N. 111 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 febbraio 2016

Ordinanza del  18  febbraio  2016  del  Giudice  dell'esecuzione  del
Tribunale di Vicenza sull'istanza promossa da Scomazzon Valentino. 
 
Procedimento civile - Esecuzione immobiliare -  Spese  per  ausiliari
  del  magistrato  -  Compenso  dell'esperto  o  dello  stimatore   -
  Liquidazione calcolata sulla base del prezzo ricavato dalla vendita
  - Criterio di determinazione e misura massima per  la  liquidazione
  degli acconti anteriormente alla vendita. 
- Legge 6 agosto 2015, n. 132, art. 161, comma 3 [recte: Disposizioni
  di attuazione del codice di procedura civile, art.  161,  comma  3,
  aggiunto dall'art. 14, comma 1, lettera a-ter),  del  decreto-legge
  27 giugno 2015, n. 83  (Misure  urgenti  in  materia  fallimentare,
  civile e processuale civile e  di  organizzazione  e  funzionamento
  dell'amministrazione giudiziaria), convertito,  con  modificazioni,
  nella legge 6 agosto 2015, n. 132]. 
(GU n.35 del 5-9-2018 )
 
                  IL TRIBUNALE ORDINARIO DI VICENZA 
                         Ufficio Esecuzioni 
 
    Il giudice dott. Giulio Borella, 
    Visto l'art. 23 legge n. 87/1953; 
    Rilevato  che  il   sottoscritto   e'   giudice   dell'esecuzione
immobiliare di cui in epigrafe; 
    Rilevato che, in data 20 agosto 2015, veniva nominato esperto per
la stima degli immobili pignorati il geom. Valentino Scomazzon: 
    Rilevato che l'esperto  ha  depositato  la  perizia  in  data  11
gennaio 2016; 
    Rilevato che, contestualmente, l'esperto ha depositato,  ex  art.
71 decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, l'istanza  di
liquidazione del proprio compenso; 
    Rilevato che  le  attivita'  dell'esperto  e  i  contenuti  della
perizia di stima sono descritti dall'art. 173-bis d.a. c.p.c.; 
    Ritenuto  che  gli  accertamenti  ivi  previsti  debbono   essere
liquidati ex articoli 49 e ss decreto del Presidente della Repubblica
n. 115/2002  e  articoli  13-12  decreto  ministeriale  n.  182/2002,
nonche',  quanto  agli  accertamenti   non   previsti   dal   decreto
ministeriale citato, neanche  in  via  analogica,  col  metodo  della
liquidazione a vacazione ex art. 4 legge n. 319/1980; 
    Rilevato che sui criteri di liquidazione degli esperti  stimatori
e' recentemente intervenuto l'art. 161, comma 3, disp.  att.  c.p.c.,
come introdotto dalla  legge  n.  132/2015,  pubblicata  in  Gazzetta
Ufficiale n. 192 del 20 agosto 2015, entrato in vigore il  21  agosto
2015, a mente del quale «Il compenso dell'esperto o  dello  stimatore
nominato dal giudice o dall'ufficiale giudiziario e' calcolato  sulla
base del prezzo ricavato  dalla  vendita.  Prima  della  vendita  non
possono essere liquidati acconti in misura superiore al cinquanta per
cento del compenso calcolato sulla base del valore di stima»; 
 
                               Solleva 
 
    Eccezione  di  illegittimita'   costituzionale   della   predetta
disposizione, in quanto configgente con gli articoli 3, 36,  41,  97,
nonche' in relazione all'art. 117 Cost., quest'ultimo in relazione al
principio di proporzionalita'/adeguatezza, quale  principio  generale
dell'ordinamento comunitario di proporzionalita', sia nella parte  in
cui prevede che il compenso dell'esperto stimatore nominato  ex  art.
569 codice di procedura  civile  venga  liquidato  sulla  scorta  del
ricavato della vendita, anziche' in base al  valore  di  stima  (come
previsto dall'art. 13 decreto ministeriale n.  182/2002),  sia  nella
parte in cui dispone che, prima della  vendita,  non  possano  essere
liquidati acconti in misura superiore al 50% del  compenso  calcolato
sul valore di stima. 
 
                               Motivi 
 
    1 - Con riferimento al  primo  punto  (liquidazione  in  base  al
valore di vendita), la norma e' innanzitutto in contrasto con  l'art.
3 Cost., in quanto irragionevole. 
    Ed infatti l'art. 568 codice di procedura civile detta i  criteri
per  la  determinazione  del   valore   di   vendita   dell'immobile,
valorizzando il ruolo dell'esperto, al quale indica alcune  direttive
da seguire  nell'effettuazione  della  stima,  prevedendo  che  «Agli
effetti dell'espropriazione il valore  dell'immobile  e'  determinato
dal giudice avuto riguardo al valore  di  mercato  sulla  base  degli
elementi  forniti  dalle  parti  e  dall'esperto  nominato  ai  sensi
dell'articolo 569, primo comma. Nella determinazione  del  valore  di
mercato l'esperto procede al calcolo della superficie  dell'immobile,
specificando quella commerciale, del valore per metro  quadro  e  del
valore complessivo, esponendo analiticamente  gli  adeguamenti  e  le
correzioni della stima, ivi  compresa  la  riduzione  del  valore  di
mercato praticata per l'assenza della  garanzia  per  vizi  del  bene
venduto, e precisando tali adeguamenti in maniera  distinta  per  gli
oneri  di  regolarizzazione  urbanistica,  lo  stato   d'uso   e   di
manutenzione, lo stato di possesso, i vincoli e gli  oneri  giuridici
non eliminabili nel corso del procedimento esecutivo, nonche' per  le
eventuali spese condominiali». 
    La norma richiede dunque al giudice di determinare il  prezzo  in
base al valore di mercato del bene (oltre  che  una  serie  di  altri
indici), che deve essere fornito dall'esperto, il quale  dunque  pure
deve parametrare la propria stima non gia' al presumibile  valore  di
realizzo del bene, bensi' in base  al  valore  di  mercato,  con  gli
adattamenti richiesti dalla specificita' della vendita coattiva  (es.
decurtazioni per assenza di garanzia per vizi). 
    Non si spiega quindi per quale ragione la liquidazione  del  bene
debba avvenire sulla scorta del  valore  di  vendita  finale,  quando
viene chiesto di effettuare la stima del valore di mercato. 
    Deve tenersi presente del resto che i due valori e i  metodi  per
il calcolo sono ben distinti nella dottrina dell'estimo, ove gli  IVS
(International Valuation Standards) distinguono nettamente tra valore
di mercato del bene (calcolato  sulla  scorta  del  Market  Approach,
Income Approach e Cost Approach) e valore del bene in  condizioni  di
vendita forzata, valore che viene calcolato sulla scorta  di  criteri
ben differenti. 
    In particolare il valore di  vendita  forzata  e'  definito  come
l'importo che si puo' ragionevolmente ricavare dalla  vendita  di  un
bene, entro un intervallo troppo bene perche'  rispetti  i  tempi  di
commercializzazione  richiesti  dalla  definizione  del   valore   di
mercato. La vendita  forzata  implica  un  prezzo  derivante  da  una
vendita avvenuta in circostanze straordinarie. Generalmente  riflette
un periodo di commercializzazione inadeguato,  durante  il  quale  il
bene non e' stato esposto al mercato a sufficienza,; a volte riflette
la condizione di un venditore non intenzionato alla vendita  e/o  una
vendita imposta o estorta (cfr Linee guida ABI A.1.5). 
    Il valore di vendita forzata e' atteso essere minore  del  prezzo
di mercato, ma non puo' essere calcolato sulla scorta di una semplice
decurtazione percentuale dal prezzo di mercato. Il valore di  vendita
forzata deve far riferimento a specifiche  assunzioni,  tenuto  conto
che non e' realistico che il perito determini  il  valore  del  bene,
senza conoscere le ragioni delle limitazioni esistenti. Le assunzioni
della  stima  del  valore  di  vendita  forzata  possono   riguardare
l'applicazione di un criterio convenzionale, basato sulla simulazione
del processo di formazione del prezzo, riferito alle  caratteristiche
dell'immobile (cfr linee guida ABI A.1.5). 
    Anche dal punto di  vista  della  base  scientifica  della  norma
quindi, la stessa appare del tutto irragionevole, rispetto al tipo di
stima che l'art. 568 codice di procedura civile richiede all'esperto. 
