N. 172 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 ottobre 2018

Ordinanza dell'8 ottobre 2018 del Tribunale amministrativo  regionale
per la Lombardia  sul  ricorso  proposto  da  Associazione  Comunita'
Islamica Ticinese contro Comune di Sesto Calende.. 
 
Edilizia e urbanistica - Confessioni religiose - Norme della  Regione
  Lombardia - Piano per le attrezzature religiose - Previsione che  i
  Comuni che intendono prevedere nuove  attrezzature  religiose  sono
  tenuti  ad  adottare  e  approvare  il  piano  delle   attrezzature
  religiose entro diciotto mesi dall'entrata in  vigore  della  legge
  regionale n. 2 del 2015 - Previsione che, decorso detto termine, il
  piano e'  approvato  unitamente  al  nuovo  piano  di  governo  del
  territorio (PGT). 
- Legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12  (Legge  per  il
  governo  del  territorio),  art.  72,  comma  5,  come   modificato
  dall'art. 1, comma 1, lettera c), della legge regionale 3  febbraio
  2015, n. 2 ("Modifiche alla legge regionale 11 marzo  2005,  n.  12
  (Legge  per  il  governo  del  territorio)  -   Principi   per   la
  pianificazione delle attrezzature per servizi religiosi"). 
(GU n.48 del 5-12-2018 )
 
        IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA 
                          (Sezione Seconda) 
 
    Ha  pronunciato  la  presente  sentenza  sul  ricorso  numero  di
registro generale  2998  del  2016,  integrato  da  motivi  aggiunti,
proposto da Associazione Comunita' Islamica Ticinese, in persona  del
legale rappresentante  pro  tempore,  rappresentata  e  difesa  dagli
avvocati Aldo Travi, Elena Travi, con domicilio digitale come da  PEC
da Registri di Giustizia; 
    Contro  il  Comune  di  Sesto  Calende,  in  persona  del  legale
rappresentante pro  tempore,  rappresentato  e  difeso  dall'avvocato
Rossana Colombo  e  dall'avvocato  Angelo  Ravizzoli,  con  domicilio
digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 
    Per l'annullamento con il ricorso  principale  del  provvedimento
del Responsabile dei servizi dell'Area tecnica del  Comune  di  Sesto
Calende in data 25 ottobre 2016, prot. 24471, con il quale  e'  stata
respinta l'istanza presentata dalla ricorrente  per  l'individuazione
di un luogo di culto nel territorio comunale; 
    nonche' di  ogni  ulteriore  atto  presupposto  e  connesso,  ivi
compreso il preavviso di rigetto in  data  5  settembre  2016,  prot.
20368. 
    Con motivi  aggiunti  del  27  novembre  2017,  la  delibera  del
Consiglio del Comune di Sesto Calende, del 20 settembre 2017  n.  39,
di  rigetto  della  domanda  dell'Associazione   Comunita'   Islamica
Ticinese di individuare un luogo di culto  islamico  nell'ambito  del
PGT. 
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in  giudizio  del  Comune  di  Sesto
Calende; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica  del  giorno  30  maggio  2018  la
dott.ssa  Silvana  Bini  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 
 
                                Fatto 
 
    L'Associazione   Comunita'   Islamica   (da   ora   anche    solo
Associazione), e' un'associazione costituita  nel  2004  e  raccoglie
circa   trecento   persone   di   religione    islamica,    residenti
prevalentemente a Sesto Calende e nei comuni limitrofi. 
    Gia' nel  luglio  2011,  nel  corso  della  formazione  del  PGT,
l'Associazione  ha  chiesto  al  comune  di  prevedere  nel   proprio
strumento urbanistico un'area per il culto islamico. 
    Il provvedimento di rigetto e' stato impugnato con ricorso  (r.g.
n. 364/2012), accolto con sentenza n. 2485 dell'8 novembre 2013. 
    Tuttavia, a fronte dell'inerzia  del  Comune,  L'Associazione  si
vedeva costretta a notificare ricorso per ottemperanza,  accolto  con
sentenza n. 146 del 15 gennaio 2015. L'Amministrazione avviava quindi
un procedimento in ottemperanza alla sentenza del Tar; tuttavia,  con
nota del 22  febbraio  2015,  l'Amministrazione  comunicava  di  aver
sospeso il procedimento, a seguito della L.R. n.  2  del  3  febbraio
2015. 
    L'Associazione notificava  un  nuovo  giudizio  di  ottemperanza,
sull'assunto che la nuova  legge  regionale  non  potesse  costituire
ostacolo all'esecuzione delle precedenti statuizioni giurisdizionali.
Il ricorso di ottemperanza veniva accolto con sentenza  n.  943/2015:
il Tribunale amministrativo regionale riteneva infatti  che  la  L.R.
2/2015,  ancorche'  sopravvenuta,  dovesse  trovare  applicazione   e
incidesse sul dovere di esecuzione del comune. 
    Al fine  di  non  fare  decorrere  il  termine  di  18  mesi  per
l'approvazione  dei  piani  comunali  delle  attrezzature  religiose,
l'Associazione notificava in data 26 luglio 2016 un atto di diffida. 
    L'Amministrazione  avviava  il   procedimento   al   fine   della
valutazione delle osservazioni pervenute e dopo la  comunicazione  ex
art 10-bis, notificava il rigetto della domanda, rilevando  l'assenza
dei requisiti di ente di confessione religiosa, come richiesti  dalla
legge n. 1159/1929. 
    Il diniego veniva impugnato con il presente  ricorso,  notificato
in data 20 dicembre 2016 e depositato il  22  dicembre  2016,  per  i
seguenti motivi: 
        1) illegittimita' del provvedimento 25 ottobre 2016 n.  24471
per eccesso di potere e violazione di legge, in relazione all'art 70,
comma 2-ter L.R. 12/2005; violazione della  legge  n.  1159/1929;  in
subordine illegittimita' derivata per violazione degli articoli  2  e
19 Cost.: secondo  l'Amministrazione  l'Associazione  non  avrebbe  i
poteri di rappresentanza propri degli enti  delle  altre  confessioni
religiose e non costituirebbe ente di confessione religiosa. Sostiene
la ricorrente che la legge n. 1159/1929 non e' applicabile al caso in
esame, ne' puo' rappresentare una condizione per limitare l'esercizio
del diritto di culto, dal momento che la  liberta'  religiosa  e'  un
diritto       costituzionale.       Seguendo        l'interpretazione
dell'Amministrazione  la  L.R.  risulterebbe  in  contrasto  con  gli
articoli  2,  8  e  19  Cost.,  perche'  si  escluderebbe   qualsiasi
insediamento di edifici di culto islamico nel territorio regionale; 
        2) illegittimita' del provvedimento 25 ottobre 2016, n. 24471
in relazione al vincolo da osservare nell'esecuzione  delle  sentenze
del Tribunale amministrativo regionale Lombardia sez. II n. 2485/2013
e n. 146/2015, difetto di motivazione: l'Amministrazione sostiene che
l'Associazione  ricorrente   non   sarebbe   «ente   di   confessione
religiosa». Gia' nelle pregresse  sentenze  l'Associazione  e'  stata
ritenuta come rappresentativa di una comunita' di residenti dotata di
legittimazione al ricorso; 
        3) illegittimita' del provvedimento 25 ottobre 2016, n. 24471
per violazione degli articoli  3  e  8  Cost.  e  dell'art.  70  L.R.
