N. 177 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 agosto 2018
Ordinanza dell'8 agosto 2018 della Corte dei conti - Sezioni riunite per la Regione Trentino-Alto Adige nel giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione autonoma Trentino-Alto Adige per l'esercizio finanziario 2017.. Impiego pubblico - Norme della Regione autonoma Trentino-Alto Adige - Dirigenza dell'amministrazione regionale - Trasformazione della retribuzione di posizione e dell'indennita' di direzione in indennita' di posizione - Trasformazione, dopo almeno sei anni di incarico, della parte fissa dell'indennita' di posizione in assegno personale pensionabile in base al sistema retributivo - Conservazione degli effetti gia' maturati a seguito dei meccanismi di trasformazione graduale delle retribuzione di posizione e dell'indennita' di direzione in assegno personale pensionabile, in applicazione dei contratti collettivi. - Legge della Regione autonoma Trentino-Alto Adige 18 dicembre 2017, n. 11 (Legge regionale di stabilita' 2018), art. 4, commi 1 e 3.(GU n.50 del 19-12-2018 )
CORTE DEI CONTI Sezioni riunite per la regione Trentino-Alto Adige/Südtirol Presiedute dal Presidente Josef Hermann Rössler e composte dai Magistrati: Anna Maria Rita Lentini - Presidente di sezione Irene Thomaseth - Consigliere Alessandro Pallaoro - Consigliere Tullio Ferrari Consigliere Massimo Agliocchi - Primo referendario Alessia Di Gregorio - Primo referendario Ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol per l'esercizio finanziario 2017. Visti gli articoli 100, comma 2, e 103, comma 2, della Costituzione; Visti gli articoli 134 della Costituzione, l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. l e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Visti gli articoli 3, 36, 81, 97, 117, comma 2, lettere l) e o), e 119, comma 1, della Costituzione; Visto il testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 e relative norme di attuazione; Visto il decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988, n. 305 e successive modificazioni, recante norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol per l'istituzione delle sezioni di controllo della Corte dei conti di Trento e di Bolzano e per il personale ad esse addetto; Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214 e successive modificazioni; Visto il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213; Vista la legge regionale 18 dicembre 2017, n. 11 (legge regionale di stabilita' 2018); Visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni (norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche); Vista la nota n. RATAA/0009107/27/04/2018-P con la quale la Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol ha trasmesso alla Corte dei conti il rendiconto generale per l'esercizio finanziario 2017, completo del conto economico e dello stato patrimoniale, unitamente alla relazione sulla gestione; Visto il decreto n. 5 del 1° giugno 2018 con cui il Presidente delle sezioni riunite per la regione Trentino-Alto Adige/Südtirol ha convocato per il 19 giugno 2018 la Camera di consiglio per discutere in contradditorio con la regione le osservazioni del Magistrato istruttore; Vista la nota del Magistrato istruttore, prot. n. 563 del 18 giugno 2018, inviata alla Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol; Visto il resoconto della suddetta riunione camerale (nota n. 0000045-28/06/2018-SSRRTAA); Vista la nota prot. n. 13041 del 21 giugno 2018 inviata dalla Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol; Vista l'ordinanza n. 1/SS.RR./2018 del 1° giugno 2018 con cui il Presidente delle sezioni riunite per la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol ha convocato le sezioni per il giorno 28 giugno 2018 per il giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol per l'esercizio finanziario 2017; Viste le memorie depositate dalla Procura regionale presso la sezione giurisdizionale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol - sede di Trento nelle date del 13, 20 e 28 giugno 2018; Vista la decisione n. 2/PARI/2018 con cui le sezioni riunite hanno parificato, parzialmente, il rendiconto per l'esercizio finanziario 2017 della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol; Ritenuto in fatto Con nota n. RATAA/0009107/27/04/2018-P il Presidente della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol ha trasmesso alla Corte dei conti, ai fini della parifica, lo schema del rendiconto generale della regione per l'esercizio 2017, completo del conto economico e dello stato patrimoniale, unitamente alla relazione sulla gestione e alla nota integrativa. Il disegno di legge concernente il rendiconto generale 2017 e' stato approvato con delibera n. 129 dalla Giunta regionale nella seduta del 28 giugno 2018. L'esame della documentazione inviata dalla regione ha consentito di evidenziare come nel corso del 2017 siano state impegnate e pagate risorse a titolo di assegno personale pensionabile in assenza di incarico di preposizione alle strutture organizzative o loro articolazioni, per effetto della trasformazione della retribuzione di posizione e indennita' di direzione, in applicazione dei contratti collettivi di lavoro, per complessivi € 30.122,89, di cui € 19.407,06 sul cap. U01101.0000, € 2.323,49 sul cap. U01101.0450, € 5.845,40 sul cap. U01101.0030, € 699,83 sul cap. U01101.0480 ed € 1.847,11 sul cap. U01101.0630. Segnatamente vengono in considerazione il contratto collettivo riguardante il personale dell'area dirigenziale della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige biennio economico 2004-2005 del 27 febbraio 2006 (come modificato dal contratto collettivo area dirigenziale del 27 aprile 2009), il cui art. 41, comma 4, cosi' dispone: «La retribuzione di posizione e' annualmente ridotta e trasformata in assegno personale pensionabile», nonche' il contratto collettivo riguardante il personale dell'area non dirigenziale della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige, quadriennio giuridico 2008-2011 e biennio economico 2008-2009 del 1° dicembre 2008, il cui art. 77, comma 4, in merito all'indennita' di direzione, prevede quanto segue: «A decorrere dal 1° gennaio di ogni anno l'indennita' di direzione e' annualmente ridotta e trasformata in assegno personale pensionabile. La riduzione e la conseguente trasformazione avvengono computando il 5% dell'indennita' prevista nell'anno precedente per la posizione ricoperta. La trasformazione e' effettuata, altresi', all'atto della cessazione dal servizio comunque motivata, in relazione alla durata dell'incarico di direzione reso nell'anno solare di cessazione. L'assegno segue le variazioni della relativa indennita' di direzione» (disposizione analoga e' contenuta nel successivo comma 8 per il direttore sostituto). Sulla disciplina di siffatte erogazioni e' intervenuta la legge regionale 18 dicembre 2017, n. 11 (legge regionale di stabilita' 2018), il cui art. 4 sancisce al comma 1 che «A far data dal 1° gennaio 2018 la retribuzione di posizione e l'indennita' di direzione previste dai rispettivi contratti collettivi del personale regionale sono trasformate in indennita' di posizione, composta da una parte fissa ed una parte variabile. L'ammontare dell'indennita' di posizione, di cui la parte fissa e' pari al 40 per cento del valore complessivo dell'indennita' stessa, e' determinato dalla contrattazione collettiva. Dopo almeno sei anni di incarico di preposizione alle strutture organizzative o loro articolazioni, la sola parte fissa dell'indennita' di posizione si trasforma, alla cessazione dell'incarico, in assegno personale pensionabile in base al sistema retributivo». Questa disposizione esplica un'efficacia immediata, giacche' configura la maturazione ex munc del diritto alla trasformazione dell'indennita' di posizione in «assegno personale pensionabile in base al sistema retributivo». Inoltre, al comma 3 il legislatore regionale ha disposto che «Sono fatti salvi gli effetti giuridici gia' prodotti e gli effetti economici gia' maturati, sino al 1° gennaio 2018, a seguito dei meccanismi di trasformazione graduale della retribuzione di posizione e dell'indennita' di direzione in assegno personale pensionabile, in applicazione dei contratti collettivi. L'assegno personale pensionabile gia' maturato ai sensi del presente comma non e' cumulabile con l'indennita' di posizione di cui al comma 1». Tali erogazioni, tuttavia, appaiono illegittime, in ragione sia della nullita' per contrasto con norme imperative (su cui meglio infra) delle clausole dei succitati contratti collettivi che prevedono la trasformazione, alla cessazione dell'incarico, della retribuzione di posizione e dell'indennita' di direzione in assegno personale fisso e pensionabile sia della sospetta illegittimita' costituzionale delle disposizioni di cui al citato art. 4 della legge regionale n. 11/2017, che eleva alla fonte di rango legislativo il principio della trasformazione di indennita' in assegno personale, declinato finora solo in sede di contrattazione collettiva, e salvaguarda l'assetto preesistente con riguardo agli effetti prodotti dalle summenzionate illegittime disposizioni contrattuali. In particolare, le norme in esame risulterebbero costituzionalmente illegittime per contrasto con gli articoli 3, 36, 81, 97 e 117, comma 2, lett. l) e o), e 119, comma 1, della Costituzione. Ad avviso del Magistrato istruttore, le norme, nella parte