'
che essere «bilanciata» secondo un principio di diretta proporzione
con le risorse disponibili, perche' solo in questo modo e' possibile
l'effettivita' delle scelte allocative, tanto per quelle
discrezionali, che per quelle obbligatorie concernenti diritti
incomprimibili (Corte cost., sentenza n. 275/2016) e le funzioni
effettivamente esercitate ed attribuite (Corte cost., sentenze n.
115/2015, n. 10/2016, nonche' n. 280/2016).
Per converso, ogni scelta allocativa, ove risultasse non sorretta
da una risorsa, finanziaria, economica, patrimoniale, a monte, in
grado di renderla effettiva e reale, impone misure di salvaguardia
che devono realizzarsi entro l'orizzonte temporale del bilancio
medesimo, orizzonte che il legislatore puo' estendere, secondo
ragionevolezza, effettuando un bilanciamento con la sopra evidenziata
ratio del precetto dell'equilibrio e con i principi costituzionali
cui questo e' strumentale.
3.1.2. Ed infatti il giudice delle leggi ha evidenziato la
problematicita' di soluzioni normative continuamente mutevoli che
prescrivono il riassorbimento dei disavanzi in archi temporali molto
vasti, oltre l'orizzonte del bilancio (cfr. sentenze n. 279/2016, n.
6/2017 e n. 107/2016 e da ultimo la sentenza n. 274/2017), sebbene
non abbia escluso la possibilita' di un «eccezionale misura
legislativa [per far fronte al]l'esigenza dello Stato di fronteggiare
un problema non circoscritto [al singolo ente]. L'indirizzo della
subentrata legislazione [...] prende in sostanza le mosse dal
presupposto che in una fase di complesse operazioni di riaccertamento
dei residui finalizzate a far emergere la reale situazione
finanziaria [degli enti], i disavanzi emersi non possano essere
riassorbiti in un solo ciclo di bilancio ma richiedano
inevitabilmente misure di piu' ampio respiro temporale» (sentenza n.
107/2016).
Pertanto, al di fuori di un contesto giustificativo compatibile
con i precetti costituzionali sopra richiamati, la copertura di
disavanzi con regole straordinarie quanto ai tempi di rientro
«diventerebbe un veicolo per un indebito allargamento - in contrasto
con l'art. 81 Cost. - della spesa di enti gia' gravati dal ripiano
pluriennale di disavanzi di amministrazione pregressi (in tal senso,
sentenza n. 279/2016). In quanto eccezione al principio generale
dell'equilibrio del bilancio»; infatti, la disciplina straordinaria
per il ripiano di tali disavanzi «e' comunque di stretta
interpretazione e deve essere circoscritta alla sola irripetibile
ipotesi normativa del riaccertamento straordinario dei residui
nell'ambito della prima applicazione del principio della competenza
finanziaria potenziata, in ragione delle particolari contingenze che
hanno caratterizzato la situazione di alcuni enti territoriali»
(sentenza n. 6/2017).
La costituzionalita' di siffatte norme eccezionali, dunque,
dipende dalla ragionevolezza del bilanciamento tra l'esigenza di
assicurare il riequilibrio entro l'orizzonte temporale del bilancio e
la ratio del precetto dell'equilibrio medesimo, in connessione con i
precetti costituzionali cui e' strumentale.
Tale ragionevolezza non sussiste, ad avviso della sezione, con
riguardo al ripiano trentennale previsto per la
rimodulazione/riformulazione di cui all'art. 1, comma 434, della
legge n. 232/2016 (novellante l'art. 1, comma 714 della legge n.
208/2015).
Cio' in quanto l'attuale formulazione dell'art. 1 del comma 714
della legge n. 208/2015 (legge di stabilita' 2016), come novellato
dall'art. 1, comma 434, della legge n. 232 del 2016, per un verso, ha
lasciato immutato il presupposto (ovvero, l'adozione e approvazione
del PRFP in data anteriore al riaccertamento straordinario); per
altro verso ha individuato la quota ripianabile con quella derivante
dallo stralcio dei residui ineffettivi (revisione al sensi dell'art.
