N. 223 SENTENZA 25 ottobre - 5 dicembre 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Borsa ‒ Depenalizzazione delle  condotte  di  abuso  di  informazioni
  privilegiate  tenute  dagli  insider   secondari   ‒   Applicazione
  retroattiva  di  un  trattamento  sanzionatorio  in  concreto  meno
  favorevole di quello in vigore al momento del fatto. 
- Legge 18 aprile 2005, n.  62  (Disposizioni  per  l'adempimento  di
  obblighi derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  alle  Comunita'
  europee. Legge comunitaria 2004), art. 9, comma 6. 
-   
(GU n.49 del 12-12-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma  6,
della legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l'adempimento  di
obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  alle   Comunita'
europee. Legge comunitaria 2004), promossi dalla Corte di cassazione,
con ordinanze del 9 ottobre, del  2  e  del  3  novembre,  e  del  29
dicembre 2017, iscritte rispettivamente ai  nn.  da  188  a  193  del
registro ordinanze 2017 e al n. 33  del  registro  ordinanze  2018  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 2 e 9, prima
serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visti gli atti di costituzione di R. L., di O. S., di M.  G.,  di
O. P., di A. C., di E. B. e di E. L., nonche' gli atti di  intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nella udienza pubblica  del  23  ottobre  2018  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    uditi gli avvocati Giovanni Arieta e Achille  Chiappetti  per  R.
L., O. S., M. G., A. C., E.  B.  e  O.  P.,  per  quest'ultimo  anche
Massimo Bonvicini, Luigi Medugno per E. L. e l'avvocato  dello  Stato
Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con sette ordinanze di analogo tenore  (r.o.  nn.  188,  189,
190, 191, 192, 193 del 2017 e n. 33 del 2018) la Corte di cassazione,
seconda  sezione  civile,  ha  sollevato  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 9, comma 6, della legge 18 aprile  2005,  n.
62   (Disposizioni   per   l'adempimento   di   obblighi    derivanti
dall'appartenenza   dell'Italia   alle   Comunita'   europee.   Legge
comunitaria 2004), in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma,  e
117, primo  comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione
all'art.  7  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei   diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva  con  la  legge  4  agosto
1955, n. 848. 
    La disposizione di cui all'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del
2005 e' censurata nella parte in cui  prevede  che  la  confisca  per
equivalente prevista dall'art. 187-sexies del decreto legislativo  24
febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni  in  materia  di
intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli  8  e  21  della
legge 6 febbraio 1996, n. 52), si applica, allorche' il  procedimento
penale  non  sia  stato  definito,  anche  alle  violazioni  commesse
anteriormente alla data di entrata in vigore della stessa legge n. 62
del 2005, «e cio' pur quando il complessivo trattamento sanzionatorio
generato  attraverso  la  depenalizzazione  sia  in   concreto   meno
favorevole di quello  applicabile  in  base  alla  legge  vigente  al
momento della commissione del fatto». 
    Tali questioni costituiscono  la  sostanziale  riproposizione  di
censure di illegittimita' costituzionale - gia' formulate in sei  dei
sette giudizi a quibus (piu' precisamente, quelli cui si  riferiscono
le ordinanze r.o. nn. 188, 189, 190, 191, 192 e 193 del 2017)  -  poi
dichiarate inammissibili dalla sentenza n.  68  del  2017  di  questa
Corte. La settima ordinanza di rimessione (r.o. n. 33 del 2018) - che
scaturisce da un diverso procedimento  concernente,  peraltro,  fatti
strettamente  connessi  a  quelli  di  cui  e'  causa   negli   altri
procedimenti  a  quibus  -  ha  oggetto  e  contenuto  sovrapponibili
rispetto alle prime sei. 
    2.- La Corte di Cassazione premette di essere stata investita dei
ricorsi proposti avverso le sentenze della Corte d'appello di Brescia
con  le  quali  erano  state   rigettate   le   opposizioni   avverso
provvedimenti sanzionatori  adottati  nei  confronti  dei  ricorrenti
dalla Commissione nazionale per le societa' e la borsa  (CONSOB)  per
l'illecito amministrativo di abuso di informazioni  privilegiate,  di
cui all'art. 187-bis del d.lgs. n. 58 del 1998. 
    2.1.- I fatti contestati ai ricorrenti - nella loro  qualita'  di
insider cosiddetti secondari -  erano  stati  commessi  quando  erano
previsti come reato ai sensi del previgente art. 180,  comma  2,  del
d.lgs. n. 58 del 1998, che prevedeva la pena della reclusione fino  a
due anni e della multa da venti a seicento milioni di  lire,  nonche'
la confisca diretta dei mezzi utilizzati per commettere  il  reato  e
dei beni che ne costituivano il profitto. 
    Successivamente era pero' intervenuta la legge n.  62  del  2005,
che  ha  depenalizzato  la   condotta   contestata   ai   ricorrenti,
prevedendola  quale  mero  illecito  amministrativo  nel  nuovo  art.
187-bis  del  d.lgs.  n.  58  del  1998.  Quest'ultima   disposizione
comminava, nel testo introdotto dalla  legge  n.  62  del  2005,  una
sanzione amministrativa pecuniaria da  ventimila  a  tre  milioni  di
euro. L'art. 187-sexies del d.lgs. n. 58  del  1998,  nella  versione
introdotta  dalla  legge  n.  62  del  2005,  prevedeva  inoltre  che
all'illecito amministrativo in parola  fosse  sempre  applicabile  la
confisca del  prodotto  o  del  profitto  dell'illecito  e  dei  beni
utilizzati  per  commetterlo,  nonche',  qualora   cio'   non   fosse
possibile, la confisca di somme di denaro, beni o altre  utilita'  di
valore equivalente. 
    L'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del  2005,  in  questa  sede
censurato, ha inoltre  previsto  che  le  disposizioni  sanzionatorie
relative al nuovo illecito amministrativo  si  applicano  anche  alle
violazioni commesse anteriormente alla  data  di  entrata  in  vigore
della presente legge che le  ha  depenalizzate,  quando  il  relativo
procedimento penale non sia stato definito. 
    Con i provvedimenti impugnati  nei  vari  giudizi  a  quibus,  la
CONSOB aveva dunque applicato nei confronti dei ricorrenti - oltre  a
sanzioni  amministrative  pecuniarie  e  alla   sanzione   accessoria
dell'interdizione  dagli  uffici   direttivi   ai   sensi   dell'art.
187-quater  del  d.lgs.  58  del  1998  -  la  confisca,  anche   per
equivalente, di beni di proprieta' dei trasgressori fino a un  valore
pari al prodotto dell'illecito. 
    All'esito dei giudizi di opposizione, tali sanzioni  erano  state
confermate  dalla  Corte  d'appello  di  Brescia,   contro   le   cui
statuizioni i ricorrenti avevano proposto ricorso per cassazione. 
    La Corte di cassazione, seconda sezione civile, investita da tali
ricorsi, aveva gia' sollevato nel 2015, con sei  ordinanze  analoghe,
questioni di legittimita' costituzionale degli artt.  187-sexies  del
d.lgs. n. 58 del 1998 e dell'art. 9, comma 6, della legge n.  62  del
2005, per contrasto con gli artt. 3, 25, secondo comma, e 117,  primo
comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 7 CEDU, nella  parte
in cui le disposizioni censurate prevedono che la nuova confisca  per
equivalente introdotta dalla legge n. 62 del 2005  si  applica  anche
alle violazioni commesse anteriormente all'entrata  in  vigore  della
legge medesima. 