in cui dispongo per il futuro e confermano per il passato la trasformazione, alla cessazione dell'incarico, della parte fissa dell'indennita' di posizione (di per se' correlata all'effettiva preposizione alle strutture organizzative o loro articolazioni) in assegno personale pensionabile fisso e continuativo, determinano l'attribuzione al dipendente, all'atto della cessazione dell'incarico di preposizione alle strutture organizzative, di un incremento automatico della retribuzione fondamentale, facendo sorgere in capo all'amministrazione una spesa priva di utilita' in quanto non correlata ad alcun incremento della prestazione resa, ma, al contrario, alla sua diminuzione essendo venuta meno la responsabilita' di struttura organizzativa. La materia in esame rientrerebbe nell'ambito dell'ordinamento civile, in quanto tale riservata allo Stato ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. l), della Costituzione. Riserva esercitata, nel caso di specie, mediante il decreto legislativo n. 165/2001, che sancisce all'art. 7, comma 5, il principio, di immediata portata precettiva, della corrispettivita' dei trattamenti economici accessori rispetto alle prestazioni effettivamente rese. Queste sezioni riunite, nel giudizio di parifica dei capitoli concernenti la spesa del personale (per cio' che qui rileva, il cap. U01101.0000, il cap. U01101.0450, il cap. U01101.0030, il cap. U01101.0480 e il cap. U01101.0630) devono decidere dell'applicazione di norme di legge regionale, di cui si contesta la legittimita' costituzionale. Qualora, infatti, fosse acclarata l'illegittimita' delle norme sopra richiamate, rilevanti ai fini del bilancio regionale (in quanto, in particolare, l'art. 4, comma 3, succitato fa salve anche per l'esercizio finanziario 2017 le trasformazioni di indennita' in assegno personale fisso e pensionabile per effetto di disposizioni contrattuali), le corresponsioni dei relativi importi a dipendenti regionali, alla cessazione degli incarichi di preposizione, risulterebbero prive di copertura normativa sostanziale, con possibilita' di non parificare i relativi capitoli, attesa la nullita' delle disposizioni dei contratti collettivi. Le indicate criticita' sono state rappresentate dal Magistrato istruttore alla Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol con nota prot. n. 563 del 18 giugno 2018, ai fini della discussione delle stesse in udienza camerale con la partecipazione del Procuratore regionale. In occasione della stessa udienza, la regione ha controdedotto alle osservazioni del Magistrato istruttore evidenziando che «la Regione ha adottato la norma in analogia con la PAB [i.e. Provincia Autonoma di Bolzano] ma anche con le disposizioni contrattuali». Dette argomentazioni sono state confermate anche nella nota prot. n. 13041 del 21 giugno 2018. La Procura, intervenendo nell'udienza camerale del 19 giugno 2018 svolta in contraddittorio con l'amministrazione, ha condiviso i dubbi sollevati dal Magistrato istruttore, ritenendo costituzionalmente illegittime le norme di cui all'art. 4, comma 1 e comma 3, della legge regionale n. 11/2017. Inoltre, la Procura, in data 19 giugno 2018 ha depositato la memoria conclusionale con cui ha chiesto di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1 e comma 3, della legge regionale n. 11/2017, «per violazione degli articoli 3, 36, 81, 97 e 117 della Costituzione». Nella pubblica udienza del 28 giugno 2018 il contraddittorio si e' svolto con l'intervento del Magistrato relatore, del Procuratore regionale, che ha confermato oralmente le conclusioni scritte, e del Presidente della Giunta regionale. Con la decisione n. 2/PARI/2018 di pari data e' stato parificato il rendiconto generale della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol per l'esercizio 2017, approvato dalla Giunta regionale in data 26 aprile 2018, ad eccezione, per quel che in questa sede rileva, dei capitoli cap. U01101.0000, il cap. U01101.0450, il cap. U01101.0030, il cap. U01101.0480 e il cap. U01101.0630, sospendendo il giudizio di parifica al fine di sollevare pregiudizialmente questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1 e comma 3, della legge regionale 18 dicembre 2017, n. 11 (legge stabilita' 2018). Considerato in diritto l. Il decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988, n. 305, recante «Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentina-Alto Adige per l'istituzione delle sezioni di controllo della Corte dei conti di Trento e di Bolzano e per il personale ad esse addetto», dispone all'art. 10, comma 1, come cosi' sostituito dall'art. 1, comma 3, del decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 166 che «Il rendiconto generale della Regione e quello delle Province di Trento e di Bolzano sono parificati dalle sezioni riunite nella Regione Trentino-Alto Adige, con un Collegio composto dalle sezioni di controllo delle Province di Trento e di Bolzano in adunanza congiunta». Al giudizio di parificazione del rendiconto si applicano le disposizioni di cui all'art. l, comma 5, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, secondo cui «Il rendiconto generale della regione e' parificato dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti ai sensi degli artt. 39, 40 e 41 del t. u. di cui al r.d. 12 luglio 1934, n. 1214. Alla decisione di parifica e' allegata una relazione nella quale la Corte dei conti formula le sue osservazioni in merito alla legittimita' e alla regolarita' della gestione e propone le misure di correzione e gli interventi di riforma che ritiene necessari al fine, in particolare, di assicurare l'equilibrio del bilancio e di migliorare l'efficacia e l'efficienza della spesa. La decisione di parifica e la relazione sono trasmesse al presidente della giunta regionale e al consiglio regionale». Gli articoli del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti richiamati si riferiscono alla parifica del rendiconto generale dello Stato e disciplinano la procedura del giudizio di parificazione (art. 40), il profilo contenutistico (art. 39) e la contestualizzazione dell'attivita' di parifica con una relazione sul rendiconto (art. 41). Nel corso del giudizio di parifica le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, quali in questa speciale composizione le sezioni riunite, vale a dire il collegio composto dalle sezioni di controllo delle Province di Trento e di Bolzano in adunanza congiunta, svolgono il ruolo di «garante imparziale dell'equilibrio economico finanziario del settore pubblico» che il legislatore ha attribuito alla Corte dei conti e che e' stato confermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 60/2013, nella quale, in linea con la pregressa giurisprudenza, e' stato ribadito che «alla Corte dei conti e' attribuito il controllo sull'equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche a tutela dell'unita' economica della Repubblica, in riferimento a parametri costituzionali (artt. 81, 119 e 120 Cost.) e ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea (artt. 11 e 117, primo comma, Cost.)». Infatti, come puntualizza l'art. 1, comma 1, del citato decreto-legge n. 174/2012, con riferimento al giudizio di parifica, «al fine di rafforzare il coordinamento della finanza pubblica, in particolare tra i livelli di governo statale e regionale, e di garantire il rispetto dei vincoli finanziari derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, le disposizioni del presente articolo sono volte ad adeguare, ai sensi degli articoli 28, 81, 97, 100 e 119 della Costituzione, il controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria delle regioni di cui all'art. 3, comma 5, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e all'art. 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131, e successive modificazioni». 2. Nel corso dell'esame del conto del bilancio del rendiconto generale della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol per l'esercizio 2017, il Magistrato istruttore si e' soffermato, tra l'altro, sulla verifica della spesa del personale, con particolare attenzione ai compensi a titolo di assegni personali, fissi e pensionabili, derivanti dalla trasformazione, alla cessazione dell'incarico, delle indennita' di posizione, erogati a dipendenti regionali in virtu' del previo esercizio di incarichi di preposizione. Dalle risultanze contabili e' emerso che nel 2017 sono state erogate, a tale titolo, risorse per complessivi € 30.122,89, di cui € 19.407,06 sul cap. U01101.0000, € 2.323,49 sul cap. U01101.0450, € 5.845,40 sul cap. U01101.0030, € 699,83 sul cap. U01101.0480 ed € 1.847,11 sul cap. U01101.0630. Sul quadro contabile descritto rilevano due norme regionali, con riferimento al comma l e al comma 3 dell'art. 4 della legge regionale n. 11 del 18 dicembre 2017. 3. Queste sezioni riunite dubitano della legittimita' costituzionale delle predette disposizioni, per contrasto con gli articoli 3, 36, 81, 97, 117, comma 2, lett. l) e o), e 119, comma 1, della Costituzione. Conseguentemente, le sezioni riunite non hanno potuto parificare i capitoli di bilancio n. U01101.0000, n. U01101.0450, n. U01101.0030, n. U01101.0480 e n. U01101.0630, su cui sono imputati i pagamenti per corrispondere detti assegni derivanti dalla trasformazione della retribuzione di posizione e dell'indennita' di direzione. Tuttavia, prima di illustrare la non manifesta infondatezza di tali dubbi, si ritiene necessario soffermarsi preliminarmente sulla legittimazione di questa Corte ad adire il giudice delle leggi, nonche' sulla rilevanza della questione nel giudizio in corso. 4. Per quanto riguarda la legittimazione delle sezioni riunite per la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol a sollevare questioni di legittimita' costituzionale in sede di parificazione del rendiconto, si osserva che questo giudizio si svolge con le formalita' della giurisdizione contenziosa, prevede la partecipazione del Procuratore regionale in contraddittorio con i rappresentanti dell'Amministrazione e si conclude con una pronunzia adottata in esito a pubblica udienza, sicche' la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze nn. 165/1963, 121/1966, 142/1968, 244/1995 e 213/2008) ha riconosciuto «alla Corte dei conti, in sede di giudizio di parificazione del bilancio, la legittimazione a promuovere, in riferimento all'art. 81 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale, avverso tutte quelle disposizioni di legge che determinino effetti modificativi dell'articolazione del bilancio per il fatto stesso di incidere, in senso globale, sulle unita' elementari, vale a dire sui capitoli, con riflessi sugli equilibri di gestione, disegnati con il sistema dei risultati differenziali» (sentenza n. 213/2008). Inoltre, negli anni, si e' formata una pacifica giurisprudenza costituzionale, che ha riconosciuto in capo alle sezioni di controllo la legittimazione a sollevare questioni di legittimita' costituzionale in sede di parifica del rendiconto delle regioni (tra le piu' recenti, sentenze n. 181/2015, n. 107/2016, n. 89/2017). Se, pertanto, appare indubbia la legittimazione di questa Corte a sollevare questioni di legittimita' costituzionale, rilevante e' l'individuazione dei parametri costituzionali che possono fungere da riferimento per l'impugnazione delle norme incidenti sul giudizio di parifica. La risalente giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto la legittimazione al ricorso per contrasto con l'art. 81 della Costituzione delle norme sospette di illegittimita' costituzionale. Il Giudice delle leggi, dopo aver premesso che la Corte dei conti svolge «una funzione di garanzia dell'ordinamento», di «controllo esterno, rigorosamente neutrale e disinteressato preordinato a tutela del diritto oggettivo», ha affermato che «tali caratteri costituiscono indubbio fondamento della legittimazione della Corte dei conti a sollevare questioni di costituzionalita' limitatamente a profili attinenti alla copertura finanziaria di leggi di spesa, perche' il riconoscimento della relativa legittimazione, legata alla specificita' dei suoi compiti nel quadro della finanza pubblica, si giustifica anche con l'esigenza di ammettere al sindacato costituzionale leggi che, come nella fattispecie in esame, piu' difficilmente verrebbero per altra via, ad essa sottoposte» (sentenza n. 226/1976). Proprio in relazione a queste ipotesi la Corte costituzionale ha auspicato (sent. n. 406/1989) che, quando l'accesso al suo sindacato sia reso poco agevole, come accade in relazione ai profili attinenti all'osservanza dell'art. 81 della Costituzione, i meccanismi di accesso debbano essere arricchiti sostenendo, quindi, che la Corte dei conti e' la sede piu' adatta a far valere quei profili essenzialmente finalizzati alla verifica della gestione delle risorse finanziarie, e cio' in ragione della peculiare natura delle sue attribuzioni costituzionali (sentenza n. 384/1991). Peraltro, il parametro di cui all'art. 81 della Costituzione deve oggi essere attentamente modulato in considerazione della nuova formulazione del precetto costituzionale, come modificato dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1. L'art. 81 Cost., nella parte in cui introduce il concetto di equilibrio del bilancio, riconosce rilevanza primaria a un principio, immanente nell'ordinamento finanziario delle amministrazioni pubbliche, consistente nella «continua ricerca di un armonico e simmetrico bilanciamento tra risorse disponibili e spese necessarie per il perseguimento delle finalita' pubbliche» (sentenze n. 70/2012, n. 115/2012, n. 250/2013 e n. 266/2013). Il valore dell'equilibrio dei bilanci presenti e futuri deve essere declinato non secondo una visione statica, cristallizzata con esclusivo riferimento al momento temporale dell'esame del singolo rendiconto, bensi' in una dimensione dinamica e prospettica, in modo assolutamente coerente ed integrato, secondo esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale, attraverso altri parametri costituzionali, quali i citati artt. 3, 36, 117, comma 2, lett. l) e o), e 119, comma 1, Cost., venendo ad assumere consistenza di vera e propria «clausola generale in grado di colpire direttamente tutti gli enunciati normativi causa di effetti perturbanti la sana gestione finanziaria e contabile» (sentenza n. 192/2012; in tal senso anche sentenza n. 184/2016 e n. 274/2017). D'altra parte, il principio di sana gestione finanziaria richiede un atteggiamento prudenziale del legislatore regionale, evitando di costruire gli equilibri del bilancio sulla base di poste prive di una legittima copertura legislativa, con le possibili ripercussioni negli esercizi futuri sulla sana gestione finanziaria e contabile dell'ente pubblico. Sarebbe irragionevole una lettura restrittiva del valore costituzionalmente protetto dell'equilibrio presente e futuro del bilancio, nel senso di valutare la legittimita' costituzionale di norme, solo nella misura in cui impattano su un risultato negativo della gestione finanziaria dell'ente pubblico, e non anche quando, pur in presenza di un saldo positivo, incidono comunque sul dato quantitativo dell'equilibrio attuale e, in una prospettiva futura, potrebbero comportare anche una variazione del segno di detto risultato differenziale, per effetto delle molteplici e non prevedibili variabili del ciclo economico. 5. Non puo', d'altra parte, non rimarcarsi l'onere finanziario derivante da siffatte disposizioni, che possono innescare una dinamica espansiva della spesa di personale, considerato che «la trasformazione di frazioni percentuali della retribuzione accessoria in assegno personale fisso e continuativo, e cioe' in retribuzione fissa, costituisce uno dei principali fattori genetici della crescita della spesa di personale laddove, in occasione della formazione del bilancio, non si tenga debitamente conto della progressiva riduzione delle disponibilita' allocate per le retribuzioni accessorie per effetto di meccanismi automatici di trasformazione di dette disponibilita' a sostegno della componente di spesa costituita dalle retribuzioni fisse e continuative» (Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Trentino-Alto Adige, sede di Bolzano, sentenza n. 52/2017, punto 27 della motivazione). Il solo precetto di cui all'art. 81 Cost. non e', quindi, di per se' sufficiente a garantire la tenuta degli equilibri finanziari, da considerarsi anche in prospettiva futura, ed il rispetto dei principi che regolano la gestione delle risorse pubbliche. Come osservato dalla sezione di controllo per il Piemonte (ordinanza n. 49/2014) e, piu' di recente, dalla sezione di controllo per la Liguria (ordinanza n. 34/2017), in ordinanze di rimessione alla Corte di questioni di legittimita' costituzionale, le valutazioni relative all'esatta individuazione dei parametri costituzionali - per lungo tempo limitati all'art. 81 - devono oggi essere «adeguate al mutato quadro dell'ordinamento costituzionale [ ... ] mentre al momento delle pronunzie sopra richiamate l'unica norma della Costituzione in materia di finanza pubblica era costituita dall'art. 81 e dalla legge costituzionale n. 3/2001». La sezione piemontese ha, infatti, inteso ricomprendere tra i parametri costituzionali anche altre norme, quali l'art. 119 e l'art. 97 della Costituzione con riguardo, tra l'altro, al coordinamento della finanza pubblica e all'equilibrio dei bilanci. Ma il ragionamento e' stato sviluppato ancor piu' dai giudici liguri secondo i quali possono ed anzi devono essere evocate tutte quelle norme costituzionali che, in modo diretto o indiretto, involgono la materia della finanza pubblica, apprestando tutela alle risorse pubbliche ed alla loro corretta utilizzazione. Nel caso di specie, la Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, legiferando in una materia riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ha determinato un aumento della spesa del personale che costituisce il piu' importante aggregato della spesa corrente, con la conseguenza che le disposizioni relative al suo contenimento assurgono a principio fondamentale della legislazione statale. E non solo con riferimento a tetti di spesa e limiti alla stessa, ma anche in termini di violazione di norme imperative che pongono, con immediata forza precettiva, chiare regole di corrispettivita' tra retribuzione e prestazioni effettivamente rese. 6. Infine, questo Collegio non puo' non condividere quanto gia' osservato dalla sezione di controllo per il Piemonte e dalla sezione di controllo per la Liguria, laddove, nelle ordinanze di remissione prima menzionate, hanno evidenziato come il giudizio di parificazione, allo stato della legislazione vigente, sia l'unica possibilita' offerta dall'ordinamento per sottoporre a scrutinio di costituzionalita' in via incidentale, in riferimento ai principi costituzionali in materia di finanza pubblica, le disposizioni legislative che, incidendo sui singoli capitoli, modificano l'articolazione del bilancio e ne possono alterare gli equilibri complessivi. Conseguentemente, ove si escludesse la legittimazione di questa Corte a sollevare questioni di costituzionalita' in riferimento ai parametri sopra individuati, si verrebbe a creare, di fatto, una sorta di spazio legislativo immune dal controllo di costituzionalita' attivabile in via incidentale, laddove la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto la legittimazione della sezione di controllo a sollevare questioni di legittimita' costituzionale anche in relazione all'esigenza di assicurare al sindacato della Corte costituzionale leggi regionali che, come nella fattispecie in esame, piu' difficilmente verrebbero, per altra via, ad essa sottoposte (Corte costituzionale sentenza n. 226/1976). Ritengono, pertanto, queste sezioni riunite di essere legittimate a sollevare questioni di legittimita' costituzionale, non solo con riferimento all'art. 81 della Costituzione, ma anche con riferimento, nel caso di specie, agli artt. 3, 36, 81, 97, 117, comma 2, lett. l) e o), e 119, comma 1, della Costituzione. 7. La questione di costituzionalita' che si intende sollevare e' rilevante nel presente giudizio. Come disposto dall'art. 39 del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti (regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214), al quale l'art. 1, comma 5, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 rinvia, l'oggetto del giudizio di parifica e' il seguente: «La Corte verifica il rendiconto generale dello Stato e ne confronta i risultati tanto per le entrate, quanto per le spese, ponendoli a riscontro con le leggi del bilancio. A tale effetto verifica se le entrate riscosse e versate ed i resti da riscuotere e da versare risultanti dal rendiconto, siano conformi ai dati esposti nei conti periodici e nei riassunti generali trasmessi alla Corte dai singoli ministeri; se le spese ordinate e pagate durante l'esercizio concordino con le scritture tenute o controllate dalla Corte ed accerta i residui passivi in base alle dimostrazioni allegate ai decreti ministeriali di impegno ed alle proprie scritture. La Corte con eguali accertamenti verifica i rendiconti, allegati al rendiconto generale, delle aziende, gestioni ed amministrazioni statali con ordinamento autonomo soggette al suo riscontro». La Corte costituzionale, con la sentenza n. 213/2008, ha affermato la legittimazione della Corte dei conti in sede di giudizio di parificazione a sollevare questione di legittimita' costituzionale «avverso tutte quelle disposizioni di legge che determinino effetti modificativi dell'articolazione del bilancio per il fatto stesso di incidere, in senso globale, sulle unita' elementari, vale a dire sui capitoli, con riflessi sugli equilibri di gestione, disegnati con il sistema dei risultati differenziali». Nel caso di specie, le norme di cui si sospetta l'illegittimita' costituzionale incidono sull'articolazione della spesa e sul quantum della stessa, poiche' determinano un effetto espansivo della spesa, anche in prospettiva futura, mediante un aumento delle risorse destinate al trattamento accessorio, con cui la regione retribuisce soggetti che non svolgono piu' gli incarichi di preposizione in relazione ai quali quelle somme erano corrisposte. Difatti, nel momento in cui queste sezioni riunite, nell'ambito del giudizio di parifica, devono prendere in esame i capitoli destinati al pagamento del trattamento accessorio, dovrebbero dare applicazione a norme regionali della cui legittimita' costituzionale si dubita. Pertanto, vi sarebbe una copertura della spesa meramente formale, ma non sostanziale. Qualora fosse acclarata l'illegittimita' costituzionale di una norma che rileva ai fini del bilancio regionale, le spese sostenute per la corresponsione di detti assegni sarebbero prive di copertura sostanziale, con conseguente violazione del precetto costituzionale di cui all'art. 81, comma 4 (oggi comma 3), Cost. 8. Inoltre, ad ulteriore conferma dell'incidenza delle ridette disposizioni regionali sugli equilibri di bilancio e sui «risultati differenziali», deve essere evidenziato che la Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol non ha rispettato, nell'esercizio oggetto di verifica della Corte dei conti (2017), il c.d. pareggio di bilancio (saldo di bilancio) di cui all'art. l, comma 463, della legge n. 232/2016, conseguendo un differenziale tra entrate e spese finali negativo per circa -115 milioni di euro. Si evidenzia, altresi', che l'incidenza sul bilancio regionale di detti assegni e' potenzialmente maggiore rispetto all'importo di € 30.122,98, per il quale non e' stato parificato il rendiconto. Infatti, come comunicato dalla regione con nota prot. n. 13041 del 21 giugno 2018, «l'importo impegnato e pagato nell'anno 2017 (in conto competenza) per la quota trasformata gradualmente in assegno personale pensionabile ammonta complessivamente ad € 333.149,63 (inclusi oneri riflessi) [Omissis]. Del suddetto importo € 30.122,89 (inclusi oneri riflessi) sono stati corrisposti a titolo di assegno personale a dipendenti che nel corso del 2017 non hanno ricoperto incarichi di direzione/dirigenziali». Pertanto, la verifica della spesa del personale nell'ambito del giudizio di parifica, con riferimento alle fattispecie evidenziate, consente a queste sezioni riunite di ergersi a garante imparziale dell'equilibrio economico - finanziario attuale e prospettico del settore pubblico che il legislatore ha attribuito alla Corte dei conti. In tal senso, si giustifica una parifica parziale con esclusione, quindi, delle poste di spesa esaminate. Nella fattispecie de qua, la parifica dei capitoli di spesa n. U01101.0000, n. U01101.0450, n. U01101.0030, n. U01101.0480 e n. U01101.0630 comporta l'applicazione dell'art. 4, comma 1 e comma 3, della legge regionale n. 11 del 18 dicembre 2017. Ne deriva, in ordine al requisito della rilevanza, che queste sezioni riunite, se non dubitassero della legittimita' costituzionale delle citate disposizioni regionali, dovrebbero necessariamente parificare i suddetti capitoli di bilancio. Questo Collegio ritiene, quindi, di non poter applicare norme regionali di cui sospetta l'illegittimita' costituzionale e, conseguentemente, di non poter parificare i capitoli di spesa richiamati. Appare, pertanto, rilevante nel giudizio de quo (e non manifestamente infondata, come si vedra' al punto seguente), la questione di legittimita' costituzionale sollevata in rapporto agli articoli 3, 36, 81, 97 e 117, comma 2, lett. l) e o), e 119, comma l, della Costituzione. 9. Quanto alla non manifesta infondatezza, queste sezioni riunite dubitano, innanzitutto, della legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma l e comma 3, della legge regionale n. 11 dell8 dicembre 2017 per contrasto con l'art. 3 e con l'art. 117, comma 2, lettera l), della Costituzione, sotto un duplice profilo. Le disposizioni della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, qui oggetto di scrutinio, disciplinano un aspetto della retribuzione dei dipendenti regionali e, per tale assorbente profilo, incide dunque sulla materia «ordinamento civile», riservata alla competenza esclusiva dello Stato la cui regolamentazione deve essere uniforme su tutto il territorio nazionale. Al riguardo, in modo netto statuisce la Corte costituzionale nella sentenza n. 18/2013 censurando una legge regionale (nella specie della Regione Calabria, punto 5.2 del considerato in diritto): «La disciplina del trattamento economico dei dirigenti di area funzionale deve essere ritenuta compresa nella materia dell'ordinamento civile, di competenza esclusiva statale, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.». Cio', di per se', assume una valenza pregnante e comporta l'illegittimita' costituzionale della disposizione regionale oggetto del presente esame. Tra le varie e consolidate sentenze della Corte costituzionale che hanno classificato nell'ambito della materia dell'ordinamento civile la disciplina degli aspetti retributivi del pubblico impiego, appare particolarmente significativo citare la decisione n. 61/2014 intervenuta proprio con riferimento allo speciale ordinamento del Trentino-Alto Adige (la parte ricorrente era la Provincia Autonoma di Bolzano che lamentava la lesione della propria competenza legislativa primaria in materia di «ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetti»). In essa si legge: « ... tale disposizione (art. 9, comma 2, del decreto-legge n. 78/2010, n.d.r.), attenendo alla retribuzione spettante a lavoratori (come i dirigenti della ricorrente Provincia) il cui rapporto e' contrattualizzato, e' riconducibile alla materia dell'«ordinamento civile». La norma, pertanto, e' stata legittimamente emanata dallo Stato nell'esercizio della competenza legislativa esclusiva attribuitagli dall'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (questa Corte ha affermato che il trattamento economico dei dirigenti pubblici e' compreso nella materia dell'«ordinamento civile» gia' nella sentenza n. 18 del 2013)». Prosegue la Consulta con lo scrutinio dell'art. 9, comma 3, del decreto-legge n. 78/2010 affermando che «Tale disposizione, nella parte in cui concerne il personale dirigenziale regionale e provinciale (i cui rapporti di impiego sono tutti contrattualizzati), e' riconducibile alla materia dell'"ordinamento civile" (sentenza n. 173 del 2012). Essa, stabilendo che nei confronti dei titolari di incarichi di livello dirigenziale delle amministrazioni pubbliche non si applicano le disposizioni normative e contrattuali che autorizzano la corresponsione, a loro favore, di una quota dell'importo derivante dall'espletamento di incarichi aggiuntivi, rafforza il principio gia' affermato dall'art. 24 del decreto legislativo n. 165 del 2001, a norma del quale il trattamento economico corrisposto ai dirigenti pubblici remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dirigenti, nonche' qualsiasi incarico ad essi attribuito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall'amministrazione presso cui prestano servizio o su designazione della stessa. Si tratta di disciplina diretta a conformare due degli istituti del rapporto di lavoro che lega i dirigenti alle pubbliche amministrazioni di appartenenza: il trattamento economico e il regime di esclusivita'». Ad analoghe conclusioni sono pervenute anche varie altre decisioni della Corte costituzionale (cfr. sentenze n. 160/2017, n. 72/2017, n. 211/2014, n. 201/2013, n. 286/2013, n. 225/2013, n. 290/2012, n. 215/2012, n. 339/2011, n. 77/2011, n. 332/2010 e n. 151/2010). 10. D'altra parte, neppure le particolari prerogative autonomistiche riconosciute dallo Statuto speciale per il Trentina-Alto Adige (decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670) e dalle relative norme di attuazione (in particolare il decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266) consentono di superare o derogare la competenza esclusiva dello Stato nella materia in esame (ordinamento civile), come peraltro gia' evidenziato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 61/2014. Dispone infatti l'art. 4 dello Statuto di autonomia che «In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali - tra i quali e' compreso quello della tutela delle minoranze linguistiche locali - nonche' delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, la Regione ha la potesta' di emanare norme legislative nelle seguenti materie: 1) ordinamento degli uffici regionali e del personale ad essi addetto». Sono quindi fissati dallo Statuto chiari limiti alla potesta' legislativa «primaria» della regione, anche nella materia «ordinamento degli uffici regionali e del personale», che, in particolare, richiama il legislatore regionale (e provinciale) al rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica ed impone l'armonia con la Costituzione ed i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica. In tal senso, anche il decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonche' la potesta' statale di indirizzo e coordinamento) all'art. 2 (Rapporti tra legislazione statale e legislazione regionale) dispone esplicitamente l'obbligo per il legislatore regionale (e provinciale) di adeguare la propria legislazione ai principi e alle norme costituenti i limiti indicati dal ridetto art. 4 dello Statuto speciale. Testualmente, cosi' recita l'art. 2 del decreto legislativo n. 266/1992: «1. [Omissis] la legislazione regionale e provinciale deve essere adeguata ai principi e norme costituenti limiti indicati dagli articoli 4 e 5 dello Statuto speciale e recati da atto legislativo dello Stato entro i sei mesi successivi alla pubblicazione dell'atto medesimo nella Gazzetta Ufficiale o nel piu' ampio termine da esso stabilito. Restano nel frattempo applicabili le disposizioni legislative regionali e provinciali preesistenti». In tale prospettiva, appare quindi rilevante richiamare i «principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica» e le «norme fondamentali di riforma economico sociale della Repubblica» che hanno regolato la materia in esame. Assumono quindi rilevanza le disposizioni recate dalla legge 23 ottobre 1992, n. 421 (delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanita', di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), secondo cui all'art. 2, comma 1, lettera o), «1. Il Governo della Repubblica e' delegato a emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge uno o piu' decreti legislativi, diretti al contenimento, alla razionalizzazione e al controllo della spesa per il settore del pubblico impiego, al miglioramento dell'efficienza e della produttivita', nonche' alla sua riorganizzazione; a tal fine e' autorizzato a: [. .. ] o) procedere alla abrogazione delle disposizioni che prevedono automatismi che influenzano il trattamento economico fondamentale ed accessorio, e di quelle che prevedono trattamenti economici accessori, settoriali, comunque denominati, a favore di pubblici dipendenti sostituendole contemporaneamente con corrispondenti disposizioni di accordi contrattuali anche al fine di collegare direttamente tali trattamenti alla produttivita' individuale e a quella collettiva ancorche' non generalizzata ma correlata all'apporto partecipativo, raggiunte nel periodo, per la determinazione delle quali devono essere introdotti sistemi di valutazione e misurazione, ovvero allo svolgimento effettivo di attivita' particolarmente disagiate ovvero obiettivamente pericolose per l'incolumita' perso dannose per la salute; prevedere che siano comunque fatti salvi i trattamenti economici fondamentali ed accessori in godimento aventi natura retributiva ordinaria o corrisposti con carattere di generalita' per ciascuna amministrazione o ente; prevedere il principio della responsabilita' personale dei dirigenti in caso di attribuzione impropria dei trattamenti economici accessori». In particolare, il successivo art. 2, comma 2, qualifica espressamente le disposizioni recate dal testo di legge e dai relativi decreti delegati, imponendone la natura di «principi fondamentali» (ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, testo previgente) e di «norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica». Testualmente cosi' recita l'articolo, riferendosi proprio alle regioni a Statuto speciale ed alle province autonome: «2. Le disposizioni del presente articolo e dei decreti legislativi in esso previsti costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione. I principi desumibili dalle disposizioni del presente articolo costituiscono altresi' per le Regioni a Statuto speciale e per le Province Autonome di Trento e di Bolzano norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica». Analogamente, l'art. 1, comma 3, del decreto legislativo n. 165/2001, attuativo del citato art. 2 della legge n. 421/1992, dispone quanto segue: «Le disposizioni del presente decreto costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione. Le Regioni a Statuto ordinario si attengono ad essi tenendo conto delle peculiarita' dei rispettivi ordinamenti. I principi desumibili dall'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e successive modificazioni, e dall'art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni ed integrazioni, costituiscono altresi', per le Regioni a Statuto speciale e per le Province Autonome di Trento e di Bolzano, norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica». Ne deriva che l'art. 4, comma 1 e comma 3, della legge regionale n. 11 del 18 dicembre 2017, oltre ad aver preteso di disciplinare una materia di esclusiva competenza statale (ordinamento civile), ha pure violato i limiti recati dal ridetto art. 4 dello Statuto di autonomia. 11. Ancora, la qualificazione delle disposizioni statali citate quali «principi fondamentali» e «norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica» e' idonea a determinare altresi' la violazione dell'art. 3 della Costituzione (principi di uguaglianza e ragionevolezza), nella parte in cui l'art. 4 della legge regionale n. 11/2017 consolida un ordinamento del tutto sui generis per i dipendenti della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige che, diversamente da tutti i dipendenti pubblici del restante territorio nazionale, mantengono la retribuzione di posizione e l'indennita' di direzione (dal 1° gennaio 2018 l'indennita' di posizione) anche se non ricoprono piu' le pertinenti posizioni apicali dirigenziali o direttive. E' ben noto, per essere stato anche piu' volte riaffermato da codesta Ecc.ma Corte (Corte costituzionale, sentenza n. 151/2010) che la disciplina del rapporto di lavoro del dipendente pubblico, anche regionale - ora contrattualizzato - rientra appunto nella materia dell'ordinamento civile. Detta disciplina, ad evitare ingiustificate disparita' di trattamento tra i dipendenti di diversi soggetti pubblici datoriali, deve essere «uniforme sul territorio nazionale e imporsi anche alle regioni a Statuto speciale» (Corte costituzionale, sent. cit.). A tale esigenza di uniformita' si ispira evidentemente l'espressa previsione contenuta nel ridetto art. 1, comma 3, del decreto legislativo n. 165/2001, secondo la quale i principi desumibili dalla legge di delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanita', di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale (legge n. 421/1992 cit., art. 2, comma 1, lett. d e comma 2) «costituiscono [Omissis] per le regioni a Statuto speciale e per le Province Autonome di Trento e di Bolzano, norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica». Orbene, nel regolare questa peculiare conservazione da parte del dipendente pubblico di indennita' legate alle funzioni e responsabilita' dell'incarico precedentemente rivestito, le norme regionali si pongono in contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento e le ore menzionate «norme fondamentali». 12. Sempre con riferimento all'art. 2 della legge n. 421/1992 ed al conseguente art. 7, comma 5, del decreto legislativo n. 165/2001 in base al quale «Le amministrazioni pubbliche non possono erogare trattamenti economici accessori che non corrispondano alle prestazioni effettivamente rese» va evidenziato che lo Stato, ponendo i basilari fondamenti normativi per coordinare la finanza pubblica (art. 117, comma 3, Cost.) - incluse le norme generali sul trattamento economico dei pubblici impiegati - sia titolare della relativa potesta' proprio al fine dell'esercizio della suddetta funzione di coordinamento finanziario, anche in chiave di controllo ed indirizzo degli effetti economici derivanti dalle norme in tema di finanza pubblica. Appare, pertanto, chiaro il senso del divieto, imposto dal legislatore con la legge n. 421/1992 e con il decreto legislativo n. 165/2001, di automatismi che influenzano il trattamento economico fondamentale ed accessorio, e del correlativo obbligo di collegare i trattamenti economici alla produttivita' individuale «per modo che a fronte della prestazione (aumento retributivo fisso od accessorio) corrisponda, secondo l'operare del sinallagma, una controprestazione economicamente valutabile, qual e' l'incremento della produttivita'. Nella fattispecie in esame la trasformazione di una quota di indennita' in assegno personale pensionabile fisso e continuativo comporta, invece, l'attribuzione al dipendente, all'atto della cessazione dell'incarico dirigenziale o di coordinamento, di un incremento automatico della retribuzione fondamentale, spesa priva di utilita' per l'amministrazione, in quanto non correlata ad alcun incremento della prestazione resa, ma, al contrario, alla sua diminuzione quantitativa e qualitativa, svolgendo, il dipendente che e' cessato dalle funzioni dirigenziali, le ordinarie mansioni di funzionario. Infatti, in assenza della carriera dirigenziale, le funzioni di dirigente sono assegnate a funzionari dell'amministrazione provinciale che, al termine delle stesse, tornano ad essere funzionari ed a svolgere le correlate mansioni. In tal senso si e' pronunciata la sezione giurisdizionale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol, sede di Bolzano, con la sentenza del 15 dicembre 2017, n. 52, in ordine a una fattispecie di responsabilita' per danno erariale nei confronti dei componenti della delegazione pubblica, firmatari dei contratti collettivi vigenti per la Provincia Autonoma di Bolzano (analoghi contratti collettivi sono in vigore anche per la Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol), che disciplinavano il meccanismo della trasformazione delle indennita' erogate in assenza del relativo incarico. 13. Nei termini appena prospettati, le norme censurate con la presente ordinanza si pongono altresi' in contrasto con i principi costituzionali dell'imparzialita' e del buon andamento, declinato come economicita', efficienza ed efficacia (art. 97, comma 2, Cost.), nonche' di quello della proporzionalita' della retribuzione rispetto «alla quantita' e alla qualita' dell'attivita' prestata» (art. 36, comma 1, Cost.). In particolare, il concetto di giusta retribuzione di cui all'art. 36 della Costituzione, che, interpretato inizialmente come norma meramente programmatica, ha assunto negli anni una valenza di norma immediatamente precettiva, deve essere inteso non solo nel senso di garanzia di uno standard minimo di retribuzione per il lavoratore, ma anche come fonte di un divieto di erogare nel rapporto di lavoro pubblico (la cui disciplina e' permeata dall'esigenza di un uso rigoroso del denaro della collettivita', in conformita' al canone costituzionale di economicita', efficienza ed efficacia dell'azione della pubblica amministrazione) incrementi retributivi sulla base di meri meccanismi automatici privi di ogni correlazione con l'attivita' effettivamente prestata. 14. D'altro canto, il principio di effettivita' delle prestazioni, quale corollario del valore costituzionale di proporzionalita' della retribuzione espresso dall'art. 36 Cost., costituisce una prescrizione generale e di palese evidenza che crea un nesso inscindibile di corrispettivita' tra le funzioni rese e la retribuzione delle stesse. Detto principio viene recepito, come gia' visto, a livello di legislazione statale dall'art. 7, comma 5, del decreto legislativo n. 165/2001, che si configura come norma interposta, secondo cui: «Le amministrazioni pubbliche non possono erogare trattamenti economici accessori che non corrispondano alle prestazioni effettivamente rese». Questo principio e', tra l'altro, costantemente richiamato dalla giurisprudenza amministrativa in materia di indennita' di funzioni dirigenziali. Il Consiglio di Stato ha infatti avuto modo di statuire che: «l'indennita' di funzione dirigenziale e' connessa all'effettivo esercizio delle funzioni e non puo' in nessun caso essere mantenuta e corrisposta ad un dirigente che attraverso un provvedimento di mobilita' (quale, nel caso il comando presso altra amministrazione) venga a perdere l'effettivo esercizio della funzione stessa. [Omissis] Essa ha, quindi, come presupposto che il dirigente sia preposto alla direzione di una struttura, settore o servizio e ha quale causa la remunerazione delle prestazioni svolte quale responsabile della struttura. Non puo', pertanto, essere attribuita in mancanza dell'assegnazione di funzioni di direzione di struttura, settore o servizio.» (Cons. Stato, sezione. V, sentenza n. 6686/2011). Ma anche la giurisprudenza contabile ha in piu' occasioni affermato tali principi. In particolare, appare utile citare la sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale Toscana, n. 523/2009, secondo cui «nell'attuale sistema di pubblico impiego privatizzato le posizioni organizzative si traducono nell'attribuzione (retribuita con specifica indennita') di compiti ad impiegati apicali non dirigenti, che richiedono lo svolgimento di funzioni con assunzione diretta di elevata responsabilita' necessarie o opportune per una migliore gestione organizzativa (Corte conti sezione giurisdizionale Regione Lombardia 10 marzo 2006 n. 172 [Omissis]). E' evidente la distinzione tra trattamento economico fondamentale «emolumento fisso, continuativo, costante e generale» e la natura accessoria di altri emolumenti (nella specie indennita' di posizione) in cui e' evidenziata la finalita' retributiva sulla base degli obiettivi e di altri parametri soggettivi (in termini sezione I centr. 15 luglio 2008 n. 322, sezione giurisdizionale Regione Veneto 7 dicembre 2006 n. 1158 e sezione giurisdizionale Regione Lombardia 8 luglio 2008 n. 457)». 15. Pare utile ricordare che, a livello di dirigenza statale, l'art. 62 del C.C.N.L. della dirigenza dell'area I del 21 aprile 2006, recava la c.d. «clausola di salvaguardia», secondo cui i dirigenti avevano diritto di conservare, in una determinata percentuale, la retribuzione di posizione corrisposta in relazione al precedente incarico, nel caso di attribuzione di incarico di fascia inferiore. Si potrebbe qui riproporre l'efficace espressione utilizzata dalla sezione di controllo per la Regione Sicilia che, nella deliberazione n. 10/2010/prev., ha affermato, sia pure con riferimento ad un contesto normativo differente, che le clausole di salvaguardia avrebbero l'inammissibile effetto di trasformare di fatto un «incarico» in «qualifica». Esattamente come si verifica nel caso dei dipendenti regionali che, pur cessando di ricoprire incarichi apicali, continuano a percepire parte del trattamento economico precedentemente in godimento. Con specifico riferimento alla citata disposizione del C.C.N.L. Dirigenza, la Corte dei conti nel 2009, con la delibera n. 6 della sezione di controllo sulla gestione, intitolata «L'attuazione della clausola di salvaguardia di cui all'art. 62, comma 2, del C.C.N.L. relativo al personale dirigenziale dell'area I», aveva sottolineato la necessita' di provvedere «al piu' presto alla cancellazione del [ ... ] art. 62 dall'ordinamento», rappresentando quanto segue: «E', dunque, innegabile che la disposizione del Contratto collettivo, interrompendo il nesso esistente tra incarico e retribuzione spettante, abbia fortemente inciso sul rapporto sinallagmatico tra «funzioni attribuite e connesse responsabilita'» voluto dal legislatore e stigmatizzato dall'art. 24 del decreto legislativo n. 165 del 2001 immettendo, come gia' evidenziato dalle sezioni riunite, una sorta di "divieto di reformatio in peius", in palese contrasto anche con l'ultimo periodo del primo comma del precedente art. 19 che dispone l'inapplicabilita' dell'art. 2103 del codice civile al conferimento degli incarichi ed al passaggio ad incarichi diversi [Omissis] l'art. 62, a sua volta, contrasta con l'art. 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001, il cui primo comma, com'e' noto, sancisce l'inapplicabilita' dell'art. 2103 del codice civile al conferimento degli incarichi, ed il cui secondo comma richiama il successivo art. 24, che impone la correlazione tra trattamento economico accessorio da un lato, e funzioni attribuite e connesse responsabilita', dall'altro. Tali norme, in virtu' del comma 12-bis, introdotto nel primo dei citati articoli dalla legge n. 145 del 2002, sono da ritenere inderogabili dai contratti collettivi. Si tratta di norme di particolare rilevanza, che, fra l'altro, non possono essere violate dalla contrattazione collettiva in forza del comma 12-bis del medesimo art. 19, che, introdotto dall'art. 3, comma 1, lett. n) della legge n. 145 del 2002, ha rafforzato tutte le disposizioni dettate nel testo dell'articolo, e in quelli ivi richiamati, prevedendone l'inderogabilita' da parte della contrattazione collettiva». Detta clausola di salvaguardia risulta oggi eliminata per effetto dell'art. 9, comma 32, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, secondo cui: «A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento le pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 che, alla scadenza di un incarico di livello dirigenziale, anche in dipendenza dei processi di riorganizzazione, non intendono, anche in assenza di una valutazione negativa, confermare l'incarico conferito al dirigente, conferiscono al medesimo dirigente un altro incarico, anche di valore economico inferiore. Non si applicano le eventuali disposizioni normative e contrattuali piu' favorevoli». 16. Il contrasto delle norme oggetto di scrutinio con l'art. 117, comma 2, lett. l), della Costituzione si apprezza anche sotto un secondo profilo. Infatti, a seguito della privatizzazione del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, la materia in esame rientra, come e' gia' stato sopra evidenziato, nell'ambito dell'ordinamento civile riservato allo Stato ai sensi dell'art. 117, comma 2, lettera l), della Costituzione. Riserva esercitata, nel caso di specie, mediante il decreto legislativo n. 165/2001 che rinvia, al riguardo, alla contrattazione collettiva. Inoltre, secondo il costante orientamento di questa Corte, a seguito della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego - operata dall'art. 2 della legge n. 421/1992, dall'art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa), e dai decreti legislativi emanati in attuazione di dette leggi di delega - la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione e' retta dalle disposizioni del codice civile e dalla contrattazione collettiva. In particolare, dall'art. 2, comma 3, terzo e quarto periodo, del decreto legislativo n. 165/2001 emerge il principio per cui il trattamento economico dei dipendenti pubblici e' affidato ai contratti collettivi, di tal che la disciplina di detto trattamento e, piu' in generale, quella del rapporto di impiego pubblico rientra, si ribadisce, nella materia «ordinamento civile» riservata alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato. In argomento lo Stato risulta essere intervenuto, tra l'altro, adottando l'art. 45 del decreto legislativo n. 165/2001 che ha fissato il basilare principio per cui il trattamento economico fondamentale e accessorio e' definito dai contratti collettivi. Dunque la scelta del legislatore statale, l'unico competente in materia, e' stata quella di sottrarre alla fonte legislativa ogni diretta attribuzione al riguardo, demandando al procedimento di contrattazione, con le correlate garanzie esistenti - anche in ordine alla compatibilita' dei relativi costi e, pertanto, alla sostenibilita' della spesa pubblica - la possibilita' di intervenire anche su eventuali incrementi del trattamento accessorio. Anche la posizione dei dipendenti regionali e' attratta dalla citata disciplina del trattamento economico e giuridico dei dipendenti pubblici, ai sensi dell'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001; per cui anche per il personale delle regioni il rapporto di impiego e' regolato dalla legge dello Stato e, in virtu' del rinvio da questa operato, dalla contrattazione collettiva. La possibilita', pertanto, che con legge regionale si vada a modificare un aspetto fondamentale del rapporto di lavoro subordinato, nell'ambito del pubblico impiego, quale e' l'aspetto retributivo, non risulta affatto ammissibile posto che operando in tale modo si incide in ambito contrattuale, ovvero in un segmento riconducibile all'ordinamento civile, di competenza esclusiva statale, come gia' messo in luce, in piu' occasioni, dalla Corte costituzionale (sentenza 22 dicembre 2011, n. 339). La Corte costituzionale ha, infatti, statuito - occupandosi di una legge regionale che disponeva l'aumento del trattamento economico accessorio - che la norma impugnata «disciplina un aspetto del trattamento economico dei dipendenti della regione, il cui rapporto d'impiego e' stato privatizzato (ex plurimis: sentenza n. 77 del 2011, punto 3 del considerato in diritto), sicche' rientra nella materia dell'ordinamento civile, come si desume, del resto, dall'art. 45, comma 1, del citato decreto legislativo n. 165 del 2001, con conseguente violazione dell'art. 117, comma 2, lettera l), Cast.» (Corte costituzionale, sentenza n. 339/2011). La contrattazione collettiva non puo', comunque, mai porsi in contrasto con i principi fondamentali dettati dalla Costituzione e dalle leggi, ivi compresi i vincoli imposti per fini di controllo della spesa pubblica, ai sensi dell'art. 8 del decreto legislativo n. 165/2001, i cui precetti, quale quello della correlazione del trattamento economico accessorio all'effettivita' delle prestazioni rese, «costituiscono disposizioni a carattere imperativo», ai sensi dell'art. 2, comma 2. 17. In tal senso, occorre richiamare gli ultimi tre giudizi di parifica (per gli esercizi finanziari 2014, 2015 e 2016), nei quali queste sezioni riunite hanno dichiarato la nullita' di disposizioni di contratti collettivi di intercomparto e di comparto per la Provincia Autonoma di Bolzano, analoghi ai contratti collettivi in vigore per il personale della Regione. Si poneva, difatti, «la questione della compatibilita' delle suddette norme di contrattazione collettiva col divieto di erogare trattamenti economici accessori che non corrispondano alle prestazioni effettivamente rese, come da disposizione di cui all'art. 7, comma 5, del decreto legislativo n. 165/2001 [Omissis]. Le attuali previsioni contrattuali, limitatamente alle indennita' corrisposte ai funzionari senza incarico dirigenziale, paiono affette da nullita' alla luce del principio espresso dal richiamato art. 7, comma 5, del decreto legislativo n. 165/2011, [Omissis] con disposizione che ai sensi dell'art. 1, comma 3, del citato decreto costituiscono principio fondamentale ai sensi dell'art. 117 della Costituzione. Infatti, il comma 3-quinquies dell'art. 40 del medesimo decreto legislativo, prevede espressamente il divieto per le pubbliche amministrazioni di ...sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con i vincoli e con i limiti risultanti dai contratti collettivi nazionali o che disciplinano materie non espressamente delegate a tale livello negoziale ovvero che comportano oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Nei casi di violazione dei vincoli e dei limiti di competenza imposti dalla contrattazione nazionale o dalle norme di legge, le clausole sono nulle, non possono essere applicate [Omissis]». E ancora «Il Giudicante, nel prendere atto che la materia e' stata ora ridisciplinata con norma che appare confliggere con la competenza esclusiva dello Stato in materia, non ritiene di poter esprimere un giudizio positivo in ordine alla regolarita' degli impegni e dei pagamenti effettuati nel corso del 2014, relativamente alle sole indennita' corrisposte in assenza di incarico dirigenziale» (pag. 199 e ss. della Relazione sul rendiconto generale della Provincia Autonoma di Bolzano - esercizio finanziario 2014). 18. Per dette ragioni appare possibile anche un conflitto delle disposizioni regionali con l'art. 119 letto in combinato disposto con l'art. 117, comma 3, della Costituzione. Si evidenzia al riguardo che lo Stato, ponendo i basilari fondamenti normativi per coordinare la finanza pubblica, incluse le norme generali sul trattamento economico dei pubblici impiegati, e' titolare della relativa potesta' proprio al fine dell'esercizio della suddetta funzione di coordinamento finanziario, anche in chiave di controllo ed in ogni diretta attribuzione al riguardo dirizzo degli effetti economici derivanti dalle norme in tema di finanza pubblica. Il legislatore statale e' dunque chiamato a porre in essere strumenti efficaci di coordinamento e controllo di tutte le componenti della finanza pubblica, che, senza pregiudicare l'autonomia degli enti territoriali, assicurino tuttavia un'evoluzione delle entrate e delle spese (ivi compresa, soprattutto, la spesa in tema di personale) coerente con gli obiettivi che il Governo e il Parlamento hanno fissato negli strumenti di programmazione economico-finanziaria a livello nazionale e comunitario. Nel caso di specie, infatti, la Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol con propria legge ha incrementato la spesa pubblica in tema di personale, spesa che, secondo la giurisprudenza costituzionale, non e' minuta voce di dettaglio delle spese, ma si presenta come fondamentale aggregato della spesa corrente. In tal senso, emerge con ancor maggior vigore l'importanza che assume il controllo della spesa del personale al fine di conseguire obiettivi di finanza pubblica interni e comunitari. Dunque, le relative disposizioni legislative statali assurgono a principio fondamentale, anche nel quadro dell'art. 117 Cost., atteso il carattere finalistico dell'azione di coordinamento della finanza pubblica (Corte costituzionale, sent. n. 108/2011; cfr. anche la sent. n. 217/2012 e la sent. n. 61/2014). Del resto e' stato affermato, ripetutamente, che i vincoli discendenti da principi di coordinamento della finanza pubblica devono essere rispettati anche dalle regioni ad autonomia speciale (Corte costituzionale, sentenza 18 gennaio 2013, n. 3, in merito a legge della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia). Dunque, se a livello statale sono state disegnate predeterminate regole per la fissazione del trattamento retributivo, anche accessorio, mediante istituti peculiari, quale la contrattazione collettiva, e' evidente che tale meccanismo sia stato disegnato al fine della concreta realizzazione di quel coordinamento voluto dalla Costituzione ed intestato innanzitutto allo Stato e che lo stesso debba essere osservato da parte dei legislatori regionali, posto che altrimenti la finalita' di coordinamento e controllo della spesa pubblica sarebbe frustrata. 19. L'art. 4 della legge regionale n. 11/2017 si appalesa altresi' in contrasto con l'art. 117, comma 2, lett. o), della Costituzione, nella parte in cui prevede al comma 1 la trasformazione delle indennita', alla cessazione dell'incarico, in assegno personale pensionabile in base al sistema retributivo. L'art. 6 dello Statuto speciale vigente per il Trentino-Alto Adige attribuisce alla regione, nelle materie concernenti la previdenza e le assicurazioni sociali, la sola «facolta' di emanare norme legislative allo scopo di integrare le disposizioni delle leggi dello Stato». Conseguentemente, le disposizioni introdotte dall'art. 4 della legge all'esame violano l'art. 117, comma 2, lettera o) della Costituzione, che devolve alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia previdenza sociale. Una simile previsione, del resto, comporta impatti significativi sul meccanismo di calcolo del trattamento di quiescenza non preventivati dal legislatore nazionale al momento della riforma del sistema pensionistico. Tale disposizione, oltre a potere produrre eventuali futuri effetti emulativi, contrasta con l'art. 3 della Costituzione, per violazione del principio di uguaglianza; cio' in quanto il personale di tutte le amministrazioni pubbliche e private si troverebbe di fronte ad una diversita' di trattamento. In tema di previdenza, l'orientamento della Corte costituzionale e' stato omogeneo nel corso degli anni, nella chiara affermazione della esclusiva competenza statale in materia. Da ultimo, con la sentenza n. 98/2013, la Corte ha censurato il legislatore regionale per il fatto di richiamare ed utilizzare «del tutto impropriamente istituti tipici di previdenza sociale, congegnati dallo Stato (nell'esercizio della sua competenza esclusiva) per soddisfare altre finalita'». La Consulta ha contestualmente ribadito che solo lo Stato puo' estendere l'ambito soggettivo e/o oggettivo di applicazione di disposizioni che rientrano in materie di competenza legislativa esclusiva statale, tra cui specificamente quello della previdenza sociale. Tale principio era, tra l'altro, gia' stato affermato nella sentenza n. 325/2011, che censura l'estensione dell'ambito di applicazione della disciplina previdenziale statale relativa al personale delle pubbliche amministrazioni ai dipendenti pubblici nominati assessori regionali, in quanto «non spetta alla legislazione regionale disporre una equiparazione del trattamento previdenziale degli assessori regionali non consiglieri con quello degli assessori che ricoprano la carica di consigliere. Ove tale equiparazione fosse effettuata con legge regionale, come nel caso in esame, non solo si avrebbe una lesione della competenza legislativa esclusiva dello Stato, ma si determinerebbero difformita' nella disciplina del trattamento previdenziale dei dipendenti pubblici da una regione all'altra». Il richiamo alla necessita' di una disciplina inevitabilmente unitaria e' presente anche nella sentenza n. 189/2011, in merito all'equiparazione, ai fini contributivi, al lavoro subordinato del servizio prestato in via precaria dal personale assunto per chiamata fiduciaria nelle segreterie particolari degli amministratori regionali: tale disposizione, nell'attribuire ad un rapporto di lavoro essenzialmente precario una qualificazione di lavoro subordinato, ai fini pensionistici, incide in modo chiaro nella materia della «previdenza sociale» che, in base a quanto disposto dall'art. 117, comma 2, lett. o), Cost., rientra nella competenza esclusiva dello Stato. Gia' con la legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), il sistema previdenziale e' stato ridefinito alla stregua di criteri di calcolo dei trattamenti pensionistici commisurati alla contribuzione. E, successivamente, il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), dispone all'art. 24, comma 2, che «a decorrere dal 1° gennaio 2012, con riferimento alle anzianita' contributive maturate a decorrere da tale data, la quota di pensione corrispondente a tali anzianita' e' calcolata secondo il sistema contributivo». E' di macroscopica evidenza l'illegittimita' costituzionale di una norma che correla il calcolo del trattamento pensionistico delle suddette indennita' dei dipendenti pubblici regionali al sistema retributivo, invece che a quello contributivo, sistema di calcolo quest'ultimo introdotto allo scopo di favorire il riequilibrio finanziario e di rimuovere le sperequazioni e le diseguaglianze provocate dal calcolo retributivo (relazione dell'undicesima Commissione permanente, lavoro e previdenza sociale, al disegno di legge di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare del 1995). Un meccanismo cosi' strutturato entra ulteriormente in conflitto con l'art. 36, comma 1, della Costituzione, norma che si declina anche nel principio di proporzionalita' fra trattamento pensionistico e quantita' e qualita' del lavoro prestato durante il servizio attivo (Corte costituzionale, sentenza n. 82/2017). Ed oltre a cio', la determinazione, ai fini pensionistici, con il sistema retributivo delle indennita' percepite dai dipendenti regionali va inopinatamente ad impattare anche sugli equilibri di bilancio dell'Ente previdenziale del pubblico impiego (Inps) causando un inutile aggravio di spesa pensionistica. 20. Siffatta prospettazione appare ulteriormente corroborata da quanto si legge in una nota dell'agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (nota prot. 2863/07 del 14 marzo 2007), menzionata a pag. 201 della Relazione di queste sezioni riunite sul rendiconto generale della Provincia Autonoma di Bolzano - esercizio finanziario 2014: «L'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, con nota prot. 2863/07 del 14 marzo 2007, indirizzata alla Procura regionale di Bolzano della Corte dei conti, ha osservato - premesso che da una analisi dei testi contrattuali vigenti non risultano in ambito nazionale discipline di contenuto identico o analogo a quelle locali - che " ... come piu' volte evidenziato dall'Inpdap, non spetta alla sede contrattuale esprimere giudizi in ordine alla pensionabilita' o meno dei vari trattamenti economici, in quanto trattasi di un aspetto che rientra nella autonoma capacita' di valutazione e decisione riconosciuto all'ente previdenziale direttamente dalla legge"». 21. Da ultimo, in conformita' alla consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, queste sezioni riunite ritengono di dover verificare se siano possibili ipotesi interpretative delle citate disposizioni regionali che consentano di superare i dubbi di costituzionalita' sopra esposti. Si ritiene, tuttavia, che non vi siano spazi per un'interpretazione costituzionalmente orientata, poiche' qualsivoglia approccio esegetico e' inibito dal carattere perentorio delle disposizioni, alla stregua anche della chiara voluntas legis del legislatore regionale, che detta una disciplina di dettaglio per il futuro e salvaguarda l'assetto contrattuale preesistente, nonche' dalla mancanza nell'ordinamento di norme e principi in grado di consentire di emendare le norme regionali con l'ausilio dell'analogia.
P. Q. M.
La Corte dei conti, Sezioni riunite per la Regione Trentino-Alto
Adige/Südtirol, visti gli articoli 81, 119 e 134 della Costituzione,
l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e l'art.
23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
Visto l'art. 10 del decreto del Presidente della Repubblica 15
luglio 1988, n. 305;
Visto l'art. 1, comma 5, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n.
174, convertito con modificazioni dalla legge 7 dicembre 2012, n.
213;
Solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4,
comma 1 e comma 3, della legge regionale 18 dicembre 2017, n. 11, in
riferimento ai parametri stabiliti dagli artt. 3, 36, 81, 97, 117,
comma 2, lett. l) e lett. o), e 119, comma 1, della Costituzione.
Ordina la sospensione del giudizio per le voci non parificate e
dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per
l'esame della questione.
Dispone che, a cura della Segreteria delle sezioni riunite, ai
sensi dell'art. 23, ultimo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
la presente ordinanza sia notificata al Presidente della Regione
Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e al Procuratore regionale
quali parti in causa e sia comunicata al Presidente del Consiglio
regionale della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol.
Cosi' deciso in Bolzano, nella Camera di consiglio del giorno 28
giugno 2018.
Il presidente: Rössler
L'estensore: Lentini
Depositato in Segreteria l'8 agosto 2018
Il dirigente: Di Marsico
Parte di provvedimento in formato grafico