12/2005: il provvedimento richiede la necessita' della sottoscrizione
di una convenzione con il  comune.  L'Associazione  e'  sempre  stata
disponibile a detta sottoscrizione; in ogni caso  si  tratta  di  una
condizione in contrasto con i principi costituzionali  perche'  viene
introdotta una discriminazione fondata sulla confessione religiosa; 
        4) illegittimita' del provvedimento 25 ottobre 2016, n. 24471
per violazione dell'art. 10 legge n. 241/90:  nel  provvedimento  una
ragione di rigetto e' indicata nella circostanza  che  l'associazione
non  costituirebbe  ente  di  confessione   religiosa,   motivo   non
rappresentato nel preavviso di rigetto. 
    Si  e'  costituito  in  giudizio  il  Comune  di  Sesto  Calende,
chiedendo il rigetto del ricorso. 
    Con ordinanza cautelare n. 117 del 20 gennaio  2017  gli  effetti
del diniego sono stati  sospesi,  disponendo  il  riesame,  rilevando
profili di  fondatezza  del  ricorso,  in  quanto  «la  mancanza  del
riconoscimento ai sensi della legge  n.  1159  del  1929  non  appare
legittimamente   invocabile   quale   causa   di   esclusione   dalla
possibilita' di ottenere, da  parte  di  una  confessione  religiosa,
l'assegnazione  di  aree  da  destinare  all'esercizio   del   culto,
considerato che tale possibilita' deve essere garantita  a  tutte  le
confessioni,  e  non  soltanto  a  quelle  riconosciute  (cfr.  Corte
costituzionale n. 63 del 2016, n. 193 del 1995 e n. 59 del 1958): 
        appare  pure  censurabile  l'affermazione  secondo  la  quale
l'Associazione ricorrente, al di la' della mancanza di riconoscimento
ai sensi della legge n. 1159 del 1929,  non  costituirebbe  «ente  di
confessione religiosa», in quanto, a fronte della finalita' religiosa
dell'organizzazione e della dichiarata volonta'  di  disporre  di  un
luogo per l'esercizio del culto,  non  sembra  consentito  al  comune
richiedere ne' il  possesso  di  specifici  requisiti  da  parte  del
soggetto  istante   (attesa   la   declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale che ha colpito la parte del comma 2-bis  dell'art.  70
della legge regionale n.  12  del  2005,  ove  tali  requisiti  erano
stabiliti), ne' la prova che tale soggetto costituisca  articolazione
di una  confessione  organizzata  o  benefici  di  un  riconoscimento
formale della rappresentativita' di un certo credo religioso, poiche'
la liberta' di culto e'  garantita  anche  a  «confessioni  religiose
strutturate  come  semplici  comunita'  di  fedeli  che  non  abbiano
organizzazioni regolate da speciali statuti» (Corte cost. n. 193  del
1995); 
        conseguentemente, in una lettura costituzionalmente orientata
della  disciplina   regionale,   la   qualificazione   del   soggetto
richiedente,  da  parte  del  Comune,  come  «ente   di   confessione
religiosa» non sembra potersi basare che sull'idoneita'  in  concreto
di tale soggetto a rappresentare un'esigenza di culto riscontrabile a
livello locale; 
        in tale prospettiva, la valutazione che il comune e' chiamato
a  compiere,  ai  fini  all'individuazione  di  luoghi  da  destinare
all'esercizio del culto, dovra' percio' risultare attinente,  secondo
l'insegnamento  della  Corte   costituzionale,   «all'entita'   della
presenza sul  territorio  dell'una  o  dell'altra  confessione,  alla
rispettiva consistenza e incidenza sociale e alle esigenze  di  culto
riscontrate nella popolazione» (Corte cost. n. 63  del  2016);  dati,
questi, da ponderare in considerazione delle utilita'  limitate  (nel
caso di specie: utilizzazione del territorio ed eventuale consumo  di
suolo) oggetto di assegnazione (cfr. ancora  la  sentenza  da  ultimo
richiamata);». 
    Il comune ha  quindi  adottato  la  delibera  consiliare  del  20
settembre  2017  n.  39,  sempre  respingendo  la  domanda,  per  una
pluralita' di motivi. In particolare sostiene il comune che: 
        l'Associazione non avrebbe i requisiti richiesti dalla legge,
perche' la disciplina  sui  luoghi  di  culto  non  va  applicata  in
funzione della  percentuale  rispetto  alla  popolazione  totale,  ma
quando si riscontra la presenza di un gruppo di fedeli  e  l'esigenza
per essi di disporre di un culto; 
        le aree non sono dotate di parcheggi e in ogni  caso  non  ci
sono immobili comunali idonei a questo scopo; 
        l'Associazione si e' trasferita come sede in altro comune. 
    Con motivi aggiunti depositati in data 22 novembre 2017 e'  stata
impugnata la delibera n. 39/2017, per i seguenti motivi: 
        1) Violazione dell'art 19 Cost. e  dell'art  70  comma  2-bis
L.R. n. 12/2005; violazione  dei  principi  affermati  dal  Tribunale
amministrativo regionale  Lombardia  nella  sentenza  n.  24585/2013:
l'Amministrazione non puo', in presenza di una  comunita'  religiosa,
differire  ogni  determinazione  in  ordine  alla  individuazione  di
un'area di culto. La presenza di una comunita'  islamica  e'  ragione
sufficiente per accogliere la richiesta; 
        2) Violazione dell'art 70, comma 2  della  L.R.  12/2005  per
carenza di istruttoria e difetto di motivazione: il comune afferma: 
          a) che l'associazione non  avrebbe  le  caratteristiche  di
consistenza e di incidenza sociale; per  consentire  l'individuazione
di un'area di culto; 
          b) le aree non sono dotate  di  parcheggi  e  non  ci  sono
immobili comunali idonei; 
          c) l'associazione si e'  trasferita  come  sede  fuori  dal
comune resistente; 
          d) nel 2008 l'Amministrazione  ha  negato  che  vi  fossero
elementi per riconoscere, una  consistente  presenza  sul  territorio
dell'associazione. 
