N. 5 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 30 novembre 2018

Ricorso per conflitto  tra  enti  depositato  in  cancelleria  il  30
novembre 2018 (della Regione Basilicata). 
 
Energia - Ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e  gassosi  -
  Sentenza del Consiglio di Stato, sezione IV, 20 settembre 2018,  n.
  5471, concernente la delibera della Giunta regionale della  Regione
  Basilicata del 9 dicembre 2016 n. 1528 di non  rilasciare  l'intesa
  della Regione Basilicata sul conferimento del permesso  di  ricerca
  di idrocarburi liquidi e gassosi, denominato «Masseria  La  Rocca»,
  sito nella provincia di Potenza. 
- Sentenza del Consiglio di Stato, sezione IV, del 20 settembre 2018,
  n. 5471. 
(GU n.2 del 9-1-2019 )
    Ricorso per conflitto di attribuzione  della  Regione  Basilicata
(c.f. 80002950766), in  persona  del  Vice  Presidente  della  giunta
regionale  e  legale  rappresentante  pro  tempore  dott.ssa   Flavia
Franconi (FRNFLV47L62H109J), rappresentata e  difesa,  in  virtu'  di
procura  speciale,   dall'avv.to   Anna   Carmen   Possidente   (c.f.
PSSNCR65H70G942T) elettivamente domiciliata in Roma, presso l'Ufficio
di  rappresentanza  dell'Ente,  alla  Via   Nizza   n.   56   -   PEC
anpossid@cert.regione.basilicata.it - fax 0971/668173; 
    Contro: 
        Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  in   persona   del
Presidente pro tempore; 
        Ministero dello sviluppo economico in persona del Ministro in
carica e legale rappresentante pro tempore; 
        Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio  e  del
mare in persona del Ministro in carica e  legale  rappresentante  pro
tempore; 
        Consiglio di Stato in sede  giurisdizionale  in  persona  del
legale rappresentante pro tempore, 
tutti domiciliati per legge presso l'Avvocatura generale dello  Stato
in Roma alla via dei Portoghesi n. 12; 
        Rockhopper Italia s.p.a. in persona del legale rappresentante
pro tempore rappresentata e difesa dagli avv.ti R. Leccese, A. Marega
e G. De Santis; 
        e nei confronti di Comune di Brindisi di Montagna in  persona
del sindaco e legale rappresentante pro tempore; 
    avverso la pronuncia del Consiglio di Stato - Sezione  Quarta  n.
5471/2018, pubblicata il 20  settembre  2018,  sull'appello  proposto
dalla Regione Basilicata  contro  Rockhopper  Italia  s.p.a.  per  la
riforma della sentenza Tribunale amministrativo regionale  Basilicata
n. 87/2017, ed in particolare  l'interpretazione  data  dell'art.  1,
comma 7, lettera n) legge n. 239/2004 per contrasto con gli  articoli
117, comma 3, 118, comma 1, 120 e 103, comma 1 in combinato  disposto
con l'art. 134 della Costituzione; nonche' per  carenza  assoluta  di
giurisdizione del giudice  amministrativo  in  ordine  agli  atti  di
intesa o di diniego di intesa. 
    Pare opportuno sintetizzare i precedenti della  sentenza  oggetto
del presente ricorso. 
    Medoilgas  Italia  s.p.a.,  Total  E&P  s.p.a.   e   Eni   s.p.a.
costituivano una joint venture, designando la Medoilgas Italia  (oggi
Rockhopper Italia s.p.a.) come mandatario, secondo le  richieste  del
Ministero dello sviluppo economico che  esprimeva  parere  favorevole
alle istanze del 7 agosto 1997 e del 23 dicembre  1997,  con  cui  le
predette societa' chiedevano il rilascio del permesso di  ricerca  di
idrocarburi liquidi e gassosi su un'area di 1.304  ettari,  sita  nei
comuni  di  Potenza  e  Brindisi   di   Montagna,   convenzionalmente
denominata «Masseria La Rocca», chiedendo alle stesse di condurre  in
associazione la ricerca degli idrocarburi. 
    Ancora su invito del Ministero la joint venture  presentava  alla
Regione Basilicata la documentazione necessaria  per  la  valutazione
della compatibilita' ambientale. 
    Con determinazione dirigenziale n. 1107 del  21  agosto  2009  il
dirigente  dell'Ufficio  compatibilita'  ambientale   della   Regione
Basilicata escludeva dal procedimento di VIA il predetto permesso  di
ricerca, ai sensi dell'art. 15, comma 1, legge regionale n.  47/1998,
con l'obbligo di rispettare alcune prescrizioni. 
    Tale esenzione veniva concessa in ragione del fatto che,  secondo
il Programma lavori allegato all'istanza,  le  attivita'  di  ricerca
sarebbero consistite unicamente nello studio e  nella  rielaborazione
dei  dati  sismici  preesistenti  senza   alcun   possibile   impatto
ambientale. 
    Nell'imminenza della scadenza i contitolari  formulavano  istanza
di proroga del giudizio di esclusione dalla VIA, che veniva rigettata
dalla Regione. 
    Poco dopo interveniva la D.G.R. n. 1288/2012  di  mancata  intesa
che faceva riferimento, tra l'altro, all'art. 37 legge  regionale  n.
16/2012 successivamente dichiarato incostituzionale. 
    Le due societa' impugnavano il rigetto della proroga e il diniego
dell'intesa dinanzi al Tribunale amministrativo regionale  Basilicata
che, accogliendo  il  loro  ricorso,  con  la  sentenza  n.  617/2014
statuiva l'obbligo della Regione di pronunciarsi nuovamente:  per  il
suo adempimento  le  societa'  esperivano  giudizio  di  ottemperanza
dinanzi allo stesso Tribunale amministrativo regionale Basilicata. 
    La sentenza di  ottemperanza  n.  623/2015,  anch'essa  impugnata
senza  successo  dalla  Regione  dinanzi  al  Consiglio   di   Stato,
accogliendo  il  ricorso  della  Societa'  Rockhopper  Italia  S.p.A.
accertava l'obbligo del MATTM (e non della Regione)  di  pronunciarsi
sull'istanza di proroga del provvedimento di  esenzione  da  VIA,  in
ragione del trasferimento di competenze  avvenuto  medio  tempore  ad
opera dell'art. 38 decreto-legge n.  133/2014;  la  sentenza  inoltre
concedeva alla giunta  regionale  il  termine  perentorio  di  trenta
giorni  dall'eventuale  accoglimento  dell'istanza  di  proroga   del
provvedimento di esenzione dalla V.I.A. per pronunciarsi  nei  merito
dell'intesa ex art. 29, (comma 2, lettera l) decreto  legislativo  n.
112/1998. 
    Il Consiglio di  Stato  con  sentenza  n.  3058/2016  ha  imposto
l'ottemperanza della sentenza Tribunale amministrativo  regionale  n.
623/2015. 
    Il MATTM concedeva una proroga retroattiva di cinque  anni;  tale
provvedimento e' stato impugnato dinanzi al Tribunale  amministrativo
regionale  Lazio  che  ha   emesso   un'ordinanza   declaratoria   di
incompetenza territoriale  in  favore  del  Tribunale  amministrativo
regionale Basilicata. 
    Alla luce di cio' la  Regione  Basilicata,  con  la  delibera  n.
1528/2016, ottemperava a quanto previsto dalla sentenza del Consiglio
di Stato n. 3058 dell'11  luglio  2016  e  a  quanto  previsto  dalla
sentenza  n.  623/2015   del   Tribunale   amministrativo   regionale
Basilicata, strettamente connesse e collegate tra loro. 
    La Societa' Rockhopper  Italia  s.p.a.  in  data  24  marzo  2017
notificava ricorso contro la Regione Basilicata, e nei confronti  del
Comune di Brindisi di Montagna per l'annullamento della deliberazione
della giunta regionale della Basilicata n. 1528 del 29 dicembre  2016
di diniego dell'intesa dinanzi al Tribunale amministrativo  regionale
Basilicata, che veniva accolto con sentenza n. 387/17. 
