N. 149 SENTENZA 21 giugno - 11 luglio 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Ordinamento penitenziario - Benefici penitenziari -  Condannati  alla
  pena dell'ergastolo per i delitti di cui agli artt. 630  e  289-bis
  del codice penale, che abbiano cagionato la morte del sequestrato. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento  penitenziario
  e  sull'esecuzione  delle  misure  privative  e  limitative   della
  liberta'), art. 58-quater, comma 4. 
-   
(GU n.29 del 18-7-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,   Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  58-quater,
comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative  e  limitative
della liberta'), promosso dal Tribunale di sorveglianza  di  Venezia,
nella procedura di sorveglianza ad istanza di D. D.A., con  ordinanza
del 28 aprile 2017, iscritta al n. 119 del registro ordinanze 2017  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  38,  prima
serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visto l'atto di costituzione di D. D.A.; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  20  giugno  2018  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    udito l'avvocato Annamaria Marin per D. D.A. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale di sorveglianza di Venezia, con ordinanza del 28
aprile 2017, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3  e  27,  terzo
comma, della Costituzione, questioni di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 58-quater, comma 4, della legge  26  luglio  1975,  n.  354
(Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle  misure
privative e limitative della liberta'), «nella parte in  cui  prevede
che i condannati all'ergastolo per il delitto di cui all'art. 630 del
codice penale, che abbiano cagionato la morte  del  sequestrato,  non
sono ammessi ad alcuno dei benefici indicati nel  comma  1  dell'art.
4-bis se non abbiano effettivamente espiato almeno ventisei anni»  di
pena. 
    2.- Il giudice  rimettente  illustra  preliminarmente  di  essere
investito  di  una  istanza  di  concessione  del   beneficio   della
semiliberta' ai sensi dell'art. 50 ordin.  penit.,  formulata  da  un
condannato all'ergastolo per il delitto di  sequestro  di  persona  a
scopo di estorsione che aveva cagionato  la  morte  del  sequestrato,
previsto dall'art. 630, terzo comma, cod. pen. 
    Il Tribunale espone che, al momento del  deposito  dell'ordinanza
di rimessione, l'istante, tenendo  conto  delle  detrazioni  di  pena
conseguite a titolo di liberazione anticipata, aveva espiato ventidue
anni, undici mesi e ventidue giorni di detenzione, periodo ampiamente
superiore al limite di venti anni di pena espiata cui e'  normalmente
subordinata, ai sensi  dell'art.  50,  comma  5,  ordin.  penit.,  la
concessione  della  semiliberta'   nei   confronti   dei   condannati
all'ergastolo. 
    Rileva altresi' il rimettente che  il  detenuto  istante  ha  nel
frattempo compiuto una rivalutazione critica in  relazione  al  grave
reato commesso, dando  prova  di  «eccezionale  impegno  negli  studi
universitari»   e   di   «condotta   sempre   regolare»   all'interno
dell'istituto penitenziario, dove da alcuni anni lavorava  presso  un
call center gestito da una cooperativa; ed evidenzia  come  l'istanza
di semiliberta' sia corredata da un'offerta di  contratto  di  lavoro
all'esterno proveniente da altra cooperativa. 
    Sottolinea infine il Tribunale che, nella specie, non  sussistono
le condizioni ostative alla  concessione  dei  benefici  penitenziari
stabilite dall'art. 4-bis ordin. penit., dal momento che il  detenuto
si  e'  trovato  sin  dall'inizio  nell'impossibilita'  di   prestare
un'utile collaborazione  a  norma  dell'art.  58-ter  ordin.  penit.,
essendo le autorita' da subito pervenute  all'integrale  accertamento
dei fatti e delle relative responsabilita'. 
    Il  Tribunale  evidenzia  allora  come  l'unico   ostacolo   alla
concessione  del  beneficio  richiesto  sia  rappresentato  dall'art.
58-quater, comma 4, ordin. penit., che  preclude  la  concessione  di
tutti i benefici indicati  nell'art.  4-bis,  comma  1,  della  legge
medesima ai condannati per i delitti di cui agli artt. 289-bis e  630
cod. pen. che abbiano cagionato la  morte  del  sequestrato,  se  non
abbiano effettivamente espiato almeno i due terzi della pena irrogata
o, nel caso dell'ergastolo, almeno ventisei anni. 
    Il rimettente dubita, tuttavia, della legittimita' costituzionale
di tale disposizione, limitatamente alla parte che  si  riferisce  ai
condannati all'ergastolo per il delitto  di  cui  all'art.  630,  che
abbiano cagionato la morte del sequestrato. 
    2.1.- Preliminarmente, il  Tribunale  rammenta  che,  secondo  la
giurisprudenza di questa Corte, l'ineliminabile funzione  rieducativa
della pena sancita dall'art. 27, terzo comma,  Cost.  si  opporrebbe,
nell'ambito del diritto penitenziario, ad  una  «prevalenza  assoluta
delle esigenze di prevenzione  sociale  su  quelle  di  recupero  dei
condannati» (sentenza n.  189  del  2010),  essendo  invece  criterio
«costituzionalmente   vincolante»   quello   che   «esclude    rigidi
automatismi e richiede sia  resa  possibile  invece  una  valutazione
individualizzante caso per caso» (sentenza n. 436 del 1999). 
    Sottolinea quindi il rimettente  che  la  disposizione  censurata
«rappresenta  un'eccezione  in  peius  rispetto  ad  un  regime  gia'
connotato di specialita' peggiorativa» come quello sancito  dall'art.
4-bis ordin.  penit.,  regime  caratterizzato  dalla  «previsione  di
condizioni temporali di accesso» ai benefici piu' gravose per  coloro
che siano stati condannati per i reati menzionati nello  stesso  art.
4-bis rispetto alla generalita' degli altri condannati. 
    Occorrerebbe pertanto verificare, ad avviso  del  Tribunale,  «se
tale  eccezione  -  o  meglio  "ultra-eccezione"  rispetto   ad   una
previsione gia' speciale -  sia  costituzionalmente  sorretta  da  un
autonomo criterio di  ragionevolezza  nel  quadro  del  rispetto  del
principio di eguaglianza ex art.  3  Cost.»,  criterio  che  dovrebbe
peraltro essere «ulteriore ed aggiuntivo rispetto a quello  che  gia'
sorregge il regime speciale». 
