N. 78 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 dicembre 2017
Ordinanza del 18 dicembre 2017 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio - sede staccata di Latina sul ricorso proposto da Palazzi Annunziata contro Comune di Roccasecca . Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Lazio - Accertamento di conformita' - Determinazione della misura dell'oblazione in misura pari al valore di mercato dell'intervento eseguito. - Legge della Regione Lazio 11 agosto 2008, n. 15 (Vigilanza sull'attivita' urbanistico-edilizia), art. 22 [, comma 2, lett. a)].(GU n.21 del 23-5-2018 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO Sezione staccata di Latina (Sezione Prima) ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso n. 832 del 2016 R.G., proposto da Annunziata Palazzi, rappresentata e difesa dagli avvocati Sebastiano Aurilio e Pietro Romano e elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avvocato Iucci in Latina, via Malta n. 7; Contro il Comune di Roccasecca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giovanni Rossini e elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avvocato F. Paolelli in Latina, viale dello Statuto n. 19; per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione dell'ordinanza di demolizione n. 112 del 16 settembre 2016, del provvedimento prot. n. 10027 del 15 settembre 2016, recante diniego di accertamento di conformita', del provvedimento prot. n. 3845 del 15 aprile 2011, recante determinazione dell'oblazione ex art. 36 decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 e 22, comma 2, lettera a) della legge regionale 11 agosto 2008, n. 15, della nota prot. n. 1763 del 4 marzo 2014, recante preavviso di rigetto della istanza di accertamento di conformita', e di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente nonche' per l'accertamento della non debenza dell'oblazione cosi' come determinata dall'amministrazione o, in via subordinata, per la rideterminazione della medesima e per la condanna dell'amministrazione alla restituzione della somma di euro 2.345,15, oltre accessori. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Roccasecca; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 settembre 2017 il dott. Davide Soricelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Con il ricorso all'esame la ricorrente impugna gli atti di un procedimento avente ad oggetto l'accertamento di conformita' di un fabbricato realizzato in via Revali. La vicenda e' del tutto peculiare, dato che l'edificazione e' avvenuta in base a un permesso di costruire falsificato da un tecnico alla quale la ricorrente si era in buona fede affidata per la gestione della «pratica» (e infatti questo soggetto e' stato condannato in sede penale per falso e truffa ai danni della ricorrente, l'estraneita' della quale alla falsificazione risulta altresi' dalla circostanza che anch'ella e' stata sottoposta a procedimento penale per falso ma tale procedimento e' stato archiviato). Comunque, la ricorrente, essendo stato il fabbricato realizzato (tra l'altro ella ha anche corrisposto al comune la somma di euro 2.345,15 a titolo di oneri concessori dovuti in correlazione al permesso falsificato), in data 1° marzo 2011 ha presentato istanza di accertamento di conformita'. Nel presupposto che la sanatoria fosse possibile (sussistendo la cd. «doppia conformita'»), il comune subordinava il rilascio del permesso al pagamento dell'oblazione prevista dall'art. 22 della legge regionale 11 agosto 2008, n. 15 che quantificava in euro 55.470 (cioe' in misura pari al valore dell'opera abusiva da sanare). La ricorrente quindi contestava l'operato dell'amministrazione sostenendo di non essere tenuta al pagamento dell'oblazione essendo ella del tutto estranea (e anzi vittima) dell'abuso che altri avevano commesso. Il comune, tuttavia, non recepiva gli assunti della signora Palazzi, per cui - dopo averle inoltrato un preavviso di rigetto - adottava i provvedimenti impugnati, cioe' il diniego di accertamento di conformita' (per mancata corresponsione dell'oblazione) in data 15 settembre 2016 e il conseguente ordine di demolizione dell'opera realizzata il successivo 16 settembre 2016. Di qui il ricorso all'esame con cui la