N. 164 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 maggio 2018
Ordinanza del 22 maggio 2018 della Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Liguria nel giudizio di responsabilita' proposto dal Procuratore regionale della Corte dei conti per la Liguria contro A.A. e altri. Responsabilita' amministrativa e contabile - Risarcimento del danno all'immagine della pubblica amministrazione - Esercizio dell'azione da parte della Procura della Corte dei conti in esito a sentenze penali irrevocabili di condanna del pubblico dipendente limitatamente a determinati delitti contro la pubblica amministrazione. - Decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonche' proroga di termini), convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, art. 17, comma 30-ter, secondo periodo, come modificato dall'art. 1, comma 1, lettera c), n. 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141.(GU n.46 del 21-11-2018 )
LA CORTE DEI CONTI Sezione giurisdizionale per la Regione Liguria Composta dai magistrati: Pischedda dott. Mario - Presidente Riolo dott.ssa Maria Giudice Cominelli dott. Paolo Giudice relatore Ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio iscritto al n. 19804 del registro di segreteria, promosso dal Procuratore regionale della Corte dei conti per la Liguria nei confronti di: l ) A. A., nato a .... il ...., all'epoca dei fatti medico del Servizio sanitario penitenziario, non costituito; 2) A. G., nato a .... codice fiscale ...., rappresentato e difeso dall'avv. Alessandro Ticli, codice fiscale TCLLSN64T19D969G, pec a.ticli@pecavvpa.it giusta procura in calce alla comparsa di risposta, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Palermo, piazza Vittorio Emanuele Orlando n. 6, all'epoca dei fatti assistente della polizia penitenziaria addetto al servizio matricola del sito penitenziario provvisorio di Bolzaneto; 3) A. M., nata a .... il .... codice fiscale ...., rappresentata e difesa dall'avv. Ardo Arzeni, codice fiscale RZNRDA63H29C621Y, pec ardo.arzeni@ordineavvgenova.it giusta procura a margine della comparsa di risposta, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Chiavari (GE), Galleria corso Garibaldi n. 21/5, all'epoca dei fatti vice sovrintendente della Polizia di Stato addetta al servizio di vigilanza delle celle destinate a camere di sicurezza del sito penitenziario provvisorio di Bolzaneto; 4) B. G., nato a .... il ...., all'epoca dei fatti comandante con grado di Tenente del contingente di carabinieri del 9° Battaglione Sardegna, addetto al servizio di vigilanza delle camere di sicurezza del sito penitenziario provvisorio di Bolzaneto, non costituito; 5) C. D., nata a .... il ...., all'epoca dei fatti agente della polizia penitenziaria, non costituita; 6) C. E., nato a .... il ...., codice fiscale ...., rappresentato e difeso dagli avv. Stefano Bertuzzi, codice fiscale BRTSFN72S03H501D, pec stefanobertuzzi@ordineavvocatiroma.org e Salvatore Orefice, codice fiscale RFCSVT66P18G3888T, giusta procura in calce alla comparsa di risposta, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo sito in Roma piazza Attilio Friggeri n. 13, all'epoca dei fatti capitano del disciolto Corpo degli agenti di custodia, con funzioni di responsabile e comandante del personale del Servizio centrale traduzioni della polizia penitenziaria per il Vertice G8 nel sito penitenziario provvisorio di Bolzaneto; 7) D. O. N., nato a .... il ...., codice fiscale, rappresentato e difeso dall'avv. Ennio Pischedda, codice fiscale PSCNNE55C04L093T, pec ennio.pischedda@ordineavvgenova.it e dall'avv. Mauro Vallerga, codice fiscale VLLMRA71L12I480V pec mauro.vallerga@ordineavvgenova.it giusta procura a margine della comparsa di risposta, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo sito in Genova, via Martin Piaggio n. 17, int. 1/A-E, all'epoca dei fatti responsabile del coordinamento e dell'organizzazione dei servizi di polizia penitenziaria per il Vertice G8; 8) G. A., nato a .... il ...., codice fiscale ...., rappresentato e difeso dall'avv. Ardo Arzeni, codice fiscale RZNRDA63H29C621Y, pec ardo.arzeni@ordineavvgenova.it giusta procura a margine della comparsa di risposta, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Chiavari (GE), Galleria corso Garibaldi n. 21/5, all'epoca dei fatti Ispettore superiore della Polizia di Stato, responsabile dell'Ufficio trattazione atti per la squadra mobile; 9) G. A. B., nato a .... l' ...., all'epoca dei fatti Ispettore della polizia penitenziaria, con la qualifica ed incarico di responsabile della sicurezza delle persone detenute e dell'ordine nel sito penitenziario provvisorio di Bolzaneto, non costituito; 10) I. A., nato a .... il ...., all'epoca dei fatti agente di polizia penitenziaria, non costituito; 11) M. D., nata a .... il ...., codice fiscale ...., rappresentata e difesa dall'avv. Isabella Cocito, codice fiscale CCTSLL57M50D969T, pec isabella.cocito@ordineavvgenova.it giusta procura in calce della comparsa di risposta, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Genova, corso A. Saffi n. 3/2, all'epoca dei fatti Ispettore superiore della Polizia di Stato, comandante la squadra addetta al servizio di vigilanza delle celle destinate a camere di sicurezza del sito penitenziario provvisorio di Bolzaneto; 12) M. D., nata a .... il ...., all'epoca dei fatti agente della Polizia di Stato, non costituita; 13) M. M., nato a .... il ...., codice fiscale ...., rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla comparsa di risposta, dall'avv. Emanuela Mazzola, codice fiscale MZZMNL66A50F937B, pec emanuelamazzola@ordineavvocatiroma.org ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Roma, via Tacito n. 50, all'epoca dei fatti assistente di polizia penitenziaria addetto al servizio matricola del sito penitenziario provvisorio di Bolzaneto; 14) N. E., nato a .... il ...., codice fiscale ...., rappresentato e difeso dall'avv. Gian Mario Solinas, codice fiscale SLNGMR74H29G203H, pec avv.gianmario.solinas@pec.it giusta procura in calce alla comparsa di risposta, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Sassari, via Civitavecchia n. 14, all'epoca dei fatti vice sovrintendente della polizia penitenziaria, addetto al servizio matricola del sito penitenziario provvisorio di Bolzaneto; 15) P. G., nato a .... l' ...., codice fiscale ...., rappresentato e difeso, dagli avvocati Nicola Pepe, codice fiscale PPENCL75L28G148C, pec nicola.pepe@avvocatiperugiapec.it e Michele Maria Gambini, codice fiscale GMBMHL85H15A475V, pec michele.gambini@avvocatiperugiapec.it giusta procura a margine della comparsa di risposta, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Simona Ferro codice fiscale FRRSMN69L68D969J pec simona.ferro@ordineavvgenova.it all'epoca dei fatti sovrintendente di polizia penitenziari in servizio presso il sito penitenziario provvisorio di Genova Bolzaneto; 16) P. B., nato a .... il ...., codice fiscale ...., rappresento e difeso dagli avvocati Salvatore Orefice, codice fiscale RFCSVT66P18G3888T, e Stefano Bertuzzi, codice fiscale BRTSFN72S03H501D, pec stefanobertuzzi@ordineavvocatiroma.org giusta procura in calce alla comparsa di risposta, presso lo studio di quest'ultimo sito in Roma, piazza Attilio Friggeri n. 13, all'epoca dei fatti capitano del disciolto Corpo degli agenti di custodia, con funzioni di responsabile e comandante del personale del Servizio centrale traduzioni della polizia penitenziaria per il Vertice G8 nel sito penitenziario di Bolzaneto; 17) P. A., nato a .... il ...., codice fiscale ...., rappresentato e difeso dall'avv. Beatrice Rinaudo, codice fiscale RNDBRC75D49L219B, pec avvbrinaudo@pec.studiolegalerinaudo.com giusta procura in calce alla comparsa di risposta, all'epoca dei fatti Vice questore aggiunto della Polizia di Stato (vice comandante della DIGOS della questura di Genova), funzionario di grado piu' elevato presente nel sito penitenziario provvisorio di Bolzaneto; 18) P. M. L., nato a .... l' ...., all'epoca dei fatti assistente capo della Polizia di Stato, non costituito; 19) P. A., nata a ...., il ...., codice fiscale ...., rappresentata e difesa dall'avv. Umberto Pruzzo, codice fiscale PRZMRT67S23A182I, pec umberto.pruzzo@dordineavvgenova.it giusta procura a margine della comparsa di risposta, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Genova via XX Settembre n. 20/5, all'epoca dei fatti commissario Capo della Polizia di Stato, responsabile dell'Ufficio trattazione atti della Polizia di Stato nel sito penitenziario