N. 233 SENTENZA 7 novembre - 7 dicembre 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati e pene ‒ Contrabbando di tabacchi lavorati esteri  eccedente  i
  dieci chilogrammi ‒ Applicazione congiunta della pena  detentiva  e
  della multa  di  cinque  euro  per  ogni  grammo  convenzionale  di
  prodotto. 
- Decreto del Presidente della Repubblica  23  gennaio  1973,  n.  43
  (Approvazione del testo unico  delle  disposizioni  legislative  in
  materia doganale), art. 291‒bis, primo comma. 
-   
(GU n.49 del 12-12-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  291-bis,
primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica  23  gennaio
1973,  n.  43  (Approvazione  del  testo  unico  delle   disposizioni
legislative in materia doganale), promosso dal  Giudice  dell'udienza
preliminare del Tribunale ordinario di Napoli Nord, nel  procedimento
penale a carico di A. A. e altri, con ordinanza dell'8 febbraio 2017,
iscritta al n. 124 del registro ordinanze  2017  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  39,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2017. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 7 novembre  2018  il  Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Giudice dell'udienza preliminare del  Tribunale  ordinario
di Napoli Nord, con ordinanza dell'8 febbraio 2017 (reg. ord. n.  124
del 2017), ha  sollevato  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 291-bis, primo comma,  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, recante  «Approvazione  del  testo
unico delle disposizioni legislative in materia doganale» (da ora  in
poi: TULD), nella parte in cui prevede, per il reato di  contrabbando
di tabacchi lavorati esteri,  ove  il  quantitativo  ecceda  i  dieci
chilogrammi, la pena pecuniaria di cinque  euro  di  multa  per  ogni
grammo convenzionale di prodotto; misura, quest'ultima,  definita  ai
sensi dell'art. 9 della  legge  7  marzo  1985,  n.  76  (Sistema  di
imposizione fiscale sui tabacchi lavorati), espressamente  richiamato
dalla disposizione censurata. 
    Ad avviso del giudice  a  quo  la  norma  indubbiata  sarebbe  in
contrasto  con  gli  artt.  3  e  27,  primo  e  terzo  comma,  della
Costituzione. 
    2.- Il rimettente premette che nel giudizio principale, celebrato
con il rito abbreviato, gli imputati sono giudicati per il  reato  di
cui agli artt. 110 del codice penale e 291-bis, primo comma, del TULD
perche' sorpresi a scaricare, da un veicolo con targa estera,  in  un
deposito sito  nel  territorio  italiano,  tabacchi  lavorati  esteri
(segnatamente  sigarette)  per  un  peso  complessivo   di   4.415,10
chilogrammi convenzionali. Precisa, inoltre, che il quadro probatorio
emerso dal giudizio non lascia dubbi in ordine  alla  responsabilita'
degli stessi per le condotte loro ascritte. 
    3.- In ragione della cornice edittale prevista dalla  fattispecie
loro  contestata,  il  rimettente   ha   altresi'   evidenziato   che
all'affermazione della penale  responsabilita'  dovrebbe  conseguire,
accanto  alla  pena  detentiva,  una  multa  quantificata   in   euro
6.540.888,89. Importo, questo, cui si dovrebbe pervenire malgrado  il
«riconoscimento delle attenuanti generiche» e la  riduzione  prevista
sia per il rito sia per l'applicazione dell'art. 133-bis  cod.  pen.,
nella sua massima estensione possibile. 
    Di qui il giudizio sulla rilevanza delle questioni, giacche' solo
il loro accoglimento consentirebbe, nel caso, di non  comminare  agli
imputati una pena cosi' gravosa, predeterminata nel suo  ammontare  e
in  ogni  caso  non  proporzionata  alle  condizioni  economiche  dei
destinatari della stessa. 
    4.- In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente rimarca
che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, solo la  pena  mobile
contribuisce,  in  linea  di  principio,  a  rendere   personale   la
responsabilita' penale ai sensi dell'art.  27,  primo  comma,  Cost.,
garantendo, nello stesso tempo, di finalizzare la sanzione all'emenda
nella prospettiva di cui al terzo comma  del  medesimo  articolo.  Le
pene fisse ed anche quelle «proporzionali  fisse»,  dunque,  potranno
superare il filtro della verifica di legittimita' costituzionale solo
nel caso in cui, per la natura  dell'illecito  sanzionato  e  per  la
misura della sanzione  prevista,  siano  in  grado  di  garantire  un
trattamento  sanzionatorio  ragionevolmente  proporzionato   rispetto
all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo stesso  tipo  di
reato. 
    Del resto, sottolinea il giudice a quo, anche prescindendo  dalla
rigidita' del criterio di determinazione,  deve  ritenersi  certa  la
sindacabilita', sul piano costituzionale, delle  scelte  assunte  dal
legislatore laddove la discrezionalita'  che  gli  e'  propria  nella
materia  in  oggetto  trasmodi  nella  manifesta  irragionevolezza  o
nell'arbitrio, dando cosi' corpo ad una violazione dell'art. 3 Cost. 
    5.- Ad  avviso  del  rimettente,  non  deve  ritenersi  dirimente
l'ordinanza di questa Corte n. 475 del 2002, con la  quale  e'  stata
dichiarata manifestamente infondata analoga questione di legittimita'
costituzionale  della   disposizione   censurata,   anche   all'epoca
sollevata in riferimento ai medesimi parametri. 
    Il rimettente sottolinea  che  con  la  citata  ordinanza  si  e'
esclusa la violazione dei richiamati parametri costituzionali,  dando
rilievo al complessivo  trattamento  sanzionatorio  previsto  per  la
fattispecie in disamina e, dunque, rimarcando la mobilita' della pena
detentiva comminata  congiuntamente  a  quella  pecuniaria,  tale  da
offrire  al  giudice  un  consistente  margine  di  adeguamento   del
trattamento sanzionatorio  alle  particolarita'  del  caso  concreto,
anche in rapporto a parametri oggettivi e  soggettivi  diversi  dalla
semplice dimensione quantitativa dell'illecito. 
    In occasione di siffatta verifica, tuttavia, la Corte non avrebbe
considerato che gli effetti "sproporzionati" di una  pena  pecuniaria
esorbitante  rispetto  al  fatto   e   alle   condizioni   economiche
dell'autore non sono destinati a  venir  meno  neppure  ancorando  ai
minimi edittali la pena detentiva; ne', ancora, sarebbe stato dato il
giusto rilievo all'ontologica diversita' tra pene  detentive  e  pene
pecuniarie, trascurando di considerare «che il contenuto patrimoniale
di queste ultime rende la loro  funzione  rieducativa  innegabilmente
diversa a seconda dei soggetti che ne sono destinatari». 
    6.- Sulla base di tali  premesse,  il  rimettente  evidenzia  che
l'art. 291-bis del TULD e' norma  a  condotte  alternative  che,  con
riguardo  alla   pena   pecuniaria,   sanziona   allo   stesso   modo
comportamenti eterogenei, i quali, in concreto, possono essere dotati
di diverso disvalore. 
    La rigidita' del criterio che  porta  alla  determinazione  della
pena pecuniaria renderebbe quindi dubbio il  rispetto  del  principio
della personalita' della responsabilita' penale, nonche' quello della
proporzione della pena, non essendo la sanzione pecuniaria modulabile
in  ragione  della  condotta  accertata.  Risulterebbe,  del   resto,
indifferente al fine anche il criterio «calmierante» di cui  all'art.