243-bis, comma 8, lettera e) TUEL) in data anteriore allo stesso,
senza alcuna connessione con la logica sottostante al riaccertamento
straordinario.
Segnatamente, oggetto del ripiano trentennale dell'art. 1, comma
434, della legge n. 232 del 2016:
a) non e' piu' il «maggiore disavanzo» prodotto dal passaggio
alla nuova contabilita' armonizzata, a fronte di istituti innovativi
quale la competenza finanziaria rinforzata, il FCDE o il FR (art. 3,
comma 16 del decreto legislativo n. 118/2011 e correlato decreto
ministeriale 2 aprile 2015). Si rammenta, che proprio nell'ottica di
evitare abusi del riaccertamento straordinario, la giurisprudenza
contabile ha dato dell'art. 3, comma 16 del decreto legislativo n.
118/2011, nonche' del connesso decreto ministeriale 2 aprile 2015,
una interpretazione costituzionalmente conforme, sancendo la non
assorbibilita' nel ripiano trentennale di disavanzi anteriori e non
aventi causa nel mutamento del paradigma contabile (cfr. SRC Campania
n. 196/2015/PRSP, n. 250/2015/PRSP, n. 228/2015/PRSP, n.
217/2015/PRSP, n. 196/2015/PRSP, n. 162/2015/PRSP; SRC Marche n.
100/2016/PRSP; sezione autonomie n. 31/2016/FRG). Si pone in rilevo
come di tale interpretazione il legislatore prenda indirettamente
atto con un recente intervento legislativo (art. 1, comma 848, della
legge n. 205/2017). Per altro verso, il ripiano trentennale si
giustifica costituzionalmente proprio (e solo) in ragione del
mutamento del paradigma contabile avvenuto con il decreto legislativo
n. 118/2011: la crescita esponenziale dei disavanzi, collegati a tale
piu' trasparente e prudenziale contabilita', ha condotto infatti il
legislatore ad ammettere un eccezionale sistema di ripiano su un
largo lasso temporale (trenta anni, art. 3, comma 16, del decreto
legislativo n. 118/2011), per evitare che il nuovo standard di
prudenza, corollario del principio dell'equilibrio di bilancio, sia,
da un lato eccessivamente rigoroso rispetto allo scopo costituzionale
del legislatore (art. 81 Cost.), per altro verso, sia di ostacolo
all'erogazione di prestazioni costituzionalmente necessarie (art.
117, comma secondo, lettera m) a causa del repentino mutamento di
standard contabile;
b) non e' nemmeno la parte dell'obiettivo di riequilibrio
quantificato con l'originario PRFP, il quale e' stato assorbito negli
stessi nuovi istituti contabili dell'armonizzazione sopra citati
(FCDE e/o FR) come era nella logica dell'art. 1, comma 714, della
legge n. 208/2015, nella sua originaria formulazione. Con tale norma,
come e' stato evidenziato (SRC Campania n. 240/2017/PRSP), il
legislatore aveva inteso superare una discriminazione occorsa tra gli
enti che avevano adottato il piano di riequilibrio prima e quelli che
avevano effettuato tale scelta dopo il riaccertamento straordinario,
sotto l'egida del decreto legislativo n. 126/2014 (decreto che ha
introdotto il ripiano trentennale del «maggiore disavanzo» di cui
sopra, disavanzo generato con il riaccertamento straordinario di cui
di cui all'art. 3, comma 16 del decreto legislativo n. 118/2011). La
precedente formulazione dell'art. 1, comma 714 della legge n.
208/2015, quindi, consentiva agli enti locali che non si erano
avvantaggiati del ripiano trentennale prima di quantificare
l'obiettivo di ripiano del PRFP, di ridurre gli obbiettivi intermedi
e finali di quest'ultimo nella misura in cui fosse dimostrabile che
una parte delle passivita' che ne erano state fatte oggetto fossero
state «assorbite» dentro i nuovi istituti prudenziali generanti il
c.d. «maggiore disavanzo» (art. 3, comma 16, decreto legislativo n.
118/2011 e art. 1 del decreto ministeriale 2 aprile 2015).
La riduzione doveva essere dunque contabilmente giustificata ed
essere sottoposta al vaglio in sede di controllo da parte della Corte
dei conti (art. 243-quater, comma 7 TUEL);
c) nella vigente formulazione dell'art. 1, comma 714, della
legge n. 208/2015 (oggetto del ripiano) e' invece la quota di
disavanzo che deriva dall'accertata inesigibilita' di residui attivi
emersa in sede di revisione straordinaria ai sensi dell'art. 243-bis,
comma 8, lettera e) TUEL. Si tratta cioe' di squilibri e disavanzi
gia' tali secondo la vecchia disciplina contabile.
L'art. 1, comma 434 della legge n. 232/2016, dunque, sebbene
preveda che la prefata «revisione straordinaria» debba risalire a
data anteriore al «riaccertamento straordinario» (art. 3, comma 16,
del decreto legislativo n. 118/2011) e che le modalita' di ripiano
siano proprio quelle previste per quest'ultimo (decreto ministeriale
2 aprile 2015), spezza il rapporto causale tra ripiano trentennale e
mutamento del paradigma contabile (che invece era ancora presente
nella precedente versione dell'art. 1, comma 714, legge n. 208/2015).
Pertanto, con la nuova formulazione, il riaccertamento
straordinario non e' piu' causa, ma solo «occasione» del ripiano
trentennale; infatti, la Corte dei conti non deve piu' verificare che
tutto o parte del «maggiore disavanzo» ai sensi dell'art. 3, comma 16
del decreto legislativo n. 118/2011, sia generato dagli stessi
fenomeni di squilibrio gia' fatti oggetto dei PRFP, ma deve prendere
atto della semplice ascrivibilita' del disavanzo rimodulato alla
revisione straordinaria effettuata ai sensi dell'art. 243-bis, comma
8, lettera e), che, come si e' visto, attiene a squilibri gia'
sussistenti secondo il precedente paradigma contabile.
Non si puo' infatti sostenere che tutti i crediti in questione
sono stati comunque iscritti nel Fondo crediti di dubbia esigibilita'
(FCDE), proprio perche' stralciati prima del riaccertamento
straordinario.
Ne', tantomeno, si puo' presumere, virtualmente, che se le
valutazioni sui residui, effettuate con la revisione di cui all'art.
243-bis, comma 8, lettera e) TUEL, fossero state fatte nell'ambito
del riaccertamento straordinario, questo avrebbe portato alla
formazione di un corrispondente FCDE (generante un disavanzo
ripianabile in trent'anni).
Infatti, questo presupporrebbe che il legislatore avesse lasciato
intatto il potere della sezione di controllo di verificare in
concreto la causa dello stralcio (credito ormai inesigibile o solo di
dubbia esigibilita', per i quali la nuova contabilita' prevede solo
un accantonamento a FCDE e non lo stralcio). Invece, la legge, con
una sorta di presunzione assoluta, fornisce un mero criterio
quantitativo per l'accesso al ripiano trentennale a suo tempo
prevista dall'art. 3, comma 16, del decreto legislativo n. 118/2011,
lo si sottolinea ancora una volta, in relazione alla novita'
straordinaria degli istituti prudenziali del FCDE e FR.
Il ripiano viene qui invece associato all'integralita' degli
stralci effettuati con la revisione ex art. 243-bis, comma 8, lettera
e) TUEL, quindi anche per crediti ineffettivi ed inesigibili, ossia
privi del titolo per il mantenimento in bilancio sia nella nuova che
nella vecchia contabilita'. La formulazione letterale della legge non
lascia spazio al sindacato al giudice del bilancio, che avrebbe
potuto effettuare tale discernimento a tutela degli equilibri di
bilancio.
L'evidenziata frattura della relazione diretta causale tra
presupposto (riaccertamento straordinario e nuova definizione degli
equilibri in base ad un nuovo paradigma contabile) e accesso al
ripiano trentennale, rende pertanto la norma in parola
costituzionalmente irragionevole alla stregua dei parametri evocati.
Il riaccertamento straordinario, per gli enti che fanno ricorso
alla rimodulazione/riformulazione in parola, diventa, dunque, solo un
mezzo per ampliare la capacita' di spesa, la cui espansione non puo'
essere ammessa in condizioni di disavanzo. Cio' pur trattandosi di
enti in condizione di conclamato squilibrio strutturale, a
prescindere da ogni valutazione sulla necessita' di tale dilatazione
per garantire la continuita' amministrativa dell'ente, come invece
avviene nella piu' recente formulazione dell'art. 243-bis, comma 5
TUEL, novellato dall'art. 1, comma 888, legge n. 205 del 2017 (legge
di bilancio 2018, dove la durata del PRFP, oggi espandibile fino a
venti anni, e' agganciata ad un criterio oggettivo di sostenibilita'
dato dal rapporto tra passivita' ed impegni).
Una dilatazione non giustificata dell'orizzonte temporale del
ripiano rende l'equilibrio di bilancio e il precetto dell'equilibrio
un mero flatus vocis, volto a porre rimedio a forme episodiche di
disavanzo, connesse ad inefficienze di gestioni concrete (Corte
cost., sentenza n. 6/2017), e non, invece, ad esigenze del sistema
della finanza pubblica allargata.
In proposito si rammenta che la Corte costituzionale (sentenza n.
107/2016), ha affermato che l'ampliamento dell'orizzonte temporale
per il ripiano puo' ammettersi In ragione di eventi contabili che
facciano emergere un disavanzo che puo' essere ritenuto
«straordinario» nelle sue cause e nelle sue dimensioni e che deve,
quindi, essere fronteggiato normativamente in modo da consentire agli
enti di recuperare le coperture in un arco di tempo che sia
ragionevole e compatibile con la capacita' di reperire le risorse
mancanti e necessarie ad erogare le su richiamate prestazioni
costituzionalmente imprescindibili. Per contro, la facolta' dell'art.
1, comma 434, legge n. 232/2016 non appare rispondere a nessuna
esigenza sistemica della finanza pubblica, quanto piuttosto a quelle
contingenti di taluni enti di accedere ad un minore rigore
finanziario.
Ne' si puo' ritenere che tale ampliamento sia giustificato o
giustificabile per l'esigenza di evitare il dissesto, che non e' una
misura penalizzante per l'ente, ma solo una diversa procedura di
riequilibrio.
Il dissesto, infatti, ha, nel sistema vigente, una funzione sua
propria ed essenziale, non realizzabile col PRFP. In caso di sua
attivazione il riequilibrio interviene in un tempo piu' breve (cinque
anni, ai sensi dell'art. 265, comma 1 TUEL), mentre si provvede al
ripiano tramite una gestione separata, facendo leva, da un lato,
sulla riduzione concorsuale e consensuale delle passivita' nei
confronti dei creditori (articoli 256-258 TUEL) e, dall'altro, sulla
valorizzazione della massa attiva (art. 255 TUEL).
Dunque, esso costituisce uno strumento di cui il legislatore
prevede la necessaria attivazione quando le vicende del singolo ente
(l'accertata incapacita' di adottare tempestivamente un PRFP congruo)
e la gravita' dello squilibrio rendono necessario addivenire al
risanamento sacrificando - parzialmente - il principio di
universalita' di bilancio. Solo in questo l'ordinamento «preferisce»
la procedura di «predissesto», ai sensi degli articoli 243-bis TUEL e
seguenti, al dissesto ai sensi degli articoli 244 e seguenti TUEL, in
quanto la procedura pluriennale consente il riequilibrio
«consolidato» delle finanze dell'ente, senza il rischio di
occultamento di scompensi in gestioni separate di bilancio.
In definitiva, la disciplina introdotta dall'art. 1, comma 434,
della legge n. 232 del 2016 non ha altra finalita' e giustificazione
se non quella di consentire di spalmare disavanzi effettivi, gia'
presenti in epoca precedente al riaccertamento straordinario e al di
fuori di una disamina delle ragioni della eliminazione delle partite
dei vari residui, in un orizzonte temporale di trenta anni.
