N. 239 SENTENZA 25 ottobre - 21 dicembre 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Elezioni - Procedimento per  l'elezione  dei  membri  del  Parlamento
  europeo spettanti all'Italia - Selezione  delle  liste  ammesse  al
  riparto dei seggi - Clausola di sbarramento. 
- Legge 24 gennaio 1979, n. 18 (Elezione dei  membri  del  Parlamento
  europeo spettanti all'Italia), art. 21, primo comma, numeri  1-bis)
  e 2), e art. 22, nel testo risultante  a  seguito  delle  modifiche
  operate dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2009, n. 10  (Modifiche
  alla legge 24 gennaio  1979,  n.  18,  concernente  l'elezione  dei
  membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia). 
-   
(GU n.51 del 27-12-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  21,  primo
comma, numeri 1-bis) e 2), e dell'art. 22, comma 1,  della  legge  24
gennaio 1979, n. 18  (Elezione  dei  membri  del  Parlamento  europeo
spettanti all'Italia), nel testo risultante a seguito delle modifiche
operate dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2009,  n.  10  (Modifiche
alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l'elezione dei  membri
del Parlamento europeo spettanti all'Italia), promosso dal  Consiglio
di Stato, sezione  quinta,  nel  procedimento  vertente  tra  Giorgia
Meloni e altri e l'Ufficio elettorale centrale nazionale e altri, con
ordinanza del  23  agosto  2016,  iscritta  al  n.  93  del  registro
ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 27, prima serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visti gli atti di costituzione di  Giorgia  Meloni  e  altri,  di
Lorenzo Fontana, di Nicola Caputo, del PD  -  Partito  Democratico  e
altri, di Alternativa Popolare gia' Nuovo Centrodestra - NCD, nonche'
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nella udienza pubblica  del  23  ottobre  2018  il  Giudice
relatore Daria de Pretis; 
    uditi gli avvocati Federico Tedeschini e Elisabetta Rampelli  per
Giorgia Meloni e altri, Felice Carlo Besostri  per  Marco  Scurria  e
altro,  Luca  Tozzi  per  Lorenzo  Fontana,   Enzo   Perrettini   per
l'Alternativa  Popolare  gia'  Nuovo  Centrodestra  -  NCD,   Antonio
Lamberti per Nicola Caputo, Vincenzo  Cerulli  Irelli  per  il  PD  -
Partito  Democratico  e  altri,  e  l'avvocato  dello  Stato  Massimo
Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Consiglio di Stato, sezione quinta, ha sollevato questioni
di legittimita' costituzionale  dell'art.  21,  primo  comma,  numeri
1-bis) e 2), e dell'art. 22  della  legge  24  gennaio  1979,  n.  18
(Elezione dei membri del Parlamento  europeo  spettanti  all'Italia),
nel testo risultante a seguito delle modifiche  operate  dall'art.  1
della legge 20 febbraio 2009, n. 10 (Modifiche alla legge 24  gennaio
1979, n. 18, concernente l'elezione dei membri del Parlamento europeo
spettanti all'Italia). Il primo  dei  due  articoli  stabilisce,  per
quanto qui interessa, che  l'Ufficio  elettorale  nazionale:  «1-bis)
individua le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale  almeno
il 4 per cento dei voti validi espressi; 2) procede  al  riparto  dei
seggi tra le liste di  cui  al  numero  1-bis)  in  base  alla  cifra
elettorale nazionale  di  ciascuna  lista».  L'art.  22  dispone  che
«[l]'ufficio   elettorale   circoscrizionale,   ricevute   da   parte
dell'Ufficio  elettorale  nazionale  le  comunicazioni  di   cui   al
penultimo comma del precedente articolo, proclama eletti i candidati,
nei limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha diritto, seguendo  la
graduatoria prevista al numero 4) dell'articolo 20». 
    Piu' precisamente, il rimettente  contesta  la  previsione  della
soglia di sbarramento del  4  per  cento  fissata  per  l'accesso  al
riparto  proporzionale  dei  seggi  nelle  elezioni  dei  membri  del
Parlamento europeo spettanti all'Italia. I parametri evocati sono gli
artt. 1, secondo comma, 3 e 48, secondo comma, della Costituzione. 
    Le questioni sono state sollevate nell'ambito di un  giudizio  in
appello  promosso  da  Giorgia  Meloni  e  altri   contro   l'Ufficio
elettorale centrale nazionale e altri, per la riforma della  sentenza
del Tribunale amministrativo regionale  del  Lazio,  sezione  seconda
bis, 23 novembre 2015, n. 13214. In primo grado i ricorrenti  avevano
impugnato l'atto di proclamazione degli eletti che, sulla base  della
norma censurata, non aveva attribuito alcun  seggio  alla  lista  dei
ricorrenti (Fratelli d'Italia -  Alleanza  nazionale),  benche'  essa
avesse conseguito il 3,66 per cento  dei  voti  a  livello  nazionale
nelle elezioni europee del 25 maggio  2014.  Il  ricorso  si  fondava
sull'asserita incostituzionalita' della soglia di sbarramento  ma  la
citata sentenza del Tar Lazio lo ha respinto. 
    Il giudice a quo ricorda che la soglia di  sbarramento  e'  stata
introdotta nel 2009 sulla  base  del  cosiddetto  Atto  di  Bruxelles
(Allegato alla decisione 76/787/CECA, CEE, Euratom, del Consiglio del
20 settembre 1976, nel testo risultante  a  seguito  della  decisione
2002/772/CE, Euratom, del Consiglio del  25  giugno  2002  e  del  23
settembre 2002), che ha previsto la facolta' degli  Stati  membri  di
introdurre soglie di sbarramento nella misura massima del cinque  per
cento  all'interno  delle  rispettive  legislazioni   nazionali   per
l'elezione dei membri del Parlamento europeo. Osserva inoltre che  la
questione non e' preclusa dai precedenti della Corte  costituzionale.
Secondo il rimettente, la sentenza n. 271 del 2010 non riguardava  la
legittimita' della soglia di sbarramento ma l'impossibilita' - per le
liste che non raggiungono la soglia - di partecipare all'assegnazione
dei seggi attribuiti con il meccanismo dei resti. L'odierna questione
si distinguerebbe anche da quella decisa con la sentenza n.  110  del
2015 perche' non e' sorta nel corso di un'azione di mero accertamento
ma nel corso di un'azione proposta da candidati concretamente lesi di
fronte al giudice munito di giurisdizione sulle elezioni europee. 
    Ancora, il Consiglio di Stato rileva che, se la Corte  annullasse
le norme  censurate  della  legge  n.  10  del  2009,  il  meccanismo
elettorale tornerebbe a essere governato dalle norme originarie della
legge n. 18 del 1979, cioe' da un corpus completo e applicabile. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente ritiene che
la  previsione  della  soglia  di  sbarramento  violi  il   principio
democratico  (art.  1,  secondo  comma,  Cost.),  il   principio   di
ragionevolezza  (art.  3  Cost.)   e   il   principio   di   adeguata
rappresentativita' del voto  (art.  48  Cost.).  Le  norme  censurate
comporterebbero   «una   compressione   dei   principi    di    piena
democraticita' e  pluralismo  del  sistema  rappresentativo  che  non
rinvengono un'adeguata ratio  giustificatrice  nel  perseguimento  di
concomitanti finalita' di interesse generale e che, quindi,  sembrano
travalicare   i   limiti    propri    del    ragionevole    esercizio
dell'interpositio legislatoris». 
    Il giudice a quo richiama la sentenza dello stesso  Consiglio  di
Stato, sezione quinta, 16 agosto 2011, n.  4786,  che  ha  dichiarato
manifestamente  infondata  la  questione  oggi  all'attenzione  della
Corte, osservando che gli argomenti utilizzati  in  quella  pronuncia
non sarebbero condivisibili. Le norme  censurate  comprimerebbero  la
«rappresentativita' democratica» (nel caso delle elezioni  del  2014,
il 6,08 per cento dei voti validamente espressi non si e' tradotto in
una  corrispondente  rappresentanza)   e   cio'   non   si   potrebbe
giustificare con l'«obiettivo di  limitare  la  frammentazione  delle
forze politiche e quindi di garantire  una  maggior  stabilita'  agli
organi  elettivi»,  «stante  l'assenza  di  un  vincolo  propriamente
fiduciario che  caratterizza  i  rapporti  fra  il  Parlamento  e  la
Commissione europea», non potendosi, tra l'altro, assimilare il  voto
di approvazione  di  cui  all'art.  17,  paragrafo  7,  del  Trattato
sull'Unione europea (TUE), firmato a Maastricht il 7  febbraio  1992,
entrato in vigore il 1° novembre 1993, al voto di  fiducia  esistente
nelle  forme  di  governo  parlamentari.   La   compressione   dunque
resterebbe ingiustificata. 
    Il rimettente ricorda inoltre  che  il  Tribunale  costituzionale
tedesco «ha per ben due volte fra il novembre del 2011 e il  febbraio
del 2014 dichiarato la contrarieta' a Costituzione delle disposizioni
nazionali che introducevano una soglia di sbarramento (dapprima nella
misura del 5 per cento e successivamente nella  piu'  ridotta  misura
del 3 per cento) per le elezioni al Parlamento europeo». Il Tribunale
costituzionale tedesco avrebbe affermato che «l'introduzione  di  una
siffatta soglia di sbarramento si pone in contrasto con  il  generale
principio di uguaglianza», nell'ambito di un sistema, quello europeo,
che non presenterebbe il rischio di un «eccessivo  pluralismo».  Tali
decisioni  confermerebbero  che  la  compressione  del  principio  di
rappresentanza popolare non puo' essere ammessa «se non  in  presenza
di valide ragioni giustificatrici». 
    Il giudice a quo sottolinea anche la «diversita' in ambito UE dei
sistemi elettorali per l'elezione dei membri del Parlamento  europeo»
e il fatto che numerosi Stati membri non si sarebbero  avvalsi  della
possibilita' di introdurre una soglia di sbarramento. La  scelta  del
legislatore  italiano  non  sarebbe  dunque   idonea   a   conseguire
l'obiettivo della migliore governabilita', «ostandovi le concomitanti
legislazioni degli altri stati membri i  quali  -  decidendo  di  non
introdurre una siffatta clausola - finiscono per  emulsionare  e  per
rendere inefficace la scelta in tal senso  compiuta  dal  legislatore
nazionale». 
    In  definitiva,  la  previsione  della  soglia   di   sbarramento
contrasterebbe con il principio democratico (art. 1  Cost.),  con  il
principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.)  e  con  il  principio  di
uguaglianza del voto (art. 48, secondo comma, Cost.). 
    2.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata  manifestamente
infondata. 
    In particolare, l'Avvocatura generale ritiene  che  l'apposizione
di una  soglia  di  sbarramento  per  l'accesso  al  Parlamento  (sia
nazionale sia  europeo)  rientri  nella  piena  discrezionalita'  del
legislatore e non risulti manifestamente illogica (sono richiamate in
proposito le sentenze n. 193 del 2015 e n.  35  del  2017  di  questa
Corte). La difesa statale sottolinea come l'ordinanza  di  rimessione
svolga «a piu' riprese [...] valutazioni di opportunita'/merito», che
devono ritenersi precluse in questa sede. 
    In  realta',  anche  per  il  Parlamento  europeo   si   porrebbe
«un'esigenza di efficienza e funzionalita' dei processi decisionali»,
che sarebbe  elusa  da  un'eccessiva  frammentazione  politica  della
rappresentanza italiana in Europa, con possibili conseguenze negative
«sulla  effettivita'  della  partecipazione  degli  esponenti   degli
interessi nazionali al Consesso europeo, nonche'  sull'efficacia  del
Parlamento nello svolgimento delle funzioni ad esso spettanti». 