133-bis, secondo comma, cod. pen.,  destinato  a  rimanere  privo  di
effetti quando, come nella specie, si sia al cospetto di una sanzione
proporzionale per  la  quale  non  sia  fissato  un  limite  edittale
massimo. 
    7.- La disposizione  censurata,  ancora,  secondo  il  rimettente
sarebbe in evidente contrasto con la  funzione  di  emenda  garantita
dall'art.  27,  terzo  comma,  Cost.,  la  cui  attuazione  non  puo'
prescindere dalla percezione, da  parte  del  reo,  della  pena  come
giusta e  adeguata  rispetto  al  disvalore  del  suo  comportamento;
comprensione,  nel  caso,  messa  in  crisi  vuoi  in  ragione  della
oggettiva condizione  economica  degli  imputati,  vuoi  in  rapporto
all'entita' dei comportamenti che vengono loro addebitati e dai quali
ciascuno, per il ruolo assunto  nella  vicenda  portata  a  giudizio,
avrebbe lucrato poche centinaia di euro. 
    8.- Ad avviso del giudice a  quo,  la  irragionevole  rigorosita'
della multa in esame dipende dalla combinazione  dei  fattori  scelti
dal legislatore nel  pervenire  alla  determinazione  della  pena  da
comminare. In particolare, il rimettente sottolinea che la  quantita'
di tabacco lavorato estero riscontrata viene rapportata ad un  valore
monetario   predeterminato   in   modo    fisso    ed    in    misura
straordinariamente elevata, cosi' da portare ad una  pena  pecuniaria
di cinque euro per ciascuna sigaretta fatta oggetto di  contrabbando.
Scelte, queste, che non possono ritenersi giustificate  dalla  natura
fiscale della violazione contrastata, legata al mancato pagamento dei
diritti di confine;  e  che  sono  comunque  foriere  di  una  deriva
sanzionatoria estranea al sistema, perche' non trovano  riscontro  in
alcuna fattispecie analoga o assimilabile. 
    9.- Nel denunziare l'irragionevolezza della  pena  censurata,  il
giudice a quo si richiama  alla  pena  dettata  per  il  «delitto  di
detenzione, commercio e  trasporto  di  droghe  cosiddette  pesanti»:
ipotesi, questa che,  ad  avviso  del  rimettente,  si  lega  a  beni
comunque incommerciabili, a differenza di quanto e'  a  dirsi  per  i
tabacchi lavorati esteri, e che, cio' malgrado, risulta sanzionata da
una multa, comunque elevata, modulata, tuttavia, secondo una  forbice
che  «prevede  un  minimo   di   ventiseimila   e   un   massimo   di
duecentosessantamila euro». 
    9.1.- Per  altro  verso,  nell'ordinanza  si  evidenzia  che,  in
materia  di  contrabbando,  la  sanzione  pecuniaria   viene   sempre
calcolata in rapporto proporzionale ai  diritti  di  confine  dovuti,
stabilendosi un minimo e un massimo, di regola tra  il  doppio  e  il
decuplo, ed eventualmente fissandosi una soglia minima di pena, al di
sotto della quale non si puo' scendere. 
    E in tale prospettiva nell'ordinanza si fa cenno  non  solo  alle
ipotesi di contrabbando previste dagli  artt.  da  282  a  291  dello
stesso TULD, nel testo precedente alla depenalizzazione disposta  con
l'art. 1 del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8  (Disposizioni
in materia di depenalizzazione, a norma  dell'articolo  2,  comma  2,
della legge 28 aprile 2014, n. 67); ma anche alle  sanzioni  previste
dagli artt. 40 e 43 del decreto legislativo 26 ottobre 1995,  n.  504
(Testo unico delle disposizioni legislative  concernenti  le  imposte
sulla  produzione  e  sui  consumi  e  relative  sanzioni  penali   e
amministrative),   rispettivamente    in    tema    di    sottrazione
all'accertamento o al pagamento dell'accisa sui prodotti energetici o
di quella afferente l'alcol e le bevande alcoliche. 
    9.2.- Nel valutare  l'intrinseca  ragionevolezza  della  pena  in
esame, dovrebbe inoltre considerarsi, ad avviso del rimettente,  che,
accanto alla multa, viene prevista la pena della reclusione fino a un
massimo di cinque anni, il che gia' sarebbe in  grado  di  soddisfare
una  esigenza  di  maggior  rigore  rispetto   alle   ipotesi   sopra
menzionate. 
    Si  sarebbe  innanzi,   pertanto,   ad   una   incongruenza   non
giustificabile,  che,  senza  invadere  il  campo  della   dosimetria
sanzionatoria propria del legislatore, potrebbe essere  emendata  con
riferimento alle grandezze dettate per  le  analoghe  fattispecie  di
contrabbando, chiamate a tutelare il medesimo interesse giuridico. 
    10.- Con atto depositato il 13 ottobre 2017  e'  intervenuto  nel
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
questioni vengano dichiarate inammissibili, improcedibili o  comunque
infondate. 
    10.1.-  La  difesa   dell'interveniente,   prendendo   le   mosse
dall'ordinanza n. 475 del 2002 di questa Corte, per un verso  rimarca
che,  nella  specie,  la  presenza,  accanto  alla  pena   pecuniaria
censurata, di una pena detentiva mobile, modulabile tra un minimo  ed
un massimo edittale, permette di escludere la prospettata  violazione
dell'art. 27, primo comma, Cost., occorrendo guardare al  trattamento
sanzionatorio complessivo  dettato  dalla  norma;  per  altro  verso,
sottolinea l'assenza di valide ragioni che possano  giustificare  una
rivisitazione dell'orientamento gia' espresso sul tema dalla Corte. 
    10.2.- Ad avviso dell'Avvocatura  generale,  il  rimettente,  nel
valutare  la  ragionevolezza  intrinseca  della  pena  pecuniaria  in
oggetto, avrebbe trascurato di considerare che la  gravosa  pressione
fiscale che caratterizza la commercializzazione del prodotto  di  cui
alla norma censurata trova la sua  ragion  d'essere  non  solo  nella
necessita' di  generare  entrate  fiscali,  ma  anche  in  quella  di
disincentivare il consumo per ragioni  di  tutela  della  salute.  La
sanzione prevista  dal  legislatore,  dunque,  sarebbe  coerentemente
proporzionata al disvalore provocato dalla introduzione e vendita nel
territorio dello Stato di sigarette di contrabbando perche'  volta  a
porre rimedio alla perdita di  gettito  ma  anche  a  contrastare  il
fenomeno del tabagismo ed i pericoli nello stesso insiti. 