ricorrente impugna i provvedimenti indicati denunciando sotto vari profili la violazione e falsa applicazione delle disposizioni degli articoli 3 e 28 della legge 30 novembre 1981, n. 689, degli articoli 12, comma 1, e 22, comma 2 lettera a) della legge regionale 11 agosto 2008, n. 15 e degli articoli 3 e 97 C. La ricorrente, anzitutto, muovendo dalla qualificazione dell'oblazione come sanzione amministrativa, sostiene che la pretesa del comune e' radicalmente priva di presupposti; in altri termini ella sostiene che, poiche' non ha commesso alcun abuso ma e' stata addirittura vittima di un illecito compiuto da altri, non vi e' il presupposto per applicare sanzioni, poiche' l'illecito amministrativo presuppone l'elemento soggettivo che qui manca del tutto; insomma all'elemento oggettivo dell'illecito (la realizzazione del manufatto in difetto di permesso di costruire) non corrisponderebbe il necessario elemento psicologico; la ricorrente invoca al riguardo (oltre alla previsione generale dell'art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689) anche il disposto dell'art. 12 della legge regionale n. 15 del 2008 che esclude la responsabilita' per sanzioni pecuniarie del committente che risulti estraneo all'abuso (in coerenza con quanto previsto dall'art. 29 decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380) con conseguente inapplicabilita' dell'art. 22. In via subordinata si sostiene che l'obbligazione avente a oggetto il pagamento dell'oblazione sarebbe prescritta, dovendosi in materia applicare la prescrizione quinquennale e decorrendo la stessa dalla data dell'accertamento della doppia conformita' (nella specie il 15 aprile 2011). In via di ulteriore subordine la ricorrente denuncia sotto diverso profilo l'errata applicazione del citato art. 22, comma 2, lettera a), della legge regionale sostenendo l'illegittimita' della oblazione cosi' come calcolata (in pratica l'amministrazione si e' basata sul valore al mq. indicato dall'agenzia delle entrate che e' stato ridotto al 50% per tener conto che l'immobile non e' completo ma si trova «al rustico»); ad avviso della ricorrente il valore riferito a un immobile in normale stato manutentivo, come stimato dall'agenzia delle entrate, avrebbe dovuto essere ridotto non al 50% ma al 25% al fine di tener conto dell'ingente costo delle opere di completamento dell'immobile che sarebbero necessarie al fine di renderlo abitabile. Oltre che privi di presupposto (non sussistendo l'obbligo di corrispondere l'oblazione) i provvedimenti che hanno negato la sanatoria e disposto la demolizione sarebbero inoltre illegittimi per violazione del termine per la conclusione del procedimento ex art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Infine si contesta da un lato la pertinenza del richiamo all'art. 27 decreto del Presidente della Repubblica n. 381 del 2001 da parte dell'ordine di demolizione e dall'altro la previsione recata da quest'ultimo secondo cui all'inottemperanza seguirebbe l'acquisizione dell'immobile e dell'area di sedime al patrimonio comunale; sotto quest'ultimo profilo la ricorrente richiama la previsione dell'art. 15 della legge regionale n. 15 del 2008 che esclude che l'acquisizione possa avvenire a danno del proprietario che non sia responsabile dell'abuso. La ricorrente conclude quindi chiedendo l'annullamento degli atti impugnati e la condanna del comune alla restituzione della somma che illo tempore ella ha versato a titolo di oneri concessori, coi relativi accessori. Il Comune di Roccasecca si e' costituito in giudizio e resiste al ricorso. Con ordinanza n. 3 del 12 gennaio 2017 la sezione ha fissato l'udienza di discussione del merito ex art. 55, comma 10, c.p.a. Il ricorso non e' maturo per la decisione. Il Collegio infatti dubita della legittimita' costituzionale della norma regionale regolante la fattispecie, cioe' dell'art. 22 della legge regionale 11 agosto 2008, n. 15 e ritiene quindi di sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale di tale norma e, in particolare, delle previsioni del secondo comma (lettera a) in punto di determinazione della misura dell'oblazione occorrente ad ottenere il cd. accertamento di conformita'. Per quanto concerne il profilo relativo alla rilevanza della questione, essa sussiste poiche' nella fattispecie sono impugnati un diniego di accertamento di conformita' basato sull'applicazione della norma dell'art. 22 (e in particolare della norma che determina l'oblazione in misura pari al valore delle opere abusive) e il conseguente ordine di demolizione e si controverte in definitiva dell'obbligo di corrispondere l'oblazione e della sua misura, pretendendo il comune resistente una somma calcolata in base al comma 2 lettera a) dell'art. 22 citato (cioe' - lo si ripete - il valore dell'opera abusiva, laddove la norma statale dell'art. 36 decreto del Presidente della Repubblica n. 380 prevede un'oblazione pari al doppio degli ordinari oneri concessori) e negando la ricorrente che tale disposizione si applichi alla fattispecie ovvero e in subordine che la disposizione in questione sia stata correttamente applicata. Al riguardo va puntualizzato che la giurisprudenza ritiene che, ai fini della sussistenza della «rilevanza» della questione nel giudizio amministrativo impugnatorio, sia necessario che l'applicazione della norma sia chiamata in causa da uno o piu' dei motivi dedotti; solo in tal caso ricorre la condizione che «il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale», come richiesto dall'art. 23, comma 1, lettera b) della legge 11 marzo 1953, n. 87. Nella fattispecie questa condizione si verifica dato che la ricorrente contesta specificamente l'applicabilita' della previsione della disposizione dell'art. 22, comma 2, lettera a) citato nei suoi confronti. In altri termini la risoluzione della controversia presuppone necessariamente l'applicazione dell'art. 22 ponendo i motivi proposti la questione della sua applicabilita' e/o corretta applicazione alla fattispecie. Per quanto concerne il profilo relativo alla non manifesta infondatezza della questione, il Collegio ritiene che la disposizione dell'art. 22, comma 2, citata presenti piu' d'un profilo di possibile incostituzionalita'. Un primo profilo riguarda la conformita' della norma alle disposizioni costituzionali che riservano in via esclusiva allo Stato la competenza legislativa in materia penale (articoli 25 e 117, lettera l). Il rilascio del permesso di costruire in sanatoria costituisce infatti in base all'art. 45, comma 3, decreto del Presidente della Repubblica n. 380 citato causa di estinzione dei reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti; precisamente la causa di estinzione del reato non e' costituita dal mero pagamento dell'oblazione nella misura prevista ma dal rilascio del permesso che presuppone: a) la verifica della conformita' dell'opera alla normativa urbanistica di riferimento sia al tempo della commissione dell'abuso che al tempo della sanatoria (cd. doppia conformita'); b) il pagamento dell'oblazione. La circostanza che l'accertamento di conformita' costituisca una causa estintiva di reato implica la riserva allo stato della relativa regolamentazione in forza delle norme costituzionali dell'art. 25 e dell'art. 117, lettera l). Al riguardo va sinteticamente rilevato che la giurisprudenza della Corte costituzionale e' orientata a ritenere che «la legislazione regionale - pur non potendo costituire fonte diretta e autonoma di norme penali, ne' nel senso di introdurre nuove incriminazioni, ne' in quello di rendere lecita un'attivita' penalmente sanzionata dall'ordinamento nazionale ... - puo', tuttavia, "concorrere a precisare, secundum legem, i presupposti di applicazione di norme penali statali", svolgendo, in pratica, "funzioni analoghe a quelle che sono in grado di svolgere fonti secondarie statali": cio', particolarmente quando la legge statale «subordini effetti incriminatori o decriminalizzanti ad atti amministrativi (o legislativi) regionali» (il riferimento e', in particolare, alle cosiddette norme penali in bianco: sentenze n. 63 del 2012 e n. 487 del 1989)» (cosi' Corte costituzionale 13 marzo 2014, n. 46). Nella fattispecie viene in rilievo una norma regionale che regola in modo piu' restrittivo una causa di estinzione del reato disciplinata dalla legge statale (consistente, in base all'art. 45 decreto del Presidente della Repubblica n. 380, nel rilascio del permesso a sanatoria in base al precedente art. 