provvisorio di Bolzaneto; 20) S. A., nato a .... il .... codice fiscale ...., rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla comparsa di risposta, dall'avv. Tommaso Paparo codice fiscale PPRTMS72C17C352M, pec. tommasopaparo@ordineavvocatiroma.org ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Giovanni Gerbi sito in Genova, via Roma n. 11, all'epoca dei fatti coordinatore dell'organizzazione dell'operativita' e del controllo su tutte le attivita' dell'Amministrazione penitenziaria in occasione del G8 di Genova; 21) S. C. M., nato a .... il ...., rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dagli avv. Nunzio Pinelli, pec pinellischifani@pecpinellischifani.com e Rosario Vento, codice fiscale VNTRSR68R31G273M, pec rosariovento@pecavvpa.it ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo sito in Palermo via Messina n. 7/d, all'epoca dei fatti Assistente della polizia penitenziaria addetto al servizio matricola del sito penitenziario provvisorio di Bolzaneto; 22) S. S., nata a .... il ...., codice fiscale ...., rappresentata e difesa dagli avv. Dario Imparato pec avvimparato@pecstudiolegaleonofriimparato.it e Laura Guercio, pec lauraguercio@ordineavvocatiroma.org giusta procura in atti, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultima sito in Genova, via Brigate Bisagno n. 6/1, all'epoca dei fatti medico del servizio sanitario penitenziario; 23) T. G. V., nato a .... il ...., all'epoca dei fatti Dirigente medico del servizio sanitario penitenziario, coordinatore del servizio sanitario nel sito penitenziario provvisorio di Bolzaneto, non costituito; 24) T. F. P. nato a .... il ...., rappresentato e difeso dall'avv. Cristiano Dolce, codice fiscale DLCCST67D08G273Z pec cristiano.dolce@legalmail.it giusta procura in calce alla comparsa di risposta, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Palermo, via G. La Farina n. 3, all'epoca dei fatti Ispettore Capo della polizia penitenziaria responsabile del servizio matricola del sito penitenziario provvisorio di Bolzaneto; 25) T. M. ..., nato a .... il ...., codice fiscale ...., rappresentato e difeso dall'avv. Ardo Arzeni, codice fiscale RZNRDA63H29C621Y, pec ardo.arzeni@ordineavvgenovai.t giusta procura a margine della comparsa di risposta, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Chiavari (GE), Galleria corso Garibaldi n. 21/5, all'epoca dei fatti ispettore della Polizia di Stato addetto al servizio di vigilanza delle celle destinate a camere di sicurezza del sito penitenziario provvisorio di Bolzaneto; 26) U. P., nato a .... il ...., codice fiscale ...., rappresentato e difeso dall'avv. Ardo Arzeni, codice fiscale RZNRDA63H29C621Y, pec ardo.arzeni@ordineavvgenova.it giusta procura a margine della comparsa di risposta, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Chiavari (GE), Galleria corso Garibaldi n. 21/5, all'epoca dei fatti ispettore della Polizia di Stato addetto al servizio di vigilanza delle celle destinate a camere di sicurezza del sito penitenziario provvisorio di Bolzaneto; 27) Z. M., nata a .... il ...., codice fiscale ...., rappresentata e difesa dall'avv. Gianfranco Gesino, codice fiscale GSNGFR75M21D969A, e dall'avv. Mania Crucioli, codice fiscale CRCMTT76E03D969G, pec mattia.crucioli@ordineavvgenova.it all'epoca dei fatti medico del Servizio sanitario penitenziario. Visto l'atto introduttivo del giudizio; Visti gli atti e i documenti di causa; Uditi, nella pubblica udienza dell'8 marzo 2017: il relatore dott. Paolo Cominelli; il Pubblico Ministero nella persona del V.P.G. dott. Gabriele Vinciguerra; l'avv. Alessandro Ticli, per A. e, su delega. dei rispettivi difensori, per S. C. e T.; l'avv. Simona Ferro, su delga dei difensori, per P.; l'avv. Gian Mario Solinas per N.; l'avv. Emanuela Mazzola per M. e, su delega del difensore, per A.; agli avvocati Salvatore Orefice e Stefano Bertuzzi per C. e P.; l'avv. Ardo Arzeni per T., A., G. e U .; l'avv. Tommaso Paparo per S.; gli avvocati Ennio Pischedda e Mauro Vallerga per D.; l'avv. Isabella Cocito per M.; l'avv. Beatrice Rinaudo per P.; l'avv. Mattia Crucioli per Z. e, su delega del difensore, per P.; l'avv. Laura Guercio per S.; Vista la sentenza non definitiva in data odierna con la quale, dopo aver respinto tutte le eccezioni preliminari proposte dalle parti e dichiarata inammissibile la pretesa azionata nei confronti di A. B. per carenza di interesse ad agire, e' stata decisa la domanda relativamente al danno patrimoniale, consistente nel pagamento delle provvisionali alle parti civili e nelle spese legali; Ritenuto in fatto 1. Con atto di citazione in data 12 maggio 2016, il Procuratore regionale per la Liguria conveniva in giudizio i nominati in epigrafe ed A. B. chiedendone la condanna al complessivo importo di € 7.395.422,21 per il risarcimento del danno subito dallo Stato (Ministero dell'interno, della difesa e della giustizia, e, in particolare, del Corpo della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e dell'amministrazione penitenziaria) a causa delle provvisionali e del rimborso delle spese legali statuite dal giudice penale all'esito del procedimento penale che li aveva visti coinvolti ed all'importo complessivo di € 5.000.000 per il risarcimento del danno all'immagine subito sempre dallo Stato in dipendenza dei medesimi fatti oggetto del processo penale. 2. Il danno contestato e' conseguente al processo penale che si e' celebrato per fatti accaduti a Genova nel luglio 2001, in occasione del vertice fra i Capi di Stato degli otto Paesi piu' industrializzati del mondo, meglio noto come «G8», nella caserma «Nino Bixio» della Polizia di Stato, sita a Bolzaneto, ed individuata quale sito penitenziario provvisorio per la presa in carico degli arrestati da parte dell'Amministrazione penitenziaria. Complesse indagini svolte dalla Procura della Repubblica di Genova hanno accertato che le forze dell'ordine (Polizia di Stato, polizia penitenziaria e Arma dei carabinieri) inflissero violenze fisiche e psicologiche nei confronti di oltre duecentocinquanta persone ivi detenute, in quanto fermate o arrestate, consistenti in trattamenti inumani e degradanti. Non esistendo nell'ordinamento italiano il reato di tortura, furono formulati capi d'imputazione per i reati di abuso d'ufficio, abuso di autorita' contro arrestati o detenuti, violenza privata, percosse, lesione personale, ingiuria, minaccia, falso ideologico e materiale, omissione di referto e danneggiamento, delitti a vario titolo continuati, aggravati ed in concorso. Nel corso del giudizio penale sono state emesse la sentenza del Tribunale di Genova, n. 3119/2008, la sentenza della Corte d'appello di Genova, n. 678/2010, e infine la sentenza della Corte di cassazione n. 37088/2013. Dei convenuti, solo otto hanno subito condanna penale definitiva: A. G., M. M., S. C. M. e S. S. per falsita' ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici; A. M., T. M., e U. P., per abuso di autorita' contro arrestati o detenuti; P. M. L., per lesioni personali. Tutti gli altri sono stati condannati definitivamente soltanto agli effetti civili, essendo intervenuta la prescrizione del reato, ad eccezione di D. O., assolto perche' il fatto non sussiste, e di S. A., per il quale il GIP del Tribunale di Genova con ordinanza del 24 gennaio 2007 ha disposto l'archiviazione. Questi ultimi due sono stati citati nel presente giudizio solo in via sussidiaria per colpa grave, consistente nell'omesso esercizio dei propri poteri di controllo e/o vigilanza. 3. Con sentenza parziale in pari data il Collegio, ha estromesso dal giudizio A. B. per avvenuto integrale risarcimento del danno contestato e si e' pronunziato, dopo averlo rideterminato in base all'attualita', soltanto sul danno patrimoniale. Relativamente al danno all'immagine, determinato equitativamente in € 5.000.000, la Procura regionale, consapevole che l'esercizio della predetta azione sarebbe precluso dalla disposizione contenuta nell'art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2009, n. 102 (c.d. «Lodo Bernardo»), ne eccepisce l'incostituzionalita' per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza delle scelte del legislatore, e dell'art. 97, secondo comma, Cost., sotto il profilo della violazione del principio di buona amministrazione, in quanto limita la risarcibilita' del danno all'immagine della pubblica amministrazione al pregiudizio scaturente da determinate fattispecie di reato e, di conseguenza, non ammette il risarcimento nel caso di reati diversi (eventualmente ugualmente gravi o addirittura piu' gravi) e nel caso di comportamenti gravemente colposi, fermo restando il limite della soglia minima di gravita' della lesione (individuato dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 26972 del 2008). 