    10.3.- Peraltro - sempre  secondo  l'Avvocatura  -  la  pronuncia
sollecitata dal  rimettente  troverebbe  un  ulteriore  limite  nella
esclusiva discrezionalita' del  legislatore  in  tema  di  dosimetria
sanzionatoria penale, risultando  preclusa  dalla  impossibilita'  di
rinvenire, nell'ordinamento, grandezze  che,  trasferite  all'interno
della disposizione censurata, consentano una adeguata tutela del bene
giuridico considerato dalla norma incriminatrice. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Giudice dell'udienza preliminare del  Tribunale  ordinario
di Napoli Nord ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27,  primo
e  terzo  comma,  della  Costituzione,  questioni   di   legittimita'
costituzionale  dell'art.  291-bis,  primo  comma,  del  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  23  gennaio  1973,  n.   43,   recante
«Approvazione del  testo  unico  delle  disposizioni  legislative  in
materia doganale» (da ora in poi: TULD), nella parte in cui  prevede,
per il reato di contrabbando di tabacchi lavorati esteri (da  ora  in
poi: t.l.e.), quando  il  quantitativo  eccede  i  dieci  chilogrammi
convenzionali, la multa di cinque euro per ogni grammo  convenzionale
di prodotto. 
    2.- Il  giudice  a  quo  e'  investito  di  un  processo  penale,
celebrato con il rito abbreviato,  nei  confronti  di  piu'  persone,
imputate, in concorso tra loro, del reato di cui all'art. 291-bis del
TULD, in ragione della contestata detenzione di t.l.e.  (segnatamente
sigarette),  per  un  peso  complessivo   di   4.415,10   chilogrammi
convenzionali. 
    2.1.- Il rimettente precisa che il quadro probatorio  emerso  dal
giudizio principale non lascia  margini  di  dubbio  in  ordine  alla
responsabilita' degli imputati. 
    Rimarca, inoltre, che,  in  ragione  della  cornice  edittale  di
riferimento, al giudizio di  responsabilita'  dovrebbe  conseguire  -
accanto alla pena detentiva, prevista dalla disposizione censurata in
una forbice edittale ricompresa tra un  minimo  di  due  anni  ed  un
massimo di cinque anni - la comminatoria della  multa  in  misura  di
euro 6.540.888,89 per  ciascun  imputato.  Importo,  questo,  cui  si
dovrebbe pervenire, alla luce del  parametro  convenzionale  definito
dall'art. 9 della legge 7 marzo 1985, n. 76 (Sistema  di  imposizione
fiscale sui tabacchi lavorati), espressamente richiamato dalla  norma
censurata; e cio' malgrado  la  riduzione  per  la  scelta  del  rito
abbreviato e quella prevista dall'art. 133-bis,  secondo  comma,  del
codice penale, nella massima estensione possibile. 
    2.2.- Il rimettente prospetta la violazione degli artt. 3  e  27,
primo e terzo comma, Cost. perche', a  suo  avviso,  la  disposizione
censurata prevede una pena pecuniaria proporzionale, rigida nella sua
determinazione, manifestamente sproporzionata rispetto  al  disvalore
oggettivo delle condotte  sanzionate,  oltre  che  indifferente  alle
connotazioni specifiche del fatto ed alle condizioni  economiche  del
reo. 
    La multa prevista dalla norma  posta  allo  scrutinio  di  questa
Corte, dunque, sarebbe in contrasto  con  lo  statuto  costituzionale
della  pena  in  relazione  ai  principi  di  proporzionalita'  e  di
personalita' della  responsabilita'  penale,  ponendosi  altresi'  in
conflitto  con  la  finalita'  rieducativa  cui   deve   tendere   il
trattamento sanzionatorio. 
    L'intrinseca irragionevolezza addotta dal rimettente  troverebbe,
inoltre, conferma nella diversa e ben minore forza  afflittiva  della
pena  pecuniaria  prevista  per  altre  figure  di  reato,   ritenute
omogenee, per la natura degli interessi tutelati, a quella censurata. 
    3.- L'ordinanza non e' affetta da  vizi  che  possano  inficiarne
l'ammissibilita'. 
    La stessa difesa  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
intervenuto   in    giudizio,    pur    concludendo    (anche)    per
l'inammissibilita' delle questioni, non ha indicato effettive ragioni
ostative alla verifica del merito delle censure in esame. 
    3.1.-  In   particolare,   non   assume   rilievo   pregiudiziale
l'affermata assenza, eccepita dalla difesa erariale, di una soluzione
costituzionalmente obbligata con  riguardo  alla  individuazione  del
trattamento sanzionatorio conseguenziale all'ablazione  invocata  dal
rimettente. 
    Vero  e'  che  non  appartengono  a  questa   Corte   valutazioni
discrezionali  di  dosimetria  sanzionatoria  penale,  di   esclusiva
pertinenza del  legislatore.  Spetta,  infatti,  alla  rappresentanza
politica  il  compito   di   individuare   il   grado   di   reazione
dell'ordinamento al cospetto della lesione  di  un  determinato  bene
giuridico. Cio', tuttavia, non preclude,  a  monte,  l'intervento  di
questa Corte laddove le scelte sanzionatorie adottate dal legislatore
si siano rivelate manifestamente  arbitrarie  o  irragionevoli  e  il
sistema legislativo consenta  l'individuazione  di  soluzioni,  anche
alternative tra loro, che, per la omogeneita' che le connota rispetto
alla norma censurata, siano tali da «ricondurre a coerenza le  scelte
gia' delineate a tutela di un determinato bene giuridico,  procedendo
puntualmente, ove  possibile,  all'eliminazione  di  ingiustificabili
incongruenze» (sentenza n. 236 del 2016). 
    3.2.- In questa ottica, l'ammissibilita' delle questioni inerenti
ai profili di illegittimita' costituzionale dell'entita'  della  pena
stabilita dal legislatore puo' ritenersi condizionata non tanto dalla
presenza di una soluzione costituzionalmente obbligata, quanto  dalla
puntuale indicazione, da parte  del  giudice  a  quo,  di  previsioni
sanzionatorie rinvenibili nell'ordinamento che, trasposte all'interno
della norma censurata, garantiscano coerenza alla  logica  perseguita
dal legislatore,  una  volta  emendata  dai  vizi  di  illegittimita'
addotti, sempre se riscontrati. 
    3.3.- Il rimettente si e' posto in  linea  con  tali  indicazioni
interpretative, avendo chiesto, nel corpo dell'ordinanza, di  colmare
la lacuna conseguenziale all'eventuale accoglimento  delle  questioni
sostituendo, al trattamento sanzionatorio censurato,  quello  dettato
per le fattispecie di contrabbando doganale previste dagli  artt.  da
282 a 291 del TULD. 
    Altro e', invece, l'aspetto inerente alla correttezza di siffatta
indicazione, afferente al merito delle questioni. 
    4.- Nel merito, le questioni non sono fondate. 
    5.- La fattispecie incriminatrice,  che  prevede  il  trattamento
sanzionatorio censurato, e' collocata all'interno del TULD  in  forza
delle modifiche apportate dalla legge 19 marzo 2001, n. 92 (Modifiche
alla  normativa  concernente  la  repressione  del  contrabbando  dei
tabacchi lavorati),  con  la  quale  e'  stato  riformato  il  regime
normativo inerente al  contrabbando  di  t.l.e.  In  particolare,  la
disposizione posta allo  scrutinio  di  questa  Corte  ha  sostituito
l'art.  2  della  legge  18  gennaio  1994,  n.  50  (Modifiche  alla
disciplina concernente la repressione del contrabbando  dei  tabacchi
lavorati),   che   in   precedenza   disciplinava   la   fattispecie,
espressamente abrogato dall'art. 7 della stessa legge n. 92 del 2001. 