    2.2.- Con sentenza n. 68 del 2017, peraltro, questa  Corte  aveva
ritenuto inammissibili le censure relative  all'art.  187-sexies  del
d.lgs. n. 58 del 1998, rilevando come il dubbio di  costituzionalita'
sollevato dalla Sezione rimettente investisse non gia' la  disciplina
della confisca per  equivalente  contenuta  in  quella  disposizione,
bensi' soltanto la sua applicabilita' retroattiva  a  fatti  commessi
prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge   n.   62   del   2005,
applicabilita' discendente dal solo art.  9,  comma  6,  della  legge
medesima. 
    Questa Corte aveva, peraltro,  ritenuto  inammissibili  anche  le
censure relative all'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005  per
erroneita' del presupposto interpretativo. Secondo la sentenza n.  68
del 2017, infatti, l'ordinanza di rimessione aveva «omesso di  tenere
conto del fatto che la natura penale,  ai  sensi  dell'art.  7  della
CEDU,   del   nuovo   regime   punitivo   previsto   per   l'illecito
amministrativo   comporta   un   inquadramento   della    fattispecie
nell'ambito della successione delle leggi  nel  tempo  e  demanda  al
rimettente il compito di verificare in concreto  se  il  sopraggiunto
trattamento  sanzionatorio,  assunto  nel  suo  complesso  e   dunque
comprensivo della confisca per equivalente, si renda,  in  quanto  di
maggior favore, applicabile al fatto pregresso,  ovvero  se  esso  in
concreto denunci un carattere maggiormente  afflittivo.  Soltanto  in
quest'ultimo caso, la cui  verificazione  spetta  al  giudice  a  quo
accertare e adeguatamente motivare, potrebbe venire in considerazione
un dubbio sulla legittimita' costituzionale  dell'art.  9,  comma  6,
della legge n. 62 del 2005, nella  parte  in  cui  tale  disposizione
prescrive  l'applicazione  della  confisca  di  valore  e  assoggetta
pertanto il reo a una sanzione penale, ai  sensi  dell'art.  7  della
CEDU, in concreto piu' gravosa di quella che sarebbe  applicabile  in
base alla legge vigente all'epoca della commissione del fatto». 
    2.3.- Riassunti avanti a se' i sei procedimenti dai  quali  erano
scaturite le questioni decise da questa Corte con la sentenza  n.  68
del 2017, la Corte di cassazione,  seconda  sezione  civile,  propone
ora, con le sei ordinanze iscritte ai nn. 188, 189,  190,  191,  192,
193  del  r.o.  2017  altrettante  nuove  questioni  di  legittimita'
costituzionale, «reimpostando il petitum e integrando la  motivazione
dell'ordinanza di  rinvio  si'  da  eliminare  i  vizi  e  le  lacune
riscontrati  dalla  Corte  costituzionale,  e  che  avevano  impedito
l'esame nel merito del dubbio sollevato». Identiche questioni vengono
poi sollevate nell'ordinanza iscritta al n. 33 del r.o. 2018. 
    Piu' in particolare - come anticipato  -  la  Sezione  rimettente
solleva ora questioni di legittimita' costituzionale del solo art. 9,
comma 6, della legge n. 62 del 2005, per contrasto con gli  artt.  3,
25, secondo comma, 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione
all'art. 7 CEDU, nella parte in cui la disposizione censurata prevede
l'applicabilita'  della   confisca   per   equivalente   disciplinata
dall'art. 187-sexies del  d.lgs.  n.  58  del  1998  anche  ai  fatti
commessi prima dell'entrata in vigore della legge n. 62 del 2005,  «e
cio' pur quando il  complessivo  trattamento  sanzionatorio  generato
attraverso la depenalizzazione sia in  concreto  meno  favorevole  di
quello applicabile in  base  alla  legge  vigente  al  momento  della
commissione del fatto». 
    2.4.- La rimettente rileva, anzitutto, che  l'art.  9,  comma  6,
della legge n. 62 del 2005 prevede in modo inequivoco  l'applicazione
delle sanzioni  amministrative  introdotte  dalla  legge  medesima  -
comprensive,  dunque,  della  confisca  prevista   dal   nuovo   art.
187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998 - anche alle violazioni commesse
anteriormente alla data di entrata in vigore della stessa legge n. 62
del 2005, che le ha depenalizzate, salvo che nell'ipotesi in  cui  il
procedimento penale sia stato gia' definito,  circostanza  che  nella
specie non ricorre. 
    Cio' premesso,  il  giudice  a  quo  precisa  che  la  misura  in
questione ha «un contenuto sostanzialmente afflittivo, che eccede  la
finalita' di  prevenire  la  commissione  di  illeciti,  perche'  non
colpisce beni in "rapporto di pertinenzialita'" con l'illecito». Tale
conclusione, gia' formulata dalla giurisprudenza di legittimita'  (ex
multis, Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 23 aprile  2013,
n. 18374) e avallata da questa Corte (ordinanze  nn.  301  e  97  del
2009) con riguardo ad  altre  figure  di  confisca  per  equivalente,
comporta in linea di principio l'applicazione  a  tale  misura  dello
statuto costituzionale e  convenzionale  della  sanzione  penale,  ai
sensi degli artt. 25, secondo comma, Cost. e 7 CEDU. 
    La stessa sentenza n. 68 del 2017 di  questa  Corte,  osserva  la
Sezione  rimettente,  ha  d'altronde  riconosciuto  la  finalita'  di
carattere punitivo, e non meramente preventivo,  della  confisca  per
equivalente introdotta dalla legge n. 62 del 2005, la quale svolge  -
anzi - tale funzione «con tratti di significativa afflittivita'». 
    Richiamata quindi  la  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo sulla nozione sostanziale di sanzione penale - e in
particolare la sentenza 9 febbraio 1995, Welch  contro  Regno  Unito,
che aveva ad oggetto proprio l'applicazione retroattiva di un'ipotesi
di confisca per equivalente -, la rimettente rammenta  come,  secondo
la giurisprudenza di questa  Corte,  tutte  le  misure  di  carattere
punitivo-afflittivo debbano essere soggette alla medesima  disciplina
della sanzione penale in  senso  stretto.  Questo  principio  sarebbe
bensi' di derivazione  convenzionale,  ma  sarebbe  al  tempo  stesso
desumibile anche dall'art. 25, secondo comma, Cost., dal momento che,
come pure  ha  chiarito  la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  tale
precetto costituzionale «puo' essere interpretato nel senso che  ogni
intervento sanzionatorio,  il  quale  non  abbia  prevalentemente  la
funzione di prevenzione criminale (e quindi non sia  riconducibile  -
in senso stretto  -  a  vere  e  proprie  misure  di  sicurezza),  e'
applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti gia'  vigente
al momento della commissione del fatto sanzionato» (sentenze  n.  104
del 2014 e n. 196 del 2010). 
    Evidenzia  allora  la  Sezione  rimettente  come  sia   «l'intero
trattamento sanzionatorio introdotto dalla legge di  depenalizzazione
per l'illecito amministrativo di abuso di  informazioni  privilegiate
di cui al nuovo art. 187-bis [del d.lgs. n. 58 del 1998] a  rivestire
natura  sostanzialmente  penale,  integrando  esso  i  caratteri   di
afflittivita' delineati dalla giurisprudenza della Corte europea  dei
diritti dell'uomo, dato l'elevato importo della sanzione prevista». 
    In stretta aderenza alle statuizioni della  sentenza  n.  68  del
2017 di questa Corte, la Sezione rimettente osserva che  la  confisca
per  equivalente  sarebbe  «legittimamente   applicabile   ai   fatti
pregressi di abuso di informazioni privilegiate, senza  dar  luogo  a
dubbi  di  costituzionalita',  solo  quando  il   nuovo   trattamento
sanzionatorio  per  l'illecito  depenalizzato,  complessivamente   ed
unitariamente considerato, possa ritenersi non peggiorativo  rispetto
a quello precedentemente previsto». 
