N. 168 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 settembre 2017

Ordinanza del 20 settembre 2017 del G.I.P. del Tribunale di  Macerata
nel procedimento penale a carico di M. H. . 
 
Processo penale - Procedimento per decreto - Irrogazione di una  pena
  pecuniaria in sostituzione di  una  pena  detentiva  -  Criteri  di
  ragguaglio. 
- Codice di procedura penale, art. 459 [, comma 1-bis]. 
(GU n.47 del 28-11-2018 )
 
                        TRIBUNALE DI MACERATA 
 
    Il tribunale penale di Macerata, ufficio GIP-GUP,  nella  persona
del dott. Giovanni M. Manzoni; 
    Premesso che  in  data  30  agosto  2017  il  pubblico  ministero
chiedeva emettersi decreto penale nei confronti di H. M. per il reato
di cui all'art. 186 CdS, con pena di giorni quindici  di  arresto  ed
euro 1100 di ammenda, ridotta per il rito a giorni nove di arresto ed
euro 750 di ammenda e conversione della pena in complessivi euro 1425
di ammenda, con conversione di ogni giorno di arresto in euro  75  di
ammenda. 
    Tanto premesso questo giudice 
 
                               Osserva 
 
    L'art. 459 c.p.p. prevede che: 
        in caso di emissione di decreto penale,  ove  venga  irrogata
una pena pecuniaria, anche in  sostituzione  di  pena  detentiva,  il
valore giornaliero di conversione della pena detentiva in  pecuniaria
vari tra la somma di euro 75 e il triplo di tale somma (tenuto  conto
delle condizioni economiche dell'imputato e del nucleo familiare); 
        il pubblico ministero possa chiedere applicazione della  pena
diminuita sino alla meta' rispetto al minimo edittale. 
    Ritiene  questo  giudice  che  tale  previsione  possa  porsi  in
contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione. 
    Se, infatti, la Corte costituzionale ha ripetutamente evidenziato
la ammissibilita' di sconti di pena premiali in relazione alla scelta
da parte dell' imputato di  riti  alternativi  (o,  per  quanto  oggi
occupa, per  la  sua  non  opposizione  alla  scelta  effettuata  dal
pubblico ministero di procedere con decreto penale e  alla  emissione
di decreto penale da parte del giudice), ritiene questo  giudice  che
il quadro  delineato  dalla  nuova  normativa  sia  inammissibilmente
eccentrico rispetto alle ordinarie dinamiche processuali. 
    L'art. 459, infatti, non  solo  prevede  la  possibilita'  di  un
elevato sconto di pena (la meta' rispetto  al  limite  edittale)  ma,
altresi', un tasso di conversione della pena detentiva in  pecuniaria
del tutto anomala rispetto al criterio di cui all'art.  53  legge  n.
689/1981 - 250 euro pro  die,  moltiplicabili  sino  a  10  volte  in
relazione alle condizioni economiche del reo. 
    La conversione della pena  detentiva  in  pecuniaria  non  viene,
infatti, effettuata secondo un tasso fisso di un giorno  =  250  euro
come prevede art. 135 c.p. con quella di cui all'art.  53,  legge  n.
689/1981 (un giorno = 250-2500 euro), ma con conversione di un giorno
di pena detentiva in somma non inferiore a 75 euro e non superiore  a
225 euro con parametrazione all'interno  di  tale  range  determinata
tenuto conto «della condizione economica complessiva dell'imputato  e
del suo nucleo familiare» (criterio che  riecheggia  quello  previsto
dall'art. 133-bis c.p. - in relazione pero' al differente caso  della
determinazione dell'ammontare della multa o dell'ammenda - e richiama
chiaramente quello  di  cui  all'art.  53,  legge  n.  689/1981»  per
determinare l'ammontare della pena pecuniaria il giudice individua il
valore giornaliero al quale puo' essere assoggettato l'imputato e  lo
moltiplica  per  giorni  di  pena  detentiva.  Nella   determinazione
dell'ammontare di cui al precedente periodo il  giudice  tiene  conto
della condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo
familiare. Il valore giornaliero non puo' essere inferiore alla somma
indicata dall'art. 135 del codice penale e non puo' superare di dieci
volte tale ammontare»). 
    Alla luce di quanto sopra ritiene questo giudice che  la  attuale
disciplina prevista dall'art. 459  c.p.p.  sia  sospetta  di  violare
l'art.  3  della  Costituzione  in  quanto,  se   appare   pienamente
condivisibile che la sanzione pecuniaria  possa  essere  modulata  in
relazione alle condizioni economiche del reo, al  fine  di  garantire
analoga afflittivita'  della  stessa  in  relazione  alla  differente
situazione patrimoniale dei singoli imputati,  tale  modulazione  non
puo'  risentire  della  scelta  del  rito  in  modo  da   stravolgere
totalmente il trattamento  sanzionatorio  in  caso  di  emissione  di
decreto penale, con pena del tutto differente rispetto a  quella  che
sarebbe applicabile in caso di rito ordinario. 
    Si consideri infatti che: 
        nel caso di emissione di decreto penale di condanna l'importo
pecuniario varia entro un range edittale  base  con  possibilita'  di
moltiplicarlo per tre (75-225), mentre in tutti i  restanti  casi  di
conversione di pena detentiva in pecuniaria l'importo  pecuniario  e'
di importo comunque superiore e con possibilita' di moltiplicarlo per
10 (250 - 2500 euro), con differenza  che  non  trova  origine  nella
diversa natura dei fatti oggetto di giudizio. 
    Il pubblico ministero,  pertanto,  ha  la  possibilita',  con  la
scelta del rito (rimessa  alla  sua  discrezionalita'  la  scelta  se
chiedere decreto penale o procedere diversamente), di determinare  il
tasso  di  conversione  della  pena  sostanziale  finale   irroganda,
quantomeno sotto il profilo di precludere all'imputato di fruire  del
particolare favore di  cui  all'art.  459  c.p.p.  non  chiedendo  la
emissione di decreto penale. 
        nel caso di opposizione a decreto penale la  pena  pecuniaria
che fosse irrogata in caso di  condanna  in  sostituzione  di  quella
detentiva avrebbe tasso di conversione da 250 a 25000 euro  pro  die,
con pena che potrebbe essere  moltissime  volte  quella  portata  dal
decreto penale. 
    Per un soggetto non abbiente che  abbia  commesso  un  reato  con
minimo edittale di trenta giorni, se si ipotizza emissione di decreto
penale  con  pena  dimezzata  rispetto  al  minimo  edittale  e   con
conversione di 75 euro al giorno la pena sara' pari ad euro 1125  (15
gg × 75 euro); nel caso di condanna a pena convertita  a  seguito  di
dibattimento la pena minima sarebbe di 7500 euro (30gg × 250 euro). 
    Per un soggetto molto  abbiente  la  differenza  e'  ancora  piu'
macroscopica. Con un reato con minimo edittale di trenta giorni se si
ipotizza emissione di decreto penale con pena dimezzata  rispetto  al
minimo edittale e con conversione di  225  euro  al  giorno  la  pena
minima con decreto penale sarebbe di euro 3.375 (15gg  ×  225  euro);
nel caso di condanna a pena convertita a seguito di  dibattimento  la
pena sarebbe di 75.000 euro (30×250×10). 
    Nel caso di specie la pena irroganda con  conversione  ai  minimi
edittali e' pari ad euro 1425  (9  ×75  +  750)  mentre  in  caso  di
opposizione  condanna  dibattimentale   con   conversione   in   pena
pecuniaria la stessa sarebbe pari a non meno di euro 5600 (18 × 250 +
1100). 
    Conseguenze che appaiono a questo giudice del tutto incompatibile
con il criterio di eguaglianza e ragionevolezza, atteso che se ben la
scelta di rito premiale o la acquiescenza  allo  stesso  ben  possono
comportare  una  significativa  riduzione  della  pena,   una   tanto
macroscopica differenza appare non appare  razionalmente  correlabile
alla mera non opposizione dell'imputato  alla  pronunzia  emessa  nei
suoi confronti. 
    Da notare poi che un simile effetto premiale non e' previsto  per
nessun altro rito alternativo, nemmeno per il patteggiamento ove pure
l'imputato di fatto rinunzia a difendersi, solo concordando  la  pena
con il pubblico ministero (peraltro con riduzione massima di  1/3,  a
fronte della possibilita' di riduzione fino a 1/2 prevista in caso di
decreto penale). 
    Non dirimente appare poi la  considerazione  che  il  giudice  e'
sempre chiamato ad effettuare un giudizio di  congruita'  della  pena
emessa in relazione al fatto oggetto del suo  decidere.  Il  giudice,
infatti,  dovra'  valutare  la  congruita'  della   pena   originaria
determinata  dal  pubblico  ministero  e  la   compatibilita'   della
conversione della pena  detentiva  in  pecuniaria  con  le  finalita'
deterrenti e rieducative della pena ma, effettuate positivamente tali
valutazioni, il tasso di  conversione  e'  prefissato  per  legge  ed
appare  parametrato  alle  condizioni  economiche  del  reo,  con  le
conseguenze di cui sopra. 
    Quanto,  poi,  alla  applicazione  delle  circostanze  attenuanti
generiche o alla parametrazione  della  pena  all'interno  del  range
edittale, si tratta di profili che  valgono  sia  in  relazione  alla
emissione  di  decreto  penale   che   in   relazione   al   giudizio
dibattimentale, talche' non mutano il quadro di totale  eterogeneita'
delle pene possibili in relazione  alle  due  possibilita'  per  come
sopra evidenziato. 
    Appare, poi, del tutto evidente, ad  avviso  di  questo  giudice,
come non possa ritenersi compatibile con il fine rieducativo previsto
dall'art. 27 della Costituzione la irrogazione di una pena pari anche
a meno di 1/20 di quella irroganda all'esito  di  giudizio  ordinario
(v. esempio sopra 3.375 - 75.000 euro). 
    La questione appare poi rilevante nel presente giudizio, inerendo
la pena irroganda all'imputato ed  evidenziato  che  dagli  atti  non
emergono i  presupposti  per  rigettare  la  richiesta  del  pubblico
ministero sotto diverso profilo. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Letti gli articoli 134 e 137 della Costituzione,  1  della  legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo  1953,
n. 87; 
    Promuove di ufficio, per violazione degli articoli 3 e  27  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  459
c.p.p., in relazione all'art. 53, legge n. 689/1981, nella  parte  in
cui prevede che il  valore  giornaliero  di  conversione  della  pena
detentiva in pecuniaria sia pari ad euro 75 e fino a tre  volte  tale
ammontare  tenuto  conto  della  condizione   economica   complessiva
dell'imputato e del suo nucleo familiare, sospendendo il giudizio  in
corso. 
    Ordina che a cura della cancelleria la ordinanza  sia  notificata
alle parti in causa ed  al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
nonche' comunicata al presidente del Senato ed  al  presidente  della
Camera  dei  deputati  e   all'esito   sia   trasmessa   alla   Corte
costituzionale insieme al fascicolo processuale e con la prova  delle
avvenute regolari predette notificazioni e comunicazioni. 
 
        Macerata, 15 settembre 2017 
 
                         Il giudice: Manzoni