    5.1.-  Rispetto  alla  previgente  disciplina,  la   disposizione
censurata, in coerenza con il complessivo portato dell'intervento  di
riforma che ha interessato la materia, appare  caratterizzata  da  un
consistente  inasprimento  del  trattamento  sanzionatorio,  sia   in
riferimento al limite di peso della merce contrabbandata  considerato
nel definire  la  fattispecie,  sia  per  l'aggravamento  della  pena
detentiva, sia per il calcolo della pena pecuniaria da comminare, non
piu' proporzionale al valore dell'imposta evasa bensi' alla quantita'
della merce oggetto del contrabbando. 
    5.2.- In precedenza il reato  in  questione  poteva  configurarsi
solo quando la  merce  oggetto  di  contrabbando  si  fosse  rivelata
superiore ai quindici chilogrammi: sotto questa  soglia,  dunque,  le
relative condotte finivano per  restare  assorbite  nelle  violazioni
doganali previste dagli artt. 282  e  seguenti  del  citato  TULD,  a
seconda  della  specifica  dinamica   in   fatto,   con   conseguente
applicazione della sola pena pecuniaria, rapportata alla misura delle
imposte evase, giacche' la pena detentiva, da  cumulare  alla  multa,
presupponeva  invece  l'ulteriore  riscontro  di  una  delle  ipotesi
aggravate previste dall'art. 295 del medesimo TULD. 
    5.3.- La nuova fattispecie di reato introdotta dalla novella  del
2001 ha regolato in  modo  del  tutto  autonomo  il  contrabbando  di
t.l.e., attraendo alla relativa disciplina, quale che ne sia il peso,
tutte le ipotesi che hanno  ad  oggetto  l'illecita  introduzione  in
Italia di tale tipo di merce. 
    In particolare, vengono distinte due ipotesi, in coincidenza  con
i due commi di cui si compone l'art. 291-bis del TULD. 
    Quella prevista dal primo comma del  detto  articolo,  sottoposta
all'odierna   verifica   di   legittimita'   costituzionale,    porta
all'applicazione  congiunta  della  pena  pecuniaria  e  della   pena
detentiva: la quantita'  di  t.l.e.  utile  a  giustificare  siffatto
trattamento sanzionatorio e' tuttavia piu' bassa di  quella  prevista
dalla  norma  previgente,  giacche  e'   sufficiente   al   fine   un
quantitativo eccedente i dieci chilogrammi convenzionali. 
    Al di sotto di tale ultima soglia, la pena originariamente scelta
dal legislatore della novella era esclusivamente  la  multa  prevista
dal secondo comma dell'articolo in oggetto; la fattispecie, tuttavia,
risulta oggi depenalizzata in virtu' di quanto dettato  dall'art.  1,
comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8  (Disposizioni
in materia di depenalizzazione, a norma dell'art. 2, comma  2,  della
legge 28 aprile 2014, n. 67), cosi' come confermato, da ultimo, anche
dalla giurisprudenza di legittimita' (Corte  di  cassazione,  sezione
terza penale, sentenza 6 aprile 2018, n. 15436). 
    5.4.- Nell'ottica del  maggior  rigore  sanzionatorio  perseguito
dalla riforma, va rimarcato che la legge n. 92  del  2001  ha  inciso
sulla pena detentiva da comminare, aggravata sia nel minimo  (portata
da uno a due anni), sia nel massimo (aumentata da  quattro  a  cinque
anni) rispetto a quanto previsto dalla disposizione previgente. 
    Quanto alla pena  pecuniaria,  la  stessa  risulta  autonomamente
disciplinata e non piu' regolata attraverso l'esplicito richiamo,  in
origine contenuto nell'abrogato art. 2 della legge n. 50 del 1994, al
trattamento dettato  dal  TULD  per  le  altre  violazioni  doganali,
proporzionato al valore dell'imposta evasa. 
    La disposizione censurata, introdotta  dalla  novella  del  2001,
prevede, invece, una pena  pecuniaria  proporzionale  correlata  alla
quantita' della merce oggetto del contrabbando, a sua volta commutata
in termini monetari  sulla  base  di  un  valore  predeterminato  dal
legislatore (cinque euro per  ogni  grammo  convenzionale  di  t.l.e.
illegalmente introdotto nel territorio nazionale). 
    6.- Il trattamento sanzionatorio  riservato  dal  legislatore  al
fenomeno  criminale  del  contrabbando  di   t.l.e.   appare   dunque
caratterizzato da un  evidente  maggiore  rigore  rispetto  a  quanto
previsto per le altre violazioni doganali considerate dal TULD. 
    Oltre alla gia' rimarcata differenza  afferente  al  criterio  di
determinazione della multa, va infatti evidenziato che, per le  altre
violazioni  doganali,  la  pena  detentiva,   congiunta   alla   pena
pecuniaria, viene riferita alle ipotesi aggravate previste  dall'art.
295, secondo comma, del relativo TULD o al caso, previsto  dal  terzo
comma dello stesso articolo, in cui  l'ammontare  dei  diritti  evasi
superi l'importo di euro 49.993,03. 
    Sotto questo versante, va inoltre  sottolineato  che  il  massimo
edittale relativo  alla  pena  detentiva,  prevista  per  le  ipotesi
aggravate in questione (cinque anni), coincide con quello dettato per
l'ipotesi  semplice  di  contrabbando  relativo  ai  t.l.e.,  di  cui
all'art.  291-bis,  primo  comma,  del  medesimo  TULD;  fattispecie,
quest'ultima,  soggetta,  peraltro,  ad  un  apparato  circostanziale
autonomo, quello dettato dal successivo art. 291-ter del TULD, con la
previsione di un massimo di pena in coerenza ancora piu' elevato, pur
a fronte di condotte materiali sostanzialmente analoghe. 
    7.- Una siffatta differenziazione di regime trova motivazione nel
diverso  disvalore  criminale  che  va  ascritto  ai  detti  fenomeni
delittuosi. 
    7.1.- Il  bene  giuridico  tutelato  dalle  violazioni  doganali,
compreso il contrabbando sanzionato dalla  norma  indubbiata,  e'  la
potesta' dello Stato (e dell'Unione europea) alla puntuale percezione
dei tributi. 
    L'essenza comune  degli  illeciti  in  esame  e'  data,  infatti,
dall'inosservanza dei "diritti di confine" da riscuotere in relazione
alle operazioni doganali; diritti che, cosi' come descritti dall'art.
34  del  TULD,  ricomprendono,  oltre  ai   dazi   (risorsa   propria
dell'Unione), anche le accise sui consumi, tra  le  quali  ultime  va
annoverata  quella  legata  alla  commercializzazione   del   tabacco
lavorato in Italia, disciplinata dal decreto legislativo  26  ottobre
1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative  concernenti
le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni  penali
e amministrative). 
    Di qui la coerente collocazione sistematica del  contrabbando  di
t.l.e. all'interno del TULD, realizzata dalla legge n.  92  del  2001
anche in  considerazione  dei  profili  di  armonizzazione  all'epoca
perseguiti, in tema di frode agli  interessi  finanziari  di  matrice
comunitaria,  dalla  Convenzione   sulla   tutela   degli   interessi
finanziari delle Comunita' europee, fatta a Bruxelles  il  26  luglio
1995, ratificata e resa esecutiva con la legge 29 settembre 2000,  n.
300. 
