N. 171 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 maggio 2018
Ordinanza del 14 maggio 2018 del Tribunale di Udine sul ricorso proposto da Kainich Davide. Fallimento e procedure concorsuali - Procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento - Proposta di accordo di ristrutturazione e relativo piano - Possibilita' per il piano di prevedere, per i debiti inerenti all'imposta sul valore aggiunto, esclusivamente la dilazione del pagamento. - Legge 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonche' di composizione delle crisi da sovraindebitamento), art. 7, comma 1, terzo periodo.(GU n.48 del 5-12-2018 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI UDINE Sezione seconda civile Il giudice, nel procedimento n. r.g. 1100/2018 V.G., introdotto da Kainich Davide (C.F. KNCDVD72B29L483J) con il patrocinio dell'avv. Curri Pierpaolo - ricorrente; Ha pronunciato la seguente: ORDINANZA Il sig. Kainich, con ricorso depositato in data 29 marzo 2018, propone ai suoi creditori un accordo di ristrutturazione e di soddisfazione alternativa dei loro diritti, ai sensi degli articoli da 6 a 12 della legge n. 3/2012. Il ricorrente e' un soggetto sicuramente sovraindebitato, non avendo possibilita' alcuna di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni (debiti scaduti: € 411.449,59; beni patrimoniali attuali all'attivo: € 7.000; flussi finanziari positivi netti attesi nel prossimo quinquiennio: € 8.000/anno). La sua proposta prevede il pagamento (nel corso di cinque anni) di circa € 92.000 ai creditori prededucibili e concorsuali, tutti collocati in chirografo (compresi tutti i privilegiati, attesa l'incapienza totale dei beni gravati) con una percentuale di soddisfazione del 18% circa. Il ricorrente non e' soggetto in alcun modo a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dalla legge n. 3/2012, posto che non esercita attivita' d'impresa commerciale e che il suo sovraindebitamento deriva quasi integralmente dalla condizione di responsabile solidale (ex art. 38 del codice civile) per le obbligazioni contratte dalla «Associazione sportiva dilettantistica Albaretta», nel cui nome egli ha agito in passato e di cui e' legale rappresentante. A sua volta l'ente debitore principale non e' soggetto a procedure concorsuali diverse da quelle disciplinate dalla legge n. 3/2012, sia perche' non risulta esercitare attivita' d'impresa commerciale sia perche' comunque difettano in suo capo i requisiti di cui all'art. 1, comma secondo, legge fallimentare. Il ricorso e' corredato di tutti i documenti prescritti dall'art. 9, comma 2, legge n. 3/2012. Il ricorrente non ha mai fatto ricorso in precedenza alle procedure di cui alla legge n. 3/2012, ne' risulta aver compiuto atti in frode ai creditori nel quinquennio pregresso. Il professionista designato per svolgere le funzioni di organismo di composizione della crisi, ai sensi dell'art. 15, comma 9, legge n. 3/2012, attesta la fattibilita' del piano elaborato dal sig. Kainich e la veridicita' dei dati contenuti nel ricorso e nei documenti allegati, ed attesta altresi' il fatto che i beni del debitore, su cui i creditori privilegiati potrebbero far valere la loro collocazione preferenziale in caso di liquidazione forzata, hanno un valore di molto inferiore alla misura della soddisfazione ad essi offerta nel piano. Non vi sarebbero dunque fin qui ostacoli all'avvio da parte di questo giudice della successiva fase, regolata dall'art. 10, legge n. 3/2012. Tuttavia, fra i crediti privilegiati che il ricorrente propone di soddisfare solo parzialmente, figura anche l'obbligo di pagare all'Erario somme a titolo di imposta sul valore aggiunto (d'ora in poi: «IVA») per € 147.171; credito che gode del privilegio generale mobiliare di cui all'art. 2752, terzo comma del codice civile. Tale previsione del piano e' in palese contrasto con la regola posta dall'art. 7, comma 1, terzo periodo, legge n. 3/2012, secondo cui: «In ogni caso, con riguardo (...) all'imposta sul valore aggiunto (...), il piano puo' prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento». Il ricorso si fa carico di tale contrasto, che dovrebbe condurre alla dichiarazione di inammissibilita' per difetto di uno specifico requisito legale, chiedendo in primo luogo la «non applicazione» della norma interna, per contrasto con quanto prevede l'ordinamento dell'U.E., ritenuto di immediata applicazione alla fattispecie. In subordine eccepisce che la norma nazionale interna citata viola l'art. 3 della Costituzione. La prima richiesta e' sostenuta dal ricorrente sulla scorta di alcune pronunce rinvenibili nella giurisprudenza di merito (Trib. PT 26 aprile 2017 su www.ilcaso.it - cfr. anche Trib. TO 7 agosto 2017, ibidem e Trib. PE 19 ottobre 2017, su www.fallimentiesocieta.it). Tale orientamento premette che la materia in discussione e' di competenza dell'ordinamento dell'U.E. e che i giudici comuni e la pubblica amministrazione, a fronte di una normativa interna che risulti incompatibile con il diritto comunitario dotato di effetti diretti, devono procedere senza indugio all'applicazione di quest'ultimo e alla «non applicazione» della norma interna. Si ricorda inoltre che la norma posta dall'Unione, qualora manchi di efficacia diretta, puo' comunque avere nei sistemi giuridici nazionali un valore precettivo indiretto: il giudice nazionale deve infatti interpretare le disposizioni interne in confomita' al diritto dell'U.E. (c.d. obbligo di esegesi conforme). In certi casi, poi, il giudice puo' anche prescindere dal limite dell'interpretazione conforme e passare direttamente alla «non applicazione» della norma interna contrastante. Ebbene secondo tale orientamento, siccome: la disciplina dell'IVA rientra senza dubbio nella sfera di competenza unitaria, alla luce della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto (c.d. «direttiva IVA»); l'art. 273 della «direttiva Iva» obbliga ogni Stato membro ad assicurare l'esatta riscossione dell'IVA e ad evitarne le evasioni, nel rispetto della parita' di trattamento; tali disposizioni sono state interpretate dalla C.G.U.E. nel senso che ogni Stato membro beneficia di una certa liberta' circa l'individuazione dei mezzi a sua disposizione (sentenze Commissione/Italia, C-132/06, EU:C:2008:412, punto 38; Belvedere Costruzioni, C-500/10, EU:C:2012:186, punto 21); tuttavia tale liberta' e' limitata dall'obbligo di garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie dell'Unione (sentenze Commissione/Italia, C-132/06, EU:C:2008:412, punto 39; Commissione/Germania, C-539/09, EU:C:2011:733, punto 74; Belvedere Costruzioni, C-500/10, EU:C:2012:186, punto 22); non sono ammesse dunque misure nazionali che costituiscano una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell'Iva, quali quelle discusse nelle cause che hanno dato origine alle sentenze Commissione/Italia (C-132/06, EU:C:2008:412) e Commissione/Italia (C-174/07, EU:C:2008:704); rinuncia in tali casi ritenuta contraria all'obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell'IVA nel proprio territorio nonche' la riscossione effettiva delle risorse proprie dell'Unione; al contrario, una norma interna che permette ad un imprenditore commerciale in stato di insolvenza di pagare solo parzialmente il suo debito per IVA, qualora cio' avvenga nel quadro di una procedura seria, rigorosa e garantita quale quella del concordato preventivo di cui agli articoli 160 e s., legge fallimentare, non costituisce una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell'IVA e non e' contraria agli obblighi sopra tratteggiati (sentenza Degano Trasporti, C-546/14, ECLI:EU:C:2016:206, punto 28); allora si ritene legittimo procedere alla «non applicazione» dell'obbligo di pagamento integrale dell'IVA di cui all'art. 7, comma 1, terzo periodo, legge n. 3/2012, perche' l'ordinamento dell'U.E. considera lecito, a determinate condizioni, che lo Stato consenta un recupero solo parziale dell'IVA dovuta, purche' ricorrano tutti i presupposti richiesti (messa a disposizione di tutti i beni; attestazione di un esperto indipendente sul fatto che il creditore privilegiato falcidiato non potrebbe trovare migliore soddisfazione in una procedura di