N. 91 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 marzo 2018
Ordinanza del 19 marzo 2018 del Tribunale di Palermo nel procedimento penale a carico di B. R.. Processo penale - Casellario giudiziale - Ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova emessa ai sensi dell'art. 464-quater cod. proc. pen. e sentenza che dichiara l'estinzione del reato ai sensi dell'art. 464-septies cod. proc. pen. - Iscrizione nel certificato generale e nel certificato penale richiesti dall'interessato - Esclusione - Mancata previsione. - Decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti), artt. 24 e 25.(GU n.25 del 20-6-2018 )
TRIBUNALE DI PALERMO Sezione III penale Il Giudice dell'esecuzione Dott.ssa Elisabetta Stampacchia, letta l'istanza con la quale B. R., nata a Messina in data... , ha chiesto la cancellazione dal casellario giudiziale dell'ordinanza del 18 dicembre 2015 con la quale il Tribunale di Palermo, in composizione monocratica, ha disposto la sospensione del processo per messa alla prova ex art. 464-quater codice penale nonche' della sentenza dell'8 luglio 2016 con la quale il medesimo Tribunale ha dichiarato l'estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova ex art. 464-septies codice di procedura penale; letti gli atti e sentite le parti, a scioglimento della riserva di cui all'udienza del 6 marzo 2018; Premesso in fatto Con decreto del 24 luglio 2014, la signora B. R. venne citata dinanzi al Tribunale di Palermo in composizione monocratica per rispondere del reato di cui all'art. 482 codice penale, in relazione all'art. 477 codice penale, per avere contraffatto il contrassegno di concessione del parcheggio invalidi. Prima dell'apertura del dibattimento, la odierna istante, a mezzo del difensore e procuratore speciale, chiese la sospensione del procedimento con messa alla prova per il periodo di mesi sei e il giudice, ritenuta ammissibile la richiesta, dispose con ordinanza del 18 dicembre 2015 la sospensione del processo per messa alla prova fissando l'udienza dell'8 luglio 2016 per la verifica dell'esito della stessa. Alla udienza dell'8 luglio 2016, dopo la consultazione della relazione finale elaborata dall'UEPE e previa verifica del versamento della somma di € 200,00 a favore dell'U.C.I. (Unione ciechi italiana), il giudice emise sentenza di non doversi procedere in relazione al reato contestato in quanto estinto per esito positivo della messa alla prova. L'ordinanza del 18 dicembre 2015 e la conseguente sentenza dell'8 luglio 2016 risultano annotati sia nel certificato del casellario giudiziale ex art. 21 decreto del Presidente della Repubblica n. 313/2002, richiesto dall'ufficio e inserito nel fascicolo, sia nel certificato ex art. 33 del medesimo decreto, allegato all'istanza. Di tali annotazioni la B. chiede la cancellazione «come da normativa in vigore». Osserva Ritiene il giudice che, contrariamente a quanto ritenuto dalla richiedente, che la invoca, la normativa in vigore non supporti affatto la cancellazione richiesta. L'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 313/2002, come modificato dalla legge 28 aprile 2014 n. 67, prevede infatti che nel casellario giudiziale debba essere iscritta per estratto, fra le altre, «l'ordinanza che ai sensi dell'art. 464-quater del codice di procedura penale dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova» (lettera i-bis). L'ordinanza di sospensione del procedimento per messa alla prova dell'imputato deve dunque essere annotata nel certificato del casellario e cio' per l'ovvia considerazione che l'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, per espresso disposto dell'art. 168-bis, comma 4, codice penale, e' strumento di cui l'imputato puo' beneficiare una sola volta, cosicche' l'annotazione si ravvisa strumento indispensabile al fine di consentire al giudice di un eventuale, ulteriore, procedimento penale successivo di verificare la sussistenza dei presupposti per accedere a tale rito alternativo. In quest'ottica e' evidentemente orientata anche la previsione della lettera 1 bis) dell'art. 5 che stabilisce che le iscrizioni relative ai provvedimenti con cui il giudice dispone la sospensione del procedimento ai sensi dell'art. 420-quater codice di procedura penale «sono eliminate quando il provvedimento e' revocato». Ne deriva che qualora l'istanza fosse tesa ad ottenere la cancellazione di tale annotazione dal certificato del casellario giudiziale