    La Regione Basilicata e il Comune di Brindisi  di  Montagna,  con
autonomi ricorsi, impugnavano tale sentenza dinanzi al  Consiglio  di
Stato, che rigettava entrambi i  ricorsi,  previa  riunione,  con  la
sentenza n. 5471/2018 di che trattasi. 
    Tanto il Giudice di prime cure che il Consiglio di Stato, dinanzi
ai quali la Regione aveva  gia'  eccepito  il  «tono  costituzionale»
della vicenda, hanno condiviso le eccezioni  di  violazione  e  falsa
applicazione  dell'art.  29,  comma  2,  lettera   l)   del   decreto
legislativo  n.  112/1998;  violazione   del   principio   di   leale
collaborazione ed eccesso di potere per illogicita' e  sviamento  dal
fine, difetto di istruttoria e carenza di motivazione, dedotte  dalla
Societa' in primo grado con  riferimento  alla  D.G.R.  impugnata  di
diniego dell'intesa. 
    Tali argomenti, pretestuosi e  privi  di  fondamento,  frutto  di
affermazioni sprovviste di ogni utile prova, mettono  in  discussione
lo  stesso  concetto  di  «intesa   forte»   con   un'interpretazione
assolutamente contrastante con i principi costituzionali. 
    La  sentenza  qui  impugnata  si  colloca  nell'ambito  dell'iter
procedimentale rivolto all'emissione di un  permesso  di  ricerca  di
idrocarburi liquidi e gassosi. 
    Vigente la precedente formulazione del Titolo V  della  Parte  II
della Costituzione, l'art. 29,  comma  2,  lettera  l),  del  decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112, di attuazione della legge 15 marzo
1997, n. 59 (c.d. «legge Bassanini»),  ha  conservato  in  capo  allo
Stato  «le  funzioni  amministrative  concernenti   la   prospezione,
ricerca, coltivazione e stoccaggio di idrocarburi in mare, nonche' la
prospezione e ricerca di idrocarburi in terraferma, ivi  comprese  le
funzioni di polizia mineraria ai sensi delle norme vigenti». 
    Successivamente, l'art. 3,  comma  1,  lettera  b),  del  decreto
legislativo 29 ottobre 1999, n. 443, ha  previsto  che  «le  funzioni
amministrative relative a  prospezione,  ricerca  e  coltivazione  di
idrocarburi in terraferma, ivi comprese quelle di polizia  mineraria,
sono svolte dallo Stato d'intesa con la regione  interessata  secondo
modalita' procedimentali da emanare entro sei mesi dalla  entrata  in
vigore del presente decreto legislativo». 
    Con detta modifica, il legislatore delegato ha inteso dar seguito
a quanto la Corte costituzionale aveva stabilito con la  sentenza  27
dicembre 1991, n. 482, e cioe' che il  rilascio  di  tutti  i  titoli
minerari, di cui alla legge 9 gennaio  1991,  n.  9,  dovesse  essere
sempre preceduta da un'intesa con la Regione interessata. 
    In  questa  prospettiva,  troverebbe  giustificazione   l'accordo
procedimentale concluso il 24  aprile  2001  in  sede  di  Conferenza
Stato-Regioni, tutt'ora vigente, finalizzato a  garantire  meccanismi
di leale collaborazione in materia di rilascio di titoli minerari. 
    Sempre nel 2001, e', quindi, intervenuta la riforma del Titolo  V
della Parte II della Costituzione, con cui si e' anzitutto  riscritto
l'art.  114  della  Carta  costituzionale,  stabilendosi,   in   modo
assolutamente  innovativo,  che  «La  Repubblica  e'  costituita  dai
Comuni, dalle Province, dalle Citta' metropolitane, dalle  Regioni  e
dallo Stato». 
    Detta riforma ha in questo modo previsto un inedito assetto delle
funzioni legislative  e  amministrative  di  tali  Enti  territoriali
attraverso una nuova formulazione degli articoli 117 e 118  Cost.  In
questo contesto, la disciplina  degli  idrocarburi.  diversamente  da
guanto accadeva nel vigore del precedente Titolo V  Cost.,  e'  stata
ricondotta entro la materia «produzione,  trasporto  e  distribuzione
nazionale dell'energia»: essa, sebbene destinata ad intersecare anche
altri ambiti materiali di competenza  legislativa  (come  ad  es.  il
Governo del territorio, la tutela dell'ambiente, ecc.),  risulta  ora
completamente attratta, e  cioe'  per  ogni  suo  aspetto,  entro  la
competenza concorrente dello Stato e delle Regioni, come del resto ha
sostenuto piu'  volte  anche  la  Corte  costituzionale  (v.  ad  es.
sentenza n. 6 del 2004; sentenza n. 383 del 2005). 
    La legge 23 agosto 2004, n. 239 ha recato  un  ampio  e  generale
riordino  del  settore  energetico,  disponendo   la   «chiamata   in
sussidiarieta'»  di  gran   parte   delle   funzioni   amministrative
concernenti l'energia e attribuendo,  in  questo  modo,  in  capo  ad
organi statali l'esercizio  unitario  di  competenze  affidate  dalla
Costituzione alle Regioni  e  agli  Enti  locali  (cfr.  anche  Corte
costituzionale, sentenza n. 383 del 2005). 
    Devoluzione, questa, che, alla luce delle precisazioni effettuate
dal giudice costituzionale, risulta  legittima  solo  in  quanto  nei
procedimenti decisionali si assicuri «la partecipazione  dei  livelli
di Governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione  o,
comunque,  (attraverso)  adeguati  meccanismi  di  cooperazione   per
l'esercizio concreto  delle  funzioni  amministrative  allocate  agli
organi centrali» (Corte cost., sentenza n. 6 del 2004). 
    In quest'ottica la legge statale «puo'  aspirare  a  superare  il
vaglio di legittimita' costituzionale solo se si prefiguri un iter in
cui assumano  il  dovuto  risalto  le  attivita'  concertative  e  di
coordinamento orizzontale, ovverosia le  intese,  che  devono  essere
condotte in base al principio di lealta'» (Corte cost. sent.  n.  303
del 2003). 
    Da questo punto di vista, assume senz'altro rilievo dirimente  il
tipo di processo decisionale  assunto  dallo  Stato,  in  quanto,  in
relazione agli indirizzi  della  politica  energetica  nazionale,  la
collaborazione deve  trovare  realizzazione  in  sede  di  Conferenza
unificata attraverso la previsione di un'intesa in senso «forte»  fra
gli  organi  statali  e  il  sistema  delle  autonomie   territoriali
complessivamente inteso (cfr. ancora Corte costituzionale sentenza n.
383 del 2005) mentre, in relazione a singoli progetti, essa  richiede
che si giunga ad  un  accordo  tra  l'organo  statale  competente  al
rilascio del provvedimento e la Regione e gli Enti locali interessati
dal progetto. 
    Si badi che si tratta di un'intesa in senso «forte», che «si deve
intendere  implicitamente  richiamata  in   tutte   le   disposizioni
legislative sul medesimo oggetto» (sent. n. 383 del  2005;  sent.  n.
117 del 2013). 
    Addirittura, la legge n. 239 del  2004  aveva  stabilito  che  il
permesso  di  ricerca  e  la  concessione  alla  coltivazione   degli
idrocarburi dovessero essere rilasciati in base  ad  un  procedimento
unico  al  quale  avrebbero   dovuto   partecipare,   non   solo   le
amministrazioni regionali interessate, ma  anche  le  amministrazioni
locali interessate (art. 1, commi 77 e 78). 
    Questa previsione, pur abrogata per la parte relativa  agli  enti
locali dall'art. 27, comma 34, della legge n. 99 del  2009,  che  ora
dispone che «il permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e  gassosi
in terraferma (...) e' rilasciato a seguito di un procedimento  unico
al  quale  partecipano  le  amministrazioni   statali   e   regionali
interessate», non  muta  lo  stato  delle  cose  rispetto  all'intesa
regionale, la quale deve essere sempre acquisita. 
    Infatti, l'art. 1, comma 7, lettera n), della legge  n.  239  del
2004  continua  a  disporre  che  «le  determinazioni   inerenti   la
prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi  comprese  le
funzioni di polizia mineraria, (sono) adottate, per la terraferma, di
intesa con le regioni interessate». 
    Tale assetto di competenze e' stato recentemente  ribadito  dalla
Corte costituzionale nelle sentenze nn. 114, 170 e 198 del  2017,  le
quali si sono occupate della materia de qua, ribadendo la  competenza
regionale a partecipare al procedimento per il  rilascio  dei  titoli
minerari in terraferma mediante l'atto di intesa. 
    Nel  caso  della  materia  energetica,   e'   pacifico   che   la
giurisprudenza costituzionale declini in senso forte il meccanismo di
leale  collaborazione  dell'intesa  e  che,   pertanto,   l'eventuale
dissenso non possa essere superato in via  unilaterale  o,  comunque,
senza delle serie trattive volte a superare il dissenso. 
    Appare utile richiamare altresi' la sentenza n. 33 del 2011,  che
afferisce sempre alla materia energetica (da fonte nucleare, anziche'
dalla fonte degli idrocarburi, ma senza che cio' rilevi ai  fini  dei
principi ivi espressi). 
    Infatti, ora come allora, «non c'e' dubbio che si  e'  di  fronte
(...) ad una  disciplina  concernente  la  materia  dell'energia  che
rientra fra quelle che l'art. 117,  terzo  comma,  Cost.  attribuisce
alla potesta' concorrente di Stato e Regioni e che (la legge  n.  239
del  2004)  opera  una  chiamata  in  sussidiarieta'  delle  funzioni
amministrative concernenti tale materia». 
    Percio', «il  legislatore  statale  (...)  ha  previsto  che  per
l'esercizio di tali funzioni (...) sia necessario  il  raggiungimento
dell'intesa con la singola Regione interessata». 
    La  Corte  ha  altresi'  specificato  che,  se  la   legislazione
disciplina  il  dissenso   regionale,   deve   essere   esclusa   «la
legittimita' di  una  disciplina  che  ai  fini  del  perfezionamento
dell'intesa contenga la "drastica previsione" della decisivita' della
volonta' di una sola parte, affermando, al contrario,  la  necessita'
che il contenuto dell'atto sia frutto di una codecisione paritaria  e
indicando, altresi', la necessita' di prevedere - in caso di dissenso
-  idonee  procedure  per  consentire  lo  svolgimento  di  reiterate
trattative volte a superare le divergenze (sentenze n. 121 del  2010,
n. 24 del 2007, n. 383 e n. 39 del 2005)». 
    Ad esempio, in quel caso, era «prevista ed istituzionalizzata una
fase di trattative ulteriori attraverso la nomina  di  un  organo  ad
hoc; qualora, tuttavia, neppure cio' dia esito positivo, la decisione
finale e' rimessa ad un atto del Governo, il quale  assume  la  forma
del decreto del Presidente della  Repubblica  e  richiede  la  previa
deliberazione  dei  Consiglio  dei  ministri  e   la   partecipazione
regionale». 
    E' poi sulla decisione ultima dello Stato che «si esercita  (...)
la funzione di controllo tipica dell'emanazione di tali atti, avverso
i  quali  ben  potranno   essere   esperiti   gli   ordinari   rimedi
giurisdizionali, nonche' eventualmente il  ricorso  avanti  a  questa
Corte in sede di conflitto di attribuzione». 
    Peraltro, nella sentenza n. 383/2005 si e' ulteriormente chiarito
che l'intesa in senso forte e' un «atto a  struttura  necessariamente
bilaterale», come tale non superabile «con decisione  unilaterale  di
una delle parti» e che «nel caso limite  del  mancato  raggiungimento
dell'intesa potrebbe essere utilizzato, in ipotesi, lo strumento  del
ricorso alla Corte in sede di conflitto di attribuzione fra  Stato  e
Regioni». 
    L'«Intesa  forte»  che  la  Regione  rilascia,  dunque,  consegue
all'Accordo del 24 aprile 2001 sottoscritta tra Stato e Regione ed e'
tale proprio perche'  e'  rilevante  e  condiziona  il  provvedimento
statale/ministeriale. 
    E' innegabile che l'Intesa sia espressione della  competenza  che
la Regione ha in materia di valorizzazione e governo del  territorio,
valorizzazione  dei  beni  culturali  e  ambientali  e  promozione  e
organizzazione  di   attivita'   culturali,   e   che   l'invocazione
dell'applicazione dell'art. 29, comma 2, lettera l) non puo'  esserne
la negazione o la violazione. 
    A conferma v'e' proprio il  tenore  letterale  della  lettera  l)
dell'art. 29, comma 2, cosi' come modificato dall'art.  3,  comma  1,
lettera b) del decreto legislativo n. 443 del 1999, la' dove sancisce
che  la  prospezione,  ricerca  e  coltivazione  di  idrocarburi,  le
funzioni   amministrative   relative   a   prospezione,   ricerca   e
coltivazione di idrocarburi in terraferma,  ivi  comprese  quelle  di
polizia mineraria, sono svolte dallo Stato d'intesa  con  la  regione
interessata. 
    Se lo  Stato  avesse  voluto  attribuire  alla  Regione  un  peso
minimale nel procedimento di che  trattasi  non  avrebbe  qualificato
l'Intesa come «forte» e, ancora, se tale qualifica  avesse  integrato
una violazione dell'art. 29, comma 2, lettera l) lo Stato non avrebbe
sottoscritto l'accordo piu' volte richiamato. 
    In  ordine  all'omessa  attivazione  della  procedura  volta   al
superamento del dissenso espresso dal territorio,  manifestato  dalla
Conferenza delle autonomie locali e dal Comune di Brindisi  Montagna,
si sottolinea che la Regione nel rilascio dell'Intesa ha un ruolo  di
ente esponenziale delle comunita' territoriali insediate, non  ha  un
ruolo di mediatore, bensi' di ricettore  delle  volonta'  manifestate
dalla collettivita'. 
    In  proposito  la  sentenza  n.   117/2013   di   codesta   Corte
costituzionale afferma che l'intesa, di  cui  all'art.  1,  comma  7,
lettera n), legge  23  agosto  2004,  n.  239,  e'  riconducibile  al
principio di leale collaborazione, vista la natura concorrente  delle
competenze  che  rilevano  ai   fini   delle   determinazioni   sulle
prospezioni, ricerca e coltivazione di idrocarburi. 
    Non si puo' non evidenziare la contraddizione  in  cui  cadono  i
giudici amministrativi laddove da una parte ascrivono  in  capo  alla
Regione l'omesso tentativo di  superare  il  dissenso,  e  dall'altra
ammettono  che  la  stessa  sia  ente  esponenziale  delle  comunita'
territoriali insediate, attribuendole implicitamente  il  ruolo,  che
giustamente la Regione ha esercitato, di  portavoce  delle  comunita'
locali. 
    Con le censure espresse nei confronti della Regione pare  che  si
confondano  i  procedimenti  di  V.I.A.  e  dell'Intesa,  nonche'   i
presupposti di valutazione alla base degli stessi. 
    Non pare superfluo evidenziare  che  la  valutazione  di  impatto
ambientale, di  natura  tecnica,  da  non  confondere  con  l'Intesa,
presuppone  la  valutazione  degli  aspetti  ambientali,  mentre   il
rilascio dell'Intesa implica una scelta di carattere  socio-economico
da ricondursi alla sfera di indirizzo politico che la Regione  si  e'
data. 
    Per tale motivo la Regione Basilicata, con la legge regionale  n.
4/2015, si e' dotata di strumenti e procedure idonee a far valere  il
parere e le esigenze delle Autonomie locali, ed  ha  disciplinato  il
rilascio  dell'intesa   in   materia   di   energia   prevedendo   il
coinvolgimento della Conferenza della Autonomie, organismo  istituito
dalla legge regionale n. 17 del 28 marzo 1996, con  la  finalita'  di
consolidare le relazioni istituzionali tra  la  Regione  e  gli  enti
locali e diretto a promuovere lo sviluppo coordinato delle funzioni e
delle relazioni tra le istituzioni territoriali della Basilicata. 
    Sull'intesa  in  questione,  la  Conferenza  delle  Autonomie  ha
espresso il proprio motivato parere negativo nella conferenza del  14
novembre 2016, e di tanto  la  Regione  ha  dovuto  tener  conto  nel
rilasciare il proprio diniego con  l'impugnata  D.G.R.  1528  del  29
dicembre 2016. Pare opportuno evidenziare, altresi', che  la  Regione
ha da tempo delineato in programma di sviluppo che prevede un  futuro
non  compatibile  con  altri  progetti  di   petrolizzazione   bensi'
orientato  alla  ecosostenibilita',  alla   qualita'   ambientale   e
turistica, alla tutela della produzione agricola di  pregio  ed  alla
innovazione tecnologica; in tale contesto si inserisce la mozione del
Consiglio  regionale  che  nella  seduta  del  20  dicembre  2016  ha
approvato all'unanimita' una  mozione  che  impegnava  il  presidente
della Regione «ad emanare entro sette giorni l'apposita deliberazione
con la quale si  esprima  parere  negativo  al  progetto/permesso  di
ricerca "Masseria La Rocca" al fine di tutelare il  territorio  e  la
salute  pubblica  ed  a  comunicare  immediatamente  alle   autorita'
competenti  la  deliberazione  e  il  proprio  dissenso  rispetto  al
progetto». Con la  mozione  si  impegnava  il  «governo  regionale  a
tutelare il territorio lucano e i cittadini negando ogni  assenso  al
progetto petrolifero in una zona limitrofa al capoluogo regionale. 
    Tanto anche nella finalita' di aprire un canale di confronto  con
il Governo nazionale e chiedere allo  stesso  di  tener  conto  della
netta contrarieta' ad ulteriori  estrazioni  petrolifere  piu'  volte
espressa dai cittadini lucani». 
    Ne   consegue   che   il   provvedimento   regionale   e'   stato
sufficientemente istruito,  cosi'  come  provato  dai  fatti  narrati
sopra, in quanto sono state raccolte  le  esigenze  della  comunita',
espresse nella conferenza  delle  autonomie  locali,  dal  Comune  di
Brindisi Montagna e dalle associazioni ambientaliste e  dallo  stesso
Consiglio  regionale,  massima   espressione   delle   volonta'   del
territorio. 
    La Regione, «chiamata a pronunciarsi  non  gia'  in  qualita'  di
organo preposto alla tutela dell'ambiente e dotato  delle  necessarie
competenze tecnico-specialistiche  in  questa  materia,  ma  di  ente
esponenziale delle  comunita'  territoriali  insediate  in  cui  sono
localizzati gli impianti estrattivi» (punto 9 sentenza del  Consiglio
di Stato n. 3058/2016),  ha  tenuto  non  solo  in  debito  conto  le
volonta' che sono pervenute dal territorio, che certamente non poteva
ignorare, ma anche le scelte di carattere socio-economico espressione
dell'indirizzo politico regionale. 
    Tanto  pare  gia'  sufficiente  a  dimostrare  che   la   Regione
Basilicata non ha affatto espresso il diniego in modo aprioristico. 
    La  sentenza  amministrativa  contestata  ascrive,  invece,  alla
Regione Basilicata la violazione dell'art. 29, comma  2,  lettera  l)
del decreto legislativo n. 112/1998, sostenendo che la  stessa  abbia
emanato un diniego  aprioristico  dell'intesa,  senza  motivazione  e
senza aver attivato alcuna iniziativa volta a  superare  il  dissenso
del Comune di Brindisi di Montagna e del Comitato No Triv. 
    Vale la pena evidenziare che il  comportamento  posto  in  essere
dalla Regione Basilicata non sostanzia  alcuna  violazione  dell'art.
29,  comma  2,  lettera  l)  del  decreto  legislativo  n.  112/1998,
considerato  e  provato  che  ha  svolto  ogni  utile  attivita'   di
concertazione con le rappresentanze territoriali,  essendo  chiamata,
si ribadisce, a pronunciarsi sull'Intesa  non  gia'  in  qualita'  di
organo preposto alla tutela dell'ambiente e dotato  delle  necessarie
competenze tecnico-specialistiche  in  questa  materia,  ma  di  ente
esponenziale delle  comunita'  territoriali  insediate  in  cui  sono
localizzati gli impianti estrattivi per cui  deve  tenere  in  debito
conto le volonta' del territorio e  consentire  alle  amministrazioni
locali di partecipare al procedimento. 
    E' chiaramente evidente l'errore in iudicando in cui  e'  incorso
il Collegio giudicante quando  attribuisce  alla  Regione  Basilicata
l'omesso  compito  di  avviare  attivita'  di  concertazione  tese  a
superare il dissenso del territorio e con la finalita'  di  pervenire
ad una intesa favorevole, compito proprio dello Stato! 
    Tanto trova conferma nella legge di stabilita' 2014  che  prevede
espressamente «in caso  di  mancato  raggiungimento  dell'intesa,  si
provvede con le modalita' di cui all'art. 1, comma 8-bis, della legge
23 agosto 2004, n. 239», ovvero il Ministero rimette  gli  atti  alla
Presidenza del Consiglio;  nel  caso  invece  in  cui  vi  e'  intesa
negativa, in quanto gli enti si esprimono dichiarando di  non  essere
d'accordo, lo Stato non puo'  superare  unilateralmente  il  dissenso
manifestato, ma e'  tenuto  ad  avviare  una  reale  trattativa.  Nei
rapporti   tra   Stato   e    Regioni    interessati    dall'istituto
dell'attrazione in sussidiarieta' non si puo' ragionare in termini di
avocazione tout court perche' non  e'  applicabile  il  principio  di
gerarchia bensi' quello di leale collaborazione. 
    La  giurisprudenza  costituzionale  (sentenza  n.  121/2010;   n.
33/2011) ribadisce che per assicurare il rispetto  del  principio  di
leale  collaborazione  siano   necessarie   «idonee   procedure   per
consentire reiterate trattative  volte  a  superare  le  divergenze»,
consentendo un superamento concordato  del  dissenso.  L'attribuzione
alla Presidenza del Consiglio dei ministri  del  potere  di  decidere
sull'intesa elude la natura di quest'ultima,  imponendo  un  atto  di
imperio dello  Stato  che  viola  non  solo  il  principio  di  leale
collaborazione ma anche la corretta ripartizione di competenze  cosi'
come costituzionalmente prevista. 
    Al fine di qualificare il rifiuto dell'intesa,  posto  in  essere
dalla Regione Basilicata, come «aprioristico» sono state  richiamate,
poi, le argomentazioni della sentenza della Corte  costituzionale  n.
117/2013, omettendo di considerare che oggetto della sentenza  citata
era l'art. 37 della legge regionale n.  16/2012,  ovvero  un  rifiuto
aprioristico all'esercizio dei permessi di ricerca  tout  court,  che
nulla ha a che vedere con l'intesa negativa espressa  con  D.G.R.  n.
1528 del 29 dicembre 2016, provvedimento afferente al singolo caso  e
non  alla  genericita'  e  pluralita'  indifferenziata,   frutto   di
ragionevolezza e proporzionalita' nonche' di una attenta ponderazione
dell'istanza  (Corte  costituzionale  sentenza   n.   113/2013),   in
considerazione  che  il  diniego  ha  visto  il  coinvolgimento   del
territorio e ben  risponde  al  principio  di  leale  collaborazione,
sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza. 
    Si ribadisce, come si e'  gia'  ampiamente  argomentato,  che  il
rilascio dell'intesa consegue ad una valutazione non solo prettamente
ambientale  ma  anche  relativa  alla  programmazione   di   sviluppo
regionale che, nel caso in specie, prevede un futuro non  compatibile
con  altri  progetti  di  petrolizzazione,  bensi'   orientato   alla
ecosostenibilita', alla qualita' ambientale e turistica, alla  tutela
della produzione agricola di pregio ed alla innovazione tecnologica. 
    La Regione nel suo provvedimento  giustamente  non  subordina  la
potesta' governativa regionale al preventivo assenso dello  Stato,  e
rinvia ad un'intesa che assolutamente non  puo'  essere  interpretata
come giuridicamente coercibile. 
    Qualora si ritenesse che il rilascio dell'intesa regionale per il
conferimento di nuovi  titoli  minerari  fosse  soggetta  a  processi
automatici di  formazione,  senza  margini  di  autonomia  valutativa
regionale in materia, sarebbe  mortificata  e  compromessa  la  reale
consistenza giuridica  dell'intesa  e  le  finalita'  alle  quali  e'
istituzionalmente   preordinata.   Ne'   l'assenso    regionale    al
conferimento di nuovi titoli minerari puo' darsi per acquisito in via
generalizzata. 
    Pare opportuno ribadire che nel settore  energetico  e'  prevista
un'intesa «forte» tra Stato e Regioni: nel rispetto del principio  di
leale  collaborazione  la  Regione,  infatti,  puo'  esprimere  senza
vincoli i propri punti di  vista  e  le  proprie  determinazioni.  In
proposito la  Corte  costituzionale  ha  affermato  che  in  caso  di
dissenso sono necessarie idonee procedure  per  consentire  reiterate
trattative volte a  superare  le  divergenze.  Solo  nell'ipotesi  di
ulteriore esito negativo di tali procedure  mirate  all'accordo  puo'
essere  rimessa  al  Governo  una   decisione   unilaterale.   (Corte
costituzionale  sentenza  n.  165/2011).  Nel  caso  specifico   alla
deliberazione di mancata intesa emessa dalla Giunta regionale non  ha
ancora fatto ancora seguito alcuna azione dello Stato. 
    Anche la legge n. 239/2004 (legge quadro in materia  di  energia)
in riferimento alla materia: produzione,  trasporto  e  distribuzione
nazionale dell'energia, materia oggetto di legislazione  concorrente,
stabilisce che gli obiettivi di politica energetica  sono  conseguiti
sulla  base  dei  principi   di   sussidiarieta',   differenziazione,
adeguatezza e leale collaborazione fra Stato, Regioni ed enti locali.
La  suddetta  legge  prosegue  con  l'elencazione   degli   obiettivi
includendo  la   valorizzazione   delle   risorse   nazionali   degli
idrocarburi, favorendone la prospezione e  l'utilizzo  con  modalita'
compatibili  con  l'ambiente,  evidenziando  con   cio'   che   dette
attivita', pur rientrando tra gli obiettivi di  politica  energetica,
non possono tuttavia prescindere da modalita' tali  da  garantire  la
tutela dell'ambiente e della salute. 
    Del resto la tutela dell'ambiente e  dell'ecosistema  e'  tra  le
priorita' perseguite dal legislatore proprio attraverso la  legge  n.
239/2004,  art.  1,  comma  1,  elaborate  e  definite  dallo   Stato
avvalendosi all'uopo di meccanismi di raccordo e di cooperazione  con
le autonomie regionali. 
    A questo si aggiunga che parere di compatibilita'  ambientale  e'
una fase essenziale ma non sufficiente del procedimento sull'intesa. 
    L'intesa,  dunque,  supera  i  limiti  del   mero   provvedimento
tecnico-amministrativo e  si  colloca  nell'ambito  del  governo  del
territorio  e  della  tutela  della  salute,  che  sono  materie   di
legislazione concorrente ai sensi dell'art. 117, comma 3 Cost. In tal
senso la Giunta regionale ha fatto valere le proprie  prerogative  in
tema di uso razionale del territorio,  contrastando  l'insorgenza  di
nuovi vincoli che condizionano la sua  programmazione.  La  pronuncia
oggetto della presente impugnativa, viola dunque l'autonoma attivita'
discrezionale della  pubblica  amministrazione,  che  nel  merito  e'
sottratta al sindacato del Giudice amministrativo in quanto afferisce
alle scelte di opportunita' e convenienza, e nel caso di specie anche
all'indirizzo   politico   della   Regione,   riservate    unicamente
all'Amministrazione, in omaggio al principio  della  separazione  dei
poteri. Il  G.A.  nel  caso  di  attivita'  discrezionale  puo'  solo
sindacare la  legittimita'  dell'azione  amministrativa,  ma  non  il
merito della stessa. 
    Invero,  cio'  che  occorre  chiedersi  e'  se  la  giurisdizione
amministrativa e la giurisdizione  costituzionale  possano  sindacare
l'atto con cui la Regione decide di rilasciare o di negare l'intesa. 
    A tale questione  il  Giudice  amministrativo  ha  (erroneamente)
risposto in modo affermativo, allorche'  non  ha  aderito  alla  tesi
proposta,  secondo  cui,  «se  l'intesa  regionale  deve  servire   a
"compensare" il sistema autonomistico  della  perdita  di  competenza
ceduta a livello  centrale,  verrebbe  in  rilievo  una  controversia
dall'indubbio  "tono  costituzionale",  con   conseguente   sindacato
appartenente alla  sola  Corte  costituzionale,  unica  giurisdizione
deputata nel nostro sistema costituzionale a giudicare dei  conflitti
di attribuzione tra Stato e Regioni ai sensi dell'art. 134  Cost.,  e
carenza di giurisdizione del giudice amministrativo». 
    Nel  rigettare  la  tesi,  il  Supremo  consesso   di   giustizia
amministrativa ha osservato che «l'art. 134  Cost.  sancisce  che  la
Corte  costituzionale  giudica,  tra  l'altro,   sui   conflitti   di
attribuzione tra lo Stato e le Regioni. L'art.  39,  comma  1,  della
legge n. 87 del 1953 stabilisce che se la Regione invade con  un  suo
atto la sfera di competenza assegnata dalla Costituzione  allo  Stato
ovvero ad un'altra Regione, lo Stato  o  la  Regione  rispettivamente
interessata possono proporre ricorso alla  Corte  costituzionale  per
dirimere il conflitto (del pari puo' proporre ricorso la  Regione  la
cui sfera di competenza costituzionale sia invasa da  un  atto  dello
Stato). 
    La fattispecie in esame, pur inserendosi in  un  procedimento  in
cui  e'  richiesto  l'intervento  sia  statale  che   regionale,   e'
totalmente al di fuori di questo ambito. 
    La  controversia  e'  stata  correttamente  proposta  al  giudice
amministrativo in giurisdizione generale di legittimita' in quanto la
Societa', lesa in un suo interesse legittimo pretensivo, ha agito  in
giudizio deducendo l'illegittimita' del provvedimento lesivo. 
    Il diniego  di  intesa,  infatti,  costituisce  un  provvedimento
amministrativo, idoneo a ledere la posizione giuridica soggettiva del
richiedente il  permesso,  il  quale,  pertanto,  puo'  attivare  gli
strumenti  di  tutela  (nella  specie,   l'azione   di   annullamento
dell'atto) previsti dall'ordinamento». 
    Percio', il Giudice amministrativo d'appello ha,  per  un  verso,
implicitamente ritenuto  che  l'atto  di  diniego  di  intesa  avesse
un'autonoma portata lesiva e che, pertanto, fosse impugnabile e,  per
altro  verso,  lo  ha  ritenuto  sindacabile  come  ogni  altro  atto
amministrativo. 
    Di qui, l'evidente lesione  delle  competenze  costituzionalmente
attribuite  alle  Regioni,  tale  da  integrare   un   conflitto   di
attribuzione. 
    E' fin troppo evidente, in virtu' delle premesse costituzionali e
normative,  che  si  verte  in  una   materia   che   ha   conosciuto
l'applicazione dell'istituto, di creazione  giurisprudenziale,  della
chiamata in sussidiarieta'. 
    Si discute, pertanto, di  competenze  statali  (il  rilascio  dei
titoli minerari) che tali sono in virtu' di  un  accentramento  delle
attribuzioni che puo' ritenersi legittimo soltanto  a  patto  che  si
prevedano adeguate forme di partecipazione regionale, che non possono
essere considerate alla stregua  di  ogni  altro  parere,  accordo  o
nulla-osta   delle   amministrazioni   coinvolte   nei   procedimenti
amministrativi. 
    Tale partecipazione regionale qualificata, che  assume  il  nomen
iuris di intesa, non si estrinseca solo  nel  rilascio  di  un  atto,
posto che, come si e' visto, un eventuale diniego  non  comporta  ne'
l'arresto  del  procedimento,  ne'  la   diretta   avocazione   della
competenza da parte del Governo. 
    Comporta  piuttosto  l'impegno  delle  parti  a  svolgere  «serie
trattative» per superare il dissenso, all'esito delle quali va da se'
che vi potrebbe essere l'intervento del Governo volto  a  evitare  lo
stallo. 
    Tale ultimo intervento e' comunque visto come una  extrema  ratio
nei rapporti fra  elementi  costitutivi  della  Repubblica,  Stato  e
Regione, entrambi parimenti titolari della potesta' legislativa. 
    Invece, l'ammissibilita' dell'intervento giurisdizionale  avverso
il diniego di intesa regionale comporta la rinuncia a qualunque  tipo
di trattativa volta a superare il dissenso e il passaggio a una  fase
patologica  che  mal  si   addice   alla   tipologia   di   relazioni
ordinamentali che vengono in rilievo, la quale presuppone casomai una
fase  fisiologica  di  confronto  per  il  superamento  politico  del
dissenso. 
    Appare  chiaro  che,   se   l'intesa   serve   a   garantire   la
partecipazione  regionale  nell'esercizio  della  funzione   statale,
l'ammissibilita'   dell'impugnazione   del   suo   diniego,    invece
dell'attivazione delle procedure volte a superare il dissenso, fa si'
che lo Stato possa avocare a  se'  le  competenze  concorrenti  senza
alcun contributo regionale,  dal  momento  che  allo  Stato  medesimo
(persona giuridica) sarebbe  attribuito  l'esercizio  della  funzione
amministrativa e  sempre  allo  Stato  (persona  giuridica),  per  il
tramite della sua giurisdizione, sarebbe consentito  di  superare  il
dissenso. 
    In sostanza, l'intesa, che per sua natura e' un atto  bilaterale,
finirebbe per essere adottata dallo Stato con atto unilaterale o  con
sommatoria di atti  unilaterali  comunque  riconducibili  allo  Stato
persona giuridica. 
    In secondo luogo, vale la pena osservare come il ricorso proposto
avverso il diniego di intesa investa in un senso  cosi'  evidente  la
dinamica  delle  relazioni  costituzionali,   non   suscettibili   di
sindacato giurisdizionale, ma casomai di dialogo  politico,  che,  se
quella azione  fosse  stata  proposta  dal  Governo,  anziche'  dalla
Societa' controinteressata,  il  ricorso  sarebbe  stato  palesemente
inammissibile. 
    Infatti, occorre chiedersi come il  Governo  avrebbe  mai  potuto
dolersi di un atto di diniego, per il quale l'ordinamento prevede gli
strumenti amministrativi per il suo superamento proprio  in  capo  al
Governo stesso, che finirebbe per chiedere al Giudice  amministrativo
una pronuncia che acclari cio' che questi gia' puo' fare. 
    Sarebbe piuttosto l'atto unilaterale di superamento del  dissenso
(dopo le serie trattative che lo devono  precedere)  a  poter  essere
assoggettato al sindacato giurisdizionale (della Corte costituzionale
e non del giudice amministrativo), dal momento che e' con esso che si
chiude il procedimento. 
    A nulla vale l'osservazione del Consiglio di  Stato  secondo  cui
«Il  diniego  di  intesa,  infatti,  costituisce   un   provvedimento
amministrativo, idoneo a ledere la posizione giuridica soggettiva del
richiedente il  permesso,  il  quale,  pertanto,  puo'  attivare  gli
strumenti  di  tutela  (nella  specie,   l'azione   di   annullamento
dell'atto) previsti dall'ordinamento». 
    Infatti, nonostante la preoccupazione del Giudice amministrativo,
non vi e' alcun rischio che le parti private sarebbero private di  un
rimedio giurisdizionale, posto  che  il  «dialogo»  del  privato  nel
procedimento amministrativo volto al rilascio  del  titolo  minerario
non coinvolge affatto  la  Regione,  dal  momento  che  le  Compagnie
interessate propongono la propria domanda al Ministero dello sviluppo
economico e con quest'ultimo si relazionano. 
    Ne' alla proponente sono opponibili in alcun senso  le  dinamiche
amministrative e  istituzionali  proprie  del  lavoro  del  Dicastero
competente.  Cio'   non   significa   che   sia   priva   di   rimedi
giurisdizionali, posto che l'istante  puo'  sempre  proporre  ricorso
avverso il silenzio dell'Autorita' preposta (il MISE), in quanto  non
attivi i rimedi per il superamento del dissenso. 
    Invero, posto che la Presidenza del Consiglio dei  ministri  puo'
sempre superare il dissenso  regionale,  la  Societa'  proponente  e'
titolare del rimedio amministrativo del ricorso avverso il  silenzio,
con il quale stimolerebbe lo Stato centrale a superare l'inerzia o il
diniego regionale. 
    A ben vedere, il diniego di intesa e' un atto privo  di  autonoma
portata lesiva nei confronti tanto del Governo  quanto  dell'istante,
dal  momento  che  non   e'   costituisce   l'atto   conclusivo   del
procedimento. 
    L'iter procedimentale volto  al  rilascio  dell'intesa,  infatti,
conosce la propria chiusura o con l'atto di assenso regionale  o  con
l'atto governativo di superamento del dissenso. 
    Ne deriva che l'atto di diniego dell'intesa si limita ad assumere
il ruolo  di  atto  endoprocedimentale,  non  provvedimentale  e  non
autonomamente lesivo di alcuna posizione giuridica soggettiva. 
    Se  e'  vero   che   l'inveramento   del   principio   di   leale
collaborazione  nei  procedimenti  amministrativi  disciplinati   per
attrazione   in   sussidiarieta'   si   realizza   per   mezzo    del
sub-procedimento  volto  al  rilascio  dell'intesa,  va  da  e'   che
l'assenso  regionale  chiude   quel   sub-procedimento   e   consente
l'adozione degli atti conseguenti. 
    Invece, il diniego  di  intesa  non  esaurisce  il  procedimento,
perche' si estende fino alle  «trattative»  per  il  superamento  del
dissenso medesimo e, ancora, fino  all'eventuale  adozione  dell'atto
governativo di «sostituzione» dell'intesa (i.e. la deliberazione  del
Consiglio dei ministri). 
    E' di palmare evidenza che, se in questo iter  procedimentale  si
inserisce l'esercizio della funzione giurisdizionale  rispetto  a  un
atto non definitivo, non lesivo e in cui si inverano le dinamiche del
riparto costituzionale delle  competenze  fra  Stato  e  Regioni,  le
attribuzioni regionali in una materia di  potesta'  concorrente  come
quella energetica verrebbero del tutto sminuite o annullate. 
    Si badi che la Regione Basilicata, con la presente  impugnazione,
non intende percio' solo dolersi del modo con  cui  il  Consiglio  di
Stato ha giudicato dell'esercizio del diniego di intesa, bensi' tende
a negare che  vi  possa  essere  alcuna  possibile  giurisdizione  in
merito. 
    In buona sostanza, lungi dall'atteggiarsi in termini di  gravame,
il presente conflitto  di  attribuzione  mira  a  negare  l'an  della
giurisdizione  amministrativa  in  materia  di  diniego  di   intesa,
ritenendo che la pronuncia impugnata leda le competenze e prerogative
regionali costituzionalmente garantite. D'altronde,  quanto  sin  qui
sostenuto  e'  pacificamente  deducibile  gia'  dalla  giurisprudenza
costituzionale e, in particolare, in un passaggio gia'  citato  della
sentenza n. 33 del 2011, secondo cui «solo laddove neppure  in  (...)
sede (di trattative volte  a  superare  il  dissenso)  sia  possibile
addivenire ad un'intesa, allora la decisione viene rimessa al Governo
con il coinvolgimento, peraltro, anche del presidente della Regione. 
    Su tale decisione (...) si  esercita,  inoltre,  la  funzione  di
controllo tipica dell'emanazione di tali atti, avverso  i  quali  ben
potranno essere esperiti gli ordinari rimedi giurisdizionali, nonche'
eventualmente il ricorso avanti a questa Corte in sede  di  conflitto
di attribuzione.». 
    E' percio' solo su quest'ultimo eventuale atto  che  puo'  essere
esercitata la funzione di sindacato giurisdizionale,  dacche'  deriva
che  il  diniego  di  intesa  e'  un  atto   endoprocedimentale   non
suscettibile di impugnazione, ne' dinanzi al giudice  amministrativo,
ne' dinanzi a codesta ecc.ma Corte. 
    Piuttosto,  e'  compito  del  Governo  giungere   a   conclusione
dell'iter   procedimentale   (ottenendo    l'intesa    regionale    o
sostituendosi a essa) e solo allora vi potra' casomai  essere  spazio
per l'intervento giurisdizionale. 
    Dacche' deriva che non spettava al Consiglio di Stato  annullare,
con la sentenza n. 5741/2018, il diniego di  intesa  formulato  dalla
Regione Basilicata e che pertanto, nell'averne annullato gli effetti,
lo Stato, per il tramite della medesima  giurisdizione,  ha  leso  le
attribuzioni regionali costituzionalmente attribuite che le avrebbero
invece garantito di intavolare con il Governo una fase di  trattative
rivolte anzitutto al raggiungimento di una  posizione  comune  o,  in
caso  negativo,  all'adozione  di  un  atto  statale  di  superamento
unilaterale del dissenso medesimo. 
    Si chiede pertanto che l'ecc.ma Corte adita voglia  annullare  la
sentenza n. 5741/2018 del  Consiglio  di  Stato,  per  aver  leso  la
declinazione dell'esercizio delle competenze regionali  previsto  dal
combinato disposto dell'art. 117, comma 3, Cost. (in  relazione  alle
competenze in materia  di  energia  e  di  governo  del  territorio),
dell'art. 118, comma 1, Cost. e del principio di leale collaborazione
di cui all'art. 120  Cost.,  dal  momento  che  trattasi  di  materia
attratta  in  sussidiarieta',  soggetta  percio'  ai   principi   che
presiedono a tale istituto, fra i quali  vi  e'  quello  delle  serie
trattative  per  superare  il  dissenso  regionale,  che  esclude  un
annullamento giurisdizionale del diniego di intesa. In ogni caso, gli
atti di intesa o di diniego di  intesa  devono  intendersi  sottratti
alla giurisdizione comune del giudice amministrativo e bensi' casomai
rimessi alla cognizione di codesta ecc.ma Corte. 
    In  ordine  alla  statuizione:  «e'  ormai  decorso  il   termine
perentorio di trenta giorni, decorrente dalla  notifica,  in  data  2
dicembre  2016,  del  provvedimento  ministeriale  n.  29244  del  1°
dicembre 2016, di proroga, del provvedimento di esenzione dalla  VIA,
la decisione sull'intesa ex art. 29,  comma  2,  lettera  l)  decreto
legislativo n. 112/98, ai sensi dell'art. 1, comma  8-bis,  legge  n.
239/2004, come integrato dall'art. 1, comma 554, legge  n.  190/2014,
spetta alla  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri»,  di  cui  in
sentenza di primo grado, si evidenzia che la  Regione  Basilicata  ha
ottemperato a quanto previsto dalla sentenza n.  623  del  7  ottobre
2015, emessa dal Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata
e confermata dalla V sez. del Consiglio di Stato con la  sentenza  n.
3058 dell'11 luglio  2016,  emanando  nei  trenta  giorni  prescritti
l'intesa, poi impugnata dalla Soc. Rockhopper Italia con il  giudizio
davanti al Tribunale amministrativo regionale Basilicata. 
    E' di chiara evidenza l'errore in  cui  sono  incorsi  i  Giudici
amministrativi quando affermano che la decisione sull'intesa ex  art.
29, comma 2 lettera  l)  decreto  legislativo  n.  112/98,  ai  sensi
dell'art. 1, comma 8-bis, legge n. 239/2004, come integrato dall'art.
1, comma 554, legge n. 190/2014, spetta alla Presidenza del Consiglio
dei ministri richiamando i poteri sostitutivi che nel caso di  specie
non trovano applicazione poiche' l'obbligo e' stato ottemperato dalla
Regione Basilicata nei tempi fissati dalle sentenze di cui sopra. 
    La lettura  anticostituzionale  del  concetto  di  intesa  forte,
espressa con la sentenza in questione, e'  ancor  piu'  inaccettabile
per la Regione Basilicata  che,  insieme  ad  altre  Regioni,  si  e'
strenuamente battuta sia con ricorso per  conflitto  di  attribuzione
dinanzi a codesta ecc.ma Corte,  sia  sollevando  incidentalmente  la
questione di incostituzionalita' dinanzi al Tribunale  amministrativo
regionale del Lazio e  dinanzi  al  Capo  dello  Stato,  avverso  due
successivi decreti disciplinari del MISE, del 25 marzo 2015 e  del  3
aprile  2017,  che  in  attuazione  dell'art.   38,   comma   7   del
decreto-legge   n.   133/2014,    poi    esso    stesso    dichiarato
incostituzionale, non prevedevano un  adeguato  coinvolgimento  delle
Regioni nel procedimento finalizzato  all'adozione  del  decreto  del
MISE con cui sono stabilite le modalita' di conferimento  del  titolo
concessorio unico, nonche' le modalita' di esercizio  delle  relative
attivita'. 
    I decreti ministeriali hanno in concreto  gravemente  inciso  sul
ruolo riservato alle  Regioni,  ridimensionando  proprio  quella  che
doveva essere un'«intesa forte», espressione  di  volonta'  e  scelta
politica, e riducendola ad un mero  parere  tecnico  reso  da  organi
amministrativi nell'ambito di una conferenza di servizi! 
    Sono    stati    evidenziati    gli    evidenti    profili     di
incostituzionalita' e di contrasto con l'art.  117,  comma  3  e  118
Cost. e si ribadiva come la giurisprudenza di codesta Corte sul punto
sia sempre stata costante ed uniforme. 
    Gia' dalla sentenza n. 303 del 2003 la  Corte  costituzionale  ha
precisato, infatti, che l'esigenza di esercizio unitario che consente
di  attrarre  insieme  alla  funzione  amministrativa  anche   quella
legislativa, puo' aspirare  a  superare  il  vaglio  di  legittimita'
costituzionale solo in presenza di una disciplina  che  prefiguri  un
iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di
coordinamento orizzontale, ovverosia  le  intese  che  devono  essere
condotte in base al principio di lealta'. (Corte  cost.  n.  303  del
2003. Cfr. anche sentenze n. 6 del 2004, n. 62 e n. 383 del 2005,  n.
331 del 2010, n. 182 del 2010). 
    La stessa Corte costituzionale con sentenza n. 383  del  2005  ha
dichiarato,   ad   esempio.   l'incostituzionalita'    di    numerose
disposizioni della legge n. 239 del 2004  sul  riordino  del  settore
energetico nella parte in cui esse non prevedevano  idonee  forme  di
partecipazione procedimentale delle regioni e delle autonomie  locali
alla definizione di scelte di fondo e strategiche aventi impatto  sul
territorio. 
    Codesta Corte costituzionale, ancora, ha  ripetutamente  statuito
che appare «costituzionalmente necessario che l'esercizio dei  poteri
che determinano le  linee  generali  di  sviluppo  dell'articolazione
territoriale  delle  reti  infrastrutturali  energetiche   nazionali,
nonche'  la  loro   programmazione,   venga   ricondotto   a   moduli
collaborativi con il sistema delle autonomie territoriali nella forma
dell'intesa in senso forte fra gli organi  statali  e  la  conferenza
unificata».  Tali   intese   costituiscono   «condizione   minima   e
imprescindibile per la legittimita' costituzionale  della  disciplina
legislativa totale che effettui la chiamata in sussidiarieta' di  una
funzione  amministrativa  in  materie  affidate   alla   legislazione
regionale, con la conseguenza che deve trattarsi di  vere  e  proprie
intese in senso forte, ossia  di  atti  a  struttura  necessariamente
bilaterale, non superabili con decisione  unilaterale  di  una  delle
parti». (Corte cost. n. 383 del 2005 e le ivi citate sentenze n.  242
e 285 del 2005; v. anche sentenza n. 278 del 2010 e  sentenze  numeri
39, 117 e 182 del 2013). 
    Il mancato raggiungimento di un'intesa puo' in  casi  eccezionali
essere superato ma solo con procedure che facciano  sempre  salva  la
partecipazione regionale e con assunzione di responsabilita' politica
del Governo. 
    In una recente sentenza n. 239 del 2013 la  Corte  costituzionale
ha chiaramente statuito che «nei  casi  in  cui  sia  prescritta  una
intesa in senso forte tra Stato e regioni, ad esempio per l'esercizio
unitario statale, in applicazione del principio di sussidiarieta', di
funzioni   attribuite   alla   competenza   regionale,   il   mancato
raggiungimento dell'accordo non legittima  di  per  se'  l'assunzione
unilaterale  di  un  provvedimento.  Si  tratta  infatti  di  atti  a
struttura  necessariamente  bilaterale  non   sostituibili   da   una
determinazione del solo Stato». 
    Ancora nella sentenza n. 39/2013 la Corte  ha  inoltre  precisato
che «non  e'  sufficiente  il  formale  riferimento  alla  necessaria
osservanza del  principio  di  leale  collaborazione.  Devono  essere
previste procedure di reiterazione delle trattative, con l'impiego di
specifici strumenti  di  mediazione,  ai  quali  possono  aggiungersi
ulteriori  garanzie  della  bilateralita',   come   ad   esempio   la
partecipazione della regione alle fasi preparatorie del provvedimento
statale», concludendo che  «l'assunzione  unilaterale  dell'atto  non
puo' essere prevista come mera  conseguenza  automatica  del  mancato
raggiungimento dell'intesa, con sacrificio della sfera di  competenza
costituzionalmente attribuita alla regione e violazione del principio
di leale collaborazione». (sentenza n. 39 del 2013 e  le  ivi  citate
sentenze n. 33 e n. 165 del 2011 e n. 179 del 2012). 
    Dall'esposizione dei fatti e dalle considerazioni  sopra  esposte
si  evince  chiaramente  il  tono  costituzionale  del  conflitto  di
attribuzioni che la sentenza  del  Consiglio  di  Stato,  con  questa
erronea valutazione di merito  sul  diniego  di  intesa  forte  della
Regione Basilicata e sul presunto diritto di  intervento  sostitutivo
della Presidenza del Consiglio dei ministri, ha creato. 
    E se l'obiettivo del conflitto di  attribuzione  deve  essere  il
ripristino dell'assetto costituzionale delle competenze,  e'  proprio
questo lo scopo cui mira il presente ricorso al  fine  di  ovviare  a
questa sottrazione di attribuzione a danno della Regione  Basilicata,
ed illegittima interferenza dello Stato nell'esercizio dei poteri  ad
essa costituzionalmente garantiti. 
    E' bene specificare e sottolineare  come  l'intesa  regionale  in
materia di energia, lungi dall'essere assimilabile a qualunque  altro
atto di assenso o  nulla-osta  fra  Amministrazioni,  rappresenta  un
momento  di  esplicazione  del  principio  di  leale  collaborazione,
immanente  al  sistema  costituzionale  e  posto  a  presidio   della
partecipazione regionale nell'esercizio delle funzioni amministrative
disciplinate  a  livello  centrale  per  mezzo   dell'attrazione   in
sussidiarieta'. 
    Si e' gia' ampiamente esposto - che, nella  materia  dell'energia
vi e' una delle  principali  applicazioni  dell'istituto  della  c.d.
attrazione in sussidiarieta' (Corte cost., sentenza n. 303 del 2003),
come la Corte costituzionale ha avuto  occasione  di  rilevare  nella
sentenza n. 6 del 2004 e in tante altre pronunce,  fino  ad  arrivare
alle sentenze numeri 114, 170 e 198 del 2017. 
    In   sostanza,   secondo   il   meccanismo   dell'attrazione   in
sussidiarieta', allo Stato e' consentito disciplinare la materia (nel
caso de quo, i titoli minerari), purche' preveda degli  strumenti  di
leale collaborazione: in particolare, l'intesa in senso forte. 
    Ora, appare piuttosto chiaro  che  un  sindacato  giurisdizionale
amministrativo mal  si  concilia  con  la  natura  delle  competenze,
costituzionalmente previste e tutelate, coinvolte. 
    E' anzi agevole rilevare che, se l'intesa regionale deve  servire
a «compensare» il sistema autonomistico della perdita  di  competenza
ceduta in favore del livello centrale, cio' che viene in  rilievo  e'
casomai una controversia dall'indubbio «tono costituzionale». 
    Come e' noto, e' dalla sussistenza di  tale  tono  costituzionale
che la giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale  fa
dipendere  la  propria  capacita'  di  sindacato   sugli   atti   non
legislativi delle Regioni e dello  Stato  in  sede  di  conflitto  di
attribuzione fra enti. 
    Anzi,  la  giurisprudenza  costituzionale   ha   progressivamente
evidenziato la necessita' di tener fermo il «tono costituzionale» dei
conflitti, pena la loro inammissibilita' (sentenze numeri 255, 276  e
389 del 2007), per evitare che il conflitto si trasformi in un  mezzo
ordinario e generale  di  ricorso  contro  atti  sfavorevoli  per  il
ricorrente. 
    L'ammissibilita' del conflitto, dal  punto  di  vista  della  sua
necessaria natura, deve dipendere dal fatto che la lesione  lamentata
dal ricorrente derivi non da qualsiasi atto  illegittimo,  ma  da  un
atto viziato per lesione diretta della Costituzione, come nel caso di
specie, dal momento che la Rockhopper deduceva la  violazione  di  un
principio immanente al sistema costituzionale: il principio di  leale
collaborazione. Una volta  acclarato  il  tono  costituzionale  della
controversia - che nel caso di  specie  puo'  dirsi  scontato,  vista
l'attrazione in sussidiarieta' del settore normativo interessato - il
sindacato  appartiene  alla  sola   Corte   costituzionale,   l'unica
giurisdizione deputata nel nostro sistema a giudicare  dei  conflitti
di attribuzione tra Stato e Regioni  ai  sensi  dell'art.  134  della
Carta  fondamentale;  pertanto,  il   rango   politico-costituzionale
dell'atto di intesa esclude ogni sindacato del giudice amministrativo
in merito. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Regione Basilicata, come sopra rappresentata e difesa,  chiede
che codesta ecc.ma Corte, previa declaratoria di  ammissibilita',  si
esprima sul conflitto di attribuzione  cosi'  come  esposto,  ponendo
rimedio alla lesione di una precisa prerogativa regionale a rilevanza
costituzionale (il diritto di esprimere il proprio diniego all'intesa
e collaborare alla definizione della decisione finale,  senza  subire
l'imposizione del potere statale costituzionalmente  illegittima)  e,
conseguentemente, annullando la sentenza del Consiglio  di  Stato  n.
5471/2018. 
        Potenza-Roma, 18 novembre 2018 
 
                       L'avvocato: Possidente