    La disposizione denunciata risulta invece, secondo il  giudice  a
quo,  di  dubbia  compatibilita'  con  i  principi  costituzionali  e
convenzionali evocati, nella misura in cui  prevede  l'applicabilita'
«assoluta,  incondizionata  e  inderogabile»   della   confisca   per
equivalente anche a  fatti  pregressi,  «quand'anche  il  complessivo
risultato sanzionatorio risultante dalla riforma sia in concreto meno
favorevole per il trasgressore rispetto a quello che sarebbe  [stato]
applicabile in base alla legge vigente  all'epoca  della  commissione
del fatto». 
    In effetti,  il  complessivo  risultato  sanzionatorio  derivante
dalla riforma appare alla Sezione rimettente piu' gravoso rispetto  a
quello previsto al momento della commissione del fatto dall'art.  180
del d.lgs. n. 58 del 1998. 
    Espone il giudice a quo che, in base alla previgente  disciplina,
la pena prevista per il trasgressore era della «reclusione fino a due
anni, congiunta con la multa da venti a seicento milioni di lire, cui
doveva aggiungersi la confisca soltanto in forma diretta. 
    La condanna,  inoltre,  ai  sensi  ai  sensi  dell'art.  182  del
medesimo d.lgs. n. 58 del 1998 (allora  vigente),  comportava  sempre
l'applicazione delle pene accessorie previste dagli articoli 28,  30,
32-bis e 32-ter del codice penale per una durata non inferiore a  sei
mesi e non superiore a  due  anni,  nonche'  la  pubblicazione  della
sentenza su almeno due quotidiani, di cui uno economico, a diffusione
nazionale. 
    Era  prevista,  inoltre,  la  possibilita'  per  il  giudice   di
aumentare  la  multa  fino  al  triplo  quando,  per   la   rilevante
offensivita'  del  fatto,  le  qualita'  personali  del  colpevole  o
l'entita' del profitto che ne era derivato, essa appariva  inadeguata
anche se applicata nel massimo. 
    Il trattamento sanzionatorio di cui all'art. 9 della legge n.  62
del 2005 consiste, invece, nella sanzione  amministrativa  pecuniaria
da euro ventimila a euro tre milioni  di  cui  all'art.  187-bis  del
d.lgs. n. 58 del  1998  (non  potendosi  tener  conto  dell'ulteriore
modifica apportata dall'art. 39, comma 3,  della  legge  28  dicembre
2005, n. 262, recante «Disposizioni per la tutela del risparmio e  la
disciplina  dei  mercati  finanziari»,  che   ha   quintuplicato   la
sanzione). 
    Anche in questo caso il comma 5 del citato art.  187-bis  prevede
che le sanzioni possano essere aumentate fino al  triplo  o  fino  al
maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto  conseguito
dall'illecito quando, per le qualita' personali del colpevole  ovvero
per l'entita' del prodotto o del profitto  conseguito  dall'illecito,
esse appaiono inadeguate anche se applicate nel massimo. 
    Inoltre ai sensi dell'art. 187-quater del d.lgs. n. 58  del  1998
sono previste le sanzioni  amministrative  accessorie  della  perdita
temporanea dei requisiti di onorabilita' per gli esponenti  aziendali
ed i partecipanti al capitale dei soggetti abilitati, delle  societa'
di gestione del  mercato,  nonche'  per  i  revisori  e  i  promotori
finanziari e,  per  gli  esponenti  aziendali  di  societa'  quotate,
dell'incapacita' temporanea ad assumere incarichi di amministrazione,
direzione e controllo nell'ambito di societa' quotate e  di  societa'
appartenenti al medesimo gruppo di societa' quotate  per  una  durata
non inferiore a due mesi e non superiore a tre anni. 
    Infine, ai sensi del  successivo  art.  187-sexies,  e'  prevista
l'ulteriore sanzione accessoria della confisca  del  prodotto  o  del
profitto dell'illecito e  dei  beni  utilizzati  per  commetterlo  e,
qualora non sia possibile eseguire  tale  confisca,  la  stessa  puo'
avere ad oggetto somme di denaro, beni o  altre  utilita'  di  valore
equivalente». 
    Precisa, inoltre, la Sezione rimettente che,  nella  specie,  non
emergono dagli atti situazioni che avrebbero impedito la  concessione
agli autori dell'illecito, in un  ipotetico  giudizio  penale,  della
sospensione condizionale della pena, la quale si  sarebbe  estesa  ex
lege anche alle pene accessorie. Gli autori dell'illecito  avrebbero,
anzi, potuto beneficiare in quella  sede  dell'indulto  di  cui  alla
legge 31 luglio 2006, n. 241 (Concessione di indulto); e soprattutto,
non sarebbe stata loro applicabile la confisca per equivalente di cui
al nuovo art. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998. 
    Per i trasgressori  incensurati,  dunque,  «l'applicazione  della
sanzione penale in concreto sarebbe stata  piu'  favorevole  rispetto
alla sanzione pecuniaria amministrativa irrogata,  oggetto  di  certa
riscossione, di ammontare massimo notevolmente superiore e [...]  con
l'aggiunta di una sanzione accessoria del tutto nuova,  imprevedibile
ed estremamente gravosa quale quella della confisca per equivalente». 
    Tutto cio' troverebbe definitiva  conferma,  secondo  la  Sezione
rimettente,  nella  circostanza  che  l'insider  primario  che  aveva
riferito la  notizia  privilegiata  agli  attuali  ricorrenti,  tutti
insider secondari, era stato condannato per  la  propria  condotta  -
costituente  reato  anche  dopo  la  novella  del  2005,  che   aveva
depenalizzato la sola condotta degli insider secondari  -  alla  pena
della reclusione di sei mesi e al pagamento di 100.000 euro di multa,
entrambe condizionalmente sospese. Tale trattamento sanzionatorio era
stato poi  mitigato  in  appello,  ove  la  pena  complessiva  a  lui
applicata (risultante tra  l'altro  dall'avvenuta  conversione  della
pena detentiva in pena pecuniaria) era stata rideterminata in  quella
di 140.520 euro di multa, poi ulteriormente ridotta in sede esecutiva
a 10.000 euro di multa in applicazione dell'indulto di cui alla legge
n. 241 del 2006. E cio' a  fronte  di  sanzioni  pecuniarie  irrogate
dalla CONSOB nei confronti degli attuali ricorrenti pari a  centinaia
di  migliaia  di  euro,  accompagnate   dalla   sanzione   accessoria
dell'interdizione dagli uffici direttivi per un periodo di nove  mesi
e dalla confisca per equivalente di beni per importi, in taluni casi,
di diversi milioni di euro. 
    A parere del giudice a quo, «cio'  che  risulta  determinante  ai
fini  della  valutazione  di  maggiore  gravosita'»  del  trattamento
sanzionatorio successivo  alla  riforma  e'  proprio  «l'applicazione
retroattiva   della   sanzione   accessoria   della   confisca    per
equivalente», la quale «determina una tale  sproporzione  nella  pena
complessivamente inflitta, rispetto a quella  che  sarebbe  scaturita
dall'applicazione del citato art. 180 del d.lgs. n. 58 del  1998,  da
rappresentare  l'elemento  che   rende   in   concreto   maggiormente
afflittivo il complessivo trattamento sanzionatorio  derivante  dalla
legge di depenalizzazione». 