Ad avviso della sezione cio' risulta incompatibile con una
gestione di bilancio equilibrata, in quanto ha l'esclusivo scopo di
spostare su generazioni successive il peso finanziario di una
gestione priva di coperture, in danno del principio di cui agli
articoli 97, 81, 3 e 2 Cost., sottraendo gli amministratori al vaglio
della loro responsabilita' politica e amministrativa (art. 1 Cost.).
3.2. Violazione del precetto dell'equilibrio ai sensi del
combinato disposto degli articoli 97, 81 e 41 Cost. La sezione
ravvisa altresi', a carico della surrichiamata disposizione (art. 1,
comma 434, legge n. 232/2016), la violazione del precetto
dell'equilibrio ai sensi del combinato disposto degli articoli 97,
81, 41 Cost.
Si rammenta, infatti, che il carattere «pubblico» del bene
giuridico bilancio fa si' che, rispetto allo stesso, si dipanino una
serie di interessi finanziari adespoti, costituzionalmente rilevanti,
anche diversi da quelli degli utenti. Esso coinvolge l'interesse di
tutti coloro che, a vario titolo, entrano in potenziale contatto col
bilancio, in particolare coloro i quali che con la pubblica
amministrazione hanno relazioni di mercato.
Invero, l'eccessivo protrarsi dei tempi di perfezionamento e di
definitivo assetto del piano di riequilibrio, favorito da continui
interventi normativi di dubbia razionalita' e coerenza, possono
innescare ulteriori ritardi nei pagamenti e la crisi delle imprese
che hanno fornito alla pubblica amministrazione beni e servizi.
A tal proposito, anche il prevedere come condizione per
l'esercizio della facolta' di rimodulazione/riformulazione il
rispetto dei «tempi medi di pagamento» previsti per legge, non
esclude che per effetto della rimodulazione stessa si pongano le
condizioni per un loro deterioramento.
Infatti, l'allargamento della capacita' di spesa che si determina
per l'accesso ad una modalita' di ripiano addirittura trentennale di
un disavanzo effettivo, da un lato, consente di aggirare l'obbligo di
copertura di debiti gia' esigibili, per altro verso, getta le
premesse di una inevitabile crisi di cassa che nel tempo e' destinata
a scaricarsi, in termini di costi, sulla collettivita' degli utenti
dei servizi e sulle imprese.
Per tal motivo occorre che la disciplina della crisi sia
effettivamente in grado di consentire il recupero del debito
accumulato, sebbene in un lasso temporale piu' ampio di quello
ordinario triennale; il legislatore, per contro, non puo' trasformare
la stessa in un'occasione per consentire l'allargamento, medio
tempore, della capacita' di spesa, quando cio' non sia necessario per
garantire l'effettuazione di quella costituzionalmente necessaria. In
tal guisa, infatti, si pregiudica o si deteriora la capacita'
dell'ente di rispondere alle ragioni dei creditori, che dallo
squilibrio strutturale dell'ente sono direttamente danneggiati.
3.3. Violazione dell'art. 24 e dell'art. 117, comma 1 Cost.
La sezione rileva, infine, la non manifesta infondatezza della
questione di costituzionalita' dell'art. 1, comma 434, della legge n.
232/2016 rispetto all'art. 24 e all'art. 117, comma 1 Cost.
Segnatamente, la disposizione di legge oggetto della rimessione,
inserendosi in una produzione legislativa di continua concessione di
facolta' di rimodulazione/riformulazione (art. 1, comma 15, del
decreto-legge n. 35/2013 convertito nella legge n. 64/2013; art. 1,
commi 714 e 715 della legge n. 208/2015; art. 1, commi 434 e 435
della legge n. 232/2016; da ultimo, l'art. 1, commi 848, 849, 888 e
889 della legge n. 205/2017), ad avviso della sezione viola l'art. 24
Cost. nonche' l'art. 117, comma 1 Cost. (in relazione al parametro
interposto costituito dall'art. 1 del Protocollo 1 sul diritto di
proprieta' della CEDU e dagli articoli 6 e 13 della stessa Carta
internazionale).
La violazione dei citati parametri interposti si ravvisa in base
alle seguenti due considerazioni.
