N. 177 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 agosto 2018

Ordinanza dell'8 agosto 2018 della Corte dei conti - Sezioni  riunite
per la Regione Trentino-Alto Adige nel giudizio di parificazione  del
rendiconto generale della Regione autonoma  Trentino-Alto  Adige  per
l'esercizio finanziario 2017.. 
 
Impiego pubblico - Norme della Regione autonoma Trentino-Alto Adige -
  Dirigenza dell'amministrazione  regionale  -  Trasformazione  della
  retribuzione  di  posizione  e  dell'indennita'  di  direzione   in
  indennita' di posizione - Trasformazione, dopo almeno sei  anni  di
  incarico, della parte fissa dell'indennita' di posizione in assegno
  personale  pensionabile  in   base   al   sistema   retributivo   -
  Conservazione degli effetti gia' maturati a seguito dei  meccanismi
  di  trasformazione  graduale  delle  retribuzione  di  posizione  e
  dell'indennita' di direzione in assegno personale pensionabile,  in
  applicazione dei contratti collettivi. 
- Legge della Regione autonoma Trentino-Alto Adige 18 dicembre  2017,
  n. 11 (Legge regionale di stabilita' 2018), art. 4, commi 1 e 3. 
(GU n.50 del 19-12-2018 )
 
                           CORTE DEI CONTI 
     Sezioni riunite per la regione Trentino-Alto Adige/Südtirol 
 
    Presiedute dal Presidente Josef Hermann  Rössler e  composte  dai
Magistrati: 
        Anna Maria Rita Lentini - Presidente di sezione 
        Irene Thomaseth - Consigliere 
        Alessandro Pallaoro - Consigliere 
        Tullio Ferrari Consigliere 
        Massimo Agliocchi - Primo referendario 
        Alessia Di Gregorio - Primo referendario 
    Ha  pronunciato   la   seguente   ordinanza   nel   giudizio   di
parificazione  del  rendiconto  generale   della   Regione   Autonoma
Trentino-Alto Adige/Südtirol per l'esercizio finanziario 2017. 
    Visti  gli  articoli  100,  comma  2,  e  103,  comma  2,   della
Costituzione; 
    Visti gli articoli 134 della Costituzione, l'art. 1  della  legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. l e l'art. 23 della legge 11 marzo
1953, n. 87; 
    Visti gli articoli 3, 36, 81, 97, 117, comma 2, lettere l) e  o),
e 119, comma 1, della Costituzione; 
    Visto il testo unico delle leggi  costituzionali  concernenti  lo
Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol,  approvato  con
decreto del Presidente della Repubblica 31  agosto  1972,  n.  670  e
relative norme di attuazione; 
    Visto il decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio  1988,
n. 305 e successive modificazioni, recante norme di attuazione  dello
Statuto speciale per  la  Regione  Trentino-Alto  Adige/Südtirol  per
l'istituzione delle sezioni di controllo della  Corte  dei  conti  di
Trento e di Bolzano e per il personale ad esse addetto; 
    Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato
con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214 e successive modificazioni; 
    Visto il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213; 
    Vista la legge regionale 18 dicembre 2017, n. 11 (legge regionale
di stabilita' 2018); 
    Visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165  e  successive
modificazioni  (norme  generali  sull'ordinamento  del  lavoro   alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche); 
    Vista la nota  n.  RATAA/0009107/27/04/2018-P  con  la  quale  la
Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol ha trasmesso alla Corte
dei conti il rendiconto generale per  l'esercizio  finanziario  2017,
completo del conto economico e dello stato  patrimoniale,  unitamente
alla relazione sulla gestione; 
    Visto il decreto n. 5 del 1° giugno 2018 con  cui  il  Presidente
delle sezioni riunite per la regione Trentino-Alto Adige/Südtirol  ha
convocato per il 19 giugno 2018 la Camera di consiglio per  discutere
in contradditorio con  la  regione  le  osservazioni  del  Magistrato
istruttore; 
    Vista la nota del Magistrato istruttore,  prot.  n.  563  del  18
giugno   2018,   inviata   alla   Regione   Autonoma    Trentino-Alto
Adige/Südtirol; 
    Visto il resoconto della  suddetta  riunione  camerale  (nota  n.
0000045-28/06/2018-SSRRTAA); 
    Vista la nota prot. n. 13041 del 21  giugno  2018  inviata  dalla
Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol; 
    Vista l'ordinanza n. 1/SS.RR./2018 del 1° giugno 2018 con cui  il
Presidente  delle  sezioni  riunite  per  la  Regione   Trentino-Alto
Adige/Südtirol ha convocato le sezioni per il giorno 28  giugno  2018
per il  giudizio  di  parificazione  del  rendiconto  generale  della
Regione  Autonoma  Trentino-Alto   Adige/Südtirol   per   l'esercizio
finanziario 2017; 
    Viste le memorie depositate dalla  Procura  regionale  presso  la
sezione giurisdizionale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol - sede di
Trento nelle date del 13, 20 e 28 giugno 2018; 
    Vista la decisione n. 2/PARI/2018  con  cui  le  sezioni  riunite
hanno  parificato,  parzialmente,  il  rendiconto   per   l'esercizio
finanziario 2017 della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol; 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    Con  nota  n.  RATAA/0009107/27/04/2018-P  il  Presidente   della
Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol ha trasmesso alla Corte
dei conti, ai fini della parifica, lo schema del rendiconto  generale
della regione per l'esercizio 2017, completo del  conto  economico  e
dello stato patrimoniale, unitamente alla relazione sulla gestione  e
alla nota integrativa. 
    Il disegno di legge concernente il rendiconto  generale  2017  e'
stato approvato con delibera n.  129  dalla  Giunta  regionale  nella
seduta del 28 giugno 2018. 
    L'esame della documentazione inviata dalla regione ha  consentito
di evidenziare come nel corso del 2017 siano state impegnate e pagate
risorse a titolo di assegno  personale  pensionabile  in  assenza  di
incarico  di  preposizione  alle  strutture  organizzative   o   loro
articolazioni, per effetto della trasformazione della retribuzione di
posizione e indennita' di direzione, in  applicazione  dei  contratti
collettivi di lavoro, per complessivi € 30.122,89, di cui € 19.407,06
sul cap. U01101.0000, € 2.323,49 sul cap. U01101.0450, € 5.845,40 sul
cap. U01101.0030, € 699,83 sul cap. U01101.0480  ed  €  1.847,11  sul
cap. U01101.0630. 
    Segnatamente vengono in considerazione  il  contratto  collettivo
riguardante  il  personale  dell'area  dirigenziale   della   Regione
Autonoma Trentino-Alto  Adige  biennio  economico  2004-2005  del  27
febbraio  2006  (come  modificato  dal  contratto   collettivo   area
dirigenziale del 27 aprile 2009), il cui  art.  41,  comma  4,  cosi'
dispone: «La retribuzione  di  posizione  e'  annualmente  ridotta  e
trasformata in assegno personale pensionabile», nonche' il  contratto
collettivo riguardante il personale dell'area non dirigenziale  della
Regione Autonoma Trentino-Alto Adige, quadriennio giuridico 2008-2011
e biennio economico 2008-2009 del 1° dicembre 2008, il cui  art.  77,
comma 4, in merito all'indennita' di direzione, prevede quanto segue:
«A decorrere dal 1° gennaio di ogni anno l'indennita' di direzione e'
annualmente ridotta e trasformata in assegno personale  pensionabile.
La riduzione e la conseguente trasformazione avvengono computando  il
5% dell'indennita' prevista nell'anno  precedente  per  la  posizione
ricoperta. La trasformazione e' effettuata, altresi', all'atto  della
cessazione dal servizio comunque motivata, in relazione  alla  durata
dell'incarico di  direzione  reso  nell'anno  solare  di  cessazione.
L'assegno segue le variazioni della relativa indennita' di direzione»
(disposizione analoga e' contenuta nel  successivo  comma  8  per  il
direttore sostituto). 
    Sulla disciplina di siffatte erogazioni e' intervenuta  la  legge
regionale 18 dicembre 2017, n.  11  (legge  regionale  di  stabilita'
2018), il cui art. 4 sancisce al comma 1 che 
      «A far data dal 1° gennaio 2018 la retribuzione di posizione  e
l'indennita'  di  direzione   previste   dai   rispettivi   contratti
collettivi del personale regionale sono trasformate in indennita'  di
posizione, composta da  una  parte  fissa  ed  una  parte  variabile.
L'ammontare dell'indennita' di posizione, di cui la  parte  fissa  e'
pari al 40 per cento del valore complessivo  dell'indennita'  stessa,
e' determinato dalla contrattazione collettiva. Dopo almeno sei  anni
di incarico di  preposizione  alle  strutture  organizzative  o  loro
articolazioni, la sola parte fissa dell'indennita'  di  posizione  si
trasforma,  alla  cessazione  dell'incarico,  in  assegno   personale
pensionabile in base al sistema retributivo». 
    Questa  disposizione  esplica  un'efficacia  immediata,  giacche'
configura la maturazione ex  munc  del  diritto  alla  trasformazione
dell'indennita' di posizione in «assegno  personale  pensionabile  in
base al sistema retributivo». 
    Inoltre, al comma 3 il legislatore regionale ha disposto che 
      «Sono fatti salvi gli effetti giuridici  gia'  prodotti  e  gli
effetti economici gia' maturati, sino al 1° gennaio 2018,  a  seguito
dei meccanismi  di  trasformazione  graduale  della  retribuzione  di
posizione  e  dell'indennita'  di  direzione  in  assegno   personale
pensionabile, in applicazione  dei  contratti  collettivi.  L'assegno
personale pensionabile gia' maturato ai sensi del presente comma  non
e' cumulabile con l'indennita' di posizione di cui al comma 1». 
    Tali erogazioni, tuttavia, appaiono illegittime, in  ragione  sia
della nullita' per contrasto con  norme  imperative  (su  cui  meglio
infra)  delle  clausole  dei  succitati  contratti   collettivi   che
prevedono la trasformazione,  alla  cessazione  dell'incarico,  della
retribuzione di posizione e dell'indennita' di direzione  in  assegno
personale fisso e  pensionabile  sia  della  sospetta  illegittimita'
costituzionale delle disposizioni di cui al citato art. 4 della legge
regionale n. 11/2017, che eleva alla fonte di  rango  legislativo  il
principio della trasformazione di indennita'  in  assegno  personale,
declinato  finora  solo  in  sede  di  contrattazione  collettiva,  e
salvaguarda l'assetto preesistente con riguardo agli effetti prodotti
dalle summenzionate illegittime disposizioni contrattuali. 
    In   particolare,    le    norme    in    esame    risulterebbero
costituzionalmente illegittime per contrasto con gli articoli 3,  36,
81, 97 e 117, comma  2,  lett.  l)  e  o),  e  119,  comma  1,  della
Costituzione. 
    Ad avviso del Magistrato istruttore, le norme, nella parte in cui
dispongo per il futuro e confermano per il passato la trasformazione,
alla cessazione dell'incarico, della parte fissa  dell'indennita'  di
posizione (di  per  se'  correlata  all'effettiva  preposizione  alle
strutture organizzative o loro articolazioni)  in  assegno  personale
pensionabile fisso  e  continuativo,  determinano  l'attribuzione  al
dipendente, all'atto della cessazione dell'incarico  di  preposizione
alle strutture  organizzative,  di  un  incremento  automatico  della
retribuzione    fondamentale,     facendo     sorgere     in     capo
all'amministrazione  una  spesa  priva  di  utilita'  in  quanto  non
correlata  ad  alcun  incremento  della  prestazione  resa,  ma,   al
contrario,   alla   sua   diminuzione   essendo   venuta   meno    la
responsabilita' di struttura organizzativa. 
    La materia in  esame  rientrerebbe  nell'ambito  dell'ordinamento
civile, in quanto tale riservata allo Stato ai sensi  dell'art.  117,
comma 2, lett. l), della Costituzione. Riserva esercitata,  nel  caso
di specie, mediante il decreto legislativo n. 165/2001, che  sancisce
all'art. 7, comma 5, il principio, di immediata  portata  precettiva,
della corrispettivita' dei trattamenti economici  accessori  rispetto
alle prestazioni effettivamente rese. 
    Queste sezioni riunite, nel giudizio  di  parifica  dei  capitoli
concernenti la spesa del personale (per cio' che qui rileva, il  cap.
U01101.0000, il  cap.  U01101.0450,  il  cap.  U01101.0030,  il  cap.
U01101.0480 e il cap. U01101.0630) devono decidere  dell'applicazione
di norme di legge regionale,  di  cui  si  contesta  la  legittimita'
costituzionale. 
    Qualora, infatti, fosse acclarata  l'illegittimita'  delle  norme
sopra richiamate,  rilevanti  ai  fini  del  bilancio  regionale  (in
quanto, in particolare, l'art. 4, comma 3, succitato fa  salve  anche
per l'esercizio finanziario 2017 le trasformazioni di  indennita'  in
assegno personale fisso e pensionabile per  effetto  di  disposizioni
contrattuali), le corresponsioni dei relativi  importi  a  dipendenti
regionali,  alla  cessazione   degli   incarichi   di   preposizione,
risulterebbero  prive  di  copertura   normativa   sostanziale,   con
possibilita'  di  non  parificare  i  relativi  capitoli,  attesa  la
nullita' delle disposizioni dei contratti collettivi. 
    Le indicate criticita' sono state  rappresentate  dal  Magistrato
istruttore alla Regione  Autonoma  Trentino-Alto  Adige/Südtirol  con
nota prot. n. 563 del 18 giugno 2018, ai fini della discussione delle
stesse in udienza camerale  con  la  partecipazione  del  Procuratore
regionale. 
    In occasione della stessa udienza, la  regione  ha  controdedotto
alle osservazioni del  Magistrato  istruttore  evidenziando  che  «la
Regione ha adottato la norma in analogia con la PAB  [i.e.  Provincia
Autonoma di Bolzano] ma  anche  con  le  disposizioni  contrattuali».
Dette argomentazioni sono state confermate anche nella nota prot.  n.
13041 del 21 giugno 2018. 
    La Procura, intervenendo nell'udienza camerale del 19 giugno 2018
svolta in contraddittorio con l'amministrazione, ha condiviso i dubbi
sollevati dal  Magistrato  istruttore,  ritenendo  costituzionalmente
illegittime le norme di cui all'art. 4, comma  1  e  comma  3,  della
legge regionale n. 11/2017. 
    Inoltre, la Procura, in data 19  giugno  2018  ha  depositato  la
memoria conclusionale con cui ha chiesto di  sollevare  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1  e  comma  3,  della
legge regionale n. 11/2017, «per violazione degli articoli 3, 36, 81,
97 e 117 della Costituzione». 
    Nella pubblica udienza del 28 giugno 2018 il  contraddittorio  si
e' svolto con l'intervento del Magistrato relatore,  del  Procuratore
regionale, che ha confermato oralmente le conclusioni scritte, e  del
Presidente della Giunta regionale. 
    Con la decisione n. 2/PARI/2018 di pari data e' stato  parificato
il  rendiconto  generale   della   Regione   Autonoma   Trentino-Alto
Adige/Südtirol per l'esercizio 2017, approvato dalla Giunta regionale
in data 26 aprile 2018, ad eccezione, per quel  che  in  questa  sede
rileva, dei capitoli cap. U01101.0000, il cap. U01101.0450,  il  cap.
U01101.0030, il cap. U01101.0480 e il cap.  U01101.0630,  sospendendo
il giudizio  di  parifica  al  fine  di  sollevare  pregiudizialmente
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1 e comma
3, della legge regionale 18 dicembre 2017, n.  11  (legge  stabilita'
2018). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    l. Il decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988,  n.
305, recante «Norme di  attuazione  dello  Statuto  speciale  per  la
Regione  Trentina-Alto  Adige  per  l'istituzione  delle  sezioni  di
controllo della Corte dei conti di Trento  e  di  Bolzano  e  per  il
personale ad esse addetto», dispone all'art. 10, comma 1, come  cosi'
sostituito dall'art. 1, comma 3, del decreto legislativo 14 settembre
2011, n. 166 che «Il rendiconto generale della Regione e quello delle
Province di Trento e di Bolzano sono parificati dalle sezioni riunite
nella Regione Trentino-Alto Adige, con  un  Collegio  composto  dalle
sezioni di controllo  delle  Province  di  Trento  e  di  Bolzano  in
adunanza congiunta». 
    Al giudizio di  parificazione  del  rendiconto  si  applicano  le
disposizioni di cui all'art. l, comma 5, del decreto-legge 10 ottobre
2012, n. 174, convertito con modificazioni  dalla  legge  7  dicembre
2012, n. 213, secondo cui «Il rendiconto generale  della  regione  e'
parificato dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti
ai sensi degli artt. 39, 40 e 41 del t. u. di cui al r.d.  12  luglio
1934, n. 1214. Alla decisione di parifica e' allegata  una  relazione
nella quale la Corte dei conti formula le sue osservazioni in  merito
alla legittimita' e alla regolarita'  della  gestione  e  propone  le
misure  di  correzione  e  gli  interventi  di  riforma  che  ritiene
necessari al fine, in particolare,  di  assicurare  l'equilibrio  del
bilancio e di migliorare l'efficacia e l'efficienza della  spesa.  La
decisione di parifica e la relazione  sono  trasmesse  al  presidente
della giunta regionale e al consiglio regionale». 
    Gli articoli del testo unico delle leggi sulla  Corte  dei  conti
richiamati si riferiscono alla parifica del rendiconto generale dello
Stato e disciplinano la procedura del giudizio di parificazione (art.
40), il profilo contenutistico (art.  39)  e  la  contestualizzazione
dell'attivita' di parifica con una  relazione  sul  rendiconto  (art.
41). Nel corso del giudizio  di  parifica  le  sezioni  regionali  di
controllo  della  Corte  dei  conti,   quali   in   questa   speciale
composizione le sezioni riunite, vale a  dire  il  collegio  composto
dalle sezioni di controllo delle Province di Trento e di  Bolzano  in
adunanza  congiunta,  svolgono  il  ruolo  di   «garante   imparziale
dell'equilibrio economico finanziario del settore  pubblico»  che  il
legislatore ha attribuito  alla  Corte  dei  conti  e  che  e'  stato
confermato dalla Corte costituzionale con  la  sentenza  n.  60/2013,
nella quale, in linea  con  la  pregressa  giurisprudenza,  e'  stato
ribadito che  «alla  Corte  dei  conti  e'  attribuito  il  controllo
sull'equilibrio    economico-finanziario    del    complesso    delle
amministrazioni  pubbliche  a  tutela  dell'unita'  economica   della
Repubblica, in riferimento a parametri costituzionali (artt. 81,  119
e 120 Cost.) e ai  vincoli  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia
all'Unione europea (artt. 11 e 117, primo comma, Cost.)». 
    Infatti,  come  puntualizza  l'art.  1,  comma  1,   del   citato
decreto-legge n. 174/2012, con riferimento al giudizio  di  parifica,
«al fine di rafforzare il coordinamento della  finanza  pubblica,  in
particolare tra i livelli  di  governo  statale  e  regionale,  e  di
garantire   il   rispetto   dei    vincoli    finanziari    derivanti
dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, le disposizioni del
presente articolo sono volte ad adeguare, ai sensi degli articoli 28,
81, 97, 100 e 119 della Costituzione, il controllo  della  Corte  dei
conti sulla gestione finanziaria delle regioni  di  cui  all'art.  3,
comma 5, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e all'art. 7,  comma  7,
della legge 5 giugno 2003, n. 131, e successive modificazioni». 
    2. Nel corso dell'esame del conto  del  bilancio  del  rendiconto
generale della  Regione  Autonoma  Trentino-Alto  Adige/Südtirol  per
l'esercizio 2017, il Magistrato  istruttore  si  e'  soffermato,  tra
l'altro, sulla verifica della spesa del  personale,  con  particolare
attenzione ai  compensi  a  titolo  di  assegni  personali,  fissi  e
pensionabili,  derivanti  dalla   trasformazione,   alla   cessazione
dell'incarico, delle indennita' di posizione,  erogati  a  dipendenti
regionali  in  virtu'  del   previo   esercizio   di   incarichi   di
preposizione. 
    Dalle risultanze contabili e' emerso  che  nel  2017  sono  state
erogate, a tale titolo, risorse per complessivi € 30.122,89, di cui €
19.407,06 sul cap. U01101.0000, € 2.323,49 sul  cap.  U01101.0450,  €
5.845,40 sul cap. U01101.0030, € 699,83 sul  cap.  U01101.0480  ed  €
1.847,11 sul cap. U01101.0630. 
    Sul quadro contabile descritto rilevano due norme regionali,  con
riferimento al comma l e al comma 3 dell'art. 4 della legge regionale
n. 11 del 18 dicembre 2017. 
    3.   Queste   sezioni   riunite   dubitano   della   legittimita'
costituzionale delle predette disposizioni,  per  contrasto  con  gli
articoli 3, 36, 81, 97, 117, comma 2, lett. l) e o), e 119, comma  1,
della Costituzione. Conseguentemente, le sezioni  riunite  non  hanno
potuto  parificare  i  capitoli  di  bilancio  n.   U01101.0000,   n.
U01101.0450, n. U01101.0030, n. U01101.0480 e n. U01101.0630, su  cui
sono imputati i pagamenti per corrispondere detti  assegni  derivanti
dalla   trasformazione   della   retribuzione    di    posizione    e
dell'indennita' di direzione. 
    Tuttavia, prima di illustrare la non  manifesta  infondatezza  di
tali dubbi, si ritiene necessario soffermarsi  preliminarmente  sulla
legittimazione di questa Corte  ad  adire  il  giudice  delle  leggi,
nonche' sulla rilevanza della questione nel giudizio in corso. 
    4. Per quanto riguarda la legittimazione  delle  sezioni  riunite
per la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol a sollevare questioni  di
legittimita' costituzionale in sede di parificazione del  rendiconto,
si osserva che questo giudizio si  svolge  con  le  formalita'  della
giurisdizione contenziosa, prevede la partecipazione del  Procuratore
regionale     in     contraddittorio     con     i     rappresentanti
dell'Amministrazione e si conclude  con  una  pronunzia  adottata  in
esito a pubblica udienza, sicche' la consolidata giurisprudenza della
Corte costituzionale  (sentenze  nn.  165/1963,  121/1966,  142/1968,
244/1995 e 213/2008) ha riconosciuto «alla Corte dei conti,  in  sede
di giudizio  di  parificazione  del  bilancio,  la  legittimazione  a
promuovere, in riferimento all'art. 81 della Costituzione,  questione
di legittimita' costituzionale, avverso tutte quelle disposizioni  di
legge che determinino  effetti  modificativi  dell'articolazione  del
bilancio per il fatto stesso di incidere,  in  senso  globale,  sulle
unita' elementari, vale a  dire  sui  capitoli,  con  riflessi  sugli
equilibri  di  gestione,  disegnati  con  il  sistema  dei  risultati
differenziali» (sentenza n. 213/2008). 
    Inoltre, negli anni, si e' formata  una  pacifica  giurisprudenza
costituzionale, che ha riconosciuto in capo alle sezioni di controllo
la   legittimazione   a   sollevare   questioni    di    legittimita'
costituzionale in sede di parifica del rendiconto delle regioni  (tra
le piu' recenti, sentenze n. 181/2015, n. 107/2016, n. 89/2017). 
    Se, pertanto, appare indubbia la legittimazione di questa Corte a
sollevare questioni  di  legittimita'  costituzionale,  rilevante  e'
l'individuazione dei parametri costituzionali che possono fungere  da
riferimento per l'impugnazione delle norme incidenti sul giudizio  di
parifica. 
    La risalente giurisprudenza  costituzionale  ha  riconosciuto  la
legittimazione  al  ricorso  per  contrasto  con  l'art.   81   della
Costituzione delle norme sospette di  illegittimita'  costituzionale.
Il Giudice delle leggi, dopo aver premesso che  la  Corte  dei  conti
svolge «una funzione di  garanzia  dell'ordinamento»,  di  «controllo
esterno, rigorosamente neutrale e disinteressato preordinato a tutela
del  diritto   oggettivo»,   ha   affermato   che   «tali   caratteri
costituiscono indubbio fondamento della  legittimazione  della  Corte
dei conti a sollevare questioni di costituzionalita' limitatamente  a
profili attinenti alla  copertura  finanziaria  di  leggi  di  spesa,
perche' il riconoscimento della relativa legittimazione, legata  alla
specificita' dei suoi compiti nel quadro della finanza  pubblica,  si
giustifica  anche  con   l'esigenza   di   ammettere   al   sindacato
costituzionale leggi che,  come  nella  fattispecie  in  esame,  piu'
difficilmente verrebbero per altra via, ad essa sottoposte» (sentenza
n. 226/1976). 
    Proprio in relazione a queste ipotesi la Corte costituzionale  ha
auspicato (sent. n. 406/1989) che, quando l'accesso al suo  sindacato
sia reso poco agevole, come accade in relazione ai profili  attinenti
all'osservanza dell'art.  81  della  Costituzione,  i  meccanismi  di
accesso debbano essere arricchiti sostenendo, quindi,  che  la  Corte
dei  conti  e'  la  sede  piu'  adatta  a  far  valere  quei  profili
essenzialmente finalizzati alla verifica della gestione delle risorse
finanziarie, e cio' in  ragione  della  peculiare  natura  delle  sue
attribuzioni costituzionali (sentenza n. 384/1991). 
    Peraltro, il parametro di cui all'art. 81 della Costituzione deve
oggi essere  attentamente  modulato  in  considerazione  della  nuova
formulazione del precetto costituzionale, come modificato dalla legge
costituzionale 20 aprile 2012, n. 1. 
    L'art. 81 Cost., nella parte in  cui  introduce  il  concetto  di
equilibrio del bilancio, riconosce rilevanza primaria a un principio,
immanente   nell'ordinamento   finanziario   delle    amministrazioni
pubbliche, consistente nella  «continua  ricerca  di  un  armonico  e
simmetrico bilanciamento tra risorse disponibili e  spese  necessarie
per il perseguimento delle finalita' pubbliche» (sentenze n. 70/2012,
n. 115/2012, n. 250/2013 e n. 266/2013). 
    Il valore dell'equilibrio dei  bilanci  presenti  e  futuri  deve
essere declinato non secondo una visione statica, cristallizzata  con
esclusivo riferimento al momento  temporale  dell'esame  del  singolo
rendiconto, bensi' in una dimensione dinamica e prospettica, in  modo
assolutamente coerente ed integrato, secondo esigenze  meritevoli  di
disciplina  uniforme  sull'intero  territorio  nazionale,  attraverso
altri parametri costituzionali, quali i  citati  artt.  3,  36,  117,
comma 2, lett. l) e o), e 119, comma 1, Cost.,  venendo  ad  assumere
consistenza di vera e propria «clausola generale in grado di  colpire
direttamente  tutti  gli  enunciati  normativi   causa   di   effetti
perturbanti la sana gestione finanziaria e  contabile»  (sentenza  n.
192/2012; in tal senso anche sentenza n.  184/2016  e  n.  274/2017).
D'altra parte, il principio di sana gestione finanziaria richiede  un
atteggiamento prudenziale  del  legislatore  regionale,  evitando  di
costruire gli equilibri del bilancio sulla base di poste prive di una
legittima copertura legislativa, con le possibili ripercussioni negli
esercizi futuri sulla sana gestione finanziaria e contabile dell'ente
pubblico. 
    Sarebbe  irragionevole  una  lettura   restrittiva   del   valore
costituzionalmente protetto dell'equilibrio  presente  e  futuro  del
bilancio, nel senso di valutare  la  legittimita'  costituzionale  di
norme, solo nella misura in cui impattano su  un  risultato  negativo
della gestione finanziaria dell'ente pubblico, e  non  anche  quando,
pur in presenza di un saldo  positivo,  incidono  comunque  sul  dato
quantitativo dell'equilibrio attuale e, in  una  prospettiva  futura,
potrebbero  comportare  anche  una  variazione  del  segno  di  detto
risultato  differenziale,  per  effetto  delle   molteplici   e   non
prevedibili variabili del ciclo economico. 
    5. Non puo', d'altra parte, non  rimarcarsi  l'onere  finanziario
derivante  da  siffatte  disposizioni,  che  possono  innescare   una
dinamica espansiva della spesa  di  personale,  considerato  che  «la
trasformazione di frazioni percentuali della retribuzione  accessoria
in assegno personale fisso e continuativo, e  cioe'  in  retribuzione
fissa, costituisce uno dei principali fattori genetici della crescita
della spesa di personale laddove, in occasione della  formazione  del
bilancio, non si tenga debitamente conto della progressiva  riduzione
delle disponibilita' allocate  per  le  retribuzioni  accessorie  per
effetto  di  meccanismi  automatici  di   trasformazione   di   dette
disponibilita' a sostegno della componente di spesa costituita  dalle
retribuzioni  fisse  e  continuative»  (Corte  dei   conti,   sezione
giurisdizionale per il Trentino-Alto Adige, sede di Bolzano, sentenza
n. 52/2017, punto 27 della motivazione). 
    Il solo precetto di cui all'art. 81 Cost. non e', quindi, di  per
se' sufficiente a garantire la tenuta degli equilibri finanziari,  da
considerarsi anche in prospettiva futura, ed il rispetto dei principi
che regolano la gestione  delle  risorse  pubbliche.  Come  osservato
dalla sezione di controllo per il Piemonte (ordinanza n. 49/2014)  e,
piu' di recente, dalla sezione di controllo per la Liguria (ordinanza
n. 34/2017), in ordinanze di rimessione alla Corte  di  questioni  di
legittimita'  costituzionale,  le  valutazioni  relative   all'esatta
individuazione  dei  parametri  costituzionali  -  per  lungo   tempo
limitati all'art. 81 - devono oggi essere «adeguate al mutato  quadro
dell'ordinamento costituzionale [  ...  ]  mentre  al  momento  delle
pronunzie  sopra  richiamate  l'unica  norma  della  Costituzione  in
materia di finanza pubblica era costituita dall'art. 81 e dalla legge
costituzionale n. 3/2001». 
    La sezione piemontese ha, infatti,  inteso  ricomprendere  tra  i
parametri costituzionali anche altre norme, quali l'art. 119 e l'art.
97 della Costituzione con riguardo,  tra  l'altro,  al  coordinamento
della  finanza  pubblica  e  all'equilibrio  dei   bilanci.   Ma   il
ragionamento e'  stato  sviluppato  ancor  piu'  dai  giudici  liguri
secondo i quali possono ed anzi devono essere  evocate  tutte  quelle
norme costituzionali che, in modo diretto o indiretto,  involgono  la
materia della  finanza  pubblica,  apprestando  tutela  alle  risorse
pubbliche ed alla loro corretta utilizzazione. 
    Nel  caso  di   specie,   la   Regione   Autonoma   Trentino-Alto
Adige/Südtirol, legiferando in una materia riservata alla  competenza
legislativa esclusiva dello Stato, ha determinato  un  aumento  della
spesa del personale che  costituisce  il  piu'  importante  aggregato
della spesa corrente, con la conseguenza che le disposizioni relative
al  suo  contenimento  assurgono  a  principio   fondamentale   della
legislazione statale. E non solo con riferimento a tetti di  spesa  e
limiti alla stessa, ma  anche  in  termini  di  violazione  di  norme
imperative che pongono, con immediata forza precettiva, chiare regole
di corrispettivita' tra  retribuzione  e  prestazioni  effettivamente
rese. 
    6. Infine, questo Collegio non puo' non condividere  quanto  gia'
osservato dalla sezione di controllo per il Piemonte e dalla  sezione
di controllo per la Liguria, laddove, nelle ordinanze  di  remissione
prima   menzionate,   hanno   evidenziato   come   il   giudizio   di
parificazione, allo stato della  legislazione  vigente,  sia  l'unica
possibilita' offerta dall'ordinamento per sottoporre a  scrutinio  di
costituzionalita' in via  incidentale,  in  riferimento  ai  principi
costituzionali  in  materia  di  finanza  pubblica,  le  disposizioni
legislative  che,  incidendo   sui   singoli   capitoli,   modificano
l'articolazione del bilancio e  ne  possono  alterare  gli  equilibri
complessivi. 
    Conseguentemente, ove si escludesse la legittimazione  di  questa
Corte a sollevare questioni di costituzionalita'  in  riferimento  ai
parametri sopra individuati, si verrebbe  a  creare,  di  fatto,  una
sorta di spazio legislativo immune dal controllo di costituzionalita'
attivabile   in   via   incidentale,   laddove   la    giurisprudenza
costituzionale ha riconosciuto la  legittimazione  della  sezione  di
controllo a sollevare questioni di legittimita' costituzionale  anche
in relazione all'esigenza di  assicurare  al  sindacato  della  Corte
costituzionale leggi regionali che, come nella fattispecie in  esame,
piu' difficilmente verrebbero, per  altra  via,  ad  essa  sottoposte
(Corte costituzionale sentenza n. 226/1976). 
    Ritengono, pertanto, queste sezioni riunite di essere legittimate
a sollevare questioni di legittimita' costituzionale,  non  solo  con
riferimento all'art. 81 della Costituzione, ma anche con riferimento,
nel caso di specie, agli artt. 3, 36, 81, 97, 117, comma 2, lett.  l)
e o), e 119, comma 1, della Costituzione. 
    7. La questione di costituzionalita' che si intende sollevare  e'
rilevante nel presente giudizio. Come disposto dall'art. 39 del testo
unico delle leggi sulla Corte dei  conti  (regio  decreto  12  luglio
1934, n. 1214), al quale l'art. 1,  comma  5,  del  decreto-legge  10
ottobre 2012, n. 174 rinvia, l'oggetto del giudizio di parifica e' il
seguente: «La Corte verifica il rendiconto generale dello Stato e  ne
confronta i risultati tanto per le  entrate,  quanto  per  le  spese,
ponendoli a riscontro con le  leggi  del  bilancio.  A  tale  effetto
verifica se le entrate riscosse e versate ed i resti da riscuotere  e
da versare risultanti dal rendiconto, siano conformi ai dati  esposti
nei conti periodici e nei riassunti generali trasmessi alla Corte dai
singoli ministeri; se le spese ordinate e pagate durante  l'esercizio
concordino con le scritture  tenute  o  controllate  dalla  Corte  ed
accerta i residui passivi in  base  alle  dimostrazioni  allegate  ai
decreti ministeriali di impegno ed alle proprie scritture.  La  Corte
con eguali accertamenti verifica i rendiconti, allegati al rendiconto
generale, delle aziende,  gestioni  ed  amministrazioni  statali  con
ordinamento autonomo soggette al suo riscontro». 
    La  Corte  costituzionale,  con  la  sentenza  n.  213/2008,   ha
affermato la legittimazione della Corte dei conti in sede di giudizio
di parificazione a sollevare questione di legittimita' costituzionale
«avverso tutte quelle disposizioni di legge che  determinino  effetti
modificativi dell'articolazione del bilancio per il fatto  stesso  di
incidere, in senso globale, sulle unita' elementari, vale a dire  sui
capitoli, con riflessi sugli equilibri di gestione, disegnati con  il
sistema dei risultati differenziali». 
    Nel caso di specie, le norme di cui si sospetta  l'illegittimita'
costituzionale incidono sull'articolazione della spesa e sul  quantum
della stessa, poiche' determinano un effetto espansivo  della  spesa,
anche in  prospettiva  futura,  mediante  un  aumento  delle  risorse
destinate al trattamento accessorio, con cui la  regione  retribuisce
soggetti che non svolgono  piu'  gli  incarichi  di  preposizione  in
relazione ai quali quelle somme erano corrisposte. 
    Difatti, nel momento in cui queste sezioni  riunite,  nell'ambito
del giudizio  di  parifica,  devono  prendere  in  esame  i  capitoli
destinati al pagamento del trattamento  accessorio,  dovrebbero  dare
applicazione a norme regionali della cui legittimita'  costituzionale
si dubita. Pertanto, vi sarebbe una copertura della  spesa  meramente
formale, ma non sostanziale. Qualora fosse acclarata l'illegittimita'
costituzionale  di  una  norma  che  rileva  ai  fini  del   bilancio
regionale, le spese sostenute per la corresponsione di detti  assegni
sarebbero prive di copertura sostanziale, con conseguente  violazione
del precetto costituzionale di cui all'art. 81, comma 4  (oggi  comma
3), Cost. 
    8. Inoltre, ad ulteriore conferma  dell'incidenza  delle  ridette
disposizioni regionali sugli equilibri di bilancio e  sui  «risultati
differenziali», deve  essere  evidenziato  che  la  Regione  Autonoma
Trentino-Alto  Adige/Südtirol  non  ha   rispettato,   nell'esercizio
oggetto di verifica della Corte dei conti (2017), il c.d. pareggio di
bilancio (saldo di bilancio) di cui  all'art.  l,  comma  463,  della
legge n. 232/2016, conseguendo un differenziale tra entrate  e  spese
finali negativo per circa -115 milioni di euro. 
    Si evidenzia, altresi', che l'incidenza sul bilancio regionale di
detti assegni e' potenzialmente maggiore rispetto  all'importo  di  €
30.122,98, per il  quale  non  e'  stato  parificato  il  rendiconto.
Infatti, come comunicato dalla regione con nota prot. n. 13041 del 21
giugno 2018, «l'importo impegnato e pagato nell'anno 2017  (in  conto
competenza)  per  la  quota  trasformata  gradualmente   in   assegno
personale  pensionabile  ammonta  complessivamente  ad  €  333.149,63
(inclusi oneri riflessi) [Omissis]. Del suddetto importo €  30.122,89
(inclusi oneri riflessi) sono stati corrisposti a titolo  di  assegno
personale a dipendenti che nel corso del  2017  non  hanno  ricoperto
incarichi di direzione/dirigenziali». 
    Pertanto, la verifica della spesa del personale  nell'ambito  del
giudizio di parifica, con riferimento alle  fattispecie  evidenziate,
consente a queste sezioni riunite di  ergersi  a  garante  imparziale
dell'equilibrio economico - finanziario  attuale  e  prospettico  del
settore pubblico che il legislatore  ha  attribuito  alla  Corte  dei
conti. 
    In tal senso, si giustifica una parifica parziale con esclusione,
quindi, delle poste di spesa esaminate. Nella fattispecie de qua,  la
parifica dei capitoli di spesa n.  U01101.0000,  n.  U01101.0450,  n.
U01101.0030, n. U01101.0480 e n. U01101.0630 comporta  l'applicazione
dell'art. 4, comma 1 e comma 3, della legge regionale n.  11  del  18
dicembre 2017. 
    Ne deriva, in ordine al requisito  della  rilevanza,  che  queste
sezioni riunite, se non dubitassero della legittimita' costituzionale
delle  citate  disposizioni  regionali,  dovrebbero   necessariamente
parificare i suddetti capitoli di bilancio. 
    Questo Collegio ritiene, quindi, di  non  poter  applicare  norme
regionali  di  cui  sospetta   l'illegittimita'   costituzionale   e,
conseguentemente,  di  non  poter  parificare  i  capitoli  di  spesa
richiamati. 
    Appare,  pertanto,  rilevante  nel  giudizio  de   quo   (e   non
manifestamente infondata, come  si  vedra'  al  punto  seguente),  la
questione di legittimita' costituzionale sollevata in  rapporto  agli
articoli 3, 36, 81, 97 e 117, comma 2, lett. l) e o), e 119, comma l,
della Costituzione. 
    9. Quanto alla non manifesta infondatezza, queste sezioni riunite
dubitano, innanzitutto, della legittimita'  costituzionale  dell'art.
4, comma l e comma 3, della legge regionale n. 11 dell8 dicembre 2017
per contrasto con l'art. 3 e con l'art. 117,  comma  2,  lettera  l),
della Costituzione, sotto un duplice profilo. 
    Le   disposizioni   della    Regione    Autonoma    Trentino-Alto
Adige/Südtirol, qui oggetto di  scrutinio,  disciplinano  un  aspetto
della retribuzione dei dipendenti regionali e,  per  tale  assorbente
profilo, incide dunque sulla materia «ordinamento civile»,  riservata
alla competenza esclusiva dello Stato la  cui  regolamentazione  deve
essere uniforme su tutto il territorio nazionale. 
    Al riguardo, in modo  netto  statuisce  la  Corte  costituzionale
nella sentenza n.  18/2013  censurando  una  legge  regionale  (nella
specie della Regione Calabria, punto 5.2 del considerato in diritto): 
      «La disciplina del trattamento economico dei dirigenti di  area
funzionale   deve   essere   ritenuta    compresa    nella    materia
dell'ordinamento civile, di competenza esclusiva  statale,  ai  sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.». 
    Cio', di  per  se',  assume  una  valenza  pregnante  e  comporta
l'illegittimita' costituzionale della disposizione regionale  oggetto
del presente esame. 
    Tra le varie e consolidate sentenze  della  Corte  costituzionale
che hanno classificato  nell'ambito  della  materia  dell'ordinamento
civile la disciplina degli aspetti retributivi del pubblico  impiego,
appare particolarmente significativo citare la decisione  n.  61/2014
intervenuta proprio con riferimento  allo  speciale  ordinamento  del
Trentino-Alto Adige (la parte ricorrente era la Provincia Autonoma di
Bolzano che lamentava la lesione della propria competenza legislativa
primaria in materia di «ordinamento degli uffici  provinciali  e  del
personale ad essi addetti»). 
    In essa si legge: 
        « ... tale disposizione (art. 9, comma 2,  del  decreto-legge
n.  78/2010,  n.d.r.),  attenendo  alla  retribuzione   spettante   a
lavoratori (come i  dirigenti  della  ricorrente  Provincia)  il  cui
rapporto  e'  contrattualizzato,  e'   riconducibile   alla   materia
dell'«ordinamento   civile».   La   norma,   pertanto,    e'    stata
legittimamente emanata dallo Stato  nell'esercizio  della  competenza
legislativa esclusiva attribuitagli  dall'art.  117,  secondo  comma,
lettera l), Cost. (questa  Corte  ha  affermato  che  il  trattamento
economico  dei  dirigenti  pubblici   e'   compreso   nella   materia
dell'«ordinamento civile» gia' nella sentenza n. 18 del 2013)». 
    Prosegue la Consulta con lo scrutinio dell'art. 9, comma  3,  del
decreto-legge n. 78/2010 affermando che 
      «Tale disposizione, nella parte in cui  concerne  il  personale
dirigenziale regionale e provinciale (i cui rapporti di impiego  sono
tutti   contrattualizzati),    e'    riconducibile    alla    materia
dell'"ordinamento civile" (sentenza n. 173 del 2012). 
    Essa, stabilendo che nei confronti dei titolari di  incarichi  di
livello dirigenziale delle amministrazioni pubbliche non si applicano
le  disposizioni  normative  e  contrattuali   che   autorizzano   la
corresponsione, a loro favore, di una  quota  dell'importo  derivante
dall'espletamento di incarichi aggiuntivi, rafforza il principio gia'
affermato dall'art. 24 del decreto legislativo n.  165  del  2001,  a
norma del quale il trattamento  economico  corrisposto  ai  dirigenti
pubblici remunera tutte  le  funzioni  ed  i  compiti  attribuiti  ai
dirigenti, nonche' qualsiasi incarico ad essi attribuito  in  ragione
del loro ufficio o comunque conferito dall'amministrazione presso cui
prestano servizio o su designazione della stessa. 
    Si tratta di disciplina diretta a conformare due  degli  istituti
del  rapporto  di  lavoro  che  lega  i  dirigenti   alle   pubbliche
amministrazioni di appartenenza: il trattamento economico e il regime
di esclusivita'». 
    Ad  analoghe  conclusioni  sono  pervenute  anche   varie   altre
decisioni della Corte costituzionale (cfr. sentenze n.  160/2017,  n.
72/2017, n. 211/2014, n.  201/2013,  n.  286/2013,  n.  225/2013,  n.
290/2012, n. 215/2012, n. 339/2011, n.  77/2011,  n.  332/2010  e  n.
151/2010). 
    10.   D'altra   parte,   neppure   le   particolari   prerogative
autonomistiche   riconosciute   dallo   Statuto   speciale   per   il
Trentina-Alto Adige  (decreto  del  Presidente  della  Repubblica  31
agosto 1972, n.  670)  e  dalle  relative  norme  di  attuazione  (in
particolare il decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266)  consentono
di superare o derogare la  competenza  esclusiva  dello  Stato  nella
materia in esame (ordinamento civile), come peraltro gia' evidenziato
dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 61/2014. 
    Dispone infatti l'art. 4  dello  Statuto  di  autonomia  che  «In
armonia con la Costituzione e i principi  dell'ordinamento  giuridico
della Repubblica e con il rispetto degli  obblighi  internazionali  e
degli interessi nazionali - tra i  quali  e'  compreso  quello  della
tutela delle minoranze linguistiche  locali  -  nonche'  delle  norme
fondamentali delle riforme  economico-sociali  della  Repubblica,  la
Regione ha la potesta' di emanare norme  legislative  nelle  seguenti
materie: 1) ordinamento degli uffici regionali  e  del  personale  ad
essi addetto». 
    Sono quindi fissati dallo Statuto  chiari  limiti  alla  potesta'
legislativa   «primaria»   della   regione,   anche   nella   materia
«ordinamento  degli  uffici  regionali  e  del  personale»,  che,  in
particolare, richiama il legislatore  regionale  (e  provinciale)  al
rispetto delle norme  fondamentali  delle  riforme  economico-sociali
della Repubblica  ed  impone  l'armonia  con  la  Costituzione  ed  i
principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica. 
    In tal senso, anche il decreto legislativo 16 marzo 1992, n.  266
(norme di attuazione dello  Statuto  speciale  per  il  Trentino-Alto
Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi  statali  e  leggi
regionali e provinciali, nonche' la potesta' statale di  indirizzo  e
coordinamento)  all'art.  2  (Rapporti  tra  legislazione  statale  e
legislazione  regionale)  dispone  esplicitamente  l'obbligo  per  il
legislatore  regionale  (e  provinciale)  di  adeguare   la   propria
legislazione ai principi e alle norme costituenti i  limiti  indicati
dal ridetto art. 4 dello Statuto speciale. 
    Testualmente, cosi' recita l'art. 2 del  decreto  legislativo  n.
266/1992: «1. [Omissis] la legislazione regionale e provinciale  deve
essere adeguata ai principi e norme costituenti limiti indicati dagli
articoli 4 e 5 dello Statuto speciale e recati  da  atto  legislativo
dello Stato entro i sei mesi successivi alla pubblicazione  dell'atto
medesimo nella Gazzetta Ufficiale o nel piu' ampio  termine  da  esso
stabilito.  Restano  nel  frattempo   applicabili   le   disposizioni
legislative regionali e provinciali preesistenti». 
    In  tale  prospettiva,  appare  quindi  rilevante  richiamare   i
«principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica»  e  le  «norme
fondamentali di riforma economico sociale della Repubblica» che hanno
regolato  la  materia  in  esame.  Assumono   quindi   rilevanza   le
disposizioni recate dalla legge 23 ottobre 1992, n.  421  (delega  al
Governo per la razionalizzazione e la revisione delle  discipline  in
materia di sanita', di pubblico impiego, di previdenza e  di  finanza
territoriale), secondo cui all'art. 2, comma 1, lettera o), 
    «1. Il Governo della  Repubblica  e'  delegato  a  emanare  entro
novanta giorni dalla data di entrata in vigore della  presente  legge
uno  o  piu'  decreti  legislativi,  diretti  al  contenimento,  alla
razionalizzazione e al controllo  della  spesa  per  il  settore  del
pubblico  impiego,   al   miglioramento   dell'efficienza   e   della
produttivita', nonche' alla  sua  riorganizzazione;  a  tal  fine  e'
autorizzato  a:  [.  ..  ]  o)  procedere  alla   abrogazione   delle
disposizioni che prevedono automatismi che influenzano il trattamento
economico fondamentale ed  accessorio,  e  di  quelle  che  prevedono
trattamenti economici accessori, settoriali, comunque  denominati,  a
favore di pubblici dipendenti  sostituendole  contemporaneamente  con
corrispondenti disposizioni di accordi contrattuali anche al fine  di
collegare   direttamente   tali   trattamenti   alla    produttivita'
individuale e a quella  collettiva  ancorche'  non  generalizzata  ma
correlata all'apporto partecipativo, raggiunte nel  periodo,  per  la
determinazione  delle  quali  devono  essere  introdotti  sistemi  di
valutazione e  misurazione,  ovvero  allo  svolgimento  effettivo  di
attivita' particolarmente disagiate ovvero obiettivamente  pericolose
per l'incolumita' perso dannose per la salute;  prevedere  che  siano
comunque  fatti  salvi  i  trattamenti  economici   fondamentali   ed
accessori  in  godimento  aventi  natura  retributiva   ordinaria   o
corrisposti con carattere di generalita' per ciascuna amministrazione
o ente; prevedere il principio della  responsabilita'  personale  dei
dirigenti in caso di attribuzione impropria dei trattamenti economici
accessori». 
    In  particolare,  il  successivo  art.  2,  comma  2,   qualifica
espressamente le  disposizioni  recate  dal  testo  di  legge  e  dai
relativi  decreti  delegati,  imponendone  la  natura  di   «principi
fondamentali» (ai  sensi  dell'art.  117  della  Costituzione,  testo
previgente) e di «norme  fondamentali  di  riforma  economico-sociale
della Repubblica». Testualmente cosi' recita l'articolo,  riferendosi
proprio alle regioni a Statuto speciale ed alle province autonome: 
        «2. Le disposizioni  del  presente  articolo  e  dei  decreti
legislativi in esso previsti costituiscono principi  fondamentali  ai
sensi dell'art. 117 della Costituzione. I principi  desumibili  dalle
disposizioni del presente  articolo  costituiscono  altresi'  per  le
Regioni a Statuto speciale e per le Province Autonome di Trento e  di
Bolzano  norme  fondamentali  di  riforma   economico-sociale   della
Repubblica». 
    Analogamente, l'art. 1,  comma  3,  del  decreto  legislativo  n.
165/2001, attuativo del  citato  art.  2  della  legge  n.  421/1992,
dispone quanto segue: 
        «Le disposizioni del presente decreto costituiscono  principi
fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione. Le Regioni  a
Statuto  ordinario  si  attengono  ad  essi   tenendo   conto   delle
peculiarita'  dei  rispettivi  ordinamenti.  I  principi   desumibili
dall'art. 2 della  legge  23  ottobre  1992,  n.  421,  e  successive
modificazioni, e dall'art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n.
59,  e  successive  modificazioni  ed   integrazioni,   costituiscono
altresi', per le  Regioni  a  Statuto  speciale  e  per  le  Province
Autonome di Trento  e  di  Bolzano,  norme  fondamentali  di  riforma
economico-sociale della Repubblica». 
    Ne deriva che l'art. 4, comma 1 e comma 3, della legge  regionale
n. 11 del 18 dicembre 2017, oltre ad aver preteso di disciplinare una
materia di esclusiva competenza statale (ordinamento civile), ha pure
violato  i  limiti  recati  dal  ridetto  art.  4  dello  Statuto  di
autonomia. 
    11. Ancora, la qualificazione delle disposizioni  statali  citate
quali  «principi  fondamentali»  e  «norme  fondamentali  di  riforma
economico-sociale della Repubblica» e' idonea a determinare  altresi'
la violazione dell'art. 3 della Costituzione (principi di uguaglianza
e ragionevolezza), nella parte in cui l'art. 4 della legge  regionale
n. 11/2017 consolida un ordinamento  del  tutto  sui  generis  per  i
dipendenti  della   Regione   Autonoma   Trentino-Alto   Adige   che,
diversamente da tutti i dipendenti pubblici del  restante  territorio
nazionale, mantengono la retribuzione di posizione e l'indennita'  di
direzione (dal 1° gennaio 2018 l'indennita' di  posizione)  anche  se
non ricoprono piu' le pertinenti  posizioni  apicali  dirigenziali  o
direttive. 
    E' ben noto, per essere stato anche  piu'  volte  riaffermato  da
codesta Ecc.ma Corte (Corte costituzionale, sentenza n. 151/2010) che
la disciplina del rapporto di lavoro del dipendente  pubblico,  anche
regionale - ora contrattualizzato -  rientra  appunto  nella  materia
dell'ordinamento civile. Detta disciplina, ad evitare  ingiustificate
disparita' di  trattamento  tra  i  dipendenti  di  diversi  soggetti
pubblici datoriali, deve essere «uniforme sul territorio nazionale  e
imporsi anche alle regioni a Statuto speciale» (Corte costituzionale,
sent. cit.). A tale esigenza di uniformita' si  ispira  evidentemente
l'espressa previsione contenuta nel ridetto  art.  1,  comma  3,  del
decreto  legislativo  n.  165/2001,  secondo  la  quale  i   principi
desumibili dalla legge di delega al Governo per la  razionalizzazione
e la revisione delle discipline in materia di  sanita',  di  pubblico
impiego, di previdenza e di finanza territoriale (legge  n.  421/1992
cit., art. 2, comma 1, lett. d e comma  2)  «costituiscono  [Omissis]
per le regioni a Statuto speciale  e  per  le  Province  Autonome  di
Trento e di Bolzano, norme fondamentali di riforma  economico-sociale
della Repubblica». 
    Orbene, nel regolare questa peculiare conservazione da parte  del
dipendente  pubblico   di   indennita'   legate   alle   funzioni   e
responsabilita' dell'incarico  precedentemente  rivestito,  le  norme
regionali  si  pongono  in  contrasto  con  i  principi  fondamentali
dell'ordinamento e le ore menzionate «norme fondamentali». 
    12. Sempre con riferimento all'art. 2 della legge n. 421/1992  ed
al conseguente art. 7, comma 5, del decreto legislativo  n.  165/2001
in base al quale «Le amministrazioni pubbliche  non  possono  erogare
trattamenti  economici   accessori   che   non   corrispondano   alle
prestazioni effettivamente rese» va evidenziato che lo Stato, ponendo
i basilari fondamenti normativi per coordinare  la  finanza  pubblica
(art.  117,  comma  3,  Cost.)  -  incluse  le  norme  generali   sul
trattamento economico dei pubblici impiegati  -  sia  titolare  della
relativa potesta'  proprio  al  fine  dell'esercizio  della  suddetta
funzione di coordinamento finanziario, anche in chiave  di  controllo
ed indirizzo degli effetti economici derivanti dalle norme in tema di
finanza pubblica. 
    Appare, pertanto,  chiaro  il  senso  del  divieto,  imposto  dal
legislatore con la legge n. 421/1992 e con il decreto legislativo  n.
165/2001, di automatismi che  influenzano  il  trattamento  economico
fondamentale ed accessorio, e del correlativo obbligo di collegare  i
trattamenti economici alla produttivita' individuale «per modo che  a
fronte della prestazione (aumento retributivo  fisso  od  accessorio)
corrisponda, secondo l'operare del sinallagma, una  controprestazione
economicamente valutabile, qual e' l'incremento della  produttivita'.
Nella  fattispecie  in  esame  la  trasformazione  di  una  quota  di
indennita' in assegno personale  pensionabile  fisso  e  continuativo
comporta,  invece,  l'attribuzione  al  dipendente,  all'atto   della
cessazione dell'incarico  dirigenziale  o  di  coordinamento,  di  un
incremento automatico della retribuzione fondamentale, spesa priva di
utilita' per l'amministrazione, in  quanto  non  correlata  ad  alcun
incremento  della  prestazione  resa,  ma,  al  contrario,  alla  sua
diminuzione quantitativa e qualitativa, svolgendo, il dipendente  che
e' cessato dalle funzioni  dirigenziali,  le  ordinarie  mansioni  di
funzionario. Infatti, in  assenza  della  carriera  dirigenziale,  le
funzioni    di    dirigente    sono    assegnate     a     funzionari
dell'amministrazione  provinciale  che,  al  termine  delle   stesse,
tornano ad essere funzionari ed a svolgere le correlate mansioni. 
    In tal senso si e' pronunciata la sezione giurisdizionale per  il
Trentino-Alto Adige/Südtirol, sede di Bolzano, con la sentenza del 15
dicembre 2017, n. 52, in ordine a una fattispecie di  responsabilita'
per danno erariale nei confronti  dei  componenti  della  delegazione
pubblica, firmatari dei contratti collettivi vigenti per la Provincia
Autonoma di Bolzano (analoghi contratti  collettivi  sono  in  vigore
anche per la  Regione  Autonoma  Trentino-Alto  Adige/Südtirol),  che
disciplinavano il meccanismo della  trasformazione  delle  indennita'
erogate in assenza del relativo incarico. 
    13. Nei termini appena prospettati, le  norme  censurate  con  la
presente ordinanza si pongono altresi' in contrasto  con  i  principi
costituzionali dell'imparzialita' e  del  buon  andamento,  declinato
come economicita', efficienza ed efficacia (art. 97, comma 2, Cost.),
nonche' di quello della proporzionalita' della retribuzione  rispetto
«alla quantita' e alla qualita' dell'attivita'  prestata»  (art.  36,
comma 1, Cost.). 
    In  particolare,  il  concetto  di  giusta  retribuzione  di  cui
all'art. 36 della Costituzione, che, interpretato  inizialmente  come
norma meramente programmatica, ha assunto negli anni una  valenza  di
norma immediatamente precettiva, deve  essere  inteso  non  solo  nel
senso di garanzia di uno  standard  minimo  di  retribuzione  per  il
lavoratore, ma anche come fonte di un divieto di erogare nel rapporto
di lavoro pubblico (la cui disciplina e' permeata dall'esigenza di un
uso rigoroso del denaro della collettivita', in conformita' al canone
costituzionale di economicita', efficienza ed  efficacia  dell'azione
della pubblica amministrazione) incrementi retributivi sulla base  di
meri meccanismi automatici privi di ogni correlazione con l'attivita'
effettivamente prestata. 
    14.  D'altro  canto,   il   principio   di   effettivita'   delle
prestazioni,  quale   corollario   del   valore   costituzionale   di
proporzionalita' della  retribuzione  espresso  dall'art.  36  Cost.,
costituisce una prescrizione generale e di palese evidenza  che  crea
un nesso inscindibile di corrispettivita' tra le funzioni rese  e  la
retribuzione delle stesse. 
    Detto principio viene recepito, come gia'  visto,  a  livello  di
legislazione statale dall'art. 7, comma 5, del decreto legislativo n.
165/2001, che si configura come norma interposta, secondo cui: 
        «Le amministrazioni pubbliche non possono erogare trattamenti
economici  accessori   che   non   corrispondano   alle   prestazioni
effettivamente rese». 
    Questo principio e', tra l'altro, costantemente richiamato  dalla
giurisprudenza amministrativa in materia di  indennita'  di  funzioni
dirigenziali. 
    Il Consiglio di Stato ha infatti avuto modo di statuire che: 
        «l'indennita'   di   funzione   dirigenziale   e'    connessa
all'effettivo esercizio delle funzioni e  non  puo'  in  nessun  caso
essere mantenuta e corrisposta ad  un  dirigente  che  attraverso  un
provvedimento di mobilita' (quale, nel caso il comando  presso  altra
amministrazione) venga a perdere l'effettivo esercizio della funzione
stessa. [Omissis] Essa ha, quindi, come presupposto che il  dirigente
sia preposto alla direzione di una struttura, settore o servizio e ha
quale  causa  la  remunerazione  delle   prestazioni   svolte   quale
responsabile della struttura. Non puo', pertanto,  essere  attribuita
in mancanza dell'assegnazione di funzioni di direzione di  struttura,
settore  o  servizio.»  (Cons.  Stato,  sezione.   V,   sentenza   n.
6686/2011). 
    Ma  anche  la  giurisprudenza  contabile  ha  in  piu'  occasioni
affermato tali principi.  In  particolare,  appare  utile  citare  la
sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale  Toscana,  n.
523/2009, secondo  cui  «nell'attuale  sistema  di  pubblico  impiego
privatizzato    le    posizioni    organizzative     si     traducono
nell'attribuzione (retribuita con specifica indennita') di compiti ad
impiegati apicali non dirigenti, che  richiedono  lo  svolgimento  di
funzioni con assunzione diretta di elevata responsabilita' necessarie
o opportune per una  migliore  gestione  organizzativa  (Corte  conti
sezione giurisdizionale  Regione  Lombardia  10  marzo  2006  n.  172
[Omissis]). E' evidente  la  distinzione  tra  trattamento  economico
fondamentale «emolumento fisso, continuativo, costante e generale»  e
la natura accessoria di altri emolumenti (nella specie indennita'  di
posizione) in cui e' evidenziata la finalita' retributiva sulla  base
degli obiettivi e di altri parametri soggettivi (in termini sezione I
centr. 15 luglio 2008 n. 322, sezione giurisdizionale Regione  Veneto
7 dicembre 2006 n. 1158 e sezione giurisdizionale Regione Lombardia 8
luglio 2008 n. 457)». 
    15. Pare utile ricordare che, a  livello  di  dirigenza  statale,
l'art. 62 del C.C.N.L. della dirigenza  dell'area  I  del  21  aprile
2006, recava la  c.d.  «clausola  di  salvaguardia»,  secondo  cui  i
dirigenti  avevano  diritto  di  conservare,   in   una   determinata
percentuale, la retribuzione di posizione corrisposta in relazione al
precedente incarico, nel caso di attribuzione di incarico  di  fascia
inferiore.  Si  potrebbe  qui   riproporre   l'efficace   espressione
utilizzata dalla sezione di controllo per  la  Regione  Sicilia  che,
nella deliberazione n. 10/2010/prev.,  ha  affermato,  sia  pure  con
riferimento ad un contesto normativo differente, che le  clausole  di
salvaguardia avrebbero  l'inammissibile  effetto  di  trasformare  di
fatto un «incarico» in «qualifica». Esattamente come si verifica  nel
caso  dei  dipendenti  regionali  che,  pur  cessando  di   ricoprire
incarichi apicali,  continuano  a  percepire  parte  del  trattamento
economico precedentemente in godimento. 
    Con specifico riferimento alla citata disposizione  del  C.C.N.L.
Dirigenza, la Corte dei conti nel 2009, con la delibera  n.  6  della
sezione di controllo sulla gestione, intitolata  «L'attuazione  della
clausola di salvaguardia di cui all'art. 62, comma  2,  del  C.C.N.L.
relativo al personale dirigenziale dell'area I»,  aveva  sottolineato
la necessita' di provvedere «al piu' presto alla cancellazione del  [
... ] art. 62 dall'ordinamento», rappresentando quanto segue: 
        «E', dunque, innegabile che  la  disposizione  del  Contratto
collettivo,  interrompendo  il  nesso  esistente   tra   incarico   e
retribuzione  spettante,  abbia  fortemente   inciso   sul   rapporto
sinallagmatico tra «funzioni attribuite e  connesse  responsabilita'»
voluto dal legislatore  e  stigmatizzato  dall'art.  24  del  decreto
legislativo n. 165 del 2001 immettendo, come gia'  evidenziato  dalle
sezioni riunite, una sorta di "divieto di reformatio  in  peius",  in
palese contrasto anche con  l'ultimo  periodo  del  primo  comma  del
precedente art. 19 che dispone l'inapplicabilita' dell'art. 2103  del
codice civile al conferimento degli  incarichi  ed  al  passaggio  ad
incarichi diversi [Omissis] l'art. 62, a  sua  volta,  contrasta  con
l'art. 19 del decreto legislativo n.  165  del  2001,  il  cui  primo
comma, com'e' noto, sancisce l'inapplicabilita'  dell'art.  2103  del
codice civile al conferimento degli  incarichi,  ed  il  cui  secondo
comma richiama il successivo art. 24, che impone la correlazione  tra
trattamento economico accessorio da un lato, e funzioni attribuite  e
connesse responsabilita', dall'altro. Tali norme, in virtu' del comma
12-bis, introdotto nel primo dei citati articoli dalla legge  n.  145
del 2002, sono da ritenere inderogabili dai contratti collettivi.  Si
tratta di norme di  particolare  rilevanza,  che,  fra  l'altro,  non
possono essere violate dalla contrattazione collettiva in  forza  del
comma 12-bis del medesimo art. 19, che, introdotto dall'art. 3, comma
1, lett. n) della legge n. 145  del  2002,  ha  rafforzato  tutte  le
disposizioni  dettate  nel  testo  dell'articolo,  e  in  quelli  ivi
richiamati,   prevedendone   l'inderogabilita'   da    parte    della
contrattazione collettiva». 
    Detta clausola di salvaguardia risulta oggi eliminata per effetto
dell'art. 9, comma 32, del  decreto-legge  31  maggio  2010,  n.  78,
secondo cui: 
        «A decorrere dalla data di entrata  in  vigore  del  presente
provvedimento le pubbliche amministrazioni di cui all'art.  1,  comma
2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 che, alla scadenza  di  un
incarico di livello dirigenziale, anche in dipendenza dei processi di
riorganizzazione, non intendono, anche in assenza di una  valutazione
negativa, confermare l'incarico conferito al dirigente,  conferiscono
al medesimo dirigente un altro incarico, anche  di  valore  economico
inferiore. Non si applicano le  eventuali  disposizioni  normative  e
contrattuali piu' favorevoli». 
    16. Il contrasto delle norme oggetto di scrutinio con l'art. 117,
comma 2, lett. l), della Costituzione  si  apprezza  anche  sotto  un
secondo profilo. 
    Infatti, a seguito della privatizzazione del rapporto  di  lavoro
alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, la materia in  esame
rientra,  come  e'  gia'   stato   sopra   evidenziato,   nell'ambito
dell'ordinamento civile riservato allo Stato ai sensi dell'art.  117,
comma 2, lettera l), della Costituzione. Riserva esercitata, nel caso
di specie, mediante il decreto legislativo n. 165/2001 che rinvia, al
riguardo, alla contrattazione collettiva. 
    Inoltre, secondo il costante  orientamento  di  questa  Corte,  a
seguito della privatizzazione del  rapporto  di  pubblico  impiego  -
operata dall'art. 2 della legge n. 421/1992, dall'art. 11,  comma  4,
della  legge  15  marzo  1997,  n.  59  (delega  al  Governo  per  il
conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti  locali,  per
la riforma della Pubblica amministrazione e  per  la  semplificazione
amministrativa), e dai decreti legislativi emanati in  attuazione  di
dette leggi di delega - la disciplina del  rapporto  di  lavoro  alle
dipendenze della pubblica amministrazione e' retta dalle disposizioni
del codice civile e dalla contrattazione collettiva. 
    In particolare, dall'art. 2, comma 3, terzo e quarto periodo, del
decreto legislativo n.  165/2001  emerge  il  principio  per  cui  il
trattamento  economico  dei  dipendenti  pubblici  e'   affidato   ai
contratti collettivi, di tal che la disciplina di  detto  trattamento
e, piu' in generale, quella del rapporto di impiego pubblico rientra,
si ribadisce,  nella  materia  «ordinamento  civile»  riservata  alla
potesta' legislativa esclusiva dello Stato. 
    In argomento lo Stato risulta essere  intervenuto,  tra  l'altro,
adottando l'art. 45  del  decreto  legislativo  n.  165/2001  che  ha
fissato il  basilare  principio  per  cui  il  trattamento  economico
fondamentale e accessorio e' definito dai contratti collettivi. 
    Dunque la scelta del legislatore statale, l'unico  competente  in
materia, e' stata quella di sottrarre  alla  fonte  legislativa  ogni
diretta attribuzione  al  riguardo,  demandando  al  procedimento  di
contrattazione, con le correlate garanzie esistenti - anche in ordine
alla  compatibilita'   dei   relativi   costi   e,   pertanto,   alla
sostenibilita' della spesa pubblica - la possibilita' di  intervenire
anche su eventuali incrementi del trattamento  accessorio.  Anche  la
posizione  dei  dipendenti  regionali  e'   attratta   dalla   citata
disciplina del  trattamento  economico  e  giuridico  dei  dipendenti
pubblici, ai sensi dell'art. 1, comma 2, del decreto  legislativo  n.
165/2001; per cui anche per il personale delle regioni il rapporto di
impiego e' regolato dalla legge dello Stato e, in virtu'  del  rinvio
da questa operato, dalla contrattazione collettiva. 
    La possibilita', pertanto, che con  legge  regionale  si  vada  a
modificare  un  aspetto   fondamentale   del   rapporto   di   lavoro
subordinato, nell'ambito del pubblico  impiego,  quale  e'  l'aspetto
retributivo, non risulta affatto ammissibile posto  che  operando  in
tale modo si incide in ambito contrattuale,  ovvero  in  un  segmento
riconducibile  all'ordinamento  civile,   di   competenza   esclusiva
statale, come gia' messo in luce,  in  piu'  occasioni,  dalla  Corte
costituzionale (sentenza 22 dicembre 2011, n. 339). 
    La Corte costituzionale ha, infatti, statuito  -  occupandosi  di
una legge regionale che disponeva l'aumento del trattamento economico
accessorio - che  la  norma  impugnata  «disciplina  un  aspetto  del
trattamento economico dei dipendenti della regione, il  cui  rapporto
d'impiego e' stato privatizzato (ex  plurimis:  sentenza  n.  77  del
2011, punto 3 del considerato  in  diritto),  sicche'  rientra  nella
materia dell'ordinamento civile, come si desume, del resto, dall'art.
45, comma 1, del citato decreto legislativo  n.  165  del  2001,  con
conseguente violazione dell'art. 117, comma  2,  lettera  l),  Cast.»
(Corte costituzionale, sentenza n. 339/2011). 
    La contrattazione collettiva non puo',  comunque,  mai  porsi  in
contrasto con i principi fondamentali dettati  dalla  Costituzione  e
dalle leggi, ivi compresi i vincoli imposti  per  fini  di  controllo
della spesa pubblica, ai sensi dell'art. 8 del decreto legislativo n.
165/2001,  i  cui  precetti,  quale  quello  della  correlazione  del
trattamento economico accessorio all'effettivita'  delle  prestazioni
rese, «costituiscono disposizioni a carattere imperativo»,  ai  sensi
dell'art. 2, comma 2. 
    17. In tal senso, occorre richiamare gli ultimi  tre  giudizi  di
parifica (per gli esercizi finanziari 2014, 2015 e 2016),  nei  quali
queste sezioni riunite hanno dichiarato la nullita'  di  disposizioni
di contratti  collettivi  di  intercomparto  e  di  comparto  per  la
Provincia Autonoma di Bolzano, analoghi ai  contratti  collettivi  in
vigore per il  personale  della  Regione.  Si  poneva,  difatti,  «la
questione della compatibilita' delle suddette norme di contrattazione
collettiva col divieto di erogare trattamenti economici accessori che
non corrispondano  alle  prestazioni  effettivamente  rese,  come  da
disposizione di cui all'art. 7, comma 5, del decreto  legislativo  n.
165/2001 [Omissis]. Le attuali previsioni contrattuali, limitatamente
alle   indennita'   corrisposte   ai   funzionari   senza    incarico
dirigenziale, paiono affette da  nullita'  alla  luce  del  principio
espresso dal richiamato art. 7, comma 5, del decreto  legislativo  n.
165/2011, [Omissis] con disposizione che ai sensi dell'art. 1,  comma
3, del citato decreto costituiscono principio fondamentale  ai  sensi
dell'art. 117  della  Costituzione.  Infatti,  il  comma  3-quinquies
dell'art. 40 del medesimo decreto legislativo, prevede  espressamente
il divieto per le pubbliche amministrazioni  di  ...sottoscrivere  in
sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto  con  i
vincoli e con i limiti risultanti dai contratti collettivi  nazionali
o che disciplinano materie non espressamente delegate a tale  livello
negoziale ovvero che comportano oneri non previsti negli strumenti di
programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Nei
casi di violazione dei vincoli e dei  limiti  di  competenza  imposti
dalla contrattazione nazionale o dalle norme di  legge,  le  clausole
sono nulle, non possono essere applicate  [Omissis]».  E  ancora  «Il
Giudicante,  nel  prendere  atto  che  la  materia   e'   stata   ora
ridisciplinata con norma che appare  confliggere  con  la  competenza
esclusiva dello Stato in materia, non ritiene di poter  esprimere  un
giudizio positivo in ordine alla  regolarita'  degli  impegni  e  dei
pagamenti effettuati nel corso  del  2014,  relativamente  alle  sole
indennita' corrisposte in assenza di incarico dirigenziale» (pag. 199
e  ss.  della  Relazione  sul  rendiconto  generale  della  Provincia
Autonoma di Bolzano - esercizio finanziario 2014). 
    18. Per dette ragioni appare possibile anche un  conflitto  delle
disposizioni regionali con l'art. 119 letto in combinato disposto con
l'art. 117, comma 3, della Costituzione. Si evidenzia al riguardo che
lo Stato, ponendo i basilari fondamenti normativi per  coordinare  la
finanza pubblica, incluse le norme generali sul trattamento economico
dei pubblici impiegati, e' titolare della relativa  potesta'  proprio
al fine  dell'esercizio  della  suddetta  funzione  di  coordinamento
finanziario,  anche  in  chiave  di  controllo  ed  in  ogni  diretta
attribuzione al riguardo dirizzo degli  effetti  economici  derivanti
dalle norme in tema di finanza pubblica. 
    Il legislatore statale e'  dunque  chiamato  a  porre  in  essere
strumenti  efficaci  di  coordinamento  e  controllo  di   tutte   le
componenti  della   finanza   pubblica,   che,   senza   pregiudicare
l'autonomia   degli   enti    territoriali,    assicurino    tuttavia
un'evoluzione delle entrate e delle spese (ivi compresa, soprattutto,
la spesa in tema di personale) coerente  con  gli  obiettivi  che  il
Governo  e  il  Parlamento   hanno   fissato   negli   strumenti   di
programmazione   economico-finanziaria   a   livello   nazionale    e
comunitario. 
    Nel caso di specie, infatti, la  Regione  Autonoma  Trentino-Alto
Adige/Südtirol con propria legge ha incrementato la spesa pubblica in
tema   di   personale,   spesa   che,   secondo   la   giurisprudenza
costituzionale, non e' minuta voce di dettaglio delle  spese,  ma  si
presenta come fondamentale aggregato della  spesa  corrente.  In  tal
senso, emerge con ancor maggior vigore  l'importanza  che  assume  il
controllo della spesa del personale al fine di  conseguire  obiettivi
di finanza pubblica interni e comunitari. 
    Dunque, le relative disposizioni legislative statali assurgono  a
principio fondamentale, anche nel quadro dell'art. 117 Cost.,  atteso
il carattere finalistico dell'azione di coordinamento  della  finanza
pubblica (Corte costituzionale, sent.  n.  108/2011;  cfr.  anche  la
sent. n. 217/2012 e la sent. n. 61/2014). 
    Del resto  e'  stato  affermato,  ripetutamente,  che  i  vincoli
discendenti da  principi  di  coordinamento  della  finanza  pubblica
devono essere rispettati anche dalle regioni  ad  autonomia  speciale
(Corte costituzionale, sentenza 18 gennaio 2013, n. 3,  in  merito  a
legge della Regione Autonoma Friuli-Venezia  Giulia).  Dunque,  se  a
livello statale sono state disegnate  predeterminate  regole  per  la
fissazione del trattamento retributivo,  anche  accessorio,  mediante
istituti peculiari, quale la contrattazione collettiva,  e'  evidente
che tale meccanismo  sia  stato  disegnato  al  fine  della  concreta
realizzazione di quel  coordinamento  voluto  dalla  Costituzione  ed
intestato innanzitutto allo  Stato  e  che  lo  stesso  debba  essere
osservato da parte dei legislatori regionali, posto che altrimenti la
finalita' di coordinamento e controllo della spesa  pubblica  sarebbe
frustrata. 
    19. L'art.  4  della  legge  regionale  n.  11/2017  si  appalesa
altresi' in contrasto con  l'art.  117,  comma  2,  lett.  o),  della
Costituzione, nella parte in cui prevede al comma 1 la trasformazione
delle indennita', alla cessazione dell'incarico, in assegno personale
pensionabile in base al sistema retributivo. 
    L'art. 6 dello Statuto  speciale  vigente  per  il  Trentino-Alto
Adige  attribuisce  alla  regione,  nelle  materie   concernenti   la
previdenza e le assicurazioni sociali, la sola «facolta'  di  emanare
norme legislative allo scopo di integrare le disposizioni delle leggi
dello Stato». Conseguentemente, le disposizioni introdotte  dall'art.
4 della legge all'esame violano l'art. 117, comma 2, lettera o) della
Costituzione, che devolve alla competenza legislativa esclusiva dello
Stato la materia previdenza sociale. 
    Una simile previsione, del resto, comporta impatti  significativi
sul  meccanismo  di  calcolo  del  trattamento  di   quiescenza   non
preventivati dal legislatore nazionale al momento della  riforma  del
sistema pensionistico. Tale disposizione,  oltre  a  potere  produrre
eventuali futuri effetti emulativi,  contrasta  con  l'art.  3  della
Costituzione, per violazione del principio di  uguaglianza;  cio'  in
quanto il personale di tutte le amministrazioni pubbliche  e  private
si troverebbe di fronte ad una diversita' di trattamento. 
    In tema di previdenza, l'orientamento della Corte  costituzionale
e' stato omogeneo nel corso degli  anni,  nella  chiara  affermazione
della esclusiva competenza statale in  materia.  Da  ultimo,  con  la
sentenza n. 98/2013, la Corte ha censurato il  legislatore  regionale
per il fatto di richiamare ed utilizzare  «del  tutto  impropriamente
istituti  tipici  di  previdenza  sociale,  congegnati  dallo   Stato
(nell'esercizio della sua competenza esclusiva) per soddisfare  altre
finalita'». 
    La Consulta ha contestualmente ribadito che solo  lo  Stato  puo'
estendere  l'ambito  soggettivo  e/o  oggettivo  di  applicazione  di
disposizioni che  rientrano  in  materie  di  competenza  legislativa
esclusiva statale, tra cui  specificamente  quello  della  previdenza
sociale. Tale principio era, tra l'altro, gia' stato affermato  nella
sentenza  n.  325/2011,  che  censura  l'estensione  dell'ambito   di
applicazione  della  disciplina  previdenziale  statale  relativa  al
personale delle  pubbliche  amministrazioni  ai  dipendenti  pubblici
nominati assessori regionali, in quanto «non spetta alla legislazione
regionale disporre una equiparazione  del  trattamento  previdenziale
degli assessori regionali non consiglieri con quello degli  assessori
che ricoprano la carica di consigliere. Ove tale equiparazione  fosse
effettuata con legge regionale, come nel caso in esame, non  solo  si
avrebbe una lesione  della  competenza  legislativa  esclusiva  dello
Stato,  ma  si  determinerebbero  difformita'  nella  disciplina  del
trattamento previdenziale dei  dipendenti  pubblici  da  una  regione
all'altra». 
    Il richiamo alla necessita'  di  una  disciplina  inevitabilmente
unitaria e' presente anche nella  sentenza  n.  189/2011,  in  merito
all'equiparazione, ai fini contributivi, al  lavoro  subordinato  del
servizio prestato in via precaria dal personale assunto per  chiamata
fiduciaria  nelle   segreterie   particolari   degli   amministratori
regionali: tale  disposizione,  nell'attribuire  ad  un  rapporto  di
lavoro  essenzialmente  precario   una   qualificazione   di   lavoro
subordinato, ai fini  pensionistici,  incide  in  modo  chiaro  nella
materia della «previdenza sociale» che, in  base  a  quanto  disposto
dall'art. 117, comma 2, lett. o),  Cost.,  rientra  nella  competenza
esclusiva dello Stato. 
    Gia' con la legge 8 agosto 1995,  n.  335  (Riforma  del  sistema
pensionistico obbligatorio e complementare), il sistema previdenziale
e'  stato  ridefinito  alla  stregua  di  criteri  di   calcolo   dei
trattamenti  pensionistici   commisurati   alla   contribuzione.   E,
successivamente, il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214  (Disposizioni  urgenti  per  la
crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici),  dispone
all'art. 24, comma 2, che «a  decorrere  dal  1°  gennaio  2012,  con
riferimento alle anzianita' contributive maturate a decorrere da tale
data, la quota  di  pensione  corrispondente  a  tali  anzianita'  e'
calcolata secondo il sistema contributivo». 
    E' di macroscopica evidenza  l'illegittimita'  costituzionale  di
una norma che correla il calcolo del trattamento pensionistico  delle
suddette indennita' dei  dipendenti  pubblici  regionali  al  sistema
retributivo, invece che a quello  contributivo,  sistema  di  calcolo
quest'ultimo  introdotto  allo  scopo  di  favorire  il  riequilibrio
finanziario e di  rimuovere  le  sperequazioni  e  le  diseguaglianze
provocate  dal   calcolo   retributivo   (relazione   dell'undicesima
Commissione permanente, lavoro e previdenza sociale,  al  disegno  di
legge  di  riforma   del   sistema   pensionistico   obbligatorio   e
complementare  del  1995).  Un  meccanismo  cosi'  strutturato  entra
ulteriormente  in  conflitto  con   l'art.   36,   comma   1,   della
Costituzione,  norma  che  si  declina   anche   nel   principio   di
proporzionalita' fra trattamento pensionistico e quantita' e qualita'
del lavoro prestato durante il servizio attivo (Corte costituzionale,
sentenza n. 82/2017). 
    Ed oltre a cio', la determinazione, ai fini pensionistici, con il
sistema  retributivo  delle  indennita'  percepite   dai   dipendenti
regionali va inopinatamente ad impattare  anche  sugli  equilibri  di
bilancio dell'Ente previdenziale del pubblico impiego (Inps) causando
un inutile aggravio di spesa pensionistica. 
    20. Siffatta prospettazione appare ulteriormente  corroborata  da
quanto si legge  in  una  nota  dell'agenzia  per  la  rappresentanza
negoziale delle pubbliche amministrazioni (nota prot. 2863/07 del  14
marzo 2007), menzionata a pag. 201 della Relazione di queste  sezioni
riunite sul rendiconto generale della Provincia Autonoma di Bolzano -
esercizio finanziario 2014: 
        «L'Agenzia per la rappresentanza  negoziale  delle  pubbliche
amministrazioni,  con  nota  prot.  2863/07  del   14   marzo   2007,
indirizzata alla Procura regionale di Bolzano della Corte dei  conti,
ha osservato - premesso che da una  analisi  dei  testi  contrattuali
vigenti non risultano in ambito  nazionale  discipline  di  contenuto
identico o analogo a quelle locali  -  che  "  ...  come  piu'  volte
evidenziato dall'Inpdap, non spetta alla sede contrattuale  esprimere
giudizi in ordine alla pensionabilita' o meno  dei  vari  trattamenti
economici, in  quanto  trattasi  di  un  aspetto  che  rientra  nella
autonoma capacita' di valutazione e decisione  riconosciuto  all'ente
previdenziale direttamente dalla legge"». 
    21. Da ultimo, in  conformita'  alla  consolidata  giurisprudenza
della Corte costituzionale, queste sezioni riunite ritengono di dover
verificare se siano possibili  ipotesi  interpretative  delle  citate
disposizioni  regionali  che  consentano  di  superare  i  dubbi   di
costituzionalita' sopra esposti. 
    Si   ritiene,   tuttavia,   che   non   vi   siano   spazi    per
un'interpretazione costituzionalmente orientata, poiche' qualsivoglia
approccio  esegetico  e'  inibito  dal  carattere  perentorio   delle
disposizioni, alla stregua anche  della  chiara  voluntas  legis  del
legislatore regionale, che detta una disciplina di dettaglio  per  il
futuro e salvaguarda  l'assetto  contrattuale  preesistente,  nonche'
dalla mancanza nell'ordinamento di  norme  e  principi  in  grado  di
consentire   di   emendare   le   norme   regionali   con   l'ausilio
dell'analogia. 
 
                              P. Q. M. 
 
    La Corte dei conti, Sezioni riunite per la Regione  Trentino-Alto
Adige/Südtirol, visti gli articoli 81, 119 e 134 della  Costituzione,
l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1,  e  l'art.
23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Visto l'art. 10 del decreto del Presidente  della  Repubblica  15
luglio 1988, n. 305; 
    Visto l'art. 1, comma 5, del decreto-legge 10  ottobre  2012,  n.
174, convertito con modificazioni dalla legge  7  dicembre  2012,  n.
213; 
    Solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  4,
comma 1 e comma 3, della legge regionale 18 dicembre 2017, n. 11,  in
riferimento ai parametri stabiliti dagli artt. 3, 36,  81,  97,  117,
comma 2, lett. l) e lett. o), e 119, comma 1, della Costituzione. 
    Ordina la sospensione del giudizio per le voci non  parificate  e
dispone la trasmissione  degli atti  alla  Corte  costituzionale  per
l'esame della questione. 
    Dispone che, a cura della Segreteria delle  sezioni  riunite,  ai
sensi dell'art. 23, ultimo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.  87,
la presente ordinanza sia  notificata  al  Presidente  della  Regione
Autonoma Trentino-Alto  Adige/Südtirol  e  al  Procuratore  regionale
quali parti in causa e sia comunicata  al  Presidente  del  Consiglio
regionale della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol. 
    Cosi' deciso in Bolzano, nella Camera di consiglio del giorno  28
giugno 2018. 
 
                       Il presidente: Rössler 
 
 
                        L'estensore: Lentini 
 
Depositato in Segreteria l'8 agosto 2018 
 
                      Il dirigente: Di Marsico 
 
 

              Parte di provvedimento in formato grafico