N. 169 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 giugno 2018

Ordinanza  del  27  giugno  2018  del  Tribunale   di   Bergamo   nel
procedimento penale a carico di M. L.. 
 
Processo penale - Divieto di un secondo giudizio  -  Inapplicabilita'
  della disciplina del divieto di un secondo giudizio  nei  confronti
  di un imputato gia' condannato per  gli  stessi  fatti  a  sanzione
  amministrativa. 
- Codice di procedura penale, art. 649. 
(GU n.47 del 28-11-2018 )
 
                       IL TRIBUNALE DI BERGAMO 
                   Sezione del dibattimento penale 
 
    In persona  della  dott.  Antonella  Bertoja  ha  pronunciato  la
seguente ordinanza. 
    Nel sopra emarginato procedimento penale nei confronti di M.  L.,
nato a ... il ..., dichiaratamente domiciliato in  Ponte  San  Pietro
(BG), via Garibaldi n. 41,  difeso  di  fiducia  dagli  avv.ti  Guido
Broglio e Vittorio Meanti, entrambi del Foro di Crema,  imputato  del
reato p.  e  p.  dall'art.  10-ter  decreto  legislativo  n.  74/2000
perche', in qualita'  di  titolare  dell'omonima  ditta  individuale,
...ometteva il versamento  dell'imposta  sul  valore  aggiunto  (IVA)
dovuta per il periodo d'imposta 1° gennaio 2011 al 31 dicembre  2011,
per un ammontare complessivo di euro 282.495,76. 
    Commesso in Bergamo nel dicembre 2012, data in cui avrebbe dovuto
effettuare il versamento. 
    Premesso che: 
        l'attuale imputato  veniva  chiamato  a  rispondere  -  nella
qualita'  di  contribuente  in  proprio  -  del  delitto  di   omesso
versamento IVA relativamente al periodo d'imposta 2011 per  l'importo
di euro 282.495,76; fin dalla prima udienza dibattimentale utile dopo
la regolare costituzione  delle  parti,  il  difensore  dell'imputato
produceva memoria e documentazione atta a dimostrare  la  conclusione
del  procedimento  amministrativo  -  tributario,  con  emissione   e
notifica di cartella esattoriale relativa alla somma omessa  oltre  a
interessi e sanzioni (queste ultime pari a euro  84.748,74),  nonche'
la rateizzazione chiesta e ottenuta dal M., in quel momento in  corso
di  pagamento;  chiedeva  pertanto  a  questo  giudice  di  sollevare
questione interpretativa pregiudiziale alla Corte di giustizia avente
ad oggetto la conformita' al diritto comunitario dell'art. 10-ter  in
contestazione,  nella  parte  in  cui  consente  di  procedere   alla
valutazione della responsabilita' penale di un soggetto il quale, per
lo  stesso  fatto,  sia   gia'   stato   destinatario   di   sanzione
amministrativa irrevocabile di cui all'art. 13 decreto legislativo n.
471/1997. Con ordinanza in data  16  settembre  2015  questo  giudice
disponeva il rinvio degli atti alla Corte  di  giustizia  dell'Unione
europea,  formulando   la   seguente   questione   pregiudiziale   di
interpretazione del diritto dell'Unione: «se la previsione  dell'art.
