N. 171 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 maggio 2018

Ordinanza del 14 maggio 2018  del  Tribunale  di  Udine  sul  ricorso
proposto da Kainich Davide. 
 
Fallimento e procedure concorsuali  -  Procedimenti  di  composizione
  della  crisi  da  sovraindebitamento  -  Proposta  di  accordo   di
  ristrutturazione e relativo piano - Possibilita' per  il  piano  di
  prevedere, per i debiti inerenti all'imposta sul  valore  aggiunto,
  esclusivamente la dilazione del pagamento. 
- Legge 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e  di
  estorsione,   nonche'    di    composizione    delle    crisi    da
  sovraindebitamento), art. 7, comma 1, terzo periodo. 
(GU n.48 del 5-12-2018 )
 
                    TRIBUNALE ORDINARIO DI UDINE 
                       Sezione seconda civile 
 
    Il giudice, nel procedimento n. r.g. 1100/2018  V.G.,  introdotto
da Kainich Davide (C.F. KNCDVD72B29L483J) con il patrocinio dell'avv.
Curri Pierpaolo - ricorrente; 
    Ha pronunciato la seguente: 
 
                              ORDINANZA 
 
    Il sig. Kainich, con ricorso depositato in data  29  marzo  2018,
propone ai  suoi  creditori  un  accordo  di  ristrutturazione  e  di
soddisfazione alternativa dei loro diritti, ai sensi  degli  articoli
da 6 a 12 della legge n. 3/2012. 
    Il ricorrente e' un  soggetto  sicuramente  sovraindebitato,  non
avendo possibilita'  alcuna  di  adempiere  regolarmente  le  proprie
obbligazioni (debiti scaduti: € 411.449,59; beni patrimoniali attuali
all'attivo: € 7.000; flussi  finanziari  positivi  netti  attesi  nel
prossimo quinquiennio: € 8.000/anno). 
    La sua proposta prevede il pagamento (nel corso di  cinque  anni)
di circa € 92.000 ai creditori  prededucibili  e  concorsuali,  tutti
collocati  in  chirografo  (compresi  tutti  i  privilegiati,  attesa
l'incapienza  totale  dei  beni  gravati)  con  una  percentuale   di
soddisfazione del 18% circa. 
    Il  ricorrente  non  e'  soggetto  in  alcun  modo  a   procedure
concorsuali diverse da quelle regolate dalla legge n.  3/2012,  posto
che non  esercita  attivita'  d'impresa  commerciale  e  che  il  suo
sovraindebitamento deriva quasi  integralmente  dalla  condizione  di
responsabile  solidale  (ex  art.  38  del  codice  civile)  per   le
obbligazioni contratte dalla «Associazione  sportiva  dilettantistica
Albaretta», nel cui nome egli ha agito in passato e di cui e'  legale
rappresentante.  A  sua  volta  l'ente  debitore  principale  non  e'
soggetto a procedure concorsuali diverse da quelle disciplinate dalla
legge  n.  3/2012,  sia  perche'  non  risulta  esercitare  attivita'
d'impresa commerciale sia perche' comunque difettano in  suo  capo  i
requisiti di cui all'art. 1, comma secondo, legge fallimentare. 
    Il ricorso e' corredato di tutti i documenti prescritti dall'art.
9, comma 2, legge n. 3/2012. 
    Il ricorrente  non  ha  mai  fatto  ricorso  in  precedenza  alle
procedure di cui alla legge n. 3/2012, ne' risulta aver compiuto atti
in frode ai creditori nel quinquennio pregresso. 
    Il professionista designato per svolgere le funzioni di organismo
di composizione della crisi, ai sensi dell'art. 15, comma 9, legge n.
3/2012, attesta la fattibilita' del piano elaborato dal sig.  Kainich
e la veridicita' dei dati  contenuti  nel  ricorso  e  nei  documenti
allegati, ed attesta altresi' il fatto che i beni  del  debitore,  su
cui  i  creditori  privilegiati  potrebbero  far   valere   la   loro
collocazione preferenziale in caso di liquidazione forzata, hanno  un
valore di molto inferiore alla misura  della  soddisfazione  ad  essi
offerta nel piano. 
    Non vi sarebbero dunque fin qui ostacoli all'avvio  da  parte  di
questo giudice della successiva fase, regolata dall'art. 10, legge n.
3/2012. 
    Tuttavia, fra i crediti privilegiati che il ricorrente propone di
soddisfare  solo  parzialmente,  figura  anche  l'obbligo  di  pagare
all'Erario somme a titolo di imposta sul valore  aggiunto  (d'ora  in
poi: «IVA») per € 147.171; credito che gode del  privilegio  generale
mobiliare di cui all'art. 2752, terzo comma del codice civile. 
    Tale previsione del piano e' in palese contrasto  con  la  regola
posta dall'art. 7, comma 1, terzo periodo, legge n.  3/2012,  secondo
cui: 
        «In ogni caso, con  riguardo  (...)  all'imposta  sul  valore
aggiunto (...), il piano puo' prevedere esclusivamente  la  dilazione
del pagamento». 
    Il ricorso si fa carico di tale contrasto, che dovrebbe  condurre
alla dichiarazione di inammissibilita' per difetto di  uno  specifico
requisito legale, chiedendo in  primo  luogo  la  «non  applicazione»
della norma interna, per contrasto con quanto  prevede  l'ordinamento
dell'U.E., ritenuto di immediata applicazione alla fattispecie. 
    In subordine eccepisce che  la  norma  nazionale  interna  citata
viola l'art. 3 della Costituzione. 
    La prima richiesta e' sostenuta dal ricorrente  sulla  scorta  di
alcune pronunce rinvenibili nella giurisprudenza di merito (Trib.  PT
26 aprile 2017 su www.ilcaso.it - cfr. anche Trib. TO 7 agosto  2017,
ibidem e Trib. PE 19 ottobre 2017, su www.fallimentiesocieta.it). 
    Tale orientamento premette che la materia in  discussione  e'  di
competenza dell'ordinamento dell'U.E. e che i  giudici  comuni  e  la
pubblica amministrazione, a  fronte  di  una  normativa  interna  che
risulti incompatibile con il diritto comunitario  dotato  di  effetti
diretti,  devono  procedere   senza   indugio   all'applicazione   di
quest'ultimo e alla «non applicazione» della norma interna. 
    Si ricorda inoltre che la norma posta dall'Unione, qualora manchi
di efficacia diretta,  puo'  comunque  avere  nei  sistemi  giuridici
nazionali un valore precettivo indiretto: il giudice  nazionale  deve
infatti interpretare le disposizioni interne in confomita' al diritto
dell'U.E. (c.d. obbligo di esegesi conforme). In certi casi, poi,  il
giudice  puo'  anche  prescindere  dal  limite   dell'interpretazione
conforme e passare direttamente alla «non applicazione»  della  norma
interna contrastante. 
    Ebbene secondo tale orientamento, siccome: 
        la disciplina dell'IVA rientra senza dubbio  nella  sfera  di
competenza  unitaria,  alla  luce  della  direttiva  2006/112/CE  del
Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta
sul valore aggiunto (c.d. «direttiva IVA»); 
        l'art. 273 della «direttiva Iva» obbliga ogni Stato membro ad
assicurare l'esatta riscossione dell'IVA e ad evitarne  le  evasioni,
nel rispetto della parita' di trattamento; 
        tali disposizioni sono state interpretate dalla C.G.U.E.  nel
senso che ogni Stato membro beneficia di  una  certa  liberta'  circa
l'individuazione   dei   mezzi   a   sua    disposizione    (sentenze
Commissione/Italia,  C-132/06,  EU:C:2008:412,  punto  38;  Belvedere
Costruzioni, C-500/10, EU:C:2012:186, punto 21); 
        tuttavia tale liberta' e' limitata dall'obbligo di  garantire
una riscossione effettiva delle risorse proprie dell'Unione (sentenze
Commissione/Italia,    C-132/06,     EU:C:2008:412,     punto     39;
Commissione/Germania, C-539/09, EU:C:2011:733,  punto  74;  Belvedere
Costruzioni, C-500/10, EU:C:2012:186, punto 22); 
        non sono ammesse dunque misure  nazionali  che  costituiscano
una rinuncia generale e  indiscriminata  alla  riscossione  dell'Iva,
quali quelle  discusse  nelle  cause  che  hanno  dato  origine  alle
sentenze    Commissione/Italia    (C-132/06,     EU:C:2008:412)     e
Commissione/Italia (C-174/07, EU:C:2008:704); rinuncia in  tali  casi
ritenuta contraria all'obbligo degli Stati  membri  di  garantire  il
prelievo  integrale  dell'IVA  nel  proprio  territorio  nonche'   la
riscossione effettiva delle risorse proprie dell'Unione; 
        al  contrario,  una  norma  interna  che   permette   ad   un
imprenditore commerciale  in  stato  di  insolvenza  di  pagare  solo
parzialmente il suo debito per IVA, qualora cio' avvenga  nel  quadro
di una  procedura  seria,  rigorosa  e  garantita  quale  quella  del
concordato  preventivo  di  cui  agli  articoli  160  e   s.,   legge
fallimentare, non costituisce una rinuncia generale e  indiscriminata
alla riscossione dell'IVA e non  e'  contraria  agli  obblighi  sopra
tratteggiati     (sentenza      Degano      Trasporti,      C-546/14,
ECLI:EU:C:2016:206, punto 28); 
        allora si ritene legittimo procedere alla «non  applicazione»
dell'obbligo di pagamento integrale dell'IVA di cui all'art. 7, comma
1, terzo periodo, legge n. 3/2012,  perche'  l'ordinamento  dell'U.E.
considera lecito, a determinate condizioni, che lo Stato consenta  un
recupero solo parziale dell'IVA dovuta,  purche'  ricorrano  tutti  i
presupposti  richiesti  (messa  a  disposizione  di  tutti  i   beni;
attestazione di un esperto indipendente sul fatto  che  il  creditore
privilegiato falcidiato non potrebbe trovare  migliore  soddisfazione
in  una  procedura  di  liquidazione;  possibilita'  di  voto  per  i
creditori degradati al chirografo, compreso  lo  Stato;  possibilita'
per l'Erario di far valere dinanzi al giudice le proprie ragioni).  E
tali presupposti si rinvengono anche nella procedura  di  accordo  di
cui agli articoli da 6 a 12, legge n. 3/2012. 
    Cosi' il Tribunale di Torino. 
    Oppure  si  ritiene  di  poter  procedere  ad  un'interpretazione
conforme della norma interna, come statuito dal Tribunale di Pistoia. 
    L'art. 7 citato, secondo questa decisione, si limiterebbe infatti
a  replicare,  in  modo  affatto  neutrale,  la  regola  eurounitaria
espressa, secondo cui gli Stati membri hanno l'obbligo di  assicurare
il prelievo integrale dell'IVA sul territorio. Ma  cosi'  come  nella
normativa unitaria non e' esplicitata la regola derivata,  desumibile
implicitamente dalla sentenza Degano  Trasporti  e  secondo  cui  gli
Stati membri, ove non sia possibile la riscossione integrale dell'IVA
dovuta, possono/devono garantire il  miglior  ricavo  possibile,  per
come accertato nell'ambito di un procedimento sottoposto a  controllo
giurisdizionale e nell'ambito del quale sia garantita la possibilita'
di voto e di opposizione del creditore  (il  concordato  preventivo),
ugualmente  dovrebbe  dirsi  in  riferimento  alla  regola   sull'IVA
contenuta nell'art. 7, legge n.  3/2012.  L'interpretazione  conforme
prospettata consentirebbe di ritenere  che  il  divieto  di  falcidia
dell'IVA, previsto  dalla  norma  sull'accordo  del  sovraindebitato,
faccia implicitamente salva l'ipotesi  che  la  proposta  preveda  un
trattamento migliore rispetto a quello  consentito  dalla  altemativa
liquidatoria, esprimendo cosi'  una  regola  generale  rispetto  alla
quale l'eccezione deve ritenersi non esclusa, ma implicita. 
    Non si puo' convenire con tali ricostruzioni. 
    Quella del giudice torinese da' infatti per scontata  l'esistenza
di un presupposto essenziale: che le norme dell'ordinamento  U.E.  di
cui si discute abbiano efficacia diretta. 
    Cio' non puo' dirsi nella fattispecie. Infatti: 
        una norma contenuta in una direttiva, destinata per natura  a
creare obblighi in capo allo Stato membro, puo'  avere  tale  effetto
solo se caratterizzata da un contenuto precettivo chiaro,  preciso  e
incondizionato; 
        nel caso specifico la disposizione rilevante e' quella di cui
all'art. 273 della «direttiva IVA», nella parte in  cui  obbliga  gli
Stati  membri  ad  assicurare  l'esatta  riscossione  dell'Iva,  come
interpretata dalla C.G.U.E. nel senso sopra tratteggiato; 
        il quadro ricavabile fa capire solo che non e'  in  contrasto
con tale obbligo (al contrario di altre  misure,  quali  i  deprecati
«condoni») una legge nazionale che  consente  un  pagamento  parziale
dell'IVA dovuta, purche' nell'ambito  di  una  procedura  concorsuale
munita delle necessarie garanzie e  nei  limiti  della  soddisfazione
ottenibile nello scenario liquidatorio alternativo; 
        cio' non  vuol  dire  pero'  che  nell'ordinamento  dell'U.E.
esista un precetto chiaro, preciso ed incondizionato che obblighi gli
Stati membri a  permettere  il  pagamento  parziale  dell'IVA  ad  un
debitore insolvente, sia pure con le precisate garanzie procedurali; 
        anzi, rimane in via di principio a loro favore un  quadro  di
relativa liberta' nell'individuazione  dei  modi  in  cui  perseguire
l'obiettivo di una riscossione «effettiva». 
    Dunque non pare predicabile  un  contrasto  fra  la  disposizione
interna in  discussione  ed  una  norma  dell'U.E.  avente  efficacia
diretta, con conseguente  potere  giudiziale  di  «non  applicazione»
della prima nell'ambito di un giudizio interno. 
    Ne'  risultano  in   gioco   «principi   generali   del   diritto
comunitario»,  che  possano  legittimare   una   disapplicazione   di
contrarie norme interne contrastanti con  disposizioni  di  direttive
U.E., a prescindere dall'efficacia diretta  di  queste  ultime  (cfr.
sentenza Mangold, causa C-144/04, ECLI:EU:C:2005:709). 
    Nemmeno la ricostruzione proposta dal Tribunale di  Pistoia  pare
condivisibile. Essa infatti non tiene in considerazione il fatto  che
la norma interna in discussione esordisce  con  le  parole  «In  ogni
caso». Appare arduo dunque ritenere che essa si limiti  a  riproporre
un divieto generale  proveniente  dall'ordinamento  U.E.,  ammettendo
implicitamente un'eccezione a se' stessa per il caso in cui un  piano
preveda un trattamento del credito IVA migliore di quello  ricavabile
in caso di liquidazione forzata dei beni. Cio'  non  solo  sul  piano
dell'esegesi letterale, ma anche di quella  sistematica:  la  Suprema
Corte di Cassazione, nella sentenza  S.U.  n.  26988/16,  ha  infatti
affermato che il principio generale  che  consente  la  falcidia  dei
crediti privilegiati nelle procedure concorsuali puo' essere  oggetto
di deroga da parte del legislatore, e cio' e'  volutamente  avvenuto,
per l'Iva ed altre specifiche categorie di crediti privilegiati,  nel
caso   dei   procedimenti   di   composizione    delle    crisi    da
sovraindebitamento (motivazione, pag. 13). Si  deve  ritenere  dunque
che in realta' la norma introduce un'eccezione ad una regola generale
(la possibilita' di falcidia dei crediti privilegiati in misura  pari
alla  capienza);  non  e'  essa  stessa  una  regola   generale   che
implicitamente ammette eccezioni. 
    Se la disposizione in discussione non e' in contrasto  con  norme
dell'U.E. aventi  effetto  diretto  e  contenuto  precettivo  chiaro,
preciso e incondizionato, non  si  pone  tin  problema  di  sua  «non
applicazione», e la vicenda deve essere risolta soltanto  nel  quadro
dell'ordinamento interno. 
    Si   deve   ritenere   che    l'eccezione    di    illegittimita'
costituzionale, sollevata in subordine dal ricorrente, sia  rilevante
e non manifestamente infondata. 
    Sotto il primo profilo,  va  sottolineato  che  il  rispetto  del
citato art. 7, comma 1, terzo periodo, legge n. 3/2012 e' condizione: 
        di ammissibilita' del ricorso (art. 10,  comma  1,  legge  n.
3/2012); 
        di omologabilita' dell'accordo, se raggiunto (art. 12,  comma
2, primo periodo, legge n. 3/2012); 
        di persistenza degli effetti  dell'omologazione  dell'accordo
(art. 12, comma 4, legge n. 3/2012). 
    Da cio' la rilevanza della questione in esame, perche'  la  norma
deve  trovare  applicazione  in  questo  procedimento,  e   determina
direttamente la sua sorte. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza, si osserva quanto segue. 
    La previsione in discorso, inserita nella legge  sulle  crisi  da
sovraindebitamento dal decreto-legge n. 179/2012, convertito in legge
n. 221/2012, costituiva all'epoca la declinazione in  questo  settore
di un identico principio,  inserito  fin  dal  2006/2008  nell'affine
settore del concordato preventivo (cfr. art.  182-ter,  comma  primo,
periodo primo, ultima parte, legge fallimentare). 
    In sostanza in entrambi i  settori  era  consentito  in  generale
proporre un pagamento parziale dei crediti privilegiati, purche'  nei
limiti della capienza dei  beni  gravati  (c.d.  «falcidia»);  ma  il
credito  privilegiato  per  IVA  (assieme  ad   alcuni   altri,   qui
irrilevanti) faceva eccezione e doveva invece  essere  sempre  pagato
per intero. Cio' a prescindere dal fatto che il debitore proponesse o
meno un concordato preventivo connesso ad una transazione  fiscale  e
senza  riguardi  per  il  relativamente  basso  grado  di  privilegio
attribuito a tale credito dalla legge (Cass. nn. 22931 e  22932/2011;
n. 7667/2012; nn. 9541 e 14447/14; n. 18561/2016). 
    L'assetto derivante  da  una  simile  interpretazione  era  stato
considerato compatibile con la Costituzione (Corte Costituzionale  n.
225/14). 
    La situazione e' pero' mutata all'indomani della pronuncia emessa
dalla C.G.U.E. il 7 aprile 2016, nella citata causa Degano  Trasporti
promossa da questo ufficio, secondo cui: 
        «L'articolo 4, paragrafo 3, TUE nonche' gli articoli 2,  250,
paragrafo 1, e 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del  28
novembre 2006,  relativa  al  sistema  comune  d'imposta  sul  valore
aggiunto, non ostano a una normativa nazionale, come quella di cui al
procedimento principale, interpretata nel senso che  un  imprenditore
in stato di insolvenza puo' presentare a un giudice  una  domanda  di
apertura di una  procedura  di  concordato  preventivo,  al  fine  di
saldare i propri debiti mediante la liquidazione del suo  patrimonio,
con  la  quale  proponga  di  pagare  solo  parzialmente  un   debito
dell'imposta   sul   valore   aggiunto   attestando,    sulla    base
dell'accertamento di un esperto indipendente,  che  tale  debito  non
riceverebbe un trattamento migliore nel caso di proprio fallimento.» 
    Infatti  la  Suprema  Corte  di  Cassazione,  nella  sua  massima
composizione (S.U. nn. 26988/16, cit. e 760/17),  ha  preso  atto  di
tale pronuncia vincolante ed ha mutato il proprio precedente  avviso,
stabilendo che «L'art. 182-ter, comma 1, l.  fall.,  come  modificato
dall'art. 32 del decreto-legge n. 185 del 2008, conv. con l. n. 2 del
2009, laddove  esclude  la  falcidia  sul  capitale  dell'IVA,  cosi'
sancendo   l'intangibilita'   del   relativo   debito,    costituisce
un'eccezione alla regola generale, stabilita dall'art. 160, comma  2,
l. fall., della falcidiabilita' dei  crediti  privilegiati,  compresi
quelli relativi ai tributi costituenti  risorse  proprie  dell'Unione
europea, e trova, quindi, applicazione solo nella speciale ipotesi di
proposta di concordato accompagnata da una transazione fiscale.» 
    Il campo di applicazione dell'obbligo di pagamento integrale  del
credito IVA e' stato cosi' da allora delimitato alla sola ipotesi del
concordato  preventivo  e  dell'accordo   di   ristrutturazione   cui
accedesse una proposta di transazione fiscale; in difetto di  ricorso
a quest'ultimo istituto, riprendeva vigore  l'ordinaria  possibilita'
per il debitore di soddisfare parzialmente i crediti privilegiati  di
ogni sorta  (quelli  per  IVA  inclusi),  purche'  nei  limiti  della
capienza dei beni gravati. 
    Lo stesso  legislatore  interno  ha  preso  atto  della  novita',
procedendo ad una riscrittura dell'art. 182-ter, legge  fallimentare,
tramite l'art. 1, comma 81, della legge n. 232/2016. 
    Oggi, abbandonato il concetto  di  concordato  preventivo  con  o
senza  transazione  fiscale,  si  puo'  infatti  sempre  proporre  un
concordato preventivo (o un accordo di ristrutturazione) che  preveda
il pagamento  parziale  di  tutti  i  tributi  e  relativi  accessori
amministrati  dalle   agenzie   fiscali,   nonche'   dei   contributi
amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza  e  assistenza
obbligatorie e  dei  relativi  accessori,  purche'  la  soddisfazione
offerta a tali  crediti  privilegiati  non  sia  inferiore  a  quella
realizzabile,  in  ragione  della  collocazione  preferenziale,   sul
ricavato in caso di liquidazione  e  purche'  vengano  rispettate  le
altre prescrizioni procedimentali previste dall'art.  182-ter,  legge
fallimentare. In sostanza oggi non si e' piu' obbligati a  prevedere,
in sede di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione dei
debiti,  l'integrale  pagamento  del  credito  IVA  per  evitare   la
dichiarazione di inammissibilita' del  ricorso.  Il  regime  di  tale
credito e' parificato a quello degli altri privilegiati incapienti. 
    Un'evoluzione simile non si e'  invece  manifestata  nel  settore
delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento. 
    La disposizione dell'art. 7, comma 1,  terzo  periodo,  legge  n.
3/2012, a suo tempo quasi identica sul  piano  letterale  rispetto  a
quella  dell'art.  182-ter,   comma   primo,   ultima   parte   legge
fallimentare, e' infatti rimasta in vigore tal quale,  nonostante  la
totale revisione dell'interpretazione  e  poi  la  riscrittura  delle
corrispondenti disposizioni che  regolano  il  concordato  preventivo
coinvolgente crediti di natura fiscale. 
    Pertanto oggi la legge n. 3/2012 continua ad esigere, a  pena  di
inammissibilita', che nella procedura di accordo di  ristrutturazione
dei debiti (ma anche nel piano proposto dal consumatore)  il  credito
per IVA sia sempre e comunque pagato  per  intero,  a  differenza  di
quanto possibile per gli  altri  crediti  privilegiati,  che  possono
essere falcidiati nell'ambito dello stesso  piano  nel  limite  della
capienza dei beni gravati. 
    Vi sono molti dubbi (ad avviso di  questo  giudice  insuperabili)
che l'assetto normativo attuale sia compatibile con la Costituzione. 
    In primo luogo con l'art. 3. 
    Come  detto,  in  sede  di   concordato   preventivo,   procedura
concorsuale  di  tipo   negoziale   accessibile   agli   imprenditori
commerciali che abbiano i requisiti dimensionali  previsti  dall'art.
1, secondo comma, legge fallimentare ma anche alle imprese soggette a
L.C.A. con esclusione del fallimento (art. 3, legge fallimentare), e'
oggi  consentito  prevedere  una  soddisfazione  non  integrale   dei
creditori privilegiati, purche' ci si mantenga nei limiti del  valore
ricavabile dalla vendita forzata dei beni su  cui  la  prelazione  di
esercita, avuto riguardo al valore ad essi attribuibile sulla  scorta
di una valutazione di un esperto indipendente.  Nessuna  prescrizione
particolare sussiste circa la misura di  tale  soddisfazione,  ed  il
carattere tributario o  meno  del  credito  non  comporta  deviazioni
rispetto a tale principio. 
    La stessa regola vale, espressamente, anche  per  la  transazione
fiscale che si intenda  raggiungere  nell'ambito  di  un  accordo  di
ristrutturazione    ex    art.    182-bis,    legge     fallimentare:
l'amministrazione e' legittimata  ad  aderire  ad  una  proposta  del
debitore che preveda un pagamento parziale dei  crediti  privilegiati
che gestisce, se sono rispettate le consuete  regole  della  falcidia
nel limite della capienza  dei  beni  gravati  (art.  182-ter,  comma
quinto,  legge  fallimentare).  A  tale  procedura,  peraltro,   puo'
accedere oggi anche l'imprenditore agricolo,  per  effetto  dell'art.
23, comma 43, del decreto-legge n. 98/2011, convertito  in  legge  n.
111/2011. 
    Viceversa,  qualsiasi  debitore  insolvente  non  soggetto   alle
procedure  di  cui  alla  legge  fallimentare  (tra  cui  ad  esempio
l'imprenditore  commerciale  per  qualsiasi   motivo   sottratto   al
fallimento, o l'imprenditore agricolo - articoli  6,  comma  1  e  7,
commi 2, lettera A e 2-bis, legge n. 3/2012), qualora intenda gestire
il proprio sovraindebitamento con strumenti ugualmente concorsuali ed
a base  negoziale  sotto  il  controllo  del  tribunale  (accordo  di
ristrutturazione; piano del consumatore), puo'  bensi'  prevedere  un
trattamento dei creditori privilegiati con falcidia nel limite  della
capienza dei beni gravati; ma, con  deroga  assoluta  ed  imperativa,
deve sempre prevedere il pagamento per intero del credito per IVA,  a
pena di inammissibilita' della proposta. 
    In  sostanza:  la  regola  della  falcidiabilita'   dei   crediti
privilegiati, purche'  pagati  in  misura  corrispondente  al  valore
ricavabile in via di esecuzione forzata dai beni destinati per  legge
alla loro soddisfazione,  e'  ormai  comune  in  tutte  le  procedure
concorsuali che consentano una soluzione negoziata  di  un'insolvenza
qualsiasi, riguardi essa imprenditori commerciali grandi  e  piccoli,
ovvero imprenditori agricoli di ogni tipo, oppure operatori economici
sottratti a fallimento ma non a L.C.A., ovvero infine esenti a  vario
titolo dall'applicazione della  legge  fallimentare  (professionisti,
enti non pubblici, start up, cittadini comuni, consumatori). 
    Tuttavia coloro  che  hanno  a  disposizione  solo  le  procedure
concorsuali negoziate previste dalla legge n.  3/2012  devono  pagare
sempre  e  per  intero  quella  particolare  categoria   di   crediti
privilegiati rappresentata dal credito IVA; tutti gli  altri  possono
invece  gestire  il  medesimo  credito  con  falcidia   (nei   limiti
indicati), al pari di tutti gli altri muniti di causa di prelazione. 
    Una tale soluzione  non  pare  compatibile  con  l'art.  3  della
Costituzione, che esige dalla legge uguaglianza  di  trattamento  nei
confronti di tutti i  soggetti  (persone  fisiche,  giuridiche,  enti
collettivi in generale) che si trovino nelle medesime condizioni. 
    Condizioni che nella fattispecie consistono in uno stato di crisi
economica, comune a tutti i debitori posti in rassegna,  coinvolgente
anche un debito per IVA. 
    Ne' risulta sufficiente giustificazione per un trattamento simile
il fatto che i soggetti che possono accedere solo a quanto  stabilito
dalla legge n. 3/2012 hanno  in  genere  dimensioni  economiche  meno
rilevanti (e dunque un impatto della  loro  insolvenza  sull'economia
generale  inferiore,  compresa  la  probabilita'  di  sussistenza  di
crediti  IVA)  rispetto  a  coloro  cui  e'  applicabile   la   legge
fallimentare: a parte la considerazione per cui si danno nella prassi
casi di insolvenze di imprenditori agricoli di carattere imponente  e
destabilizzante, e che esistono  anche  imprenditori  commerciali  di
rilevante dimensione ma non fallibili per i piu'  vari  motivi  (cfr.
art. 10, legge fallimentare), pare  che  in  tal  caso  sarebbe  piu'
razionale un trattamento  di  maggior  favore  per  i  debitori  «non
commerciali e piccoli», e non invece deteriore come nei fatti accade. 
    A ben vedere, poi, simile  trattamento  pare  attuare  anche  una
discriminazione  su  base  censitaria  fra  gli  stessi  imprenditori
commerciali: chi ha dimensioni limitate  puo'  accedere  a  procedure
concordatarie ex legge n. 3/2012 per risolvere la propria insolvenza,
e falcidiare i crediti privilegiati incapienti, ma a costo di versare
per intero l'IVA; gli altri invece possono prescindere da tale ultima
imposizione, procedendo ad una falcidia generalizzata. La  dimensione
dell'impresa  commerciale  in  tal  caso  non  pare  essere  criterio
discretivo sufficiente, anche perche' essa e' mutevole nel  tempo  ed
un soggetto, nel corso della sua attivita' economica, potrebbe o meno
essere soggetta alle disposizioni della legge fallimentare a  seconda
di mere contingenze. 
    Lo stesso puo' dirsi per gli imprenditori agricoli,  che  possono
trattare con l'Erario per farsi approvare una  falcidia  del  credito
IVA nell'ambito di un accordo di ristrutturazione ex articoli 182-bis
e 182-ter, legge fallimentare, ma  non  possono  ottenere  lo  stesso
risultato se accedono ad una procedura di accordo di ristrutturazione
ex legge n. 3/2012. E cio', per  giunta,  a  prescindere  dalle  loro
dimensioni, sicche' lo stesso soggetto paradossalmente puo'  ottenere
o meno tale risultato a seconda dello  strumento  (pur  omologo)  che
egli stesso scelga di impiegare. 
    Eppure tutte le procedure in esame, pur a base  negoziale,  hanno
natura concorsuale non solo per legge (per il  concordato  preventivo
nessuno lo dubita; sempre piu' interpreti sostengono tale  esito  per
gli accordi ex articoli 182-bis, legge fallimentare; per l'accordo di
ristrutturazione ed il piano del consumatore v. l'art.  6,  comma  1,
legge n. 3/2012 ed il Reg. UE 2015/848, all. A, nonche' Cassazione n.
1896/16 in motivazione), ma anche perche' sono  tutte  sottoposte  al
controllo giurisdizionale con l'assistenza di valutazioni espresse da
esperti indipendenti, ritualmente contestabili dagli interessati. 
    E sono proprio tali caratteristiche, rinvenibili  nel  concordato
preventivo tanto quanto nelle procedure negoziate per la gestione del
sovraindebitamento, che hanno indotto  la  C.G.U.E.,  nella  sentenza
Degano Trasporti, a ritenere che il pagamento parziale di un  credito
IVA in tal caso non contrasta con l'ordinamento dell'U.E. 
    Per concludere, si puo' ritenere che l'art.  7,  comma  1,  terzo
periodo, legge n. 3/2012 (limitatamente alle parole «all'imposta  sul
valore  aggiunto»)  disciplina  in  modo  irragionevolmente   diverso
situazioni simili, qualora dedotte in procedure concorsuali  regolate
dalle medesime cadenze di massima e dalle stesse  finalita'.  Tramite
l'ablazione di tale norma dall'ordinamento potrebbe riespandersi,  in
tutte le ipotesi di procedura  concorsuale  negoziata,  il  principio
generale e razionale, per ciascuna di  esse  gia'  vigente,  per  cui
anche il credito IVA, come tutti i crediti privilegiati, puo'  essere
soddisfatto in misura parziale, purche' nei  limiti  del  valore  dei
beni gravati. 
    Oltre alla segnalata violazione dell'art. 3  della  Costituzione,
pare che la norma in esame sia in contrasto anche con l'art. 97 della
Costituzione, secondo cui la legge deve organizzare i pubblici uffici
in modo da assicurarne il buon andamento. 
    In tal caso la questione viene sollevata  d'ufficio,  poiche'  il
ricorso introduttivo  non  ne  tratta.  E'  ben  vero  che  la  Corte
costituzionale, con la  sentenza  n.  225/2014,  ha  gia'  dichiarato
insussistente  il  contrasto  fra  la  regola  dell'infalcidiabilita'
dell'IVA (all'epoca in vigore  per  tutte  le  procedure  concorsuali
negoziate) e tale parametro costituzionale. 
    Il giudice, in quell'occasione, si e' mosso dal  presupposto  che
l'obbligo di pagamento integrale dell'IVA, inteso in maniera assoluta
e inderogabile, fosse  conseguenza  dell'indisponibilita',  parimenti
assoluta, del tributo per effetto dell'ordinamento dell'U.E. 
    Ora  pero'  la  Corte  lussemburghese  ha  meglio  definito  tale
principio, ritenendo compatibile  con  l'ordinamento  comunitario  la
legge  fallimentare  italiana  anche  quando  prevede  un   pagamento
parziale dell'IVA, se inserita nel quadro di un piano  controllato  e
controllabile che dimostri come tale soluzione porti un beneficio non
inferiore a quello che si otterrebbe all'esito di'  una  liquidazione
forzata dei beni del debitore. Il ragionamento potrebbe dunque essere
ripreso e svolto in termini diversi. 
    Infatti la previsione  criticata,  quando  rende  necessariamente
inammissibile la proposta di accordo che  non  preveda  il  pagamento
integrale dell'IVA, priva la pubblica amministrazione del  potere  di
valutare autonomamente ed in concreto se la proposta (al di la' delle
attestazioni di corredo e del primo vaglio giudiziale) e' davvero  in
grado  di  soddisfare  tale  credito  erariale  in  misura   pari   o
addirittura  superiore  al   ricavato   ottenibile   nell'alternativa
liquidatoria, e dunque di determinarsi  nel  caso  concreto  al  voto
favorevole o contrario (con  facolta'  di  successiva  opposizione  e
reclamo). Cio' non assicura  il  principio  costituzionale  del  buon
andamento, perche' preclude in radice alla  pubblica  amministrazione
di condursi secondo criteri  di  economicita'  e  di  massimizzazione
delle risorse nel caso concreto, anche quando in realta' cio' sarebbe
possibile consentendo ad un pagamento del credito IVA parziale, ma in
termini piu' rapidi ed  in  misura  non  inferiore  alle  alternative
meramente liquidatorie. 
    La stessa situazione, a ben vedere, parrebbe di nuovo confliggere
con l'art. 3 della Costituzione. 
    Non si vede infatti la razionalita' del diverso  trattamento  cui
sono sottoposti, dall'art.  7,  comma  1,  terzo  periodo,  legge  n.
3/2012, la pubblica amministrazione che gestisce il  credito  IVA  ed
altri creditori  privilegiati.  Questi  ultimi  mantengono  la  piena
possibilita' di valutare liberamente di dare assenso ad un piano che,
seppur falcidiando il relativo diritto, in ipotesi  ne  consenta  una
realizzazione effettiva  e  non  inferiore  rispetto  all'alternativa
liquidatoria; la pubblica amministrazione invece  e'  espropriata  di
tale potere, anche in caso di manifesta convenienza. Eppure i crediti
privilegiati  del  primo  tipo   possono   avere   un   grado   anche
sensibilmente potiore rispetto a quello accordato all'IVA (art. 2778,
n. 19 del codice civile); non e' dunque l'importanza della causa  del
credito a guidare la mano del legislatore, ma un  criterio  ignoto  e
non condivisibile. 
    Il  tenore  letterale  della  disposizione  in  discussione  pare
cristallino, e la sua ratio e' stata  sopra  tratteggiata.  La  norma
puo' essere ricavata in via  diretta  ed  immediata,  come  prescrive
l'art.  12,  comma  primo,  disp.  prel.  c.c.,  e  paiono   precluse
interpretazioni  adeguatrici  o  piu'  conformi  a  Costituzione  del
dettato legale, a pena di violare l'obbligo di soggezione del giudice
all'ordinamento posto ed oggettivamente voluto dal legislatore  (art.
101, secondo comma della Costituzione). 
    Insomma, quest'ultimo, oggi ed allo stato,  vuole  che  il  piano
posto alla base di un ricorso per  accordo  di  ristrutturazione  dei
debiti ai sensi della legge n. 3/2012 preveda sempre  e  comunque  il
pagamento integrale del credito per IVA, a pena di  inammissibilita'.
Tale regola e' l'unica ricavabile all'esito dell'esegesi condotta. 
    Una norma siffatta  introduce  un'eccezione  ingiustificata  alla
regola  generale  della  falcidiabilita'  dei  crediti  privilegiati,
vigente nel medesimo settore; cio' e' dimostrato dal  fatto  che  nel
settore omologo del concordato preventivo la medesima regola generale
non prevede eccezione alcuna per il credito IVA. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale visti l'art. 23, legge n. 87/1953 e l'art. 1,  legge
n. 71/1956; 
    dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art.  7,  comma  1,  terzo  periodo,
legge n. 3/2012, limitatamente alle parole  «all'imposta  sul  valore
aggiunto»; 
    sospende  il  procedimento  fino  alla  decisione   della   Corte
costituzionale; 
    dispone che la presente ordinanza sia notificata,  a  cura  della
cancelleria, al ricorrente  (presso  il  difensore  ed  al  domicilio
eletto) ed al Presidente del  Consiglio  dei  ministri  (Dipartimento
affari  giuridici  e  legislativi  -  Ufficio  contenzioso,  per   la
consulenza giuridica e per  i  rapporti  con  la  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo - piazza Colonna, 370 -  00187  Roma),  e  che  sia
comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati; 
    dispone la trasmissione degli atti alla Corte  costituzionale,  a
cura della cancelleria e con la prova  dell'esecuzione  di  tutte  le
prescritte notificazioni e comunicazioni. 
      Udine, 14 maggio 2018 
 
                       Il Giudice: Massarelli