    2 -  La  norma  appare  altresi'  irragionevole  e,  quindi,   in
contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto, nella parte in cui  aggancia
il compenso dell'esperto al valore di  vendita  del  bene  pignorato,
prende come valore di riferimento un'entita' (il  valore  di  vendita
appunto) che tuttavia non pare pronosticabile a priori e  dipende  da
fattori imponderabili da parte dell'esperto. 
    Sul valore di vendita finale  del  bene  si  possono  al  massimo
effettuare delle valutazioni prognostiche, basate su dati  statistici
(peraltro poco confortanti: si pensi che in un articolo  comparso  su
Casa24 Plus del 1º  marzo  2012  si  evidenziava  come  gli  immobili
fossero mediamente aggiudicati alla  seconda  asta,  con  un  ribasso
medio del 39% rispetto a quello di stima; tali dati  statistici  sono
peggiorati negli ultimi anni). 
    Sotto tale profilo del resto  la  disposizione  in  esame  appare
irragionevole anche perche' in  contrasto  con  la  natura  giuridica
dell'obbligazione  dell'esperto,  quale  professionista   dotato   di
specifica competenza tecnica, che e' obbligazione di mezzi e  non  di
risultato. 
    La distinzione tra obbligazioni di mezzi e di  risultato  non  e'
puramente terminologica o confinata  ai  manuali  di  istituzioni  di
diritto  privato:  sebbene  la   giurisprudenza   piu'   recente   di
legittimita' abbia operato un  ravvicinamento  delle  due  categorie,
l'essenza dell'obbligazione di mezzi va ricercata  nel  principio  di
causalita', e risiede nell'impossibilita' per il  debitore  di  poter
garantire un certo risultato, e cio' in quanto  il  risultato  stesso
non si pone in rapporto di regolarita' causale  con  la  prestazione,
pur diligentemente svolta, sul risultato potendo incidere  una  serie
di concause, non dominabili dallo stesso debitore,  che  non  possono
quindi essere poste a suo carico. 
    Nella specie la  norma,  nell'ancorare  la  stima  al  valore  di
vendita finale  del  bene,  finisce  col  trasformare  l'obbligazione
dell'esperto da obbligazione di mezzi ad obbligazione  di  risultato,
senza tenere conto tuttavia che sul valore finale di vendita del bene
possono incidere svariati fattori,  non  preventivamente  governabili
dall'esperto (basti pensare, a puro titolo  di  esempio,  alle  stime
effettuate  prima  e   nell'imminenza   della   crisi   del   mercato
immobiliare,  calibrate  su  ben  altra  situazione  di   mercato   e
rivelatesi poi inadeguate non per colpa degli  esperti;  o  si  pensi
all'ipotesi di danni cagionati all'immobile dal debitore, o da terzi,
o da intemperie; ecc.). 
    Appare dunque irragionevole porre a  carico  dell'esperto  l'alea
degli eventi che possono incidere sul valore finale di aggiudicazione
e che non dipendono dalla sua  condotta  o  dalle  sue  capacita'  di
previsione. 
    3 - La norma e' altresi' irragionevole e,  quindi,  in  contrasto
con l'art. 3 Cost., perche' figlia di un  infondato,  quanto  diffuso
pregiudizio nei confronti della categoria  degli  esperti  stimatori,
tacciati di effettuare stime troppo alte, al fine di lucrare compensi
piu' elevati. 
    Trattasi,  appunto,  di   mero   pregiudizio,   in   quanto   una
superficiale scorsa al decreto del  Presidente  della  Repubblica  30
maggio 2002 e alle tabelle  allegate  evidenzia  che,  posto  che  il
compenso non puo' mai superare  l'importo  di  euro  2.271,76,  anche
sovrastimando ad euro 500.000,00 un bene che ne vale euro 400.000,00,
il compenso sarebbe di euro 2.256,18, con un lucro di soli euro 90,00
circa lordi; sovrastimando ad euro 400.000,00 un bene del  valore  di
euro  300.000,00  il  lucro  sarebbe  di  soli  euro   95,00   circa;
sovrastimando ad euro 300.000,00 un bene che ne  vale  250.000,00  il
lucro sarebbe addirittura di soli euro 80,00 circa lordi. 
    E si potrebbe continuare. 
    Appare quindi del tutto evidente come la norma si fondi su di  un
pregiudizio infondato e tenti  di  superarlo  ancorando  il  compenso
dell'esperto al valore di  vendita,  allo  scopo  di  indurlo  a  non
effettuare stime troppo elevate. 
    4 - Ancora, la norma appare irragionevole, nella misura  in  cui,
nel mentre il decreto-legge n. 83/2015  dilata  ulteriormente  e  per
l'ennesima volta i compiti dell'esperto, aggiungendo tre nuovi  punti
(n. 7-8-9) all'art. 173-bis d.a.  c.p.c.,  dall'altra,  in  luogo  di
compensare adeguatamente l'esperto per  tale  ulteriore  impegno,  ne
riduce il compenso. 
    Ne' si dica che non e' detto che il compenso risulti ridotto,  in
quanto l'immobile  ben  potrebbe  essere  aggiudicato  ad  un  prezzo
superiore a quello di stima e, quindi, l'esperto potrebbe addirittura
lucrarci. 
    Va detto che su tale eventualita' pare  non  credere  neppure  lo
stesso legislatore, quale, gia' con  il  decreto-legge  n.  132/2014,
convertito con legge n. 162/2014, aveva di fatto  reso  inapplicabili
le norme  sull'incanto,  stabilendo  che  il  giudice  puo'  disporre
l'incanto solamente quando ritenga che con tale  sistema  di  vendita
sia possibile ricavare un prezzo pari al 150%  del  valore  di  stima
(valore di mercato). 
    In ogni caso, come visto sopra, nel riportare le linee guida ABI,
e' la stessa scienza dell'estimo a prevedere  che  il  prezzo  atteso
dalla vendita in condizioni  di  vendita  forzata  e'  atteso  essere
inferiore rispetto al valore di mercato. 
    Ancora, le statistiche, come detto, dicono che il valore medio di
aggiudicazione era, nel 2012, inferiore del 39% rispetto a quello  di
stima. 
    E' dunque del tutto irragionevole sostenere che la norma  sarebbe
neutra rispetto all'entita' del compenso dell'esperto. 
    In ogni caso la norma sarebbe irragionevole anche nel caso in cui
fosse vero l'assunto  che  l'esperto  potrebbe  lucrare  un  compenso
maggiore, laddove l'immobile fosse aggiudicato ad un valore superiore
alla stima, in quanto ancora una volta si tratterebbe  di  un  valore
sul quale egli non avrebbe potuto incidere in  alcun  modo  e,  anzi,
paradossalmente verrebbe premiato pur dimostrandosi che la  stima  da
lui originariamente effettuata e  la  previsione  (ma  sarebbe  forse
meglio definirla la  scommessa)  sul  valore  di  aggiudicazione  era
errata. 
    5 - La norma contrasta altresi' con l'art. 3 Cost. per violazione
del principio di uguaglianza. 
    La stima del valore di beni immobili non e'  attivita'  esclusiva
del processo esecutivo, mobiliare o immobiliare, potendo essa  essere
necessaria anche in altri ambiti, quali giudizi di divisione ex  art.
784 codice di procedura civile o procedimenti concorsuali. 
    Trattandosi di norma speciale, espressamente riferita all'esperto
stimatore in ambito esecutivo, l'art. 161, comma 3,  d.a.  codice  di
procedura  civile  non  potrebbe  applicarsi  alla  liquidazione  dei
compensi  dello  stimatore  in  un  giudizio  di  divisione,  e  cio'
malgrado, ex art. 788 c.p.c., in caso di  indivisibilita'  in  natura
dei beni, anche tale processo possa sfociare in un subprocedimento di
vendita coattiva, disciplinato  dalle  stesse  norme  del  codice  di
procedura  civile,  ma  non  vi  e'  dubbio  che,  in  tal  caso,  la
liquidazione del C.T.U. avverrebbe sulla scorta dell'art. 13  decreto
ministeriale  n.  182/2002,  che  prende   a   riferimento   per   la
liquidazione del compenso il valore di stima. 
    Ugualmente, in  ambito  fallimentare,  in  caso  di  presenza  di
immobili nel compendio fallimentare, la vendita seguirebbe  le  forme
dell'art. 107 1.f., il  quale  consente  di  optare  per  la  vendita
tramite G.D., che segue le forme dell'esecuzione  immobiliare  civile
e, normalmente, viene svolta previo espletamento di perizia di stima. 
    Anche in  questo  caso  la  norma  oggi  impugnata,  per  la  sua
specialita', non potrebbe applicarsi al di fuori del  suo  ambito  di
applicazione, ossia la stima effettuata nell'ambito delle  esecuzioni
civili, con una evidente disparita' di trattamento rispetto  ai  casi
precedenti. 
    6 - Ancora, la norma appare  irragionevole  e  in  contrasto  con
l'art. 3 Cost. anche nella parte in cui non specifica  come  dovrebbe
avvenire la liquidazione in caso  di  estinzione  del  processo,  sia
tipica, che atipica. 
    E se con riferimento alla prima ipotesi potrebbe forse azzardarsi
- con un notevole sforzo di fantasia - che,  dipendendo  l'estinzione
da una scelta del procedente o da una sua  inerzia,  la  liquidazione
dovrebbe avvenire con riferimento al valore di stima,  non  potendosi
la scelta delle parti risolversi in danno dell'ausiliario, non  cosi'
potrebbe concludersi nel secondo caso. 
    Si  pensi  all'art.   164-bis   d.a.   c.p.c.,   introdotto   dal
decreto-legge   n.   132/2014,    che    consente    di    dichiarare
l'improseguibilita' della procedura  e  la  chiusura  anticipata  del
processo esecutivo per  l'impossibilita'  di  conseguire  il  proprio
scopo, ossia la soddisfazione del creditore. 
    In questo caso, pur in assenza di inerzie colpevoli del creditore
procedente, ma per l'effetto di una scelta discrezionale del  giudice
dell'esecuzione,  la  procedura  si  chiuderebbe  senza   vendita   e
liquidazione  del  bene,  cosi'  che,  massimizzando  la   disciplina
dell'art. 161, comma 3, d.a. c.p.c., dovrebbe dirsi che al perito non
dovrebbe spettare alcun compenso e, anzi, dovrebbe restituire  quanto
eventualmente corrispostogli in acconto. 
    7 - La norma appare in contrasto altresi' con  l'art.  36  Cost.,
sia nella parte in cui ancora la liquidazione al  valore  di  vendita
del bene, in luogo che al valore di stima, sia  nella  parte  in  cui
rinvia la liquidazione al momento della vendita, consentendo prima di
tale momento solamente la liquidazione di acconti  non  superiori  al
50%. 
    L'art. 36 Cost. prevede infatti che il lavoratore  abbia  diritto
ad  una  retribuzione  adeguata  e  proporzionata  alla  quantita'  e
qualita' del lavoro svolto e la norma risulta  applicabile  anche  ai
lavoratori autonomi (cfr Corte costituzionale 75/1964). 
    Si e' gia' evidenziata l'irragionevolezza  di  una  disposizione,
quale  l'art.  161,  comma  3,  d.a.  c.p.c.,  che,  nel  mentre   il
legislatore commina all'esperto una pluralita' di compiti sempre piu'
complessi, arricchendo  di  riforma  in  riforma  i  contenuti  della
perizia ex art. 173-bis d.a. c.p.c., dall'altro lato produce di fatto
l'effetto di diminuirne il compenso. 
    Si consideri tra l'altro che la  norma  qui  impugnata,  nel  far
riferimento  al  compenso  nel  suo  complesso,  non   pare   neppure
distinguere tra voci del compenso che  dipendono  effettivamente  dal
valore  di  stima/vendita  (art.  13),  e  voci  che  ne  prescindono
(accertamenti ex art. 12, vacazioni ex  art.  4, legge  n.  319/1980,
art. 16). 
    In ogni caso, se e' vero che, nella liquidazione degli ausiliari,
il legislatore non e' tenuto a rifarsi  alle  tariffe  professionali,
oggi peraltro non piu' in vigore, e' altrettanto vero che, come  piu'
volte osservato dalla giurisprudenza di legittimita' (cfr  Cassazione
18070/2012),  «la  liquidazione,  sebbene   non   possa   farsi   con
riferimento alle tariffe professionali allora vigenti,  tenuto  conto
della  natura   pubblicistica   dell'incarico   e   del   conseguente
bilanciamento  degli  interessi,  deve  comunque   essere   tale   da
assicurare all'ausiliario un ragionevole risultato economico». 
    Si  puo'  quindi  fondatamente  dubitare  che   la   disposizione
impugnata assicuri all'esperto, a fronte dell'impegno  richiesto  dal
novellato  art.  173-bis  d.a.  c.p.c.,  quel  ragionevole  risultato
economico  che  la  Cassazione  richiede   e   che   ricava   appunto
direttamente dall'art. 36 Cost., quale irrinunciabile  presidio  alla
dignita' del lavoro e della persona,  tenuto  del  resto  e  altresi'
conto del fatto che, trattandosi di incarico ricevuto  dall'autorita'
giudiziaria, l'ausiliario  non  gode  di  potere  contrattuale  nella
determinazione del proprio  compenso,  come  qualsiasi  altro  libero
professionista. 
    Cio' vale anche con riferimento alla parte della disposizione che
prevede che, prima della vendita, non possano liquidarsi acconti  sul
compenso superiori al 50%. 
    Appare infatti equivalente al  non  compensare  adeguatamente  il
professionista  per  il  lavoro  svolto  il  rinviare  sine  die   la
liquidazione del compenso, in attesa di un evento  futuro  e  incerto
quale la vendita dell'immobile pignorato, che potrebbe avvenire  dopo
diversi anni o addirittura non avvenire mai. 
    8 - la norma appare in contrasto altresi' con  l'art.  41  e  117
Cost., in quanto  pare  limitare  irragionevolmente  la  liberta'  di
iniziativa economica, e cio' sia nella  parte  in  cui  parametra  il
compenso al valore di vendita, sia nella parte in cui  ne  rinvia  la
liquidazione alla vendita del bene, consentendo prima di tale momento
solamente la liquidazione di  acconti,  non  superiori  al  50%.  Che
l'entita', ma anche  la  tempestivita'  del  pagamento  del  compenso
impattino  sulla  liberta'   di   iniziativa   economica   non   puo'
ragionevolmente trarsi in dubbio, se e' vero che, a livello  europeo,
sono state anche emesse direttive volte a garantire la  tempestivita'
dei pagamenti nelle transazioni commerciali  (decreto legislativo  n.
231/2002). 
    Non che la disciplina in parole possa essere ovviamente applicata
direttamente alla liquidazione dei compensi  dell'esperto  stimatore,
non potendosi in tal caso parlare di transazione commerciale (sebbene
il compenso ex art. 8 decreto  del  Presidente  della  Repubblica  30
maggio 2002 vada anticipato dal creditore procedente, che ha  diritto
alla relativa fattura). 
    Rimane tuttavia valido il principio di  fondo,  ispiratore  della
disciplina, per cui l'entita' e, soprattutto,  la  tempestivita'  dei
pagamenti devono essere garantiti, quali elementi fondamentali  della
liberta' di impresa e di iniziativa economica. 
    Che poi anche il professionista rientri nella tutela dell'art. 41
Cost.  e  nel  concetto  di   impresa   e'   assai   pacifico   nella
giurisprudenza della CGUE. 
    Essa infatti intende come imprenditore  qualsiasi  soggetto  che,
indipendentemente  dallo  stato  giuridico  e  dalle   modalita'   di
finanziamento, eserciti attivita' economica (cfr C.G.U.E.  1º  luglio
2008  causa  C-49/07)  e  definisce  attivita'  economica   qualunque
attivita' consistente nell'offrire beni e servizi su  un  determinato
mercato (cfr C.G.U.E. 10 gennaio 2006 causa C-222/04), a  prescindere
dallo scopo  di  lucro  eventualmente  perseguito  (cfr  C.G.U.E.  29
novembre 2007 causa C-119/06). 
    Per tale via la norma appare in contrasto anche  con  l'art.  117
Cost.,  in  quanto  in  contrasto  con  l'art.  117  Cost.,  perche',
limitando l'entita'  del  compenso  dell'esperto  e  ritardandone  il
pagamento, viene a limitare la liberta' economica del professionista,
costituendo norma  tecnica  che  crea  un  ostacolo  non  necessario,
inadeguato e sproporzionato rispetto alla detta liberta'. 
    Va ricordato che il principio  di  proporzionalita'  ha  ottenuto
particolare  considerazione  nell'ordinamento  comunitario  (art.   5
trattato  CE)  e  nell'art.  I-11  del  Trattato   che   adotta   una
Costituzione per l'Europa, oltre ad essere un indiscusso protagonista
nella  giurisprudenza  della  C.G.U.E.,  che  a  partire  dagli  anni
sessanta del secolo  scorso  lo  ha  elevato  a  rango  di  principio
generale  dell'ordinamento   comunitario,   anche   quale   principio
costituzionale comune ai paesi membri. 
    Il principio di proporzionalita'  (con  i  connessi  principi  di
necessita' e adeguatezza) assolve nella giurisprudenza della  CGUE  a
diverse funzioni, ma, per quanto qui interessa, esso costituisce  una
condizione di validita' delle misure  nazionali  che  incidono  sulle
liberta' fondamentali garantite dall'Unione. 
    In  particolare  limitazioni  alle  liberta'  fondamentali   sono
giustificate, per  la  CGUE,  quando  siano  necessarie,  adeguate  e
proporzionate per tutelare esigenze imperative di interesse  pubblico
(cfr sent. 20 febbraio 1979 causa C120/1978. 
    I provvedimenti nazionali che possono  ostacolare  o  scoraggiare
l'esercizio delle liberta' fondamentali  debbono  soddisfare  quattro
condizioni:  applicarsi   in   modo   non   discriminatorio,   essere
giustificati da motivi imperiosi di interesse pubblico, essere idonei
ad assicurare il conseguimento dello scopo prefissato  e  non  andare
oltre quanto necessario a tal fine (cfr sentenza 31 marzo 1993  causa
C-19/1992). 
    Appare dunque evidente il contrasto della norma con il  principio
di proporzionalita', nella misura in cui, limitando quanto  e  quando
del compenso dell'esperto, non puo' che creare ostacolo alla liberta'
di iniziativa economica del professionista, senza la presenza  di  un
imperativo interesse pubblico da  tutelare  e,  comunque,  in  misura
inadeguata e sproporzionata. 
    Per tal via la stessa appare in contrasto anche  con  l'art.  117
Cost., in quanto lesiva del principio di diritto comunitario primario
di proporzionalita'. 
    9 - La norma appare in contrasto altresi' con l'art. 3, 97 Cost.,
nella parte in cui,  frustrando  le  aspettative  al  compenso  degli
esperti, finisce con il far lavorare gli stessi sottocosto e, quindi,
con l'allontanare dal  circuito  le  professionalita'  migliori,  con
grave danno per la funzionalita' e l'efficienza  dell'amministrazione
della giustizia. 
    Deve ricordarsi che, per la giurisprudenza di  merito,  l'esperto
stimatore non va qualificato come C.T.U., bensi' come ausiliario  del
giudice, valorizzando in tal modo il rapporto  di  fiducia  esistente
tra lo stimatore e il giudice stesso (culla differenza ontologica tra
l'attivita' dell'esperto e  quella  del  C.T.U.  si  e'  espressa  la
Cassazione, con sentenza n. 4919/2001, ove si  legge  che  «L'esperto
non deve svolgere il suo incarico in contraddittorio  coi  consulenti
delle parti, sia perche' la sua nomina e' un atto  preparatorio  alla
vendita  e  la  sua  valutazione  costituisce   un   dato   meramente
indicativo, che non pregiudica l'esito della vendita, sia perche'  il
suo  ausilio  non  viene  chiesto  dal   G.E.   per   risolvere   una
controversia, ma soltanto per la  liquidazione  dei  beni  pignorati,
cioe' per l'esecuzione di un'attivita' di tipo esecutivo  tipicamente
unilaterale»). 
    Tale diverso inquadramento giuridico viene invocato allo scopo di
evidenziare l'inopportunita', ai fini dell'efficienza della  gestione
del  processo  esecutivo,  di  applicare  all'esperto  le  norme  sui
CC.TT.UU., segnatamente l'art. 61 codice di procedura civile e l'art.
22 d.a. c.p.c.,  che  obbligano  il  giudice  a  scegliere  l'esperto
dall'albo dei C.T.U. e  rimettono  al  Presidente  del  Tribunale  la
vigilanza sull'equa  distribuzione  degli  incarichi  (art.  23  d.a.
c.p.c.). 
    E' stato infatti giustamente sottolineato come l'applicazione  di
queste norme porterebbe spesso ad una distribuzione degli incarichi a
pioggia tra gli iscritti all'albo, in una materia che, al  contrario,
proprio alla luce del costante incremento di  compiti  demandato  dal
legislatore all'esperto, richiede una sempre  maggiore  competenza  e
professionalizzazione, impossibile laddove i professionisti  ricevano
pochi incarichi all'anno. 
    D'altro canto la conclusione non muterebbe anche  accedendo  alla
diversa interpretazione che vuole che  anche  gli  esperti  stimatori
vengano nominati scegliendoli dall'albo  dei  CC.TT.UU.,  atteso  che
l'art.  23  cit.  demanda  bensi'  al  Presidente  del  Tribunale  la
vigilanza  sull'equa  distribuzione  degli  incarichi,   ma   precisa
altresi' che tale equa distribuzione deve avvenire «senza  danno  per
l'amministrazione della giustizia», espressione che  implica  appunto
una particolare attenzione alle competenze e  professionalita'  degli
esperti, evitando la distribuzione di incarichi a pioggia. 
    Esiste  dunque,  nella   specifica   materia   delle   esecuzioni
immobiliari, l'esigenza di poter beneficiare di professionisti dotati
di grande competenza e  professionalita',  in  un  settore  dove  gli
eventuali errori, imprecisioni,  omissioni  della  perizia  di  stima
finiscono col riverberarsi sull'aggiudicatario e, per questa via, con
il  danneggiare  l'immagine   dell'intero   settore   delle   vendite
pubbliche. 
    Appare dunque evidente come la disposizione impugnata  appaia  in
contrasto con tali esigenze e, per tal via, con gli  articoli  3,  97
Cost. 
    Del resto il giudice delle leggi, nel dichiarare incostituzionale
l'art. 106-bis decreto del Presidente della Repubblica  n.  115/2002,
introdotto dall'art. 1, comma DCVI, legge n. 147/2013, ha gia'  avuto
modo di rilevare l'irragionevolezza di normative  che  frustrino  sul
piano del compenso gli ausiliari del giudice, per via delle  ricadute
di sistema che, nelle condizioni descritte,  puo'  favorire,  per  un
verso, applicazioni strumentali o addirittura illegittime delle norme
(ad es. a mezzo di  indebita  proliferazione  degli  incarichi  o  un
pregiudiziale orientamento verso i massimi tariffari) e, per l'altro,
comportare un allontanamento dal circuito  dei  consulenti  d'ufficio
delle migliori professionalita' (cfr Corte costituzionale  192/2015).
Il che e' appunto quanto sta accadendo nell'ambito  delle  esecuzioni
immobiliari  a  seguito  dell'introduzione  della  disposizione   qui
impugnata, sia sotto il profilo dell'entita' dei compensi, sia  sotto
il profilo del quando del pagamento.  
 
                               P.Q.M. 
 
    Ritenuto che le  questioni  sollevate  siano  pregiudiziali,  non
potendosi decidere sulla liquidazione dell'esperto senza la  risposta
della Consulta; 
    Ritenuto  altresi'  che  la  questione  non  sia   manifestamente
infondata, per tutti i motivi addotti; 
    Ritenuto che la lettera della legge non consenta  interpretazioni
alternative, compatibili col dettato costituzionale, che  autorizzino
il giudice a non applicare la nuova disciplina; 
    Il tribunale di Vicenza in persona  del  giudice  dell'esecuzione
dott.   Giulio   Borella,   solleva   eccezione   di   illegittimita'
costituzionale dell'art. 161, comma 3, legge n. 132/2015, nella parte
in cui prevede che il compenso dell'esperto venga calcolato  in  base
al ricavato realizzato dalla vendita del bene, nonche' nella parte in
cui prevede che, prima della vendita, non  possano  essere  liquidati
acconti in misura superiore al 50% del valore di stima, in  relazione
all'art. 3, 36, 41, 97 e 117 Costituzione, quest'ultimo in  relazione
al  principio  di  proporzionalita',  quale  principio  generale  del
diritto comunitario primario. 
    Dispone la sospensione della liquidazione in corso  e  ordina  la
trasmissione dell'ordinanza e degli atti alla  Corte  costituzionale,
unitamente alla prova delle notificazioni eseguite. 
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia
notificata alle parti, alla Presidenza del Consiglio dei  ministri  e
ai  presidenti  della  Camera  dei  deputati  e  del   Senato   della
Repubblica, ex art. 23, ultimo comma, legge n. 87/1953. 
    Si comunichi. 
        Vicenza, 16 febbraio 2016 
 
                        Il Giudice: Borella