N. 149 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 giugno 2017
Ordinanza del 7 giugno 2017 del Tribunale di Catania nel procedimento civile promosso da Ediservice S.r.l. contro Presidenza del Consiglio dei ministri, Editoriale La Voce societa' cooperativa e F.I.L.E. Federazione italiana liberi editori. Stampa - Contributi a sostegno dell'editoria - Criteri di calcolo e di liquidazione - Attribuzione nei limiti delle risorse stanziate sul pertinente capitolo del bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri. - Decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63 (Disposizioni urgenti in materia di riordino dei contributi alle imprese editrici, nonche' di vendita della stampa quotidiana e periodica e di pubblicita' istituzionale), convertito, con modificazioni, nella legge 16 luglio 2012, n. 103, art. 2, comma 1; decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 44, comma 1; legge 23 dicembre 2009 [, n. 191] ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)"), art. 2, comma 62.(GU n.43 del 31-10-2018 )
TRIBUNALE DI CATANIA Prima Sezione civile Il giudice dott.ssa Viviana Di Gesu, a scioglimento della riserva assunta all'udienza dell'11 aprile 2017, nel giudizio civile iscritto al n. 5066/2016 R.G., promosso da: Ediservice s.r.l., rappresentata e difesa unitamente e disgiuntamente dagli avvocati Andrea Scuderi ed Elena Leone del Foro di Catania, giusta procura in calce all'atto introduttivo, parte attrice; Contro Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresenta e difesa ope legis dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, parte convenuta; e nei confronti di: Editoriale La Voce Societa' Cooperativa, F.I.L.E. Federazione Italiana Liberi Editori, controinteressati contumaci; ha emesso la seguente ordinanza di remissione alla Corte costituzionale. In fatto e diritto 1. Con atto di citazione in riassunzione, ex art. 59 della legge n. 62/2009 ed ex art. 11 del decreto legislativo n. 104/2010 del 16 marzo 2016, a seguito della sentenza 22 ottobre 2015, n. 2447 di declaratoria di difetto di giurisdizione emessa dal Tribunale amministrativo regionale Sicilia - Sezione staccata di Catania - per la ritenuta sussistenza di una posizione di diritto soggettivo riguardo alla pretesa fatta valere nel giudizio amministrativo, la societa' a r.l. Ediservice ha chiesto - previa, occorrendo, rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimita' costituzionale di taluni articoli della legge 23 dicembre 2009, n. 191, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 novembre 2010, n. 223, del decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63, convertito con modificazioni dalla legge n. 103/2012, del decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63, convertito con modificazioni dalla legge n. 103/2012, per contrasto con gli articoli 1, 2, 3, 21, 41 e 97 della Costituzione e coi principi anche comunitari di eguaglianza, ragionevolezza, legittimo affidamento, buon andamento ed imparzialita' dell'azione amministrativa, certezza del diritto e legalita' -: a). l'accertamento e la declaratoria del diritto di essa societa' a percepire il contributo diretto all'editoria per l'anno 2013 nella misura integrale, pari ad € 1.294.113,62, spettante sulla base dei costi ammissibili, senza alcuna riduzione percentuale e/o riparto proporzionale, o in quella maggiore o minore somma ritenuta di giustizia, con disapplicazione dei decreti, con cui la Presidenza del Consiglio dei ministri -Dipartimento per l'informazione e l'editoria - aveva ridotto il contributo ad essa societa' spettante, ai sensi dell'art. 3, comma 2-bis, della legge n. 250/1990, per l'anno 2013, per la testata «Quotidiano di Sicilia», fissandolo nel minore importo di € 734.461,24 (di cui € 29.378,45 quale ritenuta IRPEG non liquidata alla societa' editoriale), nonche' dei presupposti provvedimenti del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 dicembre 2013 con cui era stato approvato il bilancio autonomo del Consiglio di Presidenza per l'esercizio finanziario 2014, nella parte in cui era stato fissato il complessivo stanziamento, e dei decreti del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio di Ministri del 10 e 15 dicembre 2014, coi quali sono stati disposte variazioni in aumento, nella parte in cui non hanno parametrato le somme complessivamente stanziate all'effettivo fabbisogno complessivo risultante; b). per l'effetto, la condanna della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per l'informazione e l'editoria - a corrispondere alla societa' Ediservice l'importo di euro 559.652,38, pari alla differenza tra l'importo del contributo diretto all'editoria per l'anno 2013 nella misura integrale indicata sub a) e l'importo effettivamente erogato di € 734.461,24, o di quella maggiore o minore somma, ritenuta di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dalla data dell'erogazione del contributo in misura ridotta all'effettivo soddisfo; c). la disapplicazione anche d'ufficio, ai sensi dell'art. 4 del regio decreto n. 2248/1965 (rectius: n. 2248/1865 all. E), di ogni eventuale atto e\o provvedimento amministrativo illegittimo; d). Spese e compensi di lite. 2. Difese della societa' attrice. a). A sostegno della pretesa, la societa' - riportando quanto gia' dedotto avanti al giudice amministrativo - ha precisato di avere presentato nel mese di gennaio 2014, domanda di ammissione della testata «Quotidiano di Sicilia» ai contributi diretti di sostegno all'editoria per l'anno 2013, stanziati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri ai sensi dell'art. 3 comma 2-bis della legge n. 250/1990, allegando i documenti di rito e, tra questi, l'apposita certificazione dei costi sostenuti nel detto anno per la produzione della testata in formato cartaceo e digitale, dalla quale risultava un contributo per l'anno 2013 di 1.294.113,62, pari al 50% dei costi ammissibili. L'Amministrazione ha riconosciuto l'esattezza del contributo indicato, ma erogava, con bonifico bancario del 22 dicembre 2014, la minore somma di € 734.461,24 (di cui 29.378,45 euro quale ritenuta IRPEG non liquidata), pari alla percentuale del 56,754% del contributo «teorico» dovuto. L'importo scaturiva dal riparto proporzionale tra i richiedenti aventi titolo, secondo il criterio normativo sancito dall'art. 2 (comma 1) del decreto-legge n. 63/2012, della minore somma di € 43.050.841,24, che era stata stanziata per il 2013 nell'apposito capitolo del bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio con diversi provvedimenti amministrativi - dei quali in questa sede si chiedeva la disapplicazione -a fronte di un fabbisogno effettivo di € 73.598.534,14. La societa' lamentava che il contributo complessivamente stanziato, e - per quel che qui interessa - di quello erogato alla Ediservice, non appariva idoneo ad assolvere pienamente la funzione di concreto sostegno degli editori, perseguita dalla legge con i contributi in parola, con conseguente gravissimo danno all'impresa editoriale ricorrente, sia sotto il profilo economico e finanziario, incidendo nei rapporti con le banche ed i fornitori che all'immagine, atteso che ci si riferiva a costi gia' da oltre un anno sostenuti. b). Parte attrice, riportando le difese svolte nel ricorso avanti al giudice amministrativo, ha eccepito: a. Violazione degli articoli 1, 2, 3, 41 e 97, nonche' dell'art. 21 della Costituzione, posti a garanzia della liberta' di stampa, del pluralismo democratico e dell'uguaglianza sostanziale, nonche' dei criteri di buon andamento ed imparzialita' e delle regole di buona fede, correttezza, certezza dell'azione amministrativa e legittimo affidamento; b. Violazione dei principi comunitari di legittimo affidamento e proporzionalita', degli articoli 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, 1 del Protocollo l della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, 3 e 3 della legge n. 241/90 e successive modifiche; c. Eccesso di potere per difetto di motivazione, di presupposti, di istruttoria e per travisamento dei fatti; d. Contraddittorieta', illogicita' ed ingiustizia manifesta, cosi' deducendo, nello specifico, in fatto e in diritto: «Il ricorso ha ad oggetto la contestazione dell'illegittima riduzione per l'anno 2013, dell'importo del contributo diretto assegnato alla societa' editoriale ricorrente rispetto a quello dovuto, e del presupposto insufficiente stanziamento complessivo, iscritto nel pertinente capitolo del bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri. «Le risorse a sostegno dell'editoria complessivamente stanziate per l'anno 2013 invero, sono pari ad un quarto di quelle distribuite per l'anno precedente. «Orbene, la disciplina relativa al sostegno all'editoria ha assunto ed assume un ruolo fondamentale per il nostro sistema democratico, quale espressa garanzia del pluralismo e del diritto alla qualita' dell'informazione, riconosciuto tra l'altro dall'art. 21 della nostra Costituzione. «Il principio ispiratore che ha caratterizzato i fondi a tal fine destinati, approntati per la prima volta nel 1981 e riformati nel 1990, e' stato da un lato quello di sostenere ed incoraggiare la democrazia informativa e dall'altro di fornire un supporto all'editoria piu' serio (e percio' poco attraente per il mercato pubblicitario fortemente sbilanciato in favore delle reti televisive e delle strutture editoriali piu' rilevanti, spesso controllate dai gruppi imprenditoriali e centri di interesse economico). «Le finalita' delle disposizioni costituzionali e normative poste a garanzia e tutela della liberta' di stampa e del sostegno all'editoria, pertanto, alla luce dei provvedimenti impugnati rimangono frustrate e sostanzialmente inattuate, per effetto di un indiscriminato e lineare taglio di risorse. «Poste tali brevi premesse, e' utile illustrare le modalita' dell'intervento statale diretto, di cui si giova l'impresa editoriale ricorrente sin da quando e' stato diffuso come quotidiano. «L'intervento dello Stato nel settore dell'editoria si esplica invero, in misure di sostegno economico di tipo diretto o indiretto. «In particolare, gli aiuti economici diretti consistono nell'erogazione, alle imprese editoriali che presentino i requisiti richiesti, di un contributo calcolato in ragione dei parametri di volta in volta indicati (vendite, distribuzione, tiratura, costi o altro), mentre gli aiuti economici indiretti sono costituti da riduzioni tariffarie, agevolazioni fiscali e credito agevolato. «La prima disciplina organica degli interventi a sostegno dell'editoria e' stata dettata con la legge n. 416/1981, successivamente modificata ed integrata da numerosi interventi -tra i quali, principalmente, le leggi numeri 67/1987, 250/1990 e 62/2001 - che hanno dato luogo a un sistema normativo frammentario. «A causa di cio', negli anni piu' recenti - pur in presenza di nuove norme dirette a singole situazioni - sono stati compiuti alcuni tentativi di razionalizzazione. «In particolare, in attuazione dell'art. 44 del decreto-legge n. 112/2008, e' stato emanato il decreto del Presidente della Repubblica n. 223/2010, che ha disposto la semplificazione della documentazione per accedere ai contributi e del procedimento di erogazione degli stessi, ha incluso fra i requisiti per l'accesso ai contributi una percentuale minima di copie vendute rispetto a quelle distribuite ed ha previsto nuove modalita' di calcolo dei contributi diretti riferite all'effettiva distribuzione della testata (invece che al previa criterio della tiratura). «Con riferimento all'occupazione professionale, essa rileva nel regolamento sia come requisito per l'accesso ai contributi, che come parametro ai fini del calcolo degli stessi. «Il decreto del Presidente della Repubblica n. 223/2010 inoltre, ha stabilito che le somme stanziate nel bilancio dello Stato per l'editoria costituiscono limite massimo di spesa e sono destinate prioritariamente ai contributi diretti e che, in caso di insufficienza delle risorse, i contributi sono erogati mediante riparto proporzionale tra gli aventi diritto (ai sensi di quanto gia' disposto dalla legge n. 191/2009). «L'art. 2, comma 62, della legge n. 191/2009, finanziaria 2010, ha infatti limitato l'erogazione delle provvidenze in favore dell'editoria, all'effettivo stanziamento iscritto nel bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri - capitoli 465-Contributi alle imprese radiofoniche ed alle imprese televisive e 466-Contributi alle imprese editoriali di quotidiani e periodici -, procedendo, ove necessario, al riparto in quote proporzionali all'ammontare del contributo spettante a ciascuna impresa. «La disciplina transitoria, nelle more della ridefinizione delle forme di sostegno al settore editoriale, e' stata dettata dal decreto-legge n. 63/2012 convertito nella legge n. 103/2012 con cui, per i contributi relativi all'anno 2012, o in alcuni casi 2013, si prevede la rideterminazione dei requisiti di accesso (articoli 1 e 1-bis); dei criteri di calcolo con connessa limitazione dei costi ammissibili (articoli 2 e 1-bis); si introduce il sostegno all'editoria digitale e semplificazioni per periodici web di piccole dimensioni (articoli 3 e 3-bis) nonche' la modernizzazione del sistema di distribuzione e vendita (art. 4). «La legge n. 103/2012 in particolare, rivoluzionando i criteri di calcolo delle spese, ha ulteriormente abbassato l'importo di quelle ammissibili con decorrenza retroattiva dal 1° gennaio 2012. «I nuovi requisiti di accesso ai contributi, pertanto per quel che qui interessa, sono in breve, i seguenti: certificazione dei dati relativi a tiratura, distribuzione e vendita (che devono essere comprovati da certificazione analitica resa da una societa' di revisione iscritta nell'apposito albo tenuto dalla Consob); divieto di distribuzione degli utili; percentuali minime di vendita (pari per le testate locali al 35% delle copie distribuite); numero minimo di dipendenti (pari a cinque per le imprese editoriali di quotidiani, con prevalenza di giornalisti); eliminazione dei limiti alle entrate pubblicitarie. «L'art. 2 del decreto-legge n. 63/2012 introduce i nuovi criteri di calcolo e liquidazione dei contributi prevedendo in particolare, al settimo comma, che il termine per la conclusione del procedimento relativo all'erogazione dei contributi diretti alla stampa, scade il 31 marzo dell'anno successivo a quello di presentazione delle relative domande. «La previsione di un cosi' lungo lasso di tempo tra la data di presentazione delle domande di accesso ai contributi e l'esito delle stesse, rende pero' difficile per le imprese editoriali, l'attivita' di programmazione finanziaria e di pianificazione delle spese e dei costi sostenibili e da sostenersi nell'anno di riferimento, in quanto la liquidazione del contributo diretto, e' procrastinata di oltre dodici mesi rispetto all'epoca in cui le spese ed i costi rimborsabili sono stati sostenuti. «Il contributo ai sensi dell'art. 2, comma 2 del decreto-legge n. 63/2012, e' calcolato come somma di "... a) una quota fino al 50 per cento esclusivamente dei costi sostenuti per il personale dipendente, calcolati in un importo massimo di 120.000 euro annui e di 50.000 euro annui, rispettivamente per ogni giornalista e per ogni poligrafico assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato, per l'acquisto della carta, per la stampa, per gli abbonamenti ai notiziari delle agenzie di stampa e per la distribuzione ... l'importo complessivo di tale quota non puo' comunque essere superiore a 2.500.000 euro per i quotidiani nazionali, a 1.500.000 euro per i quotidiani locali e per le imprese editoriali di giornali quotidiani di cui all'art. 3, comma 2-ter, della legge 7 agosto 1990, n. 250, ed a 300.000 euro per i periodici ... b) una quota fino a 0,25 euro per ogni copia venduta per i quotidiani nazionali, a 0,20 euro per i quotidiani locali e a 0,40 euro per i periodici. Tale quota non puo' comunque essere superiore all'effettivo prezzo di vendita di ciascuna copia. L'importo complessivo di tale quota di contributo non puo' comunque essere superiore a 3.500.000 euro per i quotidiani e a 200.000 euro per i periodici ...». «Al comma 3 della medesima disposizione si prevede inoltre che "... per copie vendute si intendono quelle cedute a titolo oneroso presso le edicole o punti di vendita non esclusivi, o spedite in abbonamento a titolo oneroso, purche' considerate ammissibili in conformita' ai criteri specificati all'art. 1, comma 3 .... «Quanto all'editoria digitale, l'art. 3 del decreto-legge n. 63/2012 introduce alcune disposizioni volte a favorire il passaggio all'editoria digitale, stabilendo che le imprese editoriali gia' destinatarie dei contributi per l'anno 2011 possono continuare a percepire i contributi qualora la testata sia pubblicata, anche non unicamente, in formato digitale. «La misura del contributo per la pubblicazione della testata in formato digitale ai sensi del terzo comma dell'art. 3 del decreto-legge n. 63/2012 - fermo restando il rispetto dei tetti massimi previsti dall'art. 2 del medesimo decreto - e' suddivisa "...in una quota pari (per i primi due anni) al 70% dei costi sostenuti e una quota calcolata sulla base di 0,10 euro per ogni copia digitale, ove venduta in abbonamento ..."; prevedendosi inoltre che "... tale quota non puo' comunque essere superiore all'effettivo prezzo di vendita di ciascuna copia digitale ..." ed infine, che "... nel caso di pubblicazione non esclusivamente in formato digitale, i costi di produzione della edizione cartacea, calcolati secondo le disposizioni dell'art. 2, concorrono con quelli relativi alla edizione in formato digitale, nei limiti dell'importo complessivo di cui all'art. 2, comma 2, lettera a) ..."». Fatta questa ricostruzione della normativa, che questo Giudice condivide, parte attrice ha sottolineato in primo luogo l'insufficienza dello stanziamento, in quanto ben lontano - «dal garantire la copertura del fabbisogno effettivo, gia' noto, all'epoca dell'adozione dei provvedimenti di stanziamento», con cio' eludendosi nella sostanza «le norme contenute nella legge n. 416/81 e nelle successive disposizioni normative», dalle quali si evinceva - a suo dire - l'obbligo dell'Amministrazione di stanziare gli importi occorrenti per garantire le finalita' previste dalla legge, laddove la stessa avrebbe operato una scelta irragionevole, che andava a incidere «pesantemente sull'andamento finanziario e sui costi aziendali assunti dall'impresa editoriale». E infatti - deduce la societa' - mentre essa nutriva - a fronte di «costi afferenti alla testata in edizione cartacea per 1.573.770,40 euro e per l'edizione digitale per 176.379,00 euro» - la legittima aspettativa «ad un contributo di 910.350,50 euro, oltre ad 383,492,92 euro quale quota parte del contributo legato alle vendite, per un totale di 1.294.113,62 euro», le e' stato liquidato un contributo di «€ 734.461,24 ( pari cioe' al 56,754 % di quello liquidabile), cio' che ha comportato gravissime conseguenze sotto il profilo dell'esposizione bancaria dell'editore, avendo reso impossibile l'ordinaria pianificazione finanziaria ed economica ed infine, il pareggio di bilancio.». Prosegue, poi, rilevando che «la drastica riduzione arbitrariamente decisa per l'anno 2013 risultava, pertanto, doppiamente pregiudizievole ed ormai intollerabile, in quanto la ricorrente non poteva in alcun modo prevedere una decurtazione - in proporzione - in misura cosi' importante del contributo assegnato negli anni precedenti, laddove, al contrario, essa contava legittimamente di avere riconosciuto il contributo per l'anno 2013 quanto meno nella medesima misura liquidata per gli anni precedenti, avendo mediamente percepito, nel decennio precedente oltre il 92% del contributo derivante dalle contabilita' presentate a supporto delle domande.» ... «E trattandosi, tra l'altro, di costi gia' sostenuti e non programmati per il futuro,... l'illegittima riduzione della percentuale del contributo erogato, era andata ad aggravare notevolmente la situazione di pregiudizio, concretando una perdita che e' oggi esposta in bilancio e si ripercuote nei rapporti con le banche ed i fornitori.». La societa', in sostanza, quindi, lamenta una grave violazione del principio dell'affidamento, ingenerato dalla circostanza che negli anni passati il contributo erogato raggiungeva ben il 92% di quello ammissibile, cosi', infine, osservando: «Costituisce invero un principio fondamentale del diritto nazionale e comunitario, quello della tutela del legittimo affidamento. Il principio, posto a presidio della certezza giuridica, allorquando un intervento pubblico pregiudica una situazione di vantaggio sulla quale il privato aveva in buona fede posto legittimo affidamento, assicura allo stesso una doverosa tutela. I principi di legalita', di certezza del diritto e di uguaglianza, trovano infatti espresso fondamento nella nostra Costituzione, tra l'altro nell'art. 1, secondo cui "la sovranita' appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione"; nell'art. 2, che impone alla Repubblica di riconoscere e garantire "i diritti inviolabili dell'uomo"; nell'art. 3, che sancisce che "tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono eguali davanti alla legge", essendo "compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale" che possono limitare di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini. Il principio di legittimo affidamento e' vieppiu' sorretto da una tutela costituzionale riconducibile all'art. 41 della Costituzione, allorquando il soggetto titolare aspiri ad un posto di lavoro oppure come nel caso di specie, intraprenda un'attivita' economica che comporti oneri per investimenti, per l'esplicita connessione con la liberta' dell'iniziativa economica privata; dovendosi in tal caso ".. garantire, come e' ormai jus receptum, non solo nel momento iniziale, ma anche durante il suo dinamico sviluppo, al quale appunto si ricollega il ricordato principio...» (Sentenza n. 155 del 1990, punto 6 del Considerato in diritto). Il rispetto del legittimo principio di affidamento comporta, pertanto, in questo caso, l'aspettativa che i cambiamenti sopravvenuti non finiscano per frustrare in maniera irrazionale e sproporzionata, rendendole inutili le iniziative gia' assunte e gli oneri sostenuti, cosi' vanificando l'intrapresa attivita' economica. Di cio' e' espressione anche l'art. 97, che assicura «il buon andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione«», ponendosi a fondamento dei criteri di ragionevolezza e proporzionalita' e dell'esigenza di tutela del singolo. La legge n. 15 del 2005, ha peraltro, disciplinando le norme fondamentali sul procedimento amministrativo, integrato l'art. 1 della legge n. 241/1990, prevedendo che l'attivita' amministrativa debba osservare anche «i principi dell'ordinamento comunitario» tra i quali principi, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, e' compreso quello del legittimo affidamento (che cosi' si collega ed entra a pieno titolo a far parte dell'ordinamento positivo). Il principio del legittimo affidamento incontra invero nel diritto europeo particolare attenzione e dunque attraverso tale ordinamento e la sua capacita' di penetrazione in quello domestico, e' divenuto un formante dei procedimenti amministrativi nazionali. La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea o Carta di Nizza, all'art. 41 - intitolato «Diritto ad una buona amministrazione», stabilisce invero che «... 1. Ogni individuo ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell'Unione. 2. Tale diritto comprende in particolare: il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio, il diritto di ogni individuo di accedere al fascicolo che lo riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale, l'obbligo per l'amministrazione di motivare le proprie decisioni. 3. Ogni individuo ha diritto al risarcimento da parte della Comunita' dei danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell'esercizio delle loro funzioni conformemente ai principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri. 4. Ogni individuo puo' rivolgersi alle istituzioni dell'Unione in una delle lingue del trattato e deve ricevere una risposta nella stessa lingua ...». «La Carta di Nizza invero - ai sensi dell'art. 6 del Trattato dell'Unione nel testo introdotto a Lisbona - ha, per tutti "...i diritti, le liberta' ed i principi in essa sanciti... », il medesimo valore giuridico dei Trattati. La Corte Giustizia, sul punto, con la decisione numero C-545/11 del 14 marzo 2013 ha affermato che «... secondo una giurisprudenza consolidata della Corte, il principio della tutela del legittimo affidamento rientra fra i principi fondamentali dell'Unione (v. sentenze del 5 maggio 1981, Dürbeck, 112/80, Racc. pag. 1095, punto 48; del 24 marzo 2011, ISD Polska e a./Commissione, C-369/09 P, Racc. pag. I-2011, punto 122, nonche' del 26 giugno 2012, Polonia/Commissione, C-335/09 P, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 180). Il diritto di avvalersi del suddetto principio si estende ad ogni soggetto nel quale un'istituzione dell'Unione ha fatto sorgere fondate speranze [v., in tal senso, sentenze dell'11 marzo 1987, Van den Bergh en Jurgens e Van Dijk Food Products (Lopik)/CEE, 265/85, Racc. pag. I-1155, punto 44; ISD Polska e a./Commissione, cit., punto 123, nonche' del 22 settembre 2011, Bell & Ross/UAMI, C-426/10 P, punto 56] ...». Facendo seguito alle decisioni delle istituzioni europee, anche la giurisprudenza amministrativa afferma il dovere per l'amministrazione di agire secondo buona fede, ritenendo che «... nel rispetto dei principi fondamentali fissati dall'art. 97 della Costituzione, l'amministrazione e' tenuta ad improntare la sua azione non solo agli specifici principi di legalita', imparzialita' e buon andamento, ma anche al principio generale di comportamento secondo buona fede, cui corrisponde l'onere di sopportare le conseguenze sfavorevoli del proprio comportamento che abbia ingenerato nel cittadino incolpevole un legittimo affidamento ...» (Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza n. 3536/2008). Ed inoltre, piu' recentemente, che «... il dovere della p.a. di operare in modo chiaro e lineare e di rispettare le situazione consolidate di legittimo affidamento costituisce principio dell'azione amministrativa le cui radici si fanno sempre piu' robuste. Nel diritto pubblico, la teorizzazione dei limiti del potere amministrativo in funzione protettiva dell'affidamento del cittadino e' storicamente comparso quale fattore di bilanciamento tra l'intensita' dell'interesse pubblico e quello dell'interesse privato meritevole di considerazione per il fatto di trarre scaturigine da un precedente atto dell'amministrazione. Se, in principio, la rilevanza attribuita all'interesse del destinatario del provvedimento favorevole e' inizialmente discesa dalla configurazione del potere di autotutela come potere di amministrazione attiva in cui l'interesse del cittadino riceve una tutela "oggettiva" risultante dal corretto uso del potere discrezionale, i piu' recenti approdi dimostrano come la tutela pubblicistica dell'affidamento ben possa realizzarsi quale posizione soggettiva autonoma dotata di diretta protezione da parte dell'ordinamento (e, dunque, anche al di fuori della valutazione che si compie in ordine agli atti di ritiro). L'affidamento suscettibile di applicazione anche nel diritto pubblico, a questa stregua, si collega direttamente all'obbligo di buona fede oggettiva quale regola di condotta che (per quanto riconosciuta espressamente nelle sole disposizioni del codice civile) conforma l'assiologia dell'ordinamento generale, venendo cosi' a coincidere con l'aspettativa di coerenza dell'amministrazione con il proprio precedente comportamento, la quale diviene fonte di un vero e proprio obbligo, per quest'ultima, di tenere in adeguata considerazione l'interesse dell'amministrato, la cui protezione non si presenta piu' come il prodotto, accessorio, della cura dell'interesse pubblico, ma come l'oggetto di un'autonoma pretesa, contrapposta all'interesse dell'amministrazione. Il risultato e' che la verifica giurisdizionale dell'osservanza del principio di buona fede non coincide con quella svolta in termini di eccesso di potere (ovvero secondo il paradigma della logicita' e ragionevolezza) bensi' attiene all'osservanza di una norma (quella di buona fede e correttezza) che si rivolge all'amministrazione nella relazione con il cittadino. L'impostazione di ricondurre la buona fede tra gli obblighi di comportamento dell'amministrazione esigibili dal privato, del resto, ben si raccorda con le istituzioni giuridiche dell'ordinamento sovranazionale in cui risulta oramai costituzionalizzato il "diritto alla buona amministrazione" tra i diritti connessi alla posizione fondamentale di cittadinanza (art. 41 della Carta europea dei diritti; art. II-101 del Trattato per la Costituzione europea), il cui pregnante contenuto valoriale riveste una indubbia funzione di integrazione e interpretazione delle norme vigenti, imponendo di prendere in rinnovata considerazione la formulazione delle regole che presiedono all'esercizio del potere ...» (T.A.R. Lombardia Milano, Sezione I, 31 gennaio 2013, n. 291). Posti tali chiari principi, risulta evidente come nella specie l'amministrazione abbia deliberatamente violato le regole di certezza, legalita' e il legittimo affidamento ingenerato nell'impresa ricorrente. Al contrario, viene a tale riguardo sottolineata la necessita di evitare «...che una generalizzata esigenza di contenimento della finanza pubblica possa risultare, sempre e comunque, e quasi pregiudizialmente, legittimata a determinare la compromissione di diritti maturati o la lesione di consolidate sfere di interessi, sia individuali, sia anche collettivi...» (cfr. n. 5 del Considerato in diritto della decisione della Corte costituzionale n. 92/2013; che richiama la decisione n. 166/2012). «Sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che "... l'interpretazione del diritto comunitario adottata dalla Corte di giustizia ha efficacia ultra partes, sicche' alle sentenze dalla stessa rese, sia pregiudiziali e sia emesse in sede di verifica della validita' di una disposizione, va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensi' in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell'ambito della Comunita'; data la premessa la conseguenza e' che il giudice nazionale deve disapplicare la norma dell'ordinamento interno, per incompatibilita' con il diritto comunitario, sia nel caso in cui il conflitto insorga con una disciplina prodotta dagli organi della CEE mediante regolamento, sia nel caso in cui il contrasto sia determinato da regole generali dell'ordinamento comunitario, ricavate in sede di interpretazione dell'ordinamento stesso da parte della Corte di giustizia delle Comunita' europee, nell'esercizio dei compiti ad essa attribuiti dagli articoli 169 e 177 del Trattato del 25 marzo 1957, reso esecutivo con legge 14 ottobre 1957, n. 1203 ...» (Consiglio di Stato, Sezione IV, 4 marzo 2014, n. 1020). Essendo pacifico che «... e' compito del giudice nazionale assicurare la "piena efficacia" del diritto dell'Unione; conseguentemente la norma nazionale, in quanto contraria alla normativa dettata dalla Direttiva comunitaria,seppur non caducata, va disapplicata dal giudice nazionale che "pertanto sotto tale aspetto e' attratto nel plesso normativo comunitario... " (Consiglio di giustizia amministrativa 26 agosto 2013, n. 722). La giurisprudenza della Corte europea dei diritti fondamentali peraltro, sotto altro profilo, ha esteso progressivamente il novero delle situazioni patrimoniali che rientrano nel campo di applicazione dell'art. 1 Protocollo 1 della Convenzione fino a considerare oggetto della norma anche interessi patrimoniali e diritti immateriali (quindi i diritti di credito, l'avviamento commerciale e professionale). Orbene la Corte, nell'applicare la norma sull'uso dei beni patrimoniali, vi ha individuato una regola autonoma rispetto a quanto indicato nel primo paragrafo, ampliandone la portata ed il significato. In particolare, ed e' questo l'aspetto che piu' rileva, l'aver ricostruito la disposizione in esame come regola autonoma, ha consentito alla Corte di controllare la conformita' dell'esercizio del potere di regolamentazione dell'uso dei beni, alla luce dei principi di legalita' e proporzionalita'. Per quanto riguarda le situazioni che possono rientrare nel secondo paragrafo dell'art. 1, le possibili forme di regolamentazione dell'uso dei beni considerate dalla Corte sono le piu' varie, dal divieto di nuove costruzioni alle misure limitative del diritto di iscriversi ad albi professionali. Non puo' pertanto dubitarsi che una siffatta tutela si estenda al mantenimento delle aspettative economiche, derivanti dalla concessione di un contributo pari all'effettivo fabbisogno delle imprese editoriali. La Corte invero, ha piu' volte ribadito che qualunque forma di ingerenza, per essere compatibile con l'art. 1 del Protocollo, deve realizzare un giusto equilibrio tra le esigenze poste dall'interesse generale e gli imperativi di tutela dei diritti fondamentali degli individui. Sicche' secondo tale costante giurisprudenza, e' necessario un ponderato equilibrio tra le esigenze dell'interesse generale e gli imperativi e la salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo, che non puo' dirsi certamente raggiunto, quando quest'ultimo debba subire un sacrificio eccessivo e sproporzionato rispetto al fine da raggiungere. La valutazione di proporzionalita' consente, in definitiva, di bilanciare interessi e valori di natura eterogenea, assumendo eventualmente contenuti diversi in relazione al tipo di interferenza nonche' all'importanza del diritto individuale e dell'interesse collettivo che ne giustifica la restrizione. Il controllo di proporzionalita' consente, poi, una valutazione degli effetti che il singolo provvedimento limitativo comporta in relazione al singolo caso concreto. La Corte, sul punto, non effettua una valutazione astratta del rapporto di congruita' tra i mezzi impiegati e lo scopo da raggiungere; il controllo della proporzionalita' richiede, infatti, di verificare in concreto che il singolo non debba subire un sacrificio eccessivo ed esorbitante. In tale prospettiva, la Corte ha precisato come il rispetto del principio del giusto equilibrio implichi, non solo la necessita' di considerare gli interessi in causa, ma anche quella di valutare il comportamento delle parti e le caratteristiche del provvedimento e le modalita' dell'ingerenza. Appare percio' evidente che, proprio il comportamento statuale che viola manifestamente il principio del legittimo affidamento, renda evidente la sproporzione e consenta di affermare con sicurezza, pacificamente che quel corretto bilanciamento di valori non e' nel caso di specie stato effettuato dal legislatore. Tanto basta, ad evidenziare il contrasto di tali disposizioni anche con l'art. 117 Costituzione, in relazione all'art. 1 del Protocollo numero 1 CEDU, per il venir meno dello Stato italiano agli obblighi internazionali (cfr. per tutte Corte costituzionale n. 172/12). Ci sia infine consentito osservare come l'evidente e puntuale contrasto delle disposizioni legislative nazionali censurate con le richiamate disposizioni dei Trattati e della Convenzione, ne accentuino in maniera assai significativa i difetti di costituzionalita', raccomandandone una sollecita espunzione dal nostro ordinamento interno.» Al punto II. B. (pag. 19 dell'atto di citazione) parte attrice contesta, inoltre, il riparto in modo rigidamente proporzionale delle risorse disponibili, «senza tenere in alcuna considerazione le posizioni di merito delle diverse testate richiedenti.», laddove - a suo dire - «Il criterio di distribuzione delle risorse disponibili, al contrario, avrebbe dovuto tenere conto delle specifiche caratteristiche di ciascuna testata richiedente e ripartirle in maniera direttamente proporzionale alla qualita' e quantita' dei requisiti posseduti, in base ad una graduatoria di merito fino ad oggi non prevista.» Al punto II. C, critica, poi, il termine per la conclusione del procedimento, previsto dall'art. 2, comma 7, del citato decreto-legge n. 63/2012, argomentando che in tal modo risultano allungati notevolmente i tempi per la determinazione ed erogazione del contributo, con pregiudizio di una «corretta pianificazione finanziaria dell'impresa editoriale ricorrente»; aggiunge che «La rilevanza della buona fede (e dell'affidamento) in particolare, e' stata affermata anche con riferimento al doveroso rispetto dei termini procedimentali, che nella specie andrebbero decisamente riscritti in modo da fare coincidere o comunque ravvicinare la domanda di contributi con lo stanziamento e la successiva erogazione», richiamando la sentenza QM7/2007, con la quale la Corte dei conti, Sezioni Riunite, ha affermato come «... l'affidamento nella sicurezza giuridica costituisce invero un valore fondamentale dello Stato di diritto, costituzionalmente protetto nel nostro ordinamento (cfr. Corte costituzionale, sentenze 17 dicembre 1985, n. 349, 14 luglio 1988, n. 822, 4 aprile 1990, n. 155, 10 febbraio 1993, n. 39), ora ancor piu' rilevante considerato che lo stesso legislatore prescrive che l'attivita' amministrativa sia retta (anche) dai principi dell'ordinamento europeo (art. 1, primo comma, della legge 7 agosto 1990, n. 241 quale modificato dall'art. 1 della legge 11 febbraio 2005, n. 15), nel quale il principio di legittimo affidamento e' stato elaborato dalla giurisprudenza comunitaria in un'ottica di accentuata tutela dell'interesse privato nei confronti delle azioni normativa e amministrativa delle istituzioni europee (Corte di giustizia delle Comunita' europee, 15 luglio 2004, causa C459/02; 14 febbraio 1990, causa C350/88; 3 maggio 1978, causa 112/77) ...»). Ha affidato inoltre le eccezioni di illegittimita' costituzionale delle disposizioni sopra indicate alle seguenti ulteriori argomentazioni: «L'esiguita' delle risorse messe a disposizione insieme alla modalita' indiscriminata e lineare della loro distribuzione tra tutti gli aventi titolo, non combaciano certamente, con le finalita' di tutela e sostegno dell'editoria e della liberta' di stampa, garantite dalla nostra Costituzione e sancite nella normativa legislativa derivata. Tali disposizioni peraltro, aggravano l'attuale crisi del settore editoriale e delle liberta'. Sicche', qualora si ritenesse che le disposizioni a) degli articoli 2, comma 62 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, 3 comma 7 e 22 del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 2010, n. 223, 2 comma 1 e 4 del decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63 come convertito nella legge n. 103/2012 - con cui si stabilisce che i contributi spettino nei limiti delle risorse stanziate in bilancio e si prevede in caso di insufficienza, il riparto proporzionale tra gli aventi titolo - possano pregiudicare il riconoscimento all'impresa editoriale ricorrente del contributo in misura pari al fabbisogno effettivo ed all'applicazione di meccanismi di adeguamento del contributo a criteri di merito relativi ai requisiti posseduti, e comunque raccoglimento delle domande tutte proposte col presente ricorso; e che b) l'art. 2, comma 7 del decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63 come convertito nella legge n. 103/2012, con cui si stabilisce che il termine per la conclusione del procedimento relativo all'erogazione dei contributi scade il 31 marzo dell'anno successivo a quello di presentazione delle relative domande, possa pregiudicare la corretta pianificazione finanziaria dell'impresa editoriale ricorrente, si chiede sin d'ora la rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimita' costituzionale delle predette disposizioni, per contrasto con gli articoli 1, 2, 3, 21, 41 e 97 della Costituzione e con i principi innanzi richiamati (nonche', sotto il profilo della violazione dell'art. 117 in relazione all'art. 1, protocollo 1 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo).». 3. Difese dell'Avvocatura dello Stato. 3.a). La Presidenza del Consiglio dei ministri, costituendosi con comparsa del 12 aprile 2016, ricostruiva preliminarmente l'originario quadro normativo di riferimento, avuto riguardo alla legge n. 250/1990, e successive modificazioni, e al relativo regolamento contenuto nel decreto del Presidente della Repubblica n. 525/1997, nonche' alla legge n. 159/2007, nella sostanza coincidente con quello illustrato da parte attrice. Ha, peraltro, evidenziato che la legge n. 191/2009 (finanziaria per il 2010) ha attuato con l'art. 2, comma 62, una innovazione normativa di grande rilievo sia sotto il profilo finanziario, statuendo, ai fini della determinazione del contributo, il limite invalicabile dello stanziamento sul pertinente capitolo di bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio, con la conseguente previsione di una riduzione percentuale per i beneficiari, della misura astrattamente spettante sulla base del calcolo disciplinato dalla legge n. 250/1990, nel caso di insufficienza delle risorse stanziate, sia sotto il profilo «della complessiva ridefinizione della posizione giuridica dell'impresa editoriale e del suo rapporto con l'Amministrazione che eriga il contributo», con la conseguenza che «la posizione della singola impresa non puo' piu' ascriversi a quella di un soggetto titolare di un diritto soggettivo, o quanto meno di un diritto soggettivo pieno e matrimonialmente perfetto», per cui apparirebbe «particolarmente incongruo qualificare le situazioni giuridiche soggettive di che trattasi di che trattasi alla stregua di diritti soggettivi perfetti». 3.b). Per quanto riguarda la posizione specifica della societa' Ediservice, nella comparsa e' stato confermato (v. pagg. 6-7) quanto allegato da parte attrice circa l'ammontare complessivo erogato (€ 734.461,24, al lordo della ritenuta IRPEG), e la sua corrispondenza alla percentuale del 56,754% del contributo, «teoricamente» spettante in base ai costi e alla documentazione prodotta dalla societa'. In particolare, riguardo alla percentuale complessivamente liquidata alle societa' aventi titolo ai contributi di cui trattasi, la Presidenza ha puntualizzato che con la legge di stabilita' per l'anno 2014, l'ammontare stanziato copriva soltanto il 23,710% dei contributi astrattamente spettanti all'editoria, per cui si e' fatto ricorso a successive variazioni, disposte con vari decreti del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, che hanno aumentato la percentuale di erogazione al 56,754%. Ha contestato inoltre che negli anni precedenti sia stato erogato un contributo pari in percentuale a circa il 92% di quello astrattamente spettante in base alla legge n. 250/1990, precisando che solo per l'anno 2010 il contributo e' stato pari al 91,27% di quello «teorico», il che aveva comportato l'erogazione di 1.552.131,72 in favore della societa' attrice, mentre la percentuale si era ridotta al 66,724% per l'anno 2011, per risalire al 72,699% per il 2012, per poi ridiscendere al 56,754% per il 2013. 3.c) Per quanto riguarda l'eccepita incostituzionalita', ha controdedotto con le seguenti argomentazioni, che, - analogamente a come fatto per le argomentazioni di parte attrice - si ritiene opportuno riportare per intero, sia per compiutezza di esposizione, sia per la complessita' della questione. «Per quanto attiene al richiamo ai principi fondamentali di cui agli articoli 1 e 2 della Costituzione, lo stesso appare operato in modo alquanto astratto, come per mera clausola di stile. Per quanto attiene al principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, presumibilmente ritenuto leso sotto il profilo della assenza dei requisiti di razionalita' e ragionevolezza nelle scelte normative del legislatore nella materia de qua, la Amministrazione rileva come gia' la norma concessiva dei contributi diretti all'editoria (art. 3 della legge n. 250/1990) non preveda un finanziamento generalizzato per tutti gli operatori presenti nel mercato editoriale, bensi' un contributo riservato soltanto a quelle imprese editoriali che presentino gli specifici requisiti elencati nel comma 2. Il legislatore ha, in tal modo, delineato ab origine la natura di normativa speciale del complesso di disposizioni regolanti l'attribuzione e l'erogazione dei contributi in questione. Cio' in ragione della precipua finalita' perseguita dalla normativa in parola, non meramente assistenzialistica, bensi' costituita dal sostegno al pluralismo dell'informazione, in attuazione del dettato costituzionale dell'art. 21. Non casualmente, le provvidenze in questione sono, infatti, determinate dal legislatore anche con misure non uniformi, bensi' diverse a seconda della tipologia dei giornali editi. Va, inoltre, evidenziato che la normativa relativa ai contributi in questione prevede che le imprese che intendano accedere ai benefici di legge presentino, entro la scadenza del 31 gennaio di ogni anno, una domanda che, ai fini della sussistenza dei requisiti per l'accesso ai contributi stessi, deve essere integrata dalla documentazione necessaria ai fini istruttori entro il termine tassativo del 30 settembre del medesimo anno di presentazione della domanda stessa. Il comma 1246 dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006, legge finanziaria per l'anno 2007, aveva, altresi', gia' previsto che, in caso di insufficienza delle risorse finanziarie necessarie per il pagamento dei contributi richiesti per il singolo anno, si dovesse procedere al riparto proporzionale dei contributi spettanti fra tutti gli aventi diritto. Anche alla luce delle ricordate disposizioni, e', pertanto, evidente che il legislatore ha inteso configurare il diritto ai contributi in parola secondo caratteristiche proprie per ciascuna annualita', tenuto conto anche della effettiva sussistenza di risorse finanziarie. Ne consegue che ben puo' il legislatore prevedere diversi trattamenti laddove si tratti di diverse annualita' di contributo. Viceversa, l'Amministrazione e' tenuta ad assicurare parita' di trattamento laddove si tratti di fattispecie ricomprese nella stessa tipologia di contributi e nell'ambito della medesima annualita'. Sembrano, quindi, coerenti una lettura ed una interpretazione della intera normativa sui contributi all'editoria ancorate ad una applicazione del principio di uguaglianza in senso sostanziale - che consente, come noto, trattamenti difformi in fattispecie disuguali, anche sotto il profilo, qui riguardato, della misura del contributo erogabile - piuttosto che ad una interpretazione in senso formale del medesimo principio, quale quella di fatto evocata dalla ricorrente. Anche sotto il diverso, ma incidente, profilo della configurazione del diritto a beneficiare dei contributi pubblici all'editoria alla stregua di un diritto soggettivo perfetto, occorre, inoltre, evidenziare come il riconoscimento della titolarita' del diritto stesso in capo ai beneficiari avvenga esclusivamente in virtu' del possesso dei requisiti di ammissione puntualmente stabiliti dal legislatore in conseguenza di quelle stesse specifiche richiamate finalita' perseguite dalla normativa. Appartiene, altresi', alle prerogative dello stesso legislatore stabilire i meccanismi, i parametri e le modalita' per la quantificazione della concreta entita' del beneficio, elementi sui quali possono incidere anche sopravvenute esigenze di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica, ancorche' perseguite nel rispetto dei' diritti quesiti e delle legittime aspettative dei soggetti beneficiari. Nell'ambito di un quadro di riferimento generale quale quello sopra delineato, e' intervenuto il legislatore del 2009, che ha sancito un limite invalicabile alla quantificazione delle provvidenze, costituito dello stanziamento delle risorse effettivamente presenti e disponibili in bilancio per tale finalita'. Assolutamente razionale e ragionevole risulta, pertanto, la scelta normativa operata dal legislatore stesso, improntata ad un equo contemperamento degli interessi e delle ragioni, potenzialmente confliggenti, dei beneficiari delle provvidenze e dell'erario. Una normativa diversa, che avesse tenuto conto soltanto delle aspettative dei soggetti beneficiari, sarebbe risultata emanata al di fuori della prescritta copertura finanziaria e, pertanto, in radice contraria all'espresso dettato costituzionale dell'art. 81, comma 4. Per quanto attiene al diritto di libera manifestazione del pensiero sancito dall'art. 21 della Costituzione, si richiama quanto sopra gia' diffusamente esposto in ordine alla ratio sottesa alla normativa in esame, costituita proprio dal sostegno al pluralismo dell'informazione, in attuazione del dettato costituzionale dell'art. 21, ma non meramente e semplicemente assistenzialistica. L'ulteriore richiamo all'altro principio costituzionale contenuto nell'art. 41 appare improprio. Come noto, il citato articolo sancisce, infatti, la liberta' dell'iniziativa economica privata, individuandone i limiti nel contrasto con l'utilita' sociale e nel danno arrecato alla sicurezza, alla liberta' ed alla dignita' umana. Nella fattispecie, non si controverte, tuttavia, in tema di limitazione della iniziativa economica privata, in assenza di una apposita statuizione normativa, bensi', come sopra gia' precisato, unicamente in tenia di erogazione di un beneficio di legge, nella misura massima consentita sempre per legge, trovando la ridotta percentuale di erogazione del contributo per l'anno 2013 il proprio fondamento giuridico e normativo nella legge n. 191 del 2009. Il richiamo al predetto principio appare, peraltro, fuorviante, in quanto la normativa speciale sui contributi all'editoria trova il suo fondamento e la sua intrinseca ratio nella finalita' di sostegno non alla iniziativa economica privata in quanto tale, ma, come detto, al pluralismo dell'informazione. In ogni caso, il richiamato principio costituzionale dell'art. 41 risulta ampiamente tutelato, in quanto, pur nello spirito, proprio della legge n. 250 del 1990, di favorire il pluralismo dell'informazione, il legislatore speciale ha manifestato, indirettamente, un particolare riguardo per l'attivita' economica delle imprese editoriali, in quanto beneficiarie delle provvidenze pubbliche. Un'ultima considerazione, di carattere piu' generale, va comunque fatta a fronte del richiamo a tutti i citati principi costituzionali: in nessun caso la tutela accordata dalla legge ad un settore di impresa privata, sia pure in attuazione di principi costituzionali attinenti all'informazione dei cittadini, puo' mai essere intesa in modo e/o misura cosi' pieni da garantire la sopravvivenza e l'equilibrio finanziario del soggetto privato imprenditore, al di la' di ogni sua scelta e responsabilita' gestionale. Non si puo' trasformare una misura di sostegno pubblico, qual e' quella in discorso, in una misura di «statalizzazione» dell'impresa e di garanzia del suo equilibrio, sia perche' si trasformerebbe il sostegno in mera assistenza, sia perche' le misure assistenziali a carico dello Stato risultano inevitabilmente disincentivanti rispetto ad una gestione imprenditoriale sana, corretta ed efficiente. Per quanto concerne, infine, i principi di buon andamento ed imparzialita' dell'amministrazione, di cui all'art. 97 della Costituzione, pure evocati dalla ricorrente, si osserva quanto segue. L'imparzialita' ed il buon andamento della pubblica amministrazione presuppongono che la stessa osservi e faccia osservare la normativa vigente, al fine di una sua uniforme e corretta applicazione. Cio' e' quanto si e' verificato nella fattispecie in esame, nella quale non si e' operata alcuna discriminazione nei confronti dei destinatari delle norme, bensi' la puntuale applicazione delle disposizioni vigenti, ivi comprese quelle dettate nel 2009, Ne' tali disposizioni, come sopra gia' rilevato, hanno generato situazioni discriminatorie, ma semplicemente sancito un necessario, e tuttavia piu' equo possibile, contemperamento degli interessi contrapposti dei beneficiari dei contributi e dell'erario. Dalla rilevata uniforme e corretta applicazione del dettato normativo del 2009, a sua volta scevro di connotati discriminatori, consegue l'incongruita' del richiamo ai profili di violazione dell'art. 97 della Costituzione, non configurandosi atti compiuti illegittimamente dall'Amministrazione, in violazione della par condicio dei destinatari degli stessi.». Con la successiva la memoria del 1° ottobre 2016, ha rilevato, infine, che «... il vero punto di diritto sotteso alla controversia» sia «l'accertamento della legittimita' o meno di un atto politico ... che il provvedimento adottato dall'Amministrazione "nell'esercizio di un potere vincolato" ..., si e' limitato ad attuare ...». 4. Parte attrice, replicando, con memoria datata 26 ottobre 2016, alla comparsa di costituzione della convenuta, ha precisato come le spese ammissibili - sul cui 50% e' calcolata una parte del contributo - non coincidono con tutte quelle che va a sostenere la societa' editoriale (rimanendo escluse le spese di affitto, condominiali, energia e consumi, trasporti, amministrative, di manutenzione e soprattutto per il personale dipendente, ad eccezione dei giornalisti), con la conseguenza che la riduzione (per il 2013) della erogazione nella percentuale 56,754%, aveva comportato di fatto la copertura soltanto di circa un quarto di tutte le spese sostenute, cosi' venendo a risultare «tradita la funzione di sostegno al pluralismo all'informazione, cui e' finalizzato il contributo diretto all'editoria, a grave detrimento delle imprese editoriali, che pur essendo sane, non sono in grado di stare da sole sul mercato e necessitano di un contributo che possa considerarsi tale.» Riguardo, poi, alle considerazioni svolte dall'Avvocatura dello Stato circa le riduzioni avvenute negli ultimi anni, con il che doveva escludersi che nella specie l'editore potesse fare affidamento su un congruo contributo, pari o vicino al contributo «teorico», ribadiva che cosi' opinandosi «si finirebbe per legittimare, di riduzione in riduzione, l'integrale annullamento del contributo, col venir meno della minima tutela degli interessi, di natura generale e di rango anche costituzionale, alla quale il contributo e' finalizzato,» con la conseguenza che «l'esiguita' delle risorse destinate al sostegno diretto all'editoria, cui l'amministrazione ha parzialmente sopperito disponendo alcune successive variazioni in aumento rispetto allo stanziamento iniziale, impedisce tuttavia, ormai e di fatto, il concreto raggiungimento delle finalita' perseguite», per cui «la scelta di sancire un limite invalicabile alla quantificazione delle provvidenze, costituito dallo stanziamento delle risorse effettivamente presenti e disponibili in bilancio per tale finalita', disancorando tale quantificazione dal collegamento al fabbisogno effettivo, e' in conclusione illegittima». Per quanto riguardava, poi, i dubbi espressi dall'Avvocatura dello Stato sull'appartenenza della vicenda processuale alla giurisdizione ordinaria, per la considerazione che la legge finanziaria per il 2010 limita l'erogazione in rapporto alle risorse stanziate nell'apposito capitolo della Presidenza del Consiglio, ha ribadito che la posizione delle imprese e' di diritto soggettivo scaturente da una obbligazione pubblica, in presenza di condizioni e criteri stabiliti dalla legge che riconosce e disciplina il contributo all'editoria, «strettamente correlato all'esercizio di liberta' fondamentali dell'individuo garantite costituzionalmente»; e che «l'esiguita' delle risorse messe a disposizione insieme alla modalita' indiscriminata e lineare della loro distribuzione tra tutti gli aventi titolo, viola il diritto dell'impresa attrice a vedersi assegnato il contributo diretto spettante (senza decurtazioni di alcun tipo) e certamente si pone in contrasto con le finalita' di tutela e sostegno dell'editoria e della liberta' di stampa, garantite dalla nostra Costituzione e sancite nella normativa legislativa derivata». In conclusione, ad avviso della societa' attrice, «l'incongruenza del procedimento di contribuzione pubblica sotto il profilo dell'insufficienza del contributo e della tardivita' della liquidazione rispetto al momento in cui le spese sono sostenute, insieme al totale scollegamento tra fabbisogno effettivo e contribuzione, impediscono invece al contributo di raggiungere la precipua finalita' di sostegno al pluralismo dell'informazione perseguita dal Legislatore», per cui «e' dunque evidente il contrasto delle norme indicate nella citazione coi principi costituzionali di eguaglianza e garanzia della liberta' di manifestazione del pensiero e del diritto alla qualita' dell'informazione, nonche' della liberta' di iniziativa economica in un campo cosi' delicato come l'editoria, in cui imperano grossi gruppi radiotelevisivi a discapito della necessaria pluralita' dell'informazione». 5. Motivi della decisione. Cosi' riportate le deduzioni delle parti riguardo alla vexata quaestio concernente la legittimita' costituzionale delle norme che subordinano l'entita' del contributo agli stanziamenti stabiliti in bilancio nel corrispondente capitolo autonomo della Presidenza del Consiglio, questo giudicante osserva quanto segue. 5.a) Per come risulta dagli atti del processo, la societa' editoriale aveva originariamente adito il giudice amministrativo. Il Tribunale amministrativo della Sicilia - sezione distaccata di Catania - con la sentenza del 22 ottobre 2015 n. 2447, ha declinato la propria giurisdizione in favore dell'A.G.O., affermando che, in relazione agli atti impugnati, continua «... a trovare applicazione - in punto di riparto di giurisdizione fra G.O. e G.A. - l'indirizzo giurisprudenziale affermatosi con riguardo all'assetto normativo anteriore all'entrata in vigore della legge n. 191/2009, secondo il quale «come e' peculiare dell'intero sistema delle leggi su sostegni all'editoria, anche i contributi introdotti dalla legge n. 250 del 1990, configurano diritti soggettivi degli editori, per un credito derivante da obbligazione pubblica direttamente assunta dalla legge a tutela degli interessi economici degli editori medesimi nel concorso di condizioni e requisiti specificamente determinati, sicche' le controversie relative ai medesimi contributi ricadono nella giurisdizione del giudice ordinario» (T.A.R. Lazio - Roma, sez. I, sentenza 2 gennaio 2013, n. 7). Ne' cio' si risolve in alcun modo in una censurabile riduzione delle possibilita' di difesa in sede giurisdizionale dei soggetti interessati. Ove questi infatti si ritengano pregiudicati, non direttamente dall'atto di riparto adottato nell'esercizio di un potere vincolato da parte dell'amministrazione competente, ma dall'irragionevolezza dell'atto politico presupposto che abbia determinato il complessivo ammontare delle risorse ripartibili fra i piu' aventi diritto, essi potranno in futuro, dinnanzi al G.O. concretamente adito, sollevare questione di legittimita' costituzionale avverso l'intero nuovo sistema prefigurato per il sostegno all'editoria dal comma 62 dell'art. 2 della legge n. 191/2009, secondo quelle stesse argomentazioni gia' proposte dinnanzi ad un organo giurisdizionale privo della potestas judicandi in relazione alla presente controversia...». Questo giudice condivide l'assunto del Tribunale amministrativo sulla giurisdizione dell'A.G.O., dovendosi configurare in favore delle editoriali un vero e proprio diritto all'erogazione del contributo, nelle condizioni indicate dalla legge, e cio', in considerazione delle finalita' perseguite dal legislatore, che non appaiono di natura assistenzialistica, bensi' di attuazione dei principi costituzionali in materia di liberta' e pluralita' dell'informazione, con rimozione degli ostacoli che ne impediscano di fatto l'espressione. 5.b) L'impresa editoriale ai fini dell'accoglimento della pretesa ha invocato la disapplicazione dei decreti presupposti della liquidazione del contributo, dai quali e' conseguita l'erogabilita' della percentuale nel 56,754% rispetto al contributo «teorico», in conformita' al complesso delle somme stanziate per il 2013 nell'apposito capitolo del bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri. I decreti in questione, peraltro, trovano fondamento nelle disposizioni di cui si contesta la legittimita' costituzione, e, nello specifico, nell'art. 2, comma 1, del decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63, convertito con modificazioni dalla legge n. 103/2012, il quale subordina la spettanza del contributo al limite «dello stanziamento iscritto sul pertinente capitolo del bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri», disposizione reiterativa di quanto gia' previsto nell'art. 2, comma 62, della legge n. 191 del 2009, e negli articoli 3, comma 7, e 22 del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 2010, n. 223. Invero, il decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63 «Disposizioni urgenti in materia di riordino dei contributi alle imprese editoriali, nonche' di vendita della stampa quotidiana e periodica e di pubblicita' istituzionale», convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, legge 16 luglio 2012, n. 103, all'art. 2, nella parte d'interesse, cosi' testualmente dispone al primo comma: «1. I contributi di cui al presente decreto spettano nei limiti delle risorse stanziate sul pertinente capitolo del bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, salvo quanto disposto dal comma 4 del presente articolo. In caso di insufficienza delle risorse stanziate, agli aventi titolo spettano contributi ridotti mediante riparto proporzionale.». Il comma 2 (1) , a sua volta, disciplina le modalita' per il calcolo del contributo «teorico», stabilendo, infine, che l'importo complessivo erogabile della quota del contributo - «non puo' comunque superare quello riferito all'anno 2010 (2) ». Il diritto all'erogazione concreta del contributo trova, quindi, in base all'attuale normativa vigente, un limite invalicabile nello stanziamento dei fondi nell'apposito capitolo della Presidenza del consiglio, con la precisazione, peraltro, che lo stanziamento stabilito e' suscettibile di variazione con piu' atti governativi, tramite un'apposita procedura, a seguito di una valutazione, da ritenere «squisitamente politica», per come riconosciuto dalla stessa Avvocatura dello Stato (3) e ritenuto anche da questo giudicante. Invero, se la valutazione fosse stata di natura amministrativa, essa, come tale, sarebbe stata suscettibile di sindacato da parte del Giudice ordinario, mediante lo strumento della disapplicazione, ove ritenuto in contrasto con norme di legge, ai sensi degli articoli 2, 4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E. Alla luce dei poteri attribuiti agli Organi governativi dalle sopra riportate disposizioni, le domande proposte dalla societa' non possono, pertanto, trovare accoglimento, neppure in ipotesi, non essendo consentito a questo giudicante di sindacare i provvedimenti in questione, mediante i quali si giunse alle determinazioni finali sull'ammontare dello stanziamento, che, per il 2013, venne variato due volte, appunto perche' il risultato di una facolta' di «valutazione squisitamente politica», come tale attribuita da norme di legge. 6. Sulla questione di legittimita' costituzionale. Parte attrice dubita della legittimita' costituzionale delle norme sopra indicate. Malgrado l'indubbia ricchezza e ponderatezza delle argomentazioni giuridiche svolte dall'Avvocatura dello Stato nelle sue difese, che - per doverosa completezza di riflessione - si e' ritenuto, appunto, di riportare per intero, unitamente alle contrapposte argomentazioni di parte attrice, ad avviso di questo giudicante non appare manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, in parte qua, delle norme che disciplinano le determinazioni in ordine all'ammontare dei contributi erogabili, per le ragioni che qui di seguito si illustrano. 6.a) Va rilevato, preliminarmente che le determinazioni governative ex post - «con valutazione squisitamente politica» - degli effettivi stanziamenti, destinati ai contributi in favore delle imprese editoriali, rispetto all'anno di riferimento del contributo stesso, non consentono alle imprese editoriali una corretta e adeguata gestione finanziaria, in violazione, tenuto conto che si tratta di imprese rivolte alla pubblica informazione, sia dei principi che discendono dall'art. 21 della Costituzione, sia dei principi che discendono da altre norme costituzionali, di cui si dira' ai punti che seguono, sia del principio dell'affidamento, assurto, ormai, da tempo, a valore costituzionale. La violazione, in ipotesi, di detti principi si riferisce, appunto, alle norme di legge, costituenti il presupposto del potere governativo, estrinsecatosi - previa valutazione squisitamente politica - negli atti che hanno condotto alla determinazione del contributo: da cio' consegue la rilevanza della questione di legittimita', atteso che, espunte le norme di legge presupposte, questo giudice avrebbe il potere di esaminare nel merito la pretesa di parte attrice. E', pertanto, da ritenere sussistente la rilevanza della sollevanda questione di legittimita' costituzionale. 6.b) Va escluso, peraltro, in primo luogo, che la questione possa essere sollevata con riferimento alle disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 2010, n. 223, avente natura regolamentare, come tale disapplicabile dal giudice ordinario giusta le disposizioni contenute nella legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, ove ritenute non conformi a legge; la disamina va condotta, pertanto, sulle disposizioni di legge, che hanno limitato, con riferimento all'anno 2013, l'ammontare dei contributi per l'editoria. Le disposizioni di legge che, al riguardo, vengono in rilievo sono quelle contenute nell'art. 44, decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nell'art. 2, comma 62, legge 23 dicembre 2009, n. 191, e nell'art. 2, commi 1, decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63 come convertito dalla legge n. 103/2012. L'art. 44, comma 1, decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, al comma 1, per la parte d'interesse, a sua volta, cosi' stabilisce: «1. Con regolamento di delegificazione ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n, 400, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sentito anche il Ministro per la semplificazione normativa, sono emanate, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e tenuto conto delle somme complessivamente stanziate nel bilancio dello Stato per il settore dell'editoria, che costituiscono limite massimo di spesa, misure di semplificazione e riordino della disciplina di erogazione dei contributi all'editoria di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250, e successive modificazioni, e alla legge 7 marzo 2001, n. 62 ...». L'art. 2, comma 62, della legge 23 dicembre 2009 (finanziaria 2010), stabilisce quanto segue: comma 62: «In attuazione dell'art. 44 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, i contributi e le provvidenze spettano nel limite dello stanziamento iscritto sul pertinente capitolo del bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri». L'art. 2, decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63 «Disposizioni urgenti in materia di riordino dei contributi alle imprese editoriali, nonche' di vendita della stampa quotidiana e periodica e di pubblicita' istituzionale», convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, legge 16 luglio 2012, n. 103 nella parte d'interesse, ai commi 1 e 2 cosi' testualmente dispone: «1. 1 contributi di cui al presente decreto spettano nei limiti delle risorse stanziate sul pertinente capitolo del bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, salvo quanto disposto dal comma 4 del presente articolo. In caso di insufficienza delle risorse stanziate, agli aventi titolo spettano contributi ridotti mediante riparto proporzionale.». «2. A decorrere dai contributi relativi all'anno 2012, per le imprese di cui all'art. 3, commi 2, 2-bis, 2-ter e 2-quater, della legge 7 agosto 1990, n. 250, per le imprese di cui all'art. 153, commi 2 e 4, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, nonche' per le imprese di cui all'art. 20, comma 3-ter, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e successive modificazioni, il contributo, che non puo' comunque superare quello riferito all'anno 2010 (4) , e' cosi' calcolato: omissis». Parte attrice aveva dedotto, altresi', l'illegittimita' del comma 7, che cosi' dispone: «7. L'erogazione dei contributi diretti alla stampa e' soggetta alla disciplina di cui all'art. 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. Il termine per la conclusione del procedimento relativo all'erogazione dei contributi scade il 31 marzo dell'anno successivo a quello di presentazione delle relative domande. A tale data il provvedimento e' adottato comunque sulla base delle risultanze istruttorie acquisite, ferma restando la ripetizione delle somme indebitamente percepite.». Ad avviso di questo giudice, questo 7° comma e' coerente con il sistema che prevede l'erogazione a consuntivo, quindi, sulla base del bilancio dell'impresa; da cio' consegue che la relativa questione d'incostituzionalita' va ritenuta manifestamente infondata. 6.c) Per come gia' anticipato, la questione di incostituzionalita' non appare, invece, manifestamente infondata per le altre disposizioni sopra riportate. E, invero. La ratio, che sta alla base delle leggi che si sono succedute riguardo ai contributi all'editoria, e' esplicitata nella prima parte dell'art. 1, comma 1 della legge n. 198/2016, che spiega le ragioni dell'istituzione del Fondo per il «pluralismo» e «l'innovazione dell'informazione» nel, «...fine di assicurare la piena attuazione dei principi di cui all'art. 21 della Costituzione, in materia di diritti, liberta', indipendenza e pluralismo dell'informazione, nonche' di incentivare l'innovazione dell'offerta informativa e dei processi di distribuzione e di vendita, la capacita' delle imprese del settore di investire e di acquisire posizioni di mercato sostenibili nel tempo, nonche' lo sviluppo di nuove imprese editoriali anche nel campo dell'informazione digitale e' istituito il fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione». Trattasi, quindi, di un Fondo avente finalita' di rilevo costituzionale, con specifico riferimento sia all'art. 21 della Costituzione, sia anche all'art. 41, nonche' ai precedenti agli articoli 2 e 3, in quanto istituito per incentivare la capacita' delle imprese del settore editoria e anche lo sviluppo di nuove imprese, cosi' rimuovendo gli ostacoli di ordine sociale ed economico, e cio' al fine di assicurare la liberta', l'indipendenza e il pluralismo dell'informazione. Dette finalita' di rilievo costituzionale, seppur esplicitate - per come appena detto - nella legge 26 ottobre 2016, n. 198, con riferimento testuale al fondo, all'uopo istituito, costituiscono, all'evidenza, la ratio che sta alla base anche delle disposizioni che, in precedenza, si erano succedute nel tempo in materia di contributi in favore dell'editoria. Si richiamano, per sommi capi, le leggi in argomento, nelle quali - e su questo concorda la difesa dell'Avvocatura dello Stato - gia' il legislatore poneva i contributi come un vero e proprio diritto, appunto, in funzione delle finalita' (di ordine costituzionale) che intendeva perseguire. La legge 5 agosto 1981, n. 416 «Disciplina delle imprese editoriali e provvidenze per l'editoria», agli articoli 22 e segg. prevedeva dei contributi ben precisi nel loro ammontare, senza alcun limite con riguardo ai successivi stanziamenti in bilancio, limitandosi a prevedere un'ampia copertura di ben 197 miliardi di lire (oltre 100 milioni di euro: v. art. 41), idonea a soddisfare le esigenze delle imprese. In modo sostanzialmente analogo hanno stabilito la legge 25 febbraio 1987, n. 67 (v. art. 8 e segg.), prevedendo contributi in misura precisa, nonche' la legge 7 agosto 1990, n. 250, art. 3, commi 2 e 2-bis, 2-ter ecc., la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (finanziaria 2006) all'art. 1, commi 458 e segg., e il decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito con modificazioni dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, art. 10, comma 2. Le disposizioni in questione consentivano alle imprese editoriali di fare sia affidamento ad una sicura e adeguata contribuzione, non assimilabile ad un assistenzialismo, dal momento che, comunque, richiedeva un consistente impegno finanziario alle imprese, sia la possibilita' di programmare la propria attivita' tenendo conto del contributo statale, esattamente previsto dalle leggi in materia. E' soltanto - per come si e' visto - con il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133, e con le leggi che si sono poi succedute, che viene modificato il sistema, prevedendosi all'art. 44, comma 1, un limite massimo di spesa costituito dalle somme stanziate nell'apposito capitolo di bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri. La modifica, peraltro, di fatto, non costitui', all'inizio, un problema per le imprese, tenuto conto dell'adeguatezza delle somme annualmente stanziate, che, peraltro - per come puntualizzato dalla stessa Avvocatura dello Stato (v. pagg. 1617) nella comparsa di costituzione - cominciarono a scemare solo a partire dal 2011, sicche' si giunse all'anno 2013, per il quale la percentuale, rispetto al contributo ammissibile, che per il 2010 era stata pari al 91,27%, si ridusse drasticamente per il 2013 alla misura percentuale pari al 23,710%, tant'e' che l'esiguita' della percentuale rispetto al contributo «teorico» indusse lo stesso Governo ad incrementare, con due successive variazioni gli stanziamenti di 25.600.000, si' da portare il complessivo stanziamento ad 43.050.841,24 euro, a fronte di un ammontare di contributi ammissibili pari ad 73.598.534,14 euro (i dati, non contestati dalla convenuta amministrazione, sono indicati nell'atto di citazione della societa'). Sol che si consideri che nella legge del lontano 1981 era stata prevista una copertura di ben 197 miliardi di lire, pari a oltre 100 milioni di euro, copertura ridotta a meno della meta' trent'anni dopo, per il 2013, appare evidente come le disposizioni, sospette di incostituzionalita', in realta' hanno assoggettato al potere politico-esecutivo, rappresentato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, la possibilita' per le imprese editoriali di mantenere o non una capacita' produttiva e, quindi, di influire - attraverso il meccanismo dell'aumento o non dell'originaria copertura prevista in bilancio, rimesso a valutazioni «squisitamente politiche» - sulle liberta' garantite dall'art. 21 della Costituzione. Il sostegno all'editoria, che col tempo ha assunto un ruolo fondamentale per il nostro sistema democratico, quale espressa garanzia del pluralismo e del diritto alla qualita' dell'informazione, di fatto e' stato posto alla merce' del Governo. Non solo. Ma la circostanza che necessariamente si tratta di un contributo erogabile (ed erogato) dopo la chiusura del bilancio annuale cui si riferisce, in quanto proporzionato alle spese ammissibili, effettivamente sostenute (il che appare conforme alla sua finalita', in modo che non scenda a pioggia sull'Editoria) rende ancora piu' grave il pregiudizio che puo' derivare alle imprese editoriali da questa modalita' di determinazione, a posteriori, in quanto idoneo a compromettere la situazione finanziaria delle imprese, il che si ripercuote direttamente sulla garanzia del pluralismo e del diritto alla qualita' dell'informazione di cui si e' appena detto. 6.d) Le disposizioni costituzionali con i quali appare in collisione il sistema di determinazione in concreto dei contributi all'editoria imposto con le leggi che si sono succedute, per giungere al decreto-legge n. 63/2012 - che rileva nell'odierna vicenda - sono, ad avviso di questo decidente, gli articoli 21, 97, 41, 2 e 3 della Costituzione, nonche' il principio dell'affidamento. 6.d.1). Sulla violazione degli articoli 21, 2 e 3 della Costituzione. L'art. 21 stabilisce solennemente che «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.». La norma non assume un valore solo in negativo, nel senso che non possa essere impedito alla persona di manifestare liberamente il proprio pensiero (diritto inviolabile: v. art. 2), bensi' anche in positivo, nel senso che garantisce la liberta' di informazione a mezzo stampa, salvo i limiti di cui ai successivi commi 3, 4 e 6. La liberta' di informazione, comprende anche la rimozione di quei limiti (di fatto), di natura economico e sociale, per come dispone l'art. 3, comma 2, Costituzione. Il sostegno all'editoria si giustifica, appunto (anche avuto riguardo dei limiti imposti dall'Unione europea, per gli aiuti alle imprese da parte dello Stato), perche' costituisce adeguato strumento per la rimozione di quelle condizioni, economiche e sociali, che di fatto impediscano la liberta' di informazione e la manifestazione libera del proprio pensiero. Nell'ambito dell'art. 3 della Costituzione viene fatto rientrare anche il principio della ragionevolezza delle disposizioni legislative (v. Corte cost. 11 gennaio 2017, n. 7). Ora le disposizioni di cui trattasi, nella parte in cui rimettono a valutazioni, squisitamente politiche dell'autorita' governativa, la determinazione dei contributi alle imprese editoriali, si presentano anche del tutto irragionevoli, in relazione allo scopo perseguito dal legislatore ed ai fini imposti dalla Costituzione, che e' quello di assegnare contributi significativi e adeguati alle imprese editoriali, per consentirne il mantenimento e lo sviluppo, come strumento per garantire la libera manifestazione del pensiero, rendendo, al contrario, difficoltosa l'indipendenza e la pluralita' dell'informazione. Risultano cosi' violati, e per molteplici aspetti, gli articoli 2, 3 e 21 della Costituzione. 6.d.2) Quanto alla violazione degli articoli 97 e 41 della Costituzione, va rilevato quanto segue. a). La determinazione dell'ammontare del contributo, attribuita dalle norme sopra calendate, alla discrezionalita' massima del Governo, mediante lo strumento, in questo caso «squisitamente politico», delle variazioni di bilancio e lo storno da un capitolo all'altro, senza alcuna indicazione di criteri oggettivi, va a collidere - tenuto conto degli interessi in gioco e della finalita' del sistema delle contribuzioni all'Editoria, strettamente connesso alla realizzazione dei principi che discendono dall'art. 21 della Costituzione - con il principio dell'imparzialita' e trasparenza dell'Amministrazione, affermato nell'art. 97 Costituzione, dovendosi considerare, che con il sistema cosi' introdotto, la percentuale di copertura - mediante il contributo statale - dei costi ammissibili viene fatta dipendere in concreto da un atto governativo, improntato piu' che a discrezionalita' a un mero e proprio arbitrio, scevro da qualsiasi criterio oggettivo. In altre parole, l'attribuzione al Governo della facolta' di determinare a posteriori, gli stanziamenti destinati ai contributi per spese sostenute da oltre un anno, senza alcun criterio oggettivo, consente a questo di agire al di fuori dei principi affermati dall'art. 97 Costituzione (sul carattere precettivo dei principi che discendono dall'art. 97, v. Corte cost. 11 gennaio 2017, n. 7). b). Intervenendo poi detta determinazione «arbitraria» dopo che le imprese editoriali hanno gia' sostenuto i costi, essa e' idonea ad incidere, anche pesantemente, sulla situazione finanziaria dell'impresa editoriale, tale non solo da precludere «l'innovazione dell'offerta informativa e dei processi di distribuzione e di vendita, la capacita' delle imprese del settore di investire e di acquisire posizioni di mercato sostenibili nel tempo, nonche' lo sviluppo di nuove imprese editoriali», ma, addirittura, di determinarne il tracollo, con irreparabile pregiudizio economico, e, quindi, alla liberta' di iniziativa economica dell'impresa editoriale (art. 41, comma 2 Costituzione). L'attribuzione al Governo della facolta' di determinare in concreto l'ammontare dei contributi all'editoria puo', quindi, condurre ad una finalita' opposta a quella propugnata dall'art. 21 della Costituzione, ponendo fuori del settore una pluralita' di imprese, soprattutto quelle locali, e concentrando, in tal modo, in poche imprese - le piu' forti economicamente, l'informazione - si' da pregiudicare lo scopo, cui fa riferimento il successivo comma 3, di indirizzare l'attivita' economica del settore dell'Editoria, «a fini sociali», con grave pregiudizio per l'attuazione dei principi desumibili dall'art. 21 della Costituzione, in materia di diritti, liberta', indipendenza e pluralismo dell'informazione. 6.d.3) La determinazione «a posteriori» della percentuale del contributo erogabile, attribuita a una «valutazione squisitamente politica», va a ledere anche il principio del legittimo affidamento, (nel caso in specie, ad una adeguata determinazione del contributo) atteso che si interviene su costi gia' sostenuti. La tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti destinatari, anche riguardo all'attivita' legislativa, e' ormai assurto da tempo a principio costituzionale e viene fatto rientrare nell'art. 3 della Costituzione, nonche' nei principi generali che si desumono dall'ordinamento costituzionale e da altri fondamentali valori di civilta' giuridica, quale principio connaturato allo Stato di diritto, connesso alla coerenza e certezza dell'ordinamento giuridico (v. Corte costituzionale, sentenza n. 209/2010, che richiama la precedente sentenza n. 397 del 1994). Anche la Corte di giustizia dell'Unione europea fa riferimento alla tutela dell'affidamento, come principio fondamentale dell'Unione. Sul punto, nella decisione della Corte di giustizia del 14 marzo 2013 (giudizio n. C-545/11), e' testualmente affermato quanto segue, ai punti 23-26: «23. In via preliminare, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza consolidata della Corte, il principio della tutela del legittimo affidamento rientra fra i principi fondamentali dell'Unione (v. sentenze del 5 maggio 1981, Dürbeck, 112/80, Racc. pag. 1095, punto 48; del 24 marzo 2011, ISD Polska e a./Commissione, C-369/09 P, Racc. pag. I-2011, punto 122, nonche' del 26 giugno 2012, Polonia/Commissione, C-335/09 P, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 180). 24. Il diritto di avvalersi del suddetto principio si estende ad ogni soggetto nel quale un'istituzione dell'Unione ha fatto sorgere fondate speranze [v., in tal senso, sentenze dell'11 marzo 1987, Van den Bergh en Jurgens e Van Dijk Food Products (Lopik)/CEE, 265/85, Racc. pag. I-1155, punto 44; ISD Polska e a./Commissione, cit., punto 123, nonche' del 22 settembre 2011, Bell & Ross/UAMI, C-426/W P, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 56]. 25. Costituiscono un esempio di assicurazioni idonee a far nascere fondate aspettative, a prescindere dalla forma in cui vengono comunicate, informazioni precise, incondizionate e concordanti che promanano da fonti autorizzate ed affidabili. Per contro, nessuno puo' invocare una violazione di tale principio in mancanza di assicurazioni precise fornitegli dall'amministrazione (sentenza del 17 marzo 2011, AJD Tuna, C-221/09, Racc. pag. I-1655, punto 72 e giurisprudenza ivi citata).» Al punto 26, la Corte individua, peraltro, questa eccezione alla tutela dell'affidamento: «26. Allo stesso modo, qualora un operatore economico prudente ed accorto sia in grado di prevedere l'adozione di un provvedimento dell'Unione idoneo a ledere i suoi interessi, egli non puo' invocare il beneficio del principio della tutela del legittimo affidamento nel caso in cui detto provvedimento venga adottato (v., in tal senso, citate sentenze Van den Bergh en Jurgens e Van Dijk Food Products (Lopik)/CEE, punto 44, nonche' AJD Tuna, punto 731.». Nel caso in esame, peraltro, detta eccezione alla tutela dell'affidamento non appare applicabile, in relazione, appunto, alla finalita' perseguita dalla legge. Invero, nella specie, la ratio che sta alla base dei contributi dello Stato alle imprese editoriali, tenuto conto dello scopo perseguito (la tutela effettiva della liberta' di informazione, mediante un significativo sostegno alle societa' che appunto sono portatrici di detto valore), porta ad escludere che l'impresa attrice fosse in grado di prevedere, nel 2012, e cioe' all'epoca della sua programmazione finanziaria-editoriale per il 2013, un'attribuzione della quota contributiva che rendeva di fatto privo di significato l'apporto pubblico, sol che si consideri che il contributo «teorico» e' gia' calcolato - oltre la quota in relazione alle copie - sul 50% delle spese ammissibili, che non coincidono con tutte quelle sostenute dalla societa' editoriale (rimanendone escluse parecchie), cosi' riducendosi la percentuale di fatto a meno del 50% delle spese totali effettivamente sostenute dall'editore, con la conseguenza che il contributo maggiore, gia' calcolato al 50% dei costi ammissibili, e' stato, a sua volta, corrisposto nella misura del 56,754%, con il che non ha superato di molto il 25% di tutte le spese effettivamente sostenute, rimanendo a carico dell'impresa editoriale il restante 75%. Sul principio costituzionale dell'affidamento e sulla illegittimita' delle disposizioni che di fatto rendano aleatorio il quantum dei contributi, appaiono, inoltre, significative le argomentazioni espresse da Corte costituzionale nella sentenza 16 dicembre 2016, n. 275, in cui si controverteva sul limite degli stanziamenti di bilancio con riguardo alle provvidenze in favore dei disabili, avuto riguardo al diritto all'istruzione del disabile consacrato nell'art. 38 Costituzione, e al dovere che spetta al legislatore predisporre gli strumenti idonei alla realizzazione ed attuazione di esso, affinche' la sua affermazione non si traduca in una mera previsione programmatica. Mutatis mutandis, la questione decisa con la sentenza sopra indicata appare, per molti versi, assimilabile a quella di cui all'odierno giudizio, in cui si controverte di provvidenze destinate a rendere effettiva l'attuazione dei principi che discendono dall'art. 21 della Costituzione in materia di liberta' della manifestazione del pensiero e di pluralita' dell'informazione, mediante un serio sostegno dell'Editoria, che tenga conto della circostanza che il beneficio giunge a spese gia' sostenute, per cui una determinazione rimessa all'arbitrio del legislatore, puo' di fatto condurre al tracollo soprattutto delle imprese editoriali minori, con conseguente concentrazione delle testate giornalistiche e grave pregiudizio per la liberta' e pluralita' dell'informazione. Ove, poi si consideri che il fabbisogno necessario per una contribuzione che copra il 50% delle spese ammissibili non raggiunge di solito neppure la soglia dei cento milioni di euro (nella specie, il fabbisogno era soltanto di circa 75 milioni di euro: v. affermazioni di parte attrice, non contestate), balza in evidenza come un contributo alle imprese editoriali, pari a quello «teorico», per l'anno cui si riferisce la presente vertenza, e cioe' il 2013, non sarebbe idoneo a determinare stravolgimenti al Bilancio complessivo dello Stato. 6.d.3) Con riferimento all'odierna questione, e in relazione alla sua ammissibilita' va, infine, considerato quanto segue. Per come gia' precisato, l'art. 2 del decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, legge 16 luglio 2012, n. 103, cosi' dispone(va) per il 2013: «1. I contributi di cui al presente decreto spettano nei limiti delle risorse stanziate sul pertinente capitolo del bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, salvo quanto disposto dal comma 4 del presente articolo. In caso di insufficienza delle risorse stanziate, agli aventi titolo spettano contributi ridotti mediante riparto proporzionale.». «2. A decorrere dai contributi relativi all'anno 2012, per le imprese di cui all'art. 3, commi 2, 2-bis, 2-ter e 2-quater, della legge 7 agosto 1990, n. 250, per le imprese di cui all'art. 153, commi 2 e 4, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, nonche' per le imprese di cui all'art. 20, comma 3-ter, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e successive modificazioni, il contributo, che non puo' comunque superare quello riferito all'anno 2010 (5) , e' cosi' calcolato: omissis». In effetti, quindi, la norma contiene, avuto riguardo alla disposizione applicabile nella presente vicenda, in se' un limite massimo per il contributo da erogare a ciascuna impresa editoriale, costituito dall'ammontare del contributo percepito per il 2010, il che non rendeva, di fatto, illimitata l'esposizione dello Stato riguardo ai contributi da erogare alle imprese editoriali. Da cio' consegue che, nel caso di declaratoria di illegittimita' costituzionale del primo comma dell'art. 2 sopra riportato l'unico limite al contributo permane quello del contributo riferito al 2010, sufficiente garanzia sia per le Finanze dello Stato, che cosi' non resta esposto in modo indeterminato, sia per le imprese editoriali, che potevano fare affidamento a una copertura di poco meno del 92% del contributo teorico, il tutto con la modesta aggiunta di poco piu' di trenta milioni di euro, rispetto agli stanziamenti disposti dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. Sotto tale profilo, l'abrogazione costituzionale delle frasi sopra riportate tra virgolette non pregiudica o rende impossibile l'applicazione delle disposizioni che residuerebbero dopo la declaratoria di eventuale illegittimita' da parte del giudice delle leggi, il che comporta l'ammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale. 7. In conclusione, il pregiudizio derivante dalle norme sopra indicate, nella parte in cui limitano (hanno limitato) per i contributi relativi al 2013 l'ammontare agli stanziamenti in bilancio, attribuendo al potere politico la determinazione concreta dell'ammontare complessivo del contributo destinato all'Editoria, appare idoneo a colpire la liberta' di informazione sancita dall'art. 21 della Costituzione, ed a violare, inoltre, anche quelli desumibili dagli articoli 97, 41, nonche' i diritti inviolabili, garantiti dall'art. 2 della Costituzione, con elusione anche del compito affidato alla Repubblica dal successivo art. 3 di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese», nonche' a violare il principio della tutela del legittimo affidamento dei destinatari dei benefici di cui trattasi nei confronti dello Stato. Non appare, quindi, manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, sollevata nell'odierno, nei termini sopra illustrati. (1) Il comma 4 si riferisce alle imprese editoriali di periodici. (2) L'inciso, riportato tra virgolette, «non puo' comunque superare quello riferito all'anno 2010», e' stato cosi', poi, sostituito dall'art. 3, comma 1, della legge 26 ottobre 2016, n. 198, e con decorrenza 2017: «non puo' superare il 50 per cento dell'ammontare complessivo dei proventi dell'impresa editoriale, riferiti alla testata per cui e' chiesto il contributo». (3) L'Avvocatura cosi' osserva, al riguardo, nella comparsa di costituzione: «... - sulla base delle risorse stanziate sul capitolo relativo ai contributi diretti ai giornali, risultate insufficienti alla liquidazione del contributo in misura piena, con decreto del 4 dicembre 2014 e pertinente ordinativo di pagamento in pari data (all. 7), e' stato liquidato all'impresa ricorrente, al pari di tutte le altre imprese aventi diritto, il contributo per l'annualita' 2013 nella misura percentuale pari al 23,710% del contributo astrattamente calcolato spettante all'impresa stessa; - a seguito della valutazione, di carattere squisitamente politico, effettuata dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, in ordine alla particolare ristrettezza, nell'esercizio 2014 (e pur considerando il trend negativo degli ultimi quattro anni) delle risorse risultate destinabili ai contributi diretti alla stampa nella ripartizione delle risorse del Fondo globale trasferite dal Ministero dell'economia (secondo il meccanismo spiegato piu' sopra) e' stata assunta la determinazione di integrare le predette risorse, attraverso una variazione nel bilancio generale della Presidenza del Consiglio dei ministri; - quindi, con decreto in data 15 dicembre 2014, a firma del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, e' stata disposta una variazione in aumento di euro 25.000.000 sul predetto capitolo di bilancio 466 denominato «Contributi alle imprese editoriali di quotidiani e periodici»; - con decreto in data 10 dicembre 2014, a firma del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega in materia di informazione, comunicazione ed editoria, e' stata, altresi', disposta una variazione compensativa in aumento di euro 600.000 sul medesimo capitolo di bilancio.» (4) L'inciso «che non puo' comunque superare quello riferito all'anno 2010», e' stato sostituito dall'art. 3, comma 1, della legge 26 ottobre 2016, n. 198, con il seguente «che non puo' superare il 50 per cento dell'ammontare complessivo dei proventi dell'impresa editoriale, riferiti alla testata per cui e' chiesto il contributo», ma la disposizione si applica a partire dal 2017. (5) Per come gia' precisato, l'inciso «che non puo' comunque superare quello riferito all'anno 2010», e' stato poi sostituito dall'art. 3, comma 1, della legge 26 ottobre 2016, n. 198, con il seguente «che non puo' superare il 50 per cento dell'ammontare complessivo dei proventi dell'impresa editoriale, riferiti alla testata per cui e' chiesto il contributo», ma la disposizione si applica a partire dal 2017, per cui non interferisce con la sollevando questione di legittimita' costituzionale.
P.Q.M. Visti gli articoli 134 della Costituzione; 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, 1) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, del decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63, convertito in legge, con modificazioni, dall' art. 1, comma 1, legge 16 luglio 2012, n. 103, dell'art. 44, comma 1, decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, limitatamente alle parole «e tenuto conto delle somme complessivamente stanziate nel bilancio dello Stato per il settore dell'editoria, che costituiscono limite massimo di spesa», nonche' dell'art. 2, comma 62, della legge 23 dicembre 2009 (finanziaria 2010), in relazione agli articoli 2, 3, 21, 41 e 97 Costituzione, ed al principio della tutela dell'affidamento negli atti dello Stato, nei termini e per le ragioni di cui in motivazione; 2) sospende il procedimento in corso; 3) dispone la notificazione della presente ordinanza alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e la comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato; 4) ordina la trasmissione dell'ordinanza alla Corte costituzionale insieme con gli atti del giudizio e con la prova delle notificazioni e delle comunicazioni prescritte. Catania, 7 giugno 2017 Il Giudice: Di Gesu