Da un lato, le continue modifiche ai PRFP (rimodulazioni e/o
formulazioni), non soltanto innescano notevoli ritardi nella loro
valutazione in termini di sostenibilita' e congruita', ma possono
altresi' condurre a sospensioni delle azioni esecutive dei creditori,
per decisione giudiziale (art. 295 c.p.c.) o per espressa previsione
di legge (cfr. l'art. 1, comma 714-bis della legge n. 208/2015)
ovvero per la situazione di incertezza che deriva della pendenza di
una questione pregiudiziale contabile circa il titolo legale della
rimodulazione/riformulazione, come e' avvenuto con la legge n.
208/2015, che all'art. 1, commi 714 e del comma 714-bis, prevede due
distinte facolta' di rimodulazione/riformulazione, prevedendo
espressamente l'ennesima sospensione delle azioni esecutive per
quelle ex comma 714-bis.
Infatti, la normativa caotica e di non sempre chiara lettura, in
relazione alla quale non e' spesso facile determinare quale sia il
titolo legislativo della rimodulazione/riformulazione (cfr. SRC
Campania n. 240/2017/PRSP), determina in sede di ottemperanza presso
il giudice amministrativo le condizioni per un'eventuale accoglimento
della istanza ai sensi dell'art. 295 c.p.c., secondo cui «Il giudice
dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o
altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione
dipende la decisione della causa», attesa l'assorbente giurisdizione
della Corte dei conti in materia di piani di riequilibrio e di
bilancio.
Per altro verso, il costante ius superveniens determina
incertezza sulla misura del disavanzo annuale del ripiano
(l'obbiettivo intermedio) e sulla disciplina giuridica applicabile
(sussistenza delle condizioni di legge per l'accertamento di un
«grave e reiterato inadempimento», con il conseguente avvio
irrevocabile del «dissesto guidato», cfr. SRC Campania n.
8/2018/QMIG, ovvero permanenza del regime di riequilibrio ai sensi
degli articoli 243-bis e seguenti TUEL, per effetto del legittimo
accesso a rimodulazioni/riformulazioni che costringono ad una nuova
valutazione integrale del piano e/o del percorso della sua
attuazione).
Questa incertezza e' esiziale nei casi limite di evidente
difficolta' a risanare i conti dell'ente locale e puo', specie in
tali casi, costituire una violazione dei principi generali della
certezza del diritto, del legittimo affidamento e della giustizia
effettiva (per i creditori) con conseguente prevaricazione di diritti
fondamentali in nome di asserite esigenze di bilancio, non in via
transitoria, ma costanti e prevalenti, che scaricano sulle future
generazioni responsabilita' civili gia' emerse.
Di conseguenza, la soddisfazione delle pretese di tali terzi
viene esposta ad un sacrificio temporalmente indeterminato, a causa
del continuo dubbio e dell'incertezza sul regime di riequilibrio
applicabile (dissesto o piano di riequilibrio rimodulato) e
dall'allungamento dei tempi di valutazione amministrativa (Ministero
dell'interno) e giudiziaria (Corte dei conti) della fattispecie
concreta.
Tale situazione e' certamente aggravata dal «diritto vivente» che
interpreta il frequente ius superveniens (ed in particolare quello
oggetto della rimessione) nel senso di privare di stabilita' le
decisioni delle sezioni regionali di controllo rimuovendo gli effetti
ad esse ricollegati (sezioni riunite in speciale composizione,
sentenze n. 3 e n. 17 del 2017 e similiter, su norma analoga,
sentenza n. 6 del 2018).
Segnatamente si ammette che tale legge consenta la
rimodulazione/riformulazione anche nel caso in cui la sezione
regionale di controllo abbia emesso una pronuncia negativa ai sensi
dell'art. 243-quater, comma 7 TUEL, con l'avvio automatico, non piu'
sospendibile, del dissesto guidato (cfr. SRC Campania n.
8/2018/QMIG).