liquidazione; possibilita' di voto per i creditori degradati al chirografo, compreso lo Stato; possibilita' per l'Erario di far valere dinanzi al giudice le proprie ragioni). E tali presupposti si rinvengono anche nella procedura di accordo di cui agli articoli da 6 a 12, legge n. 3/2012. Cosi' il Tribunale di Torino. Oppure si ritiene di poter procedere ad un'interpretazione conforme della norma interna, come statuito dal Tribunale di Pistoia. L'art. 7 citato, secondo questa decisione, si limiterebbe infatti a replicare, in modo affatto neutrale, la regola eurounitaria espressa, secondo cui gli Stati membri hanno l'obbligo di assicurare il prelievo integrale dell'IVA sul territorio. Ma cosi' come nella normativa unitaria non e' esplicitata la regola derivata, desumibile implicitamente dalla sentenza Degano Trasporti e secondo cui gli Stati membri, ove non sia possibile la riscossione integrale dell'IVA dovuta, possono/devono garantire il miglior ricavo possibile, per come accertato nell'ambito di un procedimento sottoposto a controllo giurisdizionale e nell'ambito del quale sia garantita la possibilita' di voto e di opposizione del creditore (il concordato preventivo), ugualmente dovrebbe dirsi in riferimento alla regola sull'IVA contenuta nell'art. 7, legge n. 3/2012. L'interpretazione conforme prospettata consentirebbe di ritenere che il divieto di falcidia dell'IVA, previsto dalla norma sull'accordo del sovraindebitato, faccia implicitamente salva l'ipotesi che la proposta preveda un trattamento migliore rispetto a quello consentito dalla altemativa liquidatoria, esprimendo cosi' una regola generale rispetto alla quale l'eccezione deve ritenersi non esclusa, ma implicita. Non si puo' convenire con tali ricostruzioni. Quella del giudice torinese da' infatti per scontata l'esistenza di un presupposto essenziale: che le norme dell'ordinamento U.E. di cui si discute abbiano efficacia diretta. Cio' non puo' dirsi nella fattispecie. Infatti: una norma contenuta in una direttiva, destinata per natura a creare obblighi in capo allo Stato membro, puo' avere tale effetto solo se caratterizzata da un contenuto precettivo chiaro, preciso e incondizionato; nel caso specifico la disposizione rilevante e' quella di cui all'art. 273 della «direttiva IVA», nella parte in cui obbliga gli Stati membri ad assicurare l'esatta riscossione dell'Iva, come interpretata dalla C.G.U.E. nel senso sopra tratteggiato; il quadro ricavabile fa capire solo che non e' in contrasto con tale obbligo (al contrario di altre misure, quali i deprecati «condoni») una legge nazionale che consente un pagamento parziale dell'IVA dovuta, purche' nell'ambito di una procedura concorsuale munita delle necessarie garanzie e nei limiti della soddisfazione ottenibile nello scenario liquidatorio alternativo; cio' non vuol dire pero' che nell'ordinamento dell'U.E. esista un precetto chiaro, preciso ed incondizionato che obblighi gli Stati membri a permettere il pagamento parziale dell'IVA ad un debitore insolvente, sia pure con le precisate garanzie procedurali; anzi, rimane in via di principio a loro favore un quadro di relativa liberta' nell'individuazione dei modi in cui perseguire l'obiettivo di una riscossione «effettiva». Dunque non pare predicabile un contrasto fra la disposizione interna in discussione ed una norma dell'U.E. avente efficacia diretta, con conseguente potere giudiziale di «non applicazione» della prima nell'ambito di un giudizio interno. Ne' risultano in gioco «principi generali del diritto comunitario», che possano legittimare una disapplicazione di contrarie norme interne contrastanti con disposizioni di direttive U.E., a prescindere dall'efficacia diretta di queste ultime (cfr. sentenza Mangold, causa C-144/04, ECLI:EU:C:2005:709). Nemmeno la ricostruzione proposta dal Tribunale di Pistoia pare condivisibile. Essa infatti non tiene in considerazione il fatto che la norma interna in discussione esordisce con le parole «In ogni caso». Appare arduo dunque ritenere che essa si limiti a riproporre un divieto generale proveniente dall'ordinamento U.E., ammettendo