4. Per quanto riguarda l'importo contestato il Pubblico ministero, pur ribadendo il vincolo della solidarieta' in forza dell'elemento soggettivo del dolo, ai fini interni attribuisce a ciascun convenuto una quota di danno, mentre a D. O. e S. A. viene contestato, in via sussidiaria la meta' del danno all'immagine subito dall'Amministrazione penitenziaria, che, decurtato dell'importo risarcito da A., ammonta ad € 1.548.227,90 ciascuno. 5. Si sono costituiti in giudizio, A. G., A. M., C. E., D. O. N., G. A., M. D., M. M., N. E., P. G., P. B., P. A., P. A., S. A., S. C. M., S. S., T. F. P., T. M., U. P. e Z. M., G. A. B. ha presentato una memoria personale, mentre non si sono costituiti A. A., B. G., C. D., I. A., M. D., P. M. L. e T. G. V. Tutti, oltre ad alcune eccezioni di rito ed alle contestazioni riferite al danno patrimoniale, gia' esaminate e respinte nella sentenza parziale, eccepiscono l'inammissibilita' della domanda per il risarcimento del danno all'immagine e l'infondatezza e non rilevanza della questione di costituzionalita' prospettata dal Pubblico ministero. Alcuni convenuti hanno eccepito che in caso di accoglimento della prospettata questione di legittimita' costituzionale da parte del giudice delle leggi, l'azione per il risarcimento del danno all'immagine sarebbe irrimediabilmente prescritta perche', eliminando la pregiudizialita' penale, sarebbero trascorsi piu' di cinque anni dal verificarsi dei fatti. 7. All'odierna udienza, per quanto riguarda il danno all'immagine, il Pubblico ministero ha insistito nella prospettata questione di legittimita' costituzionale e si e' rimesso alla decisione che sara' assunta dalla Corte costituzionale e tutti i difensori si sono richiamati alle conclusioni scritte. Considerato in diritto 1.1. Rilevanza della questione. La domanda relativa al danno all'immagine formulata nell'atto introduttivo del giudizio dovrebbe essere dichiarata inammissibile in base all'art. 17, comma 30-ter, secondo periodo del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito con modifiche dalla legge n. 102 del 2009, a sua volta modificata dalla legge n. 141 del 2009 (c.d. «Lodo Bernardo»), il quale dispone che «Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97». Il richiamato art. 7 della legge n. 97 del 2001, a sua volta, ai fini della delimitazione dell'ambito applicativo dell'azione risarcitoria, fa riferimento alle sentenze irrevocabili di condanna pronunciate nei confronti dei dipendenti di amministrazioni o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica per i delitti contro la pubblica amministrazione («i delitti di cui al capo I del titolo II del libro secondo del codice penale»). Nella fattispecie non vi e' stata alcuna sentenza di condanna passata in giudicato, per uno dei delitti previsti dal citato art. 7, giacche' per la maggior parte dei convenuti il procedimento penale si e' concluso con la dichiarazione di prescrizione e per un convenuto (S.) non e' nemmeno iniziato, essendo stata disposta l'archiviazione dal GUP. La rilevanza della questione e' suffragata dal fatto che, come esposto in narrativa, la stessa Procura regionale, consapevole che l'esercizio dell'azione sarebbe precluso dalla suddetta disposizione, ne eccepisce l'incostituzionalita' per contrasto con gli articoli 3 e 97 della Costituzione ed un consistente numero di convenuti, ritenendo la prospettata questione di costituzionalita' irrilevante e manifestamente infondata, chiedono la declaratoria di inammissibilita' (improcedibilita' secondo altri, nullita' secondo altri ancora) della domanda relativa al danno all'immagine. 1.2. Incidenza del codice di giustizia contabile sulla rilevanza. Com'e' noto questa sezione, con ordinanza n. 12 del 19 aprile 2016, emessa in un giudizio relativo ad altri fatti, ha ritenuto non manifestamente infondata analoga questione di legittimita' costituzionale, e nelle more della decisione del presente giudizio il Giudice delle leggi ha emesso l'ordinanza n. 145/2017, con la quale ha restituito gli atti per una nuova valutazione della questione in base alle intervenute modifiche legislative, tra le quali l'entrata in vigore del codice della giustizia contabile. Osserva il Collegio che l'art. 7 della legge n. 97 del 2001 del cd Lodo Bernardo («Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97» e' stato abrogato, «a decorrere dalla data di entrata in vigore del codice», dall'art. 4, comma 1, lettera g) dell'allegato 3 (Norme transitorie ed abrogazioni) al decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174. Secondo la giurisprudenza, (il richiamo, adesso, dovrebbe ritenersi fatto all'art. 51, comma 7 c.g.c) in virtu' del secondo comma del predetto art. 4, il quale prevede che «Quando disposizioni vigenti richiamano disposizioni abrogate dal comma 1, il riferimento agli istituti previsti da queste ultime si intende operato ai corrispondenti istituti disciplinati nel presente codice». Come si desume dal semplice raffronto letterale, l'abrogato art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 e l'art. 51 comma 7 del c.g.c. sono praticamente identici ad eccezione della frase «indicati nell'art. 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale» che e' stata sostituita con la frase «delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. l, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonche' degli organismi e degli enti da esse controllati, per i delitti commessi a danno delle stesse». Dal che consegue che il testo attualmente vigente dell'art. 17, comma 30-ter, secondo periodo del decreto-legge n. 78 del 2009, per la parte che qui interessa e' il seguente: «Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'art. 51 comma 7 del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e' sospeso fino alla conclusione del procedimento penale». Cio' comporta che l'azione per il risarcimento del danno all'immagine puo' essere esercitata in presenza di una sentenza di condanna per un delitto commesso a danno di una pubblica amministrazione ed in tal senso si e' pronunziata la giurisprudenza contabile (sezione Emilia 73/2017, 106/2017, sezione Lombardia 201/2016, 113/2017). Osserva il Collegio che la nuova disposizione, in disparte la sua esatta portata innovativa, non puo' essere applicata al presente giudizio in base all'art. 2, comma 1, dell'allegato 3 c.g.c. Quest'ultima norma prevede che ai giudizi in corso si applicano solo le disposizioni della parte Il, titolo II, capi III, IV e V del codice di giustizia contabile, mentre l'art. 51 comma 7 e' contenuto nella parte II, titolo I, capo I. Poiche' il presente giudizio e' stato instaurato con atto di citazione notificato prima dell'entrata in vigore del codice della giustizia contabile (e precisamente nel giugno del 2016 mentre il c.g.c. e' entrato in vigore il successivo mese di ottobre dello stesso anno), alla fattispecie e' applicabile la vecchia disciplina, con conseguente rilevanza della questione di costituzionalita' per tutti i convenuti, atteso che non vi e' stata alcuna sentenza di condanna passata in giudicato, per uno dei «delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale». Peraltro, ove dovesse ritenersi applicabile la nuova normativa, la questione rimarrebbe rilevante per tutti coloro per i quali in sede penale e' stata dichiarata la prescrizione e per i convenuti in via sussidiaria. 1.3. Prescrizione dell'azione e rilevanza della questione. Alcuni convenuti hanno eccepito che, in caso di accoglimento della prospettata questione di legittimita' costituzionale da parte del Giudice delle leggi, l'azione per il risarcimento del danno all'immagine sarebbe irrimediabilmente prescritta perche', eliminando la pregiudizialita' penale, sarebbero trascorsi piu' di cinque anni dal verificarsi dei fatti. Ritiene il Collegio di dover confutare sin da adesso questa eccezione per dissolvere qualsiasi eventuale dubbio sulla rilevanza della questione. L'eccezione e' palesemente infondata. Ai sensi dell'art. 136, primo comma, della Costituzione «Quando la Corte dichiara l'illegittimita' costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione» sicche' l'eventuale accoglimento della questione di legittimita' costituzionale, con conseguente abrogazione della causa di sospensione della prescrizione previsto dalla norma impugnata (A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e' sospeso fino alla conclusione del procedimento penale) non puo' retroagire. Nel caso in esame il dies a quo della prescrizione va individuato nella data della richiesta di rinvio a giudizio avvenuta in data 12 maggio 2004, con contestuale sospensione del termine prescrizionale sino alla definizione del giudizio avvenuto con la sentenza della Corte di cassazione depositata il 10 settembre 2013, pertanto l'esercizio dell'azione, avvenuto con atto di citazione notificato a giugno 2016, e' tempestivo, essendo intervenuto entro il prescritto quinquennio. 2. Impossibilita' di una diversa interpretazione. La consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale ritiene indispensabile che il giudice a quo prospetti l'impossibilita' di una interpretazione della norma conforme a costituzione (cd interpretazione costituzionalmente orientata) oppure che lamenti l'esistenza di una costante lettura della disposizione denunziata in senso contrario alla Costituzione (cd diritto vivente). Osserva il Collegio che l'art. 17, comma 30-ter, secondo periodo del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito con modifiche dalla legge n. 102 del 2009 e' stato scrutinato diverse volte dal Giudice delle leggi che lo ha ritenuto conforme a costituzione (sentenza 355 del 2010, nonche' ordinanze 219, 220, 221 e 286 del 2011). La successiva giurisprudenza della Corte dei conti, tuttavia, non si e' uniformata e si sono sviluppati due orientamenti giurisprudenziali, uno conforme all'interpretazione della Corte costituzionale ed un altro di segno opposto, secondo il quale era ammessa l'azionabilita' del danno all'immagine anche in presenza di reati diversi da quelli contro la pubblica amministrazione (ex multis: sezione Liguria n. 107 in data 25 giugno 2013 e n. 212 in data 6 dicembre 2013 e, da ultimo, sezione Prima giurisdizionale centrale 379/2014/A in data 11 marzo 2014 e n. 522/2014/A in data 3 aprile 2014). Sul contrasto giurisprudenziale sono intervenute le Sezioni riunite della Corte dei conti che, con sentenza n. 8/2015/QM, hanno enunciato il seguente principio di diritto: «l'art. 17, comma 30-ter, va inteso nel senso che le procure della Corte dei conti possono esercitare l'azione per il risarcimento del danno all'immagine solo per i delitti di cui al capo I del titolo II del libro secondo del codice penale». L'interpretazione contenuta nell'enunciato principio di diritto, costantemente seguita dalla giurisprudenza, si configura come vero e proprio diritto vivente e cio' determina, l'impossibilita' di ricercare una interpretazione costituzionalmente orientata della norma. 3. Le precedenti pronunce della Corte costituzionale. Come sopra detto la Corte costituzionale ha affermato la costituzionalita' della disposizione in esame: in particolare la sentenza 355/2010 ha affermato che «la particolare struttura e funzione della responsabilita' amministrativa, unitamente alla valutazione della specifica natura del bene giuridico protetto dalle norme penali richiamate dalla disposizione impugnata, rende non palesemente arbitraria la scelta con cui e' stato delimitato il campo di applicazione dell'azione risarcitoria esercitatile dalla Procura operante presso le sezioni della Corte dei conti» (punto 9, ultimo periodo della parte in diritto della sentenza 355/2010). Il contenuto della predetta sentenza e' stato confermato da altre pronunce. In particolare con ordinanza n. 219/2011 e' stato precisato che «una volta rinvenuta una giustificazione alla previsione che impone la sussistenza di una sentenza di condanna per uno dei reati sopra indicati, e' ragionevole che il legislatore abbia richiesto che tale sentenza acquisisca il crisma della definitivita' prima che inizi il procedimento per l'accertamento della responsabilita' amministrativa derivante dalla lesione dell'immagine dell'amministrazione». L'ordinanza n. 221/2011 ha affermato che «la valutazione contestuale della peculiarita' della responsabilita' amministrativa e della natura del soggetto tutelato non comporta alcun vulnus al principio posto dall'art. 2 Cost.» L'ordinanza n. 220/2011 ha ritenuto infondata la censura prospettata dal giudice a quo che riteneva tale disciplina in contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto esclude dal suo ambito applicativo «fattispecie delittuose ben piu' gravi (anche a livello di allarme sociale o comunque di incidenza lesiva sul prestigio della pubblica amministrazione)», ovvero «fattispecie anche prive di rilievo penale che siano gravemente pregiudizievoli per l'immagine della p.a.», richiamando integralmente la sentenza n. 355/2010. Inoltre ha ritenuto costituzionalmente legittima la previsione della nullita' degli atti istruttori e processuali compiuti, salvo il caso in cui sia stata gia' pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione. Sul punto l'ordinanza n. 286 ha specificato che una volta ritenuta la legittimita' costituzionale della scelta operata dal legislatore «deve escludersi ogni vulnus alle conseguenti modalita' di tutela processuale». Il Collegio ritiene opportuno evidenziare alcuni principi affermati nella citata sentenza n. 355/2010, che possono essere posti a base delle successive argomentazioni. In primo luogo la Corte costituzionale ha affermato che con la norma in questione il legislatore non ha «inteso prevedere una limitazione della giurisdizione contabile a favore di altra giurisdizione, e segnatamente di quella ordinaria, bensi' circoscrivere oggettivamente i casi in cui e' possibile, sul piano sostanziale e processuale, chiedere il risarcimento del danno in presenza della lesione dell'immagine dell'amministrazione imputabile a un dipendente di questa. In altri termini, non e' condivisibile una interpretazione della normativa censurata nel senso che il legislatore abbia voluto prevedere una responsabilita' nei confronti dell'amministrazione diversamente modulata a seconda dell'autorita' giudiziaria competente a pronunciarsi in ordine alla domanda risarcitoria. La norma deve essere univocamente interpretata, invece, nel senso che, al di fuori delle ipotesi tassativamente previste di responsabilita' per danni all'immagine dell'ente pubblico di appartenenza, non e' configurabile siffatto tipo di tutela risarcitoria» (punto 6 della parte in diritto). Questo principio e' stato recepito dalla Corte di cassazione la quale ha affermato che la norma in questione «nel disciplinare l'esercizio, da parte delle procure regionali della Corte dei conti, dell'azione per il risarcimento del danno all'immagine subito dall'Amministrazione - non impone una limitazione della giurisdizione contabile a favore di altra giurisdizione e segnatamente di quella ordinaria per la responsabilita' civile, ma ha solo circoscritto oggettivamente i casi in cui e' possibile, sul piano sostanziale e processuale, chiedere il risarcimento del danno in presenza di lesione dell'immagine dell'Amministrazione imputabile ad un suo dipendente» (Cass. SU 14831/11, 9188/2012 e 20728/2012). In secondo luogo e' stato chiarito che la tutela dell'immagine della pubblica amministrazione trova il suo fondamento nell'art. 97, secondo comma, della Costituzione. In particolare la citata sentenza afferma che «L'art. 97 Cost. impone la costruzione, sul piano legislativo, di un modello di pubblica amministrazione che ispiri costantemente la sua azione al rispetto dei principi generali di efficacia, efficienza e imparzialita'. Si tratta di regole che conformano, all'«interno», le modalita' di svolgimento dell'attivita' amministrativa. E' indubbio come sussista una stretta connessione tra la tutela dell'immagine della pubblica amministrazione e il rispetto del suddetto precetto costituzionale. Puo' ritenersi, infatti, che l'autorita' pubblica sia titolare di un diritto «personale» rappresentato dall'immagine che i consociati abbiano delle modalita' di azione conforme ai canoni del buon andamento e dell'imparzialita'. Tale relazione tendenzialmente esistente tra le regole "interne" improntate al rispetto dei predetti canoni, e la proiezione "esterna" di esse, giustifica il riconoscimento, in capo all'amministrazione, di una tutela risarcitoria» (punto 16 della parte in diritto). Del resto, anche prima la giurisprudenza costituzionale aveva riconosciuto che «Alla luce del principio di buon andamento dei pubblici uffici e del dovere dei cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche di "adempierle con disciplina ed onore" (artt. 97 e 54, secondo comma Cost.)», sussiste «l'interesse pubblico di garantire la credibilita' e la fiducia di cui l'amministrazione deve godere presso i cittadini (v. sentenze n. 206 del 1999 e n. 145 del 2002): interesse leso dal discredito che la condanna, anche solo di primo grado, puo' recare all'immagine del corretto funzionamento dei pubblici uffici» e che «e esigenze di trasparenza e di credibilita' della pubblica amministrazione sono direttamente correlate al principio costituzionale di buon andamento degli uffici» (sentenza 172/2005 punto 5). Per ultimo la citata sentenza 355/2010 ha rinvenuto la ratio della disposizione nella «esigenza di limitare ambiti, ritenuti dal legislatore troppo ampi (come, d'altronde, dimostrano il numero delle ordinanze di remissione e - soprattutto - la tipologia delle contestazioni), di responsabilita' dei pubblici dipendenti cui sia imputabile la lesione del diritto all'immagine delle amministrazioni di rispettiva appartenenza» ed ha ritenuto «palese l'intento del legislatore di intervenire in questa materia sulla base della considerazione secondo cui l'ampliamento dei casi di responsabilita' di tali soggetti, se non ragionevolmente limitata in senso oggettivo, e' suscettibile di determinare un rallentamento nell'efficacia e tempestivita' dell'azione amministrativa dei pubblici poteri, per effetto dello stato diffuso di preoccupazione che potrebbe ingenerare in coloro ai quali, in definitiva, e' demandato l'esercizio dell'attivita' amministrativa». In particolare e' stato precisato che questa disposizione, unitamente ad altre contenute nella stesso art. 17 del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito con modifiche dalla legge n. 102 del 2009, perseguono lo scopo «di limitare ulteriormente l'area della gravita' della colpa del dipendente incorso in responsabilita', proprio all'evidente scopo di consentire un esercizio dell'attivita' di amministrazione della cosa pubblica, oltre che piu' efficace ed efficiente, il piu' possibile scevro da appesantimenti, ritenuti dal legislatore eccessivamente onerosi, per chi e' chiamato, appunto, a porla in essere» (punto 8 del diritto). Cio' nonostante, il Collegio ritiene di dover riproporre la questione di costituzionalita', essendo mutato il quadro normativo di riferimento. In ogni caso, va precisato che questo giudicante non si duole dell'avvenuta regolamentazione delle ipotesi di azionabilita' del danno all'immagine, decisione che rientra nella discrezionalita' del legislatore, il quale puo' ritenerla utile anche per impedire eventuali possibili eccessi, ma ritiene semplicemente che la disciplina dettata sia irrazionale, irragionevole ed illogica con conseguente violazione degli articoli 3, 97, secondo comma, e 103, secondo comma, della Costituzione. 4. Il mutato quadro normativo. Oltre alla modifica derivante dall'introduzione del codice della giustizia contabile, illustrata al punto 1.2., dopo l'emanazione della sentenza 355 sono state emanate in materia di danno all'immagine le eseguenti disposizioni: a) l'art. 1, comma 12, della legge 6 novembre 2012, n. 190, il quale stabilisce che «In caso di commissione, all'interno dell'amministrazione, di un reato di corruzione accertato con sentenza passata in giudicato, il responsabile individuato ai sensi del comma 7 del presente articolo (cioe' il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza) risponde ai sensi dell'art. 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, nonche' sul piano disciplinare, oltre che per il danno erariale e all'immagine della pubblica amministrazione, salvo che provi tutte le seguenti circostanze (Omissis)»; b) l'art. 46 del decreto legislativo 14 marzo 2013 n. 33, come modificato dall'art. 37 del decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97 stabilisce che «L'inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente e il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso civico, al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 5-bis, costituiscono elemento di valutazione della responsabilita' dirigenziale, eventuale causa di responsabilita' per danno all'immagine dell'amministrazione»; c) l'art. 55-quater comma 3-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato per ultimo dal decreto legislativo 20 luglio 2017, n. 118, prevede che «nei casi di cui al comma 3-bis, (che a sua volta prevede che nel caso di cui al comma 1, lettera a) - e precisamente falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalita' fraudolente, ovvero giustificazione dell'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia - la falsa attestazione della presenza in servizio, accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze, determina l'immediata sospensione cautelare senza stipendio del dipendente, che va adottata entro quarantotto ore dalla conoscenza dei fatti) la denuncia al pubblico ministero e la segnalazione alla competente Procura regionale della Corte dei conti avvengono entro venti giorni dall'avvio del procedimento disciplinare. La Procura della Corte dei conti, quando ne ricorrono i presupposti, emette invito a dedurre per danno d'immagine entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento. L'azione di responsabilita' e' esercitata, con le modalita' e nei termini di cui all'art. 5 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, entro i centocinquanta giorni successivi alla denuncia, senza possibilita' di proroga. L'ammontare del danno risarcibile e' rimesso alla valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione e comunque l'eventuale condanna non puo' essere inferiore a sei mensilita' dell'ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia»; d) l'art. 55-quinquies comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n 165, il quale, nel testo modificato dall'art. 16 comma 1 del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, dispone che «nei casi di cui al comma 1 (il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalita' fraudolente, ovvero giustifica l'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia), il lavoratore, ferme la responsabilita' penale e disciplinare e le relative sanzioni, e' obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonche' il danno d'immagine di cui all'art. 55-quater, comma 3-quater». Si evidenzia sin da adesso che nelle ipotesi sopra elencate l'azionabilita' del danno all'immagine prescinde dalla commissione di un qualsiasi reato da parte del responsabile (lettere a e b), oppure dalla previa sentenza penale di condanna passata in giudicato (lettere c e d). Va inoltre richiamata la sentenza 13 maggio 2014, emessa dalla Corte europea per i diritti dell'uomo sul ric. n. 20148/09 - Rigolio c/ Italia, nella quale e' stato escluso che il giudizio di responsabilita' contabile per danno all'immagine possa essere assimilato al processo penale, secondo i c.d. Engel criteria, in quanto finalizzato al risarcimento dell'amministrazione danneggiata e a ristorare un pregiudizio dalla stessa patito, e non alla tutela di interessi generali. In particolare, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali ha ritenuto che la qualificazione amministrativa della responsabilita' nascente dal pregiudizio all'immagine, la natura della violazione e il grado di severita' della sanzione inflitta escludono che il giudizio di responsabilita' debba soggiacere alle garanzie del processo penale sancite dall'art. 6, della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo (paragrafi 36 e 46 della sentenza). 5. I fatti accertati. Al fine di rendere piu' comprensibili le doglianze di incostituzionalita' il Collegio ritiene opportuno descrivere sinteticamente i fatti accertati nel corso del procedimento penale, rinviando per un eventuale approfondimento alla sentenza parziale emessa in data odierna. Nella previsione del verificarsi di disordini connessi alle manifestazioni di protesta preannunciate in relazione al cd. «Vertice del G8» tenutosi a Genova nel luglio del 2001, la Caserma «Nino Bixio» di Bolzaneto fu individuata, quale sito provvisorio destinato ad ospitare parte dei prevedibili fermati ed arrestati. L'indagine conoscitiva parlamentare ha accertato che nei tre giorni interessati a Bolzaneto sono state immatricolate duecentoventisei persone, e che si sono verificati ritardi nello svolgimento delle operazioni di polizia giudiziaria. Tra la serata del 20 luglio e il 23 luglio sono stati commessi innumerevoli, ripetuti e continuati atti di violenza e vessazioni nei confronti di soggetti trattenuti a Bolzaneto. Si e' trattato di maltrattamenti e abusi meramente gratuiti, non giustificati da nessuna circostanza, e privi di qualsiasi obiettiva e ragionevole motivazione, che sono stati perpetrati nei confronti di persone inermi in stato di detenzione. Tra le vessazioni piu' frequenti vi e' stata l'imposizione di posizioni vessatorie fatte mantenere per ore e ore (addirittura, in certi casi, per 10, 18, 20 ore e oltre) ed imposte anche a persone ferite o che si trovavano in stato di menomazione fisica. Le piu' ricorrenti posizioni vessatorie erano lo stazionamento in piedi, a gambe divaricate e braccia alzate diritte sopra la testa, con il viso rivolto al muro, ovvero in equilibrio sulle punte dei piedi o su una gamba sola, oppure in ginocchio sempre con il viso rivolto alla parete, o restare per ore con le mani strette dai «laccetti» di plastica che fungevano da manette oppure la cd posizione di transito, consistente nell'obbligare gli arrestati a camminare tenendo la testa quasi all'altezza delle ginocchia e torcendo contemporaneamente uno o entrambe le braccia dietro la schiena). Gli atti di violenza sono consistiti in insulti e percosse inflitti da appartenenti alle varie forze di polizia presenti nella caserma in diverse occasioni ed in ogni luogo: durante gli assembramenti che si formavano all'arrivo dei gruppi di arrestati, oppure al passaggio nel corridoio della palazzina che avveniva tra due ali di agenti, oppure all'interno delle celle e persino in infermeria durante la visita medica. Vi e' stato anche lo spruzzo di sostanze urticanti o irritanti nelle celle, che hanno anche comportato malori. Gli insulti erano di ogni tipo, da quelli a sfondo sessuale, diretti in particolare alle donne, a quelli razzisti, a quelli di contenuto politico; vi sono state minacce di percosse, di stupro e, addirittura, di morte, costrizioni a pronunciare frasi lesive della propria dignita' personale, a sfilare lungo il corridoio facendo il saluto romano e il passo dell'oca, ad ascoltare frasi antisemite ed inneggianti ai regimi fascista e nazista e alla dittatura del generale Pinochet. Le percosse venivano inferte in tutte le parti del corpo, compresi genitali (con conseguenti lesioni in vari casi), con le mani coperte da pesanti guanti di pelle nera e con i manganelli, senza apparente motivo ovvero per costringere gli arrestati a mantenere la posizione vessatoria loro imposta, o ancora come reazione a richieste, quali quelle di poter conferire con un magistrato o un avvocato, di conoscere il motivo del fermo o dell'arresto o di essere accompagnati in bagno. Spesso gli arrestati per evitare il transito di andata e ritorno lungo il corridoio, con conseguenti percosse, non chiedevano di essere accompagnati in bagno e preferivano urinarsi addosso. Si citano, al solo fine di meglio illustrare la gravita' dei fatti commessi, le percosse con pugni e calci nei confronti di L. D., cagionandogli fratture alle costole sinistre, il taglio forzato dei capelli a E. T., le lesioni personali, in danno di L. G. L. A. colpito piu' volte durante la perquisizione in infermeria, mentre aveva ancora le mani legate dai laccetti di plastica e senza alcun plausibile motivo, cagionandogli, in tal modo, una frattura costale. Ed ancora percosse e minacce a O. B., C. S. P., P. E., N. C., E. T., sino ad arrivare ad episodi spregevoli quali quello commesso a danno di P. E. costretta con violenza a mettere la testa dentro la toilette alla turca e a subire da altri agenti della polizia penitenziaria pronunce di frasi ingiuriose con espliciti riferimenti sessuali. Emblematici della gratuita' delle violenze sono i delitti subiti da A. G. L'assistente della Polizia di Stato P. M. e' stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per il delitto di lesioni perche', «afferrando con le due mani le dita della mano sinistra di una delle persone fermate, A. G. , e poi tirando violentemente le dita stesse in senso opposto in modo da divaricarle, cagionava al citato A. G., lesioni personali (ferita lacero contusa della lunghezza di cinque centimetri tra il terzo e quarto raggio della mano sinistra in corrispondenza delle due articolazioni metacarpo-falangee), dalle quali derivava una malattia guarita in cinquanta giorni». A., dopo la grave violenza subita, viene portato in infermeria e la mano sanguinante gli viene suturata senza alcuna anestesia: il dirigente medico del Servizio sanitario penitenziario T. G., teneva ferma la mano mentre il medico A. A. procedeva materialmente alla sutura. Le caratteristiche della ferita, che richiedeva il referto, rendevano evidente che non si era trattato di una semplice caduta dalle scale, come detto dal terrorizzato A. per spiegare l'accaduto, tanto piu' che a Bolzaneto c'erano solo tre gradini: invece viene minacciato con la frase «se non stai zitto ti diamo le altre». I fatti in questione hanno avuto anche riflessi internazionali: si pensi alle ripetute condanne da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo che ha imposto allo Stato italiano ulteriori risarcimenti per danni. Tra le altre si' citano le sentenze del 22 giugno e del 26 ottobre 2017, che hanno riguardato proprio i fatti di Bolzaneto. In tali pronunce, la Corte europea ha duramente stigmatizzato il comportamento delle autorita' italiane, definendo l'operato delle forze dell'ordine nei confronti degli arrestati quale tortura, e affermando che lo Stato italiano non li ha protetti ne' ha loro garantito giustizia. Queste condanne hanno fatto si' che venisse introdotto nel nostro ordinamento giuridico il delitto di tortura (legge 14 luglio 2017, n. 110, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 166 del 18 luglio 2017). 7. L'irragionevolezza della norma e la violazione delle norme costituzionali (articoli 3, 97 e 103 Cost.). Osserva il collegio che la giurisprudenza costituzionale «ha desunto dall'art. 3 Cost. un canone di "razionalita'" della legge svincolato da una normativa di raffronto, rintracciato nell'"esigenza di conformita' dell'ordinamento a valori di giustizia e di equita'" (sentenza n. 421 del 1991) ed a criteri di coerenza logica, teleologica e storico-cronologica, che costituisce un presidio contro l'eventuale manifesta irrazionalita' o iniquita' delle conseguenze della stessa (sentenze n. 46 del 1993, n. 81 del 1992)» e che «Tale giudizio deve svolgersi "attraverso ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalita' rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalita' che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti" (sentenza n. 1130 del 1988). A questo scopo puo' essere utilizzato il test di proporzionalita', insieme con quello di ragionevolezza, che "richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalita' di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra piu' misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi" (Corte costituzionale sentenze n. 162/2014 punto 13 del diritto, n. 87/2012 punto 7 del diritto). Cio' premesso, la sommaria descrizione dei fatti sopra esposta rende palese l'irragionevolezza della disciplina introdotta dal Lodo Bernardo. L'irrazionalita' della norma e', innanzi tutto, intrinseca e consiste nella previsione di limitare la perseguibilita' del danno all'immagine solo in presenza di determinati reati (i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale), escludendo fattispecie delittuose ben piu' gravi sia a livello di allarme sociale che di incidenza lesiva sul prestigio della pubblica amministrazione. Si prenda ad esempio il reato previsto dall'art. 323 codice penale la cui commissione autorizza la perseguibilita' del danno all'immagine: l'abuso d'ufficio e' un delitto residuale ("salvo che il fatto non costituisca un piu' grave reato") e la giurisprudenza della Cassazione, in applicazione della regola della specialita' prevista dall'art. 15 codice penale ha escluso il concorso formale di tale reato con altri piu' gravi, per i quali opera l'aggravate prevista dall'art. 61, n. 9, codice penale ("avere commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio"). In particolare e' stato affermato che «il delitto di abuso di ufficio si caratterizza per essere un reato il cui oggetto giuridico va individuato nell'interesse a che la persona investita di una pubblica funzione o di un servizio pubblico, nel compimento di atti o di comportamenti relativi al proprio servizio o funzione, assicuri il normale funzionamento dell'amministrazione, esercitando le proprie funzioni nel «rispetto delle norme di legge o di regolamento» con la conseguenza che e' proprio l'ingiustizia dell'evento danno o vantaggio patrimoniale - "intenzionalmente" cagionato mediante violazione di norme di legge o di regolamento - ad attribuire rilevanza penale alla condotta dell'agente. Qualora, invece, il comportamento del pubblico ufficiale si concretizzi nella violazione di una norma penale generale diretta a sanzionare chiunque commetta il fatto da essa previsto (es. percosse, lesioni, minacce, ingiuria), si configura unicamente tale ipotesi di reato, eventualmente aggravata dall'art. 61 codice penale, n. 9, quando il fatto e' stato commesso anche con l'abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla finzione pubblica esercitata. In tal caso, infatti, l'evento della condotta contra ius non costituisce alcunche' di ulteriore rispetto alla fattispecie tipica realizzata, e il "comportamento" di abuso e' assorbito ed esaurito in quest'ultima fattispecie, che si pone come lex specialis rispetto a quella di cui all'art. 323 codice penale» (Cass. n. 42801 del 2008, n. 2974 del 2007, n. 49536 del 2003). Lo stesso legislatore, probabilmente rendendosi conto della eccessiva limitazione contenuta nel Lodo Bernardo, con il codice della giustizia contabile ha allargato la tipologia di reati per i quali e' ammissibile il risarcimento del danno all'immagine, estendendola ai delitti a danno della pubblica amministrazione. Ma questo allargamento, che come si e' visto non e' applicabile ratione temporis al presente giudizio, non sembra risolvere il problema; ed infatti, se con l'espressione «a danno della pubblica amministrazione» si intendono i soli delitti che procurano un danno patrimoniale all'amministrazione, e cioe' tutti quei delitti nei quali l'amministrazione, ritenendosi danneggiata puo' costituirsi parte civile, si arriverebbe all'aberrante conclusione di escludere tutti i reati nei quali l'amministrazione, rivestendo la qualifica di responsabile civile, non puo' costituirsi parte civile e quelli nei quali l'abuso della funzione pubblica e' previsto come aggravante specifica. Si pensi al delitto di tortura, previsto dall'art. 613-bis del codice penale, introdotto come sopra detto dalla recentissima legge n. 110/2017, che, sebbene preveda come aggravante specifica la commissione del fatto da parte di «un pubblico ufficiale o di un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio» ed abbia una pena edittale (reclusione da cinque a dodici anni) nettamente superiore a quella prevista per l'abuso d'ufficio (reclusione da uno a quattro anni) o della truffa ai danni della pubblica amministrazione (reclusione da uno a cinque anni e multa da € 309 a € 1.549) non consente l'esercizio dell'azione per il risarcimento del danno all'immagine, non essendo ne' un delitto contro la pubblica amministrazione ne' un delitto a danno dell'amministrazione. Altrettanto irrazionale e' prevedere che i reati in questione vengano previamente accertati con sentenza di condanna passata in giudicato. Innanzi tutto, va evidenziato che il requisito del preventivo giudicato penale opera, di fatto, soltanto per la giurisdizione contabile. La giurisprudenza della Cassazione, infatti, ha ritenuto legittima la condanna per il danno all'immagine a favore dell'amministrazione, costituita parte civile, sia contestualmente alla condanna penale sia nell'ipotesi di reato dichiarato prescritto, argomentando dall'esistenza riconosciuta nel diritto vivente del cd doppio binario, consistente nella reciproca indipendenza tra la giurisdizione civile e penale, e quella contabile, anche quando investono un medesimo fatto materiale, sicche' non si pone un problema di giurisdizione ma di proponibilita' dell'azione (sentenze 48603 e 35205 del 2017). Alla luce di questa giurisprudenza, recepita nella relazione di' orientamento del massimario della Cassazione n. 81/2017, e' solo il pubblico ministero contabile che deve attendere il passaggio in giudicato della sentenza di condanna e che in caso di dichiarazione di prescrizione del reato non puo' esercitare l'azione. In tal modo, oltre all'evidente irrazionalita' della norma, risulta violato anche il principio di effettivita' della giurisdizione, il quale implica che il processo deve essere lo strumento attraverso cui il soggetto leso puo' ottenere, ricorrendo al giudice, tutto, e proprio tutto, quello che gli spetta in base al diritto sostanziale. Esso e' volto a presidiare l'adeguatezza degli strumenti processuali posti a disposizione dall'ordinamento per la tutela in giudizio dei diritti ed e' sancito, per la giurisdizione contabile dall'art. 2 del codice di giustizia contabile, che costituisce norma interposta dell'art. 103, secondo comma, della Costituzione. Inoltre, l'irrazionalita' della previsione di un giudicato penale di condanna si evidenzia anche con riferimento alle ipotesi nelle quali l'accertamento dei fatti da parte del giudice penale ha comportato la dichiarazione di prescrizione del reato e, come avvenuto nella fattispecie oggetto del presente giudizio, l'accertamento della responsabilita' degli imputati ai soli effetti civili, con conseguente condanna al risarcimento del danno, anche delle amministrazioni responsabili civili. In questi casi accertamento del fatto compiuto dal giudice penale e' inesistente a fini della risarcibilita' del danno all'immagine, mentre ai fini civili, non sole e' rilevante ma condiziona anche la pronunzia del giudice penale. La consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, infatti, ha affermato «che deve essere ritenuto principio inderogabile del processo penale quello secondo cui la condanna al risarcimento o alle restituzioni puo' essere pronunciata solo se il giudice penale ritenga accertata la responsabilita' penale dell'imputato; anche se la estinzione del reato non gli consente di pronunziare (o di confermare) la condanna penale» (Cass. pen. n. 1748 del 2006) ed ha precisato che, in presenza della causa estintiva del reato, si impone un esame approfondito di tutto quanto rilevi ai fini della responsabilita' civile con la conseguenza che «se da questo esame emerge la prova della innocenza, si dovra' ricorrere alla corrispondente formula assolutoria in quanto l'obbligo di declaratoria immediata della causa estintiva si basa sul principio di economia processuale: pertanto, quando l'esame ex professo di altri aspetti e' effettuato, sia pure per esigenze di decisione non penale, l'accertamento effettuato non puo' essere posto nel nulla e puo' portare ad una assoluzione di merito, riprendendo vigore come canone interpretativo quello del favor rei», mentre «qualora non emerga che il fatto non sussiste, che l'imputato non lo ha commesso, ecc., non potra' addivenirsi ad una pronuncia assolutoria» (Cass. pen. n. 1748 del 2006, ripresa e condivisa da Cass. SU penali n. 35490 del 2009, Cass. SU penali n. 40109 del 2013 nonche' Cass. pen. n. 14522 del 2009, n. 3869 del 2014 e da ultimo n. 29499 del 2017). L'irrazionalita' della norma in questione si trasforma in manifesta irragionevolezza se si esamina la disciplina derogatoria contenuta nelle disposizioni richiamate al punto 4. Nelle suddette ipotesi l'azionabilita' del danno all'immagine prescinde dalla previa sentenza penale di condanna passata in giudicato (lettere c e d) ed addirittura dalla commissione di un qualsiasi reato (lettere a e b). Quanto alla mancanza di un preventivo giudicato penale di condanna va ricordata la possibilita' prevista dagli articoli 55-quater, comma 3-quater e 55-quinquies comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato dall'art. 16, comma 1 del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, di chiedere il danno all'immagine nei confronti dei cd «furbetti del cartellino» quantificandone persino l'ammontare («l'eventuale condanna non puo' essere inferiore a sei mensilita' dell'ultimo stipendio in godimento»), indipendentemente dall'esito del procedimento penale. Infatti, dopo aver disposto termini brevissimi per l'avvio (contestualmente al provvedimento di sospensione da adottare entro 48 ore dalla conoscenza del fatto) e la conclusione (trenta giorni a fronte dei centoventi giorni normalmente previsti) del procedimento disciplinare, la norma dispone che «la denuncia al pubblico ministero e la segnalazione alla competente procura regionale della Corte dei conti avvengono entro venti giorni dall'avvio del procedimento disciplinare. La Procura della Corte dei conti, quando ne ricorrono i presupposti, emette invito a dedurre per danno d'immagine entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento. L'azione di responsabilita' e' esercitata, con le modalita' e nei termini di cui all'art. 5 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, entro i centocinquanta giorni successivi alla denuncia, senza possibilita' di proroga" In tal senso si e' espressa anche la giurisprudenza contabile, che ha affermato l'esistenza di «indiscutibili caratteri di autonomia» tra la fattispecie contemplata dall'art. 55-quinquies, e quella, piu' generale, prevista, dall'art. 17, comma 30-ter, decreto-legge n. 78/2009, precisando che con la suddetta norma il legislatore ha «voluto prescindere, ai fini della punibilita' erariale della fattispecie, da un previo pronunciamento sulla responsabilita' penale» come «e' chiaramente dimostrato dall'inciso contenuto nel secondo comma dell'art. 55-quinquies, a tenore del quale si puo' procedere all'applicazione della norma .. ferme la responsabilita' penale e disciplinare e le relative sanzioni...» (sezione II appello 662/2017). Quanto alla mancata commissione da parte del responsabile di un qualsiasi reato, vanno richiamati l'art. 1, comma 12, della legge 6 novembre 2012, n. 190, e l'art. 46 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, come modificato dall'art. 37 del decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97. La prima disposizione prevede che il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza possa essere citato in giudizio «per il danno erariale e all'immagine della pubblica amministrazione», qualora venga commesso all'interno dell'amministrazione, un reato di corruzione, accertato con sentenza passata in giudicato; la seconda prevede che, per il responsabile della trasparenza, il mancato adempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente e il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso civico costituiscono «causa di responsabilita' per danno all'immagine dell'amministrazione». Osserva il Collegio che costituisce ormai jus receptum, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 codice civile, che il danno non patrimoniale e' risarcibile, senza necessita' di un'espressa previsione legislativa, quando il fatto illecito, non necessariamente configurabile come reato, ha violato in modo grave i diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale (ex multis Cass. 4542/2012, Cass. SU civili 26972/08 e 6572/06) e che la tutela dell'immagine della pubblica amministrazione trova il suo fondamento nell'art. 97, secondo comma, della costituzione, il quale «impone la costruzione, sul piano legislativo, di un modello di pubblica amministrazione che ispiri costantemente la sua azione al rispetto dei principi generali di efficacia, efficienza e imparzialita'. Si tratta di regole che conformano, all'"interno» le modalita' di svolgimento dell'attivita' amministrativa. E' indubbio come sussista una stretta connessione tra la tutela dell'immagine della pubblica amministrazione e il rispetto del suddetto precetto costituzionale. Puo' ritenersi, infatti, che l'autorita' pubblica sia titolare di un diritto "personale", rappresentato dall'immagine che i consociati abbiano delle modalita' di azione conforme ai canoni del buon andamento e dell'imparzialita'. Tale relazione tendenzialmente esistente tra le regole "interne", improntate al rispetto dei predetti canoni, e la proiezione "esterna" di esse, giustifica il riconoscimento, in capo all'amministrazione, di una tutela risarcitoria» (Corte costituzionale sentenza n. 355/2010 punto 16 della parte in diritto). Il diritto all'immagine costituisce, pertanto, un diritto inviolabile della persona giuridica pubblica che trova il suo fondamento nel principio di buon andamento sancito dall'art. 97, secondo comma, della Costituzione. Diritto che viene leso quando l'amministrazione, a causa della condotta illecita perpetrata dai dipendenti infedeli, perde credibilita' e la fiducia dei cittadini - amministrati, poiche' ingenera in questi ultimi la convinzione che il comportamento illecito posto in essere dal dipendente rappresenti il modo in cui essa agisce ordinariamente. Da cio' consegue che un comportamento illecito privo di rilevanza penale puo' ledere l'immagine in misura maggiore rispetto ad illeciti costituenti anche reati, non solo perche' ingenera nei cittadini la convinzione che l'azione dell'amministrazione sia sistematicamente inefficace, inefficiente ed antieconomica, ma perche' evidenzia una deresponsabilizzazione dell'intero apparato, incapace di venire incontro alle necessita' degli utenti, come dimostrato dalla risonanza e diffusione dei fenomeni cd di mala amministrazione. Un illecito non penale, consistente ad esempio, come nella fattispecie del presente giudizio, in omessa vigilanza, puo' causare un danno maggiore di una condotta penalmente rilevante, anche in considerazione della frequenza e ripetitivita' di tali comportamenti. In altre parole cio' che effettivamente lede l'immagine dell'amministrazione non e' la commissione di un determinato reato da parte di un dipendente infedele, quanto l'esistenza di un illecito, anche penalmente non rilevante, che denota l'inefficienza dell'apparato e la sua incapacita' di agire, secondo il canone sancito dall'art. 97, secondo comma. Cost. E' questa la ratio delle norme sopra richiamate che prevedono la responsabilita' per danno all'immagine dell'amministrazione del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza Il cd Lodo Bernardo, emanato «all'evidente scopo di consentire un esercizio dell'attivita' di amministrazione della cosa pubblica, oltre che piu' efficace ed efficiente, il piu' possibile scevro da appesantimenti, ritenuti dal legislatore eccessivamente onerosi, per chi e' chiamato, appunto, a porla in essere», (sentenza 355/2010 punto 8 del diritto), paradossalmente viola proprio il canone di buon andamento che intendeva tutelare, non consentendo la risarcibilita' del danno all'immagine proprio nei casi di maggiore inefficienza dell'amministrazione. In conclusione, il Collegio ritiene irrazionale aver collegato la risarcibilita' del danno all'immagine alla commissione di determinati reati, impedendo che il predetto danno possa essere perseguito anche quando e' causato da comportamenti illeciti penalmente non rilevanti e nell'aver richiesto che il delitto per il quale e' consentito l'esercizio dell'azione venga previamente accertato con sentenza penale di condanna passata in giudicato, perche' in tal modo la risarcibilita' del danno all'immagine non ha alcuna connessione con la effettiva gravita' della lesione causata dalla condotta illecita. Tale irrazionalita' risulta avvalorata dalle norme emesse successivamente al Lodo Bernardo, che privano la disciplina legislativa sul danno all'immagine di una propria coerenza logica, con la aberrante conseguenza che e' possibile richiedere il risarcmento del danno all'immagine al pubblico dipendente che giustifica l'assenza dal servizio, magari di soli due o tre giorni, mediante una certificazione medica falsa, o attestante falsamente uno stato di malattia, mentre ne' e' impedita l'azionabilita' nei confronti di chi ha commesso, o ha impedito che venissero commessi, fatti che hanno oscurato l'immagine dell'intera Nazione, tanto da essere definiti da Amnesty International come «la piu' grande sospensione dei diritti umani e democratici dalla Seconda guerra mondiale in Europa». Questa conclusione appare manifestamente illogica, irrazionale, intrinsecamente contraddittoria e contraria al piu' elementare senso di giustizia.
P. Q. M. Solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 30-ter, secondo periodo del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito con modifiche dalla legge n. 102 del 2009, a sua volta modificata dalla legge n. 141 del 2009, in relazione agli articoli 3, 97, secondo comma, e 103, secondo comma, della Costituzione. Ordina la sospensione del giudizio e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone, ai sensi dell'art. 23, ultimo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa al Procuratore regionale ed al Presidente dei Consiglio dei ministri e che sia comunicata anche ai presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Genova, nelle Camere di consiglio del 9 e 29 marzo, del 3 e 26 maggio, del 21 giugno, del 18 luglio, del 2 agosto, del 6 settembre 2017 e del 4 aprile 2018. Il Presidente estensore: Pischedda Depositato in segreteria in data 22 maggio 2018. Il Funzionario preposto: Casciani