N. 167 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 marzo 2018
Ordinanza del 6 marzo 2018 del Tribunale di Catania nel procedimento penale a carico di C. D. . Reati e pene - Esclusione della punibilita' per particolare tenuita' del fatto - Inapplicabilita' ai reati di competenza del giudice di pace. - Codice penale, art. 131-bis.(GU n.47 del 28-11-2018 )
TRIBUNALE DI CATANIA Seconda Sezione penale Il giudice, dott. Ottavio Grasso, letti gli atti del procedimento n. 98/2017 R.G.App. all'esito della Camera di consiglio di cui all'udienza del 6 marzo 2018; Osserva Con atto di appello depositato in data 5 aprile 2017 C. D., imputato del reato di cui all'art. 590 codice penale, proponeva impugnazione, anche ai fini delle statuizioni civili, avverso la sentenza del Giudice di pace di Catania n. 72/2017 del 7 marzo 2017 con la quale il medesimo era stato condannato alla pena di euro 400,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, da liquidarsi in separata sede civile, ed alla rifusione (in solido con il responsabile civile HDI Assicurazioni) delle spese legali da quest'ultima sostenute. L'appellante, in particolare, lamentava l'errata valutazione da parte del giudice di prime cure in ordine alla sussistenza del nesso di causalita' tra il sinistro stradale occorso e le lesioni personali riportate dalla parte civile, nonche' l'omessa pronuncia ai sensi dell'art. 35 decreto legislativo n. 274/2000 e, in subordine, domandava pronunciarsi sentenza di assoluzione ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 530 codice di procedura penale e 131-bis codice penale, stante la tenuita' dell'offesa subita dalla persona offesa (trattasi, pii specificamente, di lesioni personali lievi da cervicalgia post-traumatica, giudicate guaribili in giorni otto). La sentenza emessa dal Giudice di pace in primo grado ha sancito la penale responsabilita' dell'odierno imputato sulla base dell'attivita' istruttoria espletata, correttamente ritenendo sussistente il nesso eziologico tra la condotta colposa del medesimo (consistita nella mancata osservanza della distanza di sicurezza mentre si trovava alla guida del veicolo) ed il danno patito dalla p.o. costituitasi parte civile, ma nulla ha statuito in ordine alla possibilita' di una pronuncia ai sensi degli articoli 34 e 35 decreto legislativo n. 274/2000. Riguardo alla doglianza relativa alla mancata applicazione dell'art. 35 cit., giova sottolineare che la giurisprudenza allo stato e' ondivaga in ordine all'applicabilita' del medesimo da parte del Tribunale quale giudice di secondo grado () e che, ad ogni modo, ad avviso di questo Tribunale, anche a voler accedere alla tesi favorevole, sarebbe in ogni caso, preliminare, una valutazione in ordine alla effettivita' applicabilita' nel caso concreto del disposto dell'art. 131-bis codice penale, in conformita' ai principi sanciti dall'art. 129 codice di procedura penale in forza dei quali e' dovere dell'organo giurisdizionale vagliare la possibilita' di addivenire ad una pronuncia di assoluzione nel merito (quale quella di assoluzione ex art. 131-bis c.p.) piuttosto che di mero proscioglimento (quale quella di dichiarazione di estinzione del reato per condotte riparatorie ex art. 35 cit.). Con riferimento al diverso profilo della tenuita' del fatto occorre, invece, rilevare che il Giudice di pace nulla ha osservato in ordine alla possibilita' di addivenire ad una pronuncia ai sensi dell'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 durante tutto il corso del procedimento e che, per contro, l'appellante nell'atto introduttivo del giudizio di secondo grado ha postulato una pronuncia di assoluzione ai sensi dell'art. 131-bis c.p. Orbene, alla luce di cio', appare opportuno sottolineare le differenze intercorrenti tra le due disposizioni in questione, id est l'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000, da un lato, e l'art. 131-bis codice penale, anche alla luce della recente pronuncia della Corte di cassazione a Sezioni Unite n. 53683 del 22 giugno 2017. La prima e' norma pensata con particolare riferimento al settore dei reati rientranti nella cognizione del Giudice di pace ed in forza della quale viene attribuito a quest'ultimo il potere-dovere di chiudere il procedimento, sia prima che dopo l'esercizio dell'azione penale, dovendo riscontrare il difetto di una condizione di procedibilita' allorquando il fatto incriminato risulti di «particolare tenuita'» rispetto all'interesse tutelato e tale, per l'effetto, da non giustificare l'esercizio o la prosecuzione dell'azione penale. In ordine al riscontro della sussistenza, in concreto, di un fatto che possa qualificarsi come tenue, il giudicante e' chiamato a valutare l'esiguita' del danno o del pericolo scaturiti dalla condotta del reo, l'occasionalita' della medesima ed il grado di colpevolezza, dovendo addivenire ad una pronuncia in tal senso ogniqualvolta l'esercizio dell'azione penale non appaia alla stregua di tali parametri giustificato ovvero la sua prosecuzione possa recare un pregiudizio alle esigenze di lavoro, studio, famiglia o salute dell'indagato/imputato. L'art. 131-bis codice penale (introdotto nel codice penale ad opera del decreto legislativo n. 28/2015), rubricato «Esclusione della punibilita' per particolare tenuita' del fatto», generalizzando le acquisizioni gia' fatte proprie dal legislatore con l'art. 34 citato (in materia di processo penale innanzi al Giudice di pace) e con l'art. 27 decreto del Presidente della Repubblica n. 448/88 (in materia di processo penale minorile), ha dato nuovo vigore al principio di offensivita', costituente pilastro fondamentale del sistema del diritto penale, volendo sancire la necessita' che, non soltanto la condotta integrante reato abbia carattere offensivo, ma vieppiu' che l'offesa da essa scaturente appaia significativa. Scopo della citata norma e', evidentemente, quello di ridurre l'intervento della sanzione penale ad extrema ratio, escludendone l'operativita' in presenza di condotte bagatellari a fini di deflazione del contenzioso. In tali casi, dunque, si e' in presenza di una condotta che e' e continua ad essere penalmente rilevante e, purtuttavia, il legislatore rinunzia espressamente alla sua punibilita' in concreto, ritenendo che l'offesa da essa arrecata sia di tale tenuita' da non meritare considerazione in sede penale. L'art. 131-bis codice penale, dunque, sull'onta di una valutazione di opportunita' compiuta in astratto dal legislatore, persegue una mera finalita' deflattiva (manca, infatti, nella norma qualsiasi riferimento a finalita' latu sensu rieducative, come, invece, avviene nelle norme citate ad essa preesistenti) con specifico riferimento ai soli reati puniti con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni ovvero con pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, ritenuti evidentemente di minor allarme sociale. Nel far cio' il legislatore ha imposto al giudice di merito di operare una valutazione sulla scorta di alcuni indici-criteri normativamente stabiliti: trattasi, piu' specificamente, della particolare tenuita' dell'offesa (da valutare, a sua volta, alla stregua degli indici-requisiti della modalita' della condotta e dell'esiguita' del danno o del pericolo) e della non abitualita' del comportamento. Dal mancato coordinamento, in seguito alla novella del 2015, tra il nuovo art. 131-bis codice penale ed il vecchio art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 e' scaturita la coesistenza nel sistema processuale riguardante gli imputati maggiorenni di due diversi modelli di proscioglimento per tenuita': il primo configurante un'ipotesi di non punibilita'; il secondo integrante, invece, un'ipotesi di improcedibilita'. Giurisprudenza e dottrina si sono sin da subito cimentate con la corretta ricostruzione del rapporto intercorrente tra le due norme e ben ne hanno individuato le differenze, assestandosi nel senso che, sebbene entrambi gli istituti facciano riferimento, nella rubrica dell'articolo che li contempla, alla «particolare tenuita' del fatto», essi hanno struttura e ambito di applicazione non coincidenti. In particolare, «l'art. 131-bis codice penale, prevede, infatti, una causa di esclusione della "punibilita'" allorche' - per le modalita' della condotta e per l'esiguita' del danno o del pericolo - "l'offesa" all'interesse protetto sia particolarmente tenue; l'art. 34 cit. contempla una causa di esclusione della "procedibilita'" quando "il fatto" - valutato nella sua componente oggettiva (esiguita' del danno o del pericolo) e soggettiva (occasionalita' della condotta e grado della colpevolezza) - sia di particolare tenuita'» (Cassazione Penale, sez. V, 12 gennaio 2017 n. 9713). I due istituti differiscono, dunque, gia' sotto il profilo della rispettiva natura giuridica, processuale nel caso della causa di improcedibilita' ex art. 34 del decreto legislativo n. 274/2000 e sostanziale nel caso della causa di non punibilita' ex art. 131-bis codice penale, oltre che nei presupposti costitutivi ed applicativi. Differiscono, inoltre, nel diverso ruolo riconosciuto alla parte offesa, atteso che «Quanto alle condizioni dell'applicazione, la causa di esclusione della punibilita' di cui all'art. 131-bis codice penale richiede che sia "sentita" la persona offesa (articoli 411 e 469 c.p.p.), mentre l'applicabilita' del decreto legislativo n. 274 del 2000, art. 34, e' subordinata - nella fase delle indagini preliminari - alla condizione che "non risulti un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento" e, nella fase del giudizio, alla mancata opposizione sia dell'imputato che della persona offesa» (Cassazione Penale, sez. V, 12 gennaio 2017 n. 9713). Cio' e' coerente con la natura dell'art. 34, pensato con riferimento ai reati di competenza del Giudice di pace, in un'ottica propria di «conciliazione» tra le parti, sicche' alla p.o. sono stati attribuiti ben piu' penetranti poteri: si tratta di una differenza di non poco conto, posto che il diverso ruolo giocato dall'interesse della persona offesa (o dal diritto potestativo di questa e dell'imputato, dopo l'esercizio dell'azione penale) colloca i due istituti su piani diversi di praticabilita', subordinando l'operativita' di quest'ultimo ad una valutazione piu' ampia e stringente di quella richiesta dall'art. 131-bis codice penale, che risulta, invece, ancorato essenzialmente al dato oggettivo del grado dell'offesa. L'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 ha, quindi, un ambito di applicazione ben piu' ristretto rispetto alla norma sostanziale inserita all'interno del codice penale, che dunque si atteggia a norma di maggior favore per l'imputato. Gia' all'indomani dell'entrata in vigore dell'art. 131-bis codice penale la Corte costituzionale (sentenza n. 25 del 2015) si e' pronunciata in ordine alla coesistenza delle due norme nell'alveo del sistema penale, ritenendola pienamente legittima proprio perche' si tratta di norme strutturalmente e sostanzialmente diverse. Ad ogni modo cio' non e' valso ad acquietare la giurisprudenza, che si e' incessantemente interrogata in ordine alla portata applicativa del nuovo art. 131-bis codice penale, proprio in quanto avente natura di norma sostanziale e non meramente processuale. Ai fini che qui interessano, preme, in particolar modo, sottolineare il contrasto registratosi nella giurisprudenza di merito e di legittimita' in ordine all'applicabilita' di tale disposizione anche nei procedimenti pendenti dinanzi al Giudice di pace. L'indirizzo maggioritario ha ritenuto che i rapporti tra le due norme vadano risolti alla stregua del principio di specialita', sicche', proprio in virtu' dei caratteri peculiari di ciascuna norma, nei procedimenti pendenti dinnanzi al giudice di pace potrebbe trovare applicazione il solo art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 (cfr. ex multis Cassazione penale, sez. V, 28 novembre 2016 n. 54173), mentre per l'indirizzo interpretativo minoritario il carattere di maggior favore della disciplina prevista dall'art. 131-bis c.p. deve necessariamente far propendere per la sua applicabilita' a tutti i reati, ivi compresi quelli di competenza del Giudice di pace, pena l'irrazionalita' di un sistema che non consentisse l'applicazione di una norma di diritto sostanziale proprio ai reati ritenuti dal legislatore di minore gravita' e, pertanto, devoluti alla cognizione del Giudice di pace (cfr. ex multis Cassazione penale, sez. V, 12 gennaio 2017 n. 9713). Orbene, a porre un punto fermo sulla questione sono intervenute di recente le Sezioni Unite della Corte di cassazione, che con la sentenza n. 53683 del 22 giugno 2017 hanno definitivamente sancito il principio di diritto in virtu' del quale «la causa di esclusione della punibilita' per particolare tenuita' del fatto, prevista dall'art. 131-bis codice penale, non e' applicabile nei procedimenti relativi a reati di competenza del giudice di pace». Le Sezioni Unite sono addivenute a tale conclusione partendo dall'assunto che, come rilevato dalla Corte costituzionale nell'ordinanza n. 50 del 2016, «il procedimento davanti al giudice di pace presenti caratteri assolutamente peculiari, che lo rendono non comparabile con il procedimento davanti al tribunale, e comunque tali da giustificare sensibili deviazioni rispetto al modello ordinario», sicche' la parametrazione dell'ambito applicativo delle due norme non deve avvenire ne' in base al principio di specialita' di cui all'art. 15 codice penale, ne' in base al principio di necessaria operativita' della lex mitior di cui all'art. 2 codice penale, dovendosi, al contrario, configurare tra le medesime un rapporto di interferenza, posto che ciascuna presenta elementi specializzanti rispetto all'altra. Ne consegue che, «posto che al decreto in materia di processo penale dinanzi al giudice di pace si addice il carattere di "legge penale speciale", ai sensi e per gli effetti dell'art. 16 codice penale, la ricerca dell'interprete a fronte dell'introduzione di un nuovo modello normativo - quale l'art. 131-bis cod. pen. -, avente ad oggetto la stessa materia gia' regolata in modo completo dall'art. 34 del detto decreto, non puo' limitarsi al raffronto fra quest'ultimo e il precetto successivo, ma deve elevare il proprio orizzonte fino a verificare se la legge penale speciale nel suo complesso non contenesse gia' un'autonoma disciplina della materia, mirata rispetto alle finalita' del procedimento e tale percio' da precludere, a priori, l'operazione del confronto fra singole leggi o disposizioni sulla stessa materia, espressamente disciplinata dall'art. 15 codice penale, con riferimento al rapporto fra piu' leggi penali». Da quanto premesso, il Giudice nomofilattico trae, dunque, la conclusione che il rapporto fra i due istituti disciplinati rispettivamente agli articoli 131-bis codice penale e 34 decreto legislativo n. 274/2000 non sia di «compatibilita'/incompatibilita'», ma di «concreta applicabilita'» ai sensi dell'art. 16 codice penale: tale ultima norma tutela la dignita' delle leggi penali speciali (quale e', appunto, da considerarsi il decreto legislativo n. 274/2000), escludendo che su di esse possa incidere la normativa codicistica sopravvenuta ogniqualvolta la materia sulla quale quest'ultima interviene sia gia' coperta da una disciplina ad hoc, anche funzionalmente orientata, quale e' quella di cui all'art. 34 cit. Gli argomenti che fanno leva sulla natura di norma penale piu' favorevole dell'art. 131-bis codice penale possono, infine, ad avviso delle Sezioni Unite, essere superati alla luce della configurazione del procedimento dinanzi al Giudice di pace come procedimento speciale per il quale il legislatore ha inteso prevedere specifici epiloghi decisori, modulati al fine di consentire al giudice di realizzare la conciliazione tra le parti. Chiarito quanto sopra, ad avviso del decidente, si pone, a questo punto, un dubbio di legittimita' costituzionale dell'art. 131-bis codice penale, nella misura in cui esso non sia applicabile anche nei procedimenti aventi ad oggetto reati di competenza del Giudice di pace e su cui il Tribunale viene investito quale giudice di appello. Si ritiene, pertanto, di dovere rimettere alla Corte costituzionale la valutazione di legittimita' dello stesso, indicando di seguito la presenza dei presupposti per adire la medesima. a. Sulla rilevanza della questione. Com'e' noto, la prima delle condizioni dettate dall'art. 23 della legge n. 87/1953 per poter procedere a sollevare questione di legittimita' costituzionale e' la rilevanza della medesima nell'alveo del procedimento che l'Autorita' giudiziaria procedente e' chiamata a decidere. Con cio' s'intende, da un lato, la necessita' che la norma debba trovare applicazione nel caso di specie e, dall'altro lato, la possibilita' che un'eventuale pronuncia della Corte influisca su tale giudizio, c.d. pregiudizialita' costituzionale (cfr. ordinanza Corte costituzionale n. 129/2017). Ebbene, nel caso di specie, essendo il giudizio principale giunto pressoche' al suo epilogo, l'odierno decidente dovrebbe decidere la controversia e, attenendosi all'interpretazione prospettata dalle Sezioni Unite nella sentenza prima citata, in ossequio alla essenziale funzione nomofilattica da queste svolta, dovrebbe decidere il processo addivenendo ad una pronuncia di merito, senza potere fare ricorso, come peraltro richiesto dalla Difesa, all'art. 131-bis c.p. Ritiene, in particolare, questo decidente che, nel caso di specie, sussisterebbero tutti i requisiti necessari per addivenire ad una pronuncia ai sensi dell'art. 131-bis codice penale, atteso che: il reato di cui all'art. 590 codice penale e' punito con la pena della reclusione fino a tre mesi o della multa fino ad euro 309,00: pertanto rientra all'interno dei limiti edittali stabiliti dall'art. 131-bis, comma 1, codice penale; si tratta, evidentemente, di un'offesa di particolare tenuita': e cio' sia alla stregua delle modalita' della condotta (trattandosi di condotta meramente colposa e consistita nel mancato rispetto della distanza di sicurezza da parte dell'imputato mentre si trovava alla guida della propria auto, incolonnato nel traffico), sia alla luce dell'esiguita' del danno cagionato alla p.o. (lesioni personali da cervicalgia post-traumatica giudicate guaribili in giorni otto, dunque lievi per definizione), non ricorrendo alcuna della condizioni ostative di cui al comma 2 del medesimo art. 131-bis codice penale; non si e', infine, in presenza di un comportamento che possa qualificarsi come «abituale»: e', infatti, evidente che un sinistro stradale da cui derivino delle lesioni per uno dei conducenti coinvolti e' per definizione un accadimento contingente e del tutto occasionale, dovendosi in aggiunta rilevare che l'imputato e' soggetto assolutamente incensurato ai fini del comma 3 dell'art. 131-bis c.p. Quanto finora esposto rende, dunque, evidente la rilevanza della questione, posto che l'inapplicabilita' dell'art. 131-bis codice penale determinerebbe, evidentemente un esito definitorio diverso. b. Sulla non manifesta infondatezza. Passando al requisito della non manifesta infondatezza, richiesto anch'esso dall'art. 23, legge n. 87/1953, occorre dire, in sintonia con quanto affermato dalla giurisprudenza della Corte, che il giudice del giudizio a quo, affinche' sia soddisfatto il requisito in parola, debba nutrire un serio dubbio di costituzionalita' della disposizione oggetto di rimessione al Giudice delle leggi. Nel caso di specie anche tale condizione appare integrata perche' si ritiene che l'art. 131-bis codice penale, cosi' come dev'essere interpretato dopo la pronuncia delle Sezioni Unite penali della Corte di cassazione n. 53683 del 22 giugno 2017, determini un evidente vulnus al principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. L'art. 3 Cost., infatti, sancisce non solo la necessita' di uguaglianza in senso formale e sostanziale di fronte alla legge ed il conseguente divieto di discriminazione, ma anche la necessita' che a situazioni uguali corrispondano trattamenti uguali ed a situazioni diverse trattamenti diversi (c.d. doverosa ragionevolezza delle leggi). La norma impugnata si pone in contrasto con tale ultimo principio. Essa si palesa, in particolar modo, irragionevole laddove, come interpretata dalle Sezioni Unite, non e' applicabile a fatti di minor disvalore, quali sono quelli rientranti nella sfera di competenza del Giudice di pace, mentre ben puo' trovare applicazione in relazione a fatti di maggiore gravita', soggetti alla cognizione del Tribunale. Appare, infatti, del tutto irrazionale che una norma di diritto sostanziale, quale e' l'art. 131-bis codice penale - nata per evitare all'imputato le possibili ricadute negative scaturenti dalla condanna per fatti di minima offensivita', i quali, per il comune sentire sociale, sono connotati da minimo disvalore - sia inapplicabile proprio ai reati che, per essere di competenza del Giudice di pace, sono per definizione di minore gravita'. Vale, evidentemente, a palesare il significato di quanto detto il riferimento, a titolo meramente esemplificativo, al reato di minacce di cui all'art. 612 codice penale. Appare, infatti, manifestamente irragionevole che, di fronte ad una fattispecie di minaccia ex art. 612, comma 1 codice penale (come tale rientrante nella competenza del Giudice di pace) il Tribunale, chiamato a conoscere della medesima in sede di impugnazione, non possa pronunciare sentenza di assoluzione per tenuita' del fatto, mentre ad una pronuncia di tal fatta possa addivenire in relazione alla ben piu' grave ipotesi di minaccia grave di cui all'art. 612, comma 2 codice penale, come tale rientrante nella sfera di competenza del Tribunale stesso, ma pendente in primo grado. Vieppiu' vale a lumeggiare quanto fin qui esposto il richiamo, ancora una volta a titolo esemplificativo, al reato di lesioni: e' evidente, infatti, che due fattispecie in concreto assolutamente identiche di lesioni lievi (dunque con prognosi inferiore a venti giorni), l'una per cosi' dire «semplice», e come tale rientrante nella competenza del Giudice di pace, l'altra aggravata ai sensi dell'art. 585 codice penale (es. per la ricorrenza di una delle circostanze aggravanti di cui all'art. 577 c.p.) e conseguentemente soggetta alla cognizione del Tribunale quale giudice di primo grado, ove ritenute concretamente qualificabili come «tenui», vadano incontro ad esiti sostanzialmente diversi. Ed infatti, mentre nel secondo caso, conoscendo di una fattispecie di lesioni tenui aggravate ex art. 577 codice penale, il Tribunale, ben potrebbe, ove riscontrasse in concreto la sussistenza di tutti i requisiti di cui all'art. 131-bis codice penale, addivenire ad una pronuncia assolutoria ai sensi del combinato disposto degli articoli 530 codice di procedura penale e 131-bis codice penale; al contrario, il Tribunale chiamato a pronunciarsi su una fattispecie di lesioni tenui c.d. «semplici» in sede di gravame, laddove il giudice di primo grado non avesse reso una pronuncia ai sensi dell'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 (es. a seguito di opposizioni della persona offesa), non potrebbe, pur ritenendo integrati tutti i requisiti normativamente stabiliti dall'art. 131-bis codice penale, pronunciare sentenza di assoluzione ai sensi di tale ultima norma. E', dunque, evidente l'irragionevolezza della norma, ed appare pertanto, non manifestamente infondata, la questione circa la legittimita' costituzionale della medesima. c. Sull'assenza di un'interpretazione costituzionalmente conforme della norma. E' noto come, gia' a partire dagli anni novanta, la Corte richieda al giudice remittente uno sforzo interpretativo ulteriore, volto a tentare una lettura costituzionalmente conforme della norma impugnata, prima di rimettere la questione di legittimita' costituzionale alla Corte, dovendosi tale rimedio atteggiare ad extrema ratio di tenuta costituzionale del sistema. La ratio di tale ulteriore condizione risiede nella circostanza che affinche' una norma possa considerarsi incostituzionale in senso stretto e' necessario che di essa non possa darsi un'interpretazione costituzionalmente conforme, non essendo sufficiente, al contrario, che se ne possano dare anche letture incostituzionali, in quanto e' compito di ciascun giudice adottare, tra le varie esegesi possibili, quella che meglio si presta ad assicurare il rispetto dei principi sanciti dalla Carta fondamentale (in tal senso Corte costituzionale n. 42/2017). La Corte ha, pero', chiarito che vi sono comunque dei limiti all'interpretazione costituzionalmente conforme, nel senso che l'univoco tenore letterale della norma segna il confine oltre il quale il tentativo di interpretazione conforme deve cedere necessariamente il passo al sindacato di legittimita' costituzionale (Corte cost. n. 26/ 2010; ed anche Corte costituzionale n. 270-315/2010). Peraltro, si puo' anche dire che l'interpretazione costituzionale trovi di fatto un limite logico nel «dovere» dei giudici di merito di attenersi il piu' possibile all'interpretazione fornita dalla Corte di cassazione, specie ove a Sezioni Unite, in ossequio alla funzione nomofilattica da quest'ultima assolta ai sensi dell'art. 65 ord. giud. Detta disposizione ha evidentemente lo scopo di recuperare, quantomeno sul piano della stabilita' della giurisprudenza, l'essenziale valore della certezza del diritto, garantendone l'uniforme interpretazione e realizzando la prevedibilita' delle decisioni giurisdizionali. Cio' premesso, il giudice a quo ritiene che, nel caso di specie, la recente pronuncia delle Sezioni Unite Penali n. 53683 del 22 giugno 2017, con la quale la Suprema Corte ha voluto escludere radicalmente l'applicabilita' dell'art. 131-bis codice penale ai reati di competenza del Giudice di pace, costituisca ostacolo insormontabile ad un'interpretazione costituzionalmente orientata del medesimo, tale da giustificarne la rimessione alla Corte.
P.Q.M. visti gli articoli 134 Costituzione e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; ritenuta la questione non manifestamente infondata e rilevante per la decisione del presente giudizio; solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 131-bis codice penale. nella misura in cui esso non e' applicabile ai reati rientranti nella competenza del Giudice di pace, per violazione dell'art. 3 della Costituzione; dispone la sospensione del procedimento in corso; ordina la notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e la comunicazione della stessa ai presidenti della Camera dei deputati e del Senato; dispone la trasmissione dell'ordinanza alla Corte costituzionale insieme agli atti del giudizio ed alla prova delle notificazioni e delle comunicazioni prescritte. Manda alla cancelleria per le comunicazioni e per gli altri adempimenti di rito. Cosi' deciso a Catania il 6 marzo 2018, all'esito della Camera di consiglio. Il giudice: Grasso