implicitamente un'eccezione a se' stessa per il caso in cui un piano preveda un trattamento del credito IVA migliore di quello ricavabile in caso di liquidazione forzata dei beni. Cio' non solo sul piano dell'esegesi letterale, ma anche di quella sistematica: la Suprema Corte di Cassazione, nella sentenza S.U. n. 26988/16, ha infatti affermato che il principio generale che consente la falcidia dei crediti privilegiati nelle procedure concorsuali puo' essere oggetto di deroga da parte del legislatore, e cio' e' volutamente avvenuto, per l'Iva ed altre specifiche categorie di crediti privilegiati, nel caso dei procedimenti di composizione delle crisi da sovraindebitamento (motivazione, pag. 13). Si deve ritenere dunque che in realta' la norma introduce un'eccezione ad una regola generale (la possibilita' di falcidia dei crediti privilegiati in misura pari alla capienza); non e' essa stessa una regola generale che implicitamente ammette eccezioni. Se la disposizione in discussione non e' in contrasto con norme dell'U.E. aventi effetto diretto e contenuto precettivo chiaro, preciso e incondizionato, non si pone tin problema di sua «non applicazione», e la vicenda deve essere risolta soltanto nel quadro dell'ordinamento interno. Si deve ritenere che l'eccezione di illegittimita' costituzionale, sollevata in subordine dal ricorrente, sia rilevante e non manifestamente infondata. Sotto il primo profilo, va sottolineato che il rispetto del citato art. 7, comma 1, terzo periodo, legge n. 3/2012 e' condizione: di ammissibilita' del ricorso (art. 10, comma 1, legge n. 3/2012); di omologabilita' dell'accordo, se raggiunto (art. 12, comma 2, primo periodo, legge n. 3/2012); di persistenza degli effetti dell'omologazione dell'accordo (art. 12, comma 4, legge n. 3/2012). Da cio' la rilevanza della questione in esame, perche' la norma deve trovare applicazione in questo procedimento, e determina direttamente la sua sorte. Quanto alla non manifesta infondatezza, si osserva quanto segue. La previsione in discorso, inserita nella legge sulle crisi da sovraindebitamento dal decreto-legge n. 179/2012, convertito in legge n. 221/2012, costituiva all'epoca la declinazione in questo settore di un identico principio, inserito fin dal 2006/2008 nell'affine settore del concordato preventivo (cfr. art. 182-ter, comma primo, periodo primo, ultima parte, legge fallimentare). In sostanza in entrambi i settori era consentito in generale proporre un pagamento parziale dei crediti privilegiati, purche' nei limiti della capienza dei beni gravati (c.d. «falcidia»); ma il credito privilegiato per IVA (assieme ad alcuni altri, qui irrilevanti) faceva eccezione e doveva invece essere sempre pagato per intero. Cio' a prescindere dal fatto che il debitore proponesse o meno un concordato preventivo connesso ad una transazione fiscale e senza riguardi per il relativamente basso grado di privilegio attribuito a tale credito dalla legge (Cass. nn. 22931 e 22932/2011; n. 7667/2012; nn. 9541 e 14447/14; n. 18561/2016). L'assetto derivante da una simile interpretazione era stato considerato compatibile con la Costituzione (Corte Costituzionale n. 225/14). La situazione e' pero' mutata all'indomani della pronuncia emessa dalla C.G.U.E. il 7 aprile 2016, nella citata causa Degano Trasporti promossa da questo ufficio, secondo cui: «L'articolo 4, paragrafo 3, TUE nonche' gli articoli 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, non ostano a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, interpretata nel senso che un imprenditore in stato di insolvenza puo' presentare a un giudice una domanda di apertura di una procedura di concordato preventivo, al fine di saldare i propri debiti mediante la liquidazione del suo patrimonio, con la quale proponga di pagare solo parzialmente un debito dell'imposta sul valore aggiunto attestando, sulla base dell'accertamento di un esperto indipendente, che tale debito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di proprio fallimento.» Infatti la Suprema Corte di Cassazione, nella sua massima composizione (S.U. nn. 26988/16, cit. e 760/17), ha preso atto di tale pronuncia vincolante ed ha mutato il proprio precedente avviso, stabilendo che «L'art. 182-ter, comma 1, l. fall., come modificato dall'art. 32 del decreto-legge n. 185 del 2008, conv. con l. n. 2 del 2009, laddove esclude la falcidia sul capitale dell'IVA, cosi' sancendo l'intangibilita' del relativo debito, costituisce un'eccezione alla regola generale, stabilita dall'art. 160, comma 2, l. fall., della falcidiabilita' dei crediti privilegiati, compresi quelli relativi ai tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea, e trova, quindi, applicazione solo nella speciale ipotesi di proposta di concordato accompagnata da una transazione fiscale.» Il campo di applicazione dell'obbligo di pagamento integrale del credito IVA e' stato cosi' da allora delimitato alla sola ipotesi del concordato preventivo e dell'accordo di ristrutturazione cui accedesse una proposta di transazione fiscale; in difetto di ricorso a quest'ultimo istituto, riprendeva vigore l'ordinaria possibilita' per il debitore di soddisfare parzialmente i crediti privilegiati di ogni sorta (quelli per IVA inclusi), purche' nei limiti della capienza dei beni gravati. Lo stesso legislatore interno ha preso atto della novita', procedendo ad una riscrittura dell'art. 182-ter, legge fallimentare, tramite l'art. 1, comma 81, della legge n. 232/2016. Oggi, abbandonato il concetto di concordato preventivo con o senza transazione fiscale, si puo' infatti sempre proporre un concordato preventivo (o un accordo di ristrutturazione) che preveda il pagamento parziale di tutti i tributi e relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonche' dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, purche' la soddisfazione offerta a tali crediti privilegiati non sia inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione e purche' vengano rispettate le altre prescrizioni procedimentali previste dall'art. 182-ter, legge fallimentare. In sostanza oggi non si e' piu' obbligati a prevedere, in sede di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione dei debiti, l'integrale pagamento del credito IVA per evitare la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso. Il regime di tale credito e' parificato a quello degli altri privilegiati incapienti. Un'evoluzione simile non si e' invece manifestata nel settore delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento. La disposizione dell'art. 7, comma 1, terzo periodo, legge n. 3/2012, a suo tempo quasi identica sul piano letterale rispetto a quella dell'art. 182-ter, comma primo, ultima parte legge fallimentare, e' infatti rimasta in vigore tal quale, nonostante la totale revisione dell'interpretazione e poi la riscrittura delle corrispondenti disposizioni che regolano il concordato preventivo coinvolgente crediti di natura fiscale. Pertanto oggi la legge n. 3/2012 continua ad esigere, a pena di inammissibilita', che nella procedura di accordo di ristrutturazione dei debiti (ma anche nel piano proposto dal consumatore) il credito per IVA sia sempre e comunque pagato per intero, a differenza di quanto possibile per gli altri crediti privilegiati, che possono essere falcidiati nell'ambito dello stesso piano nel limite della capienza dei beni gravati. Vi sono molti dubbi (ad avviso di questo giudice insuperabili) che l'assetto normativo attuale sia compatibile con la Costituzione. In primo luogo con l'art. 3. Come detto, in sede di concordato preventivo, procedura concorsuale di tipo negoziale accessibile agli imprenditori commerciali che abbiano i requisiti dimensionali previsti dall'art. 1, secondo comma, legge fallimentare ma anche alle imprese soggette a L.C.A. con esclusione del fallimento (art. 3, legge fallimentare), e' oggi consentito prevedere una soddisfazione non integrale dei creditori privilegiati, purche' ci si mantenga nei limiti del valore ricavabile dalla vendita forzata dei beni su cui la prelazione di esercita, avuto riguardo al valore ad essi attribuibile sulla scorta di una valutazione di un esperto indipendente. Nessuna prescrizione particolare sussiste circa la misura di tale soddisfazione, ed il carattere tributario o meno del credito non comporta deviazioni rispetto a tale principio. La stessa regola vale, espressamente, anche per la transazione fiscale che si intenda raggiungere nell'ambito di un accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis, legge fallimentare: l'amministrazione e' legittimata ad aderire ad una proposta del debitore che preveda un pagamento parziale dei crediti privilegiati che gestisce, se sono rispettate le consuete regole della falcidia nel limite della capienza dei beni gravati (art. 182-ter, comma quinto, legge fallimentare). A tale procedura, peraltro, puo' accedere oggi anche l'imprenditore agricolo, per effetto dell'art. 23, comma 43, del decreto-legge n. 98/2011, convertito in legge n. 111/2011. Viceversa, qualsiasi debitore insolvente non soggetto alle procedure di cui alla legge fallimentare (tra cui ad esempio l'imprenditore commerciale per qualsiasi motivo sottratto al fallimento, o l'imprenditore agricolo - articoli 6, comma 1 e 7, commi 2, lettera A e 2-bis, legge n. 3/2012), qualora intenda gestire il proprio sovraindebitamento con strumenti ugualmente concorsuali ed a base negoziale sotto il controllo del tribunale (accordo di ristrutturazione; piano del consumatore), puo' bensi' prevedere un trattamento dei creditori privilegiati con falcidia nel limite della capienza dei beni gravati; ma, con deroga assoluta ed imperativa, deve sempre prevedere il pagamento per intero del credito per IVA, a pena di inammissibilita' della proposta. In sostanza: la regola della falcidiabilita' dei crediti privilegiati, purche' pagati in misura corrispondente al valore ricavabile in via di esecuzione forzata dai beni destinati per legge alla loro soddisfazione, e' ormai comune in tutte le procedure concorsuali che consentano una soluzione negoziata di un'insolvenza qualsiasi, riguardi essa imprenditori commerciali grandi e piccoli, ovvero imprenditori agricoli di ogni tipo, oppure operatori economici sottratti a fallimento ma non a L.C.A., ovvero infine esenti a vario titolo dall'applicazione della legge fallimentare (professionisti, enti non pubblici, start up, cittadini comuni, consumatori). Tuttavia coloro che hanno a disposizione solo le procedure concorsuali negoziate previste dalla legge n. 3/2012 devono pagare sempre e per intero quella particolare categoria di crediti privilegiati rappresentata dal credito IVA; tutti gli altri possono invece gestire il medesimo credito con falcidia (nei limiti indicati), al pari di tutti gli altri muniti di causa di prelazione. Una tale soluzione non pare compatibile con l'art. 3 della Costituzione, che esige dalla legge uguaglianza di trattamento nei confronti di tutti i soggetti (persone fisiche, giuridiche, enti collettivi in generale) che si trovino nelle medesime condizioni. Condizioni che nella fattispecie consistono in uno stato di crisi economica, comune a tutti i debitori posti in rassegna, coinvolgente anche un debito per IVA. Ne' risulta sufficiente giustificazione per un trattamento simile il fatto che i soggetti che possono accedere solo a quanto stabilito dalla legge n. 3/2012 hanno in genere dimensioni economiche meno rilevanti (e dunque un impatto della loro insolvenza sull'economia generale inferiore, compresa la probabilita' di sussistenza di crediti IVA) rispetto a coloro cui e' applicabile la legge fallimentare: a parte la considerazione per cui si danno nella prassi casi di insolvenze di imprenditori agricoli di carattere imponente e destabilizzante, e che esistono anche imprenditori commerciali di rilevante dimensione ma non fallibili per i piu' vari motivi (cfr. art. 10, legge fallimentare), pare che in tal caso sarebbe piu' razionale un trattamento di maggior favore per i debitori «non commerciali e piccoli», e non invece deteriore come nei fatti accade. A ben vedere, poi, simile trattamento pare attuare anche una discriminazione su base censitaria fra gli stessi imprenditori commerciali: chi ha dimensioni limitate puo' accedere a procedure concordatarie ex legge n. 3/2012 per risolvere la propria insolvenza, e falcidiare i crediti privilegiati incapienti, ma a costo di versare per intero l'IVA; gli altri invece possono prescindere da tale ultima imposizione, procedendo ad una falcidia generalizzata. La dimensione dell'impresa commerciale in tal caso non pare essere criterio discretivo sufficiente, anche perche' essa e' mutevole nel tempo ed un soggetto, nel corso della sua attivita' economica, potrebbe o meno essere soggetta alle disposizioni della legge fallimentare a seconda di mere contingenze. Lo stesso puo' dirsi per gli imprenditori agricoli, che possono trattare con l'Erario per farsi approvare una falcidia del credito IVA nell'ambito di un accordo di ristrutturazione ex articoli 182-bis e 182-ter, legge fallimentare, ma non possono ottenere lo stesso risultato se accedono ad una procedura di accordo di ristrutturazione ex legge n. 3/2012. E cio', per giunta, a prescindere dalle loro dimensioni, sicche' lo stesso soggetto paradossalmente puo' ottenere o meno tale risultato a seconda dello strumento (pur omologo) che egli stesso scelga di impiegare. Eppure tutte le procedure in esame, pur a base negoziale, hanno natura concorsuale non solo per legge (per il concordato preventivo nessuno lo dubita; sempre piu' interpreti sostengono tale esito per gli accordi ex articoli 182-bis, legge fallimentare; per l'accordo di ristrutturazione ed il piano del consumatore v. l'art. 6, comma 1, legge n. 3/2012 ed il Reg. UE 2015/848, all. A, nonche' Cassazione n. 1896/16 in motivazione), ma anche perche' sono tutte sottoposte al controllo giurisdizionale con l'assistenza di valutazioni espresse da esperti indipendenti, ritualmente contestabili dagli interessati. E sono proprio tali caratteristiche, rinvenibili nel concordato preventivo tanto quanto nelle procedure negoziate per la gestione del sovraindebitamento, che hanno indotto la C.G.U.E., nella sentenza Degano Trasporti, a ritenere che il pagamento parziale di un credito IVA in tal caso non contrasta con l'ordinamento dell'U.E. Per concludere, si puo' ritenere che l'art. 7, comma 1, terzo periodo, legge n. 3/2012 (limitatamente alle parole «all'imposta sul valore aggiunto») disciplina in modo irragionevolmente diverso situazioni simili, qualora dedotte in procedure concorsuali regolate dalle medesime cadenze di massima e dalle stesse finalita'. Tramite l'ablazione di tale norma dall'ordinamento potrebbe riespandersi, in tutte le ipotesi di procedura concorsuale negoziata, il principio generale e razionale, per ciascuna di esse gia' vigente, per cui anche il credito IVA, come tutti i crediti privilegiati, puo' essere soddisfatto in misura parziale, purche' nei limiti del valore dei beni gravati. Oltre alla segnalata violazione dell'art. 3 della Costituzione, pare che la norma in esame sia in contrasto anche con l'art. 97 della Costituzione, secondo cui la legge deve organizzare i pubblici uffici in modo da assicurarne il buon andamento. In tal caso la questione viene sollevata d'ufficio, poiche' il ricorso introduttivo non ne tratta. E' ben vero che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 225/2014, ha gia' dichiarato insussistente il contrasto fra la regola dell'infalcidiabilita' dell'IVA (all'epoca in vigore per tutte le procedure concorsuali negoziate) e tale parametro costituzionale. Il giudice, in quell'occasione, si e' mosso dal presupposto che l'obbligo di pagamento integrale dell'IVA, inteso in maniera assoluta e inderogabile, fosse conseguenza dell'indisponibilita', parimenti assoluta, del tributo per effetto dell'ordinamento dell'U.E. Ora pero' la Corte lussemburghese ha meglio definito tale principio, ritenendo compatibile con l'ordinamento comunitario la legge fallimentare italiana anche quando prevede un pagamento parziale dell'IVA, se inserita nel quadro di un piano controllato e controllabile che dimostri come tale soluzione porti un beneficio non inferiore a quello che si otterrebbe all'esito di' una liquidazione forzata dei beni del debitore. Il ragionamento potrebbe dunque essere ripreso e svolto in termini diversi. Infatti la previsione criticata, quando rende necessariamente inammissibile la proposta di accordo che non preveda il pagamento integrale dell'IVA, priva la pubblica amministrazione del potere di valutare autonomamente ed in concreto se la proposta (al di la' delle attestazioni di corredo e del primo vaglio giudiziale) e' davvero in grado di soddisfare tale credito erariale in misura pari o addirittura superiore al ricavato ottenibile nell'alternativa liquidatoria, e dunque di determinarsi nel caso concreto al voto favorevole o contrario (con facolta' di successiva opposizione e reclamo). Cio' non assicura il principio costituzionale del buon andamento, perche' preclude in radice alla pubblica amministrazione di condursi secondo criteri di economicita' e di massimizzazione delle risorse nel caso concreto, anche quando in realta' cio' sarebbe possibile consentendo ad un pagamento del credito IVA parziale, ma in termini piu' rapidi ed in misura non inferiore alle alternative meramente liquidatorie. La stessa situazione, a ben vedere, parrebbe di nuovo confliggere con l'art. 3 della Costituzione. Non si vede infatti la razionalita' del diverso trattamento cui sono sottoposti, dall'art. 7, comma 1, terzo periodo, legge n. 3/2012, la pubblica amministrazione che gestisce il credito IVA ed altri creditori privilegiati. Questi ultimi mantengono la piena possibilita' di valutare liberamente di dare assenso ad un piano che, seppur falcidiando il relativo diritto, in ipotesi ne consenta una realizzazione effettiva e non inferiore rispetto all'alternativa liquidatoria; la pubblica amministrazione invece e' espropriata di tale potere, anche in caso di manifesta convenienza. Eppure i crediti privilegiati del primo tipo possono avere un grado anche sensibilmente potiore rispetto a quello accordato all'IVA (art. 2778, n. 19 del codice civile); non e' dunque l'importanza della causa del credito a guidare la mano del legislatore, ma un criterio ignoto e non condivisibile. Il tenore letterale della disposizione in discussione pare cristallino, e la sua ratio e' stata sopra tratteggiata. La norma puo' essere ricavata in via diretta ed immediata, come prescrive l'art. 12, comma primo, disp. prel. c.c., e paiono precluse interpretazioni adeguatrici o piu' conformi a Costituzione del dettato legale, a pena di violare l'obbligo di soggezione del giudice all'ordinamento posto ed oggettivamente voluto dal legislatore (art. 101, secondo comma della Costituzione). Insomma, quest'ultimo, oggi ed allo stato, vuole che il piano posto alla base di un ricorso per accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi della legge n. 3/2012 preveda sempre e comunque il pagamento integrale del credito per IVA, a pena di inammissibilita'. Tale regola e' l'unica ricavabile all'esito dell'esegesi condotta. Una norma siffatta introduce un'eccezione ingiustificata alla regola generale della falcidiabilita' dei crediti privilegiati, vigente nel medesimo settore; cio' e' dimostrato dal fatto che nel settore omologo del concordato preventivo la medesima regola generale non prevede eccezione alcuna per il credito IVA.
P.Q.M. Il Tribunale visti l'art. 23, legge n. 87/1953 e l'art. 1, legge n. 71/1956; dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1, terzo periodo, legge n. 3/2012, limitatamente alle parole «all'imposta sul valore aggiunto»; sospende il procedimento fino alla decisione della Corte costituzionale; dispone che la presente ordinanza sia notificata, a cura della cancelleria, al ricorrente (presso il difensore ed al domicilio eletto) ed al Presidente del Consiglio dei ministri (Dipartimento affari giuridici e legislativi - Ufficio contenzioso, per la consulenza giuridica e per i rapporti con la Corte europea dei diritti dell'uomo - piazza Colonna, 370 - 00187 Roma), e che sia comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati; dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, a cura della cancelleria e con la prova dell'esecuzione di tutte le prescritte notificazioni e comunicazioni. Udine, 14 maggio 2018 Il Giudice: Massarelli