N. 116 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 marzo 2018

Ordinanza del 24 marzo 2018 del Tribunale di Pavia  nel  procedimento
relativo all'amministrazione di sostegno di T. A.. 
 
Capacita' giuridica e di agire - Consenso informato e  rifiuto  delle
  cure  -  Amministrazione  di  sostegno   con   attribuzione   della
  rappresentanza esclusiva in ambito  sanitario  -  Possibilita'  per
  l'amministratore di sostegno, in assenza di disposizioni anticipate
  di trattamento (DAT) dell'amministrato e di opposizione del  medico
  sull'appropriatezza e necessita' delle cure proposte, di rifiutare,
  senza l'autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie  al
  mantenimento in vita dell'amministrato. 
- Legge 22 dicembre 2017,  n.  219  (Norme  in  materia  di  consenso
  informato e di disposizioni anticipate  di  trattamento),  art.  3,
  commi 4 e 5. 
(GU n.36 del 12-9-2018 )
 
                         TRIBUNALE DI PAVIA 
                           Sezione Seconda 
 
    Il giudice tutelare dott.ssa Michela Fenucci, ha  pronunciato  la
seguente ordinanza. 
    Nel procedimento relativo alla amministrazione di sostegno di  T.
A.  nato  a ...... il  ......,  residente  in   ......,   attualmente
ricoverato   presso   la   «G.   E.»   in    ......,    rappresentato
dall'amministratore di sostegno G. A. nato a C il ......, con  studio
in ...... 
    Il giudice tutelare dott.ssa Michela Fenucci ritiene di sollevare
questione di legittimita' costituzionale dell'art.  3  commi  4  e  5
della  legge  n.  219/2017  nella  parte  in  cui  stabiliscono   che
l'amministratore di sostegno,  la  cui  nomina  preveda  l'assistenza
necessaria o la rappresentanza  esclusiva  in  ambito  sanitario,  in
assenza  delle  disposizioni   anticipate   di   trattamento,   possa
rifiutare, senza  l'autorizzazione  del  giudice  tutelare,  le  cure
necessarie al mantenimento in vita  dell'amministrato,  ritenendo  le
suddette disposizioni in violazione degli articoli 2, 3, 13, 32 della
Costituzione. 
    La questione e' rilevante per i seguenti motivi 
      con decreto in data 16 ottobre 2008 era nominato in  favore  di
T. A. un amministratore di sostegno a cui non era attribuita  ne'  la
assistenza necessaria  ne'  la  rappresentanza  esclusiva  in  ambito
sanitario (cfr. doc. 6). Con successivo decreto del 23 luglio 2013 si
provvedeva alla sostituzione dell'amministratore  di  sostegno  senza
che intervenisse contestuale modifica  dei  poteri  attribuiti  (cfr.
doc. 11). La relazione clinica in data 21 febbraio 2018 certifica  le
condizioni di salute di T.  A.  che  risulta  attualmente  «in  stato
vegetativo in esiti di stato di male epilettico in  paziente  affetto
da ritardo  mentale  grave  da  sofferenza  cerebrale  perinatale  in
sindrome disformica» e «portatore di PEG» (cfr. doc.  20).  Si  rende
quindi necessario ai sensi dell'art. 407 comma  4  del codice  civile
integrare il decreto di  nomina  ai  fini  della  individuazione  dei
poteri sulla salute. Preso  atto  delle  condizioni  di  salute  come
risultanti dal certificato medico allegato e personalmente verificate
da questo giudice tutelare mediante esame dell'amministrato  in  data
16 febbraio 2018 (cfr.  doc.  15),  si  profila  come  indispensabile
l'attribuzione della rappresentanza esclusiva  in  ambito  sanitario,
non residuando alcuna capacita' in capo all'amministrato. 
    A decorrere dal 31 gennaio 2018, e' l'art. 3 comma 4  e  5  della
legge n.  219/2017  che  disciplina  le  modalita'  di  conferimento,
all'amministratore di sostegno, e di conseguente esercizio dei poteri
in ambito sanitario. Sulla base  della  interpretazione  della  norma
come di seguito  prospettata,  l'attribuzione  all'amministratore  di
sostegno dei poteri in  ambito  sanitario  (nella  fattispecie  sotto
forma di rappresentanza  esclusiva)  ricomprende  necessariamente  il
potere di rifiuto delle cure, ancorche' si tratti di cure  necessarie
al  mantenimento   in   vita   dell'amministrato   quali   a   titolo
esemplificativo la nutrizione artificiale di cui beneficia T. A.;  ne
deriva  come  l'amministratore  di  sostegno  ove   investito   della
rappresentanza esclusiva in ambito sanitario godrebbe, ai sensi della
legge  citata,  del  potere  di  rifiutare  le  cure  necessarie   al
mantenimento in vita senza che tale  potere,  una  volta  attribuito,
possa piu' essere sindacato  dall'autorita'  giudiziaria,  cosi'  che
all'amministratore di sostegno viene attribuito il potere di decidere
della vita e della morte dell'amministrato, potendo egli rifiutare le
cure in nome e per conto dello  stesso,  senza  l'autorizzazione  del
giudice tutelare, ove tale sua decisione fosse condivisa  dal  medico
curante. 
    Il presente giudice tutelare  e'  chiamato  quindi  ad  applicare
l'art.  3  comma  5  legge  n.  219/2017  alla  fattispecie  concreta
dell'individuazione  dei  poteri  conferiti  all'amministrazione   di
sostegno, in assenza di disposizioni antipate di trattamento da parte
di T. A., (cfr. doc. 21). 
    Ai  fini  dell'enunciazione  delle  ragioni  della  rilevanza  si
profila come logicamente preliminare un'attenta  esegesi  del  quinto
comma  dell'art.  3  «Nel  caso  in  cui  [...]  l'amministratore  di
sostegno, in assenza delle  disposizioni  anticipate  di  trattamento
(DAT) di cui all'art. 4 [...] rifiuti le cure proposte  e  il  medico
ritenga  invece  che  queste  siano  appropriate  e  necessarie,   la
decisione  e'  rimessa   al   giudice   tutelare   su   ricorso   del
rappresentante legale della persona interessata o dei soggetti di cui
agli articoli 406 e seguenti del codice civile o  del  medico  o  del
rappresentante legale della struttura sanitaria.». Si deve  anzitutto
procedere all'individuazione del  perimetro  operativo  della  citata
disposizione e analizzare cosa  debba  intendersi  con  l'espressione
«rifiuto delle cure». Dal coordinamento delle locuzioni  «in  assenza
delle disposizioni anticipate di trattamento» e «rifiuti le cure»  si
evince come  il  rifiuto  concerna  (anche)  i  trattamenti  sanitari
necessari al mantenimento in vita. Tale conclusione deve considerarsi
inequivoca  in  ragione,  da  un  lato,  della  limpidezza  del  dato
linguistica-letterale  e,   dall'altro,   del   complessivo   spirito
sistematico della legge. 
    Il rifiuto  delle  cure  puo'  interessare  tutti  i  trattamenti
sanitari astrattamente oggetto delle DAT. 
    L'espressione  «in  assenza   di   disposizioni   anticipate   di
trattamento»  concorre  a   definire   l'ambito   applicativo   della
fattispecie  in  esame,  richiamando,   mediante   una   formulazione
indiretta,  la  generalita'  dei  trattamenti  sanitari  teoricamente
riconducibili alle DAT. E' come se il legislatore dicesse:  per  quei
casi teoricamente definibili con  le  DAT,  proprio  a  motivo  della
fattuale assenza delle stesse DAT, opera, in funzione sostitutiva, il
presente comma. 
    Le  disposizioni  anticipate  di  trattamento  sono   chiaramente
suscettive di riferirsi ai trattamenti necessari al  mantenimento  in
vita (ad esempio  l'idratazione  e  l'alimentazione  artificiale,  ai
sensi  dell'art.  1  comma  5,  sono  qualificati  come   trattamenti
sanitari, oggetto delle DAT ex art. 4 comma 1) ne  consegue  come  il
rifiuto possa anche interessare i predetti trattamenti. 
    Residua, invero, una possibilita' per escludere  che  il  rifiuto
possa riguardare anche i trattamenti  necessari  al  mantenimento  in
vita:  interpretare  l'espressione  «cure  proposte»  in   guisa   da
estromettere i suddetti trattamenti, sostenendo l'inammissibilita' di
un loro inquadramento in termini di cure. 
    Tuttavia - tralasciata ogni considerazione  in  ordine  al  piano
strettamente linguistico di un simile  eventuale  orientamento  -  la
suddetta, ipotetica, opzione ermeneutica deve reputarsi incompatibile
sia con la ratio della legge - funzionale alla  valorizzazione  della
liberta'   di   autodeterminazione   segnatamente   nell'ipotesi   di
trattamenti sanitari di fine vita - sia con la l'acquisizione, tra  i
diritti inviolabili ex art. 2 Cost., di un  diritto  a  decidere  sui
trattamenti di fine vita. 
    La circostanza di  trovarsi  in  uno  stato  di  incapacita'  non
potrebbe, di per se' sola, escludere a priori il diritto  a  decidere
sui trattamenti necessari al mantenimento in vita; non  si  potrebbe,
ex  ante,  privare  un  incapace,  soltanto  per  il  fatto  d'essere
incapace, del diritto di decidere sui  citati  trattamenti,  pena  la
violazione degli artt. 2, 3 e 32 Cost. Lo stato  di  incapacita'  non
legittimerebbe  in  alcun  modo   un   affievolimento   dei   diritti
fondamentali (come la liberta' di autodeterminazione), l'incapace  e'
una  persona   a   tutti   gli   effetti,   nessuna   limitazione   o
disconoscimento dei suoi diritti si prospetterebbe come lecita;  egli
deve essere rispettato e  tutelato  nei  suoi  diritti  e  nella  sua
individualita', e  percio'  salvaguardato  anche  in  relazione  alla
liberta' di autodeterminazione e di rifiuto delle cure; e una  simile
ricostruzione deve considerarsi avvallata dalla legge in esame. 
    La condizione di incapacita' puo' invece rilevare alla stregua di
un ulteriore, differenziato piano, quello  concernente  le  concrete,
fattuali modalita' di esercizio del diritto, lasciando impregiudicata
pero' la sussistenza del medesimo, ma  trattasi  di  un  profilo  che
verra' successivamente specificato. 
    Appurato  come  il  rifiuto   possa   astrattamente   inerire   i
trattamenti necessari  al  mantenimento  in  vita,  assunto  come  il
rifiuto debba poterli potenzialmente comprendere, analizziamo ora  le
modalita' con cui il diniego  viene  espresso.  La  disposizione  non
disciplina  esplicitamente  l'ipotesi  di   rifiuto   manifestato   e
direttamente posto  in  essere  mediante  le  conseguenti  operazioni
materiali,  ma  unicamente  quella  di  rifiuto  estrinsecato  e  non
eseguito per via di  una  valutazione  confliggente  del  medico.  In
quest'ultimo caso la legge prevede, a seguito di un ricorso,  che  la
decisione sia rimessa al giudice tutelare. Si evince,  dalla  lettura
della disposizione, la sussistenza di due alternative:  nella  prima,
estrapolata  indirettamente,  a  contrario,  la  manifestazione   del
rifiuto non e'  opposta  dal  medico  e  viene  allora  concretamente
tradotta; nella seconda vi e' l'opposizione del medico,  la  relativa
paralisi del rifiuto delle cure e si prevede il possibile  intervento
dell'autorita'  giudiziaria.  Dalla  disposizione  si   desume   come
l'intervento del giudice tutelare sia confinato  esclusivamente  alla
seconda  ipotesi,  essendo  escluso,  in  maniera  si'  implicita  ma
comunque incontrovertibile, con riferimento  alla  prima  ipotesi.  E
difatti  la  circostanza  che  il  legislatore  abbia   espressamente
definito la fattispecie  nella  quale  la  decisione  e'  rimessa  al
giudice - ovverosia quando  vi  e'  l'opposizione  del  medico  e  il
ricorso - conduce alla conclusione, indubitabile, che in  assenza  di
opposizione del medico, non vi  e'  alcun  intervento  dell'autorita'
giudiziaria. 
    Si e' visto allora come il quinto  comma  dell'art.  3  legge  n.
219/2017 consenta  all'amministratore  di  sostegno  di  rifiutare  i
trattamenti necessari al mantenimento in vita -  e  deve  poterglielo
potenzialmente consentire - e come non sia necessario, ai fini  della
materiale  esplicazione  del  rifiuto,  l'intervento   dell'autorita'
giudiziaria. Quindi l'amministratore di sostegno potrebbe presentarsi
dinnanzi al medico, manifestare il rifiuto con  conseguente  fattuale
interruzione delle  cure,  senza  alcun  coinvolgimento  del  giudice
tutelare. 
    Esaurita l'illustrazione del significato della  disposizione,  si
osserva come la circostanza che il procedimento  in  questione  abbia
natura  di  volontaria   giurisdizione   non   costituisce   elemento
preclusivo alla proposizione dell'eccezione;  e  a  tale  conclusione
pacificamente   conduce    una    rassegna    della    giurisprudenza
costituzionale  (ad  esempio  Corte  cost.  129/1957,   Corte   cost.
121/1974, Corte cost. 258/2017). 
    Altamente  esemplificativo  un  passaggio  della   su   ricordata
sentenza n. 129 del 1957: 
      «E' fondamentale la considerazione  che  il  sistema  costruito
dalla Costituzione e dalle leggi che per questa parte la integrano  o
le danno esecuzione, comporta che  tutte  le  volte  che  l'autorita'
giurisdizionale chiamata ad attuare la legge nel caso concreto, cioe'
ad esercitare giurisdizione, dubiti fondatamente  della  legittimita'
costituzionale  di  questa,  deve  sospendere   il   procedimento   e
trasmettere gli  atti  all'organo  costituzionale,  che  e'  il  solo
competente  a  risolvere  il  dubbio.  Se  e'  vero  che  il   nostro
ordinamento ha condizionato  la  proponibilita'  della  questione  di
legittimita' costituzionale alla esistenza di un procedimento o di un
giudizio, e' vero altresi' che il preminente interesse pubblico della
certezza   del   diritto   (che   i   dubbi   di    costituzionalita'
insidierebbero),   insieme   con   l'altro   dell'osservanza    della
Costituzione, vieta che dalla distinzione tra le varie  categorie  di
giudizi e processi (categorie del resto dai confini sovente incerti e
contestati), si traggano  conseguenze  cosi'  gravi.  Si  puo'  dire,
anche,  che  la  proponibilita'  alla  Corte  costituzionale  di  una
questione  di   legittimita'   costituzionale   dipenda   non   dalla
qualificazione del procedimento in corso, ma dalla circostanza che il
giudice (contenzioso  o  volontario  che  sia  il  processo)  ritenga
fondato il dubbio della legittimita' costituzionale della  legge  che
egli deve attuare». 
    La questione appare non manifestamente infondata per le  seguenti
ragioni 
      «La liberta' di rifiutare  le  cure  presuppone  il  ricorso  a
valutazioni della vita e della morte, che trovano il loro  fondamento
in concezioni  di  natura  etica  o  religiosa,  e  comunque  (anche)
extra-giuridiche, quindi squisitamente soggettive»  (ordinanza  Corte
di cassazione 20 aprile 2005, n. 8291). 
    Ne consegue come in materia  di  rifiuto  delle  cure  non  possa
trovare cittadinanza, quale elemento orientativo dal quale attingere,
nessun criterio di ordine oggettivo, venendo in  rilievo  valutazioni
personalissime,   inscindibili   dal    soggetto    interessato    ed
indissolubilmente    legate    alle    sue    proprie     convinzioni
religioso-filosofiche  ed  inclinazioni  culturali,   e   come   tali
insuscettibili d'essere vagliate alla luce di un giudizio obiettivo o
alla stregua del parametro del «best interest» (adottato dalla  House
of Lords inglese nel 1993 nel caso Bland). 
    La dichiarazione di rifiuto delle cure puo' essere  scomposta  ed
analizzata con  riguardo  ai  suoi  due  momenti  essenziali:  quello
concernente la formazione dell'intimo volere e  quello  rappresentato
dalla manifestazione  della  volonta'  formatasi;  ebbene,  l'essenza
personalissima  del  diritto   di   rifiutare   le   cure   determina
necessariamente l'intrasferibilita' in capo a terzi del  primo,  piu'
pregnante e profondamente soggettivo momento - quello attinente  alla
formazione della volonta' - essendo possibile unicamente una cessione
della fase dichiarativa, col limite categorico  dell'indisponibilita'
dell'oggetto, ovverosia della volonta' medesima. 
    «Il   carattere   personalissimo   del   diritto   alla    salute
dell'incapace  comporta  che  il   riferimento   all'istituto   della
rappresentanza legale non trasferisce sul tutore [nel caso di  specie
trattasi dell'amministratore di sostegno], il quale e'  investito  di
una funzione di diritto privato, un potere incondizionato di disporre
della salute della persona» (Corte di cassazione  sentenza  n.  21748
del 2007). 
    Implicazione necessaria dello svolgimento delle suddette premesse
e'  la  considerazione  che  il  rifiuto   delle   cure   manifestato
dall'amministratore di sostegno  deve  potersi  qualificare  come  il
riflesso, come la rappresentazione, ancorche' mediata, della volonta'
dell'interessato. Il rifiuto, benche'  materialmente  e  fattualmente
estrinsecato dalla persona dell'amministratore, deve rappresentare il
precipitato    logico    della    personalita',    del     patrimonio
filosofico-culturale e delle convinzioni religiose  dell'interessato.
Il rifiuto delle cure non puo' derivare dalle soggettive  riflessioni
e dalle individuali valutazioni dell'amministratore, ma deve  trovare
la    propria    inderogabile    legittimazione    nella     volonta'
dell'interessato e nei suoi orientamenti esistenziali. 
    Le  osservazioni  sopra  formulate   risultano   emblematicamente
scolpite nell'affermazione secondo la quale l'amministratore non deve
decidere ne' «al posto dell'incapace, ne' per l'incapace»;  postulato
della citata  proposizione  e'  la  concezione  della  decisione  del
rifiuto delle cure  come  una  valutazione  di  pertinenza  del  solo
interessato,  in  ragione  delle  sue  caratteristiche  eminentemente
personali, valutazione della quale non  puo'  in  alcun  modo  essere
espropriato mediante la sua consegna alle determinazioni di un  altro
soggetto. D'altra parte la cognizione del diritto a rifiutare le cure
come personalissimo altro  non  e'  che  la  logica  simmetria  dalla
indisponibilita' altrui e  dell'intrasferibilita'  del  diritto  alla
vita. 
    Ne consegue come il rifiuto delle cure deve potersi reputare come
promanare  sostanzialmente  dall'interessato  incapace;  l'intervento
dell'amministratore  di  sostegno  deve  quindi  essere  limitato   e
rigorosamente  circoscritto  alla   individuazione,   presidiata   da
particolari cautele, e alla conseguente trasmissione  della  volonta'
dell'interessato. 
    Ebbene, affinche' la decisione sul  rifiuto  delle  cure  risulti
espressione  dell'interessato   incapace   e   non   della   volonta'
soggettiva, e percio' irrilevante, dell'amministratore  di  sostegno,
si prospettano due scenari: il ricorso alle  disposizioni  anticipate
di trattamento o, in assenza di quest'ultime, la ricostruzione  della
volonta' del soggetto. Giova ribadire che  il  solo  ed  insuperabile
parametro di riferimento in ordine alle  determinazioni  sul  rifiuto
delle cure deve essere costituito  dalla  volonta'  dell'interessato,
ora  cristallizzata  attraverso   le   disposizioni   anticipate   di
trattamento,  ora  desunta  mediante   un'approfondita   e   puntuale
operazione di abduzione. 
    Nel caso di assenza di disposizioni  anticipate  di  trattamento,
difettando  una  rappresentazione   qualificata   di   una   volonta'
inequivocabilmente ed appositamente espressa,  si  pone  la  delicata
questione di ricostruire la volonta' dell'interessato  attraverso  il
ricorso  ad  una  pluralita'  di  indici  sintomatici,  di   elementi
presuntivi, mediante l'audizione  di  conoscenti  dell'interessato  o
strumenti di altra natura. 
    Trattasi di quello che,  negli  ordinamenti  di  common  law,  e'
definito come 'substituted judgement test', accolto  nel  1976  dalla
Corte suprema del New Jersey  nel  caso  Quinlan.  La  ricerca  della
«volonta' della persona [incapace]  -  ricostruita  alla  stregua  di
chiari, univoci, e convincenti elementi di prova, non solo alla  luce
dei precedenti desideri e dichiarazioni  dell'interessato,  ma  anche
sulla base dello stile e del carattere della sua vita, del suo  senso
dell'integrita' e dei  suoi  interessi  critici  e  di  esperienza  -
assicura che la scelta in questione non sia espressione del  giudizio
sulla qualita' della  vita  proprio  del  rappresentante»  (Corte  di
cassazione sentenza n. 21748 del 2007). 
    Attesa la complessita' e la serieta' di  un  simile  processo  di
ricerca, si profila come imprescindibile l'intervento di un  soggetto
terzo  e  imparziale,   quale   l'autorita'   giudiziaria,   tesa   a
salvaguardare la corrispondenza tra il rifiuto e l'autentica volonta'
dell'incapace interessato.  «L'intervento  del  giudice  esprime  una
forma di controllo della  legittimita'  della  scelta  nell'interesse
dell'incapace; [...] e  si  estrinseca  nell'autorizzare  o  meno  la
scelta compiuta dal tutore» (Corte di cassazione  sentenza  n.  21748
del 2007)». 
    Avendo accennato alla tematica della ricostruzione della volonta'
dell'incapace, risulta allora  opportuno  chiarire  un  aspetto  gia'
succintamente affrontato e rinviato ad approfondimento successivo, la
distinzione  delle  dimensioni  della  sussistenza  del  diritto   di
rifiutare le cure che garantiscono il mantenimento in  vita  e  delle
concrete modalita' dell'esercizio. La  sussistenza  del  diritto  non
implica ne' il suo esercizio,  ne'  assicura,  ancorche'  esercitato,
ch'esso  sia,  ab  externo,   riconoscibile   o   individuabile;   ad
esemplificazione di tale differenziazione si puo' analizzare il  caso
di incapacita' originaria incidente sulle capacita' intellettive. 
    Conformemente alla  riportata  ricostruzione  anche  in  un  caso
simile deve ritenersi sussistere il diritto  di  rifiutare  le  cure,
senonche' una incapacita' del tipo di quella citata assumera' valore,
presumibilmente,  nel  processo  di  ricostruzione  della   volonta',
fungendo da elemento ostativo  alla  possibilita'  di  rinvenire  una
manifestazione di volonta' orientata nel senso del  rifiuto,  con  la
conseguenza della prevalenza del  complementare  diritto  alla  vita,
rispetto al quale la norma in esame  e'  derogatoria.  Alle  medesime
conclusioni  deve  addivenirsi  ogni  qualvolta  il  procedimento  di
ricerca della volonta' dell'interessato  non  conduca  ad  un  quadro
espressivo di una determinazione di rifiuto. 
    Se si consentisse all'amministratore  di  sostegno  di  ricercare
autonomamente la volonta' dell'interessato e  di  assumere  in  piena
liberta' le consequenziali determinazioni sul rifiuto delle cure,  si
sentenzierebbe il concreto annichilimento della natura personalissima
del diritto a decidere sulla propria vita; difatti si  configurerebbe
surrettiziamente,  a  vantaggio  dell'amministratore,  il  potere  di
assumere,  a   fondamento   del   rifiuto,   la   propria   volonta',
contraddicendo in radice la personalissima  essenza  del  diritto  di
rifiuto delle cure. 
    Allora in mancanza di disposizioni anticipate di  trattamento  si
staglia come indefettibile la sussistenza di una  verifica  e  di  un
vaglio orientati a saggiare la  conformita'  della  dichiarazione  di
rifiuto   proveniente   dall'amministratore   alla    volonta'    del
beneficiario,  apprezzamento  il  quale  postula  preliminarmente  la
ricostruzione della volonta' medesima ove sia possibile. L'intervento
dell'autorita'  giudiziaria,  si  precisa,  e'  funzionalizzato  alla
tutela   del   carattere    personalissimo    e    della    speculare
indisponibilita' altrui del diritto  di  rifiuto  delle  cure  e  del
diritto alla vita. 
    Assunto l'incontrovertibile legame tra identita'  esistenziale  -
da intendersi quale  sintesi  degli  orientamenti  filosofici,  delle
convinzioni religiose, delle inclinazioni culturali, delle  abitudini
di vita e dei comportamenti dotati di significanza - e  decisione  di
rifiuto delle cure, si delinea come  incostituzionale  l'attribuzione
all'amministratore  di  sostegno,   realizzata   dalle   disposizioni
incriminate, di un potere di natura potenzialmente  incondizionata  e
assoluta attinente la vita e la morte, di un  dominio  ipoteticamente
totale, di un'autentica facolta' di etero-determinazione. 
    E l'insanabile contrasto con  i  precetti  costituzionali  emerge
plasticamente, anzitutto, dalla considerazione degli artt. 2, 13 e 32
Cost.. In virtu' della valorizzazione del principio personalistico  e
del rifiuto  dell'idea,  di  ascendenza  autoritaria,  di  uno  Stato
eticizzante,  si  ricava  dai  citati  referenti  costituzionali,  il
diritto del singolo a rifiutare le cure, al quale diritto deve quindi
conferirsi il rango di diritto inviolabile. Sancire il riconoscimento
dell'inviolabilita' di un diritto equivale a negare  la  possibilita'
che altri  possano  violare  il  diritto  in  questione,  implica  il
divieto, perlomeno nei confronti degli altri, di ledere tale diritto.
Si e' visto come la peculiare natura del diritto a rifiutare le cure,
assieme all'eccezionalita' del suo oggetto, qualifichi il diritto  de
quo come intrinsecamente correlato al singolo interessato, e  percio'
esclude che il momento della formazione della volonta'  possa  essere
delegato a soggetti terzi: la disponibilita' altrui del  processo  di
formazione  della  volonta'  confligge   irrimediabilmente   con   il
carattere soggettivo del diritto, comportandone, inesorabilmente,  il
disconoscimento;  si  concreterebbe  una   dissoluzione,   dall'esito
lesivo, del legame sussistente tra il diritto in parola e l'identita'
esistenziale dell'interessato. 
    Il diritto a rifiutare le  cure  e'  un  diritto  personalissimo;
l'amministratore di sostegno  dovrebbe  limitarsi  a  trasmettere  la
volonta' gia' formata dell'amministrato. 
    Cio' ribadito, le modalita' d'esercizio  di  rifiuto  delle  cure
stabilite  dalla  disposizione  censurata  per  l'Amministratore   di
sostegno appaiono radicalmente inidonee a salvaguardare compiutamente
la natura eminentemente soggettiva del diritto in questione e  quindi
tali  da  conferire  all'Amministratore  un   potere   potenzialmente
autonomo di rifiuto delle cure. Conseguenze immediate di  tale  stato
di cose la negazione dell'essenza personalissima del diritto de quo e
la sua correlativa violazione. 
    E' pur vero che la disposizione  censurata  prevede  l'intervento
dell'autorita' giudiziaria nell'eventualita' del rifiuto opposto  dal
medico,  ma  e'  altresi'  innegabile  come  il  carattere  meramente
ipotetico ed accidentale del suddetto intervento giudiziale non valga
a  scardinare  la  censura,  limitandosi  ad  operare  come  criterio
risolutore subordinato alla ipotetica sussistenza di un dissidio  tra
rappresentante e medico,  e  come  tale  confinato  all'insufficiente
dimensione dell'eventualita',  un  correttivo  dunque  eventuale,  ma
radicalmente  inadeguato  perche'  appunto  solo  eventuale   e   non
indefettibile. 
    A ben vedere la disposizione oggetto  di  contestazione  parrebbe
aver  aderito  all'orientamento  teso  ad  assegnare  al  medico   la
valutazione finale relativa al rifiuto delle cure; sulla base di tale
considerazione si' potrebbe obiettare che non e' rispondente al  vero
sostenere il conferimento,  all'amministratore  di  sostegno,  di  un
potere potenzialmente  autonomo  e  percio'  contraddittorio  con  lo
spirito personalissimo del rifiuto, dal  momento  che  un  controllo,
sebbene non giurisdizionale, pur sempre e' previsto  e  si  sostanzia
nel  giudizio  del  medico.  A  tale  ipotetica   argomentazione   si
controbatte rilevando la ripetuta essenza personalissima del  rifiuto
delle cure; da tale inequivoca osservazione deriva l'insufficienza di
una  valutazione   medica   imperniata   su   canoni   obiettivi   di
«appropriatezza» e «necessita'», criteri i quali  parrebbero  evocare
quello del «best interest» enucleato nel caso Bland. Ma  si  e'  gia'
evidenziato come un siffatto  parametro  confligga  e  disconosca  la
natura soggettiva e personalissima del rifiuto delle cure  necessarie
al mantenimento  in  vita,  (come  potrebbe  un'asettica  valutazione
medica cogliere le intime e profonde riflessioni personali in  ordine
alla vita, alla morte e alla dignita?  Si  vorrebbe  forse  surrogare
l'autodeterminazione con  un  giudizio  medico?);  consegue  come  la
valutazione del medico si dimostri assolutamente inconferente. Ci  si
domanda inoltre come potrebbe il medico verificare  ed  accertare  la
conformita' del rifiuto alla  volonta'  ricostruita  dell'incapace  e
come potrebbe, prima ancora, ricostruire tale volonta'. 
    Si censura inoltre, ai sensi  dell'art.  3  Cost.,  la  manifesta
irragionevolezza della disposizione, la quale, se applicata,  darebbe
luogo   all'appalesarsi   di   un'incoerenza   di    ingiustificabile
significanza  all'interno  dell'architettura  di  sistema   delineata
dall'istituto dell'amministrazione di sostegno. Infatti gli  articoli
374 del codice civile, 375 del codice civile richiamati dall'art. 411
del codice civile per la disciplina dell'amministrazione di  sostegno
prescrivono come necessaria l'autorizzazione del giudice tutelare  ai
fini del compimento degli atti ivi indicati. 
    Prevedere   l'autorizzazione   dell'autorita'   giudiziaria   per
l'esplicazione di una serie di atti attinenti alla sfera patrimoniale
e al contempo non  prevederla  per  l'atto  di  rifiuto  delle  cure,
sintesi ed espressione dei  diritti  alla  vita,  alla  salute,  alla
dignita' e all'autodeterminazione  della  persona,  si  profila  come
irrazionale; l'ordinamento appresterebbe a  un  interesse  di  ordine
patrimoniale salvaguardia e presidi tutelativi superiori  rispetto  a
quelli stabiliti per i richiamati diritti  alla  vita,  alla  salute,
all'autodeterminazione e alla dignita' della  persona.  Si  deve  poi
osservare,  ai  fini  di  una  completa  cognizione  del  quadro   di
incongruenze  che  deriverebbe  dall'attuazione  delle  disposizioni,
come,   in   ordine   alla   domanda    di    separazione    avanzata
dall'amministratore  in   nome   e   per   conto   del   beneficiario
dell'amministrazione, la giurisprudenza, dalla  qualificazione  della
suddetta domanda  come  atto  personalissimo,  faccia  discendere  la
necessita'   dell'autorizzazione   del   giudice,   calibrata   sulla
«ricostruzione del vissuto dell'incapace» (Tribunale di  Cagliari  15
giugno 2010). Dunque  per  l'atto  personalissimo  della  domanda  di
separazione si  richiederebbe  il  vaglio  necessario  dell'autorita'
giudiziaria,  per  l'atto  personalissimo  del  rifiuto  delle  cure,
coinvolgente  valori  egualmente  rilevanti  e   dalle   implicazioni
certamente superiori, l'intervento del giudice sarebbe esiliato nella
dimensione dell'eventuale. 
    Si evidenzia, infine, come aggiuntivo indice sintomatico  di  una
complessiva irragionevolezza, la  presenza  di  una  trama  normativa
contraddittoria tutta interna alla legge n. 219 del 2017; difatti  se
da una parte le disposizioni del  citato  testo  normativo  risultano
fondate sull'intento di valorizzare  ed  accordare  centralita'  alla
manifestazioni di volonta' dei singoli,  prescrivendo,  ai  fini  del
loro rilievo, determinate formalita' e procedure,  non  si  comprende
allora perche' nella circostanza di soggetti incapaci difetti la piu'
elementare   attenzione   per   il   citato,    decisivo,    elemento
volontaristico, venendo contestualmente a cadere qualsiasi meccanismo
di tutela o di controllo. 
    Sulla base di tutte  le  esposte  argomentazioni  questo  giudice
tutelare  ritiene  pertanto  che  la  decisione  sulla   attribuzione
all'amministratore  di  sostegno  di  T.  A.   della   rappresentanza
esclusiva   in   ambito   sanitario   non   possa   essere    assunta
indipendentemente dalla risoluzione della  prospettata  questione  di
legittimita' costituzionale. 
    Ai  sensi  dell'art.  27  seconda  parte  legge  n.  87/53,  come
estensivamente interpretato  dalla  Corte,  si  chiede  inoltre,  ove
accolta la questione di legittimita'  costituzionale  sollevata,  che
sia  consequenzialmente  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 3 commi 4 e 5 della legge n. 219/2017 nella  parte  in  cui
prevedono che  il  rappresentante  legale  della  persona  interdetta
oppure inabilitata,  in  assenza  delle  disposizioni  anticipate  di
trattamento di cui all'art. 4, o il rappresentante legale del  minore
possano rifiutare, senza l'autorizzazione  del  giudice  tutelare  le
cure necessarie al mantenimento in vita dell'amministrato. 
    Questo provvedimento e' stato redatto con la  collaborazione  del
dott. Dario Minafra tirocinante ex art. 73, decreto-legge n. 69/2013. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli artt. 134 e 137 Cost., 1 legge cost. 9 febbraio 1948 n.
1, 23 legge 11 marzo 1953 n. 87. 
    Dichiara rilevante nel presente procedimento e non manifestamente
infondata la questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  3
comma 4 e 5 della legge n. 219/2017 nella parte in  cui  stabiliscono
che l'amministratore di sostegno la cui nomina  preveda  l'assistenza
necessaria o la rappresentanza  esclusiva  in  ambito  sanitario,  in
assenza  delle  disposizioni   anticipate   di   trattamento,   possa
rifiutare, senza  l'autorizzazione  del  giudice  tutelare,  le  cure
necessarie al mantenimento in vita  dell'amministrato,  ritenendo  le
suddette disposizioni in violazione degli articoli 2, 3, 13, 32 della
Costituzione nei termini di cui in motivazione. 
    Ordina che il presente provvedimento, a  cura  della  Cancelleria
sia notificato all'avvocato G. A. in qualita'  di  amministratore  di
sostegno di  T.  A.,  al  Pubblico  ministero  e  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, nonche' comunicato al Presidente del Senato e
al Presidente della Camera dei deputati e, all'esito,  sia  trasmesso
alla Corte costituzionale insieme al  fascicolo  processuale  con  la
prova delle avvenute regolari predette notificazioni e comunicazioni. 
    Dichiara    sospesa    la    decisione     sulla     attribuzione
all'amministratore  di  sostegno  di  T.  A.   della   rappresentanza
esclusiva in ambito sanitario 
      Pavia, 24 marzo 2018 
 
                    Il Giudice tutelare: Fenucci