ex art. 3 decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002 n. 313 - il cui contenuto e' interamente acquisibile dall'autorita' giudiziaria, ex art. 21 del medesimo decreto -, la stessa dovrebbe ritenersi meritevole di rigetto. L'annotazione de qua appare infatti del tutto coerente con il sistema attualmente vigente che, analogamente, prevede l'iscrizione nel certificato del casellario «dei provvedimenti che abbiano dichiarato la non punibilita' ai sensi dell'art. 131 bis» (art. 3, lettera f), i quali ultimi vengono eliminati trascorsi dieci anni dalla relativa pronuncia (art. 5, lettera d-bis). Problemi di legittimita' costituzionale per violazione del principio di uguaglianza, potrebbero semmai porsi con l'attuazione della legge 23 giugno 2017 n. 203 con la quale, all'art. 18, il Parlamento ha delegato il Governo ad adottare, entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della legge stessa (3 agosto 2017), un decreto legislativo per la revisione della disciplina del casellario giudiziale, secondo determinati criteri direttivi, fra i quali figura, alla lettera c), l'eliminazione della disciplina che prevede l'iscrizione dei provvedimenti applicativi della causa di non punibilita' (evidentemente dal certificato del casellario ex art. 3 decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, atteso che, come si dira', essi gia' risultano fra quelli che non devono essere riportati nei certificati ex articoli 24 e 25 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica) delegando al pubblico ministero - plausibilmente attraverso la verifica di precedenti iscrizioni per fatti ritenuti di lieve entita' non piu' annotati - il controllo sulla «non abitualita' del comportamento». Trattasi di considerazioni de jure condendo che, tuttavia, lasciano emergere in tutta la sua evidenza l'aperto contrasto che la presente ordinanza intende segnalare. L'istanza, formulata personalmente dall'interessata, mira tuttavia - come si evince dalla visura allegata - ad ottenere la cancellazione delle iscrizioni relative ai medesimi provvedimenti dal certificato generale e dal certificato penale richiesti dall'interessato. Gli articoli 24 e 25 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica nel disciplinare i servizi certificativi del casellario e nell'annoverare i provvedimenti che non debbono essere menzionati nel «Certificato generale del casellario giudiziale richiesto dall'interessato» (art. 24) e nel «Certificato penale del casellario giudiziale richiesto dall'interessato» (art. 25) non annoverano, fra gli altri, ne' l'ordinanza con la quale e' disposta la sospensione del procedimento con messa alla prova, ex art. 464-quater, ne' la sentenza che, ex art. 464-septies codice di procedura penale, dichiara non doversi procedere per estinzione del reato a seguito dell'esito positivo della messa alla prova. Ebbene, il giudicante ritiene che la questione di legittimita' costituzionale per contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione di ambedue le norme appena richiamate, nella parte in cui non prevedono che nel certificato generale del casellario giudiziale e nel certificato penale chiesti dall'interessato non siano riportate le ordinanze di sospensione del processo per messa alla prova ai sensi dell'art. 464-quater codice di procedura penale e le sentenze che, all'esito positivo di essa, dichiarano l'estinzione del reato, ai sensi dell'art. 464-septies codice di procedura penale, sia di primaria rilevanza nell'ambito del presente procedimento e non manifestamente infondata. Quanto alla rilevanza della prospettata questione di legittimita' costituzionale, il giudice osserva di essere chiamato ad esercitare una effettiva e attuale potestas decidendi proprio in relazione alle norme sospettate di incostituzionalita', venendo le stesse in rilevo nell'ambito del procedimento di esecuzione instaurato dalla B. per ottenere la cancellazione dell'iscrizione ritenuta - a parere di chi scrive, giustamente - pregiudizievole. Ove la questione non fosse prospettata, questo giudice dovrebbe infatti respingere la richiesta formulata atteso che, come gia' precisato, gli articoli 24 e 25 non contemplano l'ordinanza e la sentenza ridette fra le eccezioni alle iscrizioni esistenti nel casellario da riportarsi nei certificati a richiesta dall'interessato e che appare evidentemente impossibile, stante la tassativita' della elencazione contenuta nelle norme tacciate di incostituzionalita', addivenire ad una interpretazione conforme, a meno di non cedere ad una manipolazione additiva delle previsioni relative a casi analoghi espressamente contemplati fra le «eccezioni» previste dai due articoli. E' noto, infatti, che «l'univoco tenore letterale della norma segna il confine in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimita' costituzionale» (sentenza n. 78 del 2012). E' dunque evidente anche la non manifesta infondatezza della questione. La mancata elencazione dell'ordinanza che dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova e della sentenza che dichiara l'estinzione del reato per esito positivo fra i provvedimenti esistenti nel certificato del casellario giudiziale che non devono essere indicati nel certificato generale e in quello penale richiesti dall'interessato presenta indubbi e, a parere della scrivente, evidenti profili di incostituzionalita' per violazione dell'art. 3 della Costituzione. Gia' il Gup presso il Tribunale di Firenze, rimettendo la medesima questione con l'ordinanza n. 47 del 18 novembre 2016, (Gazzetta Ufficiale - 1ª Serie speciale «Corte costituzionale» - n. 14 del 5 aprile 2017), ha evidenziato «che la disciplina delineata, ovvero quella dell'iscrizione dell'ordinanza di cui all'art. 464-quater codice di procedura penale, e' opposta a quanto stabilito dal legislatore per percorsi processuali che pure addivengono a provvedimenti definitori non radicalmente diversi: sia l'art. 24 che l'art. 25 prevedono ciascuno alla lettera "e" che non siano riportati nel casellario giudiziale, generale ed in quello penale, chiesti dall'interessato, i "provvedimenti previsti dall'art. 445 del codice di procedura penale e [a]i decreti penali"», rilevando, inoltre, che «persino la sentenza di patteggiamento, anche a pena non sospesa, non avrebbe lasciato traccia nel certificato del casellario chiesto dall'interessato: eppure la pronuncia di detta sentenza prevede non un giudizio di' colpevolezza in senso stretto, ma una semplice valutazione di insussistenza di una situazione che invece imporrebbe una sentenza ai sensi dell'art. 129 codice di procedura penale, (articoli 444, secondo comma, e 464-quater, primo comma, codice di procedura penale), ulteriore profilo che evidenzia un trattamento difforme a fronte di scelte processuali che prevedono percorsi e valutazioni non altrettanto difformi». L'irragionevolezza gia' denunciata a questa Corte si palesa, a parere della scrivente, oltre che nella ipotesi di opposizione a decreto penale di' condanna con contestuale richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, gia' assunta a parametro dal primo remittente, anche ove si consideri che il sistema, come attualmente strutturato, fa si' che si possa patteggiare a due anni per un reato per il quale non si potrebbe chiedere ne' potrebbe trovare applicazione l'istituto della sospensione del procedimento per messa alla prova in quanto «grave» (ad es. usura o corruzione ex art. 318 codice penale), giovandosi altresi' di un certificato intonso, nel mentre chi si adopera fattivamente per ottenere l'estinzione di un reato - nella maggior parte delle ipotesi - «bagatellare», finisce per vedere la vicenda giudiziale annoverata nei certificati, con conseguenze svantaggiose soprattutto in termini professionali. Ne' puo' tacersi che per lo stesso ipotetico episodio «criminoso» esitato nella declaratoria di estinzione del reato per esito positivo della prova - considerati i limiti edittali, la necessaria «sostanziale incensuratezza» del soggetto che potrebbe ottenere l'applicazione della sospensione del procedimento e il tendenziale appiattimento dei trattamenti sanzionatori irrogati in concreto sui livelli minimi o medi - l'imputato potrebbe usufruire, all'esito del procedimento, quando anche le istanze deflattive siano state del tutto deluse, della sospensione condizionale nonche' della non menzione nel certificato del casellario giudiziale con il risultato di andare esente da pena e di mantenere pulita la propria fedina penale, e tutto senza dover sottostare alle prescrizioni e alle prestazioni riparatorie previste dalla messa alla prova. A parere di questo giudice, l'irrazionalita' delle attuali previsioni deriva ancora dal raffronto con la disciplina relativa ai provvedimenti giudiziari che dichiarano la non punibilita' ai sensi dell'art. 131-bis del codice penale, gia' sopra richiamati in altri termini, per i quali l'art. 4, comma 1, lettera d) del decreto legislativo 16 marzo 2015 n. 28, ha espressamente previsto la «non menzione» alle lettere f bis) di ambedue le disposizioni censurate, con l'effetto che fra i provvedimenti del casellario giudiziali che, quindi, non devono essere riportati nel certificato generale e in quello penale richiesti dall'interessato sono oggi annoverati anche i' provvedimenti giudiziari che hanno dichiarato la non punibilita' ai sensi dell'art. 131-bis del codice penale. Il raffronto fra i due istituti appare doveroso ove se ne evidenzino i tratti di' sostanziale sovrapponibilita'. In primo luogo, entrambi gli istituti hanno natura «ibrida». La messa alla prova, infatti, «ha effetti sostanziali, perche' da' luogo all'estinzione del reato, ma e' connotato da un'intrinseca dimensione processuale, in quanto consiste in un nuovo procedimento speciale, alternativo al giudizio, nel corso del quale il giudice decide con ordinanza sulla richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova» (Corte costituzionale sentenza n. 240 del 2015) cosi' come la particolare tenuita' del fatto, se da una parte figura quale causa di non punibilita', con spiccata natura sostanziale, dall'altra rappresenta una causa di improcedibilita' dell'azione penale (art. 469 codice di procedura penale, art. 651 codice di procedura penale), con evidente scopo deflattivo (Cassazione pen. sentenza n. 5800 del 2016). Inoltre, e per quanto maggiormente rileva, ambedue le discipline appaiono riferibili ad un'area di fatti costituenti reato per la quale sono previste pene piuttosto esigue nonche' ad imputati che presentano un profilo criminale basso o del tutto assente. Quanto al primo aspetto, e' infatti noto che la particolare tenuita' del fatto e' applicabile a reati puniti con la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni ovvero con la pena pecuniaria, sola o congiunta alla pena detentiva, mentre la sospensione del procedimento con messa alla prova e' applicabile nel caso di reati punibili con la pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni ovvero ai reati per i quali si' procede a citazione diretta ex art. 550, comma 2, codice di procedura penale: risulta dunque evidente che, a parte alcune ipotesi di reato punite con pena superiore a cinque anni (delitto di ricettazione, furto aggravato, lesioni personali stradali gravissime), gli istituti in discorso risultano astrattamente applicabili ai medesimi fatti di reato e, anzi, la particolare tenuita' del fatto, prevedendo un limite edittale piu' alto, risulta avere, sempre in astratto, anche maggiore portata applicativa. Quanto alle valutazioni in merito alla personalita' dell'imputato che entrambi gli istituti richiedono al giudice, si osservi che per la dichiarazione di particolare tenuita' e' necessario che il comportamento risulti non abituale - «il comportamento e' abituale, ex art. 131 bis, comma 3, codice penale, nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso piu' reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuita', nonche' nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate» -, mentre, per la messa alla prova, e' necessario che il giudice ritenga che l'imputato si asterra' dal commettere ulteriori reati e che egli non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza (articoli 168-bis ultimo comma e 464-quater, comma 3, codice di procedura penale). Anche in questo caso, appare difficile immaginare che il giudizio prognostico circa l'astensione dalla commissione di ulteriori reati abbia esito positivo qualora l'imputato abbia gia' riportato condanne per reati della stessa indole, cosicche' l'area di applicazione dei due istituti - prima nella legge e poi nella prassi - appare in gran parte coincidente. Da quanto appena illustrato consegue che la mancata previsione dell'ordinanza che sospende il procedimento per messa alla prova nell'elencazione contenuta agli articoli 24 e 25 non puo' che risultare irragionevole ed in contrasto con l'art. 3 Costituzione. Lo stesso fatto per il quale l'imputato chieda ed ottenga la «messa alla prova» potrebbe infatti, in ipotesi, essere considerato di particolare tenuita' dal giudice all'esito del processo - o anche prima di esso, ex art. 469, comma 1 bis, codice di procedura penale - con la conseguenza che non ve ne sarebbe traccia nel casellario. L'ordinanza che dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova presuppone infatti, ex art. 464-quater, l'insussistenza delle ragioni che, a norma dell'art. 129 codice di procedura penale , impongono, d'ufficio, l'immediato proscioglimento dell'imputato (insussistenza del fatto tipico obiettivo, non ascrivibilita' all'imputato, insussistenza del richiesto elemento soggettivo o della sua antigiuridicita', irrilevanza penale, estinzione del reato, sua improcedibilita') e non anche che il fatto non sia particolarmente tenue. I profili di ingiustificata divergenza fra i distinti trattamenti riservati ai due istituti nella disciplina del casellario emergono, a maggior ragione, ove si consideri che l'estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova presuppone uno o piu' comportamenti positivi dell'imputato che, per ottenere la declaratoria di estinzione del reato, si impegna nella prestazione di condotte volte alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato e, ove possibile, a risarcire il danno cagionato alla persona offesa, nonche' a svolgere attivita' non retribuita a favore della collettivita'. Il giudicante ritiene, tuttavia, che l'attuale disciplina, come sopra descritta, rechi altresi' un contrasto indelebile con l'art. 27, comma 3, Costituzione. Al fine di illustrare in che termini questo giudice ritiene configurabile l'ipotizzato contrasto, non puo' mancarsi di rimarcare come, con l'introduzione della probation giudiziale, il legislatore non abbia perseguito esclusivamente chiare finalita' di deflazione dei procedimenti penali ma abbia inteso offrire un ulteriore ed alternativo percorso di reinserimento ai soggetti processati per reati di minore allarme sociale, cercando di soddisfarne le istanze di risocializzazione (Relazione n. III/07/2014, a cura dell'ufficio del Massimario della Suprema Corte di cassazione). Ebbene tali istanze non possono che risultare sostanzialmente disattese nel vigore della disciplina attuale: l'onta legata al trascorso giudiziale finisce, infatti, per vanificare la positiva esperienza risocializzatrice gia' vissuta tradendo le aspettative di chi, come la B , abbia positivamente effettuato un percorso di rimeditazione critica della propria condotta, abbia ammesso l'addebito e mostrato concretamente di volersene «scusare» con la collettivita' prestandosi ad eseguire un sorta di «condanna» - la prestazione di lavoro gratuito - prima ancora di subire un processo e, ciononostante, debba continuare a fare i conti con un passato per cancellare il quale si sia efficacemente e positivamente speso. E' noto, del resto, che l'ingiustizia delle conseguenze legate alle proprie azioni e' di ostacolo alla funzione rieducatrice alla quale e' finalizzato l'intervento statuale per il tramite della sanzione penale, con considerazioni che devono essere estese anche agli effetti penali della non-condanna in discorso. Il presente procedimento deve dunque essere sospeso e i relativi atti devono essere trasmessi alla Corte costituzionale, anche per l'eventuale riunione con l'incidente di costituzionalita' relativo alle medesime disposizioni qui censurate gia' pendente (Tribunale di Firenze, ordinanza n. 47 del 18 novembre 2016, in Gazzetta Ufficiale - 1ª Serie speciale «Corte costituzionale» - n. 14 del 5 aprile 2017), rispetto al quale presenta profili ulteriori ed autonomi.
P. Q. M. Visti gli articoli 134 Costituzione e 23, legge n. 87/1953; Solleva questione di legittimita' costituzionale in relazione agli articoli 24 e 25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 313 del 14 novembre 2002 in relazione agli articoli 3 e 27, comma 3, Costituzione, nella parte in cui non prevedono che nel certificato generale del casellario giudiziale e nel certificato penale chiesti dall'interessato non siano riportate l'ordinanza di sospensione del processo emessa ai sensi dell'art. 464-quater codice di procedura penale e la sentenza che dichiara l'estinzione del reato ai sensi dell'art. 464-septies codice di procedura penale; Sospende il presente procedimento e dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Manda alla cancelleria per gli adempimenti di propria competenza e, in particolare, per la notificazione della presente ordinanza al pubblico ministero, alla istante, al suo difensore e al Presidente del Consiglio dei ministri, disponendo che la stessa sia altresi' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Palermo, 16 marzo 2018 Il Giudice: Stampacchia