    La  ricorrente  contesta  la  fondatezza  delle  motivazioni  del
rigetto della domanda, in quanto l'Associazione ha  come  iscritti  i
nuclei familiari, per cui  gli  aderenti  sono  maggiori  rispetto  a
quelli considerati. Inoltre la disciplina sui luoghi di culto non  va
applicata in funzione della  percentuale  rispetto  alla  popolazione
totale, ma quando si riscontra la presenza di un gruppo di  fedeli  e
l'esigenza per essi di disporre di un culto. 
    L'affermazione circa l'inidoneita' delle aree e' in contrasto con
il diritto costituzionale alla  liberta'  religiosa.  Irrilevante  la
circostanza che l'associazione abbia cambiato sede  e  che  gia'  nel
2008  l'Amministrazione  avesse  negato  che  sussistessero  elementi
idonei a confermare la  consistente  presenza  dell'associazione  sul
territorio. 
    Anche rispetto ai motivi aggiunti  si  e'  costituto  il  Comune,
affermando che non vi sarebbe alcun obbligo di  trovare  un'area,  ma
solo  di  valutare  l'idoneita'  dell'area.  Ha  altresi'   sollevato
l'eccezione di inammissibilita'  del  ricorso,  in  quanto  generico.
All'udienza del 30 maggio 2018 il  ricorso  e'  stato  trattenuto  in
decisione. 
 
                               Diritto 
 
    1)  Con  il  ricorso  principale  l'Associazione  ha   impugnato,
chiedendone la sospensione cautelare, il provvedimento prot. 24471 di
data 25 ottobre 2016 a mezzo del quale il  Comune  di  Sesto  Calende
aveva respinto l'istanza tesa all'individuazione di un luogo di culto
del territorio comunale da dedicare al culto islamico. 
    A   seguito   dell'accoglimento   dell'istanza   cautelare    con
l'ordinanza della Sezione n.  112/2017  e  del  rigetto  dell'appello
avverso la stessa decisone con l'ordinanza del Consiglio di Stato  n.
1884/2017, il comune si rideterminava  a  mezzo  della  deliberazione
consiliare n. 39 di data 20 settembre 2017, con la  quale  respingeva
nuovamente l'istanza dell'Associazione. 
    Ritiene  il  Collegio  che  tale  decisione  di   riesame   della
originaria istanza dell'Associazione abbia natura di provvedimento di
secondo grado rispetto a quello di data 25 ottobre 2016. 
    Di conseguenza, la deliberazione consiliare  n.  39  di  data  20
settembre  2017  ha   definitivamente   privato   di   efficacia   il
provvedimento di data 25 ottobre 2016, impugnato - quando ancora  era
efficace - a mezzo del ricorso principale. 
    In  tale  situazione,  il  ricorso   principale   va   dichiarato
improcedibile. 
    2) Con il  ricorso  per  motivi  aggiunti  l'Associazione  chiede
l'annullamento della  deliberazione  consiliare  n.  39  di  data  20
settembre 2017. 
    Al riguardo, va rigettata l'eccezione di inammissibilita' opposta
dalla difesa  Comunale,  secondo  cui  i  motivi  aggiunti  avrebbero
contenuto  generico  e  non  indicherebbero  i  profili  di  ritenuta
illegittimita'  del  provvedimento  impugnato.  Osserva  infatti   il
Collegio che,  nel  primo  motivo  aggiunto,  riguardante  l'impianto
generale  della  deliberazione  consiliare   n.   39/2017,   emergono
nitidamente le doglianze circa il difetto di motivazione e  circa  il
cattivo  esercizio  della   discrezionalita'   nella   pianificazione
urbanistica. 
    Il secondo motivo  aggiunto  contesta  invece  analiticamente  i'
singoli punti della motivazione del provvedimento impugnato. 
    3) Passando al merito della controversia, rileva il Collegio  che
la  deliberazione  consiliare  n.  39  di  data  20  settembre   2017
costituisce il  provvedimento  finale  del  procedimento  apertosi  a
seguito dell'istanza dell'Associazione  tesa  all'individuazione  nel
PGT del Comune di Sesto Calende di un luogo del  territorio  comunale
di culto da dedicare al culto islamico,  sulla  base  della  sentenza
della Sezione n. 2485/2013, passata in giudicato. 
    Nel giudizio riguardante  l'ottemperanza  della  sentenza  appena
citata, la Sezione  aveva  precisato  che  al  procedimento  andavano
applicate le norme  introdotte  dalla  L.R.  Lombardia  n.  2/2015  a
modifica della L.R. n. 12/2005 rubricata «Legge per  il  Governo  del
territorio» (sentenza n. 943/2016). 
    Il procedimento era quindi retto dall'applicazione  dell'art.  72
della L.R. Lombardia n.  12/2005,  nella  versione  risultante  dalle
modifiche introdotte dalla menzionata L.R. n. 2/2015. 
    L'Associazione, a mezzo del terzo motivo del ricorso  principale,
ha eccepito l'illegittimita' costituzionale di  tale  art.  72  sopra
citato nella parte in  cui  condiziona  l'esercizio  del  culto  alla
discrezionalita' riservata al comune nell'individuare  o  meno  nello
strumento urbanistico luoghi destinati a servizi religiosi. 
    L'eccezione  e'  da  intendersi  estesa  anche  al  provvedimento
impugnato con i motivi aggiunti. 
    Infatti, il ricorso per motivi aggiunti non ha mutato  i  termini
della controversia cosi' come perimetrati nel ricorso principale. 
    3.1 Cio' premesso, anche il Collegio  dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 72 della L.R.  Lombardia  n.  12/2005  nella
misura in cui tale norma, avuto riguardo alla  tutela  costituzionale
riservata alla  liberta'  religiosa,  non  detta  alcun  limite  alla
discrezionalita' del comune nel decidere quando (comma 5)  e  in  che
senso (commi  1  e  2)  determinarsi  a  fronte  della  richiesta  di
individuazione di edifici o aree da destinare al culto. 
    La  Sezione  ha  gia'  rimesso  la  questione   di   legittimita'
costituzionale limitatamente a commi 1 e 2  del  menzionato  art.  72
della L.R. n. 12/2005  a  mezzo  della  sentenza  non  definitiva  n.
1939/2018, alla quale infra  il  Collegio  fara'  ampio  riferimento.
Sotto questo profilo, il  Collegio  reputa  opportuno  sospendere  il
giudizio ai sensi dell'art. 79 c.p.a. in attesa della decisione della
Corte costituzionale. 
    Sotto il profilo della questione di  legittimita'  costituzionale
dell'art.  72,  comma  5,  ritiene  invece  il  Collegio  di   dovere
sottoporre gli atti  alla  Corte  costituzionale,  per  un  ulteriore
profilo di incostituzionalita' della norma regionale,  non  sollevato
nella precedente decisione di rinvio. 
    4) Prima di affrontare compiutamente i  temi  della  rilevanza  e
della    non    manifesta    infondatezza    della    questione    di
costituzionalita',  pare  al   Collegio   opportuno   richiamare   la
ricostruzione del quadro normativo che viene in  rilievo,  operata  a
mezzo della menzionata sentenza della Sezione n. 1939/2018: 
        «9.1 La legge regionale della Lombardia 11 marzo 2005, n.  12
(«Legge  per  il  Governo  del  territorio»)  reca,  nella  Parte  II
(«Gestione del territorio»), un Titolo IV  dedicato  alle  «Attivita'
edilizie specifiche». Nell'ambito di questo Titolo,  il  Capo  III  -
composto dagli articoli 70-73 della  legge  -  detta  «Norme  per  la
realizzazione di edifici di  culto  e  di  attrezzature  destinate  a
servizi religiosi». 
    Le  previsioni  contenute   nel   suddetto   Capo   stabiliscono,
anzitutto, che le  «attrezzature  di  interesse  comune  per  servizi
religiosi»,  come  definite  all'art.  71,  comma  1,   della   legge
regionale, «costituiscono opere di urbanizzazione secondaria ad  ogni
effetto» (cosi' il comma 2 dello stesso art. 71, tuttora vigente). 
    Quanto alla localizzazione sul territorio di  tali  attrezzature,
l'art. 71, comma 1, stabiliva, nel suo tenore originario, prima delle
modifiche apportate dalla legge regionale 3 febbraio 2015, n. 2,  che
il Piano dei Servizi - che e' uno degli atti di  cui  si  compone  il
Piano di Governo del Territorio - dovesse specificamente individuare,
dimensionare e  disciplinare  «le  aree  che  accolgono  attrezzature
religiose, o che sono destinate alle  attrezzature  stesse»,  e  cio'
«sulla base delle esigenze locali, valutate le istanze avanzate dagli
enti delle confessioni religiose di cui all'art. 70». 
    Tali ultimi soggetti erano individuabili, in  particolare,  negli
«enti istituzionalmente competenti in materia di culto  della  Chiesa
Cattolica» (art. 70, comma 1) e negli «enti delle  altre  confessioni
religiose  come  tali  qualificate  in  base  a  criteri   desumibili
dall'ordinamento  ed  aventi  una  presenza  diffusa,  organizzata  e
stabile nell'ambito del comune (...), ed i cui statuti  esprimano  il
carattere religioso  delle  loro  finalita'  istituzionali  e  previa
stipulazione  di  convenzione  tra  il  comune   e   le   confessioni
interessate» (art. 70, comma 2). 
    Era, inoltre, stabilito che, indipendentemente dalla dotazione di
attrezzature religiose esistenti, «nelle aree in cui  siano  previsti
nuovi insediamenti residenziali, il piano  dei  servizi,  e  relative
varianti, assicura nuove aree  per  attrezzature  religiose,  tenendo
conto delle  esigenze  rappresentate  dagli  enti  delle  confessioni
religiose di cui all'art. 70» (art. 72, comma 2). 
    Apposite previsioni erano pure dettate per  la  realizzazione  di
attrezzature religiose di interesse sovracomunale (art. 71, comma 3). 
    Quanto  alla  ripartizione  delle  attrezzature  tra   gli   enti
interessati, questa doveva essere operata «in base  alla  consistenza
ed incidenza sociale delle rispettive confessioni»  (art.  71,  comma
4). 
    Era, inoltre, stabilito che, fino all'approvazione del Piano  dei
Servizi,  la  realizzazione  di  nuove  attrezzature  per  i  servizi
religiosi fosse «ammessa unicamente su aree classificate  a  standard
nei vigenti strumenti urbanistici generali e specificamente destinate
ad attrezzature per interesse comune» (cosi' il comma 4-bis dell'art.
71, introdotto dall'art.  1,  comma  1,  lettera  hhh),  della  legge
regionale 14 marzo 2008, n. 4). 
    Infine, l'art. 73 dettava (e detta tuttora) disposizioni relative
alle modalita' di finanziamento della realizzazione  di  attrezzature
religiose da parte di ciascun comune. 
        9.2 - La suddetta disciplina ha subito incisive  modifiche  a
seguito dell'entrata in vigore della legge regionale 3 febbraio 2015,
n. 2; modifiche che - si anticipa sin d'ora -  sono  state  in  parte
colpite da una  dichiarazione  di  incostituzionalita',  per  effetto
della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2016. 
        9.2.1 - La  nuova  legge  ha,  anzitutto,  innovato  in  modo
significativo  la  disciplina  dettata  dall'art.  70,  in  tema   di
individuazione degli enti  delle  confessioni  religiose  deputati  a
realizzare  attrezzature  religiose  sul  territorio  comunale.  Tali
soggetti sono stati, infatti, individuati, oltre che negli enti della
Chiesa cattolica, anche negli «enti delle altre confessioni religiose
con le quali lo Stato ha gia' approvato con legge la relativa  intesa
ai sensi dell'art. 8, terzo comma, della  Costituzione»  (nuovo  art.
70, comma 2) e negli enti delle ulteriori confessioni religiose,  non
firmatarie di intesa, in presenza di determinati requisiti  specifici
(art. 70, comma 2-bis). 
    Per gli enti diversi da quelli della Chiesa cattolica  e'  stato,
peraltro, previsto che l'applicazione delle previsioni in materia  di
attrezzature di interesse religioso sia subordinata alla stipulazione
di «una convenzione a fini urbanistici  con  il  comune  interessato»
(art. 70, comma 2-ter). 
    E'  stata,  ancora,  prevista  l'istituzione  di   una   Consulta
regionale,  nominata  con  provvedimento  della   Giunta   regionale,
deputata al «rilascio  di  parere  preventivo  e  obbligatorio  sulla
sussistenza dei requisiti» per l'accreditamento presso i comuni degli
enti di confessioni religiose che non abbiano stipulato intese con lo
Stato, al fine della realizzazione di  attrezzature  religiose  (art.
70, comma 2-quater). 
        9.2.2  -  E'  stata,  inoltre,  radicalmente  modificata   la
disciplina relativa alla localizzazione delle attrezzature religiose,
contenuta all'art. 72. 
    Sotto questo profilo, si e' stabilito, anzitutto,  che  «Le  aree
che accolgono  attrezzature  religiose  o  che  sono  destinate  alle
attrezzature stesse sono specificamente individuate nel  piano  delle
attrezzature religiose, atto separato facente  parte  del  piano  dei
servizi, dove vengono dimensionate e disciplinate  sulla  base  delle
esigenze locali,  valutate  le  istanze  avanzate  dagli  enti  delle
confessioni religiose di cui all'art. 70»  (art.  72,  comma  1).  Il
Piano delle  attrezzature  religiose  e'  «sottoposto  alla  medesima
procedura di approvazione dei piani  componenti  il  PGT»  (art.  72,
comma 3) e deve prevedere una serie di contenuti specifici (art.  72,
comma 7), consistenti in prescrizioni di dotazioni di  servizi  (lett
a),  b)  e  d),  del  comma  7),  caratteristiche  costruttive  delle
attrezzature religiose (lett. e), J) e g) del  comma  7)  e  apposite
distanze tra le  strutture  da  destinare  alle  diverse  confessioni
religiose, sulla base delle distanze minime  stabilite  dalla  Giunta
regionale (lett. c) del comma 7). 