    Secondo la  Sezione  rimettente,  invece,  «una  volta  eliminata
l'applicazione della confisca per equivalente ai fatti antecedenti la
sua introduzione, il trattamento sanzionatorio amministrativo  (anche
se nella  sostanza  penale)  che  residua,  [riacquisterebbe]  quella
valenza complessiva di maggior  favore  naturalmente  correlata  alle
sanzioni amministrative rispetto a quelle corrispondenti  penali».  E
cio' in quanto «la comparazione  tra  la  sanzione  penale  e  quella
amministrativa non  puo'  risolversi  in  una  stretta  equiparazione
quantitativa, in quanto la  sanzione  penale  ha  una  pluralita'  di
effetti negativi, incidendo con forza peculiare  non  soltanto  sulla
liberta', ma anche sul complessivo profilo  pubblico  della  persona,
segnandolo con lo "stigma" del disvalore  sociale  derivante  da  una
sentenza di condanna del giudice penale». 
    2.5.-  Conseguentemente,  ad  avviso  del  giudice  a   quo,   la
disposizione censurata, nella  parte  in  cui  prevede  l'assoluta  e
indefettibile   applicazione   retroattiva   della    confisca    per
equivalente, si porrebbe anzitutto in contrasto con l'art. 3 Cost. in
riferimento al principio di ragionevolezza, «per eccesso di contenuto
sanzionatorio rispetto allo scopo della  retroattivita'  della  nuova
disciplina  sanzionatoria,  che  era  di  evitare   che   rimanessero
impunite, nella fase  transitoria  della  depenalizzazione,  condotte
comunque illecite,  laddove  l'aggiunta  della  retroattivita'  della
confisca per equivalente costituisce un  aggravamento  sproporzionato
non destinato a trovare la propria  giustificazione  nel  riempimento
del vuoto punitivo». 
    La disposizione denunciata contrasterebbe,  inoltre,  con  l'art.
25, secondo comma, Cost., in quanto «il  legislatore  ha  imposto  di
applicare retroattivamente la confisca per equivalente  solo  perche'
si  riferisce  ad  un  illecito   qualificato   come   amministrativo
nell'ordinamento interno, mentre,  nel  regime  transitorio,  avrebbe
potuto consentirne  l'applicazione  -  versandosi  in  un'ipotesi  di
depenalizzazione accompagnata dall'introduzione di un  corrispondente
illecito amministrativo - soltanto ove la nuova sanzione completi  un
trattamento sanzionatorio nel complesso piu' mite della pena prevista
per l'originario reato». 
    Infine, la disposizione  contrasterebbe  anche  con  l'art.  117,
primo comma, Cost., in relazione all'art. 7 CEDU, «perche'  la  norma
censurata prescrive l'applicazione  retroattiva  della  confisca  per
equivalente - "pena" secondo la CEDU, e quindi ricompresa nel  nucleo
delle garanzie che la convenzione riconosce all'individuo in  materia
penale - anche qualora il complessivo trattamento  sanzionatorio  per
l'illecito  amministrativo  sia  meno  favorevole  in  concreto   del
precedente trattamento sanzionatorio applicabile al reato». 
    2.6.-  I  prospettati  dubbi  di  illegittimita'   costituzionale
sarebbero, infine, rilevanti, dal momento che i  motivi  dei  ricorsi
investono anche l'applicabilita' ai  fatti  di  cui  e'  causa  della
confisca per equivalente, stabilita dall'art. 9, comma 6, della legge
n. 62 del 2005 qui censurato, la quale e' dunque norma  che  dovrebbe
essere applicata nei giudizi a quibus. 
    3.- E' intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha chiesto, con sette atti dal  contenuto  sovrapponibile,
che  le  questioni  siano  dichiarate  inammissibili   o,   comunque,
infondate. 
    3.1.- Eccepisce in via preliminare  l'Avvocatura  generale  dello
Stato l'inammissibilita' delle  questioni  proposte,  non  avendo  il
giudice a quo previamente motivato sui motivi di ricorso  concernenti
la stessa commissione dell'illecito da parte dei ricorrenti. 
    I primi motivi svolti nei vari ricorsi  per  cassazione  avevano,
infatti, ad oggetto profili che riguardavano non  solo  e  non  tanto
l'applicazione della confisca per equivalente, ma la sussistenza  dei
presupposti per la stessa  applicazione  della  sanzione  principale.
Secondo l'Avvocatura generale, pertanto, l'accoglimento anche di  una
soltanto  di  queste  censure  avrebbe   reso   irrilevante   l'esame
dell'applicazione  retroattiva  della   confisca   per   equivalente,
precludendo anche l'inflizione delle sanzioni principali. 
    3.2.- In secondo luogo, le questioni sarebbero inammissibili  per
difetto di motivazione riguardo alla  loro  fondatezza  [recte,  alla
loro non manifesta infondatezza], avendo il giudice a quo «omesso  di
specificare perche' nel caso concreto la sanzione della confisca  per
equivalente determinerebbe l'indicato aggravio sanzionatorio rispetto
al previgente regime penale»; aggravio sanzionatorio che, secondo  la
difesa erariale, poteva in ipotesi non sussistere, laddove il giudice
a quo avesse «esaminato ogni possibilita' di ridurre la  sanzione  in
questione ad una misura piu' mite, atta  a  rendere  in  concreto  il
trattamento  complessivo,  anche   includendovi   la   confisca   per
equivalente, non piu' gravoso del previgente trattamento penale». 
    3.3.- Nel merito, le questioni sarebbero, comunque, infondate. 
    Infondata sarebbe, anzitutto, la dedotta violazione  dell'art.  3
Cost., in quanto la finalita' della confisca per equivalente  sarebbe
quella di evitare che l'autore della violazione si possa  appropriare
definitivamente del profitto della condotta illecita. Atteso che  gli
illeciti in questione vengono commessi esclusivamente  per  finalita'
di profitto economico, sarebbe coerente  con  un  razionale  impianto
sanzionatorio  (penale   o   amministrativo)   prevedere   per   tali
violazioni,  in  aggiunta  alle  sanzioni  pecuniarie  e   a   quelle
interdittive, anche l'ablazione del profitto derivante dall'illecito.
La previsione della confisca per equivalente nel corredo delle misure
di reazione  agli  illeciti  depenalizzati  del  mercato  finanziario
costituirebbe, pertanto, una «misura del  tutto  logica,  e  finanche
necessaria; sicche' la  censura  di  sproporzione  che  le  muove  il
giudice a quo appare manifestamente infondata». 
    Infondati,  nella  valutazione  dell'Avvocatura  generale   dello
Stato, sarebbero altresi'  i  dubbi  di  legittimita'  costituzionale
relativi al  principio  di  irretroattivita'  sancito  dall'art.  25,
secondo comma, Cost. e dall'art. 7 CEDU, «per  il  tramite  dell'art.
117 Cost.». 
    Quanto all'art. 25, secondo  comma,  Cost.,  il  legislatore  che
proceda ad  una  depenalizzazione  avrebbe,  infatti,  il  potere  di
sostituire le sanzioni penali con sanzioni amministrative  che  siano
in se' oggettivamente  adeguate  e  proporzionate  al  disvalore  del
fatto, senza che la legittimita'  di  tale  operazione  possa  essere
«vagliata attraverso un eterogeneo, e percio' impossibile,  confronto
tra la severita' del  regime  sanzionatorio  penale  soppresso  e  di
quello amministrativo  che  gli  viene  sostituito».  In  materia  di
sanzioni amministrative, d'altra parte, non  vigerebbe  il  principio
della  retroattivita'  della  lex  mitior;   sicche'   non   potrebbe
«affermarsi  che  condizione  di   applicazione   di   una   sanzione
amministrativa a fatti pregressi sia la sua maggiore mitezza rispetto
al regime precedente». La sola condizione  di  applicazione  sarebbe,
piuttosto,  la   proporzionalita'   tra   il   regime   sanzionatorio
depenalizzato introdotto ed il disvalore complessivo del fatto. 
    Quanto poi all'art. 7 CEDU,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato
sottolinea che «nelle  ipotesi  di  depenalizzazione  viene  meno  la
qualificazione formale  del  fatto  come  illecito;  il  che  connota
inevitabilmente  il  regime  sopravvenuto  come  piu'  favorevole,  a
prescindere dalla quantificazione meramente materiale delle sanzioni,
penali prima,  e  amministrative  poi».  Rilievo,  quest'ultimo,  che
renderebbe inconferente la discussione sulla  natura  sostanzialmente
penale della confisca per equivalente qui all'esame, anche alla  luce
della circostanza che - secondo la  stessa  Avvocatura  -  i  criteri
"Engel"  elaborati  dalla  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo non sarebbero mai stati applicati al  principio  di
cui all'art. 7 CEDU, che in questa sede viene in considerazione. 
    4.- Si sono costituite le parti private R. L., O. S., M.  G.,  O.
P., A. C., E. B. ed E. L., richiamandosi alle  argomentazioni  svolte
dalle  ordinanze  di  rimessione  e  chiedendo  l'accoglimento  delle
questioni. 
    5.- In prossimita' dell'udienza, i difensori di R. L., O. S.,  M.
G., O. P., A. C. ed E. B. hanno depositato sei memorie, dal contenuto
identico,  nelle  quali  hanno  in  particolare   sottolineato   che,
all'esito della depenalizzazione,  il  regime  sanzionatorio  per  le
condotte dell'insider secondario e' oggi,  nel  suo  complesso,  piu'
gravoso di quello penale previgente. 
    6.- Con "memoria unica" depositata in ciascun giudizio, la difesa
del Presidente del Consiglio  dei  ministri  ha  richiamato,  in  via
preliminare, le eccezioni e gli argomenti gia' svolti negli  atti  di
intervento, insistendo poi per il rigetto nel merito delle  formulate
eccezioni di illegittimita' costituzionale. 
    A integrazione di quanto  gia'  argomentato,  l'Avvocatura  dello
Stato ha sostenuto che applicare  una  sanzione  amministrativa  alle
condotte di insider trading cosiddetto secondario,  oggettivamente  e
soggettivamente meno gravi  rispetto  a  quelle  di  insider  trading
primario, comporta la necessita', da un  lato,  che  tali  fatti  non
diano luogo a complessi procedimenti penali e, dall'altro,  che  essi
possano essere accertati e repressi nelle forme, pienamente garantite
ma  anche  piu'  spedite,  del  procedimento  amministrativo  e   del
successivo   contenzioso   civile.   La   successione   dell'illecito
amministrativo all'illecito penale rappresenterebbe sempre,  infatti,
un caso particolare di abolitio criminis, e  non  gia'  una  semplice
rimodulazione della gravita' della  natura  e  della  gravita'  delle
sanzioni. Secondo l'Avvocatura generale dello Stato, il nuovo  regime
amministrativo dovrebbe, pertanto, di  regola  applicarsi  nella  sua
integralita' anche ai fatti  precedentemente  sanzionabili  sotto  il
profilo penale, senza che sia lecito scindere alcune parti  soltanto,
come  la  confisca  per  equivalente,  dal  complessivo   trattamento
sanzionatorio  previsto   dal   legislatore   con   l'intervento   di
depenalizzazione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte di cassazione, seconda  sezione  civile,  con  sette
ordinanze di analogo tenore, ha sollevato questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 9, comma 6, della legge 18 aprile  2005,  n.
62   (Disposizioni   per   l'adempimento   di   obblighi    derivanti
dall'appartenenza   dell'Italia   alle   Comunita'   europee.   Legge
comunitaria 2004), in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma,  e
117, primo  comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione
all'art.  7  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei   diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva  con  la  legge  4  agosto
1955, n. 848. 
    L'art. 9, comma 6, della legge 18 aprile 2005, n. 62 e' censurato
nella parte in cui dispone che la confisca per  equivalente  prevista
dall'art. 187-sexies del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.  58
(Testo  unico  delle  disposizioni  in  materia  di   intermediazione
finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della  legge  6  febbraio
1996, n. 52), si applica, allorche' il procedimento  penale  non  sia
stato definito, anche alle  violazioni  commesse  anteriormente  alla
data di entrata in vigore della stessa legge n. 62 del 2005, «e  cio'
pur  quando  il  complessivo   trattamento   sanzionatorio   generato
attraverso la depenalizzazione sia in  concreto  meno  favorevole  di
quello applicabile in  base  alla  legge  vigente  al  momento  della
commissione del fatto». 
    Tali questioni costituiscono  la  sostanziale  riproposizione  di
censure di illegittimita' costituzionale precedentemente proposte  in
sei dei sette giudizi  a  quibus  e  dichiarate  inammissibili  dalla
sentenza n. 68 del 2017 di questa  Corte.  La  settima  ordinanza  di
rimessione, che scaturisce da un diverso procedimento -  concernente,
peraltro, fatti strettamente connessi a quelli di cui e' causa  negli
altri procedimenti a quibus - ha oggetto e  contenuto  sovrapponibili
rispetto alle prime sei. 
    1.1.-  Considerata   l'identita'   delle   questioni   sottoposte
all'esame di questa Corte, i giudizi devono  essere  riunti  per  una
decisione congiunta. 
    2.- Davanti al giudice a quo sono impugnate le  sentenze  con  le
quali  la  Corte  d'appello  di  Brescia,  rigettando   le   relative
opposizioni, ha confermato l'applicazione, da parte della Commissione
nazionale  per  le  societa'  e  la  borsa  (CONSOB),   di   sanzioni
amministrative (pecuniarie, interdittive e confisca per  equivalente)
conseguenti all'illecito  amministrativo  di  abuso  di  informazioni
privilegiate, previsto dall'art. 187-bis del d.lgs. n. 58 del 1998  e
commesso, secondo la stessa CONSOB, da vari insider secondari. 
    I fatti in questione erano stati commessi quando  erano  previsti
come delitto ai sensi del previgente art. 180, comma 2, del d.lgs. n.
58 del 1998.  Le  condotte  di  abuso  di  informazioni  privilegiate
commesse da insider secondari sono state in seguito  depenalizzate  e
trasformate in mero illecito amministrativo, ai sensi del nuovo  art.
187-bis, dalla legge n. 62  del  2005,  la  quale  ha  confermato  la
rilevanza penale (ai sensi del novellato art. 184 del  d.lgs.  n.  58
del 1998) soltanto delle condotte degli insider primari. 
    Conseguentemente, la legge n. 62 del 2005 ha determinato il venir
meno per gli insider secondari della sanzione penale  originariamente
prevista (reclusione fino a due anni e  multa  da  venti  a  seicento
milioni  di  lire,  unitamente  alla  confisca  diretta   dei   mezzi
utilizzati per commettere il reato e dei beni che ne costituiscano il
profitto), disponendo invece per il nuovo illecito amministrativo  la
sanzione pecuniaria amministrativa da  ventimila  a  tre  milioni  di
euro. Il nuovo art. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998,  nella  sua
versione originaria introdotta dalla citata legge n. 62 del 2005,  ha
inoltre disposto  la  confisca  amministrativa  del  prodotto  o  del
profitto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo, nonche'
- con disposizione innovativa anche rispetto alla  disciplina  penale
previgente - la confisca amministrativa di somme di  denaro,  beni  o
altre  utilita'  appartenenti  all'autore  dell'illecito  di   valore
equivalente, nel  caso  in  cui  non  sia  possibile  procedere  alla
confisca diretta del prodotto, del profitto o dei beni utilizzati per
commettere l'illecito. 
