N. 181 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 gennaio 2018
Ordinanza del 23 gennaio 2018 del Tribunale di Verona nel procedimento civile promosso da Licari Giancarlo contro Banco Popolare S.C.. Procedimento civile - Responsabilita' aggravata - Poteri del giudice in sede di pronuncia sulle spese - Condanna della parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata - Mancata previsione di limiti quantitativi minimi e massimi della condanna. - Codice di procedura civile, art. 96, comma terzo.(GU n.51 del 27-12-2018 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI VERONA Terza Sezione civile Il giudice dott. Massimo Vaccari ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa tra Giancarlo Licari (c.f. LCRGCR67H14H933Z), rappresentato e difeso dall'avv.to Parolari Marco del foro di Pisa, con indirizzo di p.e.c. riportato in atto di citazione; attore; Contro Banco Popolare S.C., (c.f. 03700430238) rappresentata e difesa dall'avv. Zorzi Alberto del foro di Verona, con indirizzo di p.e.c. riportato in comparsa di costituzione e risposta; convenuta. La materia del contendere. Giancarlo Licari, in qualita' di titolare della omonima impresa individuale, ha convenuto in giudizio davanti a questo tribunale il Banco Popolare societa' cooperativa, per sentirlo condannare alla restituzione delle somme indebitamente percepite dal medesimo, e quantificate in complessivi euro 35.420,94, nel corso di un rapporto bancario di conto corrente, da lui intrattenuto con la Cassa di Risparmio di Pisa, Lucca e Livorno poi incorporata nella convenuta, nel periodo dal 31 dicembre 2007 al 23 luglio 2015 (data nella quale la medesima era receduta. A sostegno di tale domanda l'attore ha dedotto che, nel corso del suddetto rapporto, l'istituto di credito aveva applicato interessi passivi ultralegali, non pattuiti e variati unilateralmente, e comunque superiori al tasso soglia, nonche' la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori. Il Licari ha anche lamentato che nel corso del rapporto di conto corrente erano state applicate una commissione di massimo scoperto invalida e costi aggiuntivi determinati da giorni valuta non specificamente pattuiti. La convenuta si e' costituita in giudizio eccependo, in via preliminare di merito, l'estinzione per prescrizione del diritto dell'attore ad ottenere la restituzione di somme non dovute in relazione al contratto di conto corrente. Con riguardo al merito la convenuta ha assunto l'infondatezza delle domande avversarie e ha svolto domanda riconvenzionale di condanna dell'attore al pagamento della somma di euro 31.466,65, quale saldo debitore del predetto rapporto di conto corrente. L'infondatezza degli assunti attorei. Cio' detto con riguardo agli assunti delle parti, deve innanzitutto evidenziarsi la intrinseca, grave contraddittorieta' della prospettazione attorea atteso che il Licari, pur assumendo che il contratto di conto corrente per cui e' causa non era stato stipulato per iscritto (cfr. pagg. 1 e 3 dell'atto di citazione) ha sostenuto l'invalidita' delle clausole di esso che hanno dato luogo agli addebiti contestati (cfr. pag. 4 dell'atto di citazione), cosi postulando che un contratto scritto vi fosse stato. Entrando nell'esame specifico di ciascuno di essi generico risulta quello relativo all'applicazione del meccanismo dei giorni valuta, in difetto della individuazione delle specifiche operazioni che sarebbero state contabilizzate in modo erroneo. A giustificare il rigetto della doglianza relativa alla pretesa applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori e' invece sufficiente la considerazione che il contratto di conto corrente per cui e' causa e' stato stipulato, come ha dimostrato la convenuta producendolo, il 2 aprile 2007 e quindi in data successiva al momento in cui la convenuta ha dato attuazione alla delibera Cicr (cfr. doc. 16). Si noti poi che dal contratto di conto corrente e da quelli di apertura di credito ad esso collegati che l'istituto di credito ha prodotto si evince come il tasso di interesse debitorio e le altre condizioni economiche, comprese la c.m.s., fossero state pattuite. Di questa poi erano state esplicitate anche le modalita' di calcolo. Va poi decisamente disatteso l'assunto attoreo secondo cui tale commissione e' priva di causa poiche' la Suprema Corte le ha attribuito una funzione remunerativa dell'obbligo della banca di tenere a disposizione dell'accreditato una determina somma per un determinato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo (cfr. Cassazione civ. 11772/2002). Medesima sorte merita il rilievo di applicazione di interessi debitori usurari nel corso del rapporto di conto corrente poiche' esso si fonda su criteri non condivisibili. A tale riguardo, occorre innanzitutto osservare che, per il periodo precedente all'entrata in vigore della legge n. 2/09, non si condivide l'assunto teorico attoreo che ricollega il metodo di calcolo del TEG alla diretta applicazione del principio di cui all'art. 644, 4 comma cod. pen., («...per la determinazione del tasso d'interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all'erogazione del credito»), che ricomprende nel calcolo del TEG anche la CMS. Invero, puo' evidenziarsi, criticamente, che tale assunto: 1) porta alla «disapplicazione» delle Istruzioni emanate dalla Banca d'Italia ai sensi dell'art. 2, comma l, della legge n. 108/96, che espressamente escludono la CMS dal computo del TEG prevedendone la rilevazione separata (vedi pgf. C5 delle Istruzioni come periodicamente aggiornate sino al 2009), senza tuttavia considerare che la stessa legge n. 108/96, nel rimettere all'autorita' amministrativa ministeriale il compito del rilevamento periodico dei tassi, esige la rilevazione comparata di operazioni della stessa natura», cioe' di elementi omogenei tra loro, quali non sono gli interessi e la CMS, ove concepita, secondo il modello di tecnica bancaria (ripreso poi anche da Cassazione n. 870/06, che ne ha valorizzato il carattere di remunerazione per la messa disposizione dei fondi indipendente dall'effettivo prelevamento) come «...il corrispettivo pagato dal cliente per compensare l'intermediario dell'onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell'utilizzo dello scoperto del conto» (cfr. Istruzioni Banca d'Italia, nei vari aggiornamenti periodici, sub pgf. C5) e percio' fatta oggetto di autonoma rilevazione «...finalizzata all'enucleazione di una specifica soglia usuraria ad hoc, all'evidente fine di non omogeneizzare categorie di interessi pecuniari finanziariamente disomogenei (si pensi, ad es., a quelli che accedono al mutuo fondiario familiare per l'acquisto della prima casa rispetto a quelli, assai diversi financo sul piano ragionieristico, derivanti da apertura di credito in conto corrente in favore di impresa commerciale») (cfr. Tribunale di Verona, sentenza 3 ottobre 2012); 2) non tiene conto del fatto che, riconosciuta nell'art. 644 una norma penale in bianco suscettibile di eterointegrazione per la determinazione del «...limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari», sono gli stessi decreti ministeriali di rilevazione dei tassi usurari, emessi ai sensi dell'art. 2 della legge n. 108/96 e, quindi, integrativi della stessa norma penale (cfr. art. 644, 3 comma, cod. pen.), che, «legificando» il criterio tecnico della B.I.: a) prevedono espressamente che i tassi non sono comprensivi della commissione di massimo scoperto eventualmente applicata, la quale viene rilevata e pubblicata a parte, come allegato alla tabella dei tassi (cfr. art. 1, comma 2, dei decreti); b) fanno propri i criteri illustrati dalla Banca d'Italia nelle «Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull'usura», che sono elaborate dall'Istituto di Vigilanza non gia' per ragioni interne al sistema bancario o meramente statistiche bensi' proprio nell'ambito del procedimento disciplinato dall'art. 2 della legge n. 108/96; c) ribadiscono che le banche e gli intermediari finanziari, al fine di verificare il rispetto del limite di cui all'art. 2, comma 4, della legge n. 108/96, si attengono ai criteri di calcolo delle Istruzioni della Banca d'Italia (cfr. art. 3, comma 2, dei decreti). Inoltre, la tesi dell'inclusione della CMS nel calcolo del TEG, si pone in aperto contrasto: a) con la ultima parte del comma 2 dell'art. 2-bis della legge n. 2/2009, che, a chiusura del dibattito giurisprudenziale insorto negli anni in materia, ha previsto l'inclusione della CMS nel calcolo del TEG solo a partire dalla data dell'entrata in vigore della legge stessa, confermando per il periodo precedente la disciplina anteriormente in vigore (cfr. l'art. 2-bis, 2 comma, ultima parte, della legge n. 2/2009, secondo cui «Il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, emana disposizioni transitorie in relazione all'applicazione dell'art. 2 della legge 7 marzo 1996, n. 108, per stabilire che il limite previsto dal terzo comma dell'art. 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono usurari, resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verra' effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni»); b) con la prima parte del comma 2 dell'art. 2-bis della legge n. 2/2009, che correlativamente prevede che «Gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell'applicazione dell'art. 1815 del codice civile, dell'art. 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7 marzo 1996, n. 108»). L'applicabilita' nel caso di specie della condanna ex art. art. 96, terzo comma, codice di procedura civile e la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale. Ad avviso di questo giudice nel caso di specie, data l'incosistenza degli assunti attorei, viene in rilievo il disposto dell'art. 96, terzo comma, codice di procedura civile introdotto dalla legge n. 69/2009. Per quanto attiene ai presupposti di applicazione di questa disposizione secondo una tesi l'incipit di essa (le parole «in ogni caso») sarebbe indicativo del suo affrancamento da tutti i presupposti del primo comma, con la conseguenza che la sola soccombenza della parte potrebbe giustificare la sua condanna ai sensi del terzo comma. Tale interpretazione pero', come e' stato osservato da altro orientamento, limita il diritto d'azione e di difesa garantito dall'art. 24 Cost., poiche' implica che l'aver proposto una domanda infondata o l'aver resistito ad una domanda fondata costituisce di per se' un illecito ed una possibile fonte di responsabilita'. Pertanto e' senz'altro di gran lunga preferibile l'opzione interpretativa che riconnette la condanna agli stessi presupposti - fissati nel primo comma - dell'agire o resistere in giudizio con mala fede o colpa grave. In tal modo si ottiene infatti almeno che la condanna derivi da una condotta identificabile a priori e non coincidente con il mero «dato oggettivo» della soccombenza (cfr. sul punto tra le tante, Cassazione 30 novembre 2012, n. 21570). La giurisprudenza di legittimita' ha anche chiarito, gia' con riguardo al primo comma della norma in esame, quali siano i presupposti soggettivi della condotta temeraria, individuandoli nella coscienza dell'infondatezza della domanda o dell'eccezione (mala fede), ovvero nell'ignoranza colpevole in ordine a detta infondatezza (cfr. ex plurimis Cassazione, sez. I, 8 settembre 2003, n. 13071). Ovviamente la mala fede e la colpa grave non possono che essere desunti da comportamenti specifici della parte, secondo un giudizio di inferenza proprio dell'accertamento della sussistenza dei fatti illeciti. Sulla base di tali premesse alcune pronunce, sia di legittimita' che di merito, hanno ricondotto all'ipotesi di cui all'art. 96 codice di procedura civile le iniziative giudiziarie fondate su presupposti giuridici palesemente erronei. In particolare, in questi termini sono state censurate, ad esempio, la proposizione di un regolamento preventivo di giurisdizione senza alcun previo riscontro - nell'esercizio di un minimo di ordinaria diligenza - della propria tesi alla stregua della disciplina positiva (Cass. sez. un., 9 febbraio 2009, n. 3057), Cosi' come la proposizione di un ricorso per cassazione avverso un provvedimento avente contenuto ordinatorio (Cass. civ. sez. un., 24 febbraio 2000, n. 16), o ancora la proposizione di un'azione di riduzione per lesione di legittima da parte della sorella del de cuius (Trib. Bari, 10 maggio 2010, n. 1600). Orbene, anche nel caso di specie gli assunti dell'attore presentano caratteri di palese infondatezza che giustificherebbero la condanna per lite temeraria. Infatti gran parte di essi (quelli relativi all'applicazione di interessi ultralegali e anatocistici, nonche' di commissioni di massimo scoperto non pattuite) sono stati drasticamente smentiti dalla documentazione contrattuale che la convenuta ha prodotto e che l'attore, all'inizio del giudizio, aveva addirittura negato fosse mai esistita. Si noti come, dopo la produzione dei diversi contratti che avevano regolato i rapporti tra le parti, il Licari non li abbia disconosciuti e non abbia pero' avvertito la necessita' di spiegare la sua posizione originaria e nemmeno di adeguare le proprie difese a tale rilevante evenienza. Altri assunti invece, come detto, sono generici (quello sulla applicazione dei giorni valuta) ed altri inconsistenti sotto il profilo giuridico (quello sulla applicazione di interessi usurari). Orbene, a tali conclusioni dovrebbe conseguire, in applicazione del principio di soccombenza, la condanna dell'attore alla rifusione delle spese processuali in favore della convenuta ma anche quella ad una somma equitativamente determinata dal giudice secondo il disposto sopra esaminato. Questo giudice dubita pero' della sua conformita' alle norme costituzionali. I profili di incostituzionalita' della norma. Per coglierli e' necessario innanzitutto individuare la funzione della previsione. Secondo un primo orientamento l'art. 96, comma 3, codice di procedura civile prevede una vera e propria pena pecuniaria, poiche' la sua applicazione prescinde sia dalla domanda di parte che dalla prova del danno determinato dalla condotta processuale dell'avversario (in questo senso cfr.: Cassazione civ., sez. I, 30 luglio 2010, n. 17902; Cass. civ., sez. 11 febbraio 2014, n. 3003; Cass. civ., sez. III, 14 ottobre 2016, n. 20732; Cassazione civ., sez. III, 29 settembre 2016, n. 19285; Cassazione civ., sez. V, 14 settembre 2016, n. 18057; Cassazione civ., sez. III, 21 luglio 2016, n. 15017; Cassazione civ., sez. lav., 19 aprile 2016, n. 7726; Cassazione civ., sez. I, 8 febbraio 2017, n. 3311; Cassazione 8 gennaio 2018, n. 182). Secondo un altro indirizzo, la condanna officiosa per responsabilita' processuale aggravata, assolve ad una funzione punitivo-indennitaria dell'abuso del processo civile o amministrativo, essendo diretta da un lato a sanzionare e prevenire le liti temerarie e dall'altro ad indennizzare la parte vittoriosa del pregiudizio subito per essere stata coinvolta in un giudizio che non avrebbe dovuto essere promosso. Costituisce espressione assai significativa di tale orientamento la pronuncia 23 giugno 2016, n. 152 della Corte costituzionale che allude in piu' passi alla natura ibrida dell'istituto, evidenziando a tal fine che: esso assolve ad una funzione esclusivamente o prevalentemente sanzionatoria; non ha natura esclusivamente risarcitoria poiche' tutela un interesse che trascende, o non e', comunque, esclusivamente, quello della parte vittoriosa in giudizio; analoga funzione sanzionatoria e, al contempo, indennitaria, e' ravvisabile nella condanna del ricorrente (o resistente) in Cassazione, con colpa grave, prevista dall'abrogato art. 385, comma 4, codice di procedura civile che prevedeva che: «Quando pronuncia sulle spese, anche nelle ipotesi di cui all'art. 375, la Corte, anche d'ufficio, condanna, altresi', la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma, equitativamente determinata, non superiore al doppio dei massimi tariffari, se ritiene che essa ha proposto il ricorso o vi ha resistito anche solo con colpa grave». Rientra a pieno titolo nell'orientamento in esame anche la recentissima pronuncia della Cassazione civile a sezioni unite, 5 luglio 2017, n. 16601, che ha riconosciuto la natura polifunzionale della tutela risarcitoria, poiche' essa puo' assolvere una funzione sanzionatoria, oltre a quella compensativa, e, al contempo, ha incluso la condanna ex art. 96, terzo comma codice di procedura civile, tra le ipotesi, contemplate nel nostro ordinamento, di rimedi risarcitori con funzione non riparatoria o almeno non esclusivamente riparatoria, ma sostanzialmente, o congiuntamente, sanzionatoria (i c.d. danni punitivi). La predetta concorrente finalita', secondo la Suprema Corte, e' pero' ammissibile solo se la fattispecie risarcitoria disciplinata in termini sufficientemente dettagliati da permettere di prevederne le conseguenze anche quantitative e cio', deve ritenersi, al fine di garantire effettivita' alla tutela riparatoria. Sul punto ha infatti osservato che: «Ogni imposizione di prestazione personale esige una "intermediazione legislativa", in forza del principio di cui all'art. 23 Cost., (correlato agli articoli 24 e 25), che pone una riserva di' legge quanto a nuove prestazioni patrimoniali e preclude un incontrollato soggettivismo giudiziario» (cosi' testualmente la sentenza n. 16601/2017). Da tale premessa consegue, in concreto, che, sempre per usare le medesime parole delle Sezioni Unite, a livello normativo «deve esservi precisa perimetrazione della fattispecie (tipicita') e puntualizzazione dei limiti quantitativi delle condanne irrogabili (prevedibilita')». Tipicita' e prevedibilita' costituiscono, pertanto, i presupposti indefettibili affinche' la componente afflittiva del risarcimento possa essere contemplata nell'ordinamento giuridico. Orbene, tali principii vengono in rilievo anche qualora si aderisca all'orientamento che attribuisce alla condanna ai sensi dell'art. 96, terzo comma, codice di procedura civile una funzione esclusivamente sanzionatoria e la norma, valutata alla luce di essi, risulta in contrasto con i parametri costituzionali sopra citati. Infatti se le condotte che integrano responsabilita' processuale aggravata paiono, ad avviso di questo giudice, per le ragioni gia' dette, sufficientemente determinate, mediante il richiamo all'elemento soggettivo che deve connotarle, non altrettanto puo' dirsi per le conseguenze di esse. La norma infatti non contempla limiti quantitativi minimi e massimi che, se devono essere prevedibili e prefissati ex ante per i danni punitivi, a maggior ragione devono esserlo per le pene private. Del resto appare evidente la difformita' sul punto tra il disposto dell'art. 96, terzo comma, codice di procedura civile e la norma che costituisce, indubbiamente, il suo antecedente, ovvero l'art. 385, comma 4, codice di procedura civile, abrogato dalla legge n. 69/2009. Quest'ultimo infatti stabiliva un contenimento del massimo della condanna nel doppio dei massimi tariffari e, se quel limite, o altro simile, fosse stato previsto anche per il quantum della pronuncia ai sensi dell'art. 96, terzo comma, codice di procedura civile, essa sarebbe stata immune dalle censure qui svolte. Va anche evidenziato come l'attuale formulazione della norma determini una estrema incertezza in ordine all'entita' della condanna adottabile, tenuto conto che nella prassi sono stati individuati vari criteri per quantificarla. Infatti secondo un indirizzo occorre far riferimento, a tal fine, ad una percentuale del valore della controversia (Trib. Milano, sez. VIII, 13 giugno 2012); secondo altra opinione la somma puo' essere parametrata all'indennizzo da irragionevole durata del processo (Trib. Roma, 18 ottobre 2006; Tribunale Milano, 22 marzo 2006; Tribunale Modena, 24 aprile 2009, Cassazione, sez. II, 18 febbraio 2011, n. 3993), mentre secondo un ulteriore indirizzo e' determinabile in una percentuale della somma liquidata in concreto a titolo di spese di lite, esclusi gli accessori (Trib. Pordenone, 18 marzo 2011; Tribunale Milano, 25 novembre 2014; Tribunale Milano 21 ottobre 2014; Tribunale Padova 10 marzo 2015 e nella giurisprudenza di legittimita', tra le altre, Cassazione civ. sez. 30 novembre 2012, n. 21570). Non va poi trascurato che alcune decisioni, pur addivenendo a condanne per lite temeraria di importo elevato, non utilizzano un criterio oggettivo per tale quantificazione. Cosi', ad esempio, Cassazione, sez. III civile, 29 settembre 2016, n. 19285, ha affermato come l'unico limite al quantum della sanzione sia costituito dalla equita', da intendersi come sinonimo di ragionevolezza. E' evidente, ad avviso di questo giudice, come questa difformita' di soluzioni, e la conseguente, evidente disparita' di trattamento per situazioni che possono risultare analoghe, finisca per pregiudicare la funzione deterrente dell'istituto, risultando impossibile, a fronte di essa, valutare preventivamente le conseguenze economiche della proposizione di una causa temeraria. E' altrettanto evidente che i limiti quantitativi mancanti non possono essere recuperati in via interpretativa poiche' la fissazione di essi compete al legislatore. La norma risulta quindi in contrasto con gli articoli 23 e 25, comma 2, Cost., che, come chiarito dalla pronuncia della Cassazione a sezioni unite n. 16601/2017, costituiscono i parametri ai quali soggiace ogni imposizione di una prestazione personale.
P.Q.M. dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, dell'art. 96, terzo comma, codice di procedura civile. nella parte in cui non prevede l'entita' minima e quella massima della somma oggetto della condanna, per contrasto con gli articoli 23 e 25, comma 2, Cost.; rimette gli atti del presente giudizio alla Corte costituzionale e dispone la sospensione del procedimento in attesa della decisione nel giudizio ad quem; ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri, al presidente della Camera dei deputati e al presidente del Senato della Repubblica. Verona, 23 gennaio 2018 Il Giudice: Vaccari