50 CDFUE, interpretato alla luce dell'art. 4 prot. n.  7  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali e della relativa giurisprudenza della Corte europea  dei
diritti  dell'uomo,  osti   alla   possibilita'   di   celebrare   un
procedimento penale avente ad oggetto  un  fatto  (omesso  versamento
IVA) 
        per  cui  il  soggetto  imputato  abbia  riportato   sanzione
amministrativa  irrevocabile.».  Dopo  vari  «incidenti»  processuali
innanzi la Corte (1) , la Grande Sezione si pronunciava con  sentenza
in data 20 marzo 2018 come da parte dispositiva che segue: «L'art. 50
della CDFUE deve essere interpretato nel senso che esso non  osta  ad
una normativa nazionale in forza della  quale  e'  possibile  avviare
procedimenti penali a carico di una persona per omesso versamento IVA
qualora a tale persona sia gia' stata inflitta, per i medesimi fatti,
una sanzione amministrativa definitiva di natura penale ai sensi  del
citato art. 50, purche' siffatta normativa: 
        sia volta a  un  obiettivo  di  interesse  generale  tale  da
giustificare un simile cumulo di procedimenti e di sanzioni,  vale  a
dire la lotta ai reati in materia di  imposta  sul  valore  aggiunto,
fermo restando che detti procedimenti e dette sanzioni  devono  avere
scopi complementari; 
        contenga norme che garantiscano una coordinazione che  limiti
a quanto strettamente necessario l'onere supplementare  che  risulta,
per gli interessati, da un cumulo di procedimenti, e 
        preveda norme che consentano di garantire  che  la  severita'
del  complesso  delle  sanzioni  imposte  sia   limitato   a   quanto
strettamente necessario rispetto alla gravita' del reato  di  cui  si
tratti,  con  la  precisazione  che  «spetta  al  giudice   nazionale
accertare,  tenuto  conto  del  complesso   delle   circostanze   del
procedimento principale, che  l'onere  risultante  concretamente  per
l'interessato  dall'applicazione   della   normativa   nazionale   in
discussione nel procedimento principale e dal cumulo dei procedimenti
e delle sanzioni che la medesima autorizza non sia eccessivo rispetto
alla gravita' del reato commesso». 
    Ricevuti gli atti dalla Corte, il procedimento  veniva  riassunto
con decreto in data 30 marzo 2018 e all'udienza del 16 maggio 2018 il
giudice, verificato che la rateizzazione non era stata completata per
inadempimento di alcune rate (2) , udite le conclusioni delle  parti,
si riservava la decisione. 
    Tanto premesso, il Tribunale ritiene di sollevare, in riferimento
agli articoli 3 e 117, primo comma, della Costituzione, in  relazione
all'art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per  la  salvaguardia
dei  diritti  dell'uomo  e  delle   liberta'   fondamentali   (CEDU),
protocollo concernente l'estensione della lista dei diritti civili  e
politici, adottato a Strasburgo il 22  novembre  1984,  ratificato  e
reso esecutivo con la legge  9  aprile  1990,  n.  98,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 649  del  codice  di  procedura
penale  nella  parte  in  cui  non  prevede  l'applicabilita'   della
disciplina del divieto  di  un  secondo  giudizio  nei  confronti  di
imputato al quale, con riguardo agli stessi  fatti,  sia  gia'  stata
irrogata  in  via  definitiva,   nell'ambito   di   un   procedimento
amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente  penale  ai
sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dei  relativi
protocolli. 
    Le norme costituzionali richiamate come parametro del giudizio di
legittimita' rilevano sotto due profili distinti. L'art. 117, comma 1
della Costituzione rileva nella misura in cui eleva a norma di  rango
costituzionale la norma interposta  discendente  dall'interpretazione
della  disposizione  dell'art.  50  CDFUE  fornita  dalla  Corte   di
giustizia.  Vi  e'  poi  l'ulteriore  ed   autonomo   profilo   della
conformita'  dell'art.  649  codice  di  procedura  penale   rispetto
all'art.  3  della  Costituzione,   declinato   come   principio   di
ragionevolezza   intrinseca   dell'ordinamento   come   da   costante
giurisprudenza di codesta Corte. 
    Cio' in quanto: 
        sulla base della sentenza emessa dalla Corte di giustizia non
sono in discussione, nel  caso  di  specie,  ne'  l'effettiva  natura
penale della sanzione  amministrativa  irrogata  ne'  l'idem  factum.
Quanto al primo profilo nella sentenza si fa  espressa  menzione  dei
cosiddetti   Engel   Criteria   (richiamati   sulla   scorta    della
giurisprudenza comunitaria successiva), in relazione ai quali  appare
certo che la sanzione inflitta in via amministrativa abbia  capacita'
preventive, repressive ed afflittive tali da giustificarne la  natura
di sanzione penale, pur demandando la valutazione finale circa la sua
proporzionalita' al giudice del rinvio. Ben piu' rilevante  e'  pero'
il profilo della identita' del fatto. Sul punto e' anzitutto la Corte
a ricondurre all'«identita' dei fatti materiali» (3) in  trattazione,
pur sempre subordinandone la definitiva qualificazione al giudice del
rinvio.  Ed  invero  e'  proprio  sulla  valutazione   dell'intriseca
identita' che il Tribunale intende argomentare (infra); 
        non e' invece affatto  certo,  alla  luce  delle  statuizioni
della Corte di giustizia, se dall'affermazione  della  natura  penale
della sanzione amministrativa irrogata consegua l'attribuzione  della
natura penale anche al procedimento amministrativo sotteso, posto che
una chiara indicazione in tal senso da parte della Corte,  assurgendo
ad interpretazione estensiva  della  norma  interposta  dell'art.  50
CDFUE, avrebbe invece consentito l'applicazione diretta dell'art. 649
codice di procedura penale attraverso una lettura convenzionalmente e
costituzionalmente orientata di detta disposizione; 
        la valutazione, rimessa dalla Corte di giustizia  al  giudice
nazionale, delle condizioni che legittimano una  normativa  nazionale
in forza della quale  e'  possibile  avviare  procedimenti  penali  a
carico di una persona  per  omesso  versamento  IVA  qualora  a  tale
persona sia gia' stata inflitta, per i medesimi fatti,  una  sanzione
amministrativa definitiva di natura penale, in casi  come  quello  di
specie deve  risolversi  nel  senso  dell'eccessivita'  dell'onere  -
rispetto alla gravita'  del  reato  -  risultante  concretamente  per
l'interessato  dall'applicazione  della  normativa  nazionale  e  dal
cumulo dei procedimenti e delle sanzioni che la medesima autorizza; 
        Tale eccessiva onerosita' produce peraltro  un'ingiustificata
disparita' di  trattamento,  specialmente  se  rapportata  al  quadro
sanzionatorio delle fattispecie originarie del decreto legislativo n.
74/2000 (infra), nonche' un  problema  di  ragionevolezza  intrinseca
dell'ordinamento; 
        l'art. 649 codice di procedura penale, enunciando il  divieto
di un secondo giudizio penale per il medesimo fatto,  opera  solo  se
l'imputato e' stato gia' giudicato  con  sentenza  o  decreto  penale
divenuti irrevocabili, presuppone cioe' la formazione di un giudicato
penale; neppure appare possibile  superare  la  previsione  letterale
della   disposizione   con   un'interpretazione    costituzionalmente
orientata o applicare in via analogica l'art. 649 c.p.p. (4) 
    Il procedimento penale pende nei confronti  di  un  imputato  del
reato previsto dall'art. 10-ter  del  decreto  legislativo  10  marzo
2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in  materia  di  imposte  sui
redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'art.  9  della  legge  25
giugno 1999, n. 205), per avere omesso di versare, entro  il  termine
per  il  versamento  dell'acconto  relativo  al   periodo   d'imposta
successivo,  l'imposta  sul  valore  aggiunto  dovuta  in  base  alla
dichiarazione  annuale,  regolarmente  presentata  per  l'anno  2011;
secondo la dichiarazione presentata dall'imputato, l'IVA  dovuta  per
quell'anno ammontava a euro 282.495,76 e  dunque  e'  superiore  alla
soglia  di  punibilita'  ancorche'  recentemente  innalzata  ad  euro
250.000 dal decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158. 
    La medesima  omissione  costituisce  illecito  tributario  ed  e'
sanzionata in via amministrativa dall'art. 13, comma  primo,  decreto
legislativo n. 471 del 1997, che punisce con sanzione  amministrativa
pecuniaria l'omesso versamento periodico dell'imposta entro  il  mese
successivo a quello di maturazione del debito  mensile  IVA.  A  tale
titolo  l'imputato  e'  gia'  stato   destinatario   della   sanzione
amministrativa di euro 84.748,74,  pari  a  oltre  il  30  per  cento
dell'imposta evasa. La sanzione, contenuta nella cartella esattoriale
notificata in  data  6  novembre  2013,  e'  stata  irrogata  in  via
definitiva, non  sono  stati  esperiti  ricorsi  contro  l'avviso  di
accertamento e in data 6 maggio 2014 l'imputato otteneva da Equitalia
la rateizzazione della somma evasa e  delle  relative  sanzioni,  che
iniziava a pagare; il procedimento penale si instaurava solo in epoca
successiva, con decreto di citazione diretta a giudizio  in  data  13
novembre 2014 (l'avviso  di  conclusione  indagini  ex  art.  415-bis
codice di procedura penale e' del 5 maggio 2014, dunque  praticamente
coevo all'accoglimento della richiesta di rateizzazione). 
    Gli articoli 19, 20 e 21 del decreto legislativo n. 74 del  2000,
intesi a  prevenire  sul  piano  sostanziale  la  duplicazione  delle
sanzioni, non impediscono (come risulta evidente dal caso  in  esame)
l'avvio del procedimento penale pur dopo che la  sanzione  tributaria
amministrativa  e'  divenuta  definitiva.  L'art.  19   del   decreto
legislativo n. 74 del 2000 infatti stabilisce che quando il  medesimo
fatto e' punito in quanto reato ai sensi del Titolo  II  del  decreto
legislativo n. 74 del 2000, e in quanto illecito amministrativo, deve
essere applicata la sola disposizione speciale, che e' quella penale.
Questa regola, in base all'art. 21 stesso decreto, non impedisce  che
il procedimento  amministrativo  finalizzato  all'applicazione  della
sanzione e il  processo  tributario  siano  avviati  e  se  del  caso
conclusi, posto che la legge esclude che essi siano sospesi  a  causa
della pendenza del procedimento penale (cosiddetto sistema del doppio
binario): la sanzione amministrativa e' irrogata in ogni caso, ma non
puo' essere eseguita salvo che il procedimento  penale  sia  definito
con  provvedimento  di  archiviazione,  o  sentenza  irrevocabile  di
assoluzione o di proscioglimento  con  una  formula  che  esclude  la
rilevanza penale del fatto (art. 21, comma 2, del decreto legislativo
n. 74 del 2000). Poiche' l'art. 649 codice di  procedura  penale  non
prevede l'applicabilita' della disciplina del divieto di  un  secondo
giudizio a materia diversa da quella penale, si postula  dunque,  sul
piano processuale, che il  giudizio  penale  debba  essere  celebrato
nonostante  la  definitivita'  della  sanzione  amministrativa   gia'
inflitta. 
    Cio' che in questa sede si vuole particolarmente sottolineare  e'
che il sistema del doppio binario  teste'  illustrato  si  applica  a
tutti  i  reati  tributari  contenuti  nel  decreto  in  discussione,
indipendentemente cioe' dalla circostanza che il procedimento  penale
e quello amministrativo abbiano ad oggetto un «idem factum». 
    A tale proposito si osserva quanto segue. L'intervento penale nel
settore tributario dell'anno 2000 e' ispirato alla logica di  colpire
comportamenti infedeli, strumentali all'omesso  o  ridotto  pagamento
dell'imposta  e  idonei  a  trarre   in   inganno   l'Amministrazione
finanziaria   circa   il   corretto   adempimento   dell'obbligazione
pecuniaria. Il legislatore, nel concentrare la sua  attenzione  sulla
veridicita' delle dichiarazioni, ha ribadito la volonta' di  eleggere
ad oggetto  immediato  della  tutela  penale  non  tanto  l'interesse
fiscale, quanto la funzione di accertamento  che  le  infedelta'  del
contribuente rischiano di compromettere. In altri termini,  cio'  che
si e' voluto punire non e' tanto il mancato  versamento  del  tributo
(accadimento   che,   nell'elemento   oggettivo   delle   fattispecie
originariamente inserite nel decreto, di regola non e' nemmeno  preso
in  considerazione),  quanto  il  potenziale  lesivo   insito   nella
presentazione di dichiarazioni mendaci, idonee ad indurre  in  errore
l'amministrazione finanziaria sulla stessa legittimita' di versamenti
eventualmente incompleti od omessi. Il  bene  giuridico  tutelato  e'
l'interesse dello Stato alla percezione dei tributi; ma certamente la
scelta del legislatore - con riferimento ai delitti  contenuti  nella
formulazione originaria - e' stata  quella  di  punire  l'aggressione
indiretta  a  tale  bene,  di  punire  cioe'  quelle  condotte   che,
contrastando l'accertamento, pongono in pericolo l'esatta  percezione
del   tributo.   Dunque,   le   fattispecie   originarie   presentano
caratteristiche comuni: sono reati di pericolo, a dolo  specifico,  e
presuppongono l'impiego di mezzi decettivi da parte del  contribuente
(dichiarazione fraudolenta o infedele di cui agli articoli 2, 3 e  4,
omessa dichiarazione di cui all'art. 5, emissione di fatture o  altri
documenti per operazioni inesistenti di cui all'art. 8,  occultamento
o distruzione di documenti contabili di cui all'art. 10,  sottrazione
fraudolenta al pagamento di imposte  di  cui  all'art.  11).  Diversa
struttura presentano invece  gli  articoli  10-bis  e  10-ter,  norme
inserite successivamente - la prima con legge n. 311/04,  la  seconda
con  legge  n.  248/2006  -  che  prevedono  un'aggressione   diretta
all'interesse tutelato, e cioe' il mancato pagamento  del  tributo  o
della ritenuta;  in  questi  casi  non  si  pone  in  discussione  la
correttezza del contesto dichiarativo in base al quale le somme  sono
dovute, ed anzi le somme in discussione sono proprio  quelle  oggetto
di dichiarazione; la condotta sanzionata e' l'omesso pagamento, e  si
tratta di reati istantanei di danno,  a  dolo  generico,  consistente
nella semplice consapevolezza e  volonta'  dell'omissione.  In  altre
parole cio' che preme  sottolineare  e'  la  sostanziale  natura  non
plurioffensiva della  condotta  di  omesso  versamento  sulla  quale,
diversamente dalle condotte  sottese  a  fattispecie  dalla  caratura
decettiva, si innesta la ravvisata duplicazione  del  procedimento  e
della sanzione, atteso che la rafia punitiva  degli  arti.  10-bis  e
10-ter  risiede  esclusivamente   nella   protezione   dell'interesse
economico  diretto  dell'Erario,  interesse  tutelato   anche   dalla
sanzione amministrativa. Questo significa che la coincidenza fattuale
sulla quale valutare la sussistenza del bis in idem  sostanziale  non
solo origina dall'intrinseca univocita' materiale e  temporale  della
condotta  di  omesso  versamento,  ma  e'  altresi'  sorretta   dalla
circostanza che tra la sanzione amministrativa e penale previste  dal
nostro ordinamento intercorre la medesima ratio punitiva. 
    E' dunque la perfetta identita' (naturalistica,  giuridica  e  di
politica  criminale)  tra  il  delitto  di  omesso  versamento  e  il
correlativo illecito amministrativo  commessi  dalla  stessa  persona
fisica che impone di non ritenere verificate  le  condizioni  cui  la
Corte di giustizia - con la sentenza pronunciata  nel  caso  che  qui
occupa, evidentemente ispirata alla pronuncia della Corte europea dei
diritti dell'uomo A e B c. Norvegia del 15 novembre 2016 -  subordina
il giudizio di conformita' del sistema del doppio binario all'art. 50
della CDFUE; infatti, nel caso di reati di omesso versamento: 
        1) manca il requisito della complementarieta' dello scopo, in
quanto i due procedimenti (penale e amministrativo) e le due sanzioni
hanno uno scopo identico («...purche' la normativa nazionale ...  sia
volta a un obiettivo di interesse generale tale  da  giustificare  un
simile cumulo di procedimenti e di sanzioni, vale a dire la lotta  ai
reati in materia di imposta sul valore aggiunto, fermo  restando  che
detti   procedimenti   e   dette   sanzioni   devono   avere    scopi
complementari); 
        2) manca ogni aspetto diverso della condotta (5) ; 
        3) la normativa nazionale non contiene norme che garantiscano
una coordinazione che limiti a quanto strettamente necessario l'onere
supplementare che risulta, per  gli  interessati,  da  un  cumulo  di
procedimenti, ne' prevede norme idonee a garantire che  la  severita'
del  complesso  delle  sanzioni  imposte  sia   limitato   a   quanto
strettamente necessario rispetto alla gravita' del reato. Va  infatti
ribadito che l'ordinamento nazionale dispone forme  di  coordinamento
tra il processo amministrativo-tributario e quello  penale  (articoli
19, 20 e 21 del  decreto  legislativo  n.  74/2000),  senza  tuttavia
garantire - come richiede la Corte di giustizia  -  che  tali  norme,
neppure  combinate  o  interpretate  sistematicamente,  escludano  in
concreto  la  possibilita'  di  una  duplicazione  procedimentale   e
sanzionatoria soprattutto quando, come nel  caso  di  specie,  i  due
procedimenti non si instaurino  contestualmente  o  comunque  non  si
sviluppino parallelamente e non abbiano ad oggetto  frazioni  diverse
di condotta. 
    Dunque nel caso di specie e' propriamente - non gia' la  mancanza
degli indici fattuali di A e  B  c.  Norvegia  ma  -  la  coincidenza
antologica e finalistica delle due vicende processuali  che  preclude
logicamente la possibilita' di effettuare la valutazione  preliminare
indicata nella piu' volte richiamata sentenza di codesta Corte n.  43
del 2018. 
    Va infine segnalato che lo stesso Avvocato generale, in  fase  di
conclusioni dinanzi alla Corte di giustizia, riteneva  «che  un  caso
come quello del sig. M. non  sia  riconducibile  alla  giurisprudenza
elaborata»  nella   sentenza   A   e   B   c.   Norvegia,   rilevando
l'insussistenza  dei  caratteri   della   complementarieta'   e   del
coordinamento summenzionati (6)  ,  sicche'  i  due  procedimenti  si
sarebbero instaurati, a suo giudizio, indebitamente stante  l'assenza
di un ragionevole raccordo temporale e sanzionatorio. 
    In conclusione, ritiene questo giudice che nel caso di specie  la
preventiva definitivita' del procedimento amministrativo - tributario
e  l'irrogazione  della  relativa  sanzione  avente   natura   penale
determina l'insorgere di  una  lacuna  ordinamentale,  che  non  puo'
essere colmata per mezzo dell'art. 649 codice di procedura  penale  a
causa del suo tenore letterale. 

(1) In particolare vanno segnalati l'originaria  riunione  con  altro
    procedimento, la successiva separazione e la  trasmissione  dalla
    IV Sezione della Corte, cui la domanda era in origine  assegnata,
    alla Grande Sezione. 

(2) In caso contrario,  sarebbe  stata  operativa  la  causa  di  non
    punibilita' introdotta all'art. 13 decreto legislativo n. 74/2000
    dal decreto legislativo n. 158/2015  con  conseguente  automatico
    giudizio di irrilevanza della questione oggi sollevata. 

(3) Par. 38 sentenza CGUE. 

(4) Codesta Corte si e' cosi testualmente pronunciata, nella sentenza
    n. 43 del 2018 avente ad oggetto una questione  sovrapponibile  a
    quella oggi sollevata: «...La lettera e la  ratio  dell'art.  649
    codice di procedura penale  escludono  che,  in  difetto  di  una
    pronuncia di illegittimita' costituzionale, tale disposizione sia
    idonea a regolare il caso del giudizio a quo, come il  rimettente
    ha posto in luce...». 

(5) Cosi' testualmente  codesta  Corte  riassumeva  il  dictum  della
    citata sentenza A e B / Norvegia: «...Con la sentenza 15 novembre
    2016, A e B contro Norvegia, la grande camera della Corte europea
    dei diritti dell'uomo ha impresso un nuovo sviluppo alla  materia
    di cui si discute. La rigidita' del divieto convenzionale di  bis
    in idem, nella parte in cui trova applicazione anche per sanzioni
    che gli ordinamenti nazionali  qualificano  come  amministrative,
    aveva ingenerato gravi difficolta' presso  gli  Stati  che  hanno
    ratificato il Protocollo n. 7 alla  Convenzione  europea  per  la
    salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali,
    perche' la discrezionalita' del legislatore nazionale  di  punire
    lo stesso fatto a duplice titolo, pur non negata dalla  Corte  di
    Strasburgo, finiva per essere frustrata di fatto dal  divieto  di
    bis in idem. Per alleviare tale inconveniente  la  Corte  europea
    dei diritti  dell'uomo  ha  enunciato  il  principio  di  diritto
    secondo cui il ne bis in idem non  opera  quando  i  procedimenti
    sono avvinti da un legame materiale e temporale  sufficientemente
    stretto («sufficiently closely  connected  in  substance  and  in
    time»), attribuendo a questo requisito  tratti  del  tutto  nuovi
    rispetto a quelli che emergevano dalla precedente giurisprudenza.
    In particolare la Corte di Strasburgo ha precisato (paragrafo 132
    della sentenza A e B contro  Norvegia)  che  legame  temporale  e
    materiale sono requisiti congiunti: che il legame  temporale  non
    esige la pendenza contemporanea dei procedimenti, ma ne  consente
    la  consecutivita',  a  condizione  che  essa  sia   tanto   piu'
    stringente, quanta piu' si protrae la  durata  dell'accertamento;
    che il legame materiale dipende dal  perseguimento  di  finalita'
    complementari connesse  ad  aspetti  differenti  della  condotta,
    dalla prevedibilita' della  duplicazione  dei  procedimenti,  dal
    grado di coordinamento probatorio  tra  di  essi,  e  soprattutto
    dalla circostanza che nel  commisurare  la  seconda  sanzione  si
    possa tenere conto della prima, al fine di evitare  l'imposizione
    di un  eccessivo  fardello  per  lo  stesso  fatto  illecito.  Al
    contempo,  si  dovra'  valutare  anche  se   le   sanzioni,   pur
    convenzionalmente penali, appartengano o no al nocciolo duro  del
    diritto penale, perche' in caso affermativo si sara' piu'  severi
    nello scrutinare la sussistenza del legame e  piu'  riluttanti  a
    riconoscerlo in concreto...» 

(6) «...tutto sembra indicare che vi sia stata una nella  separazione
    tra   il   procedimento   amministrativo   sanzionatorio   e   il
    procedimento  penale...»   cfr.   pag.   33   delle   conclusioni
    dell'Avvocato generale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale di Bergamo, in composizione monocratica, 
    Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953, 
    ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza,  sottopone
all'ecc.ma   Corte   costituzionale   questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 649 del  codice  di  procedura  penale,  per
contrasto con l'art. 117, primo comma Cost. in relazione  all'art.  4
del Protocollo n. 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e
per contrasto con l'art. 3 Cost., nella  parte  in  cui  non  prevede
l'applicabilita' della disciplina del divieto di un secondo  giudizio
nei confronti di imputato al quale, con riguardo agli  stessi  fatti,
sia  gia'  stata  irrogata  in  via  definitiva,  nell'ambito  di  un
procedimento    amministrativo,    una    sanzione    di    carattere
sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione europea dei diritti
dell'uomo e dei relativi protocolli; 
    Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale; 
    Visto l'art. 159, comma I, n. 2) c.p.; 
    Sospende il corso della prescrizione. 
    Ordina che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del
Consiglio dei ministri e sia comunicata ai  presidenti  della  Camera
dei deputati e del Senato della Repubblica. 
    Della presente ordinanza e' data lettura alle parti in udienza. 
 
        Bergamo, 27 giugno 2018 
 
                         Il giudice: Bertoja