    7.2.- Malgrado tali momenti  di  contatto,  l'ipotesi  delittuosa
legata  al  contrabbando  di  t.l.e.,  sin   dalla   sua   originaria
previsione, ha sempre mantenuto un profilo di autonomia rispetto alle
altre violazioni doganali penalmente sanzionate, come confermato  sia
dallo specifico tenore  della  disciplina  di  riferimento,  sia  dal
diverso peso afflittivo che, con  riguardo  alla  pena  detentiva  in
particolare, sin dalla legge n. 50 del 1994, caratterizza il relativo
trattamento sanzionatorio. 
    7.2.1.- Per quanto di primario rilievo, la tutela  delle  entrate
finanziarie non assorbe in modo esaustivo l'area di interesse coperta
dalle previsioni sanzionatorie correlate alle violazioni doganali. 
    Se per le ipotesi di contrabbando  che  hanno  ad  oggetto  merce
diversa dai t.l.e. in genere l'ulteriore valore tutelato  e'  offerto
dal leale dispiegarsi delle dinamiche concorrenziali (in ragione  del
complessivo  tenore  dell'art.  32  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea), per la fattispecie in disamina viene invece  in
considerazione il diverso e certamente maggiore allarme  sociale  che
tale forma di contrabbando suscita. 
    7.2.2.- Il contrabbando di t.l.e. e', infatti, fenomeno criminale
che - come del resto testualmente si ricavava in  considerazione  del
tenore letterale dell'art. 1, comma 1, della legge n. 50 del  1994  -
interseca gli interessi  della  criminalita'  organizzata,  allettata
dagli  ingenti  profitti  che  tale  iniziativa  illecita  garantisce
immediatamente. 
    Profitti,  questi,  che  risultano  acquisiti  secondo   percorsi
analoghi a quelli propri di altri traffici  transnazionali  (inerenti
agli  stupefacenti,   alle   armi,   all'immigrazione   clandestina),
notoriamente  dominati  dalle   organizzazioni   criminali;   e   che
costituiscono, a loro volta,  l'utile  provvista  da  reimpiegare  in
altre iniziative,  non  necessariamente  illecite,  secondo  tecniche
sempre piu' sofisticate. 
    7.2.3.-  Le  condotte  che  la  fattispecie  in  esame   mira   a
sanzionare, dunque, in  quanto  destinate  a  ledere  l'ordine  e  la
sicurezza pubblica, ben piu' di quanto possa ritenersi per  le  altre
violazioni doganali, sono causa di significativi danni nei  confronti
dello Stato, non esclusivamente limitati al profilo finanziario delle
entrate non percepite. 
    Si impongono per il  legislatore,  quindi,  risposte,  sul  piano
della  repressione,  diverse  e  piu'  pregnanti  rispetto  a  quelle
previste per le altre ipotesi di contrabbando. 
    7.3.- Il peculiare disvalore criminale del contrabbando di t.l.e.
porta inoltre  a  differenziare  la  relativa  disciplina  da  quella
dettata per  l'illecita  commercializzazione  dei  tabacchi  lavorati
nazionali. 
    Ci si riferisce alle ipotesi previste dagli artt. 65 e 66, numeri
3), 4), e 5), della legge 17 luglio 1942, n. 907 (Legge sul monopolio
dei sali e tabacchi), sanzionate dagli artt. 1  e  4  della  legge  3
gennaio 1951, n. 27 (Modificazioni alla legge 17 luglio 1942, n. 907,
sul monopolio dei sali e dei tabacchi) con la pena  della  reclusione
(fino a due anni) e della multa (modulata  tra  un  minimo  di  «lire
150.000» e un massimo di «lire 450.000» per ogni chilogrammo), quando
la quantita' del tabacco supera i quindici chilogrammi. 
    Trattamento sanzionatorio, questo, all'evidenza  meno  afflittivo
rispetto a  quanto  previsto  dalla  disciplina  scrutinata;  e  cio'
secondo canoni di differenziazione anche qui motivati dal  diverso  e
maggiore allarme  sociale  che  il  contrabbando  di  t.l.e.  esprime
rispetto  all'attivita'  criminale  avente  ad  oggetto  il   tabacco
lavorato nazionale, in termini  di  «diffusivita'  del  fenomeno,  di
realizzazione  di  proventi  e  di  collegamento  con  organizzazioni
criminali sotto il profilo  qualitativo  e  quantitativo»  (Corte  di
cassazione, sezioni unite penali, sentenza 8 gennaio  1998,  n.  119;
resa con riferimento all'art. 2 della legge n. 50 del 1994). 
    7.4.- Il maggior rigore sanzionatorio  che  ispira  le  modifiche
apportate, dalla legge n.  92  del  2001,  all'originaria  disciplina
dettata in materia di repressione del contrabbando di  t.l.e.,  muove
da  una  sempre  piu'  marcata  consapevolezza  della  differenza  di
siffatta fattispecie rispetto alle altre violazioni doganali. 
    Il pregiudizio ai consistenti interessi  finanziari  dello  Stato
mantiene di certo rilievo primario nella definizione  della  relativa
previsione  incriminatrice;  ma  l'intervento  normativo   realizzato
introducendo, tra le altre, anche  la  disposizione  censurata,  come
traspare con evidenza  dai  relativi  lavori  preparatori,  abbraccia
sempre  piu'  l'esigenza  di  reprimere  adeguatamente  un   fenomeno
criminale caratterizzato, come  dianzi  rilevato,  da  una  crescente
recrudescenza alla luce dell'ancora piu' marcato coinvolgimento delle
organizzazioni criminali, anche sul piano internazionale,  capaci  di
movimentare ingenti capitali e  di  realizzare  profitti  elevati  su
vasta scala. 
    7.5.- In particolare, con riguardo alle  modifiche  apportate  in
ordine alla pena pecuniaria da comminare, va sottolineata  la  scelta
del legislatore di delineare ancora piu' nettamente la  distanza  tra
le violazioni doganali in genere e quelle afferenti  il  contrabbando
di t.l.e. 
    A tale fine, assume un'evidente valenza esplicativa il  giudizio,
particolarmente negativo, espresso in occasione dei  relativi  lavori
preparatori, sulla disciplina  all'epoca  vigente,  configurata,  per
l'appunto, replicando i tratti  della  multa  dettata  per  le  altre
violazioni doganali: trattamento  sanzionatorio,  quello  oggetto  di
modifica, definito  «risibil[e]»  e,  anche  per  le  difficolta'  di
escussione della pena, comunque inadeguato allo scopo, perche' non in
grado di incidere in termini di effettiva deterrenza, risolvendosi in
una insignificante monetizzazione del rischio legato a tale attivita'
criminale  (relazione  di  accompagnamento  al   disegno   di   legge
governativo, Atto Camera n. 6333, presentato il  14  settembre  1999,
XIII legislatura). 
    8.- La multa prevista dalla  disposizione  censurata,  introdotta
all'esito delle citate innovazioni apportate dalla legge  n.  92  del
2001, rientra tra le pene pecuniarie  proporzionali,  contrapposte  a
quelle fisse dall'art. 27 cod. pen. A differenza  di  queste  ultime,
rispetto alle quali la misura della sanzione dipende  unicamente  dal
valore predeterminato dal legislatore, quale  che  sia  il  disvalore
riferibile   alla   fattispecie   concreta,   le   pene    pecuniarie
proporzionali modulano  il  trattamento  punitivo  in  considerazione
della dimensione effettiva dell'illecito. 
    Nel caso di specie, in particolare, la pena da comminare  dipende
dal prodotto di due fattori  numerici,  il  primo  dei  quali  e'  un
coefficiente variabile, chiamato a disvelare la  dimensione  concreta
della singola fattispecie (la quantita' della merce  contrabbandata);
il secondo e' un importo monetario predeterminato in modo  fisso  dal
legislatore, destinato a descrivere  il  disvalore  intrinseco  della
fattispecie astratta (cinque euro per ogni  grammo  convenzionale  di
prodotto). 
    8.1.-  Prendendo  le  distanze  dalla  disciplina  previgente  e,
dunque, da quanto previsto  per  le  altre  violazioni  doganali,  il
legislatore della riforma  ha  correlato  il  coefficiente  variabile
previsto dalla  fattispecie  in  esame  alla  quantita'  del  tabacco
oggetto di contrabbando, avvalendosi, al fine, della medesima  unita'
di misura presa in considerazione per l'imposizione fiscale,  id  est
il chilogrammo convenzionale fissato dall'art. 9 della  legge  n.  76
del 1985; disposizione, quest'ultima, abrogata dall'art. 4, comma  1,
lettera c), del decreto legislativo 29 marzo 2010, n. 48  (Attuazione
della direttiva 2008/118/CE relativa al regime generale delle  accise
e che abroga la direttiva 92/12/CEE),  ma  pedissequamente  ribadita,
nei relativi contenuti, dall'art. 39-quinquies, comma 1, della  legge
n. 504 del 1995 (in ragione di quanto previsto dall'art. 1, comma  1,
lettera nn, del detto d.lgs. n. 48 del 2010). 
    8.2.- L'altro dato offerto dalla fattispecie in esame, il  valore
base  monetario  da  moltiplicare  al  coefficiente  variabile  sopra
indicato, e' stato predeterminato dal legislatore in misura di cinque
euro per ciascun grammo convenzionale di t.l.e., elevando l'incidenza
afflittiva della sanzione in  esame,  soprattutto  in  considerazione
dell'assenza di un tetto massimo di pena,  coerentemente  con  quanto
dettato in linea generale dall'art. 27 cod. pen.,  per  il  quale  le
«pene pecuniarie proporzionali non hanno limite massimo». 
    La pena in esame dipende, infatti, unicamente dalla quantita'  di
t.l.e. oggetto di contrabbando e non trova limite in una  soglia  non
altrimenti superabile (in  precedenza  individuata  nel  decuplo  dei
diritti di confine evasi). 
    9.- Cio' premesso sul piano sistematico, va  evidenziato  che  le
censure sono state prospettate dal rimettente evocando congiuntamente
la violazione dell'art. 3 e dell'art. 27, primo e terzo comma, Cost. 
    Possono tuttavia distinguersi due diverse  angolazioni,  autonome
anche se strettamente connesse tra loro. 
    Sotto il primo versante, le censure investono  la  rigidita'  del
criterio di determinazione della multa prescelto dal legislatore, con
le conseguenze che comporta sul piano della responsabilita' personale
e della funzione rieducativa della pena. E cio' in ragione sia  della
addotta impossibilita', per il giudice, di modulare  la  sanzione  in
funzione delle specifiche connotazioni, oggettive e soggettive, della
condotta,  sia  della  mancanza  di  un  tetto  massimo  rispetto  al
trattamento prospettabile. 
    Sotto  il  secondo  versante,  le  censure  investono  l'asserita
sproporzione  tra  il  fatto  preso  in  considerazione  dalla  norma
incriminatrice e la pena pecuniaria da  comminare  nell'ottica  della
intrinseca irragionevolezza della disposizione in esame. 
    10.- Quanto ai dubbi di legittimita' costituzionale  legati  alla
rigidita' del criterio  che  porta  alla  determinazione  della  pena
pecuniaria prevista  dalla  disposizione  censurata,  assume  rilievo
l'ordinanza n. 475 del 2002, con la quale questa Corte ha  dichiarato
manifestamente infondata  una  identica  questione,  anche  all'epoca
sollevata nei confronti  della  norma  censurata  in  riferimento  ai
medesimi parametri. 
    10.1.- Con la citata ordinanza, nell'affrontare il tema della non
modulabilita' della sanzione pecuniaria che il giudice e' chiamato ad
applicare,  e'  stato  dato  rilievo  al  trattamento   sanzionatorio
complessivo predisposto dal legislatore, rimarcando, in  particolare,
che, accanto alla multa, e' prevista anche la  pena  detentiva  della
reclusione «con una forbice edittale di ampiezza significativa». 
    In una simile situazione, e' stato da questa  Corte  sottolineato
che «i limiti costituzionali alla  previsione  di  risposte  punitive
rigide», cosi' come descritti principalmente dalla sentenza n. 50 del
1980,  non  vengono  comunque   in   rilievo   tenuto   conto   della
«graduabilita' della pena detentiva comminata congiuntamente a quella
pecuniaria», tale da offrire al giudice «un  consistente  margine  di
adeguamento del trattamento  sanzionatorio  alle  particolarita'  del
caso concreto, anche in rapporto a parametri oggettivi  e  soggettivi
diversi  dalla  semplice  "dimensione  quantitativa"   dell'illecito»
(ordinanza n. 475 del 2002). 
    Orientamento,  questo,  ribadito  nel  tempo,  perche'  una  tale
opzione legislativa lascia «adeguati spazi alla discrezionalita'  del
giudice,  ai  fini  dell'adeguamento  della  risposta  punitiva  alle
singole fattispecie concrete» (ordinanza n. 91 del  2008);  ancor  di
piu' in presenza di pene pecuniarie proporzionali che, come quella di
specie, sono di per se' stesse «caratterizzate da un certo  grado  di
variabilita' in ragione dell'offensivita' del fatto» (sentenza n. 142
del 2017). 
    11.- L'ordinanza in esame non offre argomenti che  consentano  di
abbandonare siffatto, consolidato, orientamento. 
    11.1.-  Secondo   il   rimettente,   la   Corte,   nell'escludere
l'illegittimita' costituzionale, sotto il  profilo  esaminato,  della
multa prevista dalla disposizione censurata, non avrebbe  considerato
le peculiarita' proprie delle pene  pecuniarie,  avuto  riguardo,  in
particolare,   alla   funzione   rieducativa   che   il   trattamento
sanzionatorio deve tendere a realizzare. 
    11.2.- L'assunto non e' convincente. 
    Non e' in discussione la possibilita' di riconoscere  anche  alla
pena pecuniaria compiti compatibili con la funzione  rieducativa,  in
linea con lo statuto costituzionale della pena descritto dall'art. 27
Cost. (sentenze n. 12 del 1966 e n. 113 del 1968). 
    Una tale finalizzazione,  tuttavia,  assume  spessore  diverso  a
seconda delle connotazioni oggettive del tipo di sanzione; e laddove,
come nella specie, si  preveda,  accanto  alla  pena  pecuniaria,  la
congiunta comminatoria  della  pena  detentiva,  non  puo'  ritenersi
incongrua la scelta di assegnare primariamente a quest'ultima - dando
rilievo     all'unitarieta'     del     trattamento     sanzionatorio
complessivamente  predisposto  dal  legislatore  -  il   compito   di
realizzare la funzione rieducativa, risultando  cosi'  garantiti,  al
contempo, anche i profili  inerenti  alla  individualizzazione  della
pena, ancorati al disposto dell'art. 27, primo comma, Cost. 
    11.3.-  Ne'  vale  sostenere  che,   nel   caso,   le   superiori
osservazioni andrebbero riviste in ragione della  mancata  previsione
di un tetto massimo di pena,  tale  da  determinare,  ad  avviso  del
rimettente, una inaccettabile neutralizzazione  di  fatto  del  ruolo
ascritto all'art. 133-bis, secondo comma, cod. pen. con riguardo alla
commisurazione della pena in rapporto alle condizioni economiche  del
reo. 
    11.4.- L'assenza di un tetto massimo di  pena,  coerente  con  la
gia' citata indicazione generale  offerta,  per  le  pene  pecuniarie
proporzionali, dall'art. 27 cod. pen., non si pone in contrasto con i
principi dettati dall'art. 27 Cost. 
    Se e' vero infatti che la previsione di una soglia non superabile
«consentirebbe di evitare l'irrogazione  di  sanzioni  eccessivamente
elevate»,  e'  del  pari   incontrovertibile   che   cio'   «potrebbe
pregiudicare l'effetto dissuasivo della sanzione pecuniaria nei  casi
in cui commettere il reato risulta  vantaggioso  e  profittevole  sul
piano economico, anche  a  rischio  di  subire  la  sanzione  penale»
(sentenza n. 142 del 2017). 
    In linea con le connotazioni ordinariamente  proprie  delle  pene
pecuniarie proporzionali, razionalmente confacenti  alla  repressione
di reati che, come  quello  posto  all'attenzione  di  questa  Corte,
risultano dominati da oggettive finalita' di lucro, la multa prevista
dalla fattispecie censurata  mira  a  disincentivare  la  commissione
delle   relative    condotte    in    forza    di    un    meccanismo
utilitaristico-economico  destinato   ad   apportare   al   reo,   in
conseguenza  dell'applicazione   della   sanzione,   uno   svantaggio
patrimoniale  tale  da  rendere   controproducente   la   commissione
dell'illecito,  quali  che   siano   le   specifiche   modalita'   di
realizzazione del fatto. 
    Mentre la misura della sanzione, anche  particolarmente  elevata,
appare comunque sempre raccordata alla gravita' dell'offesa (nel caso
per il riferimento al quantitativo della merce  contrabbandata),  per
altro verso, la previsione di un tetto massimo finirebbe per  privare
di effettivita' la  funzione  primaria  perseguita  dal  legislatore,
quella  di  disincentivare   l'iniziativa   illecita   azzerando   le
prospettive di lucro correlate alla condotta incriminata. 
    12.- Cio'  non  esclude  che  le  pene  pecuniarie  proporzionali
possono comunque,  in  taluni  casi,  dar  luogo  ad  un  trattamento
intrinsecamente  irragionevole  per  la  manifesta  sproporzione  che
potrebbe prospettarsi tra il disvalore del  fatto  incriminato  e  la
cornice edittale dettata per sanzionarlo. 
    E tanto porta  al  secondo  ordine  di  censure  prospettate  dal
rimettente. 
    12.1.- L'art. 3 Cost. esige «che la  pena  sia  proporzionata  al
disvalore del  fatto  illecito  commesso,  in  modo  che  il  sistema
sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed
a quella di tutela delle posizioni individuali»;  laddove,  poi,  «la
proporzione tra sanzione e  offesa  difetti  manifestamente,  perche'
alla  carica  offensiva  insita  nella   condotta   descritta   dalla
fattispecie  normativa  il  legislatore  abbia  fatto   corrispondere
conseguenze punitive di  entita'  spropositata,  non  ne  potra'  che
discendere una compromissione ab  initio  del  processo  rieducativo»
cosi' da dare corpo ad una «violazione congiunta degli artt. 3  e  27
Cost., essendo lesi sia il principio di proporzionalita'  della  pena
rispetto alla gravita' del fatto commesso, sia quello della finalita'
rieducativa della pena» (sentenza n. 236 del 2016). 
    La  cifra  di  tale  manifesta  inadeguatezza  non  e'   tuttavia
rappresentata dal livello di asprezza cui puo' pervenire la  pena  da
comminare secondo il  modulo  di  commisurazione  predeterminato  dal
legislatore. 
    Il sistema  delle  pene  proporzionali,  infatti,  in  genere  e'
congegnato in termini tali da  garantire  un  rapporto  costante  tra
rilevanza del fatto ed entita' della  risposta  punitiva  sicche'  al
crescere  della  prima  corrisponde,  in  nome   del   principio   di
offensivita', il  diverso  e  sempre  piu'  pregnante  portato  della
seconda. 
    12.2.-  Piuttosto,  la   manifesta   irragionevolezza   utile   a
conclamare l'evocata, congiunta, lesione degli artt. 3 e 27 Cost.  va
verificata guardando ai coefficienti, quello monetario base e  quello
moltiplicatore, presi in considerazione dal legislatore nel  definire
il meccanismo sanzionatorio censurato. Il perimetro del sindacato  di
costituzionalita' chiesto nel caso alla Corte attiene  pertanto  alla
verifica della ragionevolezza o della  sproporzione  dei  fattori  da
considerare nel procedere al computo della pena. 
    13.-  Sotto  il  versante  della  ragionevolezza  intrinseca,  il
rimettente,  facendo  leva  sulla  natura  tributaria  del  reato  in
oggetto, ha censurato la «parametrazione della multa» al quantitativo
del prodotto oggetto di contrabbando,  lamentando,  al  contempo,  la
misura «straordinariamente» elevata del valore monetario base fissato
dal  legislatore  per  pervenire  alla  determinazione   della   pena
pecuniaria. 
    14.- Anche queste censure non colgono nel segno. 
    Nel  verificare  la  legittimita'  costituzionale  delle   scelte
legislative   inerenti   alla   configurazione   delle    fattispecie
incriminatrici o alla qualita' e quantita' delle pene,  non  si  puo'
non tenere nel debito conto, infatti, che  le  stesse  dipendono  non
solo dal bene o dai beni giuridici tutelati, astrattamente  valutati,
ma anche dalle finalita' che, nel contesto storico in cui le  opzioni
in  parola  vengono  operate,  il  legislatore  persegue;  ne'   puo'
disconoscersi il rilievo che occorre ascrivere agli effetti indiretti
che i fatti incriminati vanno a produrre nell'ambiente sociale in cui
si realizzano. Necessita' di  prevenzione  generale  e  di  riduzione
dell'allarme sociale cagionato dai reati convergono, dunque,  insieme
alle ragioni innanzi indicate,  a  motivare  le  opzioni  legislative
nella determinazione delle ipotesi criminose  tipiche  e  delle  pene
ritenute congrue al fatto incriminato (sentenza n. 62 del 1986). 
    Ne consegue che, nel valutare le scelte operate  dal  legislatore
con riguardo alla fattispecie in esame, non si puo' prescindere dalle
esigenze che giustificarono l'intervento riformatore apportato  dalla
legge n. 92 del 2001, ispirato, come gia'  prima  evidenziato,  dalla
necessita' di garantire un maggiore rigore repressivo nell'affrontare
il fenomeno criminale del  contrabbando  di  t.l.e.  sul  presupposto
della inadeguatezza del pregresso regime punitivo; e cio' in  ragione
della sempre piu' marcata interdipendenza tra tale fattispecie ed  il
circuito  proprio  della  criminalita'  organizzata,  nonche'   della
riscontrata recrudescenza di tali iniziative illecite. 