    E', poi, stabilito che  «L'installazione  di  nuove  attrezzature
religiose presuppone il piano di cui al comma 1;  senza  il  suddetto
piano  non  puo'  essere  installata  nessuna,   nuova   attrezzatura
religiosa da confessioni di cui all'art. 70» (art. 72, comma  2).  E,
in questa prospettiva, la legge regionale dispone pure che «I  comuni
che intendono prevedere nuove attrezzature religiose sono  tenuti  ad
adottare e approvare il  piano  delle  attrezzature  religiose  entro
diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della  legge  regionale
recante «Modifiche alla legge regionale 11 marzo 2005, n.  12  (Legge
per il Governo del territorio) - Principi per la pianificazione delle
attrezzature per servizi religiosi«.», ossia la stessa legge n. 2 del
2015; «Decorso detto termine il  piano  e'  approvato  unitamente  al
nuovo PGT» (art. 72, comma 5). 
        9.3  Le  previsioni  in  materia  di  attrezzature  religiose
introdotte dalla legge regionale n. 2 del 2015 sono  state  in  parte
dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale, con la sentenza n.
63 del 2016, in esito  al  giudizio  in  via  d'azione  promosso  dal
Presidente del Consiglio dei ministri contro la predetta legge. 
    Piu' in dettaglio, la Corte ha dichiarato fondate, per violazione
degli articoli 3, 8, 19 e  117,  secondo  comma,  lettera  c),  della
Costituzione, le questioni di legittimita' costituzionale  aventi  ad
oggetto: 
        l'art. 70, comma 2-bis, ove erano stabiliti i  requisiti  che
gli  enti  delle  confessioni  religiose  che  non  hanno   stipulato
un'intesa con lo Stato avrebbero dovuto possedere al fine di accedere
alla possibilita' di realizzare attrezzature religiose; 
        l'art. 70, comma  2-quater,  che  sottoponeva  al  vaglio  di
un'apposita Consulta regionale lo scrutinio in ordine al possesso  di
tali requisiti. 
    La Corte ha, inoltre, riscontrato la fondatezza  delle  questioni
con le quali si prospettava la violazione della competenza  esclusiva
statale in materia di ordine pubblico e sicurezza,  di  cui  all'art.
117, secondo comma, lettera h), della  Costituzione  ad  opera  delle
previsioni contenute: 
        all'art. 72, comma 4, primo periodo, della  legge  regionale,
ove  si  prevedeva  che,  nel   corso   del   procedimento   per   la
predisposizione del Piano  delle  attrezzature  religiose,  venissero
acquisiti  «i  pareri  di  organizzazioni,  comitati  di   cittadini,
esponenti e rappresentanti delle forze dell'ordine oltre agli  uffici
provinciali di questura e prefettura al fine  di  valutare  possibili
profili di sicurezza pubblica, fatta salva l'autonomia  degli  organi
statali»; 
        all'art. 72, comma 7, lettera e), ove si prescriveva  che  il
Piano  dovesse  prevedere,  per  le   attrezzature   religiose,   «la
realizzazione   di   un   impianto   di   videosorveglianza   esterno
all'edificio, con onere a carico dei  richiedenti,  che  ne  monitori
ogni punto di ingresso, collegato con gli uffici della polizia locale
o forze dell'ordine». 
        9.4 - L'intervento della Corte non ha, invece, toccato  -  in
quanto non sottoposta allo scrutinio di legittimita' costituzionale -
l'architettura del sistema prefigurato dalla legge regionale n. 2 del
2015 al fine  dell'insediamento  sul  territorio  delle  attrezzature
religiose e,  in  particolare,  la  necessaria  subordinazione  della
realizzazione di tali attrezzature all'approvazione  di  un  apposito
Piano. 
    La Corte ha, infatti, espressamente evidenziato che  non  formava
oggetto del giudizio «l'art 72, comma 1, della stessa legge regionale
n. 12 del 2005, il quale ricollega alla valutazione  delle  «esigenze
locali»,  previo  esame  delle  diverse  istanze  confessionali,   la
programmazione urbanistica delle attrezzature religiose». Per  quanto
qui  rileva,  la  Corte  ha,   inoltre,   dichiarato   manifestamente
inammissibile, per inconferenza del parametro evocato - ossia  l'art.
117, secondo comma, lettera l), della Costituzione - la questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  72,  comma  5,  della  legge
regionale n. 12  del  2005,  ove  si  stabilisce  che  i  comuni  che
intendano prevedere nuove attrezzature religiose debbano approvare il
relativo Piano entro diciotto mesi dall'entrata in vigore della legge
e che, in mancanza, si provveda unitamente al nuovo Piano di  Governo
del Territorio.». 
    La   ricostruzione   normativa   deve   essere   completata    in
considerazione dell'avvenuta  abrogazione  della  L.R.  Lombardia  n.
2/2015 a mezzo  della  L.R.  n.  5/2018,  recante  «Razionalizzazione
dell'ordinamento regionale. Abrogazione di disposizioni di' legge.». 
    Sulla portata della L.R. Lombardia n. 5/2018 ritiene il  Collegio
di confermare il  proprio  orientamento  espresso  nella  piu'  volte
menzionata sentenza della Sezione n. 1939/2018: 
    «Sempre in punto di  rilevanza,  il  Collegio  deve  prendere  in
considerazione la portata della legge regionale 25 gennaio  2018,  n.
5, recante «Razionalizzazione dell'ordinamento regionale. Abrogazione
di disposizioni di legge.», pubblicata nel Bollettino Ufficiale della
Regione Lombardia del 29 gennaio 2018, Supplemento n. 5. 
    La suddetta legge reca, all'art. 2 - dedicato  alla  «Abrogazione
di leggi» - la previsione secondo la quale «A decorrere  dall'entrata
in vigore della presente legge sono  o  restano  abrogate.  ...b)  le
seguenti leggi o disposizioni operanti  modifiche  alla  legislazione
regionale... 69) L.R. 3 febbraio 2015, n.  2  (Modifiche  alla  legge
regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il Governo del  territorio)
- Principi per  la  pianificazione  delle  attrezzature  per  servizi
religiosi);». 
    E' stata, dunque, disposta l'abrogazione della legge regionale n.
2 del 2015, che - come piu' volte ripetuto - ha  novellato  la  legge
regionale n. 12  del  2005,  dettando  la  disciplina  applicata  dal
provvedimento impugnato nel presente giudizio. 
    Occorre, dunque, domandarsi se  tale  previsione  possa  influire
sulla rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale che si
intendono rimettere alla Corte costituzionale. 
    21.1  Il  Collegio  rileva,  anzitutto,  che   il   provvedimento
impugnato nel presente giudizio e' precedente alla legge regionale n.
5 del 2018, per cui la sua legittimita' va valutata in base al quadro
normativo vigente al tempo della sua adozione.  Conseguentemente,  la
norma regionale abrogatrice sopravvenuta non  potrebbe  comunque  far
venire  meno   la   rilevanza   delle   questioni   di   legittimita'
costituzionale relative al testo della legge n. 12  del  2005,  nella
formulazione in vigore quando e'  stato  rilasciato  il  permesso  di
costruire  annullato,  e  anche  al  tempo  della  determinazione  di
autotutela qui censurata. 
    21.2 In ogni caso, e' pure da escludere che la legge regionale n.
5 del 2018 abbia modificato l'art. 72 della legge regionale n. 12 del
2005, il  quale  e'  da  ritenere  a  tutt'oggi  vigente  nel  tenore
risultante dalle modificazioni apportate dalla legge regionale  n.  2
del 2015. 
    L'operazione  disposta  dal  legislatore  regionale   e'   stata,
infatti, di  mero  riordino  legislativo,  come  risulta  chiaramente
dall'art. 1 della legge regionale n. 5 del 2018,  ove,  nell'indicare
le finalita' dell'intervento normativo, si enuncia che  «La  presente
legge opera interventi di manutenzione  e  razionalizzazione  tecnica
dell'ordinamento regionale attraverso interventi abrogativi di  leggi
o di disposizioni di legge. Per  tutte  le  disposizioni  oggetto  di
abrogazione sono fatti salvi  gli  effetti  secondo  quanto  previsto
dall'art. 4.». 
    Il richiamato art. 4 stabilisce, a sua  volta,  che  «Sono  fatti
salvi gli effetti prodotti o comunque derivanti dalle leggi  e  dalle
disposizioni abrogate dalla presente  legge,  comprese  le  modifiche
apportate  ad  altre   leggi.   Restano   pertanto   confermate,   in
particolare, le autorizzazioni, le variazioni,  i  rifinanziamenti  e
ogni altro effetto giuridico,  economico  o  finanziario  prodotto  o
comunque derivante dalle disposizioni in materia di bilancio, nonche'
le variazioni testuali  apportate  alla  legislazione  vigente  dalle
leggi  abrogate  dalla  presente   legge,   ove   non   superate   da
integrazioni,  modificazioni  o   abrogazioni   disposte   da   leggi
intervenute successivamente. Trova inoltre applicazione, per le leggi
di cui all'art. 3, anche quanto previsto dall'art. 24, comma 2, della
L.R. 29/2006». 
    Il legislatore regionale ha, cioe',  inteso  eliminare  le  leggi
enumerate  -  tra  le  quali  la  legge  n.  2  del  2015  -   intese
esclusivamente  quali  atti  fonte,  ossia  quali   «veicoli»   delle
modificazioni  apportate  ad  altre  leggi;   «veicoli»   che   hanno
sostanzialmente esaurito i loro  effetti  con  l'introduzione  stessa
delle novelle. Le leggi modificate non sono  state,  invece,  toccate
dall'intervento di riordino, il quale non ha inteso apportare  alcuna
variazione sostanziale al corpus legislativo regionale." 
    5) Alla luce della ricostruzione  normativa  e  della  precedente
decisione, viene sollevato in questo giudizio l'ulteriore profilo  di
incostituzionalita' dell'art 72 L.R. Lombardia n. 12/2005, in  quanto
questione rilevante al fine della definizione dei motivi aggiunti. 
    Infatti, entrambe le  censure  proposte  con  i  motivi  aggiunti
riguardano la  violazione  dell'art.  70,  comma  2-bis,  della  L.R.
Lombardia n. 12/2005, secondo cui «le disposizioni del presente  capo
si applicano altresi' agli enti delle altre  confessioni  religiose».
Al riguardo, viene in rilievo il «Capo III», intitolato «Norme per la
realizzazione di edifici di  culto  e  di  attrezzature  destinate  a
servizi religiosi» della Parte II, Titolo IV, della  legge  regionale
in argomento. 
    Lamentando la violazione di tale norma, l'Associazione ricorrente
si duole quindi del modo in cui il comune ha applicato le  norme  del
Capo III, tra le quali e' compreso l'art. 72, che, come  detto  nella
precedente decisione, si deve ritenere in vigore. 
    In particolare, con  il  primo  motivo  aggiunto,  l'Associazione
lamenta  che  «l'Amministrazione  comunale  non  puo'  legittimamente
negare la sussistenza dei presupposti ad una individuazione  di  area
di culto da assegnare a fedeli della religione  islamica,  ne'  tanto
meno [il che  particolarmente  rileva  ai  fini  della  questione  di
legittimita' costituzionale - n. d.r.] puo' legittimamente  differire
ogni determinazione in tal  senso  ad  una  successiva  ed  ulteriore
verifica in sede di futuro aggiornamento del PGT». 
    L'Associazione ricorrente ha  avuto  cura  di  precisare  che  la
censura di cui al primo motivo  aggiunto  «ha  carattere  assorbente»
rispetto a quella contenuta nel motivo successivo, a mezzo del  quale
la  ricorrente  lamenta   che   il   comune   avrebbe   errato:   (a)
nell'esprimere il giudizio di significativita' della presenza di  una
comunita'  islamica  sul  proprio  territorio;  (b)  nel  qualificare
l'istanza  dell'Associazione  come  tesa  a  fruire  di  un  immobile
comunale; (c) nell'affermare che l'Associazione avrebbe minai trovato
sede in un  comune  contermine;  (d)  nel  dare  rilevanza  che  gia'
nell'anno 2008  il  comune  medesimo  non  aveva  ravvisato  in  capo
all'Associazione una consistenza e una incidenza sociale apprezzabili
sul territorio. 
    Ritiene quindi il Collegio di poter affrontare la seconda censura
dei motivi aggiunti solo dopo avere deciso sulla prima censura. 
    Sennonche', come detto, la decisione sulla  prima  censura  passa
necessariamente attraverso  l'applicazione  dell'art.  72,  comma  5,
della L.R. Lombardia n. 12/2005, secondo cui -  lo  si  ripete  -  «I
comuni che intendono  prevedere  nuove  attrezzature  religiose  sono
tenuti ad adottare e approvare il piano delle attrezzature  religiose
entro diciotto mesi dalla data  di  entrata  in  vigore  della  legge
regionale recante «Modifiche alla legge regionale 11 marzo  2005,  n.
12  (Legge  per  il  Governo  del  territorio)  -  Principi  per   la
pianificazione delle attrezzature  per  servizi  religiosi».  Decorso
detto termine il piano e' approvato unitamente al nuovo PGT..» 
    Al riguardo, osserva il Collegio che il termine di diciotto  mesi
menzionato al primo periodo ha iniziato a decorrere  dal  6  febbraio
2015, giorno successivo alla data di pubblicazione  della  legge  sul
Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia,  ed  e'  spirato  il  6
agosto 2016. 
    Nel caso di specie, il Comune di Sesto  Calende  ha  adottato  il
provvedimento impugnato in data 20 settembre 2017, con la conseguenza
che viene in rilievo l'applicazione del secondo periodo dell'art. 72,
comma 5, a mente  del  quale  la  previsione  di  nuove  attrezzature
religiose sul territorio comunale presuppone la previa  redazione  di
un apposito piano, che i comuni lombardi possono adottare in uno  con
il nuovo PGT. 
    Senza l'avvio del nuovo Piano del Governo del  Territorio  rimane
sena tutela la posizione dell'Associazione: in tal  senso  e'  quindi
innegabile la rilevanza della questione nel caso di specie. 
    6) Il Collegio sospetta l'art. 72, comma 5, della L.R.  Lombardia
n. 12/2005 di illegittimita' costituzionale per le seguenti ragioni. 
    6.1. Sotto un primo profilo, al  Collegio  pare  che  l'art.  72,
comma 5, della L.R. Lombardia  n.  12/2005  contrasti  con  l'art.  2
Cost., con l'art. 3 Cost., e con l'art. 19 Cost.. 
    Al riguardo, con la sentenza n.  1939/2018  la  Sezione  ha  gia'
avuto modo di osservare che la  programmazione  urbanistica  comunale
interviene con cadenze periodiche pluriennali, non fissate a priori. 
    Di conseguenza, atteso il tenore letterale dell'art. 72, comma  5
della L.R. n. 12/2005, i fedeli  di  una  confessione  che  intendono
trovare una sede per esercitare il proprio culto devono attendere per
un tempo indeterminato la decisione del comune di' individuare o meno
un'area da destinare ad attrezzatura religiosa:  infatti  se  decorre
inutilmente il  termine  dei  18  mesi  (come  nel  caso  in  esame),
l'Amministrazione non ha alcun obbligo di avviare il procedimento  di
revisione del PGT, per individuare  le  aree  destinate  a  luogo  di
culto. 
    Al  decorso  dei  18  mesi  non  e'   infatti   prevista   alcuna
disposizione «sanzionatoria», quale la sostituzione commissariale per
l' adozione del piano de quo. 
    Ora, resta fuori discussione il potere del  Comune  di  decidere,
all'esito di un istruttoria adeguata, se accogliere o  respingere  la
domanda degli interessati.  Tuttavia,  la  perdurante  situazione  di
attesa e di incertezza nella quale, in  ragione  di  quanto  disposto
dall'art. 72 comma 5 della  L.R.  Lombardia  n.  12/2005,  versano  i
fedeli, i quali aspirano a che il comune individui un  luogo  per  il
culto  da  essi  professato,  non  e'  compatibile   con   il   rango
costituzionale del diritto di liberta' religiosa. 
    Ritiene infatti il Collegio che la domanda di spazi  da  dedicare
all'esercizio di tale liberta' debba trovare una  risposta  -  in  un
senso positivo o in senso negativo - in  tempi  certi,  ed  entro  un
termine ragionevole,  avuto  riguardo  sia  ai  tempi  connessi  alla
valutazione   di   impatto   sul   tessuto   urbanistico,   a   volte
indiscutibilmente complessa,  sia  avuto  riguardo  alla  particolare
importanza  del  bene  della  vita  al  quale   aspirano   i   fedeli
interessati. 
    Al  riguardo,  il  Collegio  ritiene  utile  e   opportuno   fare
riferimento a quanto affermato dalla Corte  costituzionale  24  marzo
2016 n. 63, secondo cui «Non e', invece,  consentito  al  legislatore
regionale, all'interno di  una  legge  sul  Governo  del  territorio,
introdurre disposizioni che ostacolino o compromettano la liberta' di
religione.» 
    Infatti, ad avviso del  Collegio,  la  richiamata  condizione  di
attesa a tempo indeterminato e di incertezza  rileva  quale  ostacolo
all'esplicazione del diritto di liberta' religiosa. 
    Ne consegue una non giustificata compressione dei diritti di  cui
all'art. 19 Cost., e piu' in generale un  ostacolo  non  giustificato
all'esplicazione dei diritti  inviolabili  della  persona,  sia  come
singolo sia nelle  formazioni  sociali,  in  violazione  dell'art.  2
Cost.. 
    Il fatto che tale compressione della posizione  soggettiva  degli
interessati non appaia giustificata pare altresi' contrastare con  il
criterio della ragionevolezza  del  quale  e'  espressione  l'art.  3
Cost.. 
    In sintesi la  norma  contrasta  con  i  principi  costituzionali
richiamati, laddove prevede un termine - di 18 mesi - per  l'adozione
del piano delle attrezzature religiose, decorso il  quale  non  viene
previsto   alcun   intervento   sostitutivo,   ma   viene   demandato
all'Amministrazione Comunale la facolta' di introdurre  il  piano  in
sede di revisione o adozione del PGT, senza alcun ulteriore termine. 
    In tal modo viene vanificato il diritto alla liberta'  religiosa,
sotto  il  profilo  del  diritto  di  trovare   spazi   da   dedicare
all'esercizio di tale liberta'. 
    6.2 La norma pare violare altresi' l'art. 97  Cost.  e  dell'art.
117 comma 2 lettera m), il fatto che l'art. 72  comma  5  della  L.R.
Lombardia n. 12/2005 rinvii  a  tempo  indeterminato  la  risposta  a
un'esigenza riguardante l'esercizio di un diritto fondamentale  della
persona. 
    La mancata previsione, da parte della norma regionale,  di  tempi
certi di risposta alle istanze dei fedeli interessati sembra  infatti
in contrasto con il principio di buon andamento che  deve  presiedere
l'attivita' della pubblica amministrazione. 
    A bene vedere, la mancata di previsione di tempi certi  da  parte
dell'art. 72 comma 5 della L.R. Lombardia  n.  12/2005  pare  inoltre
esprimere uno sfavore dell'Amministrazione nei confronti del fenomeno
religioso,  il  che  contrasta   con   principio   di   imparzialita'
dell'azione amministrativa di cui al menzionato art. 97 Cost.. 
    Sotto connesso profilo, nella prospettiva dell'art. 117  comma  2
lettera m) Cost. appare violato il livello minimo  delle  prestazioni
concernenti i diritti civili, che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale. 
    Al riguardo, osserva il Collegio che, ai sensi dell'art. 29 della
legge n. 241/1990 attiene ai livelli essenziali delle prestazioni  di
cui  all'art.  117  secondo  comma  lettera  m),  della  Costituzione
l'aspetto riguardante la predeterminazione della durata  massima  dei
procedimenti. 
    Ovviamente, va da se' che una norma che si esprima in termini  di
sfavore verso il fenomeno religioso contrasta anche con gli  articoli
2, 3 e 19 Cost., ai quali si e' gia' fatto riferimento. 
    In sintesi il quadro normativo che, una volta  decorso  il  primo
termine di 18 mesi dall'entrata in vigore della L.R. 12/2010, non  ha
previsto ulteriori termini per imporre  l'adozione  del  piano  della
attrezzatture religiose, si pone in contrasto con  la  disciplina  in
materia di procedimento amministrativo e di certezza dei  termini  di
conclusione del procedimento, quindi con  i  principi  costituzionali
dell'art 97 Cost. e dell'art. 117 comma 2 lettera m) Cost. 
    6.3. Sotto un ulteriore profilo, ritiene il Collegio  che  l'art.
72 comma 5 della L.R. Lombardia n. 12/2005  contrasti  con  l'art.  5
Cost., con l'art. 114 comma 2 Cost., con l'art. 117 comma 6  -  terzo
periodo, Cost., con l'art. 118, comma 1 Cost.. 
    Ad avviso del Collegio, la norma regionale condiziona  l'adozione
del Piano delle attrezzature religiose alla revisione complessiva del
piano di Governo del territorio. Infatti,  solo  nei  primi  diciotto
mesi dall'entrata in vigore della norma le  Amministrazioni  potevano
predisporre il Piano delle attrezzature religiose senza mettere  mano
all'intera disciplina del Governo del territorio. 
    Da che e' maturata  la  scadenza  dei  diciotto  mesi,  la  legge
regionale non lo permette piu'. 
    In altri termini, l'art. 72, comma  5  della  L.R.  Lombardia  n.
12/2005 impedisce ai comuni di dotarsi di un Piano delle attrezzature
religiose senza contestualmente revisionare l'intera  disciplina  del
Governo del territorio. 
    Ad avviso del  Collegio,  viene  in  rilievo  una  ingiustificata
compressione delle prerogative dei comuni da parte della Regione. 
    Infatti, non si comprende quale  ragione  possa  giustificare  il
sostanziale divieto gravante sui comuni lombardi di adottare il Piano
delle attrezzature religiose in un  momento  distinto  rispetto  alla
revisione generale del Piano di' Governo del territorio. 
    Da un primo  punto  di  vista,  la  norma  sembra  integrare  una
violazione dell'art. 5 Cost., atteso che essa frustra l'autonomia dei
Comuni, quali autonomie locali. 
    Sotto connesso profilo, appaiono violati l'art. 114 comma 2 Cost.
e l'art. 117 comma 6-terzo periodo Cost.. 
    In particolare, nella prospettiva dell'art.  114  comma  2  Cost.
appare violato sotto un profilo  generale  l'autonomia  riservata  ai
comuni in relazione all'esercizio dei poteri e delle funzioni di loro
competenza. 
    Nella piu' particolare prospettiva dell'art. 117 comma 6 -  terzo
periodo Cost. appare violata l'autonomia degli Enti Locali  sotto  il
profilo  della  potesta'  regolamentare  in  ordine   alle   funzioni
attribuite ai Comuni. 
    Come   anticipato,   la   limitazione   imposta   dalla   Regione
all'autonomia dei comuni non appare giustificata. 
    Da questo punto di vista sembra venire in rilievo  la  violazione
del principio di sussidiarieta' verticale di cui all'art. 118,  comma
1 Cost.. 
    In sintesi la  disposizione  regionale,  laddove  fa  divieto  ai
comuni di adottare il piano  delle  attrezzature  religiose  dopo  il
termine dei 18 mesi, ma  necessariamente  solo  contestualmente  alla
revisione del PGT, viola  il  principio  di  autonomia  riservata  ai
comuni in relazione all'esercizio dei poteri e delle funzioni di loro
competenza. 
    7)  In  conclusione,  il   ricorso   principale   va   dichiarato
improcedibile. 
    Rispetto ai motivi aggiunti, va rimessa alla Corte costituzionale
la questione di legittimita' dell'art. 72,  comma  5  della  L.R.  n.
12/2005 in relazione all'art. 2 Cost., all'art. 3 Cost.,  all'art.  5
Cost., all'art. 19 Cost., all'art. 114 Cost., all'art. 117, comma  2,
lettera m) Cost., all'art. 117, comma 6  -  terzo  periodo,  Cost.  e
all'art. 118 Cost.. 
    Va di conseguenza disposta la sospensione del giudizio. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale Regionale per la Lombardia  (Sezione  Seconda),  non
definitivamente pronunciando sul ricorso principale e su  quello  per
motivi aggiunti: 
        dichiara improcedibile il ricorso principale; 
        rimette   alla   Corte   costituzionale   le   questioni   di
legittimita'  costituzionale  illustrate  in  motivazione,   relative
all'art. 72 comma 5 della legge regionale della  Lombardia  11  marzo
2005, n. 12, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall'art.
1, comma 1, lettera c) della legge regionale 3 febbraio  2015  n.  2,
per contrasto con l'art. 2 Cost., con l'art. 3 Cost.,  con  l'art.  5
Cost., con l'art. 19 Cost., con l'art. 114  Cost.,  con  l'art.  117,
comma 2 lettera m) Cost., con l'art. 117, comma 6 terzo periodo Cost.
e con l'art. 118 Cost.; 
        dispone, la sospensione del  giudizio  sino  all'esito  della
decisione della Corte costituzionale sulla questione rimessa  tramite
il presente provvedimento e sino alla decisione  sulla  questione  di
legittimita' Costituzionale sollevata dal  Tribunale  a  mezzo  della
sentenza non definitiva n. 1939/2018; 
        riserva alla sentenza definitiva la pronuncia  in  ordine  ai
motivi aggiunti, nonche' in ordine alla complessiva regolazione delle
spese del giudizio. 
    Ordina che  la  presente  sentenza  sia  eseguita  dall'autorita'
amministrativa. 
    Manda alla segreteria della  Sezione  tutti  gli  adempimenti  di
competenza, e in particolare la notifica della presente sentenza  non
definitiva alle parti in causa e al Presidente della Giunta regionale
della Lombardia, nonche' la comunicazione al Presidente del Consiglio
regionale della Lombardia. 
    Cosi' deciso in Milano nella Camera di consiglio  del  giorno  30
maggio 2018 e 13 settembre 2018 con l'intervento dei magistrati: 
        Silvana Bini, Presidente FF, estensore; 
        Antonio De Vita, consigliere; 
        Lorenzo Cordi', referendario. 
 
                   Il Presidente, estensore: Bini