36) intervenendo sulla misura dell'oblazione che viene sensibilmente elevata, almeno di regola; non si tratta quindi di norma penale in bianco; in sostanza la norma regionale nel caso in questione non pare avere «funzioni analoghe a quelle che sono in grado di svolgere fonti secondarie statali» ma modifica - restringendone l'ambito (o meglio ancora rendendo piu' oneroso l'accesso a) - una causa di estinzione del reato prevista dalla normativa statale. Di qui il dubbio in ordine alla compatibilita' della previsione con la riserva statale in materia di leggi penali, prevista dagli articoli 25 e 117, lettera l), C. In una fattispecie che presenta elementi di somiglianza a quella all'esame la Corte costituzionale ha ritenuto che violasse la riserva di legge statale in materia penale una disposizione di legge regionale che prevedeva condizioni piu' favorevoli rispetto alla normativa statale ai fini dell'estinzione del reato di costruzione abusiva (in pratica modificava, ampliandola, la nozione di ultimazione degli edifici abusivi dell'art. 31 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, cosi' dilatando l'ambito del condono edilizio e quindi ampliando l'ambito di applicazione della relativa causa di estinzione del reato); in quell'occasione la Corte espresse l'avviso secondo cui "la previsione di cause d'estinzione del reato e' riservata alla legge statale, in quanto a quest'ultima spetta la potesta' incriminatrice; ... alla stessa legge compete, conseguentemente, individuare le situazioni alle quali si applicano le citate cause; ... pertanto, l'ambito delle predette situazioni, individuato in una legge statale, non puo' esser illegittimamente esteso o ristretto ad opera di leggi regionali" (Corte costituzionale 25 ottobre 1989, n. 487). Va poi aggiunto che il Collegio ritiene che la previsione della legge regionale presenti ulteriori profili di possibile incostituzionalita' sotto il profilo del rispetto del principio di uguaglianza e di ragionevolezza. Sotto un primo profilo, va rilevato come la previsione per l'accertamento di conformita' di un'oblazione pari al valore dell'opera eseguita implichi che la sanatoria di un immobile eseguito senza titolo ma «sostanzialmente» legittimo abbia un costo identico a quello della sanatoria di opera eseguita in base a un titolo che sia stato annullato quando non sia possibile «la rimozione di vizi delle procedure amministrative o il ripristino dello stato dei luoghi» (cioe' quando il titolo annullato sia «sostanzialmente» illegittimo nel senso che l'opera non risulti conforme alla normativa urbanistico-edilizia); in quest'ultimo caso, infatti, l'art. 20 della legge regionale n. 15 del 2008 citata prevede il pagamento di una «sanzione pecuniaria» pari al valore dell'opera eseguita. In pratica nella Regione Lazio l'accertamento di conformita' e' subordinato in base all'art. 22 della legge regionale n. 15 alla doppia conformita' dell'opera abusiva e al pagamento di un'oblazione pari al valore di mercato dell'opera eseguita; la sanatoria di un'opera eseguita in base a titolo annullato, invece, presuppone il pagamento di una «sanzione pecuniaria» pari al valore di mercato dell'opera eseguita e tale pagamento produce gli effetti del permesso di costruire a sanatoria (cioe' dell'accertamento di conformita'). Il che significa che (al di la' della diversa qualificazione di quanto occorre pagare dato che in un caso si parla di oblazione e nell'altro di sanzione pecuniaria) la sanatoria di un intervento conforme alla normativa urbanistico-edilizia sia al momento dell'edificazione che a quello del rilascio del titolo ha lo stesso costo della sanatoria di un intervento non conforme alla normativa urbanistico-edilizia; cio' appare porsi in contrasto con il principio di uguaglianza e di ragionevolezza. Sintomatico e' il confronto con la normativa del decreto del Presidente della Repubblica n. 380; la previsione dell'art. 20 della legge regionale n. 15 e' infatti sostanzialmente identica a quella dell'art. 38 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 ma quest'ultimo si inserisce in un sistema in cui la sanatoria dell'opera abusiva ma sostanzialmente legittima (cioe' «l'ordinario» accertamento di conformita' come regolato dall'art. 36) e' subordinata a un'oblazione pari al doppio degli oneri concessori. In definitiva la legge regionale n. 15 del 2008 «riprende» in larga misura le previsioni della normativa statale del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 e comunque si ispira in larga massima al medesimo schema di repressione-sanzione del fenomeno dell'abusivismo edilizio; in questo contesto la modifica della misura dell'oblazione prevista per l'accertamento di conformita', fermo restando il mantenimento dello schema della legge statale, finisce con il risolversi in un elemento di grave incoerenza del sistema valevole nella Regione Lazio. Vi e' infine un altro aspetto da considerare ed e' quello della previsione di un'identica oblazione sia per il responsabile dell'abuso che per il proprietario che all'abuso sia del tutto estraneo. Va premesso che la circostanza che il proprietario non responsabile dell'abuso acceda all'accertamento di conformita' alle stesse condizioni del responsabile dell'abuso e' alla luce del disposto normativo incontestabile; l'art. 22 della legge regionale prevede infatti che l'accertamento di conformita' possa essere chiesto dal responsabile dell'abuso «nonche' dal proprietario, ove non coincidente con il primo». La medesima equiparazione del resto ispira anche l'art. 36 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 che parimenti prevede che la sanatoria possa essere richiesta dal responsabile dell'abuso o dall'attuale proprietario. Tra l'altro da cio' deriva l'impossibilita' di aderire alla tesi proposta dalla ricorrente, che in ultima analisi sostiene che il proprietario estraneo all'abuso potrebbe ottenerne la sanatoria - ove sussista la cd. doppia conformita' - corrispondendo semplicemente gli (ordinari) oneri concessori. Cio' significherebbe sostenere che la procedura dell'accertamento di conformita', come introdotta dall'art. 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, poi trasfuso nell'art. 36 decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (e disciplinato nella regione Lazio dall'art. 22 della legge regionale n. 15 del 2008), si applichi al solo responsabile dell'abuso (che sia o meno anche il proprietario) e che per il proprietario non responsabile vi sarebbe la possibilita' di ottenere un titolo in sanatoria senza corresponsione di oblazione; si tratta pero' di un'interpretazione contra legem e che si risolverebbe in una parziale abrogazione delle norme disciplinanti l'accertamento di conformita'. Posto dunque che il proprietario non responsabile dell'abuso puo' conseguirne la sanatoria alle stesse condizioni previste per il responsabile (cioe' corrispondendo l'oblazione in misura pari al valore delle opere), puo' rilevarsi che l'equiparazione prevista dall'art. 36 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 si inserisce in un sistema che prevede un'oblazione che risulta pari agli oneri concessori, nel senso che il rilascio del permesso a sanatoria e' subordinato al pagamento del doppio degli oneri concessori nel caso di interventi soggetti a contributo e al pagamento degli oneri concessori nel caso di interventi che ordinariamente (o meglio se eseguiti in base a titolo rilasciato preventivamente) non vi sarebbero soggetti. Tale sistema appare giustificato nell'ottica di un bilanciamento tra l'interesse del richiedente ad ottenere la sanatoria di un intervento comunque «sostanzialmente» legittimo (perche' la sanatoria e' possibile a condizione che sussista la cd. doppia conformita') e l'interesse pubblico a che la verifica della legittimita' sostanziale dell'intervento (cioe' della conformita' del progetto alla normativa urbanistico-edilizia) sia compiuta dai pubblici poteri prima che esso sia concretamente eseguito. In questo sistema l'oblazione non e' una sanzione in cui rilevi l'elemento soggettivo, trattandosi di una somma che viene corrisposta volontariamente (la sanatoria e' infatti richiesta dall'interessato) al fine di regolarizzare una situazione obiettivamente antigiuridica; nello stesso tempo il meccanismo normativo basato sulla uguaglianza di condizioni di accesso alla sanatoria (e all'estinzione del reato che ne consegue) serve anche a sgravare l'amministrazione dal compito di procedere a una verifica delle responsabilita' nella commissione dell'abuso che potrebbe anche risultare complessa (e tra l'altro questa complessita' di accertamenti nemmeno sarebbe compatibile con il breve termine di sessanta giorni previsto per il completamento del procedimento). La disposizione della Regione Lazio che commisura l'oblazione al valore delle opere abusive altera questo schema, introducendo un'oblazione sensibilmente piu' elevata rispetto a quanto previsto dalla norma statale; cio' in definitiva finisce con l'attribuire di fatto all'oblazione una funzione spiccatamente sanzionatoria (quasi trasformandola in una sanzione alternativa alla demolizione applicabile a richiesta dell'interessato), come dimostra la circostanza che l'oblazione e' fissata in misura identica alla sanzione pecuniaria dovuta in caso di sanatoria di intervento sostanzialmente illegittimo in base all'art. 20. E sarebbe formalistico opporre che non si tratta di sanzione perche' la sanatoria e' chiesta dallo stesso interessato che e' libero quindi di decidere se ottenerla alle condizioni normativamente previste; in realta' - considerato che l'alternativa alla sanatoria e' la demolizione - la liberta' di determinarsi sulla sorte dell'opera e' piu' apparente che reale, dato che - venendo in rilievo un'opera che, ancorche' abusiva, e' conforme alla normativa urbanistico-edilizia - la scelta tendenzialmente non potra' che cadere sulla sanatoria (avendo ovviamente poco senso demolire l'opera per poi realizzarla nuovamente dopo aver ottenuto il permesso di costruire). Nel caso di proprietario estraneo all'abuso che abbia sopportato il costo dell'edificazione (che e' il caso all'esame), entrambe le alternative si rivelano irragionevolmente - e potrebbe aggiungersi ingiustamente - onerose, dato che nel caso di scelta per la demolizione, l'interessato sopporta i costi di quest'ultima e vanifica l'investimento gia' eseguito, mentre nel caso di opzione per la sanatoria, e' costretto a un esborso (di valore pari all'investimento gia' eseguito) che appare sproporzionato in considerazione della sua estraneita' all'abuso e del fatto che in ultima analisi si tratta di abuso esclusivamente formale. In definitiva il dubbio che e' determinato dalla fissazione dell'oblazione in misura sensibilmente piu' elevata rispetto a quanto prevede la norma statale e' che questa misura - che in pratica trasforma l'oblazione in una vera e propria sanzione da applicarsi a richiesta dell'interessato - rende irragionevole la fissazione di parita' di condizioni per l'accesso alla sanatoria secondo che essa venga richiesta dal responsabile dell'abuso (che nella stragrande maggioranza dei casi e' il proprietario) ovvero da quest'ultimo allorche' egli risulti del tutto estraneo all'abuso (che e' indiscutibilmente un'evenienza molto rara ma che il caso all'esame dimostra non essere impossibile). In conclusione, essendo rilevante e non manifestamente infondata, va sollevata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 22, comma 2, lettera a) della legge regionale Lazio 11 agosto 2008, n. 15, in relazione agli articoli 3, 25 e 117, comma 2, lettera l) Costituzione. Pertanto il giudizio deve essere sospeso e gli atti vanno rimessi alla Corte costituzionale affinche' questa si pronunci sulla questione.
P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, interlocutoriamente pronunciandosi sul ricorso in epigrafe cosi' dispone: a) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 22 della legge regionale Lazio 11 agosto 2008, n. 15, in relazione agli articoli 3, 25 e 117, comma 2, lettera l) della Costituzione; b) dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; c) ordina che a cura della segreteria della Sezione la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al presidente della giunta regionale della Regione Lazio, nonche' comunicata al presidente del consiglio regionale della Regione Lazio. Spese al definitivo. Cosi' deciso in Latina nelle camere di consiglio dei giorni 21 settembre 2017, 19 ottobre 2017, 23 novembre 2017, con l'intervento dei magistrati: Antonio Vinciguerra, Presidente; Davide Soricelli, consigliere, estensore; Roberto Maria Bucchi, consigliere. Il Presidente: Vinciguerra L'estensore: Soricelli