    L'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del  2005,  in  questa  sede
censurato, prevede che  le  disposizioni  sanzionatorie  relative  al
nuovo illecito amministrativo  si  applicano  anche  alle  violazioni
commesse anteriormente alla data di entrata in vigore della  presente
legge che le ha depenalizzate, quando il relativo procedimento penale
non sia stato definito. 
    Il giudice a quo dubita che tale applicazione retroattiva di  una
misura  a  contenuto  afflittivo-sanzionatorio  violi   i   parametri
costituzionali sopra menzionati. 
    3.-  Analoghe  questioni  di  legittimita'  costituzionale  della
disposizione in parola erano gia'  state  sollevate  da  parte  della
stessa Seconda sezione della Corte di Cassazione nell'ambito  di  sei
degli attuali sette giudizi  a  quibus,  ed  erano  state  dichiarate
inammissibili da questa Corte con la sentenza n. 68 del 2017. 
    3.1.- In quell'occasione, questa Corte ritenne,  in  particolare,
inammissibile la questione riferita all'art. 3 Cost. in quanto  priva
di motivazione. 
    Quanto alle censure riferite agli artt. 25, secondo comma, e 117,
primo comma, Cost. in relazione  all'art.  7  CEDU,  la  sentenza  in
parola riconobbe natura sostanzialmente punitiva  alla  confisca  per
equivalente prevista dal nuovo art. 187-sexies del d.lgs. n.  58  del
1998, pur  se  dipendente  da  un  mero  illecito  amministrativo;  e
conseguentemente  affermo'  che  tale  misura  rientra   nel   raggio
applicativo del principio  di  irretroattivita'  della  norma  penale
sancito dall'art. 25, secondo comma, Cost.,  principio  che  concerne
non soltanto le pene definite come tali  dall'ordinamento  nazionale,
ma anche quelle cosi' qualificabili ai sensi dell'art. 7 CEDU. 
    Tuttavia, questa Corte ritenne che le questioni  prospettate  dal
rimettente poggiassero su un erroneo presupposto  interpretativo.  Il
legislatore  del  2005,  infatti,  non  ha  privato   il   fatto   di
antigiuridicita', ed ha anzi continuato a riprovarlo per mezzo  della
sanzione  amministrativa,  considerando  in   generale   quest'ultima
sanzione come piu'  favorevole  rispetto  al  precedente  trattamento
sanzionatorio, di carattere anche formalmente penale. Proprio su tale
presunzione riposa, d'altronde, la disposizione dell'art. 9, comma 6,
della legge n. 62  del  2005,  che  rende  obbligatori  per  i  fatti
pregressi l'imposizione del  nuovo  regime  sanzionatorio,  in  luogo
della pena originariamente prevista. 
    Ed  allora,  se  il  trattamento  sanzionatorio  complessivamente
risultante  dall'intervento  di  depenalizzazione  si  rivelasse   in
effetti piu' favorevole, nulla osterebbe - sempre secondo la sentenza
n. 68 del 2017 - alla sua applicazione anche ai fatti pregressi,  dal
momento che lo stesso art. 7 CEDU riconosce un diritto a  beneficiare
della lex mitior, in caso di  successione  nel  tempo  di  leggi  che
conservino la qualificazione (sostanziale) di reato  ad  un  medesimo
fatto. Dal che l'errore del giudice a quo, il quale  aveva  preso  le
mosse dal non condivisibile presupposto secondo cui sarebbe, in  ogni
caso,    precluso    applicare    retroattivamente    la     confisca
(amministrativa) per equivalente, prevista per  la  prima  volta  dal
nuovo art. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998. Infatti, laddove «il
complessivo  trattamento   sanzionatorio   generato   attraverso   la
depenalizzazione, nonostante la previsione di tale confisca, fosse in
concreto piu' favorevole di quello  applicabile  in  base  alla  pena
precedentemente comminata, non vi sarebbero ostacoli costituzionali a
che esso sia integralmente disposto». 
    Un ostacolo all'applicazione retroattiva  del  nuovo  trattamento
sanzionatorio potrebbe invece ravvisarsi, secondo la sentenza  n.  68
del  2017,  soltanto  laddove  tale  trattamento,  «assunto  nel  suo
complesso e  dunque  comprensivo  della  confisca  per  equivalente»,
denunciasse un carattere «maggiormente afflittivo» rispetto a  quello
previgente: evenienza, quest'ultima, che sarebbe  pero'  spettato  al
giudice a quo accertare e adeguatamente motivare. 
    Proprio  il  mancato  scioglimento  di  questo  preliminare  nodo
interpretativo  da  parte  del   giudice   a   quo   determino',   in
quell'occasione, l'inammissibilita' delle questioni allora formulate. 
    3.2.- Le questioni di legittimita' costituzionale che vengono ora
all'esame di questa Corte si fanno carico dei rilievi contenuti nella
sentenza n. 68 del 2017. Le ordinanze relative  forniscono  -  da  un
lato - una specifica motivazione alla  censura  relativa  all'art.  3
Cost.; e illustrano - dall'altro lato - le ragioni per  le  quali  il
complessivo trattamento sanzionatorio sopravvenuto, comprensivo della
nuova confisca per equivalente, risulterebbe maggiormente  afflittivo
rispetto a quello previgente. Ad  avviso  della  Sezione  rimettente,
proprio tale maggiore afflittivita' determinerebbe il contrasto della
disposizione denunciata con il divieto  di  applicazione  retroattiva
della legge penale, sancito dagli artt. 25,  secondo  comma,  e  117,
primo comma, Cost. in relazione all'art. 7 CEDU. 
    4.- L'Avvocatura generale dello Stato eccepisce, in primo  luogo,
l'irrilevanza  delle  questioni  prospettate,  dal  momento  che   le
ordinanze  di  rimessione  non   avrebbero   adeguatamente   motivato
sull'infondatezza  delle  censure  dei   ricorrenti   relative   alla
sussistenza dell'illecito; censure che - se accolte  dalla  Corte  di
cassazione - sarebbero idonee a escludere l'applicazione di qualsiasi
sanzione, e non solo della confisca per equivalente. 
    L'eccezione e' infondata. 
    Tutte le ordinanze di  rimessione  affermano  infatti,  sia  pure
succintamente,  che  le  censure  dei   ricorrenti   concernenti   la
sussistenza dei fatti che integrano  l'illecito  amministrativo  loro
contestato appaiono prima facie non fondate  e  che,  nei  giudizi  a
quibus, «la  sussistenza  dell'illecito  deve  ritenersi  coperta  da
giudicato».  Tale  sommaria  motivazione,  limitata  al  fumus,  deve
ritenersi sufficiente ai fini della rilevanza. 
    5.-  L'Avvocatura  generale  dello  Stato  eccepisce,   altresi',
l'inammissibilita' delle questioni per difetto di  motivazione  sulla
loro non manifesta infondatezza. 
    Anche tale eccezione e' infondata, avendo la  Sezione  rimettente
ampiamente motivato su tutti i parametri costituzionali evocati.  Che
poi tali motivazioni siano errate, come sostiene con  vari  argomenti
l'Avvocatura dello Stato, e' - all'evidenza  -  profilo  che  attiene
esclusivamente   al   merito   delle   questioni,   non   alla   loro
ammissibilita'. 
    6.- Le questioni relative agli artt. 25, secondo  comma,  e  117,
primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 7  CEDU,  sono
fondate. 
    6.1.- E' generalmente  riconosciuto  che  dall'art.  25,  secondo
comma, Cost. («Nessuno puo' essere punito se  non  in  forza  di  una
legge che sia entrata in vigore prima del fatto  commesso»)  discende
un duplice divieto: un divieto di  applicazione  retroattiva  di  una
legge che incrimini un fatto in precedenza penalmente irrilevante;  e
un divieto di applicazione retroattiva di una legge che punisca  piu'
severamente un fatto gia' precedentemente incriminato.  Tale  secondo
divieto e', del resto, esplicitato nelle parallele disposizioni delle
carte internazionali  dei  diritti  umani  e,  piu'  in  particolare,
nell'art. 7, paragrafo 1, secondo periodo,  della  CEDU  («Parimenti,
non puo' essere inflitta una pena piu' grave di quella applicabile al
momento in cui il reato e' stato commesso»); nell'art. 15,  paragrafo
1, secondo periodo,  della  Convenzione  internazionale  sui  diritti
civili e politici, firmata a New York il 16 dicembre 1966, ratificata
e resa esecutiva in Italia con la  legge  25  ottobre  1977,  n.  881
(Patto internazionale sui diritti civili e politici),  («Cosi'  pure,
non puo' essere inflitta una pena superiore a quella  applicabile  al
momento in cui il reato e' stato commesso»);  nonche'  nell'art.  49,
paragrafo  1,  seconda  proposizione,   della   Carta   dei   diritti
fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza  il  7  dicembre
2000 e adattata  a  Strasburgo  il  12  dicembre  2007  (CDFUE),  che
riproduce in modo identico la formulazione contenuta nella CEDU. 
    Entrambi i  divieti  in  parola  trovano  applicazione  anche  al
diritto sanzionatorio amministrativo, al quale pure si estende,  come
questa Corte ha gia' in piu' occasioni riconosciuto (sentenze n.  276
del  2016  e  n.  104  del  2014),  la   fondamentale   garanzia   di
irretroattivita'  sancita  dall'art.  25,   secondo   comma,   Cost.,
interpretata anche alla luce delle indicazioni derivanti dal  diritto
internazionale  dei   diritti   umani,   e   in   particolare   dalla
giurisprudenza della Corte europea  dei  diritti  dell'uomo  relativa
all'art. 7  CEDU.  Anche  rispetto  alle  sanzioni  amministrative  a
carattere punitivo si impone infatti la  medesima  esigenza,  di  cui
tradizionalmente si fa carico il sistema penale in senso stretto,  di
non sorprendere la  persona  con  una  sanzione  non  prevedibile  al
momento della commissione del fatto. 
    6.2.-  Un'ipotesi  che  merita  particolare  considerazione   e',
peraltro, quella in  cui  il  fatto,  originariamente  previsto  come
reato,   venga   successivamente   trasformato   in   mero   illecito
amministrativo. 
    Dal punto di vista formale,  le  nuove  sanzioni  amministrative,
previste in luogo di quelle  penali  applicabili  in  precedenza,  si
connotano qui come  sanzioni  nuove,  delle  quali  in  via  generale
dovrebbe predicarsi l'applicabilita' solo  per  il  futuro  in  forza
dell'art. 11 delle Preleggi. Le leggi di depenalizzazione,  tuttavia,
di solito prevedono - a mezzo di apposite  discipline  transitorie  -
l'applicabilita' retroattiva di tali nuove sanzioni ai fatti commessi
prima della loro entrata in vigore; e cio'  sul  duplice  presupposto
che, da un lato, tali fatti erano  gia'  qualificati  in  termini  di
illiceita' al momento della loro commissione; e che,  dall'altro,  la
sanzione penale all'epoca prevista  era  piu'  grave  di  quella,  di
natura amministrativa, introdotta con la legge di depenalizzazione. 
    In via generale, una simile  tecnica  legislativa  si  sottrae  a
censure di illegittimita' costituzionale. L'applicazione  retroattiva
delle  nuove  sanzioni   amministrative   -   ancorche'   di   natura
sostanzialmente punitiva, e in quanto tali  attratte  dall'orbita  di
garanzia  dell'art.  25,  secondo  comma,  Cost.  -  e'   di   solito
compatibile con la norma costituzionale in  parola,  non  venendo  in
questione l'applicazione retroattiva di un trattamento  sanzionatorio
piu' severo  di  quello  vigente  al  momento  del  fatto,  bensi'  -
all'opposto  -   l'applicazione   retroattiva   di   un   trattamento
sanzionatorio che risulta normalmente piu' favorevole. 
    Tuttavia, come la sentenza n. 68 del  2017  ha  sottolineato,  il
generale maggior  favore  di  un  apparato  sanzionatorio  di  natura
formalmente  amministrativa   rispetto   all'apparato   sanzionatorio
previsto per i reati non  puo'  essere  dato  per  pacifico  in  ogni
singolo caso. 
    Vero e', infatti, che la sanzione penale si  caratterizza  sempre
per la sua incidenza, attuale o potenziale, sul bene  della  liberta'
personale (la stessa pena pecuniaria potendo  essere  convertita,  in
caso di mancata esecuzione, in  sanzioni  limitative  della  liberta'
personale stessa), incidenza che e', invece, sempre  esclusa  per  la
sanzione amministrativa. E vero e', altresi', che la pena possiede un
connotato speciale di stigmatizzazione, sul piano etico-sociale,  del
comportamento illecito, che difetta alla sanzione amministrativa. 
    Cionondimeno, l'impatto della sanzione amministrativa sui diritti
fondamentali della persona non  puo'  essere  sottovalutato:  ed  e',
anzi, andato crescendo nella legislazione piu' recente. 
    Apparati  sanzionatori  come   quelli   di   cui   trattasi   nei
procedimenti  a  quibus  rappresentano   un   esempio   paradigmatico
dell'elevatissima    carica    afflittiva    di    talune    sanzioni
amministrative. In seguito alle  modifiche  attuate  con  il  decreto
legislativo 10 agosto 2018, n. 107,  recante  «Norme  di  adeguamento
della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento  (UE)  n.
596/2014, relativo agli abusi di mercato e che  abroga  la  direttiva
2003/6/CE e le  direttive  2003/124/UE,  2003/125/CE  e  2004/72/CE»,
l'illecito amministrativo oggi ridenominato  «Abuso  e  comunicazione
illecita di informazioni privilegiate» di cui  all'art.  187-bis  del
d.lgs. n. 58 del 1998 prevede una sanzione  amministrativa  che  puo'
giungere, a carico di una persona fisica, sino all'importo di  cinque
milioni di euro, aumentabili ai sensi del comma 5 dello  stesso  art.
187-bis fino al triplo (e dunque fino a quindici milioni di  euro)  o
fino al maggiore importo di dieci volte il profitto conseguito ovvero
le  perdite  evitate  per  effetto   dell'illecito.   Tali   sanzioni
pecuniarie  sono,  d'altra  parte,  affiancate  dalle   sanzioni   di
carattere interdittivo previste dall'art. 187-quater del d.lgs. n. 58
del 1998, che limitano  fortemente  le  opzioni  professionali  -  e,
dunque, il diritto al lavoro - dei soggetti colpiti dalla sanzione; e
sono destinate a essere applicate congiuntamente  -  ai  sensi  della
disposizione in questa sede censurata - alla confisca, diretta e  per
equivalente, del prodotto e del profitto dell'illecito. Tutte  queste
sanzioni sono oggi destinate, almeno di regola, a essere pubblicate -
«senza ritardo e per  estratto»  -  nei  siti  internet  della  Banca
d'Italia o della CONSOB (art. 195-bis del d.lgs. n. 58 del 1998), con
conseguente, e tutt'altro che trascurabile, effetto stigmatizzante  a
carico dei soggetti che ne sono colpiti. Con l'ulteriore peculiarita'
che nessuna di queste sanzioni puo' essere condizionalmente  sospesa,
a differenza di quanto accade per le pene. 
    A fronte di simili scenari, e' giocoforza  ammettere  -  come  ha
fatto, appunto, la sentenza n. 68 del 2017 - che  la  presunzione  di
maggior favore del trattamento sanzionatorio amministrativo  rispetto
al  previgente  trattamento  sanzionatorio  penale  nell'ipotesi   di
depenalizzazione di un fatto precedentemente costitutivo di reato non
puo' che intendersi, oggi, come meramente relativa, dovendosi  sempre
lasciare spazio alla possibilita' di dimostrare, caso per  caso,  che
il nuovo  trattamento  sanzionatorio  amministrativo  previsto  dalla
legge di depenalizzazione risulti in concreto piu' gravoso di  quello
previgente.    Con    conseguente    illegittimita'    costituzionale
dell'eventuale    disposizione    transitoria    che    ne    preveda
l'indefettibile applicazione anche ai fatti pregressi, per violazione
dell'art. 25, secondo comma, Cost. 
    6.3.- Nel caso ora all'esame, la Sezione rimettente ha ampiamente
e plausibilmente motivato (come analiticamente riferito al punto 2.4.
del Ritenuto in  fatto)  sulle  ragioni  del  carattere  in  concreto
maggiormente afflittivo, per i ricorrenti nei giudizi a  quibus,  del
nuovo trattamento sanzionatorio previsto per  i  fatti  di  abuso  di
informazioni privilegiate commessi da insider secondari,  costituenti
reato prima della legge n. 62 del 2005. 
    In sintesi, il giudice a quo ha evidenziato  come  la  previgente
disciplina comminasse: la reclusione fino a due  anni,  la  multa  da
venti a seicento milioni di  lire  (innalzabili  sino  al  triplo  in
presenza di particolari circostanze); una serie di  pene  accessorie,
unitamente  alla  pubblicazione  della   sentenza   su   almeno   due
quotidiani; nonche' la confisca (diretta) dei  mezzi  utilizzati  per
commettere il delitto e dei beni che ne  costituiscono  il  profitto.
L'eventuale sospensione condizionale della  pena  avrebbe,  peraltro,
consentito all'autore del delitto di sottrarsi a tutte le sanzioni in
questione, con la sola eccezione della confisca; e, in ogni caso, gli
sarebbe stato applicato ratione  temporis  l'indulto  previsto  dalla
legge 31 luglio 2006, n. 241 (Concessione di indulto). 
    La disciplina sopravvenuta per effetto della legge n. 62 del 2005
prevedeva,  invece:  una  sanzione   amministrativa   pecuniaria   da
ventimila euro a tre milioni di euro (innalzabili fino  al  triplo  o
fino al maggiore importo di dieci volte il  prodotto  o  il  profitto
conseguito dall'illecito in presenza di particolari circostanze);  le
sanzioni amministrative accessorie previste dall'art. 187-quater  del
d.lgs. n. 58 del  1998;  la  confisca  amministrativa  (diretta)  del
prodotto o del profitto  dell'illecito  e  dei  beni  utilizzati  per
commetterlo; ovvero, la confisca amministrativa  di  denaro,  beni  o
altre utilita' di valore equivalente a tale prodotto o profitto e  ai
beni utilizzati per commettere l'illecito. Nessuna di  tali  sanzioni
amministrative poteva, d'altra parte, essere sospesa; ne'  poteva  in
alcun modo operare, rispetto  a  sanzioni  amministrative,  l'indulto
previsto dalla menzionata legge n. 241 del 2006. 
    Il  carattere  in  concreto  deteriore  del   nuovo   trattamento
scaturito dall'intervento di depenalizzazione  appare,  inoltre,  con
particolare evidenza laddove si ponga mente alla  sorte  dell'insider
primario  che  aveva  rivelato  le   informazioni   privilegiate   ai
ricorrenti nei procedimenti a quibus: insider primario che -  secondo
quanto illustrato nelle ordinanze di rimessione - e' stato alla  fine
sanzionato con una semplice multa di 10.000  euro,  beneficiando  tra
l'altro del menzionato provvedimento di indulto. 
    Tali considerazioni  mostrano  che  -  contrariamente  all'avviso
dell'Avvocatura  generale  dello  Stato  -  la  comparazione  tra  la
gravita'  delle   due   discipline   sanzionatorie   (quella   penale
previgente, e quella amministrativa successiva) e' ben  possibile,  e
anzi doverosa, onde  evitare  l'applicazione  retroattiva  all'autore
dell'illecito di una disciplina di carattere punitivo  -  al  di  la'
della sua formale qualificazione - piu' gravosa di quella  in  vigore
al momento del fatto, in contrasto con  il  principio  costituzionale
qui all'esame. E cio' indipendentemente dal carattere proporzionato o
non  proporzionato  della  confisca  per  equivalente   rispetto   al
disvalore del fatto: profilo, questo, che - contrariamente, ancora, a
quanto rilevato dall'Avvocatura generale dello Stato - non  viene  in
questa  sede   in   discussione,   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale   ora   sottoposte   a   questa   Corte    concernendo
esclusivamente la disciplina transitoria relativa  alla  sanzione  in
parola. 
    6.4.- Da quanto precede discende che la  disposizione  in  questa
sede censurata - disponendo l'inderogabile  applicazione  retroattiva
della nuova disciplina sanzionatoria ai fatti pregressi - si pone  in
contrasto con gli artt. 25, secondo comma, e 117, primo comma, Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 7 CEDU, nella parte in cui  impone
di applicare la  nuova  disciplina  anche  qualora  essa  risulti  in
concreto piu' sfavorevole di quella precedentemente in vigore. 
    Il giudice a  quo  ha  circoscritto  il  petitum  della  presente
questione di legittimita' costituzionale ai soli profili  concernenti
la confisca per equivalente - delimitando cosi' i poteri decisori  di
questa Corte ai sensi dell'art. 27, primo  periodo,  della  legge  11
marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della
Corte costituzionale) (ex plurimis, sentenze n.  276  e  n.  203  del
2016) -, sulla base dell'argomento per cui la ragione  del  carattere
deteriore   del   nuovo   trattamento   sanzionatorio    dipenderebbe
esclusivamente dalla sopravvenuta applicabilita'  al  nuovo  illecito
amministrativo di questa nuova forma di  confisca.  Conseguentemente,
il censurato art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005 deve  essere
dichiarato  costituzionalmente  illegittimo  nella   parte   in   cui
stabilisce  che  la  confisca  per  equivalente  prevista   dall'art.
187-sexies del d.lgs.  n.  58  del  1998  si  applica,  allorche'  il
procedimento penale non sia stato  definito,  anche  alle  violazioni
commesse anteriormente alla data di entrata in  vigore  della  stessa
legge n. 62 del 2005, quando il complessivo trattamento sanzionatorio
generato  attraverso  la  depenalizzazione  sia  in   concreto   piu'
sfavorevole di quello applicabile in base alla disciplina previgente. 
    7.- L'accoglimento della questione sotto il profilo  degli  artt.
25, secondo  comma,  e  117,  primo  comma,  Cost.,  quest'ultimo  in
relazione all'art. 7 CEDU, rende superfluo  l'esame  degli  ulteriori
motivi di censura, che restano, pertanto, assorbiti. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  9,  comma  6,
della legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l'adempimento  di
obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  alle   Comunita'
europee. Legge comunitaria 2004), nella parte in cui  stabilisce  che
la confisca per equivalente prevista dall'art. 187-sexies del decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico  delle  disposizioni
in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli  8
e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), si  applica,  allorche'  il
procedimento penale non sia stato  definito,  anche  alle  violazioni
commesse anteriormente alla data di entrata in  vigore  della  stessa
legge n. 62 del 2005, quando il complessivo trattamento sanzionatorio
conseguente all'intervento di depenalizzazione  risulti  in  concreto
piu' sfavorevole  di  quello  applicabile  in  base  alla  disciplina
previgente. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 5 dicembre 2018. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA