N. 173 SENTENZA 4 - 23 luglio 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Previdenza - Sistema di calcolo  del  trattamento  pensionistico  dei
  lavoratori    autonomi    iscritti    all'assicurazione    generale
  obbligatoria, gestione speciale dei commercianti  -  Applicabilita'
  del principio della esclusione dei contributi dannosi. 
- Legge 2 agosto 1990, n. 233 (Riforma dei trattamenti  pensionistici
  dei lavoratori autonomi), art. 5, comma 1; legge 8 agosto 1995,  n.
  335   (Riforma   del   sistema   pensionistico    obbligatorio    e
  complementare), art. 1, comma 18.   
-   
(GU n.30 del 25-7-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1,
della  legge  2  agosto  1990,  n.  233  (Riforma   dei   trattamenti
pensionistici dei lavoratori autonomi),  e  dell'art.  1,  comma  18,
della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema  pensionistico
obbligatorio e complementare),  promosso  dalla  Corte  d'appello  di
Trieste, nel procedimento vertente  tra  l'Istituto  nazionale  della
previdenza sociale (INPS) e L. T., con ordinanza del 13 luglio  2017,
iscritta al n. 184 del registro ordinanze  2017  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  52,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2017. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  dell'INPS,  nonche'  l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nella  udienza  pubblica  del  3  luglio  2018  il  Giudice
relatore Giulio Prosperetti; 
    uditi l'avvocato Luigi Caliulo  per  l'INPS  e  l'avvocato  dello
Stato Ettore Figliolia per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 13  luglio  2017,  la  Corte  d'appello  di
Trieste ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,  primo  e  secondo
comma,  35,  primo  comma,  e  38,  primo  e  secondo  comma,   della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.  5,
comma 1, della legge 2 agosto 1990, n. 233 (Riforma  dei  trattamenti
pensionistici dei lavoratori autonomi) e dell'art. 1, comma 18, della
legge 8 agosto  1995,  n.  335  (Riforma  del  sistema  pensionistico
obbligatorio e complementare), nella parte in cui non prevedono  che,
nel caso di esercizio da parte del lavoratore di attivita'  autonoma,
successivamente al momento in  cui  egli  abbia  gia'  conseguito  la
prescritta anzianita' contributiva, la pensione liquidata  non  possa
essere  comunque  inferiore  a  quella  che   sarebbe   spettata   al
raggiungimento dell'eta'  pensionabile  calcolata  con  i  contributi
minimi gia' versati, escludendo quindi dal computo, ad ogni  effetto,
i periodi successivi e la relativa contribuzione  meno  favorevole  e
perfino "dannosa". 
    1.1.- In particolare, l'art. 5, comma 1, legge n.  233  del  1990
prevede: «La misura dei trattamenti pensionistici da  liquidare,  con
effetto dal 1° luglio 1990, in favore degli iscritti alle gestioni di
cui  all'articolo  1  e'  pari,  per  ogni  anno  di   iscrizione   e
contribuzione alle rispettive gestioni, al 2 per  cento  del  reddito
annuo d'impresa determinato,  per  ciascun  soggetto  assicurato,  ai
sensi dell'articolo 1, quale risulta dalla media dei redditi relativi
agli ultimi dieci anni coperti da contribuzione o al minor numero  di
essi, anteriori alla decorrenza della pensione». 
    1.2.- A sua volta, l'art. 1, comma 18,  legge  n.  335  del  1995
stabilisce: «Per i lavoratori autonomi iscritti all'INPS  che  al  31
dicembre  1992  abbiano  avuto  un'anzianita'  contributiva  pari   o
superiore ai 15 anni, gli incrementi di cui al comma 17 ai fini della
determinazione della base  pensionabile  trovano  applicazione  nella
stessa misura e con la medesima decorrenza e modalita' di computo ivi
previste, entro il limite delle ultime 780 settimane di contribuzione
antecedenti la decorrenza della pensione». 
    2.- Espone  il  rimettente  che,  con  ricorso  depositato  il  4
settembre 2013, L. T. si era rivolto al Tribunale  di  Pordenone  per
chiedere la rideterminazione da parte dell'Istituto  nazionale  della
previdenza sociale (INPS) del proprio trattamento pensionistico,  con
esclusione  dal  computo  della  contribuzione  versata  dopo  il  31
dicembre  2007.  Cio'  in  applicazione  del  principio  piu'   volte
affermato dalla  Corte  costituzionale  secondo  il  quale  «dopo  il
perfezionamento  del  requisito  minimo   contributivo,   l'ulteriore
contribuzione (obbligatoria, volontaria o figurativa), mentre vale ad
incrementare il  livello  di  pensione  gia'  consolidato,  non  deve
comunque compromettere la  misura  della  prestazione  potenzialmente
maturata sino a quel momento:  effetto,  quest'ultimo,  che  sarebbe,
infatti,  palesemente  contrastante  con  gli  artt.  3  e  38  della
Costituzione». 
    Il ricorrente aveva rappresentato di essere titolare di  pensione
di vecchiaia avente decorso dal 1° luglio 2010 (avendo utilizzato  la
"finestra" del l°  luglio  dell'anno  successivo  al  compimento  del
cinquantanovesimo  anno  di  eta'),  ottenuta  con  il  cumulo  della
contribuzione versata, prima come lavoratore dipendente  (numero  112
settimane) e, poi, come lavoratore autonomo-commerciante (numero 1842
settimane dal 1° ottobre 1975 al 30 giugno 2010), il  tutto  per  una
retribuzione  pensionabile  di  euro  1.275,89   mensili.   Tuttavia,
deduceva che gia' alla data del 31  dicembre  2007,  in  forza  della
legge 24 dicembre 2007, n. 247 (Norme di  attuazione  del  Protocollo
del 23  luglio  2007  su  previdenza,  lavoro  e  competitivita'  per
favorire l'equita' e la crescita sostenibili, nonche' ulteriori norme
in materia  di  lavoro  e  previdenza  sociale),  aveva  maturato  il
requisito contributivo minimo (numero 1824 settimane) e che, in  base
ai calcoli effettuati dal patronato associazioni cristiane lavoratori
italiani (ACLI), non contestati dall'Istituto previdenziale,  qualora
avesse  richiesto  la  liquidazione  della  pensione   di   vecchiaia
contestualmente al raggiungimento del requisito minimo  contributivo,
utilizzando pertanto solo i contributi versati sino ad  allora,  egli
avrebbe percepito un trattamento pensionistico piu' favorevole  (euro
1.618,40 mensili), rispetto a quello che gli  era  stato  corrisposto
dal 1° luglio 2010. 
    La domanda  era  stata  confutata  dall'Istituto  anche  in  sede
giudiziale, sulla base di una lettura "rigorosa" dell'art.  5,  comma
l, della legge n. 233 del 1990 e dell'art. l, comma 18,  della  legge
n. 335 del 1995, e della  ulteriore  considerazione  che  non  vi  e'
«alcuna norma che consenta  l'invocata  sterilizzazione  dei  periodi
contributivi nei quali l'odierno ricorrente ha prodotto un reddito di
impresa meno elevato». 
    2.1.- Riferisce la Corte d'appello che, con sentenza  n.  24  del
2015, il Tribunale di Pordenone aveva accolto la domanda  di  L.  T.,
assumendo  a  sostegno  «una  lettura  costituzionalmente   orientata
favorevole al ricorrente delle norme in esame». 
    Ad avviso del giudice di primo grado, la Corte costituzionale  ha
fissato  un  principio,  cosiddetto   della   "sterilizzazione"   dei
contributi dannosi, fondando il proprio decisum sulla  consapevolezza
che sarebbe irrazionale e contrario alla Costituzione che  un  numero
di contributi superiore al minimo occorrente a far sorgere il diritto
alla pensione, possa  dare  origine  ad  una  prestazione  di  misura
inferiore a quella ricollegabile al minimo gia'  conseguito.  Secondo
il Tribunale di Pordenone,  «il  vizio  di  costituzionalita'  deriva
dall'effetto paradossale che contributi  ulteriori  possano  ridurre,
invece di aumentare, il trattamento pensionistico». 
    2.2.- La decisione di primo grado era stata  impugnata  dall'ente
previdenziale. L'INPS, in particolare, aveva dedotto l'impossibilita'
di  trarre  da  specifiche  ipotesi  rispetto  alle  quali   si   era
pronunciata  la   Corte   un   principio   di   carattere   generale,
evidenziando, altresi', la diversita' del sistema  pensionistico  del
lavoro autonomo rispetto a quello dei lavoratori subordinati. 
    Nel giudizio di appello si era quindi costituito L. T., chiedendo
il rigetto del gravame. 
    3.- Il giudice a quo, ravvisata la presenza delle condizioni  per
sottoporre al vaglio costituzionale  le  disposizioni  censurate  ha,
quindi, emanato l'ordinanza di rimessione. 
    3.1.-  In  punto  di  rilevanza,  il  rimettente  deduce  che  la
questione «si presenta all'evidenza  concreta  e  attuale».  Cio'  in
quanto - «in ipotesi di stretta e puntuale applicazione  delle  norme
impugnate - l'art. 5 l. 233/90 [...] impone di calcolare la  pensione
sulla  media  del  reddito  percepito  negli  ultimi  dieci  anni  di
attivita' e quindi», nel caso di L. T., «tenendo  conto  dei  redditi
relativi agli anni dal 2000 al 2010 (I° semestre). Media che  risulta
significativamente piu' bassa, di quella  che  si  ottiene  prendendo
come riferimento i redditi prodotti negli anni 1998/2007», ovvero  il
decennio antecedente alla data in cui l'interessato aveva  conseguito
il requisito minimo contributivo. 
    3.2.-  In  ordine  alla  non  manifesta  infondatezza,  la  Corte
rimettente  deduce  che   nella   gestione   assicurazione   generale
obbligatoria «e' oggi vigente,  senza  dubbio  alcuno,  il  principio
della   "sterilizzazione"    dei    contributi    dannosi    maturati
successivamente al raggiungimento del requisito minimo contributivo».
Nella sentenza appellata, il Tribunale di  Pordenone  avrebbe  dunque
applicato,  richiamandosi  all'art.  3  Cost.,  anche  al  lavoratore
autonomo il suddetto  principio  della  "sterilizzazione",  elaborato
dalla Corte costituzionale in  riferimento  esplicito  al  lavoratore
subordinato e normativamente all'art. 3,  comma  8,  della  legge  29
maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di  fine  rapporto  e
norme in materia pensionistica). Senonche',  ad  avviso  del  giudice
rimettente, tale  soluzione  «si  presta  tuttavia,  come  del  resto
puntualmente rilevato dall'INPS nell'atto di appello, ad  una  severa
critica». 
    Il  giudice  a  quo   rappresenta   che   la   norma   dichiarata
incostituzionale nella sentenza richiamata e' altra (art. 3, comma 8,
della legge n.  297  del  1982),  rispetto  a  quella  impugnata  che
disciplina il caso concreto sottoposto a giudizio (art. 5 della legge
n. 233 del 1990 e art. 1, comma 18, della legge n. 335 del 1995). 
    In proposito, il rimettente evidenzia che nella sentenza  n.  264
del 1994 la Corte costituzionale ha  affermato  che  «e'  palesemente
contrario al principio di razionalita' di cui all'art. 3 Cost. - "che
implica  l'esigenza  di  conformita'  dell'ordinamento  a  valori  di
giustizia  e  di  equita'"  (sentenza  n.  421  del   1991)   -   che
all'inserimento di un periodo  di  contribuzione  obbligatoria  nella
base di calcolo della pensione consegua, in un sistema che prende  in
considerazione per la determinazione della retribuzione  pensionabile
solo  l'ultimo  periodo  lavorativo  (in  quanto  si   presume   piu'
favorevole per il lavoratore), l'effetto di  ridurre  il  trattamento
pensionistico di vecchiaia rispetto a quello gia' ottenibile ove, nel
medesimo periodo, non vi  fosse  stata  contribuzione  alcuna  ed  il
periodo stesso non fosse stato quindi computabile  a  nessun  effetto
(neppure,  quindi,  ai  fini  della  determinazione   dell'anzianita'
contributiva)». 
    Secondo il giudice a quo, il richiamo cosi' operato  dalla  Corte
costituzionale al "sistema"  che  prende  in  considerazione  per  il
calcolo  della  retribuzione  pensionabile  «solo  l'ultimo   periodo
lavorativo (in quanto si presume piu' favorevole per il lavoratore)»,
si riferisce al sistema pensionistico del lavoro dipendente,  che  e'
differente e diverso «da quello utilizzabile  per  il  calcolo  della
pensione  nel  lavoro  autonomo,  in  cui   il   periodo   preso   in
considerazione e' quello relativo agli ultimi dieci anni di attivita'
e ove di certo, non si puo' "presumere" [...], che gli ultimi anni di
attivita' siano piu' favorevoli per il lavoratore». 
    3.3.- In definitiva, ritiene il rimettente che  l'interpretazione
costituzionalmente orientata adottata nella sentenza di  primo  grado
risulterebbe «inammissibile se si presta  attenzione  ai  casi  e  ai
principi richiamati dalla Corte Costituzionale nelle sentenze con cui
e' stato elaborato e fissato il principio della "sterilizzazione" dei
contributi dannosi». 
    Tuttavia, afferma il giudice a  quo  che  «e'  pur  vero  che  il
richiamato  principio  appare  corretto   e   aderente   al   dettato
costituzionale laddove evita una palese e irragionevole differenza di
trattamento, valido certamente nel sistema di lavoro subordinato,  ma
altrettanto necessario  ed  urgente  anche  nel  sistema  del  lavoro
autonomo». 
    3.4.- Riguardo alla dedotta violazione dell'art. 35, primo comma,
Cost., il rimettente  afferma  che  «la  su  riferita  diversita'  di
trattamento,  come  oggi  delineata  sulla  base   di   una   stretta
applicazione della norma  impugnata,  tra  lavoratore  subordinato  e
lavoratore autonomo,  risulta  difficilmente  giustificabile  essendo
evidente che ogni prestazione di lavoro merita considerazione  uguale
pure sul versante contributivo», come nel caso in esame. 
    In proposito, il Giudice d'appello afferma  che  «la  tutela  del
lavoro in tutte le sue forme impone che l'assegno  pensionistico  non
venga falcidiato in caso di lavoratore autonomo e comunque, la tutela
di rango  costituzionale  sopra  richiamata,  mira  anche  a  rendere
appetibile ogni forma  (autonoma  o  meno)  di  lavoro,  sicche'  una
legislazione che penalizza la futura pensione rende meno interessante
e dunque tutela di meno il lavoro non subordinato». 
    3.5.- Infine, relativamente al parametro dell'art.  38,  primo  e
secondo  comma,  Cost.,  il  giudice  rimettente  sostiene  che   «la
differenziazione posta in risalto e il depauperamento che ne  deriva,
incidendo sulla proporzionalita' tra il trattamento  pensionistico  e
la quantita' e la qualita' del lavoro prestato, contrasta palesemente
con il  canone  della  adeguatezza  richiamato  dalla  norma  che  fa
intendere come non si possano  trattare  in  modo  diverso,  ai  fini
previdenziali, situazioni consimili». 
    Il giudice a quo ritiene che, contrariamente  a  quanto  asserito
dall'Istituto previdenziale nel ricorso  in  appello,  l'applicazione
del principio di sterilizzazione dei contributi dannosi  «non  tocca,
ne' mette in discussione il sistema previdenziale del lavoro autonomo
e nello specifico quello delineato dall'art. 5 l. 233/90, laddove  si
prevede che la contribuzione sia proporzionale di  anno  in  anno  al
reddito prodotto con una stretta interdipendenza dunque  tra  reddito
imponibile in un determinato anno e reddito utile alla  pensione  per
lo stesso anno, ma al contrario evita effetti che si  appaleserebbero
come  irragionevoli   siccome   non   rispondenti   all'esigenza   di
conformita' dell'ordinamento ai valori  di  giustizia  e  di  equita'
connaturati al principio  sancito  dall'art.  3  della  Costituzione,
oltre ad essere in contrasto con le  garanzie  poste  dal  successivo
art. 38». 
    4.- L'INPS si e' costituito nel  giudizio  incidentale  con  atto
depositato il 16 gennaio 2018, chiedendo di dichiarare manifestamente
infondata la questione di legittimita' in oggetto. 
    L'Istituto  rileva  che  la  Corte  d'appello  ha   correttamente
osservato che «il principio della neutralizzazione dei contributi per
cosi' dire  dannosi  non  ha  fin  qui  trovato  applicazione  per  i
lavoratori autonomi», mentre  sono  numerose  le  decisioni  adottate
dalla Corte costituzionale in relazione all'art. 3 della legge n. 297
del 1982. In particolare, l'INPS ricorda la sentenza n. 822 del 1988,
che ha fatto salvi i previgenti criteri dettati dall'art.  26,  terzo
comma, della legge 3 giugno 1975 n. 160 (Norme per  il  miglioramento
dei trattamenti pensionistici e per  il  collegamento  alla  dinamica
salariale)  per  i  lavoratori  prossimi  alla  pensione  al  momento
dell'entrata in vigore della novella del 1982 o gia'  pensionati;  la
sentenza n. 307 del 1989, che fa riferimento ai contributi  volontari
versati  dopo  il  conseguimento   dell'anzianita'   assicurativa   e
contributiva utile al perfezionamento del diritto  alla  pensione  di
vecchiaia; la sentenza  n.  428  del  1992,  che  fa  riferimento  ai
contributi volontari versati dopo  il  conseguimento  dell'anzianita'
assicurativa e contributiva utile al perfezionamento del diritto alla
pensione  di  anzianita';  la  sentenza  n.  264  del  1994,  che  fa
riferimento ai contributi obbligatori per attivita'  lavorativa  meno
retribuita nell'ultimo quinquennio; la sentenza n. 388 del 1995,  che
fa riferimento alla contribuzione figurativa. 
    Inoltre, l'INPS ricorda la sentenza n. 433 del 1999 riferita agli
agenti di commercio, con cui  e'  stata  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale degli artt. 10 e 37 della legge 2 febbraio 1973, n. 12
(Natura e compiti dell'Ente nazionale di assistenza per gli agenti  e
rappresentanti  di  commercio   e   riordinamento   del   trattamento
pensionistico integrativo a favore degli agenti e dei  rappresentanti
di commercio). 
    4.1- Cio' premesso,  l'Istituto  deduce  che  «le  posizioni  del
lavoratore subordinato e del lavoratore autonomo  in  relazione  alla
disciplina che regola il  trattamento  previdenziale  loro  riservato
sono del tutto incomparabili», evidenziando  i  molteplici  punti  di
diversita' delle rispettive  discipline  in  riferimento  all'obbligo
contributivo, alla misura dei contributi, al sistema di calcolo delle
pensioni, alle cosiddette finestre mobili  di  cui  all'art.  12  del
decreto-legge 31 maggio 2010,  n.  78,  recante  «Misure  urgenti  in
materia  di   stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'
economica», convertito, con  modificazioni,  nella  legge  30  luglio
2010, n. 122  (in  quanto  il  differimento  nella  decorrenza  della
prestazione e' di dodici mesi dalla maturazione  del  diritto  per  i
lavoratori dipendenti e di diciotto mesi per i lavoratori  autonomi),
al principio dell'automaticita' delle prestazioni, vigente solo per i
lavoratori subordinati. 
    Ad avviso dell'INPS, tale situazione non muterebbe in riferimento
agli  agenti  di  commercio,  data   la   specificita'   della   loro
configurazione giuridica che  indurrebbe  a  inquadrarli  nell'ambito
della cosiddetta parasubordinazione. 
    Sulla scorta di tali argomentazioni, l'Istituto sostiene  che  la
posizione  dei  lavoratori  autonomi  da  una  parte  e  quella   dei
lavoratori subordinati  e  degli  stessi  agenti  di  commercio  sono
«totalmente differenti sotto il profilo della tutela previdenziale  e
dunque appare plausibile e  non  in  contrasto  con  l'art.  3  della
Costituzione, una diversa disciplina in  punto  neutralizzazione  dei
contributi dannosi». 
    Da ultimo, l'INPS richiama «la  tendenza  della  legislazione  in
materia previdenziale,  particolarmente  avvertita  negli  anni  piu'
recenti, sia nel senso di contemperare  i  diritti  degli  assicurati
alle esigenze di tenuta del sistema previdenziale e di equilibrio del
bilancio», ed evidenzia che cio' comporti  che  «l'obiettivo  non  e'
piu' quello di  assicurare  al  pensionato  il  trattamento  migliore
possibile,  ma  quello  che  deriva  dal  computo   complessivo   dei
contributi maturati nel corso della vita lavorativa». 
    In tale ottica, secondo l'Istituto,  «puo'  ritenersi  plausibile
una differente disciplina tra lavoratori subordinati ed  autonomi  in
punto neutralizzazione dei contributi  c.d.  dannosi,  potendosi  far
rientrare  le  variazioni  di  reddito  nel  tempo  per   i   secondi
nell'ambito del  rischio  di  impresa  che  caratterizza  l'attivita'
imprenditoriale». Cio', ad  avviso  dell'INPS,  non  si  porrebbe  in
contrasto con gli artt. 35 e 38 Cost., in quanto «non incide in alcun
modo sulla tutela  del  lavoro  e  sull'adeguatezza  del  trattamento
pensionistico, costituendo invece la risultante del bilanciamento tra
i contrapposti interessi degli assicurati e della tenuta del  sistema
previdenziale». 
    5.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto
depositato il 16 gennaio 2018, chiedendo di dichiarare l'infondatezza
della questione di legittimita' costituzionale. 
    Anche la difesa dello  Stato  ha  dedotto  la  impossibilita'  di
applicare al  lavoro  autonomo  il  principio  della  sterilizzazione
contributiva,  affermato  dalla  giurisprudenza  costituzionale   nel
lavoro subordinato, attesa, da un lato, la diversita' dei due  regimi
contributivi, dall'altro, la sua non coerenza «con l'impostazione del
sistema previdenziale  del  lavoro  autonomo,  cosi'  come  e'  stato
delineato dall'art. 5 della L. 233/1990, attesa  la  natura  di  tale
tipologia lavorativa e il reddito di impresa derivante». 
    6.- In prossimita' dell'udienza, l'INPS ha depositato una memoria
nella  quale  ha  confermato  le  conclusioni  gia'  rassegnate.   In
particolare, l'Istituto ha ribadito la  diversita'  delle  situazioni
del lavoratore subordinato e del lavoratore autonomo, con particolare
riguardo al rischio di impresa che  sul  secondo  grava  e  che  esso
assume   volontariamente   scegliendo   di   proseguire   l'attivita'
lavorativa dopo aver  conseguito  i  requisiti  pensionistici,  fermo
restando l'opzione di continuare l'attivita' ottenendo un supplemento
di pensione che  assume  carattere  integrativo  di  quella  gia'  in
godimento. 
    In   definitiva,   l'INPS   evidenzia   che   l'elemento    della
volontarieta'   del   lavoratore   autonomo   nel   determinare    il
corrispettivo economico della propria attivita' e,  conseguentemente,
l'apporto  contributivo  in  funzione  della  misura   della   futura
pensione,  puo'  giustificare  la  diversita'   con   il   lavoratore
subordinato in ordine all'applicazione del principio della cosiddetta
"neutralizzazione". 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte d'appello di Trieste, con ordinanza  del  13  luglio
2017 (r.o. n. 184 del 2017), solleva, in riferimento  agli  artt.  3,
primo e secondo comma, 35, primo comma, e 38, primo e secondo  comma,
della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 5, comma 1, della legge 2 agosto 1990, n. 233 (Riforma  dei
trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi),  e  dell'art.  1,
comma 18, della legge 8 agosto 1995,  n.  335  (Riforma  del  sistema
pensionistico obbligatorio e complementare), nella parte in  cui  non
prevedono che al lavoratore autonomo che,  dopo  aver  conseguito  il
requisito per  il  trattamento  pensionistico,  abbia  continuato  la
propria attivita', versando  la  relativa  contribuzione,  non  possa
essere  liquidata  una  pensione  di  importo  inferiore   a   quello
determinabile alla data del  raggiungimento  dell'eta'  pensionabile,
con  esclusione  quindi  dal  computo  dei  successivi   periodi   di
contribuzione, ove  producano  effetti  riduttivi  dell'importo  gia'
maturato a tale data. 
    1.1.- Le questioni concernono la determinazione  del  trattamento
pensionistico di un lavoratore  che  ha  conseguito  la  pensione  di
vecchiaia  dal  1°  luglio  2010,  ottenuta  con  il   cumulo   della
contribuzione versata prima come lavoratore  dipendente  e  poi  come
lavoratore autonomo-commerciante,  iscritto  alla  relativa  gestione
speciale dell'assicurazione generale  obbligatoria  (dal  1°  ottobre
1975 al 30 giugno 2010). 
    L'interessato, pur  avendo  maturato  il  requisito  contributivo
minimo per accedere al trattamento pensionistico gia' alla  data  del
31 dicembre 2007, in forza della  legge  24  dicembre  2007,  n.  247
(Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza,
lavoro  e  competitivita'  per  favorire  l'equita'  e  la   crescita
sostenibili,  nonche'  ulteriori  norme  in  materia  di   lavoro   e
previdenza  sociale),  aveva   proseguito   l'attivita'   lavorativa.
Tuttavia, a seguito della riduzione  del  reddito  prodotto  in  tale
periodo  di  prosecuzione  dell'attivita',  l'importo   pensionistico
determinato dall'Istituto nazionale della previdenza sociale  (INPS),
in  quanto  calcolato  in  base  alle  disposizioni   censurate   con
riferimento alle ultime annualita' di reddito prodotto antecedenti al
pensionamento, era risultato  inferiore  a  quello  determinabile  in
riferimento alla data di  maturazione  del  requisito  pensionistico.
Pertanto, l'interessato aveva  richiesto  all'ente  previdenziale  di
rideterminare il trattamento liquidatogli, escludendo dal computo  la
contribuzione successiva al 31  dicembre  2007,  data  in  cui  aveva
maturato il requisito minimo contributivo. Cio' in  applicazione  del
principio     cosiddetto     della     «sterilizzazione»      (recte:
"neutralizzazione"), piu' volte affermato da  questa  Corte,  secondo
cui la contribuzione acquisita successivamente al perfezionamento del
requisito per l'accesso alla  pensione,  ove  comporti  la  riduzione
dell'importo della prestazione calcolabile a tale data,  deve  essere
"neutralizzata" ai fini del calcolo della pensione. 
    1.2.- Avverso  il  rigetto  da  parte  dell'INPS  della  domanda,
l'interessato aveva presentato ricorso al Tribunale di Pordenone  per
chiedere la rideterminazione del proprio  trattamento  pensionistico,
con esclusione dal computo della contribuzione  versata  dopo  il  31
dicembre 2007. 
    Il Tribunale adito aveva  accolto  la  domanda,  in  base  a  una
lettura costituzionalmente orientata favorevole al  ricorrente  delle
disposizioni di cui all'art. 5, comma 1, della legge n. 233 del  1990
e dell'art. 1, comma 18, della  legge  n.  335  del  1995,  ritenendo
applicabile il principio della  "neutralizzazione"  anche  al  regime
pensionistico dei lavoratori autonomi iscritti alla gestione speciale
INPS. 
    1.3.- La decisione del Tribunale di Pordenone e' stata  impugnata
dall'INPS, che ha ribadito l'impossibilita' di trarre  da  specifiche
ipotesi rispetto alle  quali  si  era  pronunciata  questa  Corte  un
principio di carattere generale, evidenziando, altresi', a tal  fine,
la diversita' del sistema pensionistico dei lavoratori subordinati da
quello dei lavoratori autonomi. 
    1.4.- La Corte d'appello  di  Trieste,  ritenendo  di  non  poter
aderire all'interpretazione costituzionalmente orientata adottata dal
giudice di primo grado, solleva, dunque, la questione di legittimita'
costituzionale in esame. 
    Il giudice  rimettente  afferma  che  le  disposizioni  censurate
violano  l'art.   3   Cost.,   comportando   una   ingiustificata   e
irragionevole disparita' di trattamento con i lavoratori  subordinati
nella parte in cui non prevedono l'applicazione anche  ai  lavoratori
autonomi  del  principio   di   "neutralizzazione"   dei   contributi
"dannosi". 
    Inoltre, la Corte d'appello ritiene che le disposizioni censurate
violino l'art. 35, primo comma, Cost., che tutela il lavoro  in  ogni
sua forma e applicazione, in  quanto  la  diversita'  di  trattamento
pensionistico  rispetto  a  quello  del  lavoro  subordinato   incide
negativamente sulla tutela del lavoro autonomo. 
    Infine,  il  collegio  rimettente  deduce  la  violazione   anche
dell'art. 38, primo e secondo comma, Cost., assumendo che il  diverso
trattamento comporta una  riduzione  della  pensione  del  lavoratore
autonomo, in quanto incide  sul  principio  di  proporzionalita'  tra
prestazione e qualita' e quantita' del lavoro espletato. 
    1.5.- L'INPS ha chiesto di dichiarare la questione manifestamente
infondata, assumendo che il principio  della  "neutralizzazione"  non
puo'   trovare   applicazione   nei   confronti   delle   prestazioni
pensionistiche  dei  lavoratori  autonomi  in  considerazione   della
diversita' del  loro  regime  previdenziale  rispetto  a  quello  dei
lavoratori subordinati. 
    1.6.- A sua volta,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
afferma l'impossibilita' di applicare al lavoro autonomo il principio
di "neutralizzazione", per ragioni analoghe  a  quelle  rappresentate
dall'INPS. 
    2.-  Preliminarmente,  con  riferimento  ai  profili  concernenti
l'ammissibilita' della questione, questa Corte rileva  che  risultano
incontestati i dati  fattuali  della  vicenda  oggetto  del  giudizio
principale, cosi' come  la  circostanza  che  l'entita'  dei  diversi
apporti del rateo pensionistico, conseguenti  al  differente  computo
del   periodo   di   riferimento   dei   redditi    annui    prodotti
dall'interessato,  derivi  dall'applicazione  o   meno   alle   norme
censurate   del   principio   di   "neutralizzazione",   che    nella
giurisprudenza di questa Corte  e'  stato  riferito  al  solo  lavoro
subordinato e parasubordinato. 
    Quanto  alle  argomentazioni  svolte  dalla  Corte  rimettente  a
sostegno della rilevanza e della  non  manifesta  infondatezza,  esse
risultano congrue. In particolare, il giudice a quo ha  adeguatamente
motivato  le  ragioni  critiche  che  lo  inducono  a  non   ritenere
percorribile la interpretazione «costituzionalmente orientata»  delle
disposizioni censurate adottata invece dal giudice di primo grado. 
    3.-  Nel  merito,  la  questione  e'   fondata   in   riferimento
all'evocato parametro costituito dall'art. 3 Cost. 
    4.- Le  disposizioni  oggetto  della  questione  di  legittimita'
costituzionale concernono  il  sistema  di  calcolo  del  trattamento
pensionistico  dei  lavoratori  autonomi  iscritti  all'assicurazione
generale obbligatoria, gestione speciale dei commercianti. 
    L'art. 5, comma 1, della legge  n.  233  del  1990  prevede:  «La
misura dei trattamenti pensionistici da liquidare, con effetto dal 1°
luglio  1990,  in  favore  degli  iscritti  alle  gestioni   di   cui
all'articolo 1 e' pari, per ogni anno di iscrizione  e  contribuzione
alle rispettive gestioni, al 2 per cento del reddito annuo  d'impresa
determinato, per ciascun soggetto assicurato, ai sensi  dell'articolo
1, quale risulta dalla media dei redditi relativi agli  ultimi  dieci
anni coperti da contribuzione o al minor numero  di  essi,  anteriori
alla decorrenza della pensione». 
    L'art. 1, comma 18, della legge n. 335 del 1995 stabilisce:  «Per
i lavoratori autonomi iscritti  all'INPS  che  al  31  dicembre  1992
abbiano avuto un'anzianita' contributiva pari o superiore ai 15 anni,
gli incrementi di cui al comma 17 ai fini della determinazione  della
base pensionabile trovano applicazione nella stessa misura e  con  la
medesima decorrenza e modalita' di computo  ivi  previste,  entro  il
limite delle ultime 780 settimane  di  contribuzione  antecedenti  la
decorrenza della pensione». A sua volta,  il  citato  comma  17,  del
medesimo art. 1, della legge n. 335 del 1995, prevede  il  meccanismo
di  incremento   delle   settimane   di   riferimento   del   reddito
pensionabile. 
    Le predette disposizioni vanno lette alla luce  della  disciplina
recata dall'art. 13 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.  503
(Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei  lavoratori
privati e pubblici, a norma dell'articolo 3 della L. 23 ottobre 1992,
n.  421),  secondo  cui  «Per  i   lavoratori   dipendenti   iscritti
all'assicurazione  generale  obbligatoria   per   l'invalidita',   la
vecchiaia ed i superstiti ed  alle  forme  sostitutive  ed  esclusive
della medesima, e per i lavoratori autonomi  iscritti  alle  gestioni
speciali  amministrative  dall'INPS,  l'importo  della  pensione   e'
determinato dalla somma: a) della quota  di  pensione  corrispondente
all'importo   relativo   alle   anzianita'   contributive   acquisite
anteriormente al 1°gennaio 1993, calcolato con riferimento alla  data
di  decorrenza  della   pensione   secondo   la   normativa   vigente
precedentemente alla data anzidetta che a tal fine  resta  confermata
in  via  transitoria,  anche  per  quanto  concerne  il  periodo   di
riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile; b)
della quota di pensione corrispondente  all'importo  del  trattamento
pensionistico  relativo  alle  anzianita'  contributive  acquisite  a
decorrere dal 1° gennaio 1993, calcolato secondo le norme di  cui  al
presente decreto». 
    Conseguentemente, il  trattamento  pensionistico  del  lavoratore
autonomo cui trovano applicazione le predette disposizioni, come  nel
caso di specie, e' composto: per ciascun anno di iscrizione  fino  al
31 dicembre 1992, dal due per cento del  reddito  annuo  di  impresa,
quale risultante dalla media dei  redditi  rivalutati  relativi  agli
ultimi dieci anni (ovvero 520 settimane)  anteriori  alla  decorrenza
della pensione, ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge n. 233 del
1990 (cosiddetta quota A); per gli anni di iscrizione  successivi  al
1992, dal due per cento del  reddito  annuo  di  impresa,  risultante
dalla media dei redditi rivalutati relativi agli ultimi quindici anni
(ovvero alle ultime 780 settimane) di contribuzione,  anteriori  alla
decorrenza della pensione, ai sensi  dell'art.  1,  comma  18,  della
legge n. 335 del 1995 (cosiddetta quota B). 
    Occorre evidenziare che le disposizioni scrutinate  si  applicano
ai trattamenti pensionistici determinati integralmente (come nel caso
in esame), o parzialmente, secondo il sistema retributivo  (nel  caso
del lavoro autonomo, piu' propriamente definibile reddituale), che fa
appunto  riferimento  alla  entita'  delle   retribuzioni   (redditi)
dell'interessato nell'ultimo periodo della vita lavorativa. 
    Risulta, dunque, evidente il rilievo che assumono, ai fini  della
determinazione del quantum della pensione, il periodo reddituale  cui
fare riferimento per  il  computo  delle  due  quote  di  trattamento
pensionistico previsto dalle disposizioni scrutinate e il momento  da
cui si calcolano "a ritroso" i rispettivi periodi. 
    5.- In tale quadro  normativo  si  colloca  il  thema  decidendum
dell'odierna  questione,   costituito   dall'applicabilita'   di   un
principio analogo a quello della "neutralizzazione" al diverso regime
pensionistico dei lavoratori autonomi iscritti alla apposita gestione
speciale dell'INPS. 
    5.1.- Il principio in esame configura la regula iuris secondo cui
la contribuzione acquisita nella fase successiva  al  perfezionamento
del requisito minimo contributivo non puo'  tradursi  nel  detrimento
della  misura  della  prestazione  pensionistica  gia'   virtualmente
maturata, e comporta, conseguentemente, che  i  periodi  contributivi
che abbiano comportato una minore contribuzione vanno esclusi ai fini
del calcolo della pensione (ex plurimis, sentenze n. 388 del 1995, n.
264 del 1994, n. 428 del 1992, n. 307 del 1989 e n. 822 del 1988). Da
qui   la   definizione   del   principio   anche   in   termini    di
immodificabilita'   in   peius   dell'importo    della    prestazione
determinabile alla data del conseguimento del requisito per l'accesso
al trattamento pensionistico. 
    Di  recente  la  sentenza  n.  82  del   2017,   nel   dichiarare
l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  3,  ottavo  comma,  della
legge 29 maggio 1982, n. 297  (Disciplina  del  trattamento  di  fine
rapporto  e   norme   in   materia   pensionistica),   ha   riassunto
organicamente le motivazioni a fondamento del principio in esame,  ed
esposto  sinteticamente  sia   la   coincidente   giurisprudenza   di
legittimita',  sia  la  parallela  evoluzione   normativa   volta   a
valorizzare il meccanismo della "neutralizzazione", che nel  caso  in
esame possono essere richiamati, pur nella diversa ratio,  quanto  al
fine  dell'esclusione  dei  contributi  dannosi  dal  calcolo   della
pensione. 
    5.2.- Come rilevato dal giudice rimettente, le predette decisioni
attengono  a  profili  della  disciplina  previdenziale-pensionistica
relativi al rapporto di lavoro subordinato: da qui la richiesta della
Corte d'appello di sottoporre a vaglio di legittimita'  la  questione
della applicabilita' al regime previdenziale dei lavoratori  autonomi
iscritti all'INPS del principio di "neutralizzazione". 
    Peraltro,  la  sentenza  n.  433   del   1999,   nel   dichiarare
l'illegittimita' costituzionale degli artt. 10 e  37  della  legge  2
febbraio 1973,  n.  12  (Natura  e  compiti  dell'Ente  nazionale  di
assistenza  per  gli  agenti  e   rappresentanti   di   commercio   e
riordinamento del  trattamento  pensionistico  integrativo  a  favore
degli agenti e  dei  rappresentanti  di  commercio),  ha  gia'  fatto
applicazione del predetto principio  anche  al  regime  pensionistico
degli agenti di commercio, che non sono lavoratori subordinati. 
    6.- Alla luce di quanto cosi' esposto, sussistendo nella concreta
fattispecie in esame tutte le  condizioni  in  presenza  delle  quali
potrebbe trovare  applicazione  il  principio  della  esclusione  dei
contributi dannosi, occorre  valutare  se  la  non  applicazione  del
principio  alla  scrutinata  disciplina  pensionistica   del   lavoro
autonomo sia da considerare ex se irragionevole,  e  gia'  in  quanto
tale comportante una ingiustificata diversita' di trattamento  con  i
lavoratori subordinati. 
    6.1.- In un quadro normativo caratterizzato  dalla  esistenza  di
diversificati regimi previdenziali, questa Corte  ha  affermato  che,
pur in considerazione di un processo di  convergenza  dei  rispettivi
sistemi,  la  persistenza  di  «elementi  di   motivata   diversita'»
(sentenza n. 148  del  2017)  giustifica  differenti  regolazioni  di
aspetti e punti specifici. 
    Riguardo alla problematica in esame, la piu' rilevante differenza
e' oggettivamente costituita  dalla  struttura  della  contribuzione,
correlata alle  caratteristiche  delle  due  tipologie  di  attivita'
lavorativa:  nel  lavoro  subordinato  l'obbligo  contributivo,   col
connesso  versamento  all'ente  previdenziale,   e'   riferito   alla
retribuzione, ed e' distribuito tra datore di  lavoro  e  lavoratore,
con la conseguente applicazione del principio dell'automatismo di cui
all'art. 2116 del codice civile, che tutela il lavoratore subordinato
in caso di mancato versamento dei contributi da parte dell'obbligato;
nel  lavoro  autonomo  la  contribuzione,  correlata  al  reddito  di
impresa, e' esclusivamente a carico del lavoratore interessato. 
    Ulteriori, e conseguenti, diversita' fra i due sistemi  in  esame
sono quelle, evidenziate in particolare dall'INPS,  costituite  dalla
presenza  nel  regime  previdenziale  del   lavoro   autonomo   della
"autodichiarazione" del reddito da parte dello stesso  lavoratore,  e
dalla   stessa   discrezionalita'   del   lavoratore   autonomo    di
autodeterminarsi ai fini degli obblighi contributivi  e  dell'accesso
alla prestazione pensionistica, configurandosi  un  rapporto  diretto
tra assicurato ed ente previdenziale. 
    6.2.- Tuttavia, contrariamente a quanto ritenuto dall'INPS e  dal
Presidente del Consiglio dei ministri, questa Corte ritiene che  tali
diversificati aspetti delle due discipline pensionistiche non  ostano
all'applicazione  del  principio  della  esclusione  dei   contributi
dannosi anche alle gestioni  previdenziali  dei  lavoratori  autonomi
iscritti all'INPS, in considerazione della  stessa  valenza  generale
del suddetto principio, che si impone nell'ordinamento  pensionistico
al di la' del pluralismo delle gestioni e dei regimi. 
    Cio', dunque, anche in disparte dagli argomenti desumibili  dalle
considerazioni svolte dalla giurisprudenza di legittimita' in  ordine
alla comune appartenenza al  regime  dell'assicurazione  obbligatoria
per la invalidita', la vecchiaia ed i  superstiti,  avente  struttura
unitaria, sia della gestione  lavoratori  dipendenti  che  di  quelle
speciali dei lavoratori autonomi,  e,  in  tale  contesto,  al  ruolo
svolto nella gestione previdenziale dei lavoratori autonomi,  per  il
versamento dei contributi  e  la  liquidazione  della  pensione,  dal
reddito d'impresa «analogo a quello svolto dalla retribuzione  per  i
lavoratori dipendenti» (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza
n. 18569 del 2008, e, in termini analoghi, sentenze n. 11930 e n. 771
del 2003). 
    6.3.-  Difatti,  se,  come  si  e'  ricordato,  il  principio  di
esclusione  dei  contributi  dannosi  e'  chiamato  ad  assolvere  la
funzione di costituire un limite intrinseco alla discrezionalita' del
legislatore  nella  scelta,  ad  esso  riservata,  del  criterio   di
individuazione  del  periodo  di   riferimento   della   retribuzione
pensionabile (da ultimo, sentenze n. 82 del 2017 e n. 388 del  1995),
tale  esigenza  si  configura  anche  in   riferimento   al   reddito
pensionabile, e dunque anche nei confronti del  regime  previdenziale
dei lavoratori autonomi. 
    Il sistema previdenziale e' certamente improntato  a  logiche  di
solidarieta' e non di mera corrispettivita', ma anche per  il  regime
pensionistico  dei  lavoratori  autonomi  iscritti  all'INPS  risulta
irragionevole che il versamento di contributi correlati all'attivita'
lavorativa prestata dopo il conseguimento del requisito per  accedere
alla  pensione,  anziche'  assolvere  alla  funzione  fisiologica   e
naturale di incrementare il trattamento pensionistico,  determini  il
paradossale effetto di ridurre l'entita' della prestazione. 
    6.4.- Non sono, pertanto, condivisibili le argomentazioni addotte
dall'INPS e dall'Avvocatura generale dello Stato che fanno  leva  sui
ricordati aspetti  diversificati  delle  discipline  fra  il  sistema
previdenziale dei lavoratori  subordinati  e  quello  dei  lavoratori
autonomi per escludere l'applicabilita' a quest'ultimo del  principio
in esame. 
    Tali assunti, difatti, non risultano idonei a motivare in termini
di ragionevolezza la predetta esclusione dei contributi "dannosi"  al
solo  regime  previdenziale  del  lavoro  subordinato,  o  a   quello
cosiddetto parasubordinato, in quanto avente  struttura  contributiva
simile a quella propria del lavoro subordinato. 
    Ad avviso di questa Corte, una volta adempiuti i propri  obblighi
contributivi e conseguiti i requisiti per  l'accesso  al  trattamento
pensionistico in ottemperanza alle previsioni normative  del  sistema
di appartenenza, anche  nei  confronti  del  lavoratore  autonomo  la
prosecuzione   dell'attivita'   lavorativa    e    della    correlata
contribuzione dopo la maturazione dei  predetti  requisiti  non  puo'
comportare una riduzione del trattamento "virtualmente" conseguito in
tale momento. 
    Sotto diverso profilo, l'INPS obietta che il  lavoratore  avrebbe
potuto  accedere  al  trattamento  pensionistico  al  maturarsi   del
requisito, per poi  continuare  l'attivita'  conseguendo  supplementi
della pensione ovvero la pensione supplementare, ove ne  ricorressero
le condizioni di legge (art. 6 della legge n. 233 del 1990). 
    Nemmeno  tali   considerazioni   dell'Istituto   possono   essere
condivise. 
    Esse, oltre a fare riferimento a elementi fattuali connessi  alle
opzioni  esercitate   dall'interessato,   risultano   contraddittorie
rispetto  alle  stesse  finalita'  costantemente   perseguite   dagli
interventi  normativi  adottati  per  assicurare  la   sostenibilita'
finanziaria  del  sistema  pensionistico,   volti   a   favorire   il
mantenimento  in  attivita'  di  lavoro  anche  (e  soprattutto)  per
ritardare l'accesso al trattamento  pensionistico  e  il  conseguente
onere a carico della finanza pubblica. 
    Inoltre,  la  tesi  espressa  dall'Istituto  determina  ulteriori
effetti irragionevoli. 
    Nel caso di specie il lavoratore autonomo che ha  optato  per  la
prosecuzione  dell'attivita'   lavorativa,   anziche'   accedere   al
trattamento  pensionistico  e  svolgere  successivamente  l'attivita'
conseguendo, attraverso l'ulteriore contribuzione, supplementi  della
pensione o la pensione supplementare, si trova ad essere  danneggiato
sotto molteplici  profili:  non  percepisce  nel  frattempo  i  ratei
pensionistici che, com'e' noto, sono  cumulabili  con  i  redditi  da
lavoro conseguiti successivamente; non  percepisce,  a  fronte  degli
ulteriori contributi versati, alcun incremento della prestazione; per
contro, subisce perfino una  diminuzione  del  quantum  determinabile
alla data di maturazione dei requisiti per l'accesso  al  trattamento
pensionistico; in definitiva, a  seguito  del  ritardato  accesso  al
pensionamento,  subisce  un  consistente  pregiudizio   patrimoniale,
qualificabile  sia  in  termini  di  lucro  cessante  che  di   danno
emergente. 
    7.-  Va,  pertanto,  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
delle disposizioni scrutinate, nella parte  in  cui,  ai  fini  della
determinazione delle rispettive  quote  del  complessivo  trattamento
pensionistico,  non  prevedono,  nel  caso  di   prosecuzione   della
contribuzione da parte dell'assicurato lavoratore  autonomo  iscritto
alla gestione  speciale  dell'INPS,  che  abbia  gia'  conseguito  la
prescritta anzianita' contributiva minima, che la pensione  liquidata
non  possa  essere  inferiore  a  quella  che  sarebbe  spettata   al
raggiungimento dell'eta' pensionabile, con  esclusione  dal  computo,
sia per la quota A che per la quota B, dei periodi  di  contribuzione
successivi  ove  comportino   un   trattamento   pensionistico   meno
favorevole. 
    8.- L'accoglimento della questione in  riferimento  al  parametro
costituito dall'art. 3  Cost.  comporta  l'assorbimento  degli  altri
parametri evocati dal giudice rimettente (artt. 35,  primo  comma,  e
38, primo e secondo comma, Cost.). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  5,  comma  1,
della  legge  2  agosto  1990,  n.  233  (Riforma   dei   trattamenti
pensionistici dei lavoratori autonomi),  e  dell'art.  1,  comma  18,
della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema  pensionistico
obbligatorio e complementare), nella parte  in  cui,  ai  fini  della
determinazione delle rispettive quote di  trattamento  pensionistico,
nel caso di prosecuzione della contribuzione da parte dell'assicurato
lavoratore  autonomo  che  abbia  gia'   conseguito   la   prescritta
anzianita'  contributiva  minima,  non  prevedono  l'esclusione   dal
computo della contribuzione successiva ove  comporti  un  trattamento
pensionistico meno favorevole. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                    Giulio PROSPERETTI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2018. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA