N. 149 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 giugno 2017

Ordinanza del 7 giugno 2017 del Tribunale di Catania nel procedimento
civile promosso da Ediservice S.r.l. contro Presidenza del  Consiglio
dei ministri, Editoriale La  Voce  societa'  cooperativa  e  F.I.L.E.
Federazione italiana liberi editori. 
 
Stampa - Contributi a sostegno dell'editoria - Criteri di  calcolo  e
  di liquidazione - Attribuzione nei limiti delle  risorse  stanziate
  sul pertinente capitolo del bilancio della Presidenza del Consiglio
  dei ministri. 
- Decreto-legge 18  maggio  2012,  n.  63  (Disposizioni  urgenti  in
  materia di riordino dei contributi alle imprese  editrici,  nonche'
  di vendita della stampa quotidiana e  periodica  e  di  pubblicita'
  istituzionale),  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge  16
  luglio 2012, n. 103, art. 2, comma 1; decreto-legge 25 giugno 2008,
  n.  112  (Disposizioni  urgenti  per  lo  sviluppo  economico,   la
  semplificazione,  la  competitivita',  la   stabilizzazione   della
  finanza pubblica e la  perequazione  tributaria),  convertito,  con
  modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 44, comma 1;
  legge 23 dicembre 2009 [, n. 191] ("Disposizioni per la  formazione
  del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  finanziaria
  2010)"), art. 2, comma 62. 
(GU n.43 del 31-10-2018 )
 
                        TRIBUNALE DI CATANIA 
                        Prima Sezione civile 
 
    Il giudice dott.ssa Viviana Di Gesu, a scioglimento della riserva
assunta all'udienza dell'11 aprile 2017, nel giudizio civile iscritto
al n. 5066/2016 R.G., promosso da: 
        Ediservice  s.r.l.,  rappresentata  e  difesa  unitamente   e
disgiuntamente dagli avvocati Andrea Scuderi ed Elena Leone del  Foro
di Catania, giusta procura  in  calce  all'atto  introduttivo,  parte
attrice; 
    Contro Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresenta  e
difesa ope legis dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania,
parte convenuta; 
    e nei confronti di: 
        Editoriale La Voce Societa' Cooperativa, 
        F.I.L.E. Federazione Italiana Liberi Editori, 
controinteressati contumaci; 
    ha  emesso  la  seguente  ordinanza  di  remissione  alla   Corte
costituzionale. 
 
                         In fatto e diritto 
 
    1. Con atto di citazione in riassunzione, ex art. 59 della  legge
n. 62/2009 ed ex art. 11 del decreto legislativo n. 104/2010  del  16
marzo 2016, a seguito della sentenza 22  ottobre  2015,  n.  2447  di
declaratoria  di  difetto  di  giurisdizione  emessa  dal   Tribunale
amministrativo regionale Sicilia - Sezione staccata di Catania -  per
la ritenuta  sussistenza  di  una  posizione  di  diritto  soggettivo
riguardo alla pretesa fatta valere nel  giudizio  amministrativo,  la
societa'  a  r.l.  Ediservice  ha  chiesto  -   previa,   occorrendo,
rimessione alla Corte costituzionale della questione di  legittimita'
costituzionale di taluni articoli della legge 23  dicembre  2009,  n.
191, del  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  25
novembre 2010, n. 223, del  decreto-legge  18  maggio  2012,  n.  63,
convertito  con  modificazioni   dalla   legge   n.   103/2012,   del
decreto-legge 18 maggio 2012, n.  63,  convertito  con  modificazioni
dalla legge n. 103/2012, per contrasto con gli articoli 1, 2, 3,  21,
41 e 97  della  Costituzione  e  coi  principi  anche  comunitari  di
eguaglianza, ragionevolezza, legittimo affidamento, buon andamento ed
imparzialita' dell'azione  amministrativa,  certezza  del  diritto  e
legalita' -: a). l'accertamento e la declaratoria del diritto di essa
societa' a percepire il contributo diretto  all'editoria  per  l'anno
2013 nella misura integrale, pari ad € 1.294.113,62, spettante  sulla
base dei costi ammissibili, senza alcuna  riduzione  percentuale  e/o
riparto proporzionale, o in quella maggiore o minore  somma  ritenuta
di giustizia, con disapplicazione dei decreti, con cui la  Presidenza
del  Consiglio  dei  ministri  -Dipartimento  per  l'informazione   e
l'editoria - aveva ridotto il contributo ad essa societa'  spettante,
ai sensi dell'art. 3, comma  2-bis,  della  legge  n.  250/1990,  per
l'anno 2013, per la testata «Quotidiano di Sicilia»,  fissandolo  nel
minore importo di € 734.461,24 (di cui  €  29.378,45  quale  ritenuta
IRPEG  non  liquidata  alla   societa'   editoriale),   nonche'   dei
presupposti provvedimenti del Presidente del Consiglio  dei  ministri
del 27 dicembre 2013 con cui era stato approvato il bilancio autonomo
del Consiglio di Presidenza per l'esercizio finanziario  2014,  nella
parte in cui era stato fissato il  complessivo  stanziamento,  e  dei
decreti del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio di
Ministri del 10 e 15 dicembre 2014, coi  quali  sono  stati  disposte
variazioni in aumento, nella parte in cui non  hanno  parametrato  le
somme complessivamente stanziate all'effettivo fabbisogno complessivo
risultante; b). per  l'effetto,  la  condanna  della  Presidenza  del
Consiglio dei ministri - Dipartimento per l'informazione e l'editoria
-  a  corrispondere  alla  societa'  Ediservice  l'importo  di   euro
559.652,38, pari alla differenza tra l'importo del contributo diretto
all'editoria per l'anno 2013 nella misura integrale indicata sub a) e
l'importo  effettivamente  erogato  di  €  734.461,24,  o  di  quella
maggiore o minore somma, ritenuta di  giustizia,  oltre  interessi  e
rivalutazione dalla data dell'erogazione  del  contributo  in  misura
ridotta  all'effettivo  soddisfo;  c).   la   disapplicazione   anche
d'ufficio, ai sensi  dell'art.  4  del  regio  decreto  n.  2248/1965
(rectius:  n.  2248/1865  all.  E),  di  ogni  eventuale   atto   e\o
provvedimento amministrativo illegittimo; d).  Spese  e  compensi  di
lite. 
2. Difese della societa' attrice. 
    a). A sostegno della pretesa, la  societa'  -  riportando  quanto
gia' dedotto avanti al giudice amministrativo - ha precisato di avere
presentato nel mese di gennaio  2014,  domanda  di  ammissione  della
testata «Quotidiano di Sicilia» ai  contributi  diretti  di  sostegno
all'editoria  per  l'anno  2013,  stanziati  dalla   Presidenza   del
Consiglio dei ministri ai sensi dell'art. 3 comma 2-bis  della  legge
n. 250/1990, allegando i documenti di rito e, tra questi,  l'apposita
certificazione dei costi sostenuti nel detto anno per  la  produzione
della testata in formato cartaceo e digitale, dalla  quale  risultava
un contributo per l'anno 2013 di 1.294.113,62, pari al 50% dei  costi
ammissibili. 
    L'Amministrazione  ha  riconosciuto  l'esattezza  del  contributo
indicato, ma erogava, con bonifico bancario del 22 dicembre 2014,  la
minore somma di € 734.461,24 (di cui 29.378,45  euro  quale  ritenuta
IRPEG  non  liquidata),  pari  alla  percentuale  del   56,754%   del
contributo «teorico» dovuto. 
    L'importo scaturiva dal riparto proporzionale tra  i  richiedenti
aventi titolo, secondo il  criterio  normativo  sancito  dall'art.  2
(comma 1) del decreto-legge n.  63/2012,  della  minore  somma  di  €
43.050.841,24, che era stata  stanziata  per  il  2013  nell'apposito
capitolo del bilancio autonomo della  Presidenza  del  Consiglio  con
diversi provvedimenti amministrativi - dei quali in  questa  sede  si
chiedeva la disapplicazione -a fronte di un fabbisogno effettivo di €
73.598.534,14. 
    La  societa'  lamentava  che   il   contributo   complessivamente
stanziato, e - per quel che qui interessa - di  quello  erogato  alla
Ediservice, non appariva idoneo ad assolvere pienamente  la  funzione
di concreto sostegno degli editori,  perseguita  dalla  legge  con  i
contributi in parola, con conseguente  gravissimo  danno  all'impresa
editoriale ricorrente, sia sotto il profilo economico e  finanziario,
incidendo nei rapporti con le banche ed i fornitori che all'immagine,
atteso che ci si riferiva a costi gia' da oltre un anno sostenuti. 
    b). Parte attrice, riportando le difese svolte nel ricorso avanti
al giudice amministrativo, ha eccepito: a. Violazione degli  articoli
1, 2, 3, 41 e 97, nonche' dell'art. 21 della  Costituzione,  posti  a
garanzia della liberta'  di  stampa,  del  pluralismo  democratico  e
dell'uguaglianza sostanziale, nonche' dei criteri di  buon  andamento
ed imparzialita' e delle regole di buona fede, correttezza,  certezza
dell'azione amministrativa e legittimo affidamento; b. Violazione dei
principi comunitari  di  legittimo  affidamento  e  proporzionalita',
degli articoli 41 della Carta dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea, 1 del Protocollo l della  Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo, 3 e 3 della legge n. 241/90  e  successive  modifiche;  c.
Eccesso di potere per difetto  di  motivazione,  di  presupposti,  di
istruttoria e per  travisamento  dei  fatti;  d.  Contraddittorieta',
illogicita'  ed  ingiustizia  manifesta,   cosi'   deducendo,   nello
specifico, in fatto e in diritto: 
        «Il ricorso ha ad oggetto la  contestazione  dell'illegittima
riduzione  per  l'anno  2013,  dell'importo  del  contributo  diretto
assegnato alla  societa'  editoriale  ricorrente  rispetto  a  quello
dovuto, e del  presupposto  insufficiente  stanziamento  complessivo,
iscritto  nel  pertinente  capitolo  del  bilancio   autonomo   della
Presidenza del Consiglio dei ministri. 
    «Le risorse a sostegno dell'editoria  complessivamente  stanziate
per l'anno 2013 invero, sono pari ad un quarto di quelle  distribuite
per l'anno precedente. 
    «Orbene, la  disciplina  relativa  al  sostegno  all'editoria  ha
assunto ed  assume  un  ruolo  fondamentale  per  il  nostro  sistema
democratico, quale espressa garanzia del  pluralismo  e  del  diritto
alla qualita' dell'informazione, riconosciuto tra  l'altro  dall'art.
21 della nostra Costituzione. 
    «Il principio ispiratore che ha caratterizzato i fondi a tal fine
destinati, approntati per la prima volta nel  1981  e  riformati  nel
1990, e' stato da un lato quello  di  sostenere  ed  incoraggiare  la
democrazia  informativa  e  dall'altro   di   fornire   un   supporto
all'editoria piu' serio (e percio'  poco  attraente  per  il  mercato
pubblicitario fortemente sbilanciato in favore delle reti  televisive
e delle strutture editoriali piu' rilevanti, spesso  controllate  dai
gruppi imprenditoriali e centri di interesse economico). 
    «Le finalita' delle disposizioni costituzionali e normative poste
a  garanzia  e  tutela  della  liberta'  di  stampa  e  del  sostegno
all'editoria,  pertanto,  alla  luce  dei   provvedimenti   impugnati
rimangono frustrate e sostanzialmente inattuate, per  effetto  di  un
indiscriminato e lineare taglio di risorse. 
    «Poste tali brevi premesse,  e'  utile  illustrare  le  modalita'
dell'intervento statale diretto, di cui si giova l'impresa editoriale
ricorrente sin da quando e' stato diffuso come quotidiano. 
    «L'intervento dello Stato nel settore  dell'editoria  si  esplica
invero, in misure di sostegno economico di tipo diretto o indiretto. 
    «In  particolare,  gli   aiuti   economici   diretti   consistono
nell'erogazione, alle imprese editoriali che presentino  i  requisiti
richiesti, di un contributo calcolato in  ragione  dei  parametri  di
volta in volta indicati (vendite, distribuzione,  tiratura,  costi  o
altro), mentre  gli  aiuti  economici  indiretti  sono  costituti  da
riduzioni tariffarie, agevolazioni fiscali e credito agevolato. 
    «La  prima  disciplina  organica  degli  interventi  a   sostegno
dell'editoria  e'  stata  dettata   con   la   legge   n.   416/1981,
successivamente modificata ed integrata da numerosi interventi -tra i
quali, principalmente, le leggi numeri 67/1987, 250/1990 e 62/2001  -
che hanno dato luogo a un sistema normativo frammentario. 
    «A causa di cio', negli anni piu' recenti - pur  in  presenza  di
nuove norme dirette a singole situazioni - sono stati compiuti alcuni
tentativi di razionalizzazione. 
    «In particolare, in attuazione dell'art. 44 del decreto-legge  n.
112/2008, e' stato emanato il decreto del Presidente della Repubblica
n. 223/2010, che ha disposto la semplificazione della  documentazione
per accedere ai contributi e del  procedimento  di  erogazione  degli
stessi, ha incluso fra i requisiti per l'accesso  ai  contributi  una
percentuale minima di copie vendute rispetto a quelle distribuite  ed
ha  previsto  nuove  modalita'  di  calcolo  dei  contributi  diretti
riferite all'effettiva distribuzione della  testata  (invece  che  al
previa criterio della tiratura). 
    «Con riferimento all'occupazione professionale, essa  rileva  nel
regolamento sia come requisito per l'accesso ai contributi, che  come
parametro ai fini del calcolo degli stessi. 
    «Il decreto del Presidente della Repubblica n. 223/2010  inoltre,
ha stabilito che le somme stanziate  nel  bilancio  dello  Stato  per
l'editoria costituiscono limite massimo di  spesa  e  sono  destinate
prioritariamente  ai  contributi  diretti   e   che,   in   caso   di
insufficienza delle  risorse,  i  contributi  sono  erogati  mediante
riparto proporzionale tra gli aventi diritto (ai sensi di quanto gia'
disposto dalla legge n. 191/2009). 
    «L'art. 2, comma 62, della legge n. 191/2009,  finanziaria  2010,
ha  infatti  limitato  l'erogazione  delle  provvidenze   in   favore
dell'editoria,  all'effettivo  stanziamento  iscritto  nel   bilancio
autonomo della Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  -  capitoli
465-Contributi alle imprese radiofoniche ed alle imprese televisive e
466-Contributi alle imprese editoriali di quotidiani e  periodici  -,
procedendo,  ove  necessario,  al  riparto  in  quote   proporzionali
all'ammontare del contributo spettante a ciascuna impresa. 
    «La disciplina transitoria, nelle more della ridefinizione  delle
forme di  sostegno  al  settore  editoriale,  e'  stata  dettata  dal
decreto-legge n. 63/2012 convertito nella legge n. 103/2012 con  cui,
per i contributi relativi all'anno 2012, o in alcuni  casi  2013,  si
prevede la rideterminazione dei requisiti di accesso  (articoli  1  e
1-bis); dei criteri di calcolo con  connessa  limitazione  dei  costi
ammissibili  (articoli  2  e  1-bis);  si   introduce   il   sostegno
all'editoria digitale e semplificazioni per periodici web di  piccole
dimensioni (articoli  3  e  3-bis)  nonche'  la  modernizzazione  del
sistema di distribuzione e vendita (art. 4). 
    «La legge n. 103/2012 in particolare, rivoluzionando i criteri di
calcolo delle spese, ha ulteriormente abbassato l'importo  di  quelle
ammissibili con decorrenza retroattiva dal 1° gennaio 2012. 
    «I nuovi requisiti di accesso ai contributi,  pertanto  per  quel
che qui interessa, sono in breve, i seguenti: certificazione dei dati
relativi a tiratura,  distribuzione  e  vendita  (che  devono  essere
comprovati da  certificazione  analitica  resa  da  una  societa'  di
revisione iscritta nell'apposito albo tenuto dalla  Consob);  divieto
di distribuzione degli utili; percentuali minime di vendita (pari per
le testate locali al 35% delle copie distribuite); numero  minimo  di
dipendenti (pari a cinque per le imprese  editoriali  di  quotidiani,
con prevalenza di giornalisti); eliminazione dei limiti alle  entrate
pubblicitarie. 
    «L'art. 2 del decreto-legge n. 63/2012 introduce i nuovi  criteri
di calcolo e liquidazione dei contributi prevedendo  in  particolare,
al settimo comma, che il termine per la conclusione del  procedimento
relativo all'erogazione dei contributi diretti alla stampa, scade  il
31  marzo  dell'anno  successivo  a  quello  di  presentazione  delle
relative domande. 
    «La previsione di un cosi' lungo lasso di tempo tra  la  data  di
presentazione delle domande di accesso ai contributi e l'esito  delle
stesse, rende pero' difficile per le imprese editoriali,  l'attivita'
di programmazione finanziaria e di pianificazione delle spese  e  dei
costi sostenibili e da sostenersi nell'anno di riferimento, in quanto
la liquidazione del contributo diretto,  e'  procrastinata  di  oltre
dodici  mesi  rispetto  all'epoca  in  cui  le  spese  ed   i   costi
rimborsabili sono stati sostenuti. 
    «Il contributo ai sensi dell'art. 2, comma 2 del decreto-legge n.
63/2012, e' calcolato come somma di "... a) una quota fino al 50  per
cento esclusivamente dei costi sostenuti per il personale dipendente,
calcolati in un importo massimo di 120.000 euro  annui  e  di  50.000
euro  annui,  rispettivamente  per  ogni  giornalista  e   per   ogni
poligrafico assunti con contratto di lavoro  a  tempo  indeterminato,
per l'acquisto della carta, per la stampa,  per  gli  abbonamenti  ai
notiziari  delle  agenzie  di  stampa  e  per  la  distribuzione  ...
l'importo  complessivo  di  tale  quota  non  puo'  comunque   essere
superiore a 2.500.000 euro per i quotidiani  nazionali,  a  1.500.000
euro per i quotidiani locali e per le imprese editoriali di  giornali
quotidiani di cui all'art. 3, comma 2-ter, della legge 7 agosto 1990,
n. 250, ed a 300.000 euro per i periodici ... b)  una  quota  fino  a
0,25 euro per ogni copia venduta per i quotidiani nazionali,  a  0,20
euro per i quotidiani locali e a 0,40  euro  per  i  periodici.  Tale
quota non puo' comunque  essere  superiore  all'effettivo  prezzo  di
vendita di ciascuna copia. L'importo complessivo  di  tale  quota  di
contributo non puo' comunque essere superiore a 3.500.000 euro per  i
quotidiani e a 200.000 euro per i periodici ...». 
    «Al comma 3 della medesima disposizione si  prevede  inoltre  che
"... per copie vendute si intendono quelle cedute  a  titolo  oneroso
presso le edicole o punti di vendita  non  esclusivi,  o  spedite  in
abbonamento a titolo  oneroso,  purche'  considerate  ammissibili  in
conformita' ai criteri specificati all'art. 1, comma 3 .... 
    «Quanto all'editoria digitale,  l'art.  3  del  decreto-legge  n.
63/2012 introduce alcune disposizioni volte a favorire  il  passaggio
all'editoria digitale, stabilendo  che  le  imprese  editoriali  gia'
destinatarie dei contributi per  l'anno  2011  possono  continuare  a
percepire i contributi qualora la testata sia pubblicata,  anche  non
unicamente, in formato digitale. 
    «La misura del contributo per la pubblicazione della  testata  in
formato  digitale  ai  sensi  del  terzo  comma   dell'art.   3   del
decreto-legge n. 63/2012 -  fermo  restando  il  rispetto  dei  tetti
massimi previsti dall'art. 2 del  medesimo  decreto  -  e'  suddivisa
"...in una quota pari (per  i  primi  due  anni)  al  70%  dei  costi
sostenuti e una quota calcolata sulla base  di  0,10  euro  per  ogni
copia digitale, ove venduta in abbonamento ..."; prevedendosi inoltre
che "... tale quota non puo' comunque essere superiore  all'effettivo
prezzo di vendita di ciascuna copia digitale ..." ed infine, che "...
nel caso di pubblicazione non esclusivamente in formato  digitale,  i
costi di produzione della edizione  cartacea,  calcolati  secondo  le
disposizioni  dell'art.  2,  concorrono  con  quelli  relativi   alla
edizione in formato digitale, nei limiti dell'importo complessivo  di
cui all'art. 2, comma 2, lettera a) ..."». 
    Fatta questa ricostruzione della normativa,  che  questo  Giudice
condivide,   parte   attrice   ha   sottolineato   in   primo   luogo
l'insufficienza dello stanziamento, in  quanto  ben  lontano  -  «dal
garantire la copertura del fabbisogno effettivo, gia' noto, all'epoca
dell'adozione dei provvedimenti di stanziamento», con cio' eludendosi
nella sostanza «le norme contenute nella  legge  n.  416/81  e  nelle
successive disposizioni normative», dalle quali si evinceva -  a  suo
dire  -  l'obbligo  dell'Amministrazione  di  stanziare  gli  importi
occorrenti per garantire le finalita' previste dalla  legge,  laddove
la stessa avrebbe operato una  scelta  irragionevole,  che  andava  a
incidere  «pesantemente  sull'andamento  finanziario  e   sui   costi
aziendali assunti dall'impresa editoriale». 
    E infatti - deduce la societa' - mentre essa nutriva -  a  fronte
di  «costi  afferenti  alla  testata   in   edizione   cartacea   per
1.573.770,40 euro e per l'edizione digitale per 176.379,00 euro» - la
legittima aspettativa «ad un contributo di 910.350,50 euro, oltre  ad
383,492,92 euro quale quota parte del contributo legato alle vendite,
per un totale  di  1.294.113,62  euro»,  le  e'  stato  liquidato  un
contributo di «€ 734.461,24 (  pari  cioe'  al  56,754  %  di  quello
liquidabile), cio' che ha comportato gravissime conseguenze sotto  il
profilo   dell'esposizione   bancaria   dell'editore,   avendo   reso
impossibile l'ordinaria pianificazione finanziaria  ed  economica  ed
infine, il pareggio di bilancio.». 
    Prosegue,   poi,   rilevando   che   «la    drastica    riduzione
arbitrariamente  decisa  per   l'anno   2013   risultava,   pertanto,
doppiamente pregiudizievole ed  ormai  intollerabile,  in  quanto  la
ricorrente non poteva in alcun modo prevedere una decurtazione  -  in
proporzione - in misura cosi'  importante  del  contributo  assegnato
negli  anni  precedenti,  laddove,   al   contrario,   essa   contava
legittimamente di avere riconosciuto il contributo  per  l'anno  2013
quanto meno nella medesima misura liquidata per gli anni  precedenti,
avendo mediamente percepito, nel decennio precedente oltre il 92% del
contributo derivante dalle contabilita' presentate a  supporto  delle
domande.» ... «E trattandosi, tra l'altro, di costi gia' sostenuti  e
non programmati  per  il  futuro,...  l'illegittima  riduzione  della
percentuale  del  contributo  erogato,  era   andata   ad   aggravare
notevolmente la situazione di pregiudizio,  concretando  una  perdita
che e' oggi esposta in bilancio e si ripercuote nei rapporti  con  le
banche ed i fornitori.». 
    La societa', in sostanza, quindi, lamenta  una  grave  violazione
del principio  dell'affidamento,  ingenerato  dalla  circostanza  che
negli anni passati il contributo erogato raggiungeva ben  il  92%  di
quello ammissibile, cosi', infine, osservando: 
        «Costituisce invero un  principio  fondamentale  del  diritto
nazionale  e  comunitario,  quello   della   tutela   del   legittimo
affidamento. 
    Il  principio,  posto  a  presidio  della   certezza   giuridica,
allorquando un  intervento  pubblico  pregiudica  una  situazione  di
vantaggio sulla quale il privato aveva in buona fede posto  legittimo
affidamento, assicura allo stesso una doverosa tutela. 
    I  principi  di  legalita',  di  certezza  del   diritto   e   di
uguaglianza,  trovano  infatti  espresso  fondamento   nella   nostra
Costituzione, tra l'altro nell'art. 1,  secondo  cui  "la  sovranita'
appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti  della
Costituzione"; nell'art. 2, che impone alla Repubblica di riconoscere
e garantire "i  diritti  inviolabili  dell'uomo";  nell'art.  3,  che
sancisce che "tutti i cittadini hanno pari dignita'  sociale  e  sono
eguali  davanti  alla  legge",  essendo  "compito  della   Repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico  e  sociale"  che  possono
limitare di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini. 
    Il principio di legittimo affidamento e' vieppiu' sorretto da una
tutela costituzionale riconducibile all'art. 41  della  Costituzione,
allorquando il soggetto titolare aspiri ad un posto di lavoro  oppure
come nel caso  di  specie,  intraprenda  un'attivita'  economica  che
comporti oneri per investimenti, per l'esplicita connessione  con  la
liberta' dell'iniziativa economica privata; dovendosi in tal caso "..
garantire, come e' ormai jus receptum, non solo nel momento iniziale,
ma anche durante il  suo  dinamico  sviluppo,  al  quale  appunto  si
ricollega il ricordato principio...» (Sentenza n. 155 del 1990, punto
6 del Considerato in diritto). 
    Il rispetto del  legittimo  principio  di  affidamento  comporta,
pertanto,  in  questo   caso,   l'aspettativa   che   i   cambiamenti
sopravvenuti non finiscano per frustrare  in  maniera  irrazionale  e
sproporzionata, rendendole inutili le iniziative gia' assunte  e  gli
oneri sostenuti, cosi' vanificando l'intrapresa attivita' economica. 
    Di cio' e' espressione anche l'art. 97,  che  assicura  «il  buon
andamento  e  l'imparzialita'  dell'amministrazione«»,  ponendosi   a
fondamento  dei  criteri  di  ragionevolezza  e  proporzionalita'   e
dell'esigenza di tutela del singolo. 
    La legge n. 15 del 2005,  ha  peraltro,  disciplinando  le  norme
fondamentali sul  procedimento  amministrativo,  integrato  l'art.  1
della legge n. 241/1990, prevedendo  che  l'attivita'  amministrativa
debba osservare anche «i principi dell'ordinamento comunitario» tra i
quali principi, secondo la giurisprudenza della Corte  di  giustizia,
e' compreso quello del legittimo affidamento (che cosi' si collega ed
entra a pieno titolo a far parte dell'ordinamento positivo). 
    Il  principio  del  legittimo  affidamento  incontra  invero  nel
diritto europeo  particolare  attenzione  e  dunque  attraverso  tale
ordinamento e la sua capacita' di penetrazione in  quello  domestico,
e' divenuto un formante dei procedimenti amministrativi nazionali. 
    La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea o Carta  di
Nizza,   all'art.   41   -   intitolato   «Diritto   ad   una   buona
amministrazione», stabilisce invero che «...  1.  Ogni  individuo  ha
diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate  in  modo
imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni  e
dagli organi dell'Unione. 2. Tale diritto comprende  in  particolare:
il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che  nei  suoi
confronti venga adottato un provvedimento individuale che  gli  rechi
pregiudizio, il diritto di ogni individuo di  accedere  al  fascicolo
che  lo  riguarda,  nel  rispetto  dei  legittimi   interessi   della
riservatezza   e   del   segreto   professionale,    l'obbligo    per
l'amministrazione di motivare le proprie decisioni. 3. Ogni individuo
ha diritto  al  risarcimento  da  parte  della  Comunita'  dei  danni
cagionati dalle sue istituzioni  o  dai  suoi  agenti  nell'esercizio
delle loro funzioni conformemente ai principi  generali  comuni  agli
ordinamenti degli Stati membri. 4.  Ogni  individuo  puo'  rivolgersi
alle istituzioni dell'Unione in una delle lingue del trattato e  deve
ricevere una risposta nella stessa lingua ...». 
    «La Carta di Nizza invero - ai sensi  dell'art.  6  del  Trattato
dell'Unione nel testo introdotto a Lisbona  -  ha,  per  tutti  "...i
diritti, le liberta' ed i principi in essa sanciti... », il  medesimo
valore giuridico dei Trattati. 
    La Corte Giustizia, sul punto, con la decisione  numero  C-545/11
del 14 marzo 2013 ha affermato che «...  secondo  una  giurisprudenza
consolidata della Corte, il  principio  della  tutela  del  legittimo
affidamento rientra  fra  i  principi  fondamentali  dell'Unione  (v.
sentenze del 5 maggio 1981, Dürbeck, 112/80, Racc. pag.  1095,  punto
48; del 24 marzo 2011, ISD Polska e a./Commissione, C-369/09 P, Racc.
pag.   I-2011,   punto   122,   nonche'   del   26    giugno    2012,
Polonia/Commissione,  C-335/09  P,  non   ancora   pubblicata   nella
Raccolta, punto 180). Il diritto di avvalersi del suddetto  principio
si estende ad ogni soggetto nel quale un'istituzione  dell'Unione  ha
fatto sorgere fondate speranze [v., in tal  senso,  sentenze  dell'11
marzo 1987, Van den  Bergh  en  Jurgens  e  Van  Dijk  Food  Products
(Lopik)/CEE, 265/85, Racc.  pag.  I-1155,  punto  44;  ISD  Polska  e
a./Commissione, cit., punto 123, nonche' del 22 settembre 2011,  Bell
& Ross/UAMI, C-426/10 P, punto 56] ...». 
    Facendo seguito alle decisioni delle istituzioni  europee,  anche
la   giurisprudenza   amministrativa   afferma    il    dovere    per
l'amministrazione di agire secondo buona fede, ritenendo che «... nel
rispetto  dei  principi  fondamentali  fissati  dall'art.  97   della
Costituzione, l'amministrazione e' tenuta ad improntare la sua azione
non solo agli specifici principi di legalita', imparzialita'  e  buon
andamento, ma anche al principio generale  di  comportamento  secondo
buona fede, cui corrisponde  l'onere  di  sopportare  le  conseguenze
sfavorevoli  del  proprio  comportamento  che  abbia  ingenerato  nel
cittadino incolpevole un legittimo  affidamento  ...»  (Consiglio  di
Stato, Sezione IV, sentenza n. 3536/2008). 
    Ed inoltre, piu' recentemente, che «... il dovere della  p.a.  di
operare in modo chiaro  e  lineare  e  di  rispettare  le  situazione
consolidate   di   legittimo   affidamento   costituisce    principio
dell'azione  amministrativa  le  cui  radici  si  fanno  sempre  piu'
robuste. Nel diritto pubblico, la teorizzazione dei limiti del potere
amministrativo in funzione protettiva dell'affidamento del  cittadino
e'  storicamente  comparso  quale  fattore   di   bilanciamento   tra
l'intensita' dell'interesse pubblico e quello dell'interesse  privato
meritevole di considerazione per il fatto di trarre scaturigine da un
precedente atto dell'amministrazione. Se, in principio, la  rilevanza
attribuita   all'interesse   del   destinatario   del   provvedimento
favorevole e' inizialmente discesa dalla configurazione del potere di
autotutela come potere di amministrazione attiva in  cui  l'interesse
del cittadino riceve una tutela "oggettiva" risultante  dal  corretto
uso del potere discrezionale, i piu' recenti approdi dimostrano  come
la tutela pubblicistica dell'affidamento ben possa realizzarsi  quale
posizione soggettiva autonoma dotata di diretta protezione  da  parte
dell'ordinamento (e, dunque, anche al di fuori della valutazione  che
si compie in ordine agli atti di ritiro). L'affidamento  suscettibile
di applicazione anche nel diritto  pubblico,  a  questa  stregua,  si
collega direttamente all'obbligo di buona fede oggettiva quale regola
di condotta che (per quanto  riconosciuta  espressamente  nelle  sole
disposizioni    del    codice    civile)    conforma     l'assiologia
dell'ordinamento   generale,   venendo   cosi'   a   coincidere   con
l'aspettativa  di  coerenza  dell'amministrazione  con   il   proprio
precedente comportamento, la quale diviene fonte di un vero e proprio
obbligo, per  quest'ultima,  di  tenere  in  adeguata  considerazione
l'interesse dell'amministrato, la cui protezione non si presenta piu'
come il prodotto, accessorio, della cura dell'interesse pubblico,  ma
come l'oggetto di  un'autonoma  pretesa,  contrapposta  all'interesse
dell'amministrazione. Il risultato e' che la verifica giurisdizionale
dell'osservanza del principio di buona fede non coincide  con  quella
svolta in termini di eccesso di potere (ovvero secondo  il  paradigma
della logicita' e ragionevolezza) bensi'  attiene  all'osservanza  di
una norma (quella  di  buona  fede  e  correttezza)  che  si  rivolge
all'amministrazione nella relazione con il cittadino.  L'impostazione
di ricondurre  la  buona  fede  tra  gli  obblighi  di  comportamento
dell'amministrazione  esigibili  dal  privato,  del  resto,  ben   si
raccorda   con    le    istituzioni    giuridiche    dell'ordinamento
sovranazionale in cui risulta oramai costituzionalizzato il  "diritto
alla buona amministrazione" tra i  diritti  connessi  alla  posizione
fondamentale  di  cittadinanza  (art.  41  della  Carta  europea  dei
diritti; art. II-101 del Trattato per la  Costituzione  europea),  il
cui pregnante contenuto valoriale riveste una  indubbia  funzione  di
integrazione e interpretazione  delle  norme  vigenti,  imponendo  di
prendere in rinnovata considerazione la formulazione delle regole che
presiedono all'esercizio del potere ...»  (T.A.R.  Lombardia  Milano,
Sezione I, 31 gennaio 2013, n. 291). 
    Posti tali chiari principi, risulta evidente  come  nella  specie
l'amministrazione  abbia  deliberatamente  violato   le   regole   di
certezza,   legalita'   e   il   legittimo   affidamento   ingenerato
nell'impresa ricorrente. 
    Al contrario, viene a tale riguardo sottolineata la necessita  di
evitare «...che una  generalizzata  esigenza  di  contenimento  della
finanza  pubblica  possa  risultare,  sempre  e  comunque,  e   quasi
pregiudizialmente, legittimata a  determinare  la  compromissione  di
diritti maturati o la lesione di consolidate sfere di interessi,  sia
individuali, sia anche collettivi...» (cfr. n. 5 del  Considerato  in
diritto della decisione della Corte costituzionale  n.  92/2013;  che
richiama la decisione n. 166/2012). 
    «Sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che "...
l'interpretazione del diritto comunitario  adottata  dalla  Corte  di
giustizia ha efficacia ultra  partes,  sicche'  alle  sentenze  dalla
stessa rese, sia pregiudiziali e sia emesse in sede di verifica della
validita' di una disposizione, va attribuito il valore  di  ulteriore
fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex  novo
norme comunitarie, bensi' in quanto ne indicano il significato  ed  i
limiti di applicazione, con efficacia erga  omnes  nell'ambito  della
Comunita';  data  la  premessa  la  conseguenza  e'  che  il  giudice
nazionale deve disapplicare la norma  dell'ordinamento  interno,  per
incompatibilita' con il diritto comunitario, sia nel caso in  cui  il
conflitto insorga con una disciplina prodotta dagli organi della  CEE
mediante  regolamento,  sia  nel  caso  in  cui  il   contrasto   sia
determinato da regole generali dell'ordinamento comunitario, ricavate
in sede di interpretazione dell'ordinamento  stesso  da  parte  della
Corte  di  giustizia  delle  Comunita'  europee,  nell'esercizio  dei
compiti ad essa attribuiti dagli articoli 169 e 177 del Trattato  del
25 marzo 1957, reso esecutivo con legge 14 ottobre 1957, n. 1203 ...»
(Consiglio di Stato, Sezione IV, 4 marzo 2014, n. 1020). 
    Essendo pacifico  che  «...  e'  compito  del  giudice  nazionale
assicurare   la   "piena   efficacia"   del   diritto    dell'Unione;
conseguentemente  la  norma  nazionale,  in  quanto  contraria   alla
normativa dettata dalla Direttiva comunitaria,seppur non caducata, va
disapplicata dal giudice nazionale che "pertanto sotto  tale  aspetto
e' attratto nel  plesso  normativo  comunitario...  "  (Consiglio  di
giustizia amministrativa 26 agosto 2013, n. 722). 
    La giurisprudenza della Corte europea  dei  diritti  fondamentali
peraltro, sotto altro profilo, ha esteso progressivamente  il  novero
delle situazioni patrimoniali che rientrano nel campo di applicazione
dell'art. 1 Protocollo 1 della Convenzione fino a considerare oggetto
della  norma  anche  interessi  patrimoniali  e  diritti  immateriali
(quindi  i   diritti   di   credito,   l'avviamento   commerciale   e
professionale). 
    Orbene la  Corte,  nell'applicare  la  norma  sull'uso  dei  beni
patrimoniali, vi ha individuato una regola autonoma rispetto a quanto
indicato  nel  primo  paragrafo,  ampliandone  la   portata   ed   il
significato. 
    In particolare, ed e' questo l'aspetto che  piu'  rileva,  l'aver
ricostruito  la  disposizione  in  esame  come  regola  autonoma,  ha
consentito alla Corte di controllare  la  conformita'  dell'esercizio
del potere di regolamentazione  dell'uso  dei  beni,  alla  luce  dei
principi di legalita' e proporzionalita'. 
    Per quanto riguarda  le  situazioni  che  possono  rientrare  nel
secondo paragrafo dell'art. 1, le possibili forme di regolamentazione
dell'uso dei beni considerate dalla Corte sono  le  piu'  varie,  dal
divieto di nuove costruzioni alle misure limitative  del  diritto  di
iscriversi ad albi professionali. 
    Non puo' pertanto dubitarsi che una siffatta tutela si estenda al
mantenimento   delle   aspettative   economiche,   derivanti    dalla
concessione di un  contributo  pari  all'effettivo  fabbisogno  delle
imprese editoriali. 
    La Corte invero, ha piu' volte ribadito che  qualunque  forma  di
ingerenza, per essere compatibile con l'art. 1 del  Protocollo,  deve
realizzare un giusto equilibrio tra le esigenze poste  dall'interesse
generale e gli imperativi di tutela dei  diritti  fondamentali  degli
individui. 
    Sicche' secondo tale costante giurisprudenza,  e'  necessario  un
ponderato equilibrio tra le esigenze dell'interesse  generale  e  gli
imperativi e la salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo,
che non puo' dirsi certamente raggiunto,  quando  quest'ultimo  debba
subire un sacrificio eccessivo e sproporzionato rispetto al  fine  da
raggiungere. 
    La valutazione di proporzionalita' consente,  in  definitiva,  di
bilanciare  interessi  e  valori  di  natura  eterogenea,   assumendo
eventualmente contenuti diversi in relazione al tipo di  interferenza
nonche'  all'importanza  del  diritto  individuale  e  dell'interesse
collettivo che ne giustifica la restrizione. 
    Il controllo di proporzionalita' consente, poi,  una  valutazione
degli effetti che il singolo  provvedimento  limitativo  comporta  in
relazione al singolo caso concreto. 
    La Corte, sul punto, non effettua una  valutazione  astratta  del
rapporto  di  congruita'  tra  i  mezzi  impiegati  e  lo  scopo   da
raggiungere; il controllo della proporzionalita'  richiede,  infatti,
di verificare  in  concreto  che  il  singolo  non  debba  subire  un
sacrificio eccessivo ed esorbitante. 
    In tale prospettiva, la Corte ha precisato come il  rispetto  del
principio del giusto equilibrio implichi, non solo la  necessita'  di
considerare gli interessi in causa, ma anche quella  di  valutare  il
comportamento delle parti e le caratteristiche del provvedimento e le
modalita' dell'ingerenza. 
    Appare percio' evidente che, proprio  il  comportamento  statuale
che viola manifestamente  il  principio  del  legittimo  affidamento,
renda evidente la sproporzione e consenta di affermare con sicurezza,
pacificamente che quel corretto bilanciamento di valori  non  e'  nel
caso di specie stato effettuato dal legislatore. 
    Tanto basta, ad evidenziare il  contrasto  di  tali  disposizioni
anche con l'art.  117  Costituzione,  in  relazione  all'art.  1  del
Protocollo numero 1 CEDU, per il venir meno dello Stato italiano agli
obblighi internazionali  (cfr.  per  tutte  Corte  costituzionale  n.
172/12). 
    Ci sia infine consentito osservare  come  l'evidente  e  puntuale
contrasto delle disposizioni legislative nazionali censurate  con  le
richiamate  disposizioni  dei  Trattati  e  della   Convenzione,   ne
accentuino   in   maniera   assai   significativa   i   difetti    di
costituzionalita',  raccomandandone  una  sollecita  espunzione   dal
nostro ordinamento interno.» 
    Al punto II. B. (pag. 19 dell'atto di  citazione)  parte  attrice
contesta, inoltre, il riparto in modo rigidamente proporzionale delle
risorse  disponibili,  «senza  tenere  in  alcuna  considerazione  le
posizioni di merito delle diverse testate richiedenti.», laddove -  a
suo dire - «Il criterio di distribuzione delle  risorse  disponibili,
al  contrario,  avrebbe  dovuto   tenere   conto   delle   specifiche
caratteristiche di  ciascuna  testata  richiedente  e  ripartirle  in
maniera direttamente proporzionale  alla  qualita'  e  quantita'  dei
requisiti posseduti, in base ad una graduatoria  di  merito  fino  ad
oggi non prevista.» 
    Al punto II. C, critica, poi, il termine per la  conclusione  del
procedimento, previsto dall'art. 2, comma 7, del citato decreto-legge
n.  63/2012,  argomentando  che  in  tal  modo  risultano   allungati
notevolmente  i  tempi  per  la  determinazione  ed  erogazione   del
contributo,  con  pregiudizio   di   una   «corretta   pianificazione
finanziaria dell'impresa editoriale  ricorrente»;  aggiunge  che  «La
rilevanza della buona fede (e dell'affidamento)  in  particolare,  e'
stata affermata  anche  con  riferimento  al  doveroso  rispetto  dei
termini  procedimentali,  che  nella  specie  andrebbero  decisamente
riscritti in modo  da  fare  coincidere  o  comunque  ravvicinare  la
domanda  di  contributi  con  lo   stanziamento   e   la   successiva
erogazione», richiamando la sentenza QM7/2007, con la quale la  Corte
dei conti, Sezioni Riunite,  ha  affermato  come  «...  l'affidamento
nella sicurezza giuridica costituisce invero un  valore  fondamentale
dello  Stato  di  diritto,  costituzionalmente  protetto  nel  nostro
ordinamento (cfr. Corte costituzionale, sentenze 17 dicembre 1985, n.
349, 14 luglio 1988, n. 822, 4 aprile 1990, n. 155, 10 febbraio 1993,
n.  39),  ora  ancor  piu'  rilevante  considerato  che   lo   stesso
legislatore  prescrive  che  l'attivita'  amministrativa  sia   retta
(anche) dai principi dell'ordinamento europeo (art. 1,  primo  comma,
della legge 7 agosto 1990, n. 241 quale modificato dall'art. 1  della
legge 11 febbraio 2005, n. 15), nel quale il principio  di  legittimo
affidamento e' stato elaborato dalla  giurisprudenza  comunitaria  in
un'ottica di accentuata tutela dell'interesse privato  nei  confronti
delle azioni normativa e  amministrativa  delle  istituzioni  europee
(Corte di giustizia delle Comunita' europee, 15  luglio  2004,  causa
C459/02; 14 febbraio  1990,  causa  C350/88;  3  maggio  1978,  causa
112/77) ...»). 
    Ha affidato inoltre le eccezioni di illegittimita' costituzionale
delle   disposizioni   sopra   indicate   alle   seguenti   ulteriori
argomentazioni: 
    «L'esiguita' delle risorse  messe  a  disposizione  insieme  alla
modalita' indiscriminata e lineare della loro distribuzione tra tutti
gli aventi titolo, non combaciano certamente,  con  le  finalita'  di
tutela e sostegno dell'editoria e della liberta' di stampa, garantite
dalla nostra  Costituzione  e  sancite  nella  normativa  legislativa
derivata. Tali disposizioni peraltro, aggravano l'attuale  crisi  del
settore editoriale e delle liberta'. Sicche',  qualora  si  ritenesse
che le disposizioni a) degli articoli 2,  comma  62  della  legge  23
dicembre 2009, n. 191, 3 comma 7 e  22  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 25 novembre  2010,  n.  223,  2  comma  1  e  4  del
decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63 come convertito  nella  legge  n.
103/2012 - con cui si stabilisce che i contributi spettino nei limiti
delle  risorse  stanziate  in  bilancio  e  si  prevede  in  caso  di
insufficienza, il riparto  proporzionale  tra  gli  aventi  titolo  -
possano  pregiudicare  il   riconoscimento   all'impresa   editoriale
ricorrente del contributo in misura pari al fabbisogno  effettivo  ed
all'applicazione  di  meccanismi  di  adeguamento  del  contributo  a
criteri  di  merito  relativi  ai  requisiti  posseduti,  e  comunque
raccoglimento delle domande tutte proposte col  presente  ricorso;  e
che b) l'art. 2, comma 7 del decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63 come
convertito nella legge n. 103/2012, con  cui  si  stabilisce  che  il
termine per la conclusione del procedimento  relativo  all'erogazione
dei contributi scade il 31 marzo dell'anno  successivo  a  quello  di
presentazione delle relative domande, possa pregiudicare la  corretta
pianificazione finanziaria  dell'impresa  editoriale  ricorrente,  si
chiede sin  d'ora  la  rimessione  alla  Corte  costituzionale  della
questione di legittimita' costituzionale delle predette disposizioni,
per  contrasto  con  gli  articoli  1,  2,  3,  21,  41  e  97  della
Costituzione e con i principi innanzi richiamati (nonche',  sotto  il
profilo della violazione  dell'art.  117  in  relazione  all'art.  1,
protocollo 1 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo).». 
3. Difese dell'Avvocatura dello Stato. 
    3.a). La Presidenza del Consiglio dei ministri, costituendosi con
comparsa del 12 aprile 2016, ricostruiva preliminarmente l'originario
quadro  normativo  di  riferimento,  avuto  riguardo  alla  legge  n.
250/1990, e  successive  modificazioni,  e  al  relativo  regolamento
contenuto nel decreto del Presidente della  Repubblica  n.  525/1997,
nonche' alla legge n. 159/2007, nella sostanza coincidente con quello
illustrato da parte attrice. 
    Ha, peraltro, evidenziato che la legge n.  191/2009  (finanziaria
per il 2010) ha attuato con  l'art.  2,  comma  62,  una  innovazione
normativa  di  grande  rilievo  sia  sotto  il  profilo  finanziario,
statuendo, ai fini della determinazione  del  contributo,  il  limite
invalicabile dello stanziamento sul pertinente capitolo  di  bilancio
autonomo  della  Presidenza  del  Consiglio,   con   la   conseguente
previsione di una riduzione  percentuale  per  i  beneficiari,  della
misura astrattamente spettante sulla base  del  calcolo  disciplinato
dalla legge n. 250/1990, nel  caso  di  insufficienza  delle  risorse
stanziate, sia sotto  il  profilo  «della  complessiva  ridefinizione
della posizione giuridica dell'impresa editoriale e del suo  rapporto
con l'Amministrazione che eriga il contributo»,  con  la  conseguenza
che «la posizione della singola impresa non puo'  piu'  ascriversi  a
quella di un soggetto titolare di un  diritto  soggettivo,  o  quanto
meno di un diritto soggettivo pieno e matrimonialmente perfetto», per
cui apparirebbe «particolarmente incongruo qualificare le  situazioni
giuridiche soggettive di che trattasi di che trattasi alla stregua di
diritti soggettivi perfetti». 
    3.b). Per quanto riguarda la posizione specifica  della  societa'
Ediservice, nella comparsa e' stato confermato (v. pagg. 6-7)  quanto
allegato da parte attrice circa l'ammontare  complessivo  erogato  (€
734.461,24, al lordo della ritenuta IRPEG), e la  sua  corrispondenza
alla percentuale del 56,754% del contributo, «teoricamente» spettante
in base ai costi e alla documentazione prodotta dalla societa'. 
    In  particolare,  riguardo  alla   percentuale   complessivamente
liquidata alle societa' aventi titolo ai contributi di cui  trattasi,
la Presidenza ha puntualizzato che con la  legge  di  stabilita'  per
l'anno 2014, l'ammontare stanziato copriva soltanto  il  23,710%  dei
contributi astrattamente spettanti all'editoria, per cui si e'  fatto
ricorso a  successive  variazioni,  disposte  con  vari  decreti  del
Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei  ministri,
che hanno aumentato la percentuale di erogazione al 56,754%. 
    Ha contestato inoltre che negli anni precedenti sia stato erogato
un  contributo  pari  in  percentuale  a  circa  il  92%  di   quello
astrattamente spettante in base alla legge  n.  250/1990,  precisando
che solo per l'anno 2010 il contributo e' stato  pari  al  91,27%  di
quello  «teorico»,  il   che   aveva   comportato   l'erogazione   di
1.552.131,72 in favore della societa' attrice, mentre la  percentuale
si era ridotta al 66,724% per l'anno 2011, per  risalire  al  72,699%
per il 2012, per poi ridiscendere al 56,754% per il 2013. 
    3.c)  Per  quanto  riguarda  l'eccepita  incostituzionalita',  ha
controdedotto con le seguenti argomentazioni, che, -  analogamente  a
come fatto per le  argomentazioni  di  parte  attrice  -  si  ritiene
opportuno riportare per intero, sia per compiutezza  di  esposizione,
sia per la complessita' della questione. 
    «Per quanto attiene al richiamo ai principi fondamentali  di  cui
agli articoli 1 e 2 della Costituzione, lo stesso appare  operato  in
modo alquanto astratto, come per mera clausola di stile. 
    Per quanto attiene al principio di eguaglianza di cui all'art.  3
della Costituzione, presumibilmente ritenuto leso  sotto  il  profilo
della assenza dei requisiti di razionalita'  e  ragionevolezza  nelle
scelte  normative  del  legislatore  nella   materia   de   qua,   la
Amministrazione rileva come gia' la norma concessiva  dei  contributi
diretti all'editoria (art. 3 della legge n. 250/1990) non preveda  un
finanziamento generalizzato per  tutti  gli  operatori  presenti  nel
mercato editoriale, bensi' un contributo riservato soltanto a  quelle
imprese editoriali che presentino gli  specifici  requisiti  elencati
nel comma 2. Il legislatore ha, in tal modo, delineato ab origine  la
natura di normativa speciale del complesso di disposizioni  regolanti
l'attribuzione e l'erogazione dei contributi in  questione.  Cio'  in
ragione  della  precipua  finalita'  perseguita  dalla  normativa  in
parola,  non  meramente  assistenzialistica,  bensi'  costituita  dal
sostegno al pluralismo dell'informazione, in attuazione  del  dettato
costituzionale dell'art.  21.  Non  casualmente,  le  provvidenze  in
questione sono, infatti, determinate dal legislatore anche con misure
non uniformi, bensi' diverse a seconda della tipologia  dei  giornali
editi.  Va,  inoltre,  evidenziato  che  la  normativa  relativa   ai
contributi in questione prevede che le imprese che intendano accedere
ai benefici di legge presentino, entro la scadenza del 31 gennaio  di
ogni anno, una domanda che, ai fini della sussistenza  dei  requisiti
per l'accesso ai  contributi  stessi,  deve  essere  integrata  dalla
documentazione  necessaria  ai  fini  istruttori  entro  il   termine
tassativo del 30 settembre del medesimo anno di  presentazione  della
domanda stessa. 
    Il comma 1246 dell'art. 1 della legge  n.  296  del  2006,  legge
finanziaria per l'anno 2007, aveva, altresi', gia' previsto  che,  in
caso di insufficienza delle risorse  finanziarie  necessarie  per  il
pagamento dei contributi richiesti per il singolo  anno,  si  dovesse
procedere al riparto proporzionale dei contributi spettanti fra tutti
gli aventi diritto. 
    Anche alla  luce  delle  ricordate  disposizioni,  e',  pertanto,
evidente che il legislatore  ha  inteso  configurare  il  diritto  ai
contributi in parola secondo  caratteristiche  proprie  per  ciascuna
annualita', tenuto conto anche della effettiva sussistenza di risorse
finanziarie. 
    Ne  consegue  che  ben  puo'  il  legislatore  prevedere  diversi
trattamenti laddove si tratti di diverse  annualita'  di  contributo.
Viceversa, l'Amministrazione  e'  tenuta  ad  assicurare  parita'  di
trattamento laddove si tratti di fattispecie ricomprese nella  stessa
tipologia di contributi e nell'ambito della medesima annualita'. 
    Sembrano, quindi, coerenti una  lettura  ed  una  interpretazione
della intera normativa sui contributi all'editoria  ancorate  ad  una
applicazione del principio di uguaglianza in senso sostanziale -  che
consente, come noto, trattamenti difformi in  fattispecie  disuguali,
anche sotto il profilo, qui riguardato, della misura  del  contributo
erogabile - piuttosto che ad una interpretazione in senso formale del
medesimo principio, quale quella di fatto evocata dalla ricorrente. 
    Anche   sotto   il   diverso,   ma   incidente,   profilo   della
configurazione del diritto  a  beneficiare  dei  contributi  pubblici
all'editoria alla stregua di un diritto soggettivo perfetto, occorre,
inoltre, evidenziare come il  riconoscimento  della  titolarita'  del
diritto stesso in  capo  ai  beneficiari  avvenga  esclusivamente  in
virtu'  del  possesso  dei  requisiti  di   ammissione   puntualmente
stabiliti dal legislatore in conseguenza di quelle stesse  specifiche
richiamate  finalita'   perseguite   dalla   normativa.   Appartiene,
altresi', alle  prerogative  dello  stesso  legislatore  stabilire  i
meccanismi, i parametri e le modalita' per la  quantificazione  della
concreta entita' del beneficio, elementi sui quali  possono  incidere
anche sopravvenute esigenze di contenimento e razionalizzazione della
spesa  pubblica,  ancorche'  perseguite  nel  rispetto  dei'  diritti
quesiti e delle legittime aspettative dei soggetti beneficiari. 
    Nell'ambito di un quadro di  riferimento  generale  quale  quello
sopra delineato, e' intervenuto  il  legislatore  del  2009,  che  ha
sancito   un   limite   invalicabile   alla   quantificazione   delle
provvidenze,   costituito   dello    stanziamento    delle    risorse
effettivamente presenti e disponibili in bilancio per tale finalita'. 
    Assolutamente  razionale  e  ragionevole  risulta,  pertanto,  la
scelta normativa operata dal legislatore  stesso,  improntata  ad  un
equo contemperamento degli interessi e delle ragioni,  potenzialmente
confliggenti, dei beneficiari delle provvidenze  e  dell'erario.  Una
normativa diversa, che avesse tenuto conto soltanto delle aspettative
dei soggetti beneficiari, sarebbe risultata emanata al di fuori della
prescritta copertura finanziaria e,  pertanto,  in  radice  contraria
all'espresso dettato costituzionale dell'art. 81, comma 4. 
    Per quanto  attiene  al  diritto  di  libera  manifestazione  del
pensiero sancito dall'art. 21 della Costituzione, si richiama  quanto
sopra gia' diffusamente esposto in ordine  alla  ratio  sottesa  alla
normativa in esame, costituita proprio  dal  sostegno  al  pluralismo
dell'informazione, in attuazione del dettato costituzionale dell'art.
21, ma non meramente e semplicemente assistenzialistica. 
    L'ulteriore richiamo all'altro principio costituzionale contenuto
nell'art.  41  appare  improprio.  Come  noto,  il  citato   articolo
sancisce, infatti, la  liberta'  dell'iniziativa  economica  privata,
individuandone i limiti nel contrasto con l'utilita'  sociale  e  nel
danno arrecato alla sicurezza, alla liberta' ed alla dignita'  umana.
Nella  fattispecie,  non  si  controverte,  tuttavia,  in   tema   di
limitazione della iniziativa economica privata,  in  assenza  di  una
apposita statuizione normativa, bensi', come  sopra  gia'  precisato,
unicamente in tenia di erogazione di un  beneficio  di  legge,  nella
misura massima consentita  sempre  per  legge,  trovando  la  ridotta
percentuale di erogazione del contributo per l'anno 2013  il  proprio
fondamento giuridico e normativo nella legge n. 191 del 2009. 
    Il richiamo al predetto principio appare,  peraltro,  fuorviante,
in quanto la normativa speciale sui contributi all'editoria trova  il
suo fondamento e la sua intrinseca ratio nella finalita' di  sostegno
non alla iniziativa economica privata in quanto tale, ma, come detto,
al pluralismo dell'informazione. 
    In ogni caso, il richiamato principio costituzionale dell'art. 41
risulta ampiamente tutelato, in quanto, pur  nello  spirito,  proprio
della  legge  n.  250   del   1990,   di   favorire   il   pluralismo
dell'informazione,   il   legislatore   speciale   ha    manifestato,
indirettamente, un particolare  riguardo  per  l'attivita'  economica
delle imprese editoriali, in quanto  beneficiarie  delle  provvidenze
pubbliche. 
    Un'ultima considerazione, di carattere piu' generale, va comunque
fatta a fronte del richiamo a tutti i citati principi costituzionali:
in nessun caso la tutela accordata  dalla  legge  ad  un  settore  di
impresa privata, sia pure in attuazione  di  principi  costituzionali
attinenti all'informazione dei cittadini, puo' mai essere  intesa  in
modo  e/o  misura  cosi'  pieni  da  garantire  la  sopravvivenza   e
l'equilibrio finanziario del soggetto privato imprenditore, al di la'
di  ogni  sua  scelta  e  responsabilita'  gestionale.  Non  si  puo'
trasformare una misura  di  sostegno  pubblico,  qual  e'  quella  in
discorso, in  una  misura  di  «statalizzazione»  dell'impresa  e  di
garanzia  del  suo  equilibrio,  sia  perche'  si  trasformerebbe  il
sostegno in mera assistenza, sia perche' le  misure  assistenziali  a
carico dello Stato risultano inevitabilmente disincentivanti rispetto
ad una gestione imprenditoriale sana, corretta ed efficiente. 
    Per quanto concerne, infine, i  principi  di  buon  andamento  ed
imparzialita'  dell'amministrazione,  di  cui   all'art.   97   della
Costituzione, pure evocati dalla ricorrente, si osserva quanto segue. 
    L'imparzialita'   ed   il   buon   andamento    della    pubblica
amministrazione  presuppongono  che  la  stessa  osservi   e   faccia
osservare la normativa  vigente,  al  fine  di  una  sua  uniforme  e
corretta  applicazione.  Cio'  e'  quanto  si  e'  verificato   nella
fattispecie  in  esame,  nella  quale  non  si  e'   operata   alcuna
discriminazione nei confronti dei destinatari delle norme, bensi'  la
puntuale applicazione delle disposizioni vigenti, ivi comprese quelle
dettate nel 2009, Ne' tali disposizioni, come  sopra  gia'  rilevato,
hanno generato situazioni discriminatorie, ma  semplicemente  sancito
un necessario, e tuttavia piu' equo possibile, contemperamento  degli
interessi contrapposti dei beneficiari dei contributi e dell'erario. 
    Dalla rilevata  uniforme  e  corretta  applicazione  del  dettato
normativo del 2009, a sua volta scevro di  connotati  discriminatori,
consegue  l'incongruita'  del  richiamo  ai  profili  di   violazione
dell'art. 97 della Costituzione,  non  configurandosi  atti  compiuti
illegittimamente  dall'Amministrazione,  in  violazione   della   par
condicio dei destinatari degli stessi.». 
    Con la successiva la memoria del 1° ottobre  2016,  ha  rilevato,
infine, che «... il vero punto di diritto sotteso alla  controversia»
sia «l'accertamento della legittimita' o meno di un atto politico ...
che il provvedimento adottato dall'Amministrazione "nell'esercizio di
un potere vincolato" ..., si e' limitato ad attuare ...». 
    4. Parte attrice, replicando, con memoria datata 26 ottobre 2016,
alla comparsa di costituzione della convenuta, ha precisato  come  le
spese ammissibili - sul cui 50% e' calcolata una parte del contributo
- non coincidono con tutte quelle che  va  a  sostenere  la  societa'
editoriale (rimanendo escluse  le  spese  di  affitto,  condominiali,
energia e  consumi,  trasporti,  amministrative,  di  manutenzione  e
soprattutto  per  il   personale   dipendente,   ad   eccezione   dei
giornalisti), con la conseguenza che la riduzione (per il 2013) della
erogazione nella percentuale 56,754%, aveva comportato  di  fatto  la
copertura soltanto di circa un quarto di tutte  le  spese  sostenute,
cosi' venendo  a  risultare  «tradita  la  funzione  di  sostegno  al
pluralismo all'informazione, cui e' finalizzato il contributo diretto
all'editoria, a grave detrimento delle imprese  editoriali,  che  pur
essendo sane, non sono in grado  di  stare  da  sole  sul  mercato  e
necessitano di un contributo che possa considerarsi tale.» 
    Riguardo, poi, alle considerazioni svolte  dall'Avvocatura  dello
Stato circa le riduzioni avvenute  negli  ultimi  anni,  con  il  che
doveva escludersi che nella specie l'editore potesse fare affidamento
su un congruo contributo, pari  o  vicino  al  contributo  «teorico»,
ribadiva che cosi'  opinandosi  «si  finirebbe  per  legittimare,  di
riduzione in riduzione, l'integrale annullamento del contributo,  col
venir meno della minima tutela degli interessi, di natura generale  e
di  rango  anche  costituzionale,  alla  quale   il   contributo   e'
finalizzato,» con  la  conseguenza  che  «l'esiguita'  delle  risorse
destinate al sostegno diretto all'editoria, cui l'amministrazione  ha
parzialmente sopperito disponendo  alcune  successive  variazioni  in
aumento rispetto  allo  stanziamento  iniziale,  impedisce  tuttavia,
ormai  e  di  fatto,  il  concreto  raggiungimento  delle   finalita'
perseguite», per cui «la scelta di  sancire  un  limite  invalicabile
alla quantificazione delle provvidenze, costituito dallo stanziamento
delle risorse effettivamente presenti e disponibili in  bilancio  per
tale finalita', disancorando tale quantificazione dal collegamento al
fabbisogno effettivo, e' in conclusione illegittima». 
    Per quanto riguardava,  poi,  i  dubbi  espressi  dall'Avvocatura
dello  Stato  sull'appartenenza  della   vicenda   processuale   alla
giurisdizione  ordinaria,  per  la  considerazione   che   la   legge
finanziaria per il 2010 limita l'erogazione in rapporto alle  risorse
stanziate nell'apposito capitolo della Presidenza del  Consiglio,  ha
ribadito che la posizione delle  imprese  e'  di  diritto  soggettivo
scaturente da una obbligazione pubblica, in presenza di condizioni  e
criteri  stabiliti  dalla  legge  che  riconosce  e   disciplina   il
contributo all'editoria,  «strettamente  correlato  all'esercizio  di
liberta' fondamentali dell'individuo garantite costituzionalmente»; e
che «l'esiguita' delle risorse  messe  a  disposizione  insieme  alla
modalita' indiscriminata e lineare della loro distribuzione tra tutti
gli aventi titolo, viola il diritto dell'impresa  attrice  a  vedersi
assegnato il contributo  diretto  spettante  (senza  decurtazioni  di
alcun tipo) e certamente si pone in contrasto  con  le  finalita'  di
tutela e sostegno dell'editoria e della liberta' di stampa, garantite
dalla nostra  Costituzione  e  sancite  nella  normativa  legislativa
derivata». 
    In conclusione, ad avviso della societa' attrice, «l'incongruenza
del  procedimento  di  contribuzione  pubblica   sotto   il   profilo
dell'insufficienza  del   contributo   e   della   tardivita'   della
liquidazione rispetto al momento in  cui  le  spese  sono  sostenute,
insieme  al  totale  scollegamento   tra   fabbisogno   effettivo   e
contribuzione, impediscono invece al  contributo  di  raggiungere  la
precipua  finalita'  di  sostegno  al  pluralismo   dell'informazione
perseguita dal Legislatore», per cui «e' dunque evidente il contrasto
delle norme indicate nella citazione coi principi  costituzionali  di
eguaglianza e garanzia della liberta' di manifestazione del  pensiero
e del diritto alla qualita' dell'informazione, nonche' della liberta'
di iniziativa economica in un campo cosi' delicato  come  l'editoria,
in cui imperano  grossi  gruppi  radiotelevisivi  a  discapito  della
necessaria pluralita' dell'informazione». 
5. Motivi della decisione. 
    Cosi' riportate le deduzioni delle  parti  riguardo  alla  vexata
quaestio concernente la legittimita' costituzionale delle  norme  che
subordinano l'entita' del contributo agli stanziamenti  stabiliti  in
bilancio nel corrispondente capitolo autonomo  della  Presidenza  del
Consiglio, questo giudicante osserva quanto segue. 
    5.a) Per come  risulta  dagli  atti  del  processo,  la  societa'
editoriale aveva originariamente adito il giudice amministrativo. 
    Il Tribunale amministrativo della Sicilia - sezione distaccata di
Catania - con la sentenza del 22 ottobre 2015 n. 2447,  ha  declinato
la propria giurisdizione in favore dell'A.G.O.,  affermando  che,  in
relazione agli atti impugnati, continua «... a trovare applicazione -
in punto di riparto di giurisdizione fra G.O. e  G.A.  -  l'indirizzo
giurisprudenziale  affermatosi  con  riguardo  all'assetto  normativo
anteriore all'entrata in vigore della legge n. 191/2009,  secondo  il
quale «come e' peculiare dell'intero sistema delle leggi su  sostegni
all'editoria, anche i contributi introdotti dalla legge  n.  250  del
1990, configurano diritti soggettivi degli editori,  per  un  credito
derivante da obbligazione pubblica direttamente assunta dalla legge a
tutela degli interessi economici degli editori medesimi nel  concorso
di condizioni e  requisiti  specificamente  determinati,  sicche'  le
controversie  relative  ai   medesimi   contributi   ricadono   nella
giurisdizione del giudice ordinario» (T.A.R. Lazio -  Roma,  sez.  I,
sentenza 2 gennaio 2013, n. 7). Ne' cio' si risolve in alcun modo  in
una censurabile  riduzione  delle  possibilita'  di  difesa  in  sede
giurisdizionale dei  soggetti  interessati.  Ove  questi  infatti  si
ritengano  pregiudicati,  non  direttamente  dall'atto   di   riparto
adottato   nell'esercizio   di   un   potere   vincolato   da   parte
dell'amministrazione competente, ma  dall'irragionevolezza  dell'atto
politico presupposto che abbia determinato il  complessivo  ammontare
delle risorse ripartibili fra i piu' aventi diritto, essi potranno in
futuro, dinnanzi al G.O. concretamente adito, sollevare questione  di
legittimita'   costituzionale   avverso   l'intero   nuovo    sistema
prefigurato per il sostegno all'editoria dal  comma  62  dell'art.  2
della legge n. 191/2009, secondo quelle  stesse  argomentazioni  gia'
proposte dinnanzi ad un organo giurisdizionale privo  della  potestas
judicandi in relazione alla presente controversia...». 
    Questo giudice condivide l'assunto del  Tribunale  amministrativo
sulla giurisdizione  dell'A.G.O.,  dovendosi  configurare  in  favore
delle  editoriali  un  vero  e  proprio  diritto  all'erogazione  del
contributo,  nelle  condizioni  indicate  dalla  legge,  e  cio',  in
considerazione delle finalita' perseguite dal  legislatore,  che  non
appaiono di  natura  assistenzialistica,  bensi'  di  attuazione  dei
principi  costituzionali  in  materia  di   liberta'   e   pluralita'
dell'informazione, con rimozione degli ostacoli che ne impediscano di
fatto l'espressione. 
    5.b) L'impresa editoriale ai fini dell'accoglimento della pretesa
ha  invocato  la  disapplicazione  dei  decreti   presupposti   della
liquidazione del contributo, dai quali e'  conseguita  l'erogabilita'
della percentuale nel 56,754% rispetto al  contributo  «teorico»,  in
conformita'  al  complesso  delle  somme  stanziate   per   il   2013
nell'apposito capitolo del bilancio della  Presidenza  del  Consiglio
dei ministri. 
    I  decreti  in  questione,  peraltro,  trovano  fondamento  nelle
disposizioni di cui si  contesta  la  legittimita'  costituzione,  e,
nello specifico, nell'art. 2, comma 1, del  decreto-legge  18  maggio
2012, n. 63, convertito con modificazioni dalla legge n. 103/2012, il
quale  subordina  la  spettanza  del  contributo  al  limite   «dello
stanziamento iscritto sul pertinente capitolo del  bilancio  autonomo
della  Presidenza   del   Consiglio   dei   ministri»,   disposizione
reiterativa di quanto gia' previsto  nell'art.  2,  comma  62,  della
legge n. 191 del 2009, e negli articoli 3, comma 7, e 22 del  decreto
del Presidente della Repubblica 25 novembre 2010, n. 223. 
    Invero, il decreto-legge 18  maggio  2012,  n.  63  «Disposizioni
urgenti  in  materia  di  riordino  dei   contributi   alle   imprese
editoriali, nonche' di vendita della stampa quotidiana e periodica  e
di   pubblicita'   istituzionale»,   convertito   in    legge,    con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, legge 16 luglio  2012,  n.  103,
all'art. 2, nella parte d'interesse, cosi'  testualmente  dispone  al
primo comma: 
        «1. I contributi di cui  al  presente  decreto  spettano  nei
limiti delle risorse stanziate sul pertinente capitolo  del  bilancio
autonomo della Presidenza del Consiglio dei  ministri,  salvo  quanto
disposto dal comma 4 del presente articolo. In caso di  insufficienza
delle risorse  stanziate,  agli  aventi  titolo  spettano  contributi
ridotti mediante riparto proporzionale.». 
    Il comma 2 (1) , a sua volta,  disciplina  le  modalita'  per  il
calcolo del contributo «teorico», stabilendo, infine,  che  l'importo
complessivo erogabile della quota del contributo - «non puo' comunque
superare quello riferito all'anno 2010 (2) ». 
    Il diritto all'erogazione concreta del contributo trova,  quindi,
in base all'attuale normativa vigente, un limite  invalicabile  nello
stanziamento dei fondi nell'apposito capitolo  della  Presidenza  del
consiglio,  con  la  precisazione,  peraltro,  che  lo   stanziamento
stabilito e' suscettibile di variazione con  piu'  atti  governativi,
tramite un'apposita procedura,  a  seguito  di  una  valutazione,  da
ritenere «squisitamente politica», per come riconosciuto dalla stessa
Avvocatura dello Stato (3)  e ritenuto anche  da  questo  giudicante.
Invero, se la valutazione fosse stata di natura amministrativa, essa,
come tale, sarebbe stata  suscettibile  di  sindacato  da  parte  del
Giudice ordinario, mediante lo strumento della  disapplicazione,  ove
ritenuto in contrasto con norme di legge, ai sensi degli articoli  2,
4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E. 
    Alla luce dei poteri attribuiti  agli  Organi  governativi  dalle
sopra riportate disposizioni, le domande proposte dalla societa'  non
possono, pertanto, trovare  accoglimento,  neppure  in  ipotesi,  non
essendo consentito a questo giudicante di sindacare  i  provvedimenti
in questione, mediante i quali si giunse alle  determinazioni  finali
sull'ammontare dello stanziamento, che, per il  2013,  venne  variato
due  volte,  appunto  perche'  il  risultato  di  una   facolta'   di
«valutazione squisitamente politica», come tale attribuita  da  norme
di legge. 
6. Sulla questione di legittimita' costituzionale. 
    Parte attrice  dubita  della  legittimita'  costituzionale  delle
norme sopra indicate. 
    Malgrado l'indubbia ricchezza e ponderatezza delle argomentazioni
giuridiche svolte dall'Avvocatura dello Stato nelle sue difese, che -
per doverosa completezza di riflessione - si e' ritenuto, appunto, di
riportare per intero, unitamente alle contrapposte argomentazioni  di
parte  attrice,  ad  avviso   di   questo   giudicante   non   appare
manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale,
in parte qua, delle  norme  che  disciplinano  le  determinazioni  in
ordine all'ammontare dei contributi erogabili, per le ragioni che qui
di seguito si illustrano. 
    6.a)  Va  rilevato,   preliminarmente   che   le   determinazioni
governative ex post -  «con  valutazione  squisitamente  politica»  -
degli effettivi stanziamenti, destinati ai contributi in favore delle
imprese editoriali, rispetto all'anno di riferimento  del  contributo
stesso,  non  consentono  alle  imprese  editoriali  una  corretta  e
adeguata gestione finanziaria, in violazione,  tenuto  conto  che  si
tratta  di  imprese  rivolte  alla  pubblica  informazione,  sia  dei
principi che discendono dall'art.  21  della  Costituzione,  sia  dei
principi che discendono da altre  norme  costituzionali,  di  cui  si
dira' ai punti  che  seguono,  sia  del  principio  dell'affidamento,
assurto, ormai, da tempo, a valore costituzionale. 
    La violazione,  in  ipotesi,  di  detti  principi  si  riferisce,
appunto, alle norme di legge, costituenti il presupposto  del  potere
governativo,  estrinsecatosi  -  previa   valutazione   squisitamente
politica - negli atti che  hanno  condotto  alla  determinazione  del
contributo:  da  cio'  consegue  la  rilevanza  della  questione   di
legittimita', atteso che, espunte  le  norme  di  legge  presupposte,
questo giudice avrebbe il potere di esaminare nel merito  la  pretesa
di parte attrice. 
    E',  pertanto,  da  ritenere  sussistente  la   rilevanza   della
sollevanda questione di legittimita' costituzionale. 
    6.b) Va escluso, peraltro, in primo luogo, che la questione possa
essere sollevata con  riferimento  alle  disposizioni  contenute  nel
decreto del Presidente della Repubblica 25  novembre  2010,  n.  223,
avente natura regolamentare, come  tale  disapplicabile  dal  giudice
ordinario giusta le disposizioni contenute nella legge 20 marzo 1865,
n. 2248, all. E, ove ritenute non conformi a legge;  la  disamina  va
condotta, pertanto, sulle disposizioni di legge, che hanno  limitato,
con  riferimento  all'anno  2013,  l'ammontare  dei  contributi   per
l'editoria. 
    Le disposizioni di legge che, al  riguardo,  vengono  in  rilievo
sono quelle contenute nell'art. 44, decreto-legge 25 giugno 2008,  n.
112, convertito, con modificazioni, dalla legge  6  agosto  2008,  n.
133, nell'art. 2, comma  62,  legge  23  dicembre  2009,  n.  191,  e
nell'art. 2, commi 1,  decreto-legge  18  maggio  2012,  n.  63  come
convertito dalla legge n. 103/2012. 
    L'art. 44,  comma  1,  decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112,
convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008,  n.  133,  al
comma 1, per la parte d'interesse, a sua volta, cosi' stabilisce: 
        «1. Con regolamento di delegificazione ai sensi dell'art. 17,
comma 2, della legge  23  agosto  1988,  n,  400,  da  emanare  entro
sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto,
sentito anche il Ministro  per  la  semplificazione  normativa,  sono
emanate, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica
e tenuto conto delle somme complessivamente  stanziate  nel  bilancio
dello Stato per il settore dell'editoria,  che  costituiscono  limite
massimo  di  spesa,  misure  di  semplificazione  e  riordino   della
disciplina di erogazione dei  contributi  all'editoria  di  cui  alla
legge 7 agosto 1990, n. 250, e successive modificazioni, e alla legge
7 marzo 2001, n. 62 ...». 
    L'art. 2, comma 62, della legge  23  dicembre  2009  (finanziaria
2010), stabilisce quanto segue: 
        comma 62: «In attuazione dell'art. 44  del  decreto-legge  25
giugno 2008, n. 112, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  6
agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, i  contributi  e  le
provvidenze spettano  nel  limite  dello  stanziamento  iscritto  sul
pertinente  capitolo  del  bilancio  autonomo  della  Presidenza  del
Consiglio dei ministri». 
    L'art. 2, decreto-legge  18  maggio  2012,  n.  63  «Disposizioni
urgenti  in  materia  di  riordino  dei   contributi   alle   imprese
editoriali, nonche' di vendita della stampa quotidiana e periodica  e
di   pubblicita'   istituzionale»,   convertito   in    legge,    con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, legge 16  luglio  2012,  n.  103
nella parte d'interesse, ai commi 1 e 2 cosi' testualmente dispone: 
        «1. 1 contributi di cui  al  presente  decreto  spettano  nei
limiti delle risorse stanziate sul pertinente capitolo  del  bilancio
autonomo della Presidenza del Consiglio dei  ministri,  salvo  quanto
disposto dal comma 4 del presente articolo. In caso di  insufficienza
delle risorse  stanziate,  agli  aventi  titolo  spettano  contributi
ridotti mediante riparto proporzionale.». 
    «2. A decorrere dai contributi relativi  all'anno  2012,  per  le
imprese di cui all'art. 3, commi 2, 2-bis, 2-ter  e  2-quater,  della
legge 7 agosto 1990, n. 250, per le  imprese  di  cui  all'art.  153,
commi 2 e 4, della legge 23 dicembre 2000, n.  388,  nonche'  per  le
imprese di cui all'art. 20, comma 3-ter, del decreto-legge  4  luglio
2006, n. 223, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  4  agosto
2006, n. 248, e successive modificazioni, il contributo, che non puo'
comunque superare quello  riferito  all'anno  2010  (4)  ,  e'  cosi'
calcolato: omissis». 
    Parte attrice aveva dedotto, altresi', l'illegittimita' del comma
7, che cosi' dispone: 
        «7.  L'erogazione  dei  contributi  diretti  alla  stampa  e'
soggetta alla disciplina di  cui  all'art.  48-bis  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. Il termine per
la  conclusione  del   procedimento   relativo   all'erogazione   dei
contributi scade  il  31  marzo  dell'anno  successivo  a  quello  di
presentazione delle relative domande. 
    A tale data il provvedimento  e'  adottato  comunque  sulla  base
delle risultanze istruttorie acquisite, ferma restando la ripetizione
delle somme indebitamente percepite.». 
    Ad avviso di questo giudice, questo 7° comma e' coerente  con  il
sistema che prevede l'erogazione a consuntivo, quindi, sulla base del
bilancio dell'impresa; da cio' consegue  che  la  relativa  questione
d'incostituzionalita' va ritenuta manifestamente infondata. 
    6.c)   Per   come    gia'    anticipato,    la    questione    di
incostituzionalita' non appare, invece, manifestamente infondata  per
le altre disposizioni sopra riportate. 
    E, invero. 
    La ratio, che sta alla base delle leggi  che  si  sono  succedute
riguardo ai contributi all'editoria, e' esplicitata nella prima parte
dell'art. 1, comma 1 della legge n. 198/2016, che spiega  le  ragioni
dell'istituzione del  Fondo  per  il  «pluralismo»  e  «l'innovazione
dell'informazione» nel, «...fine di assicurare  la  piena  attuazione
dei principi di cui all'art. 21 della  Costituzione,  in  materia  di
diritti,  liberta',  indipendenza  e  pluralismo   dell'informazione,
nonche' di incentivare l'innovazione dell'offerta informativa  e  dei
processi di distribuzione e di vendita, la  capacita'  delle  imprese
del  settore  di  investire  e  di  acquisire  posizioni  di  mercato
sostenibili  nel  tempo,  nonche'  lo  sviluppo  di   nuove   imprese
editoriali anche nel campo dell'informazione digitale e' istituito il
fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione». 
    Trattasi,  quindi,  di  un  Fondo  avente  finalita'  di   rilevo
costituzionale, con  specifico  riferimento  sia  all'art.  21  della
Costituzione, sia anche  all'art.  41,  nonche'  ai  precedenti  agli
articoli 2 e 3, in quanto  istituito  per  incentivare  la  capacita'
delle imprese del settore editoria  e  anche  lo  sviluppo  di  nuove
imprese,  cosi'  rimuovendo  gli  ostacoli  di  ordine   sociale   ed
economico, e cio' al fine di assicurare la liberta', l'indipendenza e
il pluralismo dell'informazione. 
    Dette finalita' di rilievo costituzionale, seppur  esplicitate  -
per come appena detto - nella legge 26  ottobre  2016,  n.  198,  con
riferimento testuale al  fondo,  all'uopo  istituito,  costituiscono,
all'evidenza, la ratio che sta alla  base  anche  delle  disposizioni
che, in precedenza, si  erano  succedute  nel  tempo  in  materia  di
contributi in favore dell'editoria. 
    Si richiamano, per sommi capi, le leggi in argomento, nelle quali
- e su questo concorda la difesa dell'Avvocatura dello Stato  -  gia'
il legislatore poneva i contributi come un vero  e  proprio  diritto,
appunto, in funzione delle finalita' (di ordine  costituzionale)  che
intendeva perseguire. 
    La  legge  5  agosto  1981,  n.  416  «Disciplina  delle  imprese
editoriali e provvidenze per l'editoria», agli articoli  22  e  segg.
prevedeva dei contributi ben precisi nel loro ammontare, senza  alcun
limite  con  riguardo  ai  successivi   stanziamenti   in   bilancio,
limitandosi a prevedere un'ampia copertura di  ben  197  miliardi  di
lire (oltre 100 milioni di euro: v. art. 41), idonea a soddisfare  le
esigenze delle imprese. 
    In modo sostanzialmente  analogo  hanno  stabilito  la  legge  25
febbraio 1987, n. 67 (v. art. 8 e segg.),  prevedendo  contributi  in
misura precisa, nonche' la legge 7 agosto 1990, n. 250, art. 3, commi
2 e 2-bis, 2-ter ecc., la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (finanziaria
2006) all'art. 1, commi 458 e segg., e il  decreto-legge  1°  ottobre
2007, n. 159, convertito con modificazioni dalla  legge  29  novembre
2007, n. 222, art. 10, comma 2. 
    Le disposizioni in questione consentivano alle imprese editoriali
di fare sia affidamento ad una sicura e adeguata  contribuzione,  non
assimilabile ad  un  assistenzialismo,  dal  momento  che,  comunque,
richiedeva un consistente impegno finanziario alle  imprese,  sia  la
possibilita' di programmare la propria attivita'  tenendo  conto  del
contributo statale, esattamente previsto dalle leggi in materia. 
    E' soltanto - per come si e' visto  -  con  il  decreto-legge  25
giugno 2008, n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133,  e
con le leggi che si sono  poi  succedute,  che  viene  modificato  il
sistema, prevedendosi all'art. 44, comma  1,  un  limite  massimo  di
spesa costituito dalle  somme  stanziate  nell'apposito  capitolo  di
bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri. 
    La modifica, peraltro, di fatto, non  costitui',  all'inizio,  un
problema per le imprese, tenuto conto  dell'adeguatezza  delle  somme
annualmente stanziate, che, peraltro - per come  puntualizzato  dalla
stessa Avvocatura dello Stato  (v.  pagg.  1617)  nella  comparsa  di
costituzione - cominciarono  a  scemare  solo  a  partire  dal  2011,
sicche' si  giunse  all'anno  2013,  per  il  quale  la  percentuale,
rispetto al contributo ammissibile, che per il 2010 era stata pari al
91,27%, si ridusse drasticamente per il 2013 alla misura  percentuale
pari al 23,710%, tant'e' che l'esiguita' della  percentuale  rispetto
al contributo «teorico» indusse lo stesso  Governo  ad  incrementare,
con due successive variazioni gli stanziamenti di 25.600.000, si'  da
portare il complessivo stanziamento ad 43.050.841,24 euro,  a  fronte
di un ammontare di contributi ammissibili pari ad 73.598.534,14  euro
(i  dati,  non  contestati  dalla  convenuta  amministrazione,   sono
indicati nell'atto di citazione della societa'). 
    Sol che si consideri che nella legge del lontano 1981  era  stata
prevista una copertura di ben 197 miliardi di lire, pari a oltre  100
milioni di euro, copertura ridotta  a  meno  della  meta'  trent'anni
dopo, per il 2013, appare evidente come le disposizioni, sospette  di
incostituzionalita',  in  realta'  hanno   assoggettato   al   potere
politico-esecutivo, rappresentato dalla Presidenza del Consiglio  dei
ministri, la possibilita' per le imprese editoriali  di  mantenere  o
non una capacita' produttiva e, quindi, di influire -  attraverso  il
meccanismo dell'aumento o non dell'originaria copertura  prevista  in
bilancio, rimesso a valutazioni  «squisitamente  politiche»  -  sulle
liberta' garantite dall'art. 21 della Costituzione. 
    Il sostegno all'editoria, che  col  tempo  ha  assunto  un  ruolo
fondamentale  per  il  nostro  sistema  democratico,  quale  espressa
garanzia   del   pluralismo   e    del    diritto    alla    qualita'
dell'informazione, di fatto e' stato posto alla merce' del Governo. 
    Non solo. Ma la circostanza che necessariamente si tratta  di  un
contributo erogabile (ed  erogato)  dopo  la  chiusura  del  bilancio
annuale  cui  si  riferisce,  in  quanto  proporzionato  alle   spese
ammissibili, effettivamente sostenute (il che  appare  conforme  alla
sua finalita', in modo che non scenda a pioggia sull'Editoria)  rende
ancora piu' grave il  pregiudizio  che  puo'  derivare  alle  imprese
editoriali da questa modalita' di determinazione,  a  posteriori,  in
quanto  idoneo  a  compromettere  la  situazione  finanziaria   delle
imprese,  il  che  si  ripercuote  direttamente  sulla  garanzia  del
pluralismo e del diritto alla qualita' dell'informazione di cui si e'
appena detto. 
    6.d)  Le  disposizioni  costituzionali  con  i  quali  appare  in
collisione il sistema di determinazione in  concreto  dei  contributi
all'editoria imposto con le leggi che si sono succedute, per giungere
al decreto-legge n. 63/2012 - che rileva nell'odierna vicenda - sono,
ad avviso di questo decidente, gli articoli 21, 97, 41, 2 e  3  della
Costituzione, nonche' il principio dell'affidamento. 
    6.d.1).  Sulla  violazione  degli  articoli  21,  2  e  3   della
Costituzione. 
    L'art. 21 stabilisce solennemente che  «Tutti  hanno  diritto  di
manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto
e ogni altro mezzo di diffusione.». 
    La norma non assume un valore solo in negativo, nel senso che non
possa essere impedito alla  persona  di  manifestare  liberamente  il
proprio pensiero (diritto inviolabile: v. art. 2),  bensi'  anche  in
positivo, nel senso che garantisce  la  liberta'  di  informazione  a
mezzo stampa, salvo i limiti di cui ai successivi commi 3, 4 e 6. 
    La liberta' di informazione, comprende anche la rimozione di quei
limiti (di fatto), di natura economico e sociale,  per  come  dispone
l'art. 3, comma 2, Costituzione. 
    Il sostegno all'editoria  si  giustifica,  appunto  (anche  avuto
riguardo dei limiti imposti dall'Unione europea, per gli  aiuti  alle
imprese da parte dello Stato), perche' costituisce adeguato strumento
per la rimozione di quelle condizioni, economiche e sociali,  che  di
fatto impediscano la liberta' di  informazione  e  la  manifestazione
libera del proprio pensiero. 
    Nell'ambito dell'art. 3 della Costituzione viene fatto  rientrare
anche  il   principio   della   ragionevolezza   delle   disposizioni
legislative (v. Corte cost. 11 gennaio 2017, n. 7). 
    Ora le disposizioni di cui trattasi, nella parte in cui rimettono
a valutazioni, squisitamente politiche dell'autorita' governativa, la
determinazione dei contributi alle imprese editoriali, si  presentano
anche del tutto irragionevoli, in relazione allo scopo perseguito dal
legislatore ed ai fini imposti dalla Costituzione, che e'  quello  di
assegnare  contributi   significativi   e   adeguati   alle   imprese
editoriali, per consentirne  il  mantenimento  e  lo  sviluppo,  come
strumento  per  garantire  la  libera  manifestazione  del  pensiero,
rendendo, al contrario, difficoltosa l'indipendenza e  la  pluralita'
dell'informazione. Risultano cosi' violati, e per molteplici aspetti,
gli articoli 2, 3 e 21 della Costituzione. 
    6.d.2) Quanto alla  violazione  degli  articoli  97  e  41  della
Costituzione, va rilevato quanto segue. 
    a). La determinazione dell'ammontare del  contributo,  attribuita
dalle  norme  sopra  calendate,  alla  discrezionalita'  massima  del
Governo,  mediante  lo  strumento,  in  questo  caso   «squisitamente
politico», delle variazioni di bilancio e lo storno  da  un  capitolo
all'altro, senza  alcuna  indicazione  di  criteri  oggettivi,  va  a
collidere - tenuto conto degli interessi in gioco e  della  finalita'
del sistema delle contribuzioni all'Editoria,  strettamente  connesso
alla realizzazione dei principi che  discendono  dall'art.  21  della
Costituzione - con  il  principio  dell'imparzialita'  e  trasparenza
dell'Amministrazione, affermato nell'art. 97 Costituzione,  dovendosi
considerare, che con il sistema cosi' introdotto, la  percentuale  di
copertura - mediante il contributo statale -  dei  costi  ammissibili
viene fatta dipendere in concreto da un atto governativo,  improntato
piu' che a discrezionalita' a un mero e proprio arbitrio,  scevro  da
qualsiasi criterio oggettivo. 
    In altre parole, l'attribuzione  al  Governo  della  facolta'  di
determinare a posteriori, gli stanziamenti  destinati  ai  contributi
per spese sostenute da oltre un anno, senza alcun criterio oggettivo,
consente a questo  di  agire  al  di  fuori  dei  principi  affermati
dall'art. 97 Costituzione (sul carattere precettivo dei principi  che
discendono dall'art. 97, v. Corte cost. 11 gennaio 2017, n. 7). 
    b). Intervenendo poi detta determinazione «arbitraria»  dopo  che
le imprese editoriali hanno gia' sostenuto i costi, essa e' idonea ad
incidere,   anche   pesantemente,   sulla   situazione    finanziaria
dell'impresa editoriale, tale non solo da  precludere  «l'innovazione
dell'offerta  informativa  e  dei  processi  di  distribuzione  e  di
vendita, la capacita' delle imprese del settore  di  investire  e  di
acquisire posizioni di mercato  sostenibili  nel  tempo,  nonche'  lo
sviluppo  di  nuove  imprese   editoriali»,   ma,   addirittura,   di
determinarne il tracollo, con irreparabile pregiudizio economico,  e,
quindi, alla liberta' di iniziativa economica dell'impresa editoriale
(art. 41, comma 2 Costituzione). 
    L'attribuzione  al  Governo  della  facolta'  di  determinare  in
concreto  l'ammontare  dei  contributi  all'editoria  puo',   quindi,
condurre ad una finalita' opposta a quella  propugnata  dall'art.  21
della Costituzione, ponendo  fuori  del  settore  una  pluralita'  di
imprese, soprattutto quelle locali, e concentrando, in tal  modo,  in
poche imprese - le piu' forti economicamente, l'informazione - si' da
pregiudicare lo scopo, cui fa riferimento il successivo comma  3,  di
indirizzare l'attivita' economica del settore dell'Editoria, «a  fini
sociali»,  con  grave  pregiudizio  per  l'attuazione  dei   principi
desumibili dall'art. 21 della Costituzione, in  materia  di  diritti,
liberta', indipendenza e pluralismo dell'informazione. 
    6.d.3) La determinazione «a  posteriori»  della  percentuale  del
contributo erogabile, attribuita  a  una  «valutazione  squisitamente
politica», va a ledere anche il principio del legittimo  affidamento,
(nel caso in specie, ad una adeguata determinazione  del  contributo)
atteso che si interviene su costi gia' sostenuti. 
    La tutela  dell'affidamento  legittimamente  sorto  nei  soggetti
destinatari,  anche  riguardo  all'attivita'  legislativa,  e'  ormai
assurto da tempo a principio costituzionale e viene  fatto  rientrare
nell'art. 3 della Costituzione, nonche' nei principi generali che  si
desumono dall'ordinamento  costituzionale  e  da  altri  fondamentali
valori di civilta' giuridica, quale principio connaturato allo  Stato
di  diritto,  connesso  alla  coerenza  e  certezza  dell'ordinamento
giuridico  (v.  Corte  costituzionale,  sentenza  n.  209/2010,   che
richiama la precedente sentenza n. 397 del 1994). 
    Anche la Corte di giustizia dell'Unione  europea  fa  riferimento
alla   tutela   dell'affidamento,   come    principio    fondamentale
dell'Unione. 
    Sul punto, nella decisione della Corte di giustizia del 14  marzo
2013 (giudizio n. C-545/11), e' testualmente affermato quanto  segue,
ai punti 23-26: 
        «23. In via preliminare, occorre ricordare che,  secondo  una
giurisprudenza consolidata della Corte, il principio della tutela del
legittimo affidamento rientra fra i principi fondamentali dell'Unione
(v. sentenze del 5 maggio 1981, Dürbeck,  112/80,  Racc.  pag.  1095,
punto 48; del 24 marzo 2011, ISD Polska e a./Commissione, C-369/09 P,
Racc.  pag.  I-2011,  punto  122,  nonche'  del   26   giugno   2012,
Polonia/Commissione,  C-335/09  P,  non   ancora   pubblicata   nella
Raccolta, punto 180). 
        24. Il diritto di avvalersi del suddetto principio si estende
ad ogni  soggetto  nel  quale  un'istituzione  dell'Unione  ha  fatto
sorgere fondate speranze [v., in tal senso,  sentenze  dell'11  marzo
1987, Van den Bergh en Jurgens e Van Dijk Food Products  (Lopik)/CEE,
265/85, Racc. pag. I-1155, punto 44;  ISD  Polska  e  a./Commissione,
cit., punto 123, nonche' del 22 settembre  2011,  Bell  &  Ross/UAMI,
C-426/W P, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 56]. 
        25. Costituiscono un esempio di assicurazioni  idonee  a  far
nascere fondate aspettative, a prescindere dalla forma in cui vengono
comunicate, informazioni precise, incondizionate  e  concordanti  che
promanano da fonti autorizzate ed  affidabili.  Per  contro,  nessuno
puo' invocare  una  violazione  di  tale  principio  in  mancanza  di
assicurazioni precise fornitegli dall'amministrazione  (sentenza  del
17 marzo 2011, AJD Tuna, C-221/09, Racc.  pag.  I-1655,  punto  72  e
giurisprudenza ivi citata).» 
    Al punto 26, la Corte individua, peraltro, questa eccezione  alla
tutela dell'affidamento: «26. Allo stesso modo, qualora un  operatore
economico prudente ed accorto sia in grado di prevedere l'adozione di
un provvedimento dell'Unione idoneo a ledere i suoi  interessi,  egli
non puo'  invocare  il  beneficio  del  principio  della  tutela  del
legittimo affidamento nel  caso  in  cui  detto  provvedimento  venga
adottato (v., in tal senso, citate sentenze Van den Bergh en  Jurgens
e Van Dijk Food Products (Lopik)/CEE, punto  44,  nonche'  AJD  Tuna,
punto 731.». 
    Nel  caso  in  esame,  peraltro,  detta  eccezione  alla   tutela
dell'affidamento non appare applicabile, in relazione, appunto,  alla
finalita' perseguita dalla legge. 
    Invero, nella specie, la ratio che sta alla base  dei  contributi
dello  Stato  alle  imprese  editoriali,  tenuto  conto  dello  scopo
perseguito (la  tutela  effettiva  della  liberta'  di  informazione,
mediante un significativo sostegno alle  societa'  che  appunto  sono
portatrici di detto valore), porta ad escludere che l'impresa attrice
fosse in grado di prevedere, nel 2012, e cioe'  all'epoca  della  sua
programmazione finanziaria-editoriale per  il  2013,  un'attribuzione
della quota contributiva che rendeva di fatto  privo  di  significato
l'apporto pubblico, sol che si consideri che il contributo  «teorico»
e' gia' calcolato - oltre la quota in relazione alle copie - sul  50%
delle  spese  ammissibili,  che  non  coincidono  con  tutte   quelle
sostenute dalla societa' editoriale (rimanendone escluse  parecchie),
cosi' riducendosi la percentuale di fatto a meno del 50% delle  spese
totali effettivamente sostenute dall'editore, con la conseguenza  che
il contributo maggiore, gia' calcolato al 50% dei costi  ammissibili,
e' stato, a sua volta, corrisposto nella misura del 56,754%,  con  il
che non ha superato di molto il 25% di tutte le spese  effettivamente
sostenute, rimanendo a carico  dell'impresa  editoriale  il  restante
75%. 
    Sul   principio   costituzionale   dell'affidamento    e    sulla
illegittimita' delle disposizioni che di fatto rendano  aleatorio  il
quantum  dei  contributi,   appaiono,   inoltre,   significative   le
argomentazioni espresse da Corte  costituzionale  nella  sentenza  16
dicembre 2016, n. 275, in  cui  si  controverteva  sul  limite  degli
stanziamenti di bilancio con riguardo alle provvidenze in favore  dei
disabili, avuto  riguardo  al  diritto  all'istruzione  del  disabile
consacrato nell'art. 38 Costituzione,  e  al  dovere  che  spetta  al
legislatore predisporre gli strumenti idonei  alla  realizzazione  ed
attuazione di esso, affinche' la sua affermazione non si  traduca  in
una mera previsione programmatica. 
    Mutatis mutandis, la  questione  decisa  con  la  sentenza  sopra
indicata appare, per  molti  versi,  assimilabile  a  quella  di  cui
all'odierno giudizio, in cui si controverte di provvidenze  destinate
a  rendere  effettiva  l'attuazione  dei  principi   che   discendono
dall'art.  21  della  Costituzione  in  materia  di  liberta'   della
manifestazione  del  pensiero  e  di  pluralita'   dell'informazione,
mediante un serio  sostegno  dell'Editoria,  che  tenga  conto  della
circostanza che il beneficio giunge a spese gia' sostenute,  per  cui
una determinazione rimessa  all'arbitrio  del  legislatore,  puo'  di
fatto condurre  al  tracollo  soprattutto  delle  imprese  editoriali
minori, con conseguente concentrazione delle testate giornalistiche e
grave pregiudizio per la liberta' e pluralita' dell'informazione. 
    Ove, poi si  consideri  che  il  fabbisogno  necessario  per  una
contribuzione che copra il 50% delle spese ammissibili non  raggiunge
di solito neppure la soglia dei cento milioni di euro (nella  specie,
il  fabbisogno  era  soltanto  di  circa  75  milioni  di  euro:   v.
affermazioni di parte attrice, non  contestate),  balza  in  evidenza
come un contributo alle imprese editoriali, pari a quello  «teorico»,
per l'anno cui si riferisce la presente vertenza, e  cioe'  il  2013,
non  sarebbe  idoneo  a  determinare   stravolgimenti   al   Bilancio
complessivo dello Stato. 
    6.d.3) Con riferimento all'odierna questione, e in relazione alla
sua ammissibilita' va, infine, considerato quanto segue. 
    Per come gia' precisato, l'art. 2  del  decreto-legge  18  maggio
2012, n. 63, convertito in legge,  con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, legge 16 luglio 2012, n. 103, cosi' dispone(va) per il 2013: 
        «1. I contributi di cui  al  presente  decreto  spettano  nei
limiti delle risorse stanziate sul pertinente capitolo  del  bilancio
autonomo della Presidenza del Consiglio dei  ministri,  salvo  quanto
disposto dal comma 4 del presente articolo. In caso di  insufficienza
delle risorse  stanziate,  agli  aventi  titolo  spettano  contributi
ridotti mediante riparto proporzionale.». 
    «2. A decorrere dai contributi relativi  all'anno  2012,  per  le
imprese di cui all'art. 3, commi 2, 2-bis, 2-ter  e  2-quater,  della
legge 7 agosto 1990, n. 250, per le  imprese  di  cui  all'art.  153,
commi 2 e 4, della legge 23 dicembre 2000, n.  388,  nonche'  per  le
imprese di cui all'art. 20, comma 3-ter, del decreto-legge  4  luglio
2006, n. 223, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  4  agosto
2006, n. 248, e successive modificazioni, il contributo, che non puo'
comunque superare quello  riferito  all'anno  2010  (5)  ,  e'  cosi'
calcolato: omissis». 
    In effetti,  quindi,  la  norma  contiene,  avuto  riguardo  alla
disposizione applicabile nella presente vicenda,  in  se'  un  limite
massimo per il contributo da erogare a ciascuna  impresa  editoriale,
costituito dall'ammontare del contributo percepito per  il  2010,  il
che non rendeva,  di  fatto,  illimitata  l'esposizione  dello  Stato
riguardo ai contributi da erogare alle imprese editoriali. 
    Da cio' consegue che, nel caso di declaratoria di  illegittimita'
costituzionale del primo comma dell'art. 2  sopra  riportato  l'unico
limite al contributo permane quello del contributo riferito al  2010,
sufficiente garanzia sia per le Finanze dello Stato,  che  cosi'  non
resta esposto in modo indeterminato, sia per le  imprese  editoriali,
che potevano fare affidamento a una copertura di poco  meno  del  92%
del contributo teorico, il tutto con la modesta aggiunta di poco piu'
di trenta milioni di euro, rispetto agli stanziamenti disposti  dalla
Presidenza del Consiglio dei ministri. 
    Sotto tale  profilo,  l'abrogazione  costituzionale  delle  frasi
sopra riportate tra virgolette non  pregiudica  o  rende  impossibile
l'applicazione  delle  disposizioni  che   residuerebbero   dopo   la
declaratoria di eventuale illegittimita' da parte del  giudice  delle
leggi,  il  che  comporta   l'ammissibilita'   della   questione   di
legittimita' costituzionale. 
    7. In conclusione, il pregiudizio  derivante  dalle  norme  sopra
indicate,  nella  parte  in  cui  limitano  (hanno  limitato)  per  i
contributi  relativi  al  2013  l'ammontare  agli   stanziamenti   in
bilancio, attribuendo al potere politico la  determinazione  concreta
dell'ammontare complessivo  del  contributo  destinato  all'Editoria,
appare idoneo a colpire la liberta' di informazione sancita dall'art.
21 della Costituzione, ed a violare, inoltre, anche quelli desumibili
dagli articoli 97,  41,  nonche'  i  diritti  inviolabili,  garantiti
dall'art. 2  della  Costituzione,  con  elusione  anche  del  compito
affidato alla Repubblica dal successivo  art.  3  di  «rimuovere  gli
ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando  di  fatto  la
liberta' e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della  persona  umana  e  l'effettiva  partecipazione  di   tutti   i
lavoratori  all'organizzazione  politica,  economica  e  sociale  del
Paese», nonche' a violare il principio  della  tutela  del  legittimo
affidamento  dei  destinatari  dei  benefici  di  cui  trattasi   nei
confronti dello Stato. 
    Non appare, quindi,  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita'  costituzionale,  sollevata  nell'odierno,  nei  termini
sopra illustrati. 

(1) Il comma 4 si riferisce alle imprese editoriali di periodici. 

(2) L'inciso, riportato tra virgolette, «non puo'  comunque  superare
    quello riferito all'anno 2010», e' stato cosi',  poi,  sostituito
    dall'art. 3, comma 1, della legge 26 ottobre 2016, n. 198, e  con
    decorrenza  2017:  «non   puo'   superare   il   50   per   cento
    dell'ammontare complessivo dei proventi dell'impresa  editoriale,
    riferiti alla testata per cui e' chiesto il contributo». 

(3) L'Avvocatura  cosi'  osserva,  al  riguardo,  nella  comparsa  di
    costituzione: «... -  sulla  base  delle  risorse  stanziate  sul
    capitolo relativo ai contributi diretti  ai  giornali,  risultate
    insufficienti alla liquidazione del contributo in  misura  piena,
    con decreto del  4  dicembre  2014  e  pertinente  ordinativo  di
    pagamento in pari data (all. 7), e' stato  liquidato  all'impresa
    ricorrente, al pari di tutte le altre imprese aventi diritto,  il
    contributo per l'annualita' 2013 nella misura percentuale pari al
    23,710%  del   contributo   astrattamente   calcolato   spettante
    all'impresa stessa; - a seguito della valutazione,  di  carattere
    squisitamente politico, effettuata dal Sottosegretario  di  Stato
    alla Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  in  ordine  alla
    particolare ristrettezza, nell'esercizio 2014 (e pur considerando
    il trend  negativo  degli  ultimi  quattro  anni)  delle  risorse
    risultate destinabili ai contributi  diretti  alla  stampa  nella
    ripartizione delle  risorse  del  Fondo  globale  trasferite  dal
    Ministero dell'economia  (secondo  il  meccanismo  spiegato  piu'
    sopra)  e'  stata  assunta  la  determinazione  di  integrare  le
    predette risorse, attraverso una variazione nel bilancio generale
    della Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri;  -  quindi,  con
    decreto in data 15 dicembre 2014, a firma del Sottosegretario  di
    Stato alla  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  e'  stata
    disposta  una  variazione  in  aumento  di  euro  25.000.000  sul
    predetto capitolo di bilancio  466  denominato  «Contributi  alle
    imprese editoriali di quotidiani e periodici»; - con  decreto  in
    data 10 dicembre 2014, a firma del Sottosegretario di Stato  alla
    Presidenza del Consiglio dei ministri con delega  in  materia  di
    informazione, comunicazione  ed  editoria,  e'  stata,  altresi',
    disposta una variazione compensativa in aumento di  euro  600.000
    sul medesimo capitolo di bilancio.» 

(4) L'inciso «che non puo' comunque superare quello riferito all'anno
    2010», e' stato sostituito dall'art. 3, comma 1, della  legge  26
    ottobre 2016, n. 198, con il seguente «che non puo'  superare  il
    50 per cento dell'ammontare complessivo dei proventi dell'impresa
    editoriale,  riferiti  alla  testata  per  cui  e'   chiesto   il
    contributo», ma la disposizione si applica a partire dal 2017. 

(5) Per come gia' precisato, l'inciso «che non puo' comunque superare
    quello riferito all'anno 2010», e' stato poi sostituito dall'art.
    3, comma 1, della legge 26 ottobre 2016, n. 198, con il  seguente
    «che non puo' superare il 50 per cento dell'ammontare complessivo
    dei proventi dell'impresa editoriale, riferiti alla  testata  per
    cui e' chiesto il contributo», ma la disposizione  si  applica  a
    partire dal 2017, per cui  non  interferisce  con  la  sollevando
    questione di legittimita' costituzionale. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Visti  gli  articoli  134  della  Costituzione;  1  della   legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23 della legge 11  marzo  1953,
n. 87, 
    1) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione
di  legittimita'   costituzionale   dell'art.   2,   comma   1,   del
decreto-legge 18  maggio  2012,  n.  63,  convertito  in  legge,  con
modificazioni, dall' art. 1, comma 1, legge 16 luglio 2012,  n.  103,
dell'art.  44,  comma  1,  decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112,
limitatamente   alle   parole   «e   tenuto   conto    delle    somme
complessivamente stanziate nel bilancio dello Stato  per  il  settore
dell'editoria, che costituiscono limite massimo  di  spesa»,  nonche'
dell'art. 2, comma 62, della  legge  23  dicembre  2009  (finanziaria
2010), in relazione agli articoli 2, 3, 21, 41 e 97 Costituzione,  ed
al principio della tutela dell'affidamento negli  atti  dello  Stato,
nei termini e per le ragioni di cui in motivazione; 
    2) sospende il procedimento in corso; 
    3) dispone la notificazione della presente ordinanza alle parti e
al Presidente del Consiglio dei ministri  e  la  comunicazione  della
stessa ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato; 
    4)   ordina   la   trasmissione   dell'ordinanza    alla    Corte
costituzionale insieme con gli atti del giudizio e con la prova delle
notificazioni e delle comunicazioni prescritte. 
 
        Catania, 7 giugno 2017 
 
                         Il Giudice: Di Gesu