    Un tale criterio  potrebbe  in  ipotesi  ravvisarsi,  secondo  il
rimettente, o in ragioni di ordine oggettivo, e dunque  in  relazione
al maggiore disvalore dei fatti di reato in questione  rispetto  alle
altre ipotesi contemplate dal  medesimo  art.  4-bis  ordin.  penit.;
ovvero in ragioni di tipo  soggettivo,  in  relazione  alla  maggiore
pericolosita'  espressa  dal  condannato  per  uno  dei  due   titoli
criminosi cui si riferisce  la  disposizione  censurata  rispetto  ai
condannati per tutti  gli  altri  reati  menzionati  nell'art.  4-bis
ordin. penit. 
    Quanto al primo profilo, il Tribunale nega  che  possa  in  linea
generale ravvisarsi una maggior gravita' del delitto di sequestro  di
persona qualificato dalla  morte  della  vittima  rispetto  ad  altri
gravissimi reati puniti con  l'ergastolo,  che  implicano  spesso  la
causazione  della  morte  di  una  o  piu'  persone  (come  nel  caso
paradigmatico della strage), ma che cionondimeno sfuggono al rigoroso
regime penitenziario  discendente  dalla  disposizione  censurata,  a
volte non essendo neppure ricompresi nell'elenco dei reati che  danno
luogo alle preclusioni stabilite dall'art. 4-bis ordin. penit. 
    Ne' potrebbe, secondo il rimettente, predicarsi in  via  generale
una maggiore pericolosita'  soggettiva  «di  chi  uccida  la  vittima
precedentemente sequestrata a scopo  di  estorsione  (magari  proprio
nell'immediatezza del fatto, come nel caso qui  in  esame  esauritosi
nell'arco  di  poche  ore)  rispetto  a  chi,  in  un   contesto   di
criminalita' organizzata  di  tipo  mafioso  e  proprio  al  fine  di
agevolare i finalismi illeciti  del  sodalizio,  uccida,  in  maniera
premeditata,  futile  ed   efferata   la   vittima,   precedentemente
sequestrata, magari anche al fine di apprendere da questa fatti a sua
conoscenza». 
    Tanto basterebbe, ad avviso del giudice a  quo,  «per  dimostrare
che  la  presunzione  di   maggiore   gravita'/disvalore   attribuita
oggettivamente al delitto di cui  all'art.  630,  comma  3,  c.p.,  o
soggettivamente al condannato per tale fatto - tanto da meritarsi  un
trattamento   penitenziario   deteriore   -   e'   una    presunzione
irragionevole  in  quanto  contrastante  con  l'art.  3  Cost.,   non
rispondendo  a  dati  di  esperienza  generalizzati  riassunti  nella
formula dell'id quod plermque accidit». 
    2.2.-  Un  secondo  profilo  di   illegittimita'   costituzionale
dell'art. 58-quater ordin. penit.  atterrebbe,  nella  prospettazione
del giudice  rimettente,  alla  sua  irragionevolezza  intrinseca  in
rapporto alla necessaria finalita' rieducativa della pena,  ai  sensi
dell'art. 27, terzo comma, Cost. 
    Ritiene  il  Tribunale  che   la   disposizione   sospettata   di
incostituzionalita' si porrebbe in contrasto  con  la  «logica  della
progressione  trattamentale  penitenziaria  che,  notoriamente,  deve
caratterizzare l'espiazione  della  pena  detentiva  in  rapporto  al
finalismo di cui all'art. 27 Cost.».  In  tale  ottica,  non  sarebbe
razionale  «allineare  alla  stessa   elevatissima   quota-parte   di
espiazione  della  detenzione  (26  anni)  il  presupposto   per   la
concessione di  benefici  penitenziari  aventi  finalita'  e  portate
diverse fra loro e  tradizionalmente  preordinati  a  costituire  una
scala di gradualita' nell'opera di rieducazione del  condannato  (dal
permesso premio [...]  fino  alla  liberazione  condizionale,  magari
passando per il regime di semiliberta')». Sarebbe dunque  «del  tutto
irrazionale [...] prevedere che l'ergastolano per il delitto ex  art.
630, comma 3, c.p. possa accedere ad un permesso premio, magari  solo
di poche ore, dopo l'espiazione  di  26  anni  di  pena  "effettiva",
mentre gia' alla medesima soglia di pena -  anzi,  quella  risultante
anche dal  computo  della  liberazione  anticipata  -  il  condannato
ergastolano  per  un  diverso  "reato  4-bis"  (di  pari  o  maggiore
gravita'), possa accedere addirittura alla liberazione condizionale». 
    3.- Con atto depositato il 9 ottobre 2017  si  e'  costituita  la
parte  privata  D.  D.A.  a  mezzo  del  proprio  difensore,  che  ha
sostanzialmente ribadito la  trama  argomentativa  dell'ordinanza  di
rimessione,   sottolineando   peraltro   l'ulteriore    profilo    di
irragionevolezza intrinseca della  disciplina  censurata  consistente
nel  suo   asserito   effetto   disincentivante   la   collaborazione
processuale del condannato, il quale - a differenza di quanto  accade
a tutti gli altri condannati all'ergastolo sottoposti  al  regime  di
cui all'art. 4-bis  ordin.  penit.  -  non  potrebbe  ottenere  alcun
beneficio  premiale  in  conseguenza  di  una  eventuale  scelta   di
collaborazione, sino a che  abbia  effettivamente  scontato  ventisei
anni di detenzione. 
    4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri non  e'  intervenuto
in giudizio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale di sorveglianza  di  Venezia  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3  e  27,  terzo  comma,  della  Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  58-quater,  comma
4, della  legge  26  luglio  1975,  n.  354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative  e  limitative
della liberta'),  «nella  parte  in  cui  prevede  che  i  condannati
all'ergastolo per il delitto di cui all'art. 630 del  codice  penale,
che abbiano cagionato la morte del sequestrato, non sono  ammessi  ad
alcuno dei benefici indicati nel  comma  1  dell'art.  4-bis  se  non
abbiano effettivamente espiato almeno ventisei anni di pena». 
    2.- L'art. 58-quater ordin. penit., il cui comma 4 e'  in  questa
sede censurato, fu introdotto nella legge n. 354 del 1975 in  materia
di ordinamento penitenziario dall'art. 1 del decreto-legge 13  maggio
1991,  n.  152  (Provvedimenti  urgenti  in  tema   di   lotta   alla
criminalita'  organizzata  e  di   trasparenza   e   buon   andamento
dell'attivita' amministrativa), convertito, con modificazioni,  nella
legge 12 luglio 1991, n. 203. 
    Al fine di meglio comprendere lo specifico contesto normativo  in
cui  la  disposizione  oggetto  dei  dubbi  di  costituzionalita'  si
inserisce,   appare   preliminarmente   opportuna    una    sintetica
ricapitolazione di talune coordinate  essenziali  della  novella  del
1991, peraltro di pochissimo successiva ad altro intervento normativo
- ad opera del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8  (Nuove  norme  in
materia di sequestri di persona  a  scopo  di  estorsione  e  per  la
protezione dei testimoni di giustizia, nonche' per la protezione e il
trattamento  sanzionatorio  di  coloro   che   collaborano   con   la
giustizia), convertito, con modificazioni, nella legge 15 marzo 1991,
n. 82 - in  cui  erano  state  introdotte  incisive  misure  volte  a
contrastare l'odioso, e  all'epoca  ancora  assai  diffuso,  fenomeno
criminoso dei sequestri di persona a  scopo  di  estorsione,  tra  le
quali il sequestro dei beni utilizzabili per far conseguire il prezzo
del riscatto (il cosiddetto "blocco dei beni" dei sequestrati  e  dei
loro famigliari). 
    2.1.- Con il menzionato d.l. n.  152  del  1991,  il  legislatore
intese rafforzare il contrasto alla criminalita'  organizzata,  anche
attraverso  una  serie  di  modifiche  alla  legge   sull'ordinamento
penitenziario del 1975, sul cui impianto aveva inciso in profondita',
soltanto qualche anno  prima,  la  legge  10  ottobre  1986,  n.  663
(Modifiche  alla  legge  sull'ordinamento   penitenziario   e   sulla
esecuzione delle  misure  privative  e  limitative  della  liberta').
Quest'ultima, piu' nota come  "legge  Gozzini",  aveva  ulteriormente
potenziato    l'originaria    ratio,    perseguita    dalla     legge
sull'ordinamento penitenziario, di favorire il graduale reinserimento
sociale dei  condannati  a  pena  detentiva;  cio',  in  particolare,
attraverso il rafforzamento dei benefici per i detenuti che  avessero
dato prova di partecipazione all'opera rieducativa e la previsione ex
novo dei permessi premio. 
    Nel 1991  il  legislatore  -  comprensibilmente  allarmato  dalle
crescenti minacce provenienti dalla criminalita' mafiosa, che  l'anno
seguente sarebbero culminate nelle stragi di Capaci e di via D'Amelio
- attuo'  una  prima  parziale  correzione  di  rotta  rispetto  alla
filosofia di fondo degli interventi realizzati nel 1975  e  nel  1986
sull'ordinamento   penitenziario,   introducendo   un   sistema    di
preclusioni all'accesso ai benefici, applicabile  ai  condannati  per
particolari delitti. 
    Tale sistema si articolava attorno ad un nuovo art. 4-bis  ordin.
penit., che nel suo impianto originario prevedeva una distinzione tra
due fasce di condannati. La prima fascia comprendeva i condannati per
tutti i delitti commessi per finalita' di terrorismo o di  eversione,
per associazione di tipo mafioso di cui all'art. 416-bis cod. pen.  e
per altri delitti  commessi  avvalendosi  delle  condizioni  previste
dallo stesso articolo o  al  fine  di  agevolare  tali  associazioni,
nonche' per associazione finalizzata al traffico  di  stupefacenti  e
per sequestro  di  persona  a  scopo  di  estorsione:  delitti  tutti
caratterizzati dal necessario, o almeno - come nel caso del sequestro
estorsivo  -  dal  normale  inserimento  del  reo  in  una  compagine
criminosa, o ancora da sue specifiche connessioni con  organizzazioni
criminali. Rispetto a tali delitti, il legislatore del 1991  stabili'
che i  benefici  previsti  dall'ordinamento  penitenziario  potessero
essere concessi soltanto se, in positivo,  fossero  stati  «acquisiti
elementi tali  da  escludere  l'attualita'  di  collegamenti  con  la
criminalita' organizzata o eversiva». La seconda  fascia  comprendeva
invece i delitti di omicidio, rapina ed estorsione aggravate, nonche'
di produzione  e  traffico  di  ingenti  quantita'  di  stupefacenti:
delitti, questi, per i  quali  le  connessioni  con  la  criminalita'
organizzata  erano,  nella  valutazione  del  legislatore,  meramente
eventuali, e per i  quali  il  nuovo  art.  4-bis  prevedeva  che  la
concessione dei benefici fosse subordinata al requisito, di carattere
negativo, che non  vi  fossero  elementi  tali  da  far  ritenere  la
sussistenza  di  collegamenti  con  la  criminalita'  organizzata   o
eversiva. 
    Rispetto  poi  ai  condannati  per  tutti  i  delitti  menzionati
nell'art. 4-bis (indipendentemente dal loro inserimento nella prima o
nella seconda fascia) il legislatore del 1991 introdusse una serie di
soglie  temporali  rigide  per  l'accesso  ai  benefici  del   lavoro
all'esterno, dei permessi premio e della semiliberta', disponendo  in
particolare che per questi condannati una quota  parte  (pari  a  due
terzi o, nel caso dei permessi premio, alla meta') della pena dovesse
essere espiata necessariamente in carcere. Parallelamente,  il  nuovo
art. 58-ter ordin. penit. stabili', in chiave premiale, che, in  caso
di collaborazione con la giustizia da parte del detenuto, tali soglie
temporali non dovessero piu' trovare  applicazione,  con  conseguente
riespansione della disciplina generale relativa a ciascun beneficio. 
    L'art. 4-bis ordin. penit. fu oggetto, negli anni successivi,  di
numerose  modifiche  e  integrazioni,  che  ne   conservarono   pero'
inalterata la  funzione  essenziale  di  norma  di  sbarramento  alla
concessione dei benefici penitenziari nei  confronti  dei  condannati
per una serie - sempre piu' numerosa - di  reati,  in  assenza  delle
condizioni prescritte dallo stesso art. 4-bis; e cio' con  lo  scopo,
in estrema sintesi, di evitare l'uscita dal carcere - anche solo  per
poche ore  -  di  condannati  verosimilmente  ancora  pericolosi,  in
particolare  in  ragione  dei  loro   persistenti   legami   con   la
criminalita'  organizzata.  La  modifica  piu'   incisiva,   rispetto
all'assetto originario della norma, fu peraltro realizzata  gia'  nel
1992, in forza del decreto-legge 8 giugno  1992,  n.  306  (Modifiche
urgenti al nuovo  codice  di  procedura  penale  e  provvedimenti  di
contrasto alla criminalita' mafiosa), convertito, con  modificazioni,
nella legge 7 agosto 1992,  n.  356,  con  cui  si  stabili'  che  ai
condannati per i soli delitti di prima fascia - tra cui il  sequestro
di persona a scopo di estorsione e il sequestro di persona a scopo di
terrorismo o di eversione  -  i  benefici  previsti  dall'ordinamento
penitenziario,  fatta  eccezione  per  la   liberazione   anticipata,
potessero   essere   concessi    soltanto    subordinatamente    alla
collaborazione con la giustizia da parte del  condannato;  condizione
questa cui  furono  successivamente  affiancate,  per  effetto  delle
pronunce di questa Corte (in particolare, sentenze n. 68 del  1995  e
n. 357 del 1994), quelle alternative della collaborazione  cosiddetta
irrilevante e della collaborazione cosiddetta impossibile. 