    La previsione di soglie di sbarramento per l'accesso  al  riparto
dei seggi (nelle  elezioni  politiche,  regionali  e  amministrative)
troverebbe la sua ratio non solo «in un'ottica di governabilita',  ma
anche di razionalizzazione e semplificazione del quadro  politico  ad
ogni livello di governo». Peraltro, la modulazione di tali  soglie  a
seconda del numero dei seggi e del tipo di consultazione rientrerebbe
nella «discrezionalita' e autonomia» del legislatore. 
    In ragione di quanto detto, l'Avvocatura generale ritiene che non
colga nel segno la  considerazione  (svolta  dal  rimettente)  che  i
rappresentanti eletti  al  Parlamento  europeo  sono  «suddivisi  per
gruppi politici e non nazionali» e che quindi i  parlamentari  eletti
in Italia non rappresentano lo  Stato  italiano.  La  difesa  statale
rileva, infatti, che questa «(innegabile) circostanza "organizzativa"
di fatto» non esclude che  i  parlamenti  eletti  in  ciascuno  Stato
membro  siano  anche  esponenti  di   gruppi   territorialmente   ben
individuati, ben potendo quindi influenzare le  decisioni  assunte  a
livello europeo alla luce degli interessi delle realta' locali da cui
provengono. 
    A queste considerazioni l'Avvocatura generale  aggiunge  che,  se
gli eletti non rappresentassero la Nazione di  provenienza  (come,  a
suo dire, sostenuto dal giudice a quo), «la proporzionalita' dovrebbe
[...] essere coerentemente riferita al complessivo  corpo  elettorale
rappresentato dai cittadini europei», con conseguente esclusione  dal
Parlamento europeo dei rappresentanti di Stati  con  una  popolazione
numericamente esigua. 
    La  difesa  statale  rileva,  inoltre,  come  sia  in  atto   una
«modificazione  dell'assetto   europeo   tendenzialmente   volta   ad
avvicinarsi  alle  forme  di  governo  "parlamentari"»,  sulla  linea
tracciata dal Trattato di Lisbona.  Indizi  significativi  di  questa
tendenza  sarebbero  rinvenibili  nel  rafforzamento  delle  funzioni
legislativa,  di  bilancio,  controllo  politico  e  consultiva   del
Parlamento europeo, e soprattutto nella competenza di quest'ultimo  a
eleggere il Presidente della Commissione e ad approvare  una  mozione
di censura alla stessa Commissione. 
    In questa prospettiva  un'eccessiva  frammentazione  dei  partiti
rappresentati   nel   Parlamento   europeo   renderebbe    «oltremodo
difficoltosa» la formazione  di  una  maggioranza  politica,  con  il
rischio   di   una   paralisi   dell'attivita'   dell'Assemblea.   Si
presenterebbero  quindi,  anche  in  questa   sede,   l'esigenza   di
stabilita' dell'organo politico di governo e quella di  funzionalita'
dei processi decisionali  del  Parlamento.  Da  quanto  appena  detto
l'Avvocatura  generale  deduce  che,   in   un   sistema   elettorale
proporzionale, i correttivi per la trasformazione dei voti  in  seggi
sarebbero pressoche' inevitabili e non violerebbero il  principio  di
uguaglianza del voto. 
    Quanto alla considerazione  che  la  mancata  previsione  di  una
soglia di sbarramento da parte di alcuni Stati membri «priverebbe  di
significato e di utilita' il detto  meccanismo»,  la  difesa  statale
osserva che questo argomento prova troppo, anche in ragione del fatto
che l'Atto di Bruxelles non impone alcuna soluzione ma  si  limita  a
prevedere  la  possibilita'  di  introdurre  una  soglia  minima  per
l'attribuzione dei seggi. Peraltro, siffatta soglia e' presente nella
legislazione di molti Stati membri (Austria, Cipro, Francia,  Grecia,
Lettonia, Lituania,  Malta,  Polonia,  Repubblica  Ceca,  Slovacchia,
Svezia). 
    L'Avvocatura   generale   rileva,   ancora,   che   i    principi
costituzionali evocati  come  parametro  riguarderebbero  «l'astratta
possibilita' di esercitare il diritto di elettorato in condizioni  di
parita'  ed  eguaglianza»,  diritto  che  non  sarebbe  inciso  dalle
disposizioni  censurate.  Non  sarebbe  quindi   rinvenibile   alcuna
violazione dell'art. 48 Cost., poiche' il voto  di  ciascun  elettore
sarebbe «"eguale" in quanto "unico", senza che rilevi, all'esito,  il
risultato elettorale», e «libero», in  quanto  non  condizionato  dal
«timore del mancato raggiungimento della soglia da parte della  lista
"preferita"». 
    La difesa statale conclude osservando che non sarebbero  violati:
a) ne' l'art. 1 Cost., perche' «non si e' in presenza di disposizioni
che limitano in modo irragionevole e ingiustificato  il  presidio  di
democraticita' rappresentato dalla  piena  valorizzazione  del  voto,
ne', quindi, il fondamentale principio della sovranita' popolare»; b)
ne' l'art. 3 Cost., perche' non vi e' «un  regolamento  irragionevole
dei diversi interessi e valori, ne' vi  e'  discriminazione  tra  gli
elettori»; c) ne' l'art. 48 Cost., poiche' «la  circostanza  che,  ex
post, alcuni voti espressi "valgano" piu' di altri non  incide  sulla
liberta' ed eguaglianza del voto». 
    3.-  Nel  giudizio  di  legittimita'   costituzionale   si   sono
costituiti alcuni soggetti,  parti  del  giudizio  a  quo,  alcuni  a
sostegno  della  fondatezza  delle  questioni  e  altri   della   non
fondatezza. 
    3.1.- Con atto depositato il 4 luglio 2017 si  e'  costituito  in
giudizio  Lorenzo  Fontana,  candidato  nella  lista   "Lega   Nord",
risultato eletto nelle elezioni europee  contestate  nel  giudizio  a
quo. La parte, dopo aver sottolineato di essersi costituita  sia  nel
giudizio dinanzi al Tar  Lazio  sia  in  quello  dinanzi  all'odierno
rimettente  Consiglio  di  Stato,  chiede  che  le  questioni   siano
dichiarate manifestamente inammissibili e infondate sulla base  delle
seguenti argomentazioni. 
    In primo luogo, la difesa di Fontana eccepisce l'inammissibilita'
delle questioni perche'  queste  sarebbero  sollevate  in  violazione
della discrezionalita' del legislatore. Il giudice  a  quo,  infatti,
avrebbe sindacato una scelta  di  politica  legislativa,  censurabile
solo in caso di manifesta irragionevolezza.  Inoltre,  il  rimettente
avrebbe richiesto una pronuncia sostanzialmente additiva, in  assenza
di una soluzione costituzionalmente orientata. Al riguardo, la  parte
osserva che il Consiglio  di  Stato  non  dubita  della  legittimita'
costituzionale «della imposizione della clausola  di  sbarramento  in
generale», non avendo censurato anche la legge 6 aprile 1977, n.  150
(Approvazione  ed  esecuzione  dell'atto  relativo  all'elezione  dei
rappresentanti nell'assemblea a suffragio universale diretto, firmato
a Bruxelles  il  20  settembre  1976,  allegato  alla  decisione  del
consiglio delle Comunita'  europee,  adottata  a  Bruxelles  in  pari
data), con la quale e' stato recepito nel nostro  ordinamento  l'Atto
di  Bruxelles.  In  questa  prospettiva  il  rimettente   sembrerebbe
dubitare  della   legittimita'   costituzionale   «non   gia'   dello
sbarramento in se'», ma solo della specifica  soglia  di  sbarramento
prevista dall'ordinamento italiano. Da  cio'  la  difesa  di  Fontana
deduce che, anche in caso di accoglimento delle questioni  sollevate,
resterebbe comunque vigente «l'atto normativo primario  che  consente
al legislatore la imposizione dello sbarramento fino al tetto massimo
del   5   per   cento».   Mancherebbe,   dunque,    «una    soluzione
costituzionalmente orientata», non potendo la  Corte  sostituirsi  al
legislatore con una pronuncia sostanzialmente additiva,  come  quella
prospettata dal rimettente. 
    Nell'ipotesi in cui si ritenesse  che  il  giudice  a  quo  abbia
inteso richiedere una pronuncia meramente  ablatoria,  secondo  detta
parte sussisterebbe una seconda ragione di manifesta inammissibilita'
delle     questioni,     rinvenibile     nella     loro     «evidente
contraddittorieta'», derivante  dall'aver  censurato  la  sola  norma
nazionale (legge n. 18 del 1979) e non  anche  quella  sovranazionale
contenuta nell'Atto di Bruxelles (recepito con la citata legge n. 150
del 1977). 
    Nel merito, le questioni sarebbero manifestamente infondate. Dopo
aver  premesso  che   l'introduzione   di   correttivi   al   sistema
proporzionale non costituisce di  per  se'  violazione  dei  principi
democratici del nostro ordinamento, Fontana osserva che la previsione
di una soglia di sbarramento costituisce, di per se', «un sistema che
serve a valorizzare la volonta' elettorale nell'ambito di un  sistema
proporzionale, atteso che consente la formazione di  un  organo  che,
seppur  espressione  dei  partiti  piu'  rappresentativi   su   scala
nazionale, non sia frammentato  al  punto  tale  da  rendere  il  suo
funzionamento difficile e/o impossibile a causa della  necessita'  di
spartire  i   seggi   anche   con   i   partiti   che   abbiano   una
rappresentativita'  solo  circoscrizionale  senza  alcuna   rilevanza
"comunitaria"». 
    Non sarebbe dunque violato il principio di  eguaglianza,  poiche'
tutti i candidati partono da una posizione di perfetta parita'  e  la
differenziazione operata  dal  funzionamento  della  soglia  «non  e'
frutto di una discriminazione legislativa aprioristica ma rappresenta
la conseguenza fisiologica dell'espressione  della  volonta'  sovrana
degli elettori». Ne' sarebbero violati gli artt. 1  e  48  Cost.,  in
quanto «con o senza la clausola di sbarramento» il voto rimarrebbe  a
tutti gli effetti personale, eguale, libero e segreto. 
    La stessa parte  contesta  altresi'  che  la  scelta  legislativa
censurata  sia  irragionevole,  sottolineando  che   «per   il   buon
funzionamento  delle  istituzioni   comunitarie   e'   indispensabile
garantire la stabilita' degli organi elettivi  e  quindi  evitare  la
eccessiva frammentarieta' del  Parlamento  europeo».  A  sostegno  di
questa tesi si adduce il «ruolo sempre piu' centrale» del  Parlamento
europeo e l'esistenza di un rapporto di «gradimento», se non di  vera
e propria  fiducia,  tra  quest'organo  e  la  Commissione.  Inoltre,
l'introduzione  di  una  soglia   di   sbarramento   andrebbe   letta
congiuntamente   all'imposizione   dell'utilizzo   di   un    sistema
proporzionale   e   all'impossibilita'   di   adottare   un   sistema
maggioritario. 
    Privo di rilievo sarebbe  anche  l'argomento  dell'inefficacia  o
dell'inutilita' pratica della soglia di  sbarramento  introdotta  dal
legislatore  italiano,  alla  luce  della   mancata   previsione   di
un'analoga soglia negli altri Stati membri.  In  proposito  la  parte
privata osserva che  analoghe  clausole  sono  previste  in  Francia,
Polonia, Romania, Repubblica Ceca, Grecia, Ungheria, Svezia, Austria,
Slovacchia, Croazia, Lituania, Lettonia e Cipro. 
    Un  ulteriore   argomento   addotto   per   confutare   la   tesi
dell'irragionevolezza   delle   norme   censurate   fa   leva   sulla
constatazione che, a seguito delle elezioni europee del 2014, i seggi
sono stati distribuiti  tra  candidati  di  ben  sette  schieramenti,
restando escluso poco  piu'  del  6  per  cento  dei  voti  su  scala
nazionale.    Cio'    confermerebbe    che    «il    sacrificio    di
rappresentativita' causato dalla soglia di sbarramento in parola» non
e' ne' irragionevole ne' sproporzionato. 
    Da  ultimo,  la  difesa   della   parte   sottolinea   l'assoluta
incongruenza di talune argomentazioni sostenute dagli appellanti  nel
giudizio  a  quo  e   riprese   dal   rimettente.   In   particolare,
l'accostamento tra il numero di voti ottenuto dalla  lista  "Fratelli
d'Italia" e quello dei votanti di alcuni Stati membri, come  Malta  e
Cipro, e' ritenuto «privo di ogni senso logico», posto che si  tratta
di Stati che hanno una popolazione di gran lunga inferiore  a  quella
italiana. Al contrario,  il  numero  di  voti  ottenuti  dalla  lista
"Fratelli  d'Italia"  andrebbe  posto  a  confronto  con  il   numero
complessivo dei voti espressi in Italia. Ne' - sempre a  detta  della
medesima difesa - avrebbe senso discutere di un "diritto di tribuna",
posto che i membri italiani del Parlamento europeo sono una minoranza
nel consesso. Il cosiddetto diritto  di  tribuna  si  trasformerebbe,
pertanto,  nel  «diritto  di  essere  minoranza  all'interno  di  una
minoranza». 
    3.2.- Con atto depositato il 13 luglio 2017 si e'  costituito  in
giudizio Nicola Caputo, candidato nella lista "Partito  Democratico",
risultato eletto nelle elezioni contestate nel  giudizio  a  quo.  La
parte solleva diverse eccezioni di inammissibilita' della  questione.
In primo luogo, essa  sarebbe  «del  tutto  centrale  ai  fini  della
definizione della res controversa» e, dunque, l'eventuale sentenza di
accoglimento della  Corte  sarebbe  «idonea  ad  esaurire  la  tutela
richiesta con conseguente violazione del divieto del ricorso  diretto
di costituzionalita'». La questione sarebbe inoltre inammissibile  in
relazione agli appellanti che  si  sono  qualificati  come  cittadini
elettori, in quanto per  essi  il  vantaggio  connesso  all'eventuale
accoglimento «si limiterebbe alla sola rimozione  delle  disposizioni
censurate dall'ordinamento». La questione sarebbe inammissibile anche
in relazione agli appellanti candidati, in quanto i vantaggi da  essi
auspicati (proclamazione come  eletti  e  conseguimento  del  seggio)
sarebbero  «del  tutto  presunti,  generici  e  senza   una   offerta
dimostrazione». 
    Viene poi riproposta l'eccezione di  difetto  di  interesse  alla
proposizione del  ricorso  davanti  al  TAR,  sulla  base  di  quanto
statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza  n.  1  del  2014.
Tale pronuncia, nell'annullare  in  parte  la  legge  sulle  elezioni
politiche, avrebbe precisato che l'accoglimento  non  incideva  sugli
esiti delle elezioni gia' tenute, che  rappresenterebbero  un  «fatto
concluso». Il  ricorso  al  TAR  sarebbe  stato  inammissibile  anche
perche' mirava  all'annullamento  parziale  delle  elezioni,  mentre,
anche volendo disattendere quanto statuito dalla sentenza  n.  1  del
2014,  la  conseguenza  dovrebbe  essere   quella   dell'annullamento
dell'intera consultazione elettorale. 
    Inoltre, secondo la difesa di Caputo,  poiche'  gli  esiti  delle
elezioni del 2014 non possono essere toccati, la  pronuncia  del  TAR
potrebbe solo accertare il diritto dei ricorrenti di  esercitare  con
certe modalita' il diritto di voto: ma una decisione di  questo  tipo
rientrerebbe nella giurisdizione del giudice ordinario. 
    Ancora, tale parte ripropone le  eccezioni,  gia'  formulate  nel
giudizio di primo grado,  di  tardivita'  del  ricorso  e  di  omessa
impugnazione degli atti di indizione  delle  elezioni  europee  e  di
ammissione delle liste. 
    Nel merito, sostiene che le  questioni  sarebbero  manifestamente
infondate in quanto il rapporto fra Parlamento europeo e  Commissione
sarebbe «certamente agevolato dalla stabilita' ma innanzitutto  dalla
corretta rappresentativita', alla  quale  la  soglia  di  sbarramento
tende».   Infatti,    tale    soglia    garantirebbe    proprio    la
rappresentativita',  introducendo  un  correttivo  al  principio   di
proporzionalita', teso a scongiurare la dispersione  del  voto  e  la
frammentazione  delle   forze   politiche;   la   stabilita'   e   la
governabilita' sarebbero obiettivi solo "mediati". Secondo la  difesa
di Caputo inoltre le decisioni del Tribunale  costituzionale  tedesco
non sarebbero un  idoneo  termine  di  paragone,  per  la  diversita'
dell'ordinamento italiano rispetto a quello tedesco. 
    3.3.- Con atto depositato il 24 luglio 2017  si  sono  costituiti
davanti  alla  Corte  costituzionale  Giorgia  Meloni  e  altri   sei
soggetti: Meloni e altri quattro nella loro qualita' di candidati non
eletti nella lista "Fratelli d'Italia  -  AN"  e  di  elettori  nelle
elezioni europee del 2014, gli altri due nella qualita'  di  elettori
della lista "Fratelli d'Italia - AN" nelle elezioni europee del  2014
(e, nel caso di Marco Marsilio, anche come legale rappresentante  del
movimento politico/associazione non riconosciuta  "Fratelli  d'Italia
Centrodestra nazionale"). 
    Le parti indicate rilevano che le norme censurate ledono il  loro
diritto di voto attivo e passivo e provocano «una  distorsione  nella
rappresentanza dei cittadini italiani», dato che piu' di  un  milione
di elettori di "Fratelli d'Italia - AN" e altri 600.000 elettori  (di
liste che non hanno raggiunto la soglia  di  sbarramento)  non  hanno
alcuna rappresentanza nel Parlamento europeo. Inoltre, osservano  che
l'eventuale   accoglimento    non    comporterebbe    l'invalidazione
dell'intera consultazione elettorale, ma solo il dovere  dell'Ufficio
elettorale nazionale di procedere ad una nuova  ripartizione  tra  le
liste. 
    Dette parti invocano  diverse  norme  della  Costituzione  e  dei
trattati europei, oltre all'art. 3 del  Protocollo  addizionale  alla
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta'  fondamentali,  firmato  a  Parigi  il  20  marzo  1952.  In
particolare,   le   norme   censurate   violerebbero   il   principio
costituzionale di uguaglianza, anche in relazione al premio eccessivo
riservato a certe minoranze linguistiche,  nonche'  il  principio  di
uguaglianza tra tutti i cittadini europei,  tanto  piu'  considerando
l'appartenenza alla Ue di Stati piccoli, come  Malta  e  Lussemburgo,
che hanno ottenuto in totale 12 deputati benche' il numero  dei  loro
abitanti (complessivamente, meno  di  un  milione)  sia  inferiore  a
quello dei voti ricevuti da "Fratelli d'Italia -  AN".  L'alterazione
dell'uguaglianza  del  voto   non   troverebbe   alcuna   ragionevole
giustificazione, dato che non sussisterebbe alcun rapporto di fiducia
tra l'assemblea e l'esecutivo. Inoltre, si osserva che nel Parlamento
europeo  i  parlamentari  sono  divisi  per  gruppi   politici,   non
nazionali,  ragion  per  cui  le  norme  censurate   non   potrebbero
giustificarsi  con  lo  scopo  di  evitare  la  frammentazione  della
delegazione italiana. 
    Le parti ricordano che il Tribunale  costituzionale  tedesco  per
due volte ha dichiarato incostituzionale  la  soglia  di  sbarramento
nelle elezioni europee e rilevano che  in  diversi  Stati  la  soglia
stessa non e' prevista o e' prevista a livello circoscrizionale e non
nazionale. 
    Infine, le  parti  censurano  altre  norme:  quelle  relative  al
rimborso delle spese elettorali (in quanto esso e' previsto solo  per
i partiti che superano la soglia di sbarramento), l'art. 12, comma 4,
della legge n. 18 del 1979 (in quanto  esonera  dalla  sottoscrizione
delle liste dei candidati i partiti gia' presenti nelle Camere o  nel
Parlamento europeo) e quelle (artt. 12, comma 8;  21,  comma  1,  nn.
1-3; e 22, commi 2 e 3) che prevedono un regime di favore per  alcune
minoranze linguistiche, consentendo  alle  liste  rappresentative  di
esse di ottenere seggi in deroga alla soglia di sbarramento. 
    3.4.- Con atto depositato il 25 luglio 2017 si e'  costituito  in
giudizio  il  PD  -  Partito  Democratico  in  persona   dei   legali
rappresentanti  pro  tempore,  chiedendo  che  le   questioni   siano
dichiarate palesemente infondate. 
    La parte, dopo aver sintetizzato la vicenda  giudiziaria  che  ha
condotto  all'odierno  giudizio,  si  sofferma   sulle   disposizioni
contenute nell'Atto di Bruxelles,  evidenziando  come  la  disciplina
elettorale in esso contenuta  si  configuri  come  "provvisoria",  in
quanto sia l'art. 7 del citato Atto, sia l'art.  223,  comma  1,  del
Trattato  sul  funzionamento   dell'Unione   europea   (TFUE),   come
modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e
ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, prevedono che lo stesso
Parlamento europeo elabori il progetto di  una  procedura  elettorale
uniforme o, quanto meno, di principi comuni  in  materia  elettorale,
capaci di imporsi  a  tutti  gli  Stati  membri  in  occasione  delle
consultazioni  europee.  In  questo  quadro  «le   norme   di   fonte
costituzionale  interna  [...]  seppur  anch'esse   incidenti   sulla
regolazione della materia in quanto indicative di  principi  comunque
ineludibili, non possono ritenersi la fonte primaria cui  parametrare
eventuali giudizio di illegittimita' della normativa in oggetto». 
    La difesa del Partito Democratico passa, poi,  a  ricostruire  la
giurisprudenza costituzionale in materia,  ricordando,  tra  l'altro,
che: a) il principio di eguaglianza  del  voto  non  si  estende  «al
risultato concreto della manifestazione di  volonta'  dell'elettore»;
b) i correttivi al sistema  elettorale  proporzionale  «non  incidono
sulla parita' di condizioni  dei  cittadini  e  sull'eguaglianza  del
voto»; c) «laddove non esista  alcuna  disciplina  costituzionalmente
"obbligata", la scelta del sistema elettorale non puo' che  competere
al legislatore ordinario». 
    Da queste affermazioni la difesa  privata  deduce  che  le  norme
censurate non violano l'art. 48 Cost., in quanto  si  tratterebbe  di
«un mero correttivo (la soglia) che non altera affatto la  condizione
di parita' degli elettori ma realizza soltanto un  effetto  selettivo
attraverso un contenimento dell'effetto proiettivo tipico dei sistemi
proporzionali puri». Peraltro, in assenza di qualsiasi indicazione da
parte del  legislatore  costituzionale  a  favore  di  uno  specifico
sistema  elettorale,  la  materia  de  qua   sarebbe   rimessa   alla
discrezionalita' del legislatore ordinario, sia pure nel rispetto dei
principi di eguaglianza del voto,  della  sovranita'  popolare  e  di
ragionevolezza.  Siffatta  lettura  sarebbe  confermata  anche  dalle
sentenze n. 1 del 2014 e n. 35 del 2017,  nelle  quali  la  decisione
della Corte di annullare «norme  premiali  eccessivamente  distorsive
della reale "rappresentativita'"  della  volonta'  popolare»  sarebbe
giustificata  dalla  esistenza   di   «sistemi   elettivi   a   forte
connotazione maggioritaria». 
    Sempre dall'esame della giurisprudenza di questa Corte  la  parte
trae l'ulteriore considerazione per cui la stabilita' dei  Governi  e
la funzionalita'  dell'attivita'  legislativa  costituirebbero  «solo
[...] uno dei possibili argomenti in ragione dei  quali  giustificare
la mancata (perfetta) corrispondenza tra la  volonta'  popolare  e  i
seggi  conseguiti  da  ciascuna  forza  politica   concorrente   alle
elezioni; e non come la ragione esclusiva». In proposito, secondo  la
difesa della parte,  questa  Corte  avrebbe  riconosciuto  «la  piena
compatibilita' costituzionale di ogni sistema  elettorale,  lasciando
alla interposizione del legislatore la valutazione sulla opportunita'
e funzionalita' di ognuno di essi in ragione del  periodo  storico  e
delle   necessita'   contingenti,   e   contenendo   tale    facolta'
essenzialmente entro il limite della "ragionevolezza"». 
    La difesa del Partito Democratico  passa,  poi,  a  esaminare  le
sentenze del Tribunale costituzionale tedesco del 2011  e  del  2014,
con le quali sono state dichiarate illegittime le norme che,  per  le
elezioni   dei   membri   del   Parlamento   europeo,    prevedevano,
rispettivamente, la soglia di sbarramento del 5 per cento e del 3 per
cento, evidenziando come il presupposto teorico da cui  ha  preso  le
mosse il Tribunale tedesco sia radicalmente diverso da  quello  della
Corte italiana. In particolare, il principio di eguaglianza del  voto
sarebbe inteso dal primo come «eguale influenza  ed  eguale  peso  di
ciascun suffragio sull'esito delle elezioni», mentre  la  seconda  lo
intenderebbe «nel senso di garanzia  della  parita'  di  accesso  [al
voto], e non nel senso di  una  eguale  considerazione  dei  suffragi
nell'ambito del sistema elettorale prescelto». 
    La parte sottolinea, inoltre, che la ratio della previsione delle
clausole di sbarramento non puo' esaurirsi «nella  sola  esigenza  di
garantire la stabilita' dei Governi», il che porterebbe  a  escludere
la possibilita' di introdurre  soglie  siffatte  per  l'elezione  del
Parlamento europeo. Al contrario,  occorrerebbe  tenere  conto  della
«rilevante  evoluzione  del  ruolo  del  Parlamento  stesso»  e,   in
particolare, della nuova procedura di nomina della Commissione e  del
suo Presidente, introdotta dal Trattato di Lisbona. Sebbene manchi un
vero e proprio rapporto di fiducia, sarebbero individuabili  elementi
di  analogia   con   l'istituto   della   fiducia   parlamentare   e,
segnatamente, il voto di investitura parlamentare della Commissione e
il voto di censura. A cio' si aggiunga la partecipazione, sempre piu'
intensa,  del  Parlamento  al  processo  di  formazione  degli   atti
dell'Unione. 
    Da queste  considerazioni,  la  difesa  del  Partito  Democratico
deduce «la necessita' di organizzare la rappresentanza  parlamentare,
al fine di veicolare le istanze democratiche nelle istituzioni  e  di
evitare la frammentazione politica». 
    Del tutto inconferente sarebbe, poi, la  considerazione  per  cui
siffatto tentativo di razionalizzare la rappresentanza politica di un
singolo Stato risulterebbe vanificato  dalla  circostanza  che  molti
Stati membri (la  meta')  non  hanno  stabilito  analoghe  soglie  di
sbarramento.  Al  riguardo,  si  rileva   che   il   criterio   della
facoltativita' nella previsione  della  soglia  e'  stato  introdotto
prima del  Trattato  di  Lisbona,  che  ha  conferito  al  Parlamento
funzioni «governanti».  Inoltre,  questo  criterio  e'  destinato  ad
essere superato dall'allineamento dei sistemi  elettorali  dei  Paesi
membri, di cui si e' detto sopra. 
    Da ultimo,  la  parte  deduce  l'infondatezza  delle  censure  di
irragionevolezza che si fondano sul raffronto tra il numero  di  voti
ottenuti dalla lista "Fratelli d'Italia - AN" e il numero dei votanti
negli Stati membri piu' piccoli, come pure delle analoghe censure con
le quali si lamenta una  discriminazione  delle  minoranze  politiche
rispetto a quelle linguistiche.  In  entrambi  i  casi,  infatti,  si
accosterebbero due realta' diverse. 
    3.5.- Con atto depositato il 25 luglio 2017 si e'  costituita  in
giudizio Alternativa Popolare (gia' Nuovo Centro  Destra  -  NCD)  in
persona del Presidente nazionale e legale rappresentante pro tempore,
chiedendo che le questioni sollevate siano accolte. 
    4.- In prossimita' dell'udienza il Presidente del  Consiglio  dei
ministri ha depositato una memoria con la quale insiste  perche'  sia
dichiarata la manifesta infondatezza delle questioni sollevate. 
    In particolare, l'Avvocatura generale dello Stato riferisce  che,
il  2  luglio  2018,  il   Parlamento   europeo   ha   adottato   una
Raccomandazione, avente natura di proposta, concernente  il  progetto
di decisione del Consiglio che modifica l'atto relativo  all'elezione
dei  membri  del  Parlamento  europeo.  Questa   raccomandazione   si
inserisce nel procedimento legislativo speciale di cui all'art.  223,
paragrafo 1, TFUE, secondo cui  «Il  Parlamento  europeo  elabora  un
progetto volto a stabilire le disposizioni necessarie per  permettere
l'elezione dei suoi membri a suffragio  universale  diretto,  secondo
una procedura uniforme in tutti gli Stati membri o  secondo  principi
comuni  a  tutti  gli  Stati  membri.   Il   Consiglio,   deliberando
all'unanimita' secondo una procedura legislativa  speciale  e  previa
approvazione del Parlamento europeo che si pronuncia alla maggioranza
dei membri che lo compongono, stabilisce le disposizioni  necessarie.
Tali disposizioni entrano in vigore previa approvazione  degli  Stati
membri conformemente alle rispettive norme costituzionali». 
    La difesa dell'interveniente sottolinea come nella  parte  motiva
della Raccomandazione si precisi che «la soglia elettorale conferira'
maggiore uniformita' alle condizioni  della  competizione  elettorale
per i partiti politici di tutti gli Stati  membri,  oltre  a  rendere
piu' omogeneo il peso del voto  espresso  da  ciascun  cittadino  per
l'elezione dei deputati al Parlamento europeo». 
    A seguito dell'approvazione di questo progetto, il  Consiglio  ha
approvato la decisione UE/Euratom 2018/994 del 13  luglio  2018,  che
modifica l'atto  relativo  all'elezione  dei  membri  del  Parlamento
europeo a  suffragio  universale  diretto,  allegato  alla  decisione
76/787/CECA, CEE, Euratom del Consiglio del 20 settembre 1976. 
    L'art. 1 della decisione UE, Euratom  2018/994  sostituisce,  tra
l'altro, l'art. 3 dell'Atto di Bruxelles, cosi' disponendo:  «1.  Gli
Stati membri possono prevedere una soglia minima  per  l'attribuzione
dei seggi. A livello nazionale, tale soglia non puo' essere superiore
al 5 per cento dei voti validamente espressi. 2. Gli Stati membri  in
cui si utilizza lo scrutinio di lista prevedono una soglia minima per
l'attribuzione  dei  seggi  per  le  circoscrizioni  elettorali   che
comprendono piu' di 35 seggi. Tale soglia non e' inferiore al  2  per
cento ne' superiore al 5 per  cento  dei  voti  validamente  espressi
nella circoscrizione di cui trattasi, anche nel  caso  di  uno  Stato
membro con collegio unico nazionale. 3. Gli Stati membri adottano  le
misure necessarie per conformarsi all'obbligo di cui al  paragrafo  2
al piu' tardi per le elezioni del Parlamento europeo successive  alle
prime  elezioni  che  si  tengono  dopo  l'entrata  in  vigore  della
decisione (UE, Euratom) 2018/994 del Consiglio». 
    L'Avvocatura  generale,  dopo  aver  precisato  che  allo   Stato
italiano si applica quanto previsto nei paragrafi 2 e 3 del novellato
art. 3, evidenzia che la decisione in parola non e' ancora entrata in
vigore, in  quanto  «soggetta  all'approvazione  degli  Stati  membri
secondo le  rispettive  norme  costituzionali».  In  particolare,  la
decisione entrera' in vigore  «il  primo  giorno  dopo  la  ricezione
dell'ultima notifica» effettuata dagli Stati membri  al  Segretariato
generale del Consiglio, con  la  quale  sara'  comunicato  l'avvenuto
espletamento delle  procedure  necessarie  per  l'approvazione  della
decisione stessa. 
    Cio' nondimeno, la difesa statale ritiene che la decisione stessa
non  possa  essere  considerata  ininfluente  sia   perche'   l'«Atto
elettorale» e' ritenuto «pacificamente atto avente  natura  normativa
primaria, venendo (solo  in  parte)  modificato  da  un  atto  avente
indubitabilmente tale natura», sia perche' la  modifica  operata  con
siffatto atto normativo stabilisce, al paragrafo 2, l'obbligo (e  non
piu'  la  facolta')  di  prevedere  una   soglia   minima   (per   le
circoscrizioni elettorali che comprendono piu' di 35 seggi)  per  gli
Stati in cui si utilizza lo scrutinio di lista. 
    La modifica anzidetta, quindi, confermerebbe che la previsione di
una soglia di sbarramento e'  considerata  dagli  organi  dell'Unione
europea  conforme  ai  principi  del  diritto  UE,   non   rendendosi
necessario,  pertanto,  il  rinvio  pregiudiziale   alla   Corte   di
Giustizia. 
    In ragione di quanto detto l'Avvocatura  generale  rileva  che  -
sebbene le questioni sollevate  riguardino  la  normativa  previgente
rispetto alla decisione UE, Euratom 2018/994  -  sarebbe  «singolare»
una   pronunzia   della   Corte   costituzionale   che    dichiarasse
l'«incostituzionalita' "a tempo", e non valida per il futuro  (almeno
dal momento in cui le norme unionali  entreranno  definitivamente  in
vigore)». Per questi motivi la difesa statale chiede  alla  Corte  di
valutare l'opportunita' di una rimessione degli atti al giudice a quo
«per un rinnovato scrutinio in punto di rilevanza». 
    Nel  merito  delle  questioni  sollevate  l'Avvocatura   generale
ribadisce le considerazioni  gia'  svolte  nell'atto  di  intervento,
aggiungendo che l'argomento che fa leva  sulla  disomogeneita'  delle
legislazioni degli Stati membri va incontro  al  problema  logico  di
stabilire il numero minimo  di  Paesi  che  prevedono  la  soglia  di
sbarramento   affinche'   quest'ultima   possa   essere   considerata
legittima. 
    Peraltro,  l'imposizione  a  tutti  gli  Stati  dell'obbligo   di
introdurre una clausola di  sbarramento  potrebbe  risultare,  a  sua
volta, irragionevole, in quanto non terrebbe conto  delle  diversita'
dei sistemi politici  nazionali  e  delle  diverse  estensioni  delle
circoscrizioni nazionali, che, se  particolarmente  ridotte,  rendono
non necessaria la previsione di una soglia. 
    Sempre   con   riferimento   all'obbiettivo   di    evitare    la
frammentazione della rappresentanza,  l'Avvocatura  generale  ricorda
che il 7 febbraio 2018 il Parlamento europeo ha bocciato la  proposta
della Commissione per gli  Affari  Costituzionali  di  formare  liste
transnazionali europee e di creare una circoscrizione europea. 
    La difesa statale contesta, poi, le tesi di alcune parti private,
riprese dal rimettente, secondo  cui  la  previsione  di  una  soglia
sarebbe discriminatoria in considerazione dell'assegnazione di  seggi
a Stati di modeste dimensioni (con  un  numero  complessivo  di  voti
inferiore a quello ottenuto dalle liste sotto soglia in Italia) e del
trattamento   «privilegiato»   riservato    ad    alcune    minoranze
linguistiche. Nel primo caso,  infatti,  la  scelta  del  legislatore
europeo non sarebbe  irragionevole  perche'  ha  inteso  garantire  a
ciascuno Stato membro «un  livello  minimo  di  rappresentanza»;  nel
secondo caso, la tutela assicurata dal legislatore italiano ad alcune
minoranze linguistiche trova fondamento nella stessa Costituzione. 
    Da ultimo, l'Avvocatura generale critica la «particolare  enfasi»
che i ricorrenti nel giudizio principale  e  il  Consiglio  di  Stato
hanno dato alle pronunce del Bundesverfassungsgericht del 2011 e  del
2014. Siffatte sentenze, infatti, oltre a non  costituire  precedenti
vincolanti  per  la   Corte   italiana,   devono   essere   esaminate
«nell'ambito di un differente assetto costituzionale»  e  si  fondano
«su opinabili valutazioni di carattere empirico». Peraltro, a  fronte
di queste pronunce, in direzione opposta  si  e'  mossa  la  sentenza
della Corte costituzionale della Repubblica Ceca, 19 maggio 2015, Pl.
us  14/14,  che  ha  negato  l'incostituzionalita'  della  soglia  di
sbarramento  del  5  per  cento  prevista  dalla  legislazione  della
Repubblica Ceca per le elezioni dei membri del Parlamento europeo. 
    5.- In prossimita' dell'udienza anche alcune delle parti  private
hanno depositato memorie. 
    5.1.- In particolare, con  memoria  depositata  il  28  settembre
2018, Marco Marsilio e Marco Scurria, appellanti nel giudizio a  quo,
hanno chiesto alla Corte - qualora «le motivazioni dell'ordinanza  di
rimessione  non   fossero   contro   ogni   ragionevole   aspettativa
convincenti» - di disporre  un  rinvio  pregiudiziale  interpretativo
alla Corte di giustizia europea, per verificare la compatibilita' con
i trattati di «soglie d'accesso facoltative, variabili e  nazionali»,
non stabilite nell'ambito di una procedura uniforme ex art. 223 TFUE.
Le parti invocano gli artt. 10 e  14  TUE,  che  attribuirebbero  una
«nuova natura» al Parlamento europeo (di rappresentante dei cittadini
dell'Unione e non piu' dei popoli degli Stati membri). 
    Infine, Marsilio e Scurria censurano la legge n. 10 del 2009  con
riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., alla luce  dell'art.  3
Prot. addiz. CEDU  (come  inteso  dalla  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo), in  quanto  tale  legge  avrebbe  modificato  il  sistema
elettorale, introducendo la soglia di sbarramento, pochi  mesi  prima
delle elezioni del 2009, in modo non prevedibile. 
    5.2.- In data 2 ottobre 2018, hanno  inoltre  depositato  memorie
Giorgia Meloni (e altri) e Lorenzo Fontana, ribadendo  gli  argomenti
svolti nei  precedenti  atti  e  insistendo  nelle  conclusioni  gia'
rassegnate. 
    5.3.- In data 2 ottobre 2018, ha  depositato  una  memoria  anche
Alternativa Popolare (gia' Nuovo  Centro  Destra  -  NCD),  che  -  a
differenza di quanto chiesto nell'atto di costituzione - ha  concluso
per l'inammissibilita' per difetto di incidentalita' e, in subordine,
per l'infondatezza delle questioni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Consiglio di Stato, sezione quinta, ha sollevato questioni
di legittimita' costituzionale  dell'art.  21,  primo  comma,  numeri
1-bis) e 2), e dell'art. 22  della  legge  24  gennaio  1979,  n.  18
(Elezione dei membri del Parlamento  europeo  spettanti  all'Italia),
nel testo risultante a seguito delle modifiche  operate  dall'art.  1
della legge 20 febbraio 2009, n. 10 (Modifiche alla legge 24  gennaio
1979, n. 18, concernente l'elezione dei membri del Parlamento europeo
spettanti all'Italia), per violazione degli artt. 1, secondo comma, 3
e 48, secondo comma, della Costituzione. 
    Il primo dei due articoli censurati stabilisce,  per  quanto  qui
interessa, che l'Ufficio elettorale nazionale: «1-bis)  individua  le
liste che abbiano conseguito sul piano  nazionale  almeno  il  4  per
cento dei voti validi espressi; 2) procede al riparto dei  seggi  tra
le liste di cui al  numero  1-bis)  in  base  alla  cifra  elettorale
nazionale di ciascuna lista».  L'art.  22  dispone  che  «[l]'ufficio
elettorale   circoscrizionale,   ricevute   da   parte   dell'Ufficio
elettorale nazionale le comunicazioni di cui al penultimo  comma  del
precedente articolo, proclama eletti  i  candidati,  nei  limiti  dei
seggi ai quali ciascuna lista ha  diritto,  seguendo  la  graduatoria
prevista al numero 4) dell'articolo 20». 
    Il Consiglio di Stato contesta  la  previsione  della  soglia  di
sbarramento  del  4  per  cento  fissata  per  l'accesso  al  riparto
proporzionale dei seggi nelle  elezioni  dei  membri  del  Parlamento
europeo  spettanti  all'Italia,  ritenendo  in  particolare  che   le
disposizioni  censurate:  a)  limitino  «in  modo   irragionevole   e
ingiustificato il  presidio  di  democraticita'  rappresentato  dalla
piena valorizzazione del voto», con la conseguenza  della  violazione
dell'art.  1,  secondo  comma,  Cost.;  b)  rechino  «un  regolamento
irragionevole dei diversi interessi e valori che vengono in  rilievo»
senza che si possa rinvenire «un'adeguata ratio  giustificatrice  nel
perseguimento di concomitati finalita' di interesse generale» (di qui
la violazione dell'art. 3  Cost.);  c)  determinino  «la  sostanziale
esclusione   dalla   rappresentanza   politica   di    ampie    fasce
dell'elettorato senza che cio' risulti giustificato - e,  in  qualche
misura, "controbilanciato" - dalla predicata finalita' di  accrescere
per tale via la stabilita' degli organi elettivi legati da un vincolo
fiduciario  all'istituzione  parlamentare»,  e  quindi   violino   il
principio di eguaglianza del voto (ex art. 48 Cost.). 
    2.- Preliminarmente, questa Corte e'  chiamata  ad  esaminare  le
eccezioni di inammissibilita' sollevate da alcune delle parti private
costituitesi in giudizio. 
    2.1.- In particolare, Lorenzo  Fontana  (candidato  eletto  nelle
liste della  Lega  Nord)  eccepisce  l'inammissibilita',  sotto  vari
profili, delle questioni sollevate. 
    2.1.1.- Innanzitutto, Fontana  ritiene  che  le  questioni  siano
inammissibili   «per   violazione    della    discrezionalita'    del
legislatore». A suo dire, «la  determinazione  delle  formule  e  dei
sistemi elettorali costituisce un ambito nel quale si esprime con  un
massimo di evidenza la  politicita'  della  scelta  legislativa»;  di
conseguenza, quest'ultima «e' censurabile  in  sede  di  giudizio  di
costituzionalita' solo quando risulti manifestamente  irragionevole».
Nel caso di specie non vi sarebbe alcuna violazione del principio  di
ragionevolezza;     mancherebbe,     inoltre,     «una      soluzione
costituzionalmente orientata», non potendo la  Corte  sostituirsi  al
legislatore con una pronuncia sostanzialmente additiva,  come  quella
richiesta - sempre secondo  la  difesa  della  parte  privata  -  dal
rimettente. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Questa Corte ha ripetutamente affermato che il  legislatore  gode
di un'ampia discrezionalita' nella scelta del  sistema  elettorale  a
condizione che il suo esercizio non si traduca nell'adozione  di  una
disciplina manifestamente irragionevole (ex plurimis, sentenze n.  35
del 2017, n. 193 del 2015, n. 275 e n. 1 del 2014, n. 271  del  2010,
ordinanza n. 260 del 2002). L'individuazione del  sistema  elettorale
ritenuto piu' idoneo in relazione  al  contesto  storico-politico  di
riferimento, pertanto, non e', in assoluto, esente dal  sindacato  di
costituzionalita',  ben  potendo  essere  censurata  qualora  risulti
affetta da un vizio di manifesta irragionevolezza. Questa  Corte  e',
dunque, tenuta a verificare che  «il  bilanciamento  degli  interessi
costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato  con  modalita'
tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in
misura  eccessiva   e   pertanto   incompatibile   con   il   dettato
costituzionale» (sentenza n. 1 del 2014). 
    Da  quanto  detto  discende  l'ammissibilita'   delle   questioni
sollevate dal Consiglio di Stato, che ha investito questa  Corte  del
compito  di  accertare  l'esistenza  di   un   vizio   di   manifesta
irragionevolezza della  scelta  compiuta  dal  legislatore  italiano,
senza che sia cosi' in alcun modo  scalfita  la  discrezionalita'  di
quest'ultimo in materia elettorale. Si deve osservare inoltre che,  a
differenza di quanto sostenuto dalla parte, il giudice rimettente non
chiede una «pronuncia sostanzialmente additiva» o  sostitutiva  della
vigente clausola di sbarramento con altra ritenuta conforme al canone
di ragionevolezza,  ma  si  limita  a  rilevare  il  contrasto  della
normativa censurata con i parametri  costituzionali  sopra  indicati.
L'eccezione in esame deve dunque essere respinta. 
    2.1.2.- Qualora si dovesse ritenere che il giudice  a  quo  abbia
inteso richiedere  una  pronuncia  meramente  ablatoria,  secondo  la
stessa parte sussisterebbe  un'ulteriore  causa  di  inammissibilita'
delle questioni sollevate, per quella che viene ritenuta un'«evidente
contraddittorieta'» dell'operato del giudice a quo, il quale  censura
la sola norma statale che impone la clausola di sbarramento del 4 per
cento (legge n. 18 del 1979) e non anche la previsione sovranazionale
contenuta   nell'Atto   di   Bruxelles   (allegato   alla   decisione
76/787/CECA, CEE, Euratom,  del  Consiglio  del  20  settembre  1976,
relativo all'elezione dei  rappresentanti  al  Parlamento  europeo  a
suffragio universale diretto), recepito con la legge 6  aprile  1977,
n. 150 (Approvazione ed esecuzione  dell'atto  relativo  all'elezione
dei rappresentanti nell'assemblea  a  suffragio  universale  diretto,
firmato a Bruxelles il 20 settembre 1976, allegato alla decisione del
consiglio delle Comunita'  europee,  adottata  a  Bruxelles  in  pari
data), che, secondo la stessa difesa, consente l'imposizione  di  una
clausola di sbarramento nella misura massima del 5 per cento. 
    Nemmeno questa eccezione e' fondata. 
    Occorre considerare infatti che  la  soglia  di  sbarramento  per
l'elezione dei membri del  Parlamento  europeo  e'  stata  introdotta
nell'ordinamento italiano dalla legge n. 10  del  2009  e  non  dalla
legge n. 150 del 1977, che ha recepito l'Atto di Bruxelles. Il  testo
originario di quest'ultimo non prevedeva quindi alcuna soglia, che e'
stata invece disciplinata dalla decisione del Consiglio  2002/772/CE,
Euratom del 25 giugno 2002 e  del  23  settembre  2002,  di  modifica
dell'Atto   di   Bruxelles.   Piu'   precisamente,    la    decisione
2002/772/CE/Euratom ha sostituito l'originario art. 2  dell'Atto  del
1976 con gli artt. 2, 2-bis e 2-ter. Ed e' il  citato  art.  2-bis  a
disporre che «[g]li Stati membri possono prevedere la  fissazione  di
una soglia minima per l'attribuzione dei seggi» e che «[t]ale  soglia
non deve essere fissata a livello nazionale oltre il 5 per cento  dei
suffragi espressi». 
    La decisione 2002/772/CE, Euratom ha dunque consentito agli Stati
membri di introdurre una clausola di sbarramento,  determinandone  la
misura massima; a sua volta, il legislatore italiano ha  ritenuto  di
avvalersi di questa possibilita' novellando la legge n. 18 del 1979 e
prevedendo, con la legge n. 10 del 2009, la soglia del  4  per  cento
dei voti validi espressi. Correttamente, pertanto,  il  Consiglio  di
Stato censura le disposizioni  della  legge  n.  18  del  1979,  come
modificate dalla legge n. 10 del 2009. 
    2.2.- Ulteriori eccezioni di inammissibilita' sono  sollevate  da
Nicola Caputo  (candidato  eletto  nelle  liste  del  "PD  -  Partito
Democratico"). 
    2.2.1.- Preliminarmente e' eccepito il difetto di  incidentalita'
delle questioni, gia' prospettato nel giudizio a quo. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Secondo  la  costante  giurisprudenza  di   questa   Corte   sono
ammissibili le questioni sollevate in giudizi  promossi  contro  atti
amministrativi,   anche   se   essi   sono   contestati   solo    per
l'illegittimita' costituzionale della  legge  applicata  (ex  multis,
ordinanza n. 361 del 2004, riguardante proprio un  caso  in  cui  era
stato chiesto l'annullamento di operazioni elettorali; sentenze n. 89
del 2018, n. 16 del 2017 e n. 242 del  2011,  ordinanza  n.  138  del
2017). Nel presente giudizio, un'eventuale decisione di  accoglimento
non sarebbe idonea «ad esaurire la tutela richiesta»,  in  quanto  il
giudice amministrativo dovrebbe poi comunque annullare - nel caso  di
specie in  parte  qua  -  l'atto  di  proclamazione  degli  eletti  e
assegnare  alla  lista  "Fratelli   d'Italia   -   AN"   (oltre   che
eventualmente ad altre liste rimaste escluse dal riparto) i seggi che
a essa sarebbero spettati in assenza della soglia di sbarramento. 
    2.2.2.- Da quanto appena esposto  discende  anche  l'infondatezza
dell'ulteriore eccezione sollevata da Caputo, relativa al difetto  di
interesse dei ricorrenti nel giudizio a quo.  A  tale  proposito,  la
parte richiama la sentenza n. 1 del 2014 di questa Corte, secondo  la
quale  l'annullamento  della  legge  elettorale  non  toccherebbe  le
elezioni gia' svolte, che diventerebbero un fatto "esaurito"  con  la
proclamazione degli eletti. Nell'odierno giudizio, tuttavia,  poiche'
le questioni di legittimita' costituzionale sono  state  sollevate  a
seguito dell'impugnazione dinanzi al giudice amministrativo dell'atto
di proclamazione, le elezioni non rappresentano  un  fatto  esaurito,
con  la  conseguenza  che  l'eventuale   annullamento   della   legge
elettorale si riflette sull'esito  del  giudizio  amministrativo.  La
possibilita' di un annullamento  parziale  delle  elezioni  priva  di
consistenza anche le ulteriori considerazioni svolte da Caputo (punto
3.2 del Ritenuto in fatto). 
    2.2.3.- Quanto all'eccezione di inammissibilita',  formulata  nel
giudizio amministrativo di primo  grado  e  riproposta  nel  giudizio
davanti a questa Corte, derivante dall'omessa impugnazione degli atti
di indizione delle elezioni europee e di ammissione delle liste, essa
risulta palesemente infondata. Nella prospettazione dei ricorrenti in
primo grado, infatti, dai citati atti di indizione  e  di  ammissione
delle liste non derivava ad essi alcun  pregiudizio,  sicche'  e'  da
escludere che incombesse su di loro un onere di impugnazione di  tali
atti, preclusivo della possibilita' di censurare,  per  vizi  propri,
l'atto di proclamazione degli eletti - poi effettivamente impugnato -
che, sulla base della norma censurata,  non  aveva  attribuito  alcun
seggio alla lista dei ricorrenti. 
    2.3.- Da ultimo, Alternativa Popolare (gia' Nuovo Centro Destra -
NCD), nella memoria depositata in  prossimita'  dell'udienza  (e  non
anche  nell'atto   di   costituzione,   nel   quale   invece   chiede
l'accoglimento delle questioni), eccepisce  l'inammissibilita'  delle
questioni per difetto di incidentalita', riprendendo  sostanzialmente
le medesime argomentazioni svolte su tale profilo  in  occasione  del
giudizio deciso con la sentenza n. 110 del 2015. 
    L'eccezione non e' fondata per le ragioni gia' esposte  al  punto
2.2.1 in relazione alle  analoghe  considerazioni  svolte  da  Nicola
Caputo. Rispetto  a  quanto  rilevato  dalla  difesa  di  Alternativa
Popolare e'  necessario  aggiungere  che  le  questioni  oggetto  del
presente giudizio non sono state sollevate nel corso di  un  giudizio
promosso a seguito di un'azione di accertamento,  bensi'  nell'ambito
di un contenzioso sorto in conseguenza dell'impugnazione da parte  di
Giorgia Meloni e di altri soggetti  dell'atto  di  proclamazione  dei
candidati eletti. Di conseguenza, nessun difetto di incidentalita' e'
rinvenibile. 
    3.- Sempre in  via  preliminare,  occorre  rilevare  che  Giorgia
Meloni e altri soggetti hanno prospettato nelle loro difese ulteriori
questioni di  costituzionalita',  diverse  da  quelle  sollevate  dal
Consiglio di Stato. 
    Tali questioni sono inammissibili, non potendo le  parti  private
estendere il thema decidendum fissato  nell'ordinanza  di  rimessione
(ex multis, sentenze n. 161, n. 33, n. 14, n. 12 e  n.  4  del  2018;
ordinanza n. 96 del 2018). 
    4.- Marco Marsilio e Marco Scurria,  appellanti  nel  giudizio  a
quo, nella memoria depositata il 28 settembre 2018  hanno  chiesto  a
questa Corte - qualora «le motivazioni dell'ordinanza  di  rimessione
non fossero contro ogni ragionevole  aspettativa  convincenti»  -  di
operare un rinvio pregiudiziale alla Corte di  giustizia  dell'Unione
europea, per verificare la compatibilita' con i trattati  di  «soglie
d'accesso  facoltative,  variabili  e   nazionali»,   non   stabilite
nell'ambito di una procedura uniforme ex art. 223  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea (TFUE), come modificato dall'art. 2
del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge
2 agosto 2008, n. 130. Le parti  invocano  gli  artt.  10  e  14  del
Trattato  sull'Unione  europea  (TUE),  firmato  a  Maastricht  il  7
febbraio  1992,  entrato  in  vigore  il  1°   novembre   1993,   che
attribuirebbero  una  «nuova  natura»  al  Parlamento   europeo   (di
rappresentante dei cittadini dell'Unione e non piu' dei popoli  degli
Stati membri). 
    L'istanza deve essere respinta. 
    Davanti al giudice a quo era stato  censurato  il  contrasto  tra
l'atto elettorale europeo e le norme dei trattati, ma il Consiglio di
Stato, rilevata  la  conformita'  delle  norme  legislative  italiane
censurate all'atto elettorale europeo, ha «rinviato al merito l'esame
degli  argomenti  con  cui  gli  appellanti  dubitano  della   stessa
conformita' del richiamato "Atto di  Bruxelles"  con  i  sopravvenuti
principi e  disposizioni  di  cui  al  Trattato  di  Lisbona»,  e  ha
sollevato questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  21,
primo comma, numeri 1-bis) e 2), e dell'art. 22 della legge n. 18 del
1979 con esclusivo riferimento agli artt. 1, 3  e  48  Cost.,  senza,
quindi, alcun richiamo delle norme dei trattati dell'Unione europea. 
    Per questa ragione,  la  questione  della  compatibilita'  con  i
trattati del sistema di soglie «facoltative, variabili  e  nazionali»
non   e'   pregiudiziale   alla   decisione   della   questione    di
costituzionalita' che questa Corte e' chiamata a decidere,  come  del
resto le stesse parti private prospettano la' dove chiedono il rinvio
pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione  europea  solo  per
l'ipotesi in cui «le motivazioni  dell'ordinanza  di  rimessione  non
fossero contro ogni  ragionevole  aspettativa  convincenti»,  ponendo
dunque la questione "europea" in un rapporto di subordinazione e  non
di pregiudizialita' rispetto a quella di costituzionalita'. 
    Occorre ricordare comunque che,  con  riferimento  alla  medesima
questione della conformita' dell'atto elettorale europeo ai trattati,
questa Corte, gia' nella sentenza n. 110 del 2015, ha  affermato  che
«[n]on vi e' [...] alcuna questione pregiudiziale [da] rivolgere alla
Corte di  giustizia,  non  sussistendo  dubbi  di  sorta  sull'esatto
significato dell'evocata previsione del diritto dell'Unione  europea,
ne' integrando la previsione stessa in alcun  modo  il  parametro  di
costituzionalita',   secondo   quanto    invece    richiesto    dalla
giurisprudenza di questa Corte ai fini della sussistenza del  dedotto
nesso di pregiudizialita' (ordinanze n. 207 del 2013  e  n.  103  del
2008)». 
    5.- Prima di esaminare il merito delle  questioni  sollevate,  e'
necessario  integrare  la   ricostruzione   del   quadro   normativo,
sinteticamente offerta nel punto 2.1.2, ricordando  che,  nelle  more
del presente giudizio, e' stata adottata, sulla  base  dell'art.  223
TFUE, la decisione 2018/994/UE, Euratom, del Consiglio del 13  luglio
2018, che modifica l'atto relativo all'elezione dei rappresentanti al
Parlamento europeo a  suffragio  universale  diretto,  allegato  alla
decisione 76/787/CECA, CEE, Euratom del Consiglio  del  20  settembre
1976. 
    La nuova decisione introduce  l'obbligo,  per  gli  Stati  membri
maggiori, di prevedere nella disciplina delle  elezioni  europee  una
soglia di sbarramento (dal 2 al 5 per cento). In particolare,  l'art.
3 dell'Atto di Bruxelles, novellato  dalla  citata  decisione,  cosi'
dispone: «1. Gli Stati membri possono prevedere una soglia minima per
l'attribuzione dei seggi. A livello nazionale, tale soglia  non  puo`
essere superiore al 5 per cento dei voti validamente espressi. 2. Gli
Stati membri in cui si utilizza lo scrutinio di lista  prevedono  una
soglia minima per l'attribuzione  dei  seggi  per  le  circoscrizioni
elettorali che comprendono piu` di  35  seggi.  Tale  soglia  non  e`
inferiore al 2 per cento ne´  superiore  al  5  per  cento  dei  voti
validamente espressi nella circoscrizione di cui trattasi, anche  nel
caso di uno Stato membro con collegio unico nazionale. 3.  Gli  Stati
membri adottano le misure necessarie per conformarsi  all'obbligo  di
cui al paragrafo 2 al piu`  tardi  per  le  elezioni  del  Parlamento
europeo successive alle prime elezioni che si tengono dopo  l'entrata
in vigore della decisione (UE, Euratom) 2018/994 del Consiglio». 
    La decisione in esame e' «soggetta all'approvazione  degli  Stati
membri secondo le rispettive norme costituzionali» (art. 2, paragrafo
1), approvazione non ancora avvenuta e il cui intervento,  a  seguito
dell'espletamento delle necessarie procedure, sara' notificato  dagli
Stati membri al Segretariato generale del Consiglio. 
    5.1.- Sull'assunto che la citata decisione 2018/994/UE,  Euratom,
per quanto non ancora entrata in vigore, non  sia  ininfluente  nella
vicenda in esame - per la sua natura normativa, per il suo  contenuto
istitutivo di un obbligo e per le conseguenze  che  comporterebbe  su
una eventuale pronuncia di accoglimento della questione in esame,  in
termini di limitazione della sua efficacia temporale  -  l'Avvocatura
generale dello Stato chiede a questa Corte di valutare l'opportunita'
di una restituzione degli atti al giudice a  quo  «per  un  rinnovato
scrutinio in punto di rilevanza». 
    La richiesta  non  puo'  essere  accolta  per  ragioni  in  parte
indicate dalla stessa difesa erariale. 
    Innanzitutto, come visto, la decisione 2018/994/UE,  Euratom  non
e' stata  ancora  approvata  dagli  Stati  membri  e,  per  esplicita
indicazione del suo art. 2, paragrafo 2, entrera' in vigore solo  «il
primo giorno dopo la  ricezione  dell'ultima  notifica».  In  secondo
luogo, le questioni sollevate nel  presente  giudizio  riguardano  la
normativa previgente rispetto alla  decisione  2018/994/UE,  Euratom,
con la conseguenza che il loro eventuale accoglimento sarebbe  idoneo
a produrre l'annullamento parziale  dell'atto  di  proclamazione  dei
candidati eletti nel 2014 (impugnato dai ricorrenti nel  giudizio  di
primo grado dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio).
Non rilevando dunque la citata decisione nel giudizio a quo,  non  vi
e' comunque motivo di restituire gli atti al rimettente. 
    6.- Nel merito le questioni sollevate dal Consiglio di Stato  non
sono fondate. 
    6.1.-   Le   censure   prospettate   possono   essere   esaminate
congiuntamente. Pur evocando tre  distinti  parametri  costituzionali
(artt.  1,  3  e  48   Cost.),   infatti,   il   rimettente   lamenta
sostanzialmente,  sotto  diversi  profili,  l'irragionevolezza  della
normativa censurata. Piu' precisamente: la  violazione  dell'art.  1,
secondo comma, Cost. sarebbe rinvenibile nella limitazione  «in  modo
irragionevole  e  ingiustificato»  del  «presidio  di  democraticita'
rappresentato dalla piena valorizzazione del voto»;  l'art.  3  Cost.
sarebbe   violato   perche'   sarebbero   regolamentati    in    modo
«irragionevole»  i  diversi  «interessi  e  valori»  che  vengono  in
rilievo;  infine,  la  violazione  dell'art.  48  Cost.   deriverebbe
dall'esclusione, in assenza di giustificazioni, della «rappresentanza
politica di ampie fasce dell'elettorato». 
    A essere censurata e' dunque l'operazione  di  bilanciamento  tra
gli opposti «interessi e valori» che sta alla base  della  previsione
di una clausola di sbarramento per l'accesso al riparto dei seggi,  e
cio' che questa Corte e' tenuta in particolare a verificare e' se  le
norme   censurate   determinino   una   eccessiva   e   intollerabile
compressione del principio di rappresentativita' e di eguaglianza del
voto. 
    6.2.-  Tale  verifica  non  puo'  prescindere  dalla   preventiva
individuazione della natura e della funzione delle clausole o  soglie
di sbarramento. Con queste espressioni si allude alla  previsione  di
una  percentuale  minima  di  voti  necessaria  alla  lista  o   alla
coalizione di liste per accedere alla ripartizione dei seggi, con  la
conseguenza che la lista o la coalizione che non raggiunge la  soglia
non ha diritto ad alcun seggio (a meno che non sia prevista una forma
di recupero dei resti anche a  suo  vantaggio).  Queste  soglie  sono
solitamente previste nei sistemi elettorali di tipo  proporzionale  o
in quelli misti che hanno una quota di seggi assegnata  con  criterio
proporzionale, finendo  per  questo  con  il  costituire  una  regola
integrativa del sistema proporzionale. 
    Rispetto a questa definizione generica del meccanismo esiste  una
variegata gamma di  possibili  variazioni  e  combinazioni,  tale  da
rendere complessa la determinazione della portata e degli effetti dei
diversi tipi di soglia. E qualsiasi valutazione di una previsione  di
sbarramento e dei suoi  effetti  sul  concreto  funzionamento  di  un
sistema  elettorale   deve   tenere   conto   della   necessita'   di
contestualizzarne    l'analisi    alla    luce    delle    condizioni
politico-partitiche,  storiche  e  sociali  di   riferimento   e   in
particolare dell'ambito territoriale in cui quel  sistema  elettorale
trova applicazione. 
    Al  pari  del  contesto  politico-partitico,   anche   l'ambiente
storico-culturale in  cui  un  dato  sistema  elettorale  si  colloca
condiziona  il  giudizio  su  di  esso  e  sulle  sue   tecniche   di
sbarramento. Da questo punto di vista, e' chiaro che l'evoluzione dei
sistemi elettorali e' strettamente legata allo sviluppo storico della
natura delle assemblee parlamentari, che  ha  posto  il  problema  di
superare la prospettiva della mera "registrazione proporzionale della
pluralita' socio-politica" per porre in essere meccanismi  idonei  ad
assicurare efficacia ed efficienza del procedimento  decisionale.  Da
questi sviluppi e' derivata evidentemente  l'esigenza  -  ispiratrice
dei  meccanismi  di  razionalizzazione   della   composizione   delle
assemblee, fra i quali si inseriscono le previsioni di soglie  minime
di accesso al riparto dei seggi - di riconsiderare i meccanismi della
rappresentanza politica, che non e' soltanto un  semplice  "specchio"
della societa' di riferimento. 
    Di queste considerazioni occorre tenere conto  nella  valutazione
delle clausole di sbarramento, le quali, conviene ricordarlo, sono di
piu' specie e, in particolare, possono essere esplicite o  implicite.
Nella sostanza, infatti, l'effetto preclusivo  che  e'  plasticamente
rappresentato dal meccanismo ora al vaglio  di  questa  Corte,  cioe'
dall'esclusione dal riparto dei seggi della lista che  non  raggiunge
la soglia, puo' prodursi anche in assenza di una clausola o soglia di
sbarramento esplicita ed essere il frutto invece  di  un  particolare
funzionamento del  sistema  elettorale  o,  piu'  semplicemente,  del
numero dei seggi da assegnare o  delle  dimensioni  dei  collegi.  e'
chiaro, per esempio, che un numero dei seggi molto basso produrra' un
effetto preclusivo potenzialmente assai piu' rilevante di una  soglia
di sbarramento, e finanche di  una  soglia  abbastanza  alta.  A  sua
volta, la grandezza dei collegi puo' realizzare  effetti  preclusivi,
perche' dimensioni molto ridotte, determinando un  minore  numero  di
candidati eletti per ogni collegio, produrranno un forte risultato di
sbarramento, per la evidente ragione che in un collegio molto piccolo
potra'   non   essere   sufficiente   raggiungere   una   percentuale
significativa di voti per accedere al riparto dei seggi. 
    6.3.- Con queste avvertenze,  si  puo'  passare  a  esaminare  il
funzionamento delle soglie di sbarramento esplicite, quale quella  in
esame,   con   cui   si   sacrifica   l'esigenza   di   rappresentare
l'"universalita'" dei cittadini elettori in nome di altri  «interessi
e valori» (stando alla formula utilizzata  dal  rimettente)  ritenuti
parimenti meritevoli di tutela. Questi «interessi  e  valori»  devono
essere individuati, essenzialmente, nell'esigenza  di  assicurare  la
governabilita'   e   in   quella   di   evitare   la   frammentazione
politico-partitica che potrebbe rallentare o paralizzare  i  processi
decisionali all'interno dell'assemblea parlamentare. Le due  esigenze
non sono sovrapponibili ma attengono a profili diversi della funzione
del Parlamento: l'una ha riguardo alla dialettica Parlamento-Governo,
e mira a rendere proficua l'interlocuzione  tra  questi  due  organi,
l'altra tende a garantire  l'efficienza  dei  meccanismi  decisionali
dell'assemblea   parlamentare,   prescindendo   dal   rapporto    con
l'esecutivo o quanto meno ponendolo in secondo piano. 
    Le stesse descritte esigenze sono state piu' volte considerate da
questa Corte, la' dove ha affermato che «[l]a previsione di soglie di
sbarramento e quella delle modalita' per la loro  applicazione  [...]
sono tipiche manifestazioni della  discrezionalita'  del  legislatore
che intenda evitare la frammentazione della rappresentanza  politica,
e contribuire alla governabilita'» (sentenza n.  193  del  2015).  Di
recente, in occasione del giudizio sulla legittimita'  costituzionale
della previsione della legge elettorale per la  Camera  dei  deputati
che fissava una soglia minima per  il  funzionamento  del  premio  di
maggioranza, tale soglia e' stata ritenuta in se' non  manifestamente
irragionevole in quanto «volta a bilanciare i principi costituzionali
della necessaria  rappresentativita'  della  Camera  dei  deputati  e
dell'eguaglianza del voto, da un lato, con gli  obbiettivi,  pure  di
rilievo costituzionale, della stabilita'  del  governo  del  Paese  e
della rapidita' del processo decisionale, dall'altro» (sentenza n. 35
del 2017). 
    Nello stesso contesto, la valorizzazione di  queste  esigenze  ha
condotto inoltre questa Corte a  escludere  che  «la  compresenza  di
premio e soglia, nelle  specifiche  forme  ed  entita'  concretamente
previste dalla legge elettorale», possa, di  per  se',  «giustificare
una pronuncia d'illegittimita' costituzionale  del  premio»:  sebbene
infatti «qualsiasi soglia di  sbarramento  comport[i]  un'artificiale
alterazione della rappresentativita' di un organo  elettivo,  che  in
astratto potrebbe aggravare la distorsione pure indotta dal  premio»,
«non  e'  manifestamente  irragionevole  che   il   legislatore,   in
considerazione   del   sistema   politico-partitico    che    intende
disciplinare    attraverso    le    regole    elettorali,     ricorra
contemporaneamente,  nella  sua  discrezionalita',  a  entrambi  tali
meccanismi». E a riconoscere che,  «se  il  premio  ha  lo  scopo  di
assicurare l'esistenza di una maggioranza, una ragionevole soglia  di
sbarramento  puo'  a  sua  volta  contribuire  allo  scopo   di   non
ostacolarne la formazione», non  essendo  da  trascurare  inoltre  la
circostanza  «che  la  soglia  puo'   favorire   la   formazione   di
un'opposizione  non  eccessivamente  frammentata,  cosi'  attenuando,
anziche' aggravando, i disequilibri indotti dalla  stessa  previsione
del premio di maggioranza» (sentenza n. 35 del 2017). 
    6.4.- Passando  dalle  clausole  di  sbarramento  considerate  in
generale alla specifica soglia prevista per le  elezioni  dei  membri
italiani del Parlamento europeo, va rilevato in primo  luogo  che  il
giudice rimettente argomenta  la  non  manifesta  infondatezza  delle
questioni sottoposte al giudizio di questa Corte facendo  leva  sulla
considerazione  che  per  il  Parlamento  europeo  non  si   porrebbe
un'esigenza di governabilita', non sussistendo un rapporto fiduciario
fra esso e la Commissione. 
    Si puo' osservare che sulla base di questo  stesso  argomento  il
Tribunale costituzionale tedesco ha dichiarato illegittima  dapprima,
con la sentenza del 9 novembre 2011, la previsione  per  le  elezioni
europee  di  una  clausola  di  sbarramento  del  5  per   cento,   e
successivamente, con la sentenza del 26 febbraio 2014, la  previsione
di una clausola del 3 per cento. Ma ugualmente si deve ricordare  che
la Corte  costituzionale  della  Repubblica  Ceca,  muovendo  da  una
lettura del ruolo e delle funzioni del Parlamento europeo  analoga  a
quella operata dal Tribunale  costituzionale  tedesco,  e'  pervenuta
invece all'esito opposto e ha  ritenuto  che  la  previsione  di  una
clausola di sbarramento del 5 per cento  non  sia  costituzionalmente
illegittima (sentenza 19 maggio 2015, Pl. uS 14/14). 
    Si tratta di un argomento che appare innanzitutto  non  decisivo:
tenuto  conto  delle  due  distinte   esigenze   che,   come   visto,
costituiscono le ragioni ispiratrici dell'introduzione dei meccanismi
di sbarramento, ossia l'esigenza di stabilita' del governo  e  quella
di buon funzionamento dell'assemblea parlamentare, il giudice  a  quo
si  e'  limitato  a  considerarne  una,  la  prima,  escludendone  la
rilevanza, mentre non ha preso in alcun modo in esame la seconda. 
    Intanto, e' difficilmente confutabile il rilievo di quest'ultima:
anche all'interno del Parlamento europeo si pongono infatti  esigenze
di efficienza dei meccanismi decisionali, alle quali la previsione di
una soglia  di  sbarramento  innegabilmente  risponde,  riducendo  la
frammentazione politico-partitica nel suo ambito. 
    Si tratta di un'esigenza non  meno  meritevole  di  tutela  della
prima, stante che il buon funzionamento  dell'assemblea  parlamentare
costituisce  di  per  se'  un   valore   di   rilievo   primario   in
considerazione delle funzioni decisorie dell'assemblea stessa  e  dei
rischi connessi  a  una  paralisi  della  sua  attivita'  conseguente
all'impossibilita'  o  all'eccessiva  difficolta'   di   formare   le
necessarie maggioranze. 
    Gia' da questo primo punto di vista, dunque, la previsione di una
soglia di sbarramento  non  puo'  essere  considerata  irragionevole,
apparendo essa  invece  funzionale  all'obiettivo  di  razionalizzare
l'organizzazione  dell'assemblea,  obiettivo  che  si  pone  per   il
Parlamento europeo in maniera non diversa  da  come  si  pone  per  i
Parlamenti nazionali. Le conseguenze della mancata previsione di  una
soglia di sbarramento non si  esauriscono  infatti  in  una  generica
difficolta' di decisione ma comportano un concreto pregiudizio per la
funzionalita' dell'organo rappresentativo. 
    6.5.- A quanto appena  osservato  sulle  esigenze  di  efficiente
funzionamento  interno   dell'assemblea   in   vista   del   migliore
svolgimento  dei  suoi  processi  decisionali,  si   deve   nondimeno
aggiungere  il  dato   della   indubbia   trasformazione   in   senso
parlamentare della forma di governo  dell'Unione  europea,  quale  ha
preso a realizzarsi negli ultimi anni  anche  grazie  alle  modifiche
introdotte dal Trattato di Lisbona, firmato il  13  dicembre  2007  e
entrato in vigore il 1° dicembre 2009. Indizi significativi di questa
tendenza   sono   sicuramente   il   rafforzamento   delle   funzioni
legislativa,  di  bilancio,  controllo  politico  e  consultiva   del
Parlamento europeo (art. 14, paragrafo 1,  TUE  e  artt.  289  e  294
TFUE), fra cui spiccano la competenza di quest'ultimo a  eleggere  il
Presidente della Commissione  e  la  possibilita'  di  approvare  una
mozione di censura alla stessa Commissione  (art.  17,  paragrafo  8,
TUE). 
    In questa potenziata relazione dialettica fra Parlamento  europeo
e Commissione, cui consegue l'esigenza di favorire il formarsi di una
maggioranza  politica  nell'assemblea,  la  clausola  di  sbarramento
persegue l'autonoma e specifica funzione di evitare che  un'eccessiva
frammentazione  dei  partiti   in   essa   rappresentati   ne   renda
particolarmente complessa la formazione,  mettendo  cosi'  a  rischio
l'interesse alla stabilita' dell'organo politico di governo. 
    In conclusione, la previsione di un meccanismo di selezione delle
liste  ammesse  alla  ripartizione  dei  seggi   in   ragione   della
percentuale di voti ottenuta risponde a esigenze reali  e  meritevoli
di tutela, di buon funzionamento dell'assemblea parlamentare europea,
sia nei suoi rapporti con la Commissione, sia nello svolgimento della
sua piu' generale attivita'. Si deve pertanto escludere che la scelta
del legislatore italiano possa essere  ritenuta  eccedente  i  limiti
propri della discrezionalita' che gli compete nella disciplina  della
materia elettorale (ex plurimis, sentenze n. 35 del 2017, n. 193  del
2015, n. 275 e n. 1 del 2014),  tanto  piu'  tenuto  conto  dell'alto
tasso di politicita' che connota questa materia. 
    6.6.- Per il Consiglio di Stato la previsione di  una  soglia  di
sbarramento sarebbe poi irragionevole in considerazione della diversa
presenza e della non omogeneita' delle soglie nei vari Stati  membri.
In altri termini, il rimettente osserva che, se anche  il  sacrificio
della  piena  rappresentanza  fosse  ritenuto  tollerabile  in  vista
dell'obiettivo     della     riduzione      della      frammentazione
politico-partitica, esso non risulterebbe giustificato  nel  caso  di
specie, nel quale la disomogeneita' delle legislazioni nazionali  sul
punto vanificherebbe lo "sforzo" compiuto dal legislatore italiano. 
    Il rilievo non puo' essere condiviso. Se e' vero infatti  che  il
risultato  di  una  razionalizzazione  della  presenza  delle   forze
politiche nell'assemblea parlamentare europea potra' essere raggiunto
appieno  solo  attraverso  una  disciplina  uniforme  dei  meccanismi
elettorali - e questo e'  l'obiettivo  che  l'Unione  si  propone  di
raggiungere conformemente a quanto  previsto  dall'articolo  223  del
TFUE, come attuato da ultimo con  la  citata  decisione  2018/994/UE,
Euratom del Consiglio del 13 luglio 2018 - e' altrettanto  innegabile
che a tale risultato si  perviene  progressivamente,  per  tappe  che
necessariamente passano attraverso l'adozione da  parte  dei  singoli
Stati membri di normative  dirette  a  conseguirlo,  e  che  in  tale
prospettiva  la  normativa  italiana  che  introduce  la  soglia   di
sbarramento costituisce, al pari di quella di ciascun  Paese  che  la
preveda,  condizione  necessaria  (anche  se  non  sufficiente)   per
perseguire l'obiettivo. 
    In questa logica la scelta del legislatore nazionale non  e',  in
se stessa considerata, irragionevole. Tanto meno lo e'  se  si  tiene
conto del fatto che analoga scelta e' stata  gia'  compiuta  da  vari
altri Stati dell'Unione, 14 in particolare, fra i quali vi sono anche
Paesi  di  dimensioni  maggiori  come  la  Francia  e   la   Polonia.
Circostanza questa che, come  e'  evidente,  contribuisce  a  ridurre
significativamente il  rischio  paventato  dal  rimettente,  che  una
normativa isolata possa essere  vanificata  nei  suoi  effetti  dalle
diverse  scelte  altrui.  Decisiva   per   escludere   la   lamentata
irrazionalita' risulta, infine, la considerazione che l'obiettivo  di
una disciplina sempre piu' uniforme in  materia  continua  ad  essere
perseguito  dalle  istituzioni  europee,  che,  come   visto,   hanno
recentemente confermato la previsione della soglia e  ne  hanno  anzi
previsto l'obbligo per  gli  Stati  membri  in  cui  si  utilizza  lo
scrutinio di lista, limitatamente alle circoscrizioni elettorali  che
comprendono piu' di 35 seggi (decisione 2018/994/UE, Euratom). 
    Nell'orizzonte delineato sarebbe  dunque  contraddittorio  e,  da
questo punto di vista si',  irragionevole  desumere  l'illegittimita'
costituzionale della previsione della soglia di sbarramento dal  solo
fatto che essa potrebbe non essere, da sola, sufficiente a realizzare
compiutamente l'obiettivo perseguito, in assenza di previsioni  dello
stesso segno negli ordinamenti di tutti gli Stati membri. 
    In definitiva, si deve escludere che aver introdotto  una  soglia
di sbarramento in assenza di una disciplina  uniforme  in  tutti  gli
Stati membri determini di  per  se'  l'illegittimita'  costituzionale
della norma che, prevedendola, comporta un'attenuazione del principio
rappresentativo  in  vista  del  perseguimento   di   due   obiettivi
meritevoli di tutela. 
    6.7.- Deve essere  preso  in  considerazione  infine  l'ulteriore
profilo di  supposta  irragionevolezza  della  disciplina  censurata,
desunto dal rimettente dal raffronto tra gli esiti  elettorali  delle
disposizioni che prevedono il riconoscimento di un numero  minimo  di
seggi a Stati aventi minore popolazione e gli  esiti  di  quelle  che
escludono l'ottenimento di seggi da parte  di  liste  che  non  hanno
raggiunto la soglia in Italia. 
    Si tratta, in realta', di un raffronto privo di significato,  per
l'evidente incomparabilita' delle situazioni prese in  considerazione
e per la diversa ratio  che  presiede  le  scelte  legislative  -  in
effetti in entrambi i casi derogatorie rispetto alle regole ordinarie
della rappresentanza proporzionale - che le riguardano. La riserva di
un numero minimo di seggi per gli Stati con  popolazione  ridotta  e'
diretta a far si' che tutti gli Stati membri - e quindi anche i  piu'
piccoli - possano avere un minimo di rappresentanza e a  evitare  che
questo risultato non si  realizzi  in  conseguenza  dell'applicazione
delle regole  ordinarie  del  sistema  elettorale  proporzionale.  La
modifica operata dal Trattato di Lisbona secondo cui «[i]l Parlamento
europeo e' composto  di  rappresentanti  dei  cittadini  dell'Unione»
(art. 14, paragrafo 2, TUE), e non piu' «di rappresentanti dei popoli
degli Stati riuniti nella Comunita'», invero, non ha fatto venir meno
la dimensione nazionale della rappresentanza e in  questa  logica  si
spiega il riconoscimento di un numero minimo  di  seggi  (sei)  anche
agli Stati con  minore  popolazione  (Malta,  Lussemburgo,  Cipro  ed
Estonia), 
    A tutt'altre finalita', di garanzia di efficienti rapporti con la
Commissione e di buon funzionamento  dell'assemblea,  sono  orientate
invece le previsioni sulle soglie di sbarramento, come  visto  sopra.
Tali previsioni sono accomunate a quelle  che  riservano  seggi  agli
Stati  piu'  piccoli   esclusivamente   dal   fatto   di   comportare
un'incidenza sul principio di rappresentanza proporzionale: tuttavia,
in  questo  secondo  caso  il  sacrificio  e'  nella  direzione   del
potenziamento della rappresentanza, a  favore  della  popolazione  di
quei paesi; nell'altro e' nel  senso  opposto  della  "riduzione"  di
rappresentanza, che viene esclusa per le formazioni politiche che non
raggiungono determinate dimensioni. Per la diversa ratio  che  ispira
le due discipline, la ragionevolezza di ciascuna non puo' che  essere
valutata autonomamente,  mentre  e'  privo  di  senso  pretendere  di
desumere la supposta irragionevolezza di una raffrontandone gli esiti
con quelli prodotti in applicazione dell'altra. 
    Anche sotto questo profilo, pertanto, le questioni sollevate  non
sono fondate. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 21, primo comma, numeri 1-bis) e 2), e dell'art.  22  della
legge 24 gennaio 1979, n. 18  (Elezione  dei  membri  del  Parlamento
europeo spettanti all'Italia), nel testo risultante a  seguito  delle
modifiche operate dall'art. 1 della legge 20  febbraio  2009,  n.  10
(Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente  l'elezione
dei membri del Parlamento europeo  spettanti  all'Italia),  sollevate
dal Consiglio di Stato, sezione quinta, in riferimento agli artt.  1,
secondo comma,  3  e  48,  secondo  comma,  della  Costituzione,  con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                     Daria de PRETIS, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2018. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA