N. 151 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 maggio 2018

Ordinanza del 10 maggio 2018 della Corte  d'appello  di  Trieste  nel
procedimento civile promosso da Bellarosa  Giovanni  e  altri  contro
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. 
 
Impiego pubblico - Norme della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
  - Stato giuridico e trattamento economico del personale regionale -
  Trattamento previdenziale - Norme di interpretazione autentica  che
  escludono il servizio prestato  con  rapporto  di  lavoro  a  tempo
  determinato  di  diritto  privato  dal  computo   ai   fini   della
  liquidazione e del calcolo dell'indennita' di buonuscita, in quanto
  trattamento di fine servizio. 
- Legge della Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  29  dicembre
  2015, n. 33 (Legge collegata alla manovra di  bilancio  2016-2018),
  art. 7, commi 28, 29 e 30. 
(GU n.43 del 31-10-2018 )
 
                     CORTE DI APPELLO DI TRIESTE 
 
    La Corte di appello di Trieste, Collegio lavoro, costituita  come
segue: 
        dott. Mario Pellegrini, presidente; 
        dott. Lucio Benvegnu', consigliere; 
        avv. Andrea Doardo, giudice ausiliario, 
ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento in grado di  appello
iscritto al n. 160/2017 R.G. promosso con ricorso  depositato  il  14
luglio 2017 da Giovanni Bellarosa,  Enzo  Bevilacqua,  Roberto  Della
Torre, Maria Ramponi, Giorgio Tessarolo e Vittorio Zollia  tutti  con
gli avvocati Enzo  Bevilacqua  ed  Alessandro  Tudor  contro  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia in persona del  presidente  in  carico
con l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste. 
    Con sei separati ricorsi depositati fra il 16 settembre  2015  ed
il giorno 11 marzo 2016 Giovanni Bellarosa, Enzo Bevilacqua,  Roberto
Della Torre, Maria Ramponi, Giorgio Tessarolo e  Vittorio  Zollia  si
rivolgevano al Tribunale di Trieste, giudice del lavoro, esponendo di
essere stati  dagli  anni  settanta  del  1900  dei  dipendenti  come
dirigenti e  direttori  dell'amministrazione  regionale  cessati  dal
servizio fra  il  2005  ed  il  2010  e  con  diritto  all'indennita'
terminativa o di buonuscita; notavano pero' i ricorrenti che ottenuta
detta prestazione avevano appurato che  essa  non  aveva  considerato
tutti gli anni di servizio utili arrestandosi al novembre 2002 e  che
la stessa era stata  liquidata  con  riguardo  alle  retribuzioni  in
essere in tale momento benche' il loro rapporto fosse continuato  per
anni in base  a  contratto  individuale  con  incarico  dirigenziale.
Delineavano i ricorrenti le ragioni della loro pretesa  e  definivano
il complesso quadro normativo  di  riferimento  per  concludere  come
riferito in atti. 
    Si costituiva in giudizio  l'ente  locale  Regione  suddetto  per
resistere alle pretese degli attori e chiederne la reiezione. 
    Disposta  l'unione  dei  sei  distinti  procedimenti,  la   causa
risultava non necessitare di istruttoria e  veniva  indi  discussa  e
definita in I grado con la sentenza n. 47/2017 dd.  26  gennaio  2017
con cui il Tribunale  di  Trieste  respingeva  siccome  infondate  le
domande degli interessati, a spese compensate. 
    Seguiva atto di appello, tempestivo e rituale, proposto  dai  sei
attori e sorretto da otto motivi, l'ultimo dei  quali  riferito  alla
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, commi 28, 29  e
30  della  legge  regionale  n.  33/2015  intervenuta  sul  tema  del
contendere in riferimento agli articoli  3,  97,  111,  e  117  della
Costituzione nonche' all'art. 6 CEDU e gia' posta  in  I  grado,  nel
quale si rassegnavano poi delle conclusioni volte a riconsiderare  la
materia ed a accogliere le domande dei ricorrenti. 
    Anche in questa sede  la  Regione  si  costituiva  e  dopo  avere
replicato ai motivi di doglianza di controparte chiedeva la reiezione
dell'appello. 
    Le parti, autorizzate ad un tanto, redigevano  note  illustrative
delle loro  posizioni  ed  all'udienza  del  10  maggio  2018  questo
Collegio dava lettura della presente ordinanza. 
    Va premesso il quadro normativo di  riferimento  che  delinea  la
posizione degli interessati  e  la  loro  pretesa  qui  azionata;  in
primis, la legge regionale n. 53/1981  della  Regione  Friuli-Venezia
Giulia, art. 141 «Per le cessazioni dal servizio che si verifichino a
decorrere dall'entrata in vigore della  presente  legge,  la  Regione
assicura ... a favore dei propri dipendenti di ruolo e non  di  ruolo
... il trattamento di previdenza erogato  dall'INADEL  ai  dipendenti
degli  enti  locali.  Detto  trattamento  ...   si   realizza   nelle
prestazioni espressamente stabilite dalle disposizioni legislative  e
regolamentari  che  disciplinano  l'ordinamento  e  l'attivita'   del
predetto  Istituto  (vale  a  dire  l'allora  INADEL)».   Vanno   poi
rammentati gli articoli 143 della legge regionale n.  53/1981  citata
per cui: «La misura dell'indennita' per  ogni  anno  di  servizio  e'
stabilita in 1/12 degli assegni  fissi  pensionabili,  ai  sensi  del
terzo comma dell'art. 136 della presente legge, goduti all'atto della
cessazione dal servizio  ...»  ed  appunto  l'art.  136  della  legge
regionale n. 53 stessa per cui: «Ai dipendenti  regionali  che  siano
stati o vengano collocati a riposo  con  diritto  alla  pensione  ...
spetta dalla data  di  cessazione  dal  servizio  un  trattamento  di
quiescenza calcolato sulla base degli assegni fissi pensionabili  ...
l'amministrazione  regionale  provvede  direttamente  alle  eventuali
integrazioni fra quanto spettante ai sensi  del  precedente  comma  e
quanto determinato dalla CPDEL nel provvedimento di concessione della
pensione ...» ricordato che la CPDEL e' o meglio era la gestione  che
provvedeva in merito alla pensione ed a trattamento  terminativo  dei
dipendenti degli enti locali e che essa e' poi confluita  nell'INPDAP
di cui si dira' poi. Nel 1994 con la legge  regionale  Friuli-Venezia
Giulia  n.  5/1994,  art.  186,  l'ente  locale  Regione   e'   stato
autorizzato ad iscrivere il suo personale dal gennaio 1994 all'INPDAP
(Istituto    nazionale    di    previdenza    per    i     dipendenti
dell'amministrazione pubblica) gestione autonoma ex  INADEL  ai  fini
del trattamento di previdenza prevista per detto  Istituto  (l'INADEL
nelle more soppresso e cui era subentrato appunto l'INPDAP  cui  sono
confluite pure le competenze CPDEL) ed in particolare si e' affermato
e stabilito che (art. 186 citato, comma  4):  «per  far  fronte  agli
oneri  a  carico  dell'amministrazione  regionale   derivanti   dalla
corresponsione  al  personale  regionale  di  quanto  previsto  dagli
articoli 142, 143 e 145 della  legge  regionale  n.  53/1981  ...  e'
costituito un fondo regionale disciplinato dalla  legge  25  novembre
1971, n. 1041.  Al  fondo  di  cui  al  comma  4  affluiscono  ...  i
contributi mensili a carico del personale stesso dell'amministrazione
regionale previsti dall'art. 148, commi secondo, terzo e quarto della
legge regionale n. 53/1981 nella misura stabilita dalla  legislazione
previdenziale dell'INPDAP ...». A completamento poi l'art. 148  della
legge regionale n. 53 ora citato afferma che: «... Per le prestazioni
previdenziali di  cui  agli  articoli  precedenti  (ergo  incluso  il
trattamento  terminativo  di  cui  e'  causa)  al  personale  vengono
trattenuti dall'amministrazione ... contributi mensili pari a  quelli
previsti  dalla   legislazione   dell'INADEL   per   il   trattamento
previdenziale ...». Vanno poi rammentate le norme di cui all'art.  19
del decreto legislativo n. 165/2001 statuisce al  suo  secondo  comma
che: «Resta fermo che per i dipendenti statali titolari di  incarichi
dirigenziali   ai   sensi   del   presente    articolo,    ai    fini
dell'applicazione dell'art. 43, comma 1 del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 1092/1973 (in tema di trattamento di  buonuscita)
e  successive   motivazioni   l'ultimo   stipendio   va   individuato
nell'ultima retribuzione percepita in relazione all'incarico svolto»,
e quella di cui all'art.  1,  comma  3  del  decreto  legislativo  n.
165/2001 stesso per  cui  il  decreto  legislativo  n.  165  medesimo
costituisce anche per le regioni a  statuto  speciale  (quale  e'  il
Friuli-Venezia  Giulia)  uno  dei  principi  fondamentali  ai   sensi
dell'art. 117 della Costituzione ed i principi di cui agli articoli 2
della legge n. 421/1992 e 11 della  legge  n.  59/1997  rappresentano
norme fondamentali  di  riforma  economico  sociale.  Da  ultimo,  va
rammentato che lo stesso  legislatore  regionale  ha  statuito  (vedi
l'art. 12, comma  1  della  legge  regionale  n.  4/2004)  che:  «Gli
incarichi dirigenziali possono essere conferiti anche con contratto a
tempo  determinato  di  diritto  privato;  il  conferimento   ad   un
dipendente del ruolo unico regionale  determina  il  collocamento  in
aspettativa senza assegni per tutta la  durata  dell'incarico  ed  il
servizio prestato in forza di detto contratto e' utile  ai  fini  del
trattamento di quiescenza e di previdenza, nonche' dell'anzianita' di
servizio». Nel caso in oggetto,  come  su  sintetizzato  invece,  per
tutti i ricorrenti e' accaduto che il servizio come dirigente  e  con
contratto a tempo determinato non e' stato  ritenuto  computabile  ed
utile ai fini della quantificazione  del  trattamento  terminativo  e
quindi dal 15 novembre 2002 in poi, dato questo  pacifico  in  causa.
Viene  qui  sollevata  da  questa  Corte  di  appello  questione   di
legittimita' riferita alle norme di cui all'art. 7, commi 28, 29 e 30
della legge regionale n. 33/2015 per i quali (comma 28): «In  via  di
interpretazione autentica del  I  comma  dell'art.  142  della  legge
regionale n. 53/1981 ... per la determinazione del servizio utile  ai
fini della  liquidazione  dell'indennita'  di  buonuscita  in  quanto
trattamento di fine servizio non  e'  valutato  quello  prestato  con
rapporto a tempo determinato di diritto privato» e l'art. 142  faceva
cenno  come  servizio  utile  al  servizio   reso   alle   dipendenze
dell'amministrazione regionale ed a quello riscattato a detti fini  e
poi (comma 29): «In via di  interpretazione  autentica  del  I  comma
dell'art. 143 della legge regionale  n.  53/1981  per  assegni  fissi
pensionabili cui fare riferimento si intendono quelli riconosciuti ai
sensi della legislazione dell'ex INADEL» e l'art. 143, comma I citato
fa cenno in tema di indennita' terminativa ad ogni anno  di  servizio
utile  ed  agli  assegni  fissi  pensionabili  goduti   all'atto   di
cessazione dal  servizio,  mentre  infine  (comma  30):  «In  via  di
interpretazione autentica del II  comma  dell'art.  143  della  legge
regionale  n.  53/1981  nell'indennita'  di  buonuscita,  in   quanto
trattamento di fine servizio, non sono valutati  i  periodi  prestati
con contratto di lavoro a tempo determinato  di  diritto  privato»  e
l'art. 143, comma 2 citato afferma solo che la  Regione  assicura  al
dipendente l'indennita' di buonuscita anche nei casi in cui essa  non
spetterebbe secondo la legislazione INADEL. Va infine  rammentato  il
dettato dell'art. 4 della legge n. 152/1968 in tema di indennita'  di
fine servizio a suo tempo erogata dall'INADEL e poi  dall'INPDAP  per
cui: «per i casi di cessazione dal servizio ...  l'indennita'  premio
di servizio ... sara' pari  ad  un  quindicesimo  della  retribuzione
contributiva degli ultimi dodici mesi considerata in ragione dell'80%
... per  ogni  anno  di  iscrizione  all'Istituto  ...»,  il  dettato
dell'art. 1 della legge n. 297/1982 di modifica  dell'art.  2120  del
codice civile in tema di T.F.R. e la previsione del successivo art. 4
della legge n. 297/1982 stessa per cui (comma 4): «...  le  norme  di
cui all'art. 2120 del codice  civile  ...  si  applicano  a  tutti  i
rapporti di lavoro subordinato per i quali siano  previste  forme  di
indennita' di anzianita', di fine  lavoro,  di  buonuscita,  comunque
denominate ...» e da ultimo  l'art.  26,  comma  19  della  legge  n.
448/1998 seconda parte per cui, in materia di avvio del passaggio  al
sistema di T.F.R. anche nel settore del lavoro pubblico: «... con  il
medesimo decreto (D.P.R.) si provvedera' a definire,  ferma  restando
l'invarianza della retribuzione complessiva  netta,  gli  adeguamenti
della    struttura    retributiva    e    contributiva    conseguenti
all'applicazione del trattamento di fine rapporto ...». 
    La questione viene dunque sollevata con riferimento agli articoli
3, 35, 36, 38, 111, e 117, I comma della Costituzione nella parte  in
cui esse, in base all'interpretazione datane in I grado,  vietano  in
sostanza di computare il servizio prestato con rapporto di  lavoro  a
tempo determinato di diritto privato come  dirigente  e  su  incarico
nell'indennita' di buonuscita in quanto trattamento di fine  servizio
e la relativa retribuzione ultima.  Va  posto  in  risalto  in  punto
rilevanza della questione di legittimita' che le norme citate di  cui
alla legge regionale n. 33/2015, art. 7, commi 28 e seguenti assumono
importanza ai fini del decidere come si evince  in  modo  chiaro  dal
loro dettato, che impedisce di conteggiare il periodo di servizio per
tutti i ricorrenti dall'11/2002 con contratto a tempo  determinato  e
con incarico come dirigenti; dette norme quindi, emanate  quando  fra
l'altro ben quattro dei ricorrenti gia' avevano  depositato  il  loro
ricorso giudiziale (dal 16 settembre 2015 al giorno  8  ottobre  2015
per i ricorrenti Tessarolo e Della Torre per la precisione  la  legge
regionale n. 33/2015 e' la legge collegata alla manovra di bilancio e
risale  al  29  dicembre  2015  giorno  fra  l'altro  in  cui  furono
depositati  i  ricorsi  degli  attori  Bellarosa  e   Ramponi   venne
pubblicata nel Bollettino regionale del 13 gennaio 2016  con  entrata
in vigore dal 13 gennaio 2016 stesso ex art. 8 della legge  medesima)
e quindi vi era contenzioso fra le parti sul tema,  sono  chiaramente
da applicarsi al caso di specie e  poi  hanno  e  comunque  mirano  a
possedere dichiaratamente valore  interpretativo  ergo  anche  per  i
pregressi rapporti di lavoro,  come  quelli  ora  esaminati  chiusisi
tutti negli anni dal 2005 al 2010  come  e'  pacifico  in  causa.  La
miglior prova di un tanto e' fornita dalla decisione resa in I  grado
la  quale  alle  pagine  7/9  si  e'  interessata   (ed   ha   dovuto
evidentemente farlo) della portata di esse norme e ne  ha,  in  somma
sintesi,  affermato  la  ragionevole  funzione  di  fugare  i   dubbi
interpretativi allora esistenti. 
    I riferimenti in punto legittimita' costituzionale ed i  relativi
parametri di riferimento costituzionale ed in tema di  non  manifesta
infondatezza vanno rammentati gli articoli 3, 35, 36, 38, 111  e  117
della Costituzione assunti come norme  di  riferimento  ai  fini  del
sindacato di legittimita'. Nel dettaglio, l'art. 3,  I  e  II  comma,
rilevano poiche', come detto, ex art. 19 del decreto  legislativo  n.
165/2001 ed a mente dell'art.  12,  comma  1  della  legge  regionale
Friuli-Venezia Giulia n. 4/2004 gli incarichi  dirigenziali  rilevano
ai fini del computo del trattamento previdenziale  e  dell'anzianita'
di servizio e afferma ivi un canone di parita' di trattamento che non
puo' che rilevare anche tenuto conto dei canoni di  cui  all'art.  1,
comma 3 del decreto legislativo n. 165/2001 in  materia  di  principi
fondamentali in materia di impiego pubblico privatizzato. Noto e'  il
canone di ragionevolezza affermato dall'art. 3 della  Costituzione  e
l'importanza di evitare di vulnerare  detto  canone  o  altri  valori
costituzionali, ove si pensi alla possibile irragionevole  diversita'
di trattamento di un periodo,  fra  l'altro  pregresso  da  anni,  di
lavoro  del  tutto  uguale.  Con  riguardo  poi  all'art.  35   della
Costituzione, I comma, la tutela del lavoro in tutte le sue forme  ed
applicazioni ha riguardo, e non puo' non averlo,  sia  al  lavoro  in
ruolo che a quello con incarico dirigenziale e gli  articoli  19  del
decreto legislativo n. 165/2001 e 12 della legge regionale n.  4/2004
citati ne sono l'evidente riprova; vi e' senza  tema  di  smentita  e
come pacifico in causa un operato  del  tutto  simile  prima  e  dopo
l'incarico (tutti e sei i ricorrenti erano pacificamente  gia'  prima
del  novembre  2002  dirigenti  regionali,  salvo  vedersi   affidare
l'incarico  a  tempo  per  effetto  delle  nuove  norme  del  decreto
legislativo n. 165/2001) e dunque non vi e' quindi chi  non  veda  in
fatto la medesimezza della situazione, la nuova veste  giuridica  non
muta infatti la realta' del lavoro degli attori (e  l'art.  2095  del
codice civile come novellato con la legge n. 190/1985) ricomprende  i
dirigenti nelle categorie dei prestatori  di  lavoro  e  costituisce,
come noto, una delle norme cardine in tema di lavoro  privato  oramai
valide   per   gli   addetti   del   settore   pubblico   vista    la
«privatizzazione»  del  rapporto  di  lavoro  con  soggetti  pubblici
avutasi  dal  1993  in  poi.  Ancora,  l'art.  36,  I   comma   della
Costituzione tutela ed afferma  il  diritto  del  lavoratore  ad  una
retribuzione proporzionata  a  qualita'  e  quantita'  del  lavoro  e
quindi, se come si asserisce  che  il  T.F.R.  e'  un  accantonamento
retributivo a favore dei prestatori, non si  vede  poi  come  mai  il
T.F.R. o T.F.S. degli attori debba soffrirne ed essere  decurtato  in
ragione di un qualche nuovo e non ben delineato motivo. Il  raffronto
con il trattamento  spettante  pacificamente  agli  altri  dipendenti
della  Regione   in   tema   di   trattamento   terminativo   risulta
contraddittorio atteso che nel momento, oramai  remoto,  in  cui  gli
interessati  attinsero  ai  ruoli  piu'   elevati   dell'organigramma
dell'ente si videro, solo su detto aspetto, trattati in modo  diverso
e verosimilmente riduttivo. Ne' va trascurato il  dato  normativo  di
cui all'art.  38  della  Costituzione,  II e IV  comma,  in  tema  di
previdenza ed assistenza per la vecchiaia le  quali  vengono  erogate
proprio da istituti predisposti  ed  integrati  dallo  Stato  fra  il
novero dei quali vi erano  per  certo  l'INADEL  e  l'INPDAP  il  cui
compito istituzionale era l'assistenza e la previdenza dei lavoratori
ad essi assicurati e si e' prima posto in risalto il  fatto  che  per
anni non  a  caso  furono  detti  istituti  pubblici  ad  erogare  la
prestazione terminativa e di fine servizio per cui e' giudizio qui, a
nulla rileva il passaggio delle competenze ad altro soggetto,  metodo
di contribuzione e funzione erano e restano quelli  della  previdenza
pubblica. Non va trascurato inoltre il dato normativo di cui all'art.
111 della Costituzione, II comma ed in riferimento all'art.  6  della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo, CEDU, sul  diritto  ad  un
processo equo con riguardo all'intervento interpretativo effettuato a
lite in parte gia' radicata da tempo (ed a diritti acquisiti da anni,
si noti bene, trattandosi di accantonamenti per anni  di  lavoro  dal
2002 al 2010 come pacifico) e su norme emanate da anni ed  anni  come
quello della legge regionale n. 33/2015,  art.  7,  commi  28/30.  Il
principio  di  irretroattivita'  delle  leggi  non  e'  tutelato  che
dall'art. 25 della Costituzione in  sede  di  salvaguardia  di  rango
costituzionale e privilegiato ed il legislatore  puo'  emanare  norme
retroattive di interpretazione autentica purche' detta retroattivita'
trovi adeguata giustificazione  nell'esigenza  di  tutelare  principi
diritti e beni di rilievo  costituzionale  che  costituiscono  motivi
imperativi di interesse generale ai sensi della  Convenzione  europea
dei diritti dell'uomo (CEDU) e quindi «nulla quaestio» se la norma si
limiti ad assegnare alla norma interpretata un  significato  gia'  in
essa contenuto a chiudere cioe' un dibattito irrisolto a tutela della
certezza del diritto e dell'eguaglianza  dei  cittadini  ristabilendo
una volonta' piu' aderente a quella originaria del legislatore  (vedi
Corte costituzionale sentenza n. 78/2012). Qui invece si nota che  si
e' di fatto intervenuti su norme in essere da anni ed anni e in senso
contrario a quanto  dettato  da  precise  previsioni  che  (vedi  gli
articoli 19 del decreto legislativo n.  165/2001  e  12  della  legge
regionale n. 4/2004 sul tema e di  cui  si  e'  detto  sino  ad  ora)
creando un caso differenziato e particolarmente critico atteso che la
platea di destinatari dell'intervento (pochi ex dirigenti  regionali)
era limitata ed i soggetti ben individuabili. Ne'  va  trascurato  il
dato che le  norme  interpretate  asseritamente  risalivano  a  oltre
trenta anni prima (legge regionale n. 53/1981) e, a quanto pare,  non
presentavano profili critici in  precedenza  sul  tema.  Nota  e'  la
preminenza  del  diritto  e  la  nozione  di  processo  equo  sancita
dall'art.  6  della  Convenzione  CEDU  e  di  cui  la  stessa  Corte
costituzionale  ha  fatto  menzione   diverse   volte   (vedi   Corte
costituzionale sentenze n. 191/2014 e n. 170/2013) ed in  riferimento
ad   interventi   del   potere   legislativo,   come   qui   occorso,
nell'amministrazione della giustizia al fine di influire  l'esito  di
un giudizio. Utile pure  il  richiamo  all'arresto  costituito  dalla
sentenza n. 12/2018 della  Corte  costituzionale  per  una  ragionata
disamina della materia, indubbiamente movimentata, dei  rapporti  fra
giurisdizione e legislatore e non trascurabile risulta  il  dato  per
cui l'impatto dell'intervento di cui discorriamo qui e' ed era, visto
il numero spicciolo degli interessati, di scarso peso  economico.  Da
ultimo, il dettato dell'art. 117 della  Costituzione  rileva  poiche'
come visto il decreto legislativo n. 165/2001,  art.  1,  comma  3  e
l'art. 19 del decreto legislativo  n.  165  stesso  ne  integrano  il
contenuto e affermano il canone dell'ultimo stipendio del periodo  di
incarico dirigenziale utile come parametro ai fini del conteggio  del
trattamento di fine servizio. Non va poi trascurato il dato per  cui,
riprendendo quanto esposto prima nella parte di premessa normativa in
merito al passaggio anche nel settore del lavoro pubblico al  sistema
del T.F.R. e/o T.F.S., anche il dettato dell'art. 26, comma 19, legge
n. 448/1998 con il suo canone di  invarianza  affermato  in  tema  di
retribuzione evidentemente anche differita  rafforza  ed  integra  la
tutela concessa  dall'art.  117  della  Costituzione  in  tali  casi.
Sovviene al riguardo lo stesso avviso  della  Consulta  di  cui  alla
sentenza n. 223/2012 secondo  cui  la  normativa  che  ha  esteso  il
sistema del T.F.R.  al  settore  del  lavoro  pubblico  non  contiene
affatto una disciplina organica sulle  prestazioni  previdenziali  in
favore dei dipendenti dello Stato in grado  di  sostituirsi  in  modo
novativo al decreto del Presidente della Repubblica n. 1032/1973  (in
tema di buonuscita). Va quindi sospeso  il  giudizio  con  rimessione
degli atti alla  Consulta  per  definire  la  presente  questione  di
legittimita' costituzionale previa cura degli adempimenti di  rito  e
di cui in calce. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti   gli   articoli   134   della   Costituzione,   1    legge
costituzionale n. 1/1948 e 23 legge n. 87/1953 sospende  il  presente
giudizio  e  rimette  gli  atti  alla  Corte  costituzionale  per  il
sindacato di legittimita' costituzionale alla luce dell'art. 3 I e II
comma della Costituzione, 35 I comma, 36 I comma, 38 II e  IV  comma,
111 I e II comma, e 117 I comma della Costituzione dell'art. 7  commi
28, 29 e 30 della legge regionale Friuli-Venezia  Giulia  n.  33  del
2015 nei limiti in premessa esposti. 
    Ordina che a cura della cancelleria di questa Corte  la  presente
ordinanza venga trasmessa alla Corte costituzionale e sia  comunicata
al  presidente  della  Giunta  regionale  del  Friuli-Venezia  Giulia
nonche' al presidente del Consiglio  regionale  di  detta  Regione  e
notificata alle parti in causa Giovanni  Bellarosa  ed  altri  cinque
attori su meglio indicati e Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. 
 
        Trieste, 10 maggio 2018 
 
                 Il Presidente estensore: Pellegrini