Cio' determina una continua ed assoluta incertezza sul regime di
riequilibrio applicabile, ledendo il diritto dell'ente locale e della
«comunita' amministrata» ad un ricorso «effettivo» dinanzi ad un
«giudice imparziale» che definisca e accerti la sussistenza o meno
delle condizioni di riequilibrabilita' effettiva del «bene pubblico»
bilancio, ampliando i tempi di tale valutazione e, per intanto, la
facolta' di spesa autorizzabile.
La stessa violazione di diritti fondamentali della persona, tra
l'altro, si configura per analoghe disposizioni della Carta dei
diritti fondamentali dell'Unione europea (CFDUE), segnatamente l'art.
47, che sancisce il «Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice
imparziale». Trattandosi di norma senza effetto diretto, in relazione
a «principi e i diritti enunciati [che] intersecano in larga misura i
principi e i diritti garantiti dalla Costituzione italiana [...], le
violazioni dei diritti della persona postulano la necessita' di un
intervento erga omnes [della Corte costituzionale], anche in virtu'
del principio che situa il sindacato accentrato di costituzionalita'
delle leggi a fondamento dell'architettura costituzionale (art. 134
Cost)» (Corte costituzionale n. 269/2017).
In modo siffatto, dunque, il legislatore priva continuamente di
stabilita' la legge (che disciplina il riequilibrio) nonche' il
dictum di controllo e i correlati effetti, impedendo che si
costituisca il presupposto per la soddisfazione effettiva delle
ragioni di terzi (in particolare dei creditori), vale a dire un
bilancio riequilibrato. Ne deriva che un simile intervento normativo
allunga in modo indeterminato i tempi di valutazione della congruita'
del riequilibrio e della sua attuazione.
In proposito la Corte EDU ha gia' posto in rilievo che come
l'indeterminatezza dei tempi di conclusione delle procedure di
risanamento finanziario violi l'art. 1 del Protocollo 1 (Diritto al
rispetto della proprieta'), e l'art. 6, paragrafo 1 (Diritto ad un
giusto processo), e l'art. 13 (Diritto ad un ricorso effettivo) della
Convenzione europea del diritti dell'uomo (cfr. De Luca e/Italia,
ricorso n. 43870/04 e Pennino e/Italia, ricorso n. 43892/04).
Anche la Corte costituzionale, in proposito, «ha piu' volte
affermato che un intervento legislativo - che di fatto svuoti di
contenuto i titoli esecutivi giudiziali conseguiti nei confronti di
un soggetto debitore - puo' ritenersi giustificato da particolari
esigenze transitorie qualora, per un verso, siffatto svuotamento sia
limitato ad un ristretto periodo temporale (sentenze n. 155 del 2004
e n. 310 del 2003) e, per altro verso [...] siano controbilanciate da
disposizioni di carattere sostanziale che, a loro volta,
garantiscano, anche per altra via che non sia quella della esecuzione
giudiziale, la sostanziale realizzazione dei diritti oggetto delle
procedure estinte (sentenze n. 277 del 2012 e n. 364 dei 2007)»
(sentenza n. 186/2013).
Sempre nello stesso senso, si rammenta che persino la disciplina
del dissesto e' stata ritenuta non in contrasto con la Costituzione
(ed in particolare con gli articoli 2, 3, 23, 24, 41 e 53 della
Costituzione) solo e nella misura in cui non pregiudica le ragioni
dei creditori che hanno intrapreso una relazione economica con l'ente
dissestato (sentenza n. 269/1998).
P.Q.M. La Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Campania solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 434 della legge n. 232/2016, in riferimento ai parametri stabiliti degli articoli 97, 81, 2, 3, 1, 41 e 117, comma 1 Cost. Ordina la sospensione del giudizio e dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per l'esame della questione. Dispone che, a cura della Segreteria della sezione, ai sensi dell'art. 23, ultimo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la presente ordinanza sia notificata: all'ente comunale quale parte in causa, segnatamente al presidente del consiglio comunale e al sindaco pro tempore; al Presidente del Consiglio dei ministri. Dispone altresi' che la presente ordinanza sia comunicata dalla segreteria anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Napoli, nella camera di consiglio del giorno 20 febbraio 2018. Il Presidente: Coppola Il relatore: Sucameli