    14.1.-  Con  riguardo  alla  pena   pecuniaria,   va   nuovamente
sottolineato che la scelta  di  modificare  il  pregresso  regime  ha
trovato giustificazione  nella  ritenuta  inadeguatezza  della  multa
prevista in precedenza, proporzionata al valore della imposta evasa e
a compasso edittale predefinito. Sanzione, questa, che non  garantiva
le istanze di prevenzione generale imposte  dal  disvalore  criminale
della fattispecie astratta, perche' finiva per rappresentare un costo
dell'operazione  criminale,  computato   nella   monetizzazione   del
relativo rischio. 
    Considerando, dunque, la fattispecie alla luce dell'intera  gamma
degli  interessi  presi  in  considerazione  dal  legislatore,   deve
escludersi  che  possa  ritenersi  irrazionale  il   riferimento   al
quantitativo   della   merce   contrabbandata   quale    coefficiente
moltiplicatore destinato a rilevare la gravita' del fatto. Come  gia'
sottolineato, la fattispecie in questione e' infatti connotata da  un
disvalore  che  non  puo'  essere  circoscritto  esclusivamente  alla
lesione della potesta' tributaria dello Stato. 
    Piuttosto, l'aggancio alla dimensione  quantitativa  della  merce
oggetto di contrabbando e'  certamente  in  grado  di  descrivere  il
disvalore concreto  del  fatto;  appare,  inoltre,  coerente  con  le
connotazioni intrinseche della stessa disposizione  censurata,  avuto
riguardo al parametro scelto  per  distinguere  tra  le  due  ipotesi
previste dall'art. 291-bis del TULD. 
    14.2.- Quanto al  valore  monetario  considerato  alla  base  del
computo  della  pena,  non  puo'  non  ribadirsi   che,   nel   caso,
l'intenzione  perseguita  e'  quella  di  scoraggiare   le   relative
attivita' illecite, utilizzando una grandezza di dimensioni  tali  da
costituire una forza deterrente in grado di  contrastare  le  ingenti
prospettive di lucro correlate al contrabbando di t.l.e. 
    Alla luce dell'insieme  delle  componenti  in  gioco  (che,  come
dianzi sottolineato, vanno dalla  tutela  delle  entrate  finanziarie
dello Stato e dell'Unione europea alle ragioni di interesse correlate
al contrasto della  criminalita'  organizzata),  il  monito  espresso
tramite il valore monetario scelto dal legislatore  nel  definire  la
pena  pecuniaria  da  comminare   non   e'   dunque   viziato   dalla
arbitrarieta' che dovrebbe portare al vulnus prospettato. 
    14.3.- Ne'  a  considerazioni  diverse  sulla  ragionevolezza  di
siffatto  valore  e'  lecito  pervenire  facendo   riferimento   alla
valutazione comparativa prospettata dal rimettente  con  riguardo  al
trattamento  sanzionatorio  dettato  per  la   fattispecie   prevista
dall'art. 73, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica  9
ottobre  1990,  n.  309  (Testo  unico  delle  leggi  in  materia  di
disciplina degli stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di  tossicodipendenza),  nel
suo tenore originario, che ha ripreso applicazione  a  seguito  della
sentenza di questa Corte n. 32 del 2014; fattispecie, questa, diretta
a sanzionare penalmente, tra le  altre,  anche  le  condotte  che  si
sostanziano  nell'illecita  importazione  delle  cosiddette   "droghe
pesanti" (quelle di cui alla tabella I prevista  dall'art.  14  dello
stesso decreto). 
    A  parte  la  diversita'  dei  beni   giuridici   tutelati,   non
necessariamente decisiva nel giudizio di comparazione (sentenza n. 68
del 2012), assume rilievo, piuttosto, la assai  sensibile  differenza
offerta dalle due cornici edittali: l'illecita importazione di droghe
pesanti, accanto ad una pena pecuniaria proporzionale certamente meno
rigorosa, prevede, infatti, una pena detentiva caratterizzata da  una
forbice  edittale  priva  di  ogni  possibile  confronto  con  quella
prevista dalla norma censurata, considerate sia la  pena  base  (otto
anni), sia il massimo di pena (venti anni) all'uopo dettate. 
    Tanto esclude in radice  l'omogeneita'  tra  le  due  ipotesi  di
reato, aspetto indefettibile del giudizio  comparativo  proposto  dal
rimettente. 
    14.4.-  Del  pari,   deve   escludersi   che   il   giudizio   di
ragionevolezza della previsione censurata possa validamente ancorarsi
alla comparazione con il trattamento sanzionatorio  previsto  per  le
altre violazioni doganali dal TULD o con le pene disposte dalla legge
n. 504 del 1995 per la sottrazione all'accertamento  o  al  pagamento
dell'accisa sui prodotti energetici (art. 40) o  sull'alcol  e  sulle
bevande alcoliche (art. 43). 
    Anche a voler trascurare le non indifferenti distanze strutturali
che possono riscontrarsi tra gli  illeciti  nel  caso  comparati  dal
rimettente,  si  rivela  determinante   la   piu'   volte   rimarcata
disomogeneita' legata al diverso e ben maggiore allarme sociale e  al
correlato disvalore criminale della fattispecie scrutinata,  tale  da
giustificare trattamenti sanzionatori differenziati. 
    Con riferimento specifico alle violazioni doganali  previste  dal
TULD, va ulteriormente  sottolineato  che  la  comparazione  andrebbe
effettuata guardando alle ipotesi non aggravate di contrabbando, oggi
tutte depenalizzate e trasformate in illeciti amministrativi ai sensi
del citato art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 8 del 2016. 
    E cio' rende ancora piu' dubbia  la  comparabilita'  prospettata,
sia per la diversita' di  statuto  tra  sanzioni  penali  e  sanzioni
amministrative; sia per le nuove connotazioni  dell'odierno  illecito
amministrativo, rispetto alle quali, per quanto previsto dal comma  6
del detto art. 1 del d.lgs. n. 8 del 2016, il compasso  sanzionatorio
risulta comunque rapportato  al  valore  dell'imposta  evasa,  indice
volutamente abbandonato dal legislatore in occasione delle  modifiche
apportate con la legge n. 92 del 2001. Con  l'ulteriore  precisazione
legata alla previsione di un limite massimo di sanzione, identificato
in euro  50.000,  superato  il  quale,  per  le  violazioni  doganali
inerenti a merce diversa dai t.l.e., diviene  indifferente  l'entita'
dell'evasione riscontrata, in  netto  contrasto  con  l'obiettivo  di
prevenzione generale  perseguito  dalla  disposizione  sottoposta  al
controllo di legittimita' costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 291-bis, primo comma,  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 (Approvazione del testo unico delle
disposizioni legislative in materia doganale), sollevate dal  Giudice
dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Napoli  Nord,  in
riferimento  agli  artt.  3  e  27,  primo  e  terzo   comma,   della
Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 novembre 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                 Augusto Antonio BARBERA, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 7 dicembre 2018. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA