N. 93 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 dicembre 2017

Ordinanza del 12 dicembre 2017 del G.I.P. del Tribunale di Lecce  nel
procedimento penale a carico di R.V. . 
 
Processo penale  -  Indagini  preliminari  -  Prove  illegittimamente
  acquisite  -  Perquisizioni  e  ispezioni  compiuti  dalla  polizia
  giudiziaria fuori dei casi previsti  dalla  legge  o  comunque  non
  convalidati dall'autorita' giudiziaria  -  Inutilizzabilita'  delle
  prove acquisite - Inutilizzabilita' anche  degli  esiti  probatori,
  compreso il sequestro del corpo del reato o delle  cose  pertinenti
  al reato, nonche' la deposizione  testimoniale  in  ordine  a  tale
  attivita' - Mancata previsione. 
- Codice di procedura penale, art. 191. 
(GU n.26 del 27-6-2018 )
 
                     TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCE 
           Ufficio del Giudice per le indagini preliminari 
 
    Il GIP dott. Stefano Sernia all'udienza preliminare del giorno 12
dicembre 2017, nel processo pendente nei confronti di R. V.,  nato  a
... il ... sentite le parti, ha pronunziato la seguente ordinanza. 
    A seguito di emissione di decreto che ne  disponeva  il  giudizio
immediato  in  ordine  all'imputazione  di  detenzione  per  uso  non
personale di gr. 12,341 di sostanza stupefacente  del  genere  canapa
indiana (che la c.t. in atti indica idonei alla preparazione di circa
20 dosi aventi effetto stupefacente), l'imputato  avanzava  richiesta
di essere giudicato con rito abbreviato, per la  cui  trattazione  il
giudicante ha fissato l'odierna  udienza  in  cui,  ammesso  il  rito
abbreviato e sentite le parti, ha emesso la presente ordinanza. 
    Il  materiale  probatorio  e'  quindi  cristallizzato  in  quello
raccolto durante le indagini e documentato come in atti. 
    Va  osservato  che  gli  elementi  a  carico  dell'imputato  (che
peraltro, posto agli arresti domiciliari dal  pubblico  ministero  ex
art. 386, comma 5 del codice di procedura penale,  non  si  presento'
all'udienza  di  convalida  e  non  risulta  aver  rilasciato  alcuna
dichiarazione,  tantomeno  di  natura  confessoria)   risiedono   nei
risultati della perquisizione personale e domiciliare cui  lo  stesso
venne sottoposto d'iniziativa di militi appartenenti  alla  Compagnia
dei Carabinieri di Taurisano, che a  tale  attivita'  particolarmente
invasiva (si pensi alla perquisizione personale) e limitatrice  della
liberta' personale,  oltre  che  dell'inviolabilita'  del  domicilio,
furono motivati - stando a quanto desumibile dal contenuto dei pp.vv.
di perquisizione ed arresto -  da  fonti  confidenziali  che  avevano
indicato nel  R.  uno  spacciatore;  sicche',  avendo  in  precedenti
occasioni rilevato, in quella zona, un andirivieni di  soggetti  noti
come tossicodipendenti (peraltro non indicati), ed avendo  scorto  un
giovane che consegnava  una  banconota  all'imputato,  i  Carabinieri
avevano proceduto all'immediata identificazione di tali soggetti. Pur
avendo cosi' accertato che l'altro giovane altri non era che  R.  C.,
fratello dell'imputato, e pur avendo il suddetto R. C.  chiarito  che
stava consegnando al fratello del danaro per  le  spese  di  casa,  i
Carabinieri - in  assenza  di  qualsiasi  contesto  significativo  di
un'attivita' di  spaccio  in  corso  -  avevano  quindi  proceduto  a
perquisizione personale dell'odierno imputato e, avendogli trovato in
tasca tre involucri  di  sostanza  stupefacente,  avevano  esteso  la
perquisizione all'abitazione,  dove  avevano  rinvenuto  la  restante
parte della sostanza per cui e' processo. 
    Si pone il problema della liceita' della  perquisizione  e  della
utilizzabilita' dei  suoi  esiti;  e  della  costituzionalita'  della
disciplina in tal senso vigente, quale risultante del diritto vivente
nascente dalla monolitica giurisprudenza di legittimita', stabilmente
applicata anche in sede locale dal competente Tribunale del riesame e
dalla Corte di appello. 
    La questione e'  gia'  stata  sollevata  da  questo  Giudice  con
ordinanza emessa in data 5 ottobre 2017,  le  cui  argomentazioni  si
riproducono in questa sede in corsivo, con l'aggiunta,  in  caratteri
normali, di ulteriori considerazioni ed argomentazioni a sostegno  di
tale questione. 
    Va invero premesso che l'imputato non e' gravato da precedenti in
materia di stupefacenti, e che le  fonti  confidenziali  non  possono
essere in alcun modo utilizzate (argomenta ex articoli 273, 195 comma
7 e 203 c.p.p.) per la prova dei fatti (ivi  compresa,  ex  art.  167
c.p.p., la prova dei fatti da cui discende  l'applicazione  di  norme
processuali), sicche' - escluso che  nella  situazione  scorta  dalla
p.g. fosse rilevabile una situazione di  flagranza  di  reato  (tanto
piu' una volta che si era accertato che l'interlocutore dell'imputato
ne era il fratello e non un estraneo che potesse essere  inteso  come
un potenziale cliente; ed escluso che il mero fatto  della  ricezione
di una banconota sia significativo  di  un'attivita'  di  spaccio  in
atto) - va altresi' ritenuto che non ricorressero quei fondati motivi
che ex art. 103 decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  309/90
avrebbero   potuto   legittimare   una    perquisizione,    apparendo
inammissibile la tesi che pretenda che il giudice debba  ritenere  la
sussistenza dei presupposti di tali atti, solo  perche'  lo  affermi,
senza alcuna concreta indicazione o spiegazione, la p.g. 
    Con l'ordinanza emessa da questo giudice in data 5 ottobre 17, si
e' osservato, e  qui  si  reitera,  che  «invero,  la  situazione  di
flagranza di reato, che evidentemente si e' manifestata solo dopo  la
perquisizione, non puo' aver quindi svolto la funzione di  preventiva
legittimazione di tale atto, che la legge ordinaria (articoli  354  e
356 c.p.p.) e costituzionale (articoli 13 e 14 Cost.) le assegnano in
deroga al principio  generale  per  cui  simili  atti,  limitando  la
liberta' personale (e della inviolabilita' del domicilio per quel che
attiene alla perquisizione domiciliare), possono essere disposti solo
dall'A.G. e nei casi e modi previsti dalla legge; allo  stesso  modo,
un non meglio specificato «atteggiamento sospetto» non puo' valere  a
significare la  ricorrenza  di  un  fondato  motivo  atto,  ai  sensi
dell'art. 103 decreto del Presidente della Repubblica  n.  309/90,  a
far ritenere il possesso di sostanze stupefacenti. 
    Cio'  premesso,  va  sottolineata  la  cautela  del   legislatore
costituzionale, che ha assegnato solo  all'Autorita'  giudiziaria  il
potere di disporre atti di  perquisizione  ed  ispezione,  prevedendo
solo in via eccezionale quelli [rectius quello] della p.g.  ed  entro
ambiti ben delimitati, fissati dalla  legge,  e  con  rispetto  delle
garanzie di liberta' della persona. 
    I limiti fissati dalla legge si atteggiano,  invero,  in  ragione
della previsione costituzionale che li assiste, come  invalicabili  e
di  stretta  interpretazione;  e   qualsiasi   interpretazione   che,
comunque, si risolva in una vanificazione dei limiti posti alla  p.g.
(ad es., impedendo la verifica circa il rispetto di  tali  limiti;  o
stabilendo l'irrilevanza processuale  di  tali  violazioni)  o  nella
lesione - sia pure mediata -  della  liberta'  personale,  appare  da
rigettarsi. 
    Invero, l'art. 13 Cost. (richiamato, quanto a  garanzie  e  forme
ivi previste, dall'art. 14 Cost. in tema di ispezioni,  perquisizioni
e sequestri domiciliari) prescrive che ogni atto di limitazione della
liberta' personale - tra i quali annovera non  solo  l'arresto  o  il
fermo, ma anche  le  perquisizioni  e  le  ispezioni  personali,  sia
riservato ad «atto motivato dell'autorita'  giudiziaria  e  nei  soli
casi  e  modi  previsti  dalla  legge»;  riserva  di   legge   e   di
provvedimento dell'Autorita' giudiziaria, quindi, cui puo'  derogarsi
solo per casi eccezionali previsti dalla legge, atteso che  la  norma
prosegue prevedendo che solo «in casi eccezionali  di  necessita'  ed
urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorita' di pubblica
sicurezza puo' adottare provvedimenti provvisori, che  devono  essere
comunicati entro quarantotto  ore  all'autorita'  giudiziaria  e,  se
questa  non  li  convalida  nelle  successive  quarantotto  ore,   si
intendono revocati e restano privi di ogni efficacia». 
    Ai sensi dell'art. 13  Cost.,  costituiscono  quindi  restrizioni
della  liberta'  personale  -  la  cui  nozione  e'  dal  Legislatore
costituzionale accolta e  tutelata  in  un'accezione  particolarmente
ampia, ricomprendente tutti i casi in  cui  il  corpo  dell'individuo
debba sottostare a manipolazioni ed attivita' degli organi pubblici -
non solo i casi dell'arresto e fermo, ma anche la  sottoposizione  ad
atti di ispezione e perquisizione personale, non  foss'altro  perche'
per il compimento di tali atti la persona si vede limitata nella  sua
liberta'  di  locomozione  e  volizione  perche'  assoggettata   alla
potesta' pubblica, costretta  a  sottoporsi  al  compimento  di  atti
invasivi (e potenzialmente anche  pesantemente  invasivi)  della  sua
sfera  personale  (o  domiciliare).  E'  quindi  per  tali   ragioni,
evidenzianti come il compimento di tali atti si ponga in  termini  di
concreta   lesione    di    diritti    costituzionali    fondamentali
dell'individuo, che, a garanzia  dell'effettivita'  della  tutela  di
tali diritti, il legislatore costituzionale stabilisce in primo luogo
che solo la legge puo' e deve indicare i casi ed i  modi  in  cui  e'
possibile procedere a tali atti, riservando  inoltre  il  potere  di'
disporli all'autorita'  giudiziaria,  che  puo'  adottarli  solo  con
provvedimento motivato. 
    I suddetti  diritti  sono  quindi  assistiti  -  a  sottolinearne
l'importanza nell'assetto democratico  dell'ordinamento  repubblicano
voluto dal legislatore costituzionale come fondato  sulla  tutela  di
quelle  liberta'  individuali  tendenzialmente  negate  o  fortemente
compresse dal precedente regime -  da  un  corredo  di  significative
cautele date  dalla  riserva  di  legge,  dalla  riserva  del  potere
giudiziario, dall'obbligo di provvedere con atto motivato. 
    Solo in casi eccezionali di necessita'  ed  urgenza,  che  spetta
alla legge indicare tassativamente, agli organi di pubblica sicurezza
(e cioe' alle forze di polizia, che di  tali  compiti  sono  titolari
unitamente a quelli di polizia giudiziaria) e' attribuito  un  potere
di intervento, provvisorio e soggetto a perdere ogni effetto in  caso
di mancata  convalida  da  parte  dell'A.G.  con  provvedimento  che,
sebbene  cio'  non  sia  espressamente  previsto  dalla  norma,  deve
ritenersi debba anch'esso essere motivato, dato che non vi e' ragione
di ritenere che  il  legislatore  costituzionale,  per  l'ipotesi  di
particolare delicatezza costituzionale data della convalida  (la  cui
funzione  e'  verificare  che  la  p.g.  non  abbia  agito  in   tali
delicatissime materie abusando dei propri poteri, fuori dei  casi  in
cui essi sono loro riconosciuti), abbia voluto esonerare  l'Autorita'
giudiziaria dalla necessita' di motivare i propri provvedimenti (come
peraltro previsto gia' in via generale dall'art. 111, comma 6 Cost.). 
    Come si e' accennato, tali  garanzie  sono  estese  dall'art.  14
Cost. anche  al  caso  delle  perquisizioni,  ispezioni  e  sequestri
domiciliari, giusta il richiamo che tale  noma  opera  alle  garanzie
prescritte  (dall'art.  13  Cost.)  per  la  tutela  della   liberta'
personale; caso che in questo caso specifico non interessa, ma che si
ritiene utile menzionare al fine di sottolineare l'unitarieta'  della
visione del legislatore costituzionale in tema di tutela di  liberta'
fondamentali della persona. 
    L'ipotesi principale ed originaria prevista dalla legge ordinaria
a legittimare l'intervento eccezionale delle  forze  di  polizia,  e'
data dai casi di flagranza di reato, allorche' gli organi di  polizia
intervengono in un momento in cui il reato e' in corso di esecuzione,
o il reo, subito dopo la commissione del reato, ne  reca  indosso  le
tracce, o e' inseguito dalla  polizia,  dalla  persona  offesa  o  da
altri: casi di evidenza probatoria che, nel giudizio del legislatore,
rendono  meno  pericolosa  la   deroga   ai   poteri   dell'Autorita'
giudiziaria (cfr. sul punto anche C. cassazione SS.UU. 39131/2015 che
ha anche statuito, in tale linea  di  pensiero,  che  la  c.d.  quasi
flagranza rileva solo in quanto le forze di polizia abbiano assistito
alla commissione del reato o abbiano direttamente percepito le tracce
del reato sulla persona del reo). 
    Non si e' mai dubitato che le ipotesi della flagranza  di  reato,
concorrendo  il  requisito  della  pericolosita'   dell'autore   come
segnalata  dalla  sua  personalita'  o  dalla  gravita'   del   reato
(pericolosita' e gravita' presunte nei casi dei piu' gravi delitti di
cui all'art. 380 c.p.p., e da valutarsi nel concreto nei casi di  cui
all'art. 381 c.p.p.) valgano ad individuare delle ipotesi generali di
necessita'  ed  urgenza  tassativamente  ben  delineate,  in  cui  si
giustifichi l'esercizio provvisorio dei poteri di  arresto  da  parte
della p.g.; cosi', in relazione alla gravita' del reato (che la legge
ancora all'entita' della  pena  o  all'appartenenza  a  ben  definite
tipologie di delitto), il pericolo di fuga appare altra situazione di
necessita' ed urgenza che legittimi l'esercizio del potere di fermo e
la conseguente restrizione della liberta' personale. 
    Allo stesso modo, senz'altro la flagranza del reato  integra  una
situazione di necessita' ed urgenza quanto agli atti di perquisizione
e conseguente sequestro ad opera della p.g., finalizzati ad acquisire
al processo fonti di prova che altrimenti il reo, sapendo  di  essere
stato  scoperto,  provvederebbe  verosimilmente   a   distruggere   o
disperdere; sicche' anche gli articoli  352  e  354  c.p.p.  appaiono
rispettosi del dettato costituzionale. 
    Sia per le perquisizioni e sequestri che per gli atti di  arresto
e fermo, la legge prevede poi la necessita' della convalida da  parte
dell'A.G., con provvedimento motivato, ed il  dettato  costituzionale
e' rispettato. 
    Norme speciali  hanno  ampliato  i  casi  in  cui  alla  p.g.  e'
consentito procedere ad atti di ispezione e perquisizione. 
    Oltre all'ipotesi prevista dall'art. 4 della  legge  n.  152/1975
(che prevede la perquisizione  personale,  nei  casi  eccezionali  di
necessita'  ed  urgenza,  alla  ricerca  di  armi  e   strumenti   di
effrazione, nei confronti di soggetti la cui presenza o atteggiamento
non appaia  giustificabile  in  relazione  a  specifiche  o  concrete
circostanze di tempo o di luogo) e dall'art. 41 TULPS - che  peraltro
riguarda le perquisizioni domiciliari e non quelle personali - per la
ricerca di armi di cui, anche per indizio, la polizia  abbia  notizia
dell'esistenza all'interno di locali pubblici o privati, quella  piu'
frequentemente ricorrente e' quella di cui all'art. 103, commi 2 e  3
decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90  che  disciplinano,
rispettivamente, le attivita' di controllo ed ispezione dei mezzi  di
trasporto e dei bagagli e degli effetti  personali,  e  gli  atti  di
perquisizione in senso stretto, sia  domiciliari  che  personali;  in
tutti tali casi e' previsto un provvedimento di  controllo  da  parte
dell'Autorita' giudiziaria, nella specie il pubblico  ministero,  che
assumera' le forme della convalida nel caso degli atti  di  ispezione
controllo,  e  quello  dell'autorizzazione  preventiva,  anche  orale
telefonica, nei casi di perquisizione (in verita', l'art. 4 legge  n.
152/75 prevede  solo  l'invio  del  verbale  al  pubblico  ministero,
essendo  verosimilmente  apparsa  implicita   la   necessita'   della
convalida, in  base  ai  principi  generali);  solo  per  i  casi  di
particolare necessita' ed urgenza che non  consentano  di  richiedere
l'autorizzazione telefonica, la polizia puo'  procedere  ad  atti  di
perquisizione senza previa autorizzazione del pubblico ministero, che
dovra' comunque successivamente convalidare, se del  caso,  l'operato
della p.g. 
    Invero, l'art. 103 del decreto del Presidente della Repubblica n.
309/90 cosi' recita: 
        «2. Oltre  a  quanto  previsto  dal  comma  l  [che  riguarda
ispezioni  e  perquisizioni  negli  spazi  doganali,   n.d.r.],   gli
ufficiali  e  gli  agenti  di  polizia  giudiziaria,  nel  corso   di
operazioni di  polizia  per  la  prevenzione  e  la  repressione  del
traffico illecito di  sostanze  stupefacenti  o  psicotrope,  possono
procedere in ogni luogo al controllo e  all'ispezione  dei  mezzi  di
trasporto,  dei  bagagli  e  degli  effetti  personali  quando  hanno
fondato, motivo di ritenere che  possano  essere  rinvenute  sostanze
stupefacenti o psicotrope. Dell'esito dei controlli e delle ispezioni
e' redatto processo  verbale  in  appositi  moduli,  trasmessi  entro
quarantotto ore al procuratore  della  Repubblica  il  quale,  se  ne
ricorrono i presupposti, li convalida entro le successive quarantotto
ore. Ai fini dell'applicazione del presente comma,  saranno  emanate,
con decreto del Ministro dell'interno  di  concerto  con  i  Ministri
della difesa e delle finanze, le opportune norme di coordinamento nel
rispetto delle competenze istituzionali. 
    3. Gli ufficiali di polizia giudiziaria, quando ricorrano  motivi
di particolare necessita' ed urgenza che non consentano di richiedere
l'autorizzazione  telefonica  del  magistrato   competente,   possono
altresi' procedere a perquisizioni dandone notizia, senza  ritardo  e
comunque entro quarantotto ore, al procuratore  della  Repubblica  il
quale,  se  ne  ricorrono  i  presupposti,  le  convalida  entro   le
successive quarantotto ore.». 
    L'art. 103 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90,
pertanto, legittima  -  nel  corso  di  operazioni  finalizzate  alla
prevenzione e repressione del reati in  tema  di  stupefacenti  -  le
perquisizioni, anche fuori dei casi di flagranza, allorche'  la  p.g.
abbia «fondato motivo di ritenere» (analogamente alla «notizia  anche
per indizio» secondo quanto prescrive l'art.  41  TULPS  in  tema  di
perquisizioni domiciliari alla ricerca di armi)  che  taluno  detenga
sostanza stupefacente; con l'ulteriore necessita' dell'autorizzazione
telefonica preventiva del pubblico ministero  o,  ove  l'urgenza  non
consenta  di  ricercarla,  successiva   comunicazione   al   pubblico
ministero e convalida ad opera dello stesso. 
    A parere di questo Giudice, un'interpretazione di tutte le  norme
surrichiamate,   che   voglia   essere   rispettosa    del    dettato
costituzionale, impone che, perche' la p.g. possa procedere a  quegli
atti limitativi della liberta' personale  e  dell'inviolabilita'  del
domicilio,  che  sono  gli  atti   di   perquisizione   personale   o
domiciliare, debba ricorrere un requisito minimo di comprovabilita' e
verificabilita' della ricorrenza del  presupposto  all'esercizio  del
potere di perquisizione da  parte  della  p.g.:  fuori  dei  casi  di
flagrante  detenzione  di  armi  o  stupefacenti,   pertanto,   sara'
necessario che di tale detenzione, quale condizione  legittimante  la
perquisizione da compiersi, dovranno gia' esservi almeno indizi,  sia
pure semplici e non gravi; ma non potra' procedersi al di sotto della
soglia indiziaria, espressamente richiesta dall'art. 41 TULPS,  e  la
cui assenza impedirebbe il concretizzarsi del «fondato motivo» di cui
all'art. 103 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90  o  la
condivisibile valutazione di «ingiustificatezza» della  presenza  del
perquisendo «in relazione a  specifiche  o  concrete  circostanze  di
tempo o di luogo» prevista dall'art. 4 della legge n. 152/1975. 
    Una diversa interpretazione attribuirebbe, di fatto, alla p.g. un
potere  insindacabile  di  procedere  ad  atti  di  perquisizione,  e
vanificherebbe quindi quel  limiti  che  la  Costituzione  ha  invece
ritenuto necessari, sia  pure  demandandone  la  determinazione  alla
legge ordinarla; e la legge ordinaria, per quel che qui interessa, ha
richiesto che la p.g. abbia fondato motivo  di  ritenere  che  taluno
detenga sostanza stupefacente; e l'esistenza di  un  indizio  in  tal
senso deve necessariamente essere verificabile, posto che  altrimenti
si attribuirebbe alla p.g. il potere di ledere ad libitum la liberta'
personale e violare la vita privata e domiciliare della  persona  (in
spregio anche a  quanto  prescritto  dall'art.  8  della  Convenzione
europea dei diritti dell'Uomo). 
    Se cosi' non fosse, se si ammettesse (come non di rado la Suprema
Corte  ha  affermato)  la  liberta'  della  p.g.   di   procedere   a
perquisizione  in  forza  di  un  mero  inverificabile  e  soggettivo
sospetto, o di un asserito «indizio» che non dovesse  essere  nemmeno
specificato nella fonte (C. cassazione Sez. 3, Sentenza n. 19365  del
17 febbraio 2016,  ad  es.,  che  e'  giunta  ad  affermare  che  «Le
perquisizioni che la polizia giudiziaria, nel  caso  di  sospetto  di
illecita  detenzione  di  sostanze  stupefacenti,  e'  legittimata  a
compiere  in  forza  del  disposto  dell'art.  103  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, non presuppongono
necessariamente  la  commissione  di  un  reato,  ma  possono  essere
effettuate sulla base di  notizie  confidenzialmente  apprese,  senza
obbligo di avvertire la persona sottoposta a  controllo  del  diritto
all'assistenza di un difensore; in ogni  caso,  anche  se  effettuate
illegittimamente, non rendono illegittimo l'eventuale sequestro dello
stupefacente  e  delle  altre  cose  pertinenti  al  reato  rinvenute
all'esito  della  perquisizione»),  si  impedirebbe  ogni   controllo
giurisdizionale sulla legittimita'  dell'agire  della  p.g.  e  sulla
attendibilita' dei risultati della sua azione; si  vanificherebbe  la
previsione  di  inefficacia  contenuta   nell'art.   13   Cost.;   si
contravverrebbe di fatto al regime dell'utilizzabilita'  delle  prove
(che pacificamente riguarda anche  gli  indizi)  per  come  stabilito
dalla legge (nella specie, l'art. 191 c.p.p. per quel che riguarda il
divieto di utilizzazione di  prove  acquisite  in  violazione  di  un
divieto posto dalla legge); si vanificherebbe quindi  (incentivandone
le   violazioni   per   l'inesistenza   di    sanzioni    processuali
all'utilizzabilita'  degli  esiti  delle  perquisizioni)  la   tutela
costituzionale della inviolabilita' del domicilio; si  realizzerebbe,
infine, una potenziale lesione della liberta' personale,  atteso  che
questa verrebbe ad essere giurisdizionalmente limitata per effetto di
una apparenza di flagranza di reato conseguente (e non  preesistente)
alla  perquisizione,  senza   che   sia   possibile   verificare   la
affidabilita' della catena indiziaria che ha portato all'emersione di
quella situazione di apparenza probatoria, la cui  genuinita'  dovra'
quindi essere assunta per atto di fede. 
    Pertanto, deve ritenersi, in via del tutto  conseguente,  che,  a
fondamento della ricorrenza di un indizio di detenzione delle armi  o
sostanze stupefacenti: 
        a)  non   possano   essere   utilizzate   fonti   anonime   o
confidenziali, perche' queste non sono in alcun modo verificabili dal
giudice, che verrebbe cosi'  privato  di  ogni  effettivo  potere  di
controllo circa  la  legittimita'  dell'azione  della  p.g.  e  circa
l'affidabilita' della catena indiziaria che porta alla  perquisizione
ed all'acquisizione dei risultati di essa; si deve  sottolineare  che
cio' realizzerebbe una ingiustificata disparita' di trattamento,  con
conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione,  tra  indagato
perquisito ed altri indagati,  rispetto  all'ordinario  regime  della
prova, posto che fonti confidenziali e  fonti  anonime  sono  in  via
generale inutilizzabili (cfr. articoli 273, 195 comma 7, 203 comma  1
c.p.p., che  in  via  generale  prevedono  l'inutilizzabilita'  delle
deposizioni de relato fondate su fonti che non si intenda o  non  si'
possa indicare, risolvendosi queste in fonti anonime non utilizzabili
come.  gia'  previsto  dall'art.  240  c.p.p.  per  il   divieto   di
utilizzazione dei documenti anonimi) e non sussumibili nella  nozione
di  indizio,  che  indica  l'elemento  di  prova   non   univocamente
concludente ma utilizzabile, posto che per giurisprudenza pacifica ed
assolutamente condivisibile, l'art. 191 c.p.p. si applica anche  agli
indizi; 
        b)  l'A.G.  dovra'  poter  conseguentemente   verificare   se
l'elemento posto a fondamento della «notizia» circa l'esistenza delle
armi  nei  locali  da   perquisire,   abbia   dignita'   di   indizio
utilizzabile; in caso  contrario  si  avrebbe  una  violazione  degli
articoli  111  e  117  Cost.  (con  riferimento  all'art.   6   della
Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo)
essendo solo apparente la possibilita' di  godere  dell'esame  di  un
giudice imparziale ed indipendente, laddove questo Giudice non  abbia
un adeguato potere di verifica delle circostanze costituenti elementi
a carico dell'imputato. 
    Pertanto, in via del tutto conseguente, che, a  fondamento  della
ricorrenza di un indizio di detenzione di  stupefacenti  o  armi,  ai
sensi degli articoli 103 decreto del Presidente della  Repubblica  n.
309/90 e 41 TULPS: 
        c)  non   possano   essere   utilizzate   fonti   anonime   o
confidenziali, perche' queste sono in via generale  inutilizzabili  e
non sussumibili nella nozione di' indizio, che indica  l'elemento  di
prova non univocamente concludente ma utilizzabile; 
        d)  l'AG  dovra'   poter   conseguentemente   verificare   se
l'elemento posto a fondamento  della  «notizia»  o  del  «ragionevole
motivo di ritenere» circa  l'esistenza  delle  armi  o  stupefacenti,
sulla persona o nei locali da perquisire, abbia dignita'  di  indizio
utilizzabile. 
    E' bene sottolineare che questo Giudice ha sottolineato i profili
di possibile incostituzionalita' di interpretazioni che ammettano,  a
presupposto  degli  atti   di   perquisizione,   elementi   probatori
particolarmente  deboli  o  inutilizzabili,  al  solo  fine  di   far
risaltare l'importanza da riconoscersi  alla  tutela  della  liberta'
personale e dell'inviolabilita' del domicilio  e  come  tali  materie
siano uno dei punti qualificanti dell'effettivita' di  uno  Stato  di
diritto,  come  disegnato  dalla  Costituzione  e  dalla  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, in cui il riconoscimento di diritti fondamentali  della
persona  e'  necessariamente  accompagnato  dalla  previsione  di  un
Giudice non solo imparziale ed indipendente, ma  anche  dotato  degli
strumenti di verifica e controllo  atti  ad  assicurarne  l'effettiva
tutela; peraltro, in uno Stato di diritto, lo Stato e di suoi  organi
sono  per  primi  vincolati  al  rispetto  delle  leggi  di  cui  pur
pretendono l'osservanza da parte dei consociati, e cio' comporta  non
solo l'impegno a  non  violare  tali  leggi,  ma  anche  a  garantire
l'effettivo  rispetto  dei  diritti  che  tali  leggi  prevedono   ed
attribuiscono. 
    La giurisprudenza della Cassazione non e' univocamente  attestata
su posizioni come quella espressa dalla gia' menzionata C. cassazione
Sez. 3, sentenza n. 19365 del 17 febbraio 2016,  essendo  rinvenibili
nella giurisprudenza di legittimita'  anche  ben  piu'  condivisibili
pronunzie, quali ad es.: 
        Sez. 6, Sentenza n. 40952 del 15 giugno 2017, che ha statuito
che «E' configurabile l'esimente della reazione ad atti arbitrari del
pubblico ufficiale  qualora  il  privato  opponga  resistenza  ad  un
pubblico ufficiale che pretende di eseguire presso il  suo  domicilio
una perquisizione finalizzata, ai sensi dell'art. 4  legge  22  marzo
1975, n. 152, alla ricerca  di  armi  e  munizioni  fondata  su  meri
sospetti e  non  su  dati  oggettivi  certi,  anche  solo  a  livello
indiziario, circa la presenza delle suddette cose nel  luogo  in  cui
viene eseguito l'atto. (Fattispecie  in  cui  la  Corte  ha  ritenuto
immune da  vizi  la  mancata  convalida  dell'arresto  per  il  reato
previsto dall'art. 337 codice penale all'imputato per essersi opposto
alla  perquisizione   disposta   dopo   la   contestazione   di   una
contravvenzione al codice stradale, senza che fossero  emersi  indizi
significativi circa  il  possesso  di  armi  o  di  oggetti  atti  ad
offendere); 
        Sez. 6, Sentenza n. 34450 del 22 aprile 2016, che ha statuito
che «Sulla base di una denuncia anonima non e' possibile procedere  a
perquisizioni, sequestri e intercettazioni  telefoniche,  trattandosi
di atti che  implicano  e  presuppongono  l'esistenza  di  indizi  di
reita'.  Tuttavia,  gli  elementi  contenuti  nelle  denunce  anonime
possono stimolare l'attivita' di iniziativa del pubblico ministero  e
della polizia giudiziaria  al  fine  di  assumere  dati  conoscitivi,
diretti a verificare se dall'anonimo possano ricavarsi estremi  utili
per l'individuazione di una «notitia criminis». (In  applicazione  di
tale  principio,  la  Corte  ha  ritenuto  legittimi  l'attivita'  di
perquisizione ed il sequestro di un telefono cellulare e di materiale
informatico eseguiti a seguito di un'attivita' investigativa, avviata
sulla base di una denuncia anonima, nel corso della quale era  emersa
la pubblicazione in rete di numerosi post  a  contenuto  diffamatorio
pubblicati mediante l'account creato sul social  network  facebook  a
nome dell'imputato, indagato  in  relazione  ai  reati  di  cui  agli
articoli 278, 291 e 214 codice penale); 
        Sez. 6, Sentenza n. 36003  del  21  settembre  2006,  che  ha
statuito che «Sulla base di una denuncia  anonima  non  e'  possibile
procedere a perquisizioni, sequestri e  intercettazioni  telefoniche,
trattandosi di atti che  implicano  e  presuppongono  l'esistenza  di
indizi di reita'. Tuttavia,  gli  elementi  contenuti  nelle  denunce
anonime possono stimolare  l'attivita'  di  iniziativa  del  pubblico
ministero e della  polizia  giudiziaria  al  fine  di  assumere  dati
conoscitivi, diretti a verificare se dall'anonimo  possano  ricavarsi
estremi utili per l'individuazione di una  "notitia  criminis"».  (In
applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che  la  polizia
giudiziaria aveva  legittimamente  proceduto  alla  perquisizione  di
un'autovettura e al conseguente sequestro di  sostanza  stupefacente,
dopo aver avviato, a seguito di una denuncia anonima, un'indagine sul
posto attraverso la quale aveva acquisito la notizia di reato); 
        Sez. 5, Ordinanza  n.  37941  del  13  maggio  2004,  che  ha
statuito che: «Il decreto  di  perquisizione  e  sequestro  emesso  a
seguito di denuncia anonima, ed utilizzato come mezzo di acquisizione
di una "notitia criminis" e non come mezzo di ricerca della prova, e'
nullo. Infatti la  denuncia  confidenziale  o  anonima,  che  non  e'
inseribile  agli  atti  e  non  e'  utilizzabile,  non  puo'   essere
qualificata come una notizia di  reato  idonea  a  dare  inizio  alle
indagini  preliminari,  cosicche'  l'accusa  non  puo'  procedere   a
perquisizioni, sequestri ed intercettazioni telefoniche,  trattandosi
di atti che  implicano  e  presuppongono  l'esistenza  di  indizi  di
reita'.». 
    Si rinvengono quindi una serie di pronunzie della suprema  Corte,
che a parere di questo giudicante rispondono pienamente  ai  principi
costituzionali  e  convenzionali  nella  individuazione  del  minimum
probatorio necessario  a  rendere  legittima  una  perquisizione;  di
talche' non puo' ritenersi la ricorrenza di un  diritto  vivente  che
imponga di denunziare l'illegittimita' costituzionale  delle  opposte
interpretazioni,   pur   non   assenti   nella   giurisprudenza    di
legittimita'. 
    Cio' che invece appare deficitario sotto il profilo dei  principi
costituzionali, nella giurisprudenza di legittimita', e'  il  rilievo
da assegnarsi all'illiceita' della  perquisizione,  sul  piano  della
valenza probatoria dei suoi esiti: valenza probatoria che comunemente
si ritiene permanga intatta, anche  nel  caso  di  una  perquisizione
eseguita in assenza di ogni presupposto di legittimita'. 
    Riprendendo  le  fila  del  discorso,  poiche'   all'atto   della
perquisizione cui venne  sottoposto  l'imputato  non  risultava  gia'
evincibile  una  situazione  di  flagranza,  ne'   nel   verbale   di
perquisizione e' specificato in cosa consistessero gli elementi  atti
a definire l'imputato come soggetto dedito allo spaccio,  o  comunque
atti a qualificare come  un  atto  di  acquisto  di  stupefacenti  la
dazione del danaro che  il  fratello  gli  aveva  appena  consegnato,
quella compiuta  dalla  p.g.  si  manifesta  come  una  perquisizione
personale abusiva perche' assolutamente ingiustificata - in  base  al
giudizio ex ante che deve presiedere ad  ogni  valutazione  circa  la
legittimita'  dell'operato  della  p.g.  in  tutti   gli   atti   che
interferiscono  con  l'esercizio   di   liberta'   costituzionalmente
tutelate - e compiuta al di fuori di una situazione di flagranza. 
    Tale abusivita' non puo' non riflettere i  propri  effetti  anche
sulla successiva perquisizione domiciliare, specie laddove si -  come
questo  giudicante  ritiene  dovrebbe  essere  in  base  ai  principi
costituzionali - si dovesse ritenere l'inutilizzabilita' degli  esiti
della perquisizione personale. 
    Tali attivita' di perquisizione ed ispezione, inoltre, sono state
convalidate dal pubblico ministero con un provvedimento assolutamente
immotivato, consistente nella sola formula «v°, si convalida», e  che
pertanto non permette di  rilevare  (e  valutare)  in  base  a  quali
ragioni  il  pubblico   ministero   abbia   ritenuto   legittimamente
esercitato il potere che l'art.  13  Cost.  vuole  limitato  ai  casi
tassativamente previsti dalla legge e del  tutto  eccezionale  e,  in
quanto limitativo della liberta' personale (come gia'  si  e'  notato
l'art. 13  Cost.  assegna  tale  natura  agli  atti  di  ispezione  e
perquisizione personali)  sottoposto  a  convalida  dell'A.G.,  sotto
espressa  pena  di  inefficacia  assoluta  degli  effetti   dell'atto
illegittimo (cfr. art. 13, comma 3 Cost.). 
    Non ricorrendo le ipotesi della  flagranza  o  le  altre  ipotesi
previste da leggi speciali che  a  tanto  facultizzino  le  forze  di
polizia, deve ritenersi che gli atti di  perquisizione,  ispezione  e
sequestro da queste eseguiti siano stati compiuti in violazione di un
divieto, derivante dalla generale riserva  di  tali  atti  alla  sola
Autorita' giudiziaria; la conseguenza,  in  base  a  quanto  previsto
dall'art. 191 c.p.p., che sancisce la inutilizzabilita'  delle  prove
vietate dalla legge,  dovrebbe  quindi  essere  la  inutilizzabilita'
degli esiti  di  detta  perquisizione;  ma  la  giurisprudenza  della
suprema Corte, come meglio oltre si dira', e' assolutamente di  segno
contrario,  nonostante  la  sanzione  dell'inutilizzabilita'   sembri
emergere gia' direttamente a livello di previsione costituzionale. 
    Come si e' detto,  gli  articoli  13  e  14  Cost.  (che  infatti
richiama le garanzie dell'art.  13  Cost.)  prevedono  che  «in  casi
eccezionali di necessita' ed urgenza, indicati  tassativamente  dalla
legge, l'autorita' di pubblica sicurezza puo' adottare  provvedimenti
provvisori,  che  devono  essere  comunicati  entro  quarantotto  ore
all'autorita' giudiziaria se questa non li convalida nelle successive
quarantotto ore, si  intendono  revocati  e  restano  privi  di  ogni
efficacia»; cio' comporta, a parere di questo Giudice, che  gli  atti
di ispezione, perquisizione e sequestro abusivamente  compiuti  dalla
p.g.  o  non  motivatamente  convalidati  dall'A.G.  rimangano  senza
effetto anche sul piano probatorio; la legge ordinaria ha quindi dato
attuazione alla previsione costituzionale, prevedendo casi  tassativi
per  l'esercizio  dei  poteri  di  arresto,   fermo,   perquisizione,
ispezione e  sequestro  da  parte  delle  forze  di  polizia,  ed  ha
introdotto in via generale, con  l'art.  191  c.p.p.,  la  previsione
della inutilizzabilita' delle prove acquisite  in  violazione  di  un
divieto di legge; come pero' si  vedra',  il  diritto  vivente  quale
discendente dalla monolitica interpretazione delle norme di legge (in
particolare, proprio dell'art. 191  c.p.p.)  dettate  a  sanzione  di
inutilizzabilita' dell'assunzione di prove vietate dalla  legge,  non
assegna   conseguenze   di   inutilizzabilita'   agli   esiti   delle
perquisizioni ed ispezioni compiute dalle forze di polizia fuori  dei
casi  in  cui  la   legge   glielo   consente;   con   il   prevedere
l'utilizzabilita'  probatoria  del  corpo  di  reato  e  delle   cose
pertinenti  al  reato  acquisite  grazie  a  tali  perquisizioni   ed
ispezioni,  anche  se  avvenute  in  violazione  di  un  divieto,  la
giurisprudenza della suprema Corte (vero e proprio  diritto  vivente,
stante la sua monoliticita'), a parere di questo Giudice, vanifica le
garanzie costituzionali, dando luogo ad un  diritto  vivente  che  si
pone in contrasto con esse, come meglio oltre si dira'. 
    A prescindersi poi dalla gia' chiara lettera dell'art. 13,  comma
3  Cost.,  gia'  le  ordinarie  disposizioni  processuali  dovrebbero
condurre al risultato interpretativo  della  inutilizzabilita'  degli
esiti della perquisizione illegittima, in presenza di una norma, come
l'art. 191 c.p.p., che  sanziona  con  l'inutilizzabilita'  le  prove
acquisite in violazione di un divieto di legge. 
    Nel  caso  in  oggetto  non  rileva   la   questione   circa   la
inadeguatezza costituzionale della norma, nella parte in cui  prevede
la   idoneita'   della   autorizzazione   telefonica   orale    senza
espressamente prevedere  la  necessita'  di  una  sua  documentazione
successiva  con  motivazione  che  soddisfi  i  requisiti  di   forma
richiesti dall'art. 13 Cost.; ed  invero,  nel  caso  in  oggetto  e'
presente  una  convalida  scritta,  apposta  in  calce  al  p.v.   di
perquisizione,  che  si  risolve  unicamente  e  semplicemente  nella
formula «si convalida» seguita da  data  e  firma  e  priva  di  ogni
motivazione. 
    Compiuta   tale    preliminare    ricognizione    delle    norme,
costituzionali e di legge  ordinaria,  che  disciplinano  la  materia
delle perquisizioni personali e domiciliari,  deve  quindi  ribadirsi
che le prove a carico dell'imputato consistono di quanto rinvenutogli
indosso a seguito di una perquisizione personale eseguita al di fuori
dei casi e modi previsti dalla legge, atteso che  ne'  ricorreva  una
percepibile situazione di' flagranza del reato, ne', come gia' detto,
risulta ricorressero i presupposti di cui all'art.  103  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309/90; illegittima  la  perquisizione
personale, deve  poi  ritenersi  la  sua  inidoneita'  a  fungere  da
legittimo presupposto della successiva perquisizione domiciliare;  ed
anche a volersi ritenere diversamente, la questione mantiene  la  sua
rilevanza, atteso che la pena  da  irrogarsi  e'  in  funzione  della
gravita' del fatto (art. 133 c.p.), e  questa  discende  anche  dalla
quantita' di sostanza stupefacente detenuta; sicche' la  possibilita'
di computare,  o  meno,  nel  calcolo  di  cio'  che  e'  ascrivibile
all'imputato, anche quanto rinvenuto sulla sua persona, rende in ogni
caso rilevante la questione che qui si affronta. 
    Invero, se quanto operato dalla p.g. a limitazione della liberta'
personale e' sottoposto, per previsione costituzionale, a verifica  e
controllo da parte dell'Autorita' giudiziaria, che  per  convalidarne
l'operato  deve  emettere  provvedimento   motivato,   cio'   implica
necessariamente che la p.g. debba dare atto degli specifici  elementi
valutati e che l'hanno indotta a  ravvisare  un  «fondato  motivo  di
ritenere  che  possano  essere  rinvenute  sostanze  stupefacenti   o
psicotrope»;  qualsiasi  diversa  interpretazione  che   legittimasse
l'operato della p.g. sulla base di elementi da essa indicati  in  via
del  tutto  generica  ed  astratta,  si  da  impedirne  una  concreta
valutazione, sarebbe necessariamente da ritenersi incostituzionale. 
    Cio' detto, in forza di quanto previsto dall'art. 13 Cost.,  cio'
dovrebbe condurre all'inutilizzabilita'  della  perquisizione  e  del
sequestro, in quanto, essendo stata la  perquisizione  e  l'ispezione
eseguite fuori dei casi e modi tassativamente previsti dalla legge  e
non convalidate con provvedimento motivato dell'A.G., detti atti  «si
intendono revocati e restano privi di ogni efficacia»: con linguaggio
la cui chiarezza non e' stata  finora  adeguatamente  apprezzata,  il
Legislatore costituzionale  aveva  cioe'  chiaramente  introdotto  la
sanzione  dell'inutilizzabilita'  degli  esiti  degli  atti  di  p.g.
illegittimamente invadenti la sfera della liberta' personale. 
    Ed invero, la sanzione delle «revoca e perdita di ogni efficacia»
e' dalla norma costituzionale assegnata  non  solo  alla  illegittima
esecuzione di  atti  di  arresto  o  di  fermo,  ma  genericamente  e
complessivamente  al  caso  dell'adozione  dei   «provvedimenti»   di
polizia, in materia di liberta' personale, fuori  dei  casi  previsti
dalla legge; e -  a  meno  di  voler  affermare  che  il  legislatore
costituzionale abbia impiegato con imprecisione e  scarsa  padronanza
la lingua italiana - i provvedimenti in  questione  non  possono  non
essere che tutti quelli contemplati  dalla  norma  stessa,  e  quindi
anche le ispezioni e le perquisizioni personali, che l'art. 13  Cost.
tutti ricomprende nell'ambito degli atti  che  limitano  la  liberta'
personale. Non appare quindi corretta  l'interpretazione  che  voglia
limitare la previsione costituzionale della «perdita di efficacia» ai
soli  provvedimenti  soppressivi  della  liberta'  personale,   quali
l'arresto ed il fermo,  atteso  che  l'art.  13  Cost.  utilizza  una
formula  omnicomprensiva  (i  «provvedimenti  provvisori»  adottabili
dalla p.g.) che a tutti i provvedimenti da  detta  norma  contemplati
risulta riferirsi, come evincibile anche  dalla  disciplina  adottata
dall'art.  14  Cost.,  che  espressamente  li  richiama   «nominatim»
(«ispezioni, perquisizioni o sequestri»)  prevendone  l'adattabilita'
da parte della p.g. «secondo le garanzie  prescritte  per  la  tutela
della liberta' personale». 
    Cio' precisato, va osservato che l'unica efficacia perdurante nel
tempo (e  di  cui  la  norma  costituzionale  si  e'  preoccupata  di
prevedere la cessazione), che puo' ipotizzarsi rispetto  ad  atti  di
perquisizione o ispezione che siano gia' stati compiuti  e  terminati
nella loro esecuzione  (come  e'  necessariamente,  dato  che  ne  e'
prevista la convalida entro 96 ore al massimo dalla loro esecuzione),
e' solo  quella  che  attiene  alla  loro  capacita'  probatoria;  la
sanzione di perdita dell'efficacia  equivale  quindi  a  quella,  nel
linguaggio del codice di procedura  repubblicano,  quarant'anni  dopo
l'approvazione della Costituzione, dell'inutilizzabilita'  introdotta
dall'art. 191 c.p.p. per le prove assunte in violazione di un divieto
di legge. 
    E' bene precisare che l'art. 13 Cost. riconnette  la  conseguenza
delle perdita di efficacia degli atti di  polizia,  alla  circostanza
che essi non vengano convalidati dall'A.G. in un termine dato; ma  la
ratio della norma costituzionale sarebbe senz'altro frustrata  se  la
convalida si risolvesse in una pura forma non esprimente un effettivo
controllo  circa  la  legalita'  dell'atto  di  p.g.;   di   qui   la
prescrizione (a parere di  questo  Giudice  evincibile  dal  comma  2
dell'art. 13  Cost.,  come  si  e'  gia'  osservato)  che  l'atto  di
convalida debba essere motivato, poiche' e' solo con un  atto  avente
tali caratteristiche che l'art. 13 Cost. consente che  l'A.G.  incida
sulla liberta' personale: e non avrebbe senso prevedere la necessita'
dell'atto motivato allorche' l'A.G., titolare  in  via  ordinaria  di
tale potere, proceda di sua iniziativa, e non  gia'  allorche'  debba
verificare che la p.g.  non  abbia  esorbitato  dai  (od  addirittura
abusato dei) casi del tutto eccezionali in cui la legge le concede di
intervenire in materia di liberta' personale. 
    E' quindi ovvio che, nel sistema delineato dall'art. 13 Cost., la
convalida operi in quanto  espressione  di  un  effettivo  potere  di
verifica in ordine alla concreta ricorrenza dei presupposti legali di
esecuzione della perquisizione personale (non e' un caso, ad es., che
lo stesso art. 103 decreto del Presidente della Repubblica n.  309/90
prevede,  come  peraltro  e'  ovvio,  che  l'A.G.   convalidera'   la
perquisizione  «ove  ne  ricorrano  i  presupposti»),   e   non   sia
sufficiente  un  mero  provvedimento   di   convalida   assolutamente
immotivato  e  non  riconducibile  ad  una  situazione  di   concreta
ravvisabilita'  della  situazione   legittimante   la   perquisizione
personale:   situazione   che,   nel   vigente   sistema,   e'   data
fondamentalmente dalla ricorrenza della flagranza del reato  o  dalla
ricorrenza di fondate ragioni che inducano  a  ritenere  che  sia  in
corso l'esecuzione di un delitto in materia di  stupefacenti  o  armi
(con riferimento alle due  norme  -  gli  articoli  103  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309/90 e 41 TULPS  -  legittimanti  la
perquisizione fuori dei casi  di  flagranza,  di  maggiore  rilevanza
statistica). 
    Peraltro, non solo le norme nazionali, costituzionali e di  legge
ordinaria,  impongono  che   la   polizia   giudiziaria   proceda   a
perquisizioni solo nei casi tassativamente stabiliti dalla  legge,  e
che il loro operato sia sottoposto ad un effettivo controllo da parte
dell'Autorita' giudiziaria. 
    Infatti, a proposito della necessita' di una valutazione concreta
e condivisibile da parte dell'A.G., circa la  ricorrenza  di  ragioni
adeguatamente   giustificatrici   dell'esercizio   del   potere    di
perquisizione, va anche richiamata, per l'assoluta  importanza  della
fonte, che assegna alla decisione rilievo costituzionale ex art.  117
Cost., la sentenza 16 marzo 2017, Modestou c. Grecia, con la quale la
Corte europea dei diritti dell'uomo (d'ora in poi per brevita'  CEDU)
ha ritenuto essersi verificata  violazione  dell'art.  8  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, in un caso in  cui  era  stata  eseguita  perquisizione
presso il domicilio personale e professionale  del  ricorrente  senza
alcun controllo giurisdizionale ex ante e sulla scorta di un  mandato
di perquisizione  generico;  ne'  era  stato  previsto  un  immediato
controllo  giurisdizionale  ex  post,  considerato   che   la   Corte
d'appello, adita dal ricorrente, aveva respinto la doglianza non solo
piu' di due anni dopo  la  perquisizione  in  questione,  ma  nemmeno
indicando neppure i motivi «rilevanti e  sufficienti»  giustificativi
della perquisizione: sentenza dalla quale si trae quindi conferma che
l'A.G. debba operare una  illustrazione  motivata  (e  condivisibile)
delle ragioni della perquisizione, al fine di rendere verificabile la
legittimita' dell'esercizio del relativo potere; statuizione che,  se
vale per le  perquisizioni  autorizzate  dall'A.G.,  deve  a  maggior
ragione  valere  per  quelle  operate  direttamente  dalla   P.G.   e
successivamente convalidate dalla A.G. 
    Poiche' quindi e' ad un provvedimento adeguatamente motivato  che
l'art. 13 Cost. ricollega  la  salvezza  degli  effetti  dell'operato
della p.g., ne consegue che,  sebbene  le  nullita'  degli  atti  per
difetto di motivazione siano generalmente rilevabili ad eccezione  di
parte, in questo caso debba invece ritenersi che la ricorrenza di  un
atto  di  convalida  adeguatamente  motivato,  nella   sua   funzione
costituzionale di salvezza degli effetti dell'atto di  p.g.,  sia  un
elemento della fattispecie «sanante» la cui ricorrenza  debba  essere
verificata  d'ufficio;  cosi'  come   dovra'   verificarsi   che,   a
prescindere da quanto eventualmente affermato  col  provvedimento  di
convalida (si pensi ad es. al caso di una motivazione non aderente ai
dati  fattuali  emergenti  dagli  atti;  o  che  da   questi   tragga
conclusioni assolutamente illogiche o non giustificate), ricorressero
effettivamente i presupposti  perche'  la  p.g.  esercitasse  i  suoi
poteri previsti in via del tutto  eccezionale  (sul  punto,  relativo
alla portata dell'art. 191 c.p.p., si dira' meglio oltre). 
    Tanto  premesso,  va  peraltro  preso   atto   che   tali   esiti
epistemologici  sono  estranei  alla  interpretazione  accolta  dalla
giurisprudenza   assolutamente   dominante   che,    a    far    data
dall'insegnamento  espresso  dalle  Sezioni  Unite  della  Corte   di
cassazione con la sentenza n. 5021 del 27 marzo 1996, ha ritenuto  la
piena utilizzabilita' probatoria degli esiti  delle  perquisizioni  e
sequestri eseguiti dalla p.g. al di fuori  dei  casi  previsti  dalla
legge, pur prendendo le mosse da statuizioni di  principio  di  segno
apparentemente opposto alle conclusioni finali. 
    In realta', con la suddetta  sentenza,  le  Sezioni  Unite  della
suprema Corte di cassazione hanno in primo luogo affermato  a  chiare
lettere che la conseguenza di un'attivita' di  illecita  acquisizione
della prova, nello specifico una perquisizione illegittima, non  puo'
limitarsi a mere sanzioni amministrative, disciplinari o  penali  nei
confronti   dell'autore    dell'illecito,    ma    deve    comportare
l'inutilizzabilita'  della  prova  stessa,  statuendo  che:  «non  e'
certamente difficile riconoscere che  allorquando  una  perquisizione
sia stata effettuata senza l'autorizzazione del magistrato e non  nei
"casi" e nei  "modi"  stabiliti  dalla  legge,  cosi'  come  disposto
dall'art. 13 della Costituzione, si e' in presenza  di  un  mezzo  di
ricerca della prova che non e' piu' compatibile  con  la  tutela  del
diritto di  liberta'  del  cittadino,  estrinsecabile  attraverso  il
riconoscimento dell'inviolabilita'  del  domicilio.  L'illegittimita'
della ricerca di una prova,  pur  quando  non  assuma  le  dimensioni
dell'illiceita' penale (Cfr. art. 609 c.p.), non puo' esaurirsi nella
mera  ricognizione  positiva  dell'avvenuta   lesione   del   diritto
soggettivo, come presupposto per l'eventuale applicazione di sanzioni
amministrative o penali per colui o per coloro che ne sono stati  gli
autori. La perquisizione, oltre ad essere un atto di'  investigazione
diretta, e' il  mezzo  piu'  idoneo  per  la  ricerca  di  una  prova
preesistente e, quindi, diviene partecipe del complesso  procedimento
acquisitivo della prova, a causa del rapporto strumentale che si pone
tra la ricerca e la scoperta di cio' che  puo'  essere  necessario  o
utile ai fini della indagine: nessuna prova, diversa  da  quelle  che
possono formarsi soltanto nel corso del procedimento, potrebbe essere
acquisita al processo se una sua ricerca non  sia  stata  compiuta  e
questa non abbia avuto esito positivo. 
    Se e' vero che una perquisizione, quale mezzo di ricerca  di  una
prova, non puo' essere a quest'ultima assimilata e, quindi, e' di per
se'  stessa  sottratta  alla   materiale   possibilita'   di   essere
suscettibile di una diretta utilizzazione  nel  processo  penale,  e'
altrettanto vero che il rapporto funzionale che  avvince  la  ricerca
alla scoperta non puo' essere fondatamente escluso. 
    Ne consegue che il rapporto tra perquisizione e sequestro non  e'
esauribile  nell'area  riduttiva  di   una   mera   consequenzialita'
cronologica, come si era affermato in  numerose  pronunce  di  questa
Corte prima dell'entrata in vigore  del  nuovo  codice  di  procedura
penale, e com'e' stato, anche in  epoca  successiva,  qualche  volta,
ribadito (cfr. Sez. I - 17 febbraio 1976 ric. Cavicchia; Sez. VI - 23
gennaio 1973 ric. Ferraro; Sez. V - 24 novembre 1977 ric. Manussardi;
Sez. I -15 marzo 1984 ric. Zoccoli; Sez. VI -  24  aprile  1991  ric.
Lione; Sez. V - 12 gennaio 1994 ric. Vetralla, etc): la perquisizione
non  e'  soltanto  l'antecedente  cronologico   del   sequestro,   ma
rappresenta lo strumento giuridico che rende possibile il ricorso  al
sequestro.». 
    Proseguiva inoltre la Corte osservando che, pur vero  che  esista
una distinzione concettuale tra  la  perquisizione,  quale  mezzo  di
ricerca della prova, ed il sequestro quale strumento di  acquisizione
della  prova,  cio'  non  ha   alcuna   rilevanza   ai   fini   della
inutilizzabilita' della prova acquista a seguito di una perquisizione
illegittima, atteso che: 
        «la  stessa  utilizzabilita'  della  prova  e'   pur   sempre
subordinata alla esecuzione di un legittimo procedimento  acquisitivo
che si sottragga, in ogni  sua  fase,  a  quei  vizi  che,  incidendo
negativamente sull'esercizio di  diritti  soggettivi  irrinunciabili,
non  possono  non  diffondere  i  loro  effetti  sul  risultato  che,
attraverso quel procedimento, sia stato conseguito.  Del  resto,  non
puo' neppure ignorarsi che e' lo stesso  ordinamento  processuale  ad
aver riconosciuto il rapporto funzionale esistente tra  perquisizione
e  sequestro:  l'art.  252  codice  di  procedura  penale  impone  il
sequestro delle «cose rinvenute  a  seguito  della  perquisizione»  e
l'art. 103 comma  VII  dello  stesso  codice  espressamente  sancisce
l'inutilizzabilita' dei  risultati  delle  perquisizioni  allorquando
queste sono state eseguite in violazione delle  particolari  garanzie
di cui debbono fruire i difensori per poter  esercitare  congruamente
il diritto di difesa. E non si vede  perche'  a  diverse  ed  opposte
conclusioni dovrebbe pervenirsi quando una  perquisizione  sia  stata
comunque eseguita in violazione di particolari disposizioni normative
che assicurano,  in  concreto,  l'attuazione  di  quella  ineludibile
garanzia costituzionale, nei limiti in cui essa e' stata riconosciuta
dall'art. 13, secondo comma della Costituzione: si tratta pur  sempre
di un  procedimento  acquisitivo  della  prova  che  reca  l'impronta
ineludibile della subita lesione ad un  diritto  soggettivo,  diritto
che, per la sua rilevanza costituzionale,  reclama  e  giustifica  la
piu' radicale sanzione di cui l'ordinamento  processuale  dispone,  e
cioe' l'inutilizzabilita' della prova cosi acquisita in ogni fase del
procedimento.». 
    Il prosieguo della statuizione della suprema Corte  si  risolveva
peraltro nella vanificazione della portata pratica di  tali  principi
appena  enunciati;  continuava  infatti  detta  sentenza   affermando
comunque valido il sequestro, perche' atto dovuto,  allorche'  avesse
ad oggetto il corpo del reato o cose pertinenti al reato;  di  fatto,
l'unico sequestro che sarebbe stato inutilizzabile a fini  probatori,
sarebbe stato quello gia' di per se' inutile e che non avrebbe quindi
comunque dovuto essere disposto, perche' non relativo  ne'  al  corpo
del reato, ne' a cose  pertinenti  al  reato;  affermava  infatti  la
suprema Corte a SSUU: 
        «Orbene, se e' vero che l'illegittimita' della ricerca  della
prova  del  commesso  reato,   allorquando   assume   le   dimensioni
conseguenti ad una palese violazione delle norme poste a  tutela  dei
diritti  soggettivi  oggetto  di  specifica  tutela  da  parte  della
Costituzione, non puo', in linea  generale,  non  diffondere  i  suoi
effetti invalidanti sui risultati che quella ricerca ha consentito di
acquisire,  e'  altrettanto  vero  che  allorquando  quella  ricerca,
comunque effettuata, si  sia  conclusa  con  il  rinvenimento  ed  il
sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, e' lo
stesso ordinamento processuale a considerare del tutto irrilevante il
modo con il quale a  quel  sequestro  si  sia  pervenuti:  in  questa
specifica ipotesi, e ancorche' nel contesto  di  una  situazione  non
legittimamente creata, il sequestro rappresenta un "atto dovuto",  la
cui omissione esporrebbe  gli  autori  a  specifiche  responsabilita'
penali,  quali  che  siano   state,   in   concreto,   le   modalita'
propedeutiche e funzionali  che  hanno  consentito  l'esito  positivo
della ricerca compiuta. 
    Con cio' non si  intende  affatto  affermare  che  l'oggetto  del
sequestro, a causa della sua intrinseca  illiceita',  ovvero  per  il
rapporto strumentale che esso puo' esprimere in  relazione  al  reato
commesso,  possa,  per  cio'  solo,  dissolvere  quella   connessione
funzionale   che   lega   la   perquisizione   alla    scoperta    ed
all'acquisizione di  cio'  che  si  cercava,  ma  si  vuole  soltanto
precisare che allorquando ricorrono le condizioni previste  dall'art.
253, primo comma codice di procedura penale, gli aspetti  strumentali
della ricerca, pur rimanendo partecipi del  procedimento  acquisitivo
della prova, non possono mai paralizzare l'adempimento di un  obbligo
giuridico che trova la  sua  fonte  di  legittimazione  nello  stesso
ordinamento  processuale  ed  ha  una  sua  razionale  ed   appagante
giustificazione nell'esigenza che l'ufficiale di polizia  giudiziaria
non si sottragga all'adempimento dei doveri indefettibilmente  legati
al suo "status", qualunque sia la situazione - legittima o  no  -  in
cui egli si trovi ad operare». 
    Concludevano quindi le SS.UU. osservando che gli agenti  di  p.g.
avrebbero poi potuto testimoniare sugli  esiti  della  perquisizione,
ferma restano l'inutilizzabilita' di essa in quanti  tale  (e  cioe',
par di capire, del verbale che ne documenta modalita', tempo,  luoghi
e risultato). 
    Da tale arresto delle Sezioni Unite ha tratto origine e  sviluppo
una giurisprudenza che si e'  ancorata  unicamente  alle  statuizioni
circa  la  legittimita'  ed  utilizzabilita'  a  fini  probatori  del
sequestro, rimanendo apparentemente dimentica dell'insegnamento e dei
principi affermati  dalle  stesse  SS.UU.  nella  prima  parte  della
propria statuizione,  e  che  probabilmente  avrebbero  meritato  una
riflessione e sviluppo ulteriori: come, ad es.,  quella  che  volesse
limitare l'utilizzabilita'  probatoria  del  sequestro  alla  res  in
quanto tale,  cioe'  nella  sua  materiale  idoneita'  a  provare  la
sussistenza del fatto (si pensi  al  rinvenimento  di  un'arma  o  di
sostanza  stupefacenti,  idonei  a  provare  i  reati  di  detenzione
illecita di tali oggetti) ed  a  fungere  da  eventuale  supporto  di
tracce di reato (impronte digitali, materiale biologico  suscettibile
di  comparazione  del  DNA)   aventi   carattere   individualizzante:
interpretazione, questa, sostenuta da questo  Giudice  in  precedenti
procedimenti,  ma  non  condivisa  dai  Giudici  competenti   per   i
successivi gradi, che si sono sempre rimessi alla giurisprudenza  che
si e' richiamata e che delle citate SS.UU. coglieva, sostanzialmente,
solo quanto risultante dal dispositivo e dalla massima. 
    Come si e' detto, la successiva giurisprudenza di legittimita' di
e'  monoliticamente   assestata   su   tali   esiti   interpretativi,
confermando reiteratamente la legittimita' del sequestro  conseguente
ad una perquisizione illegittima,  e  la  sua  piena  utilizzabilita'
probatoria; si citano, ad es., ed in assenza di  pronunzie  di  segno
contrario, che lo scrivente magistrato non e' riuscito a rinvenire: 
        Sez. 3, Ordinanza n. 3879  del  14  novembre  1997;  Sez.  l,
Sentenza n. 2791 del 27 gennaio 1998, Sez. 5, Sentenza n. 6712 del  7
dicembre 1998, Sez. 3, Sentenza n. 1228 del 17 marzo  2000,  Sez.  4,
Sentenza n. 8052 del 2 giugno 2000, Sez. 6, Sentenza n.  3048  del  3
luglio 2000, Sez. 2, Sentenza n. 12393 del 10 agosto  2000,  Sez.  1,
Sentenza n. 45487 del 28 settembre 2001, Sez. 1,  Sentenza  n.  41449
del 2 ottobre 2001, Sez. 1, Sentenza n. 497 del 5 dicembre 2002, Sez.
5, Sentenza n. 1276 del 17 dicembre 2002, Sez. 2, Sentenza  n.  26685
del 14 maggio 2003, Sez. 2, Sentenza n. 26683  del  14  maggio  2003,
Sez. 1, Sentenza n. 18438 del 28 aprile 2006,  Sez.  2,  Sentenza  n.
40833 del 10 ottobre 2007, Sez. 6, Sentenza n. 37800  del  23  giugno
2010, Sez. 1, Sentenza n. 42010 del 28 ottobre 2010, Sez. 2, Sentenza
n. 31225 del 25 giugno  2014,  Sez.  3,  Sentenza  n.  19365  del  17
febbraio 2016, Sez. 2, Sentenza n. 15784 del 23 dicembre 2016. 
    Alla luce di richiamati principi espressi dagli articoli 13 e  14
Cost., questo giudicante  dubita  che  le  norme  vigenti,  per  come
interpretate dalla giurisprudenza assolutamente prevalente (e tale da
dar luogo ad un vero e proprio diritto vivente), siano rispettose del
dettato costituzionale, ed in particolare degli articoli 3, 13, 14  e
117  (con  riferimento  all'art.  8  della  Convenzione  EDU)   della
Costituzione, nella parte  in  cui  le  norme  di  diritto  ordinario
consentono  l'utilizzabilita'  processuale  -  mediante   deposizione
testimoniale o lettura o altra - forma di utilizzazione  del  verbale
di quanto risultante dalla perquisizione  e  dal  sequestro  -  della
valenza probatoria degli esiti di una perquisizione o ispezione e  di
quanto eventualmente sequestrato in occasione dell'esecuzione di tali
atti, allorche' essi siano eseguiti dalla p.g. fuori dei casi in  cui
la legge  costituzionale  e  quella  ordinaria  le  attribuiscono  il
relativo potere. 
    L'interpretazione   maggioritaria   circa   l'irrilevanza   della
illegittimita' della perquisizione  sulla  utilizzabilita'  dei  suoi
esiti  si  risolverebbe  quindi,  del  tutto  paradossalmente,  nella
teorizzazione di un sistema giuridico che vuole inefficaci ab origine
le leggi incostituzionali, ma efficacissimi gli atti di p.g. compiuti
in violazione dei diritti costituzionali del cittadino. 
    Tale giurisprudenza, invero: 
        a) sembra operare una confusione di piani  tra  il  sequestro
inutilizzabile ed il sequestro inutile probatoriamente, posto che, di
fatto,  e  data  l'estensione  concettuale  della  nozione  di   cose
pertinenti al reato, finisce con escludere la validita' - in caso  di
perquisizione illegittima - solo del sequestro  inutile:  il  che  e'
assolutamente inconferente rispetto alle  tematiche  e  problematiche
poste dall'art. 191 c.p.p.; 
        b) non considera che il sequestro non e'  una  prova,  ma  il
mezzo che serve ad assicurare al processo  la  res  che  puo'  essere
fonte di prova; 
        c) non considera che la valenza probatoria di una determinata
res e' generalmente data non dalla sola cosa in se'  (la  quale  puo'
generalmente provare la sussistenza del fatto ma non  necessariamente
chi lo abbia commesso, se  non  nel  caso  in  cui  sulla  res  siano
rinvenibili tracce biologiche, papillari o di  altro  genere  che  ne
permettano la riconducibilita' ad un determinato soggetto), ma  anche
dalle circostanze del suo rinvenimento, specie  allorche'  si  tratti
appunto del corpo del reato, essendo il suo possesso  (svelato  dalla
perquisizione) ad essere  indizio  grave  di  commissione  del  reato
stesso; 
        d) non osserva che, pertanto, cio' che sommamente rileva  non
e'  tanto  la  legittimita'  del  sequestro,  quanto   quella   della
perquisizione tramite la quale  si  e'  rinvenuta  la  res  (con  suo
successivo  sequestro),  atteso   che   e'   la   perquisizione   che
generalmente  comprova  quella  relazione  personale  tra   la   cosa
indiziante di delitto e l'autore dello stesso; 
        e) non avverte che la ratio della norma di cui  all'art.  191
c.p.p., che prevede  l'inutilizzabilita'  delle  prove  acquisite  in
violazione di un divieto di legge, e' quella  di  offrire  un  valido
presidio ai diritti costituzionalmente  garantiti,  disincentivandone
le violazioni finalizzate all'acquisizione  della  prova,  rendendone
inutilizzabili gli esiti probatori (si  veda  ad  es.  la  disciplina
della inutilizzabilita' delle intercettazioni illegittime ex art. 271
c.p.p.; si pensi all'inutilizzabilita' ex  art.  188  c.p.p.  di  una
confessione assunta sotto tortura o sotto  l'effetto  di  metodi  che
possano influire sulle capacita' di autodeterminazione della  persona
dichiarante; si considerino  le  conseguenze  di  un'acquisizione  di
tabulati del traffico telefonico eseguita dalla p.g.  in  assenza  di
provvedimento motivato dell'A.G.); 
        f) non assegna  adeguato  valore  alla  circostanza  che  una
perquisizione domiciliare o personale, eseguita da chi non ne  ha  il
potere, e' un  caso  tipico  di  prova  vietata  dalla  legge  ed  in
violazione di diritti costituzionali della persona (cfr. articoli  13
e 14 Cost.; art. 8  CEDU),  e  la  conseguenza  deve  necessariamente
essere  la  inutilizzabilita'  dei  suoi  risultati  (come   previsto
dall'art. 13, comma 3 Cost.), conformemente a quella che e' la  ratio
dell'art. 191 c.p.p.  che,  inibendo  l'utilizzabilita'  degli  esiti
delle  prove  vietate  perche'  assunte  in  violazione  di   diritti
costituzionali, intende appunto scoraggiare  la  violazione  di  quei
diritti costituzionali; 
        g) non considera che ritenere altrimenti, lasciando aperta la
possibilita' di una sorta di «sanatoria» ex post, legata  agli  esiti
della perquisizione, equivale a negare la tutela  del  cittadino  dai
possibili abusi della p.g.: tutela  assicurata  in  via  generale  ed
astratta dagli articoli 13 e 14 Cost.,  ma  che  verrebbe  vanificata
dall'incentivazione  agli   abusi   per   mancanza   di   conseguenze
processuali relative alla inutilizzabilita' dei loro risultati; ed  i
drammatici fatti di Genova e di Bolzaneto  appaiono  esserne  storica
conferma e dimostrazione. 
    La scarsa tenuta logica di una simile interpretazione  -  vera  e
propria  mina  di  irrazionalita',  che  si  presta   ad   introdurre
trattamenti  irrispettosi  del   principio   di   eguaglianza   delle
situazioni processuali equiparabili: si pensi  alla  gia'  richiamata
giurisprudenza che riconosce la non utilizzabilita'  di  altre  prove
vietate, quali gli anonimi e le fonti confidenziali, nemmeno ai  fini
della legittimazione di una perquisizione - deve  invece  condurre  a
ritenere che una perquisizione eseguita  in  forza  di  elementi  non
utilizzabili, e senza che ricorresse gia' una preesistente situazione
di flagranza, sia non solo  illegittima,  ma  anche  improduttiva  di
elementi utilizzabili ai fini della  prova  in  danno  dell'imputato,
atteso che cio' non solo e' imposto dagli articoli 13 e 14 Cost.,  ma
anche da una  piana  lettura  dell'art.  191  c.p.p.  rispettosa  dei
principi costituzionali, ma allo stato negata dal diritto vivente. 
    Nei casi considerati ricorrerebbero infatti, a parere  di  questo
Giudice, i presupposti  di  applicabilita'  della  conseguenza  della
inutilizzabilita' processuale ai sensi dell'art. 191 c.p.p., in  base
ad una piana lettura della norma ed alla  ratio  della  stessa,  come
colta al punto f) che precede; ed infatti,  appare  evidente  che  la
p.g., allorche' proceda ad un atto di perquisizione fuori dei casi  a
lei  consentiti,  compia  un  atto  che  le  e'  vietato  -   e   non
semplicemente un atto irrituale o  nullo,  come  pure  talora  si  e'
sostenuto in talune pronunzie della Corte di cassazione - atteso  che
sia la legge ordinaria che  quella  costituzionale  prevedono  (oltre
alla riserva di legge dettata dagli  articoli  13  e  14  Cost.)  una
riserva del potere di perquisizione all'Autorita' giudiziaria,  nella
delineazione di una serie di garanzie  a  tutela  della  effettivita'
dello Stato di diritto (e delle liberta' individuali che questo  deve
garantire),  in  cui  i  poteri  della   polizia   e   degli   organi
amministrativi   sono   sottoposti   al   principio   di   legalita',
prevedendosi  addirittura  una  riserva  di   potere   dell'Autorita'
giudiziaria,  nei  casi  che  coinvolgono  l'esercizio   di   diritti
costituzionali fondamentali dei privati (quali la liberta'  personale
e quella domiciliare, che ex art. 14 comma 2 Cost.  e'  «aggredibile»
solo «negli stessi casi e  modi  stabiliti  dalla  legge  secondo  le
garanzie prescritte per la tutela della liberta' personale»). 
    L'interpretazione dominante che comunque consente di «recuperare»
ed utilizzare gli  esiti  delle  perquisizioni  illegittime,  negando
l'applicabilita' dell'art. 191 c.p.p.  al  sequestro  del  corpo  del
reato o di cosa pertinente al reato, appare pertanto negare  concreta
attuazione a quanto previsto dagli articoli 13 e 14 Cost.  in  ordine
alla perdita di efficacia della perquisizione e delle ispezioni e dei
sequestri ad esse conseguenti, allorche' eseguiti in  violazione  dei
divieti; l'art. 191  c.p.p.,  come  esistente  nel  diritto  vivente,
appare quindi in contrasto con i predetti  articoli  13  e  14  della
Costituzione. 
    Non e' peraltro fuori luogo osservare,  come  peraltro  da  tempo
rilevato non solo dalla dottrina, ma anche dalla suprema  Corte,  che
la  ragione  d'essere  della   disciplina   delle   inutilizzabilita'
stabilita dall'art. 191 c.p.p. non e' tanto di ordine etico (e cioe',
il rifiuto del legislatore di riconoscere valore probatorio  ad  atti
illeciti),  quanto  di  ordine  politico  costituzionale,   essendosi
rilevato che l'effettivita' della tutela  dei  valori  costituzionali
che piu' facilmente vengono lesi in caso di assunzione  di  prova  in
violazione di un divieto, riposa nel negare  ogni  utilizzabilita'  a
quanto cosi' venga acquisito: atteso che, grazie a  tale  divieto  di
utilizzabilita', si scoraggeranno e disincentiveranno quelle pratiche
di  acquisizione  della  prova  con  modalita'  illegali  (e   talora
francamente illecite), che violano i  diritti  costituzionali  a  cui
presidio sono appunto posti i divieti rinvenibili nel codice di  rito
e nelle norme speciali. 
    La  giurisprudenza  formatasi  sulla  scorta  della   citata   C.
cassazione SS.UU. 5021/1996 realizza, pertanto, anche una  violazione
dell'art. 3 Cost., in quanto del tutto irragionevolmente ed a  fronte
di   una   palese   identita'   di   ratio,   nega   la   conseguenza
dell'inutilizzabilita' di cui all'art. 191 c.p.p. a  casi  del  tutto
sovrapponibili ad altri (per certi versi addirittura meno gravi)  per
i quali la legge espressamente la prevede: basti pensare, ad es., non
solo alle ipotesi di intercettazioni eseguite d'iniziativa dalla p.g.
e quindi in assenza di decreto motivato dell'A.G. (caso sanzionato di
inutilizzabilita' dall'art. 271  c.p.p.,  avente  la  medesima  ratio
dell'art.  191  c.p.p.),  ma  anche  al  caso  dell'acquisizione  dei
tabulati  del  traffico  telefonico  eseguito   senza   provvedimento
motivato del pubblico ministero, ipotesi che le stesse  SS.UU.  della
suprema Corte di cassazione hanno ritenuto dar luogo ad un'ipotesi di
inutilizzabilita' della prova perche' acquista in  violazione  di  un
divieto di legge (cfr. Sez. U. Sentenza n. 21 del 13 luglio 1998). 
    L'interpretazione stabilizzatasi dell'art. 191 c.p.p., in tema di
conseguenza di una perquisizione illegittima e di  legittimita',  per
contro, del conseguente sequestro,  si  risolve  quindi  nell'operare
anche una ingiustificata disparita' di trattamento  tra  indagati  in
situazioni del tutto analoghe, con conseguente violazione dell'art. 3
Cost. 
    Sempre in tema di violazione dell'art. 3 Cost., appare necessario
rilevare come tale norma si atteggi a scrigno in cui e' racchiuso  in
germe  e  riassunto  il   principio   di'   necessaria   razionalita'
dell'ordinamento dello Stato di diritto disegnato dalla Costituzione;
razionalita'  che   risulta   gravemente   violata   dalla   corrente
interpretazione  circa   la   utilizzabilita'   degli   esiti   delle
perquisizioni illegittime; e cio' in quanto che: 
        a) l'interpretazione maggioritaria circa l'irrilevanza  della
illegittimita' della perquisizione  sulla  utilizzabilita'  dei  suoi
esiti si risolve attualmente, in maniera del tutto paradossale, nella
teorizzazione di un sistema giuridico che vuole inefficaci ab origine
le leggi incostituzionali (argomenta ex art. 30, comma 3 e  4,  legge
n. 87/1953), e la loro efficacia sospendibile dal  giudice  ordinario
che ne ravvisi un possibile contrasto con le norme costituzionali, ma
efficacissimi, anche sotto il profilo probatorio, gli atti di p.g.  -
e non disapplicabili  ne'  discutibili  dal  Giudice  -  compiuti  in
violazione dei diritti costituzionali del cittadino; 
        b)  la  suddetta  interpretazione   appare   realizzare   una
negazione  radicale  dei  principi  dello  Stato  di  diritto   quale
tratteggiato dalla Costituzione, racchiuso in germe nell'art. 3 Cost.
(come gia'  si  e'  osservato),  e  piu'  in  particolare  sviluppato
dall'art. 2 Cost., in quanto finisce per risolversi  nell'assenza  di
effettive  garanzie  contro  violazioni   dei   diritti   inviolabili
dell'uomo, tra  i  quali  appare  senz'altro  rientrare  quello  alla
liberta' personale, laddove invece il suddetto art.  2  Cost.  impone
alla  Repubblica  non  solo  di  riconoscere  tali  diritti,  ma   di
garantirli: il che implica la necessaria adozione di tutte le cautele
necessarie non solo a reprimere, ma prima di tutto a  scoraggiare  la
violazione di tali  diritti;  e  la  sanzione  dell'inutilizzabilita'
probatoria che discenderebbe dall'art. 191 c.p.p. (nella lettura  che
risulterebbe dall'operazione di ortopedia costituzionale  che  questo
Giudicante ritiene necessaria), nel deprivare di effetti  processuali
il risultato «probatorio» di tali violazioni, costituisce la prima  e
piu' efficace forma di  garanzia  che  uno  Stato  di  diritto  possa
assicurare ai diritti della persona; 
        c) l'interpretazione che si avversa, inoltre, nega  lo  Stato
di diritto quale configurato dall'art. 97, comma 3 Cost., che vuole -
con norma generale che appare applicabile anche alle definizione  dei
poteri degli  organi  di  polizia  -  l'azione  dei  pubblici  poteri
sottomessa al principio di legalita'; se, come gia' si e'  osservato,
in uno Stato di diritto, lo Stato ed i suoi  organi  sono  per  primi
vincolati al rispetto delle leggi di cui pur pretendono  l'osservanza
da parte dei consociati, e se cio' comporta non solo l'impegno a  non
violare tali leggi, ma anche a  garantire  l'effettivo  rispetto  dei
diritti che tali leggi prevedono ed attribuiscono, appare  innegabile
che ammettere l'efficacia - e per di piu' nel processo penale  ed  in
aggressione ai diritti di liberta' - degli atti compiuti dai pubblici
poteri in violazione di un divieto, appare negare anche il  principio
di cui all'art. 97 Cost., oltre  ad  attribuire  all'azione  illegale
degli organi statuali una prevalenza sui diritti  costituzionali  dei
consociati,  che  appare  realizzare,  sotto  questo   profilo,   una
ulteriore palese violazione dell'art. 3 Cost., in un ordinamento  che
vuole centrali i diritti inviolabili della persona - e quindi  quanto
meno gli stessi sullo stesso piano di quelli  della  collettivita'  e
dello Stato - ma finisce invece per violare tale condizione  di  pari
importanza per assegnare prevalenza  all'interesse  alla  repressione
dei reati; 
        d) l'interpretazione di cui si contesta la costituzionalita',
inoltre,  viola   l'art.   3   Cost.   anche   perche',   del   tutto
irrazionalmente, convive con quella che riconosce l'inutilizzabilita'
di  prove  vietate  dalla  legge  solo  in  virtu'  della  loro   non
verificabilita' (scritti anonimi,  fonti  confidenziali),  mentre  la
nega a prove acquisite in diretta violazione di un divieto scaturente
dalla legge (anche costituzionale) e che, comunque, si caratterizzano
anch'esse per una ridotta verificabilita': si pensi  appunto  a  come
l'insondabilita'  degli  elementi  che  hanno  spinto  la  p.g.  alla
perquisizione non consenta di verificare la genuinita' della  «catena
indiziaria» e di escludere che possano essere stati proprio  i  terzi
autori della propalazione confidenziale o anonima (ma in ipotesi  non
risultante neppure dal p.v. di perquisizione), o addirittura  -  come
talora e' purtroppo  accaduto  -  le  stesse  forze  di  polizia,  ad
introdurre nell'abitazione la  «res  illicita»  costituente  supposta
prova del reato; cosi' evidenziandosi, sotto tale profilo,  anche  un
contrasto con l'art. 24 della Costituzione, per l'evidente limite che
la tesi dell'utilizzabilita' pone  all'esplicazione  del  diritto  di
difesa, introducendo nell'ambito delle prove utilizzabili elementi di
cui  sia  di  fatto  impossibile  verificare   approfonditamente   la
genuinita'. 
    L'interpretazione consolidatasi si pone infine in  contrasto  con
l'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, e quindi in
contrasto con l'art. 117 Cost. che  impone  allo  Stato  italiano  il
rispetto delle Convenzioni internazionali, in quanto si  risolve  nel
non adottare efficaci disincentivi agli abusi delle forze di polizia,
e di qualsiasi organo  dello  Stato  in  genere,  che,  limitando  la
liberta' della persona, si risolvano in indebite  interferenze  nella
sua vita privata o nel suo domicilio, non giustificate  da  oggettive
esigenze di prevenzione o repressione dei reati. 
    A parere di  questo  giudicante,  la  conseguenza  della  dedotta
incostituzionalita' e' anche il divieto  di  testimonianza,  per  gli
operatori  di  p.g.,  in  ordine  al  risultato  delle  attivita'  di
ispezione, perquisizione e  sequestro  indebitamente  eseguite;  tale
divieto, invero, appare conseguire alla perdita di ogni efficacia  di
tali attivita'; ammettere tali deposizioni, peraltro, equivarrebbe  a
vanificare  tale  divieto  e  la  ratio  sottostante  ai  divieti  di
utilizzabilita' di cui all'art. 191 c.p.p.. 
    Ne consegue che la questione e' rilevante nel  presente  giudizio
abbreviato anche laddove si  volesse  ipotizzare,  per  ovviare  alla
inutilizzabilita'   che    dovrebbero    essere    ravvisate    nelle
perquisizioni, l'assoluta necessita' di procedere, ex art. 441, comma
5 c.p.p. di procedere  all'ascolto  dei  verbalizzanti  in  ordine  a
quanto rinvenuto sulla  persona  e  nel  bagaglio  dell'imputato:  ed
invero, come osservato, la sanzione  dell'inutilizzabilita'  dovrebbe
investire, in un'interpretazione corretta dell'art. 191 c.p.p., anche
l'eventuale deposizione in  ordine  agli  esiti  della  perquisizione
illegittima. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 1 legge cost. n. 1/48, e  23  della  legge  n.
87/53; 
    Dichiara d'ufficio rilevante e non  manifestamente  infondata  la
questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 191 c.p.p.,  per
contrasto con gli articoli 2, 3, 13, 14, 24, 97 comma 3 e  117  Cost.
(quanto a quest'ultima norma, con  riferimento  ai  principi  di  cui
all'art. 8 della Convenzione europea dei  diritti  dell'uomo),  nella
parte in cui non prevede che la  sanzione  dell'inutilizzabilita'  ai
fini della prova riguardi anche gli esiti probatori, ivi compreso  il
sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, degli
atti di perquisizione ed ispezione compiuti dalla p.g. fuori dei casi
tassativamente  previsti  dalla  legge  o  comunque  non  convalidati
dall'A.G.  con  provvedimento  motivato,   nonche'   la   deposizione
testimoniale in ordine a tali attivita'; 
    Ordina la notificazione della presente  ordinanza,  al  difensore
dell'imputato, all'imputato, al pubblico ministero, ed al  Presidente
del Consiglio dei ministri, e la sua comunicazione ai Presidenti  dei
due rami del Parlamento; 
    Dispone la successiva trasmissione  della  presente  ordinanza  e
degli atti del procedimento, unitamente  alla  prova  dell'esecuzione
delle notificazioni e delle comunicazioni previste dalla legge,  alla
Corte  costituzionale   per   la   decisione   della   questione   di
costituzionalita' cosi' sollevata; 
    Sospende  il  procedimento  sino  alla  decisione   della   Corte
costituzionale. 
        Lecce, 12 dicembre 2017 
 
                         Il Giudice: Sernia