    2.2.- Con specifico riguardo ai soli condannati per i delitti  di
sequestro di persona a scopo di estorsione ovvero di terrorismo o  di
eversione, l'originario  d.l.  n.  152  del  1991,  come  convertito,
introdusse altresi' la disposizione di cui all'art. 58-quater,  comma
4, ordin.  penit.,  mai  modificata  in  seguito  e  in  questa  sede
censurata, a tenore della quale, nell'ipotesi in cui tali  condannati
abbiano cagionato la morte  del  sequestrato,  nessuno  dei  benefici
indicati nell'art. 4-bis, comma 1, ordin.  penit.  puo'  essere  loro
concesso, sino a che non abbiano effettivamente espiato almeno i  due
terzi della pena irrogata o, nel caso dell'ergastolo, almeno ventisei
anni. 
    Il richiamo testuale ai «benefici indicati nel comma 1  dell'art.
4-bis» consente,  oggi,  di  escludere  dalla  preclusione  stabilita
dall'art.  58-quater  il  beneficio  della  liberazione   anticipata.
Infatti, l'art. 4-bis ordin. penit. - cosi' come novellato  ad  opera
del citato d.l. n. 306 del 1992 e mai piu' modificato in parte qua  -
espressamente eccettua dal proprio ambito applicativo la  liberazione
anticipata; con conseguente possibilita', anche per le  categorie  di
condannati indicati dall'art. 58-quater, di accumulare le  detrazioni
di pena (oggi pari a quarantacinque giorni per ogni singolo  semestre
di pena scontata) previste dall'art. 54 ordin. penit. sin dall'inizio
dell'espiazione della  pena.  Tuttavia,  l'avverbio  «effettivamente»
contenuto nell'art. 58-quater  evidenzia  l'inequivoca  volonta'  del
legislatore di subordinare l'accesso  concreto  a  ciascun  beneficio
all'integrale espiazione dei due terzi della  pena  o,  nel  caso  di
ergastolo,  di  ventisei   anni;   con   conseguente   inoperativita'
relativamente  ai  benefici  richiamati,  per  queste  tipologie   di
condannati, della cosiddetta presunzione di  espiazione  sancita,  in
via generale, dall'art. 54, comma 4, ordin. penit., secondo la  quale
«[a]gli effetti del computo della misura di pena  che  occorre  avere
espiato per essere ammessi ai benefici  dei  permessi  premio,  della
semiliberta' e della  liberazione  condizionale,  la  parte  di  pena
detratta ai sensi del comma 1  si  considera  scontata.  La  presente
disposizione si applica anche ai condannati all'ergastolo». 
    Mentre, dunque, per  la  generalita'  dei  condannati  le  soglie
temporali di accesso ai singoli benefici  possono  essere  anticipate
per effetto delle detrazioni conseguenti alla liberazione anticipata,
in proporzione al numero di semestri nei quali la loro partecipazione
all'opera di rieducazione sia stata valutata in termini positivi,  la
soglia dei due terzi  di  pena  o  dei  ventisei  anni  nel  caso  di
ergastolo, per le speciali categorie di condannati cui  si  riferisce
l'art. 58-quater, non e' suscettibile di alcuna riduzione per effetto
della  liberazione  anticipata,  pure  eventualmente   maturata   dal
condannato per effetto della sua partecipazione all'opera rieducativa
durante l'intero corso  della  sua  permanenza  in  carcere.  Con  il
risultato  che,   rispetto   al   caso   specifico   dei   condannati
all'ergastolo, le detrazioni di pena virtualmente accumulate a titolo
di liberazione anticipata  (gia'  inidonee  a  incidere  sul  termine
finale della pena, che e' inflitta a titolo perpetuo)  divengono  del
tutto inutili ai fini pratici, dal momento che -  una  volta  espiati
ventisei anni effettivi di pena - le ordinarie soglie  temporali  per
la concessione di tutti  gli  altri  benefici  previsti  dalla  legge
sull'ordinamento penitenziario sono gia' ampiamente scadute. 
    Tale regime derogatorio rispetto  alla  disciplina  ordinaria  e'
insensibile alla eventuale collaborazione processuale del detenuto, o
alle situazioni ad esse equiparate ai sensi  dell'art.  4-bis  ordin.
penit. (collaborazione impossibile o irrilevante). La collaborazione,
o le situazioni equiparate, restano bensi' condizioni per l'accesso a
qualsiasi beneficio - eccezion fatta per la liberazione anticipata  -
da parte dei condannati per i reati indicati dall'art. 58-quater, che
rientrano, come si e' piu' volte sottolineato, tra  quelli  di  prima
fascia per gli effetti dell'art. 4-bis; ma la loro collaborazione con
la giustizia non comporta il venir meno delle  soglie  di  due  terzi
della pena o di ventisei anni stabilite dall'art. 58-quater.  Cio'  a
differenza di quanto accade per tutti  gli  altri  condannati  per  i
delitti indicati dall'art. 4-bis, per i quali la  collaborazione  con
la giustizia rende inoperanti, ai sensi  dell'art.  58-ter,  le  piu'
gravose soglie per l'accesso a ciascun beneficio  introdotte  con  la
medesima  novella  del  1991,  con  conseguente  riespansione   delle
ordinarie soglie applicabili alla generalita' dei condannati. 
    Le preclusioni temporali di cui all'art. 58-quater ordin.  penit.
non si applicano,  invece,  alla  liberazione  condizionale  prevista
dall'art. 176 cod. pen., che non e' compresa nell'ambito  applicativo
dell'art. 4-bis, richiamato dallo stesso art. 58-quater. Una  diversa
disposizione situata al di  fuori  dell'ordinamento  penitenziario  -
l'art. 2 del d.l. n. 152 del 1991, come convertito - consente  invero
al condannato  per  sequestro  di  persona  a  scopo  di  estorsione,
terrorismo o eversione di accedere alla liberazione condizionale solo
subordinatamente alla sua collaborazione  con  la  giustizia,  ovvero
alla sussistenza di una situazione di  collaborazione  irrilevante  o
impossibile; ma, in presenza di tali situazioni,  il  condannato  ben
potra' esser ammesso alla  liberazione  condizionale,  anche  laddove
abbia cagionato la morte del sequestrato, alle stesse condizioni  che
vigono per ogni altro condannato, compresa dunque - per l'ergastolano
- la possibilita' di anticipare il termine di ventisei anni stabilito
dall'art. 176 cod. pen. per effetto  delle  detrazioni  di  pena  nel
frattempo accumulate a titolo di liberazione anticipata. 
    3.- Il quadro  normativo  sin  qui  ricostruito  restituisce  una
disciplina penitenziaria nel suo complesso pesantemente deteriore per
i condannati all'ergastolo o a  pena  temporanea  per  i  delitti  di
sequestro di persona a scopo di estorsione,  terrorismo  o  eversione
che abbiano cagionato  la  morte  della  vittima:  e  cio'  non  solo
rispetto alla  generalita'  dei  condannati,  ma  anche  rispetto  ai
condannati per gli altri delitti cui si applicano le  preclusioni  di
cui all'art. 4-bis ordin. penit., compresi quelli  di  prima  fascia,
per i quali la concessione dei  benefici  e'  subordinata  alla  loro
collaborazione con la giustizia o alle situazioni equiparate. 
    Limitando l'analisi comparativa ai soli condannati  all'ergastolo
per i delitti indicati dall'art. 58-quater ordin.  penit.  -  i  soli
coinvolti  dalla  questione  di  legittimita'   costituzionale   oggi
sottoposta all'esame di  questa  Corte  -,  conviene  in  particolare
evidenziare i seguenti profili differenziali del regime  agli  stessi
applicabile, rispetto a quello  applicabile  alla  generalita'  degli
altri condannati all'ergastolo, soggetti o non  alle  preclusioni  di
cui all'art. 4-bis ordin. penit. 
    La generalita' degli ergastolani non sottoposti al regime di  cui
all'art. 58-quater ordin. penit. puo' di regola essere ammessa: a) al
lavoro all'esterno, dopo l'espiazione di almeno dieci anni (art.  21,
comma 1 ultima proposizione, ordin. penit.),  riducibili  sino  a  un
minimo di otto  anni  in  conseguenza  dell'integrale  riconoscimento
delle detrazioni di pena conseguenti alla liberazione anticipata;  b)
ai permessi premio, dopo l'espiazione, parimenti, di dieci anni (art.
30-ter, comma 2, lettera d, ordin. penit.), anch'essi riducibili sino
a un mimino di otto anni grazie alla liberazione anticipata; c)  alla
semiliberta', dopo l'espiazione di venti  anni  (art.  50,  comma  5,
ordin. penit.), riducibili sino a un minimo  di  sedici  anni  grazie
alla   liberazione   anticipata;   nonche'   d)   alla    liberazione
condizionale, dopo l'espiazione di ventisei  anni  (art.  176,  terzo
comma, cod. pen.), anch'essi riducibili a un minimo di  circa  ventun
anni grazie, ancora, alla liberazione anticipata. 
    Tutti questi benefici -  sempre,  naturalmente,  subordinati  nel
caso concreto al positivo riscontro, compiuto dai  competenti  organi
giurisdizionali di sorveglianza, della meritevolezza  del  condannato
in relazione ai requisiti previsti  per  la  concessione  di  ciascun
beneficio - possono essere  concessi  ai  condannati  per  i  delitti
previsti dall'art. 4-bis ordin. penit.  soltanto  in  presenza  delle
condizioni stabilite da tale  disposizione,  finalizzate  a  impedire
l'uscita dal carcere di detenuti ancora  socialmente  pericolosi:  in
particolare, per cio' che concerne gli ergastolani condannati  (anche
o esclusivamente) per delitti di prima fascia,  in  presenza  di  una
loro collaborazione con la  giustizia,  o  delle  situazioni  a  essa
normativamente equiparate. 
    Rispetto invece ai soli condannati all'ergastolo per sequestro di
persona a  scopo  di  estorsione,  terrorismo  o  eversione,  pur  in
presenza  di  una  loro  collaborazione  con  la  giustizia  o  delle
condizioni equiparate,  le  soglie  di  pena  poc'anzi  indicate  non
vigono, e vengono in blocco sostituite dall'unica soglia temporale di
ventisei anni (non riducibile, come si e' sottolineato,  per  effetto
della liberazione anticipata),  che  vale  per  l'ammissione  sia  al
lavoro all'esterno, sia ai permessi  premio,  sia  -  infine  -  alla
semiliberta'. La medesima soglia temporale  di  ventisei  anni  vige,
come  gia'  si  e'  sottolineato,  anche  rispetto  alla  liberazione
condizionale, in forza della disciplina generale di cui all'art. 176,
terzo comma, cod. pen., anche se in relazione a questo solo  istituto
non opera la preclusione all'anticipazione della soglia temporale  di
accesso conseguente all'eventuale  riconoscimento  della  liberazione
anticipata. 
    4.- Il giudice a quo dubita che  questa  disciplina  derogatoria,
con riferimento specifico ai condannati all'ergastolo per il  delitto
di sequestro di persona a scopo di estorsione che  abbiano  cagionato
la morte della vittima, sia compatibile, da un  lato,  con  l'art.  3
Cost.,  sotto  il  profilo  della  possibile  irragionevolezza  della
disparita' di trattamento sin qui  evidenziata;  e,  dall'altro,  con
l'art. 27, terzo comma, Cost., sotto  il  profilo  di  una  possibile
irragionevolezza intrinseca della disciplina rispetto alla necessaria
funzione rieducativa della pena. 
    5.- Prendendo le  mosse  dal  secondo  profilo  di  censura,  che
all'evidenza coinvolge in realta' il combinato disposto degli artt. 3
e  27,  terzo  comma,  Cost.,  il  dubbio  prospettato  dal   giudice
rimettente deve ritenersi senz'altro fondato. 
    L'appiattimento all'unica e indifferenziata  soglia  di  ventisei
anni per l'accesso a tutti i benefici penitenziari indicati nel primo
comma dell'art. 4-bis ordin. penit. si pone,  infatti,  in  contrasto
con il principio -  sotteso  all'intera  disciplina  dell'ordinamento
penitenziario in attuazione del canone costituzionale della finalita'
rieducativa  della  pena  -  della  «progressivita'  trattamentale  e
flessibilita' della  pena»  (sentenza  n.  255  del  2006;  in  senso
conforme, sentenze n. 257 del 2006, n. 445 del  1997  e  n.  504  del
1995), ossia del graduale reinserimento del condannato  all'ergastolo
nel contesto sociale  durante  l'intero  arco  dell'esecuzione  della
pena. 
    Tale principio si attua, nel disegno della legge sull'ordinamento
penitenziario, nell'ambito di un percorso ideale le cui  prime  tappe
sono rappresentate dall'ammissione  al  lavoro  all'esterno  e  dalla
concessione di permessi premio, volti questi ultimi  a  stimolare  la
«regolare  condotta»  del  detenuto,  attestata   dall'avere   questi
manifestato «costante senso  di  responsabilita'  e  correttezza  nel
comportamento personale, nelle attivita' organizzate negli istituti e
nelle eventuali attivita' lavorative  o  culturali»  -  art.  30-ter,
commi 1 e 8, ordin. penit. -, e gia' definiti da  questa  Corte,  con
sentenza n. 403 del 1997, «uno strumento [...] spesso  insostituibile
per evitare che  la  detenzione  impedisca  del  tutto  di  coltivare
interessi affettivi, culturali o di lavoro», funzionale a «perseguire
efficacemente quel progressivo reinserimento armonico  della  persona
nella   societa',   che   costituisce   l'essenza   della   finalita'
rieducativa».  Il  percorso  di  progressivo  reinserimento   sociale
dell'ergastolano prosegue poi, in caso di esito  positivo  di  questi
primi esperimenti, con la sua ammissione al piu'  incisivo  beneficio
della semiliberta',  che  comporta  l'autorizzazione  a  «trascorrere
parte del giorno fuori dall'istituto  per  partecipare  ad  attivita'
lavorative, istruttive o comunque  utili  al  reinserimento  sociale»
(art. 48, primo comma, ordin. penit.); ed e' destinato  ad  avere  il
suo  culmine  nella  concessione  della   liberazione   condizionale,
subordinata all'accertamento  che  il  condannato  «abbia  tenuto  un
comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento»  (art.
176,  primo  comma,  cod.  pen.)  e   caratterizzata   dall'integrale
sospensione dell'esecuzione della pena residua,  che  si  estinguera'
laddove non intervengano cause di revoca nei cinque  anni  successivi
alla sua concessione (art. 177, secondo comma, cod. pen.). 
    La disciplina in questa sede censurata sovverte irragionevolmente
questa logica gradualistica, per cio' che concerne i soli  condannati
all'ergastolo a titolo di sequestro di persona a scopo di estorsione,
terrorismo o eversione; e per di piu' consente  che  tali  condannati
possano teoricamente accedere alla  liberazione  condizionale  -  per
effetto delle detrazioni maturate a titolo di liberazione  anticipata
- in un momento anteriore a quello, pari  a  ventisei  anni,  in  cui
sara'  loro  possibile  accedere  ai  permessi  premio,   al   lavoro
all'esterno e alla semiliberta': benefici, questi  ultimi,  concepiti
dal  legislatore   come   naturalmente   prodromici   rispetto   alla
liberazione condizionale, che implica la completa  (e  potenzialmente
definitiva) uscita dal carcere del condannato. 
    Con il connesso rischio che la semiliberta' - pur in presenza  di
una  continua  e  fattiva  partecipazione  all'opera  rieducativa  in
carcere - venga in concreto negata al condannato stesso alla scadenza
dei ventisei anni, proprio in  ragione  dell'assenza  di  sue  previe
positive esperienze al di fuori delle mura penitenziarie nel  secondo
decennio  di  espiazione  della  pena,  sulla   base   del   costante
insegnamento della giurisprudenza di  legittimita',  secondo  cui  la
semiliberta' - in  quanto  misura  alternativa  alla  detenzione  che
consente al detenuto di trascorrere parte del giorno all'esterno, sia
pure in attivita'  lavorative  e  socializzanti  -  non  puo'  essere
deliberata se non  all'esito  di  previe  e  positive  esperienze  di
concessione  di  altre  misure  alternative  meno  impegnative,   nel
medesimo contesto territoriale di fruizione  della  semiliberta'  (ex
plurimis, Corte di cassazione,  sezione  prima  penale,  sentenze  29
settembre 2009, n. 41914 e 14 ottobre 2008, n. 40992); principio  che
ben  potrebbe  essere  esteso,  a  maggior   ragione,   alla   stessa
liberazione condizionale, alla  quale  pure  il  condannato  potrebbe
teoricamente accedere anche prima dei ventisei anni. 
    6.-  A  tale  profilo  di   irragionevolezza   intrinseca   della
disciplina  nel  prisma  della  funzione   rieducativa   della   pena
denunciato dal giudice rimettente puo',  d'altra  parte,  aggiungersi
l'ulteriore   considerazione   che   la    disposizione    censurata,
sterilizzando ogni effetto pratico delle detrazioni di pena a  titolo
di liberazione anticipata sino al termine di  ventisei  anni,  riduce
fortemente,  per   il   condannato   all'ergastolo,   l'incentivo   a
partecipare all'opera di rieducazione, in cui si sostanzia  la  ratio
dello stesso istituto della liberazione anticipata (sentenze  n.  186
del 1995 e n. 276 del 1990). 
    Al riguardo, va infatti ribadito che l'unica conseguenza  pratica
delle detrazioni di pena conseguenti alla liberazione anticipata  per
il condannato all'ergastolo - per il  quale  potenzialmente  il  fine
pena e' "mai" - consiste proprio nel meccanismo di anticipazione  dei
termini per la  concessione  dei  singoli  benefici;  meccanismo  che
costituisce, sin dal primo semestre di pena, un potente  stimolo  per
l'ergastolano a partecipare al programma rieducativo, in vista  -  in
particolare - del possibile accesso  ai  primi  benefici,  una  volta
raggiunto il traguardo di otto anni dall'inizio della pena  (sentenza
n. 274 del 1983). 
    Dilazionando invece sino al termine di ventisei anni  (riducibile
a circa ventun anni ai soli fini della liberazione condizionale,  con
tutte le  difficolta'  pratiche  appena  evidenziate  che  potrebbero
ostare in concreto  a  una  sua  concessione  in  assenza  di  previe
esperienze di uscite  temporanee  dal  carcere)  la  possibilita'  di
accedere a qualsiasi beneficio  penitenziario,  compresi  i  permessi
premio, e' assai probabile che il condannato all'ergastolo per i  due
titoli  di  reato  che  vengono  qui  in  considerazione  possa   non
avvertire, quanto meno in tutta la prima  fase  di  esecuzione  della
pena,  alcun  pratico   incentivo   ad   impegnarsi   nel   programma
rieducativo, in assenza di  una  qualsiasi  tangibile  ricompensa  in
termini di anticipazione dei benefici che non sia  proiettata  in  un
futuro ultraventennale, percepito come  lontanissimo  nell'esperienza
comune di ogni individuo (sentenza n. 276 del 1990) . 
    In tal modo, la disciplina ora all'esame di questa Corte  finisce
per frustrare la finalita' essenziale della  liberazione  anticipata,
la  quale  costituisce  pero'  un  tassello  essenziale  del  vigente
ordinamento  penitenziario  (sentenza  n.  186  del  1995)  e   della
filosofia della risocializzazione che ne  sta  alla  base;  filosofia
che,  a  sua  volta,  costituisce  diretta  attuazione  del  precetto
costituzionale di cui all'art. 27, terzo comma,  Cost.  Tant'e'  vero
che questa Corte ebbe in passato ad  affermare  l'incostituzionalita'
dell'esclusione  della  liberazione  anticipata  per   i   condannati
all'ergastolo,  proprio  perche'  tale  meccanismo,   fondato   sulla
verifica in concreto  della  partecipazione  del  condannato  durante
l'intero arco dell'esecuzione della pena, deve  ritenersi  essenziale
perche' la pena possa, anche rispetto  agli  autori  dei  reati  piu'
gravi,  esplicare  in   concreto   la   propria   (costituzionalmente
necessaria) funzione rieducativa (sentenza n. 204 del 1974).  Proprio
in attuazione di tale principio, del  resto,  lo  stesso  art.  4-bis
ordin. penit., nella versione  in  vigore  dal  1992,  esclude  dalle
preclusioni ai  benefici,  stabilite  per  particolari  categorie  di
condannati, proprio la liberazione anticipata: la  quale  e',  cosi',
fatta salva  per  qualsiasi  condannato,  onde  assicurare  sempre  -
persino nei confronti dei detenuti che ancora non abbiano spezzato  i
propri legami con le associazioni  criminali  di  appartenenza  -  un
adeguato incentivo alla loro  partecipazione  all'opera  rieducativa,
cui l'intero trattamento penitenziario deve in ultima analisi  essere
orientato (sentenza n. 274 del 1983). 
    7.-  Un  terzo  profilo  di  irragionevolezza  intrinseca   della
disposizione  censurata,  in  relazione  alla  necessaria   finalita'
rieducativa della pena, deve infine essere rilevato. 
    Il carattere automatico della preclusione  temporale  all'accesso
ai  benefici  penitenziari  da  essa  stabilito  per   i   condannati
all'ergastolo impedisce al giudice qualsiasi valutazione  individuale
sul  concreto  percorso  di  rieducazione  compiuto  dal   condannato
all'ergastolo durante l'esecuzione  della  pena  stessa,  in  ragione
soltanto  del  titolo  di  reato  che  supporta  la  condanna.   Tale
automatismo  -  e  la  connessa  impossibilita'  per  il  giudice  di
procedere a valutazioni individualizzate -  contrasta  pero'  con  il
ruolo che deve essere riconosciuto, nella fase  di  esecuzione  della
pena, alla sua finalita' di rieducazione  del  condannato;  finalita'
ineliminabile (sentenza n. 189 del  2010),  che  deve  essere  sempre
garantita anche  nei  confronti  di  autori  di  delitti  gravissimi,
condannati  alla  massima  pena  prevista  nel  nostro   ordinamento,
l'ergastolo (sentenza n. 274 del 1983). In questo senso e'  orientata
la costante giurisprudenza  di  questa  Corte,  che  ha  tra  l'altro
indicato come criterio  «costituzionalmente  vincolante»  quello  che
esclude «rigidi automatismi e richiede sia resa possibile invece  una
valutazione individualizzata e  caso  per  caso»  nella  materia  dei
benefici penitenziari (sentenza n.  436  del  1999),  in  particolare
laddove l'automatismo sia connesso a presunzioni iuris et de iure  di
maggiore pericolosita' legate al titolo del reato commesso  (sentenza
n. 90 del 2017), giacche' ove  non  fosse  consentito  il  ricorso  a
criteri  individualizzanti  «l'opzione  repressiva  fini[rebbe]   per
relegare nell'ombra il profilo  rieducativo»  (sentenza  n.  257  del
2006), instaurando di  conseguenza  un  automatismo  «sicuramente  in
contrasto con i principi di proporzionalita'  ed  individualizzazione
della pena» (sentenza n. 255 del 2006; in senso conforme, sentenze n.
189 del 2010, n. 78 del 2007, n. 445 del 1997, n. 504 del 1995). 
    Una  volta  che  il  condannato  all'ergastolo  abbia  raggiunto,
nell'espiazione della propria pena, soglie temporali  ragionevolmente
fissate  dal  legislatore,   e   abbia   dato   prova   di   positiva
partecipazione  al  percorso   rieducativo,   eventuali   preclusioni
all'accesso ai benefici penitenziari possono dunque legittimarsi  sul
piano  costituzionale  soltanto  laddove  presuppongano  pur   sempre
valutazioni   individuali,   da   parte   dei    competenti    organi
giurisdizionali, relative alla sussistenza  di  ragioni  ostative  di
ordine specialpreventivo - sub  specie  di  perdurante  pericolosita'
sociale  del  condannato  -;  valutazioni,  queste  ultime,  che  non
potrebbero del resto  non  riverberarsi  negativamente  sulla  stessa
analisi del cammino  di  risocializzazione  compiuto  dal  condannato
stesso, e che per questo motivo possono  ritenersi  coerenti  con  il
principio  della  non  sacrificabilita'  della  funzione  rieducativa
sull'altare  di  ogni  altra,  pur  legittima,  funzione  della  pena
(sentenze n. 78 del 2007, n. 257 del 2006, n. 68 del 1995, n. 306 del
1993 e n. 313 del 1990). 
    Incompatibili con il vigente assetto costituzionale  sono  invece
previsioni, come quella in questa sede censurata, che  precludano  in
modo assoluto, per un  arco  temporale  assai  esteso,  l'accesso  ai
benefici penitenziari a particolari categorie di condannati - i quali
pure  abbiano  partecipato  in  modo  significativo  al  percorso  di
rieducazione, e rispetto  ai  quali  non  sussistano  gli  indici  di
perdurante pericolosita' sociale individuati dallo stesso legislatore
nell'art. 4-bis ordin. penit. - in ragione soltanto della particolare
gravita' del reato commesso,  ovvero  dell'esigenza  di  lanciare  un
robusto segnale di deterrenza nei  confronti  della  generalita'  dei
consociati.  Questi  ultimi  criteri  legittimamente  possono  essere
considerati dal legislatore nella fase di comminazione della pena; ma
- cosi' come non possono fondare presunzioni assolute nella  fase  di
verifica del grado e dell'adeguatezza delle misure cautelari  durante
il processo (sentenza n. 331 del 2011) - nemmeno possono, nella  fase
di esecuzione  della  pena,  operare  in  chiave  distonica  rispetto
all'imperativo costituzionale della funzione rieducativa  della  pena
medesima,  da  intendersi  come  fondamentale  orientamento  di  essa
all'obiettivo ultimo del reinserimento del condannato nella  societa'
(sentenza n. 450 del 1998), e da declinarsi nella fase esecutiva come
necessita' di costante valorizzazione, da parte del legislatore prima
e del giudice poi, dei  progressi  compiuti  dal  singolo  condannato
durante l'intero arco dell'espiazione della pena. 
    Tutto cio' in piena coerenza con gli approdi  interpretativi  cui
e' recentemente pervenuta la Corte europea dei diritti dell'uomo,  la
quale ha riconosciuto - pur in assenza nel testo convenzionale di una
disposizione dal tenore comparabile all'art. 27, terzo  comma,  della
Costituzione italiana - la necessaria inerenza  alla  dignita'  della
persona, alla cui tutela l'intero sistema dei  diritti  convenzionali
e'  orientato,  della   prospettiva   della   risocializzazione   del
condannato come  componente  necessaria  dell'esecuzione  della  pena
dell'ergastolo; e da tale premessa ha  dedotto  l'obbligo,  a  carico
degli Stati contraenti, di consentire sempre che il  condannato  alla
pena perpetua possa espiare la  propria  colpa,  reinserendosi  nella
societa' dopo aver scontato  una  parte  della  propria  pena  (Corte
europea dei diritti dell'uomo, grande camera, sentenza 9 luglio 2013,
Vinter e altri contro Regno Unito, paragrafi  111-113).  E  in  piena
coerenza, soprattutto, con l'assunto - sotteso allo stesso  art.  27,
terzo comma, Cost. - secondo cui la personalita' del  condannato  non
resta segnata in maniera irrimediabile dal reato commesso in passato,
foss'anche il piu'  orribile;  ma  continua  ad  essere  aperta  alla
prospettiva di un possibile cambiamento.  Prospettiva,  quest'ultima,
che chiama in causa la  responsabilita'  individuale  del  condannato
nell'intraprendere  un  cammino  di  revisione  critica  del  proprio
passato e di ricostruzione della propria personalita', in  linea  con
le esigenze minime di rispetto dei  valori  fondamentali  su  cui  si
fonda la convivenza civile; ma che non puo' non chiamare in  causa  -
assieme  -  la  correlativa  responsabilita'  della  societa'   nello
stimolare  il  condannato  ad  intraprendere  tale   cammino,   anche
attraverso la previsione da parte del legislatore  -  e  la  concreta
concessione da parte del giudice - di  benefici  che  gradualmente  e
prudentemente attenuino, in risposta al percorso di cambiamento  gia'
avviato, il giusto  rigore  della  sanzione  inflitta  per  il  reato
commesso, favorendo il progressivo reinserimento del condannato nella
societa'. 
    8.-  Le  considerazioni  che  precedono  consentono  di  ritenere
assorbita l'ulteriore  censura  formulata  dal  rimettente  sotto  il
profilo dell'irragionevole  disparita'  di  trattamento,  ex  art.  3
Cost.,  tra  i  condannati  all'ergastolo   cui   si   riferisce   la
disposizione  censurata  e  la  generalita'  degli  altri  condannati
all'ergastolo. 
    9.- I profili di illegittimita' costituzionale  sopra  illustrati
affliggono tanto la disciplina, in questa sede censurata, applicabile
ai condannati all'ergastolo per il delitto di sequestro di persona  a
scopo di estorsione di cui all'art. 630 cod. pen., quanto  l'identica
disciplina dettata dallo  stesso  art.  58-quater,  comma  4,  ordin.
penit. per i condannati  all'ergastolo  per  il  diverso  delitto  di
sequestro di persona a scopo di terrorismo  o  di  eversione  di  cui
all'art. 289-bis cod. pen. 
    Visto l'art. 27 della legge 11 marzo 1953,  n.  87  (Norme  sulla
costituzione e sul funzionamento  della  Corte  costituzionale),  gli
effetti della presente pronuncia  devono  essere  estesi  anche  alla
parte dell'art. 58-quater, comma 4, ordin. penit. che si riferisce ai
condannati all'ergastolo per il delitto di cui all'art. 289-bis  cod.
pen. che abbiano cagionato la morte del sequestrato. 
    10.- Questa  Corte  e'  consapevole  che  la  presente  pronuncia
potrebbe a sua volta creare disparita' di trattamento  rispetto  alla
disciplina  -  non  sottoposta  in  questa  sede   a   scrutinio   di
legittimita' - dettata dallo stesso art. 58-quater, comma  4,  ordin.
penit. in relazione ai condannati a pena detentiva temporanea  per  i
delitti di cui agli  artt.  289-bis  e  630  cod.  pen.  che  abbiano
cagionato la morte del sequestrato. Tuttavia, tale consapevolezza non
puo' costituire ostacolo alla dichiarazione di  illegittimita'  della
disciplina qui esaminata; e cio' in  base  al  costante  insegnamento
della   giurisprudenza   costituzionale,   secondo   cui   anche   se
«[q]ualunque decisione di accoglimento produce  effetti  sistemici[,]
questa Corte non puo' tuttavia negare il suo intervento a tutela  dei
diritti fondamentali per considerazioni di astratta coerenza formale»
nell'ambito del sistema (sentenza n.  317  del  2009).  Spettera'  al
legislatore  individuare  gli   opportuni   rimedi   alle   eventuali
disparita' di trattamento che si dovessero  produrre  in  conseguenza
della presente pronuncia. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  58-quater,
comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative  e  limitative
della  liberta'),  nella  parte  in  cui  si  applica  ai  condannati
all'ergastolo per il delitto di cui all'art. 630  del  codice  penale
che abbiano cagionato la morte del sequestrato; 
    2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'art.  27  della
legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla  costituzione  e   sul
funzionamento   della   Corte    costituzionale),    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 58-quater, comma 4, della legge n.  354  del
1975, nella parte in cui si applica ai condannati  all'ergastolo  per
il delitto di cui all'art. 289-bis  del  codice  penale  che  abbiano
cagionato la morte del sequestrato. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2018. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA