N. 5 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 30 novembre 2018
Ricorso per conflitto tra enti depositato in cancelleria il 30 novembre 2018 (della Regione Basilicata). Energia - Ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi - Sentenza del Consiglio di Stato, sezione IV, 20 settembre 2018, n. 5471, concernente la delibera della Giunta regionale della Regione Basilicata del 9 dicembre 2016 n. 1528 di non rilasciare l'intesa della Regione Basilicata sul conferimento del permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi, denominato «Masseria La Rocca», sito nella provincia di Potenza. - Sentenza del Consiglio di Stato, sezione IV, del 20 settembre 2018, n. 5471.(GU n.2 del 9-1-2019 )
Ricorso per conflitto di attribuzione della Regione Basilicata (c.f. 80002950766), in persona del Vice Presidente della giunta regionale e legale rappresentante pro tempore dott.ssa Flavia Franconi (FRNFLV47L62H109J), rappresentata e difesa, in virtu' di procura speciale, dall'avv.to Anna Carmen Possidente (c.f. PSSNCR65H70G942T) elettivamente domiciliata in Roma, presso l'Ufficio di rappresentanza dell'Ente, alla Via Nizza n. 56 - PEC anpossid@cert.regione.basilicata.it - fax 0971/668173; Contro: Presidenza del Consiglio dei ministri in persona del Presidente pro tempore; Ministero dello sviluppo economico in persona del Ministro in carica e legale rappresentante pro tempore; Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in persona del Ministro in carica e legale rappresentante pro tempore; Consiglio di Stato in sede giurisdizionale in persona del legale rappresentante pro tempore, tutti domiciliati per legge presso l'Avvocatura generale dello Stato in Roma alla via dei Portoghesi n. 12; Rockhopper Italia s.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa dagli avv.ti R. Leccese, A. Marega e G. De Santis; e nei confronti di Comune di Brindisi di Montagna in persona del sindaco e legale rappresentante pro tempore; avverso la pronuncia del Consiglio di Stato - Sezione Quarta n. 5471/2018, pubblicata il 20 settembre 2018, sull'appello proposto dalla Regione Basilicata contro Rockhopper Italia s.p.a. per la riforma della sentenza Tribunale amministrativo regionale Basilicata n. 87/2017, ed in particolare l'interpretazione data dell'art. 1, comma 7, lettera n) legge n. 239/2004 per contrasto con gli articoli 117, comma 3, 118, comma 1, 120 e 103, comma 1 in combinato disposto con l'art. 134 della Costituzione; nonche' per carenza assoluta di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine agli atti di intesa o di diniego di intesa. Pare opportuno sintetizzare i precedenti della sentenza oggetto del presente ricorso. Medoilgas Italia s.p.a., Total E&P s.p.a. e Eni s.p.a. costituivano una joint venture, designando la Medoilgas Italia (oggi Rockhopper Italia s.p.a.) come mandatario, secondo le richieste del Ministero dello sviluppo economico che esprimeva parere favorevole alle istanze del 7 agosto 1997 e del 23 dicembre 1997, con cui le predette societa' chiedevano il rilascio del permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi su un'area di 1.304 ettari, sita nei comuni di Potenza e Brindisi di Montagna, convenzionalmente denominata «Masseria La Rocca», chiedendo alle stesse di condurre in associazione la ricerca degli idrocarburi. Ancora su invito del Ministero la joint venture presentava alla Regione Basilicata la documentazione necessaria per la valutazione della compatibilita' ambientale. Con determinazione dirigenziale n. 1107 del 21 agosto 2009 il dirigente dell'Ufficio compatibilita' ambientale della Regione Basilicata escludeva dal procedimento di VIA il predetto permesso di ricerca, ai sensi dell'art. 15, comma 1, legge regionale n. 47/1998, con l'obbligo di rispettare alcune prescrizioni. Tale esenzione veniva concessa in ragione del fatto che, secondo il Programma lavori allegato all'istanza, le attivita' di ricerca sarebbero consistite unicamente nello studio e nella rielaborazione dei dati sismici preesistenti senza alcun possibile impatto ambientale. Nell'imminenza della scadenza i contitolari formulavano istanza di proroga del giudizio di esclusione dalla VIA, che veniva rigettata dalla Regione. Poco dopo interveniva la D.G.R. n. 1288/2012 di mancata intesa che faceva riferimento, tra l'altro, all'art. 37 legge regionale n. 16/2012 successivamente dichiarato incostituzionale. Le due societa' impugnavano il rigetto della proroga e il diniego dell'intesa dinanzi al Tribunale amministrativo regionale Basilicata che, accogliendo il loro ricorso, con la sentenza n. 617/2014 statuiva l'obbligo della Regione di pronunciarsi nuovamente: per il suo adempimento le societa' esperivano giudizio di ottemperanza dinanzi allo stesso Tribunale amministrativo regionale Basilicata. La sentenza di ottemperanza n. 623/2015, anch'essa impugnata senza successo dalla Regione dinanzi al Consiglio di Stato, accogliendo il ricorso della Societa' Rockhopper Italia S.p.A. accertava l'obbligo del MATTM (e non della Regione) di pronunciarsi sull'istanza di proroga del provvedimento di esenzione da VIA, in ragione del trasferimento di competenze avvenuto medio tempore ad opera dell'art. 38 decreto-legge n. 133/2014; la sentenza inoltre concedeva alla giunta regionale il termine perentorio di trenta giorni dall'eventuale accoglimento dell'istanza di proroga del provvedimento di esenzione dalla V.I.A. per pronunciarsi nei merito dell'intesa ex art. 29, (comma 2, lettera l) decreto legislativo n. 112/1998. Il Consiglio di Stato con sentenza n. 3058/2016 ha imposto l'ottemperanza della sentenza Tribunale amministrativo regionale n. 623/2015. Il MATTM concedeva una proroga retroattiva di cinque anni; tale provvedimento e' stato impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale Lazio che ha emesso un'ordinanza declaratoria di incompetenza territoriale in favore del Tribunale amministrativo regionale Basilicata. Alla luce di cio' la Regione Basilicata, con la delibera n. 1528/2016, ottemperava a quanto previsto dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 3058 dell'11 luglio 2016 e a quanto previsto dalla sentenza n. 623/2015 del Tribunale amministrativo regionale Basilicata, strettamente connesse e collegate tra loro. La Societa' Rockhopper Italia s.p.a. in data 24 marzo 2017 notificava ricorso contro la Regione Basilicata, e nei confronti del Comune di Brindisi di Montagna per l'annullamento della deliberazione della giunta regionale della Basilicata n. 1528 del 29 dicembre 2016 di diniego dell'intesa dinanzi al Tribunale amministrativo regionale Basilicata, che veniva accolto con sentenza n. 387/17. La Regione Basilicata e il Comune di Brindisi di Montagna, con autonomi ricorsi, impugnavano tale sentenza dinanzi al Consiglio di Stato, che rigettava entrambi i ricorsi, previa riunione, con la sentenza n. 5471/2018 di che trattasi. Tanto il Giudice di prime cure che il Consiglio di Stato, dinanzi ai quali la Regione aveva gia' eccepito il «tono costituzionale» della vicenda, hanno condiviso le eccezioni di violazione e falsa applicazione dell'art. 29, comma 2, lettera l) del decreto legislativo n. 112/1998; violazione del principio di leale collaborazione ed eccesso di potere per illogicita' e sviamento dal fine, difetto di istruttoria e carenza di motivazione, dedotte dalla Societa' in primo grado con riferimento alla D.G.R. impugnata di diniego dell'intesa. Tali argomenti, pretestuosi e privi di fondamento, frutto di affermazioni sprovviste di ogni utile prova, mettono in discussione lo stesso concetto di «intesa forte» con un'interpretazione assolutamente contrastante con i principi costituzionali. La sentenza qui impugnata si colloca nell'ambito dell'iter procedimentale rivolto all'emissione di un permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi. Vigente la precedente formulazione del Titolo V della Parte II della Costituzione, l'art. 29, comma 2, lettera l), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, di attuazione della legge 15 marzo 1997, n. 59 (c.d. «legge Bassanini»), ha conservato in capo allo Stato «le funzioni amministrative concernenti la prospezione, ricerca, coltivazione e stoccaggio di idrocarburi in mare, nonche' la prospezione e ricerca di idrocarburi in terraferma, ivi comprese le funzioni di polizia mineraria ai sensi delle norme vigenti». Successivamente, l'art. 3, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 443, ha previsto che «le funzioni amministrative relative a prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in terraferma, ivi comprese quelle di polizia mineraria, sono svolte dallo Stato d'intesa con la regione interessata secondo modalita' procedimentali da emanare entro sei mesi dalla entrata in vigore del presente decreto legislativo». Con detta modifica, il legislatore delegato ha inteso dar seguito a quanto la Corte costituzionale aveva stabilito con la sentenza 27 dicembre 1991, n. 482, e cioe' che il rilascio di tutti i titoli minerari, di cui alla legge 9 gennaio 1991, n. 9, dovesse essere sempre preceduta da un'intesa con la Regione interessata. In questa prospettiva, troverebbe giustificazione l'accordo procedimentale concluso il 24 aprile 2001 in sede di Conferenza Stato-Regioni, tutt'ora vigente, finalizzato a garantire meccanismi di leale collaborazione in materia di rilascio di titoli minerari. Sempre nel 2001, e', quindi, intervenuta la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, con cui si e' anzitutto riscritto l'art. 114 della Carta costituzionale, stabilendosi, in modo assolutamente innovativo, che «La Repubblica e' costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Citta' metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato». Detta riforma ha in questo modo previsto un inedito assetto delle funzioni legislative e amministrative di tali Enti territoriali attraverso una nuova formulazione degli articoli 117 e 118 Cost. In questo contesto, la disciplina degli idrocarburi. diversamente da guanto accadeva nel vigore del precedente Titolo V Cost., e' stata ricondotta entro la materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia»: essa, sebbene destinata ad intersecare anche altri ambiti materiali di competenza legislativa (come ad es. il Governo del territorio, la tutela dell'ambiente, ecc.), risulta ora completamente attratta, e cioe' per ogni suo aspetto, entro la competenza concorrente dello Stato e delle Regioni, come del resto ha sostenuto piu' volte anche la Corte costituzionale (v. ad es. sentenza n. 6 del 2004; sentenza n. 383 del 2005). La legge 23 agosto 2004, n. 239 ha recato un ampio e generale riordino del settore energetico, disponendo la «chiamata in sussidiarieta'» di gran parte delle funzioni amministrative concernenti l'energia e attribuendo, in questo modo, in capo ad organi statali l'esercizio unitario di competenze affidate dalla Costituzione alle Regioni e agli Enti locali (cfr. anche Corte costituzionale, sentenza n. 383 del 2005). Devoluzione, questa, che, alla luce delle precisazioni effettuate dal giudice costituzionale, risulta legittima solo in quanto nei procedimenti decisionali si assicuri «la partecipazione dei livelli di Governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, (attraverso) adeguati meccanismi di cooperazione per l'esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate agli organi centrali» (Corte cost., sentenza n. 6 del 2004). In quest'ottica la legge statale «puo' aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo se si prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta'» (Corte cost. sent. n. 303 del 2003). Da questo punto di vista, assume senz'altro rilievo dirimente il tipo di processo decisionale assunto dallo Stato, in quanto, in relazione agli indirizzi della politica energetica nazionale, la collaborazione deve trovare realizzazione in sede di Conferenza unificata attraverso la previsione di un'intesa in senso «forte» fra gli organi statali e il sistema delle autonomie territoriali complessivamente inteso (cfr. ancora Corte costituzionale sentenza n. 383 del 2005) mentre, in relazione a singoli progetti, essa richiede che si giunga ad un accordo tra l'organo statale competente al rilascio del provvedimento e la Regione e gli Enti locali interessati dal progetto. Si badi che si tratta di un'intesa in senso «forte», che «si deve intendere implicitamente richiamata in tutte le disposizioni legislative sul medesimo oggetto» (sent. n. 383 del 2005; sent. n. 117 del 2013). Addirittura, la legge n. 239 del 2004 aveva stabilito che il permesso di ricerca e la concessione alla coltivazione degli idrocarburi dovessero essere rilasciati in base ad un procedimento unico al quale avrebbero dovuto partecipare, non solo le amministrazioni regionali interessate, ma anche le amministrazioni locali interessate (art. 1, commi 77 e 78). Questa previsione, pur abrogata per la parte relativa agli enti locali dall'art. 27, comma 34, della legge n. 99 del 2009, che ora dispone che «il permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma (...) e' rilasciato a seguito di un procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni statali e regionali interessate», non muta lo stato delle cose rispetto all'intesa regionale, la quale deve essere sempre acquisita. Infatti, l'art. 1, comma 7, lettera n), della legge n. 239 del 2004 continua a disporre che «le determinazioni inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi comprese le funzioni di polizia mineraria, (sono) adottate, per la terraferma, di intesa con le regioni interessate». Tale assetto di competenze e' stato recentemente ribadito dalla Corte costituzionale nelle sentenze nn. 114, 170 e 198 del 2017, le quali si sono occupate della materia de qua, ribadendo la competenza regionale a partecipare al procedimento per il rilascio dei titoli minerari in terraferma mediante l'atto di intesa. Nel caso della materia energetica, e' pacifico che la giurisprudenza costituzionale declini in senso forte il meccanismo di leale collaborazione dell'intesa e che, pertanto, l'eventuale dissenso non possa essere superato in via unilaterale o, comunque, senza delle serie trattive volte a superare il dissenso. Appare utile richiamare altresi' la sentenza n. 33 del 2011, che afferisce sempre alla materia energetica (da fonte nucleare, anziche' dalla fonte degli idrocarburi, ma senza che cio' rilevi ai fini dei principi ivi espressi). Infatti, ora come allora, «non c'e' dubbio che si e' di fronte (...) ad una disciplina concernente la materia dell'energia che rientra fra quelle che l'art. 117, terzo comma, Cost. attribuisce alla potesta' concorrente di Stato e Regioni e che (la legge n. 239 del 2004) opera una chiamata in sussidiarieta' delle funzioni amministrative concernenti tale materia». Percio', «il legislatore statale (...) ha previsto che per l'esercizio di tali funzioni (...) sia necessario il raggiungimento dell'intesa con la singola Regione interessata». La Corte ha altresi' specificato che, se la legislazione disciplina il dissenso regionale, deve essere esclusa «la legittimita' di una disciplina che ai fini del perfezionamento dell'intesa contenga la "drastica previsione" della decisivita' della volonta' di una sola parte, affermando, al contrario, la necessita' che il contenuto dell'atto sia frutto di una codecisione paritaria e indicando, altresi', la necessita' di prevedere - in caso di dissenso - idonee procedure per consentire lo svolgimento di reiterate trattative volte a superare le divergenze (sentenze n. 121 del 2010, n. 24 del 2007, n. 383 e n. 39 del 2005)». Ad esempio, in quel caso, era «prevista ed istituzionalizzata una fase di trattative ulteriori attraverso la nomina di un organo ad hoc; qualora, tuttavia, neppure cio' dia esito positivo, la decisione finale e' rimessa ad un atto del Governo, il quale assume la forma del decreto del Presidente della Repubblica e richiede la previa deliberazione dei Consiglio dei ministri e la partecipazione regionale». E' poi sulla decisione ultima dello Stato che «si esercita (...) la funzione di controllo tipica dell'emanazione di tali atti, avverso i quali ben potranno essere esperiti gli ordinari rimedi giurisdizionali, nonche' eventualmente il ricorso avanti a questa Corte in sede di conflitto di attribuzione». Peraltro, nella sentenza n. 383/2005 si e' ulteriormente chiarito che l'intesa in senso forte e' un «atto a struttura necessariamente bilaterale», come tale non superabile «con decisione unilaterale di una delle parti» e che «nel caso limite del mancato raggiungimento dell'intesa potrebbe essere utilizzato, in ipotesi, lo strumento del ricorso alla Corte in sede di conflitto di attribuzione fra Stato e Regioni». L'«Intesa forte» che la Regione rilascia, dunque, consegue all'Accordo del 24 aprile 2001 sottoscritta tra Stato e Regione ed e' tale proprio perche' e' rilevante e condiziona il provvedimento statale/ministeriale. E' innegabile che l'Intesa sia espressione della competenza che la Regione ha in materia di valorizzazione e governo del territorio, valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attivita' culturali, e che l'invocazione dell'applicazione dell'art. 29, comma 2, lettera l) non puo' esserne la negazione o la violazione. A conferma v'e' proprio il tenore letterale della lettera l) dell'art. 29, comma 2, cosi' come modificato dall'art. 3, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n. 443 del 1999, la' dove sancisce che la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, le funzioni amministrative relative a prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in terraferma, ivi comprese quelle di polizia mineraria, sono svolte dallo Stato d'intesa con la regione interessata. Se lo Stato avesse voluto attribuire alla Regione un peso minimale nel procedimento di che trattasi non avrebbe qualificato l'Intesa come «forte» e, ancora, se tale qualifica avesse integrato una violazione dell'art. 29, comma 2, lettera l) lo Stato non avrebbe sottoscritto l'accordo piu' volte richiamato. In ordine all'omessa attivazione della procedura volta al superamento del dissenso espresso dal territorio, manifestato dalla Conferenza delle autonomie locali e dal Comune di Brindisi Montagna, si sottolinea che la Regione nel rilascio dell'Intesa ha un ruolo di ente esponenziale delle comunita' territoriali insediate, non ha un ruolo di mediatore, bensi' di ricettore delle volonta' manifestate dalla collettivita'. In proposito la sentenza n. 117/2013 di codesta Corte costituzionale afferma che l'intesa, di cui all'art. 1, comma 7, lettera n), legge 23 agosto 2004, n. 239, e' riconducibile al principio di leale collaborazione, vista la natura concorrente delle competenze che rilevano ai fini delle determinazioni sulle prospezioni, ricerca e coltivazione di idrocarburi. Non si puo' non evidenziare la contraddizione in cui cadono i giudici amministrativi laddove da una parte ascrivono in capo alla Regione l'omesso tentativo di superare il dissenso, e dall'altra ammettono che la stessa sia ente esponenziale delle comunita' territoriali insediate, attribuendole implicitamente il ruolo, che giustamente la Regione ha esercitato, di portavoce delle comunita' locali. Con le censure espresse nei confronti della Regione pare che si confondano i procedimenti di V.I.A. e dell'Intesa, nonche' i presupposti di valutazione alla base degli stessi. Non pare superfluo evidenziare che la valutazione di impatto ambientale, di natura tecnica, da non confondere con l'Intesa, presuppone la valutazione degli aspetti ambientali, mentre il rilascio dell'Intesa implica una scelta di carattere socio-economico da ricondursi alla sfera di indirizzo politico che la Regione si e' data. Per tale motivo la Regione Basilicata, con la legge regionale n. 4/2015, si e' dotata di strumenti e procedure idonee a far valere il parere e le esigenze delle Autonomie locali, ed ha disciplinato il rilascio dell'intesa in materia di energia prevedendo il coinvolgimento della Conferenza della Autonomie, organismo istituito dalla legge regionale n. 17 del 28 marzo 1996, con la finalita' di consolidare le relazioni istituzionali tra la Regione e gli enti locali e diretto a promuovere lo sviluppo coordinato delle funzioni e delle relazioni tra le istituzioni territoriali della Basilicata. Sull'intesa in questione, la Conferenza delle Autonomie ha espresso il proprio motivato parere negativo nella conferenza del 14 novembre 2016, e di tanto la Regione ha dovuto tener conto nel rilasciare il proprio diniego con l'impugnata D.G.R. 1528 del 29 dicembre 2016. Pare opportuno evidenziare, altresi', che la Regione ha da tempo delineato in programma di sviluppo che prevede un futuro non compatibile con altri progetti di petrolizzazione bensi' orientato alla ecosostenibilita', alla qualita' ambientale e turistica, alla tutela della produzione agricola di pregio ed alla innovazione tecnologica; in tale contesto si inserisce la mozione del Consiglio regionale che nella seduta del 20 dicembre 2016 ha approvato all'unanimita' una mozione che impegnava il presidente della Regione «ad emanare entro sette giorni l'apposita deliberazione con la quale si esprima parere negativo al progetto/permesso di ricerca "Masseria La Rocca" al fine di tutelare il territorio e la salute pubblica ed a comunicare immediatamente alle autorita' competenti la deliberazione e il proprio dissenso rispetto al progetto». Con la mozione si impegnava il «governo regionale a tutelare il territorio lucano e i cittadini negando ogni assenso al progetto petrolifero in una zona limitrofa al capoluogo regionale. Tanto anche nella finalita' di aprire un canale di confronto con il Governo nazionale e chiedere allo stesso di tener conto della netta contrarieta' ad ulteriori estrazioni petrolifere piu' volte espressa dai cittadini lucani». Ne consegue che il provvedimento regionale e' stato sufficientemente istruito, cosi' come provato dai fatti narrati sopra, in quanto sono state raccolte le esigenze della comunita', espresse nella conferenza delle autonomie locali, dal Comune di Brindisi Montagna e dalle associazioni ambientaliste e dallo stesso Consiglio regionale, massima espressione delle volonta' del territorio. La Regione, «chiamata a pronunciarsi non gia' in qualita' di organo preposto alla tutela dell'ambiente e dotato delle necessarie competenze tecnico-specialistiche in questa materia, ma di ente esponenziale delle comunita' territoriali insediate in cui sono localizzati gli impianti estrattivi» (punto 9 sentenza del Consiglio di Stato n. 3058/2016), ha tenuto non solo in debito conto le volonta' che sono pervenute dal territorio, che certamente non poteva ignorare, ma anche le scelte di carattere socio-economico espressione dell'indirizzo politico regionale. Tanto pare gia' sufficiente a dimostrare che la Regione Basilicata non ha affatto espresso il diniego in modo aprioristico. La sentenza amministrativa contestata ascrive, invece, alla Regione Basilicata la violazione dell'art. 29, comma 2, lettera l) del decreto legislativo n. 112/1998, sostenendo che la stessa abbia emanato un diniego aprioristico dell'intesa, senza motivazione e senza aver attivato alcuna iniziativa volta a superare il dissenso del Comune di Brindisi di Montagna e del Comitato No Triv. Vale la pena evidenziare che il comportamento posto in essere dalla Regione Basilicata non sostanzia alcuna violazione dell'art. 29, comma 2, lettera l) del decreto legislativo n. 112/1998, considerato e provato che ha svolto ogni utile attivita' di concertazione con le rappresentanze territoriali, essendo chiamata, si ribadisce, a pronunciarsi sull'Intesa non gia' in qualita' di organo preposto alla tutela dell'ambiente e dotato delle necessarie competenze tecnico-specialistiche in questa materia, ma di ente esponenziale delle comunita' territoriali insediate in cui sono localizzati gli impianti estrattivi per cui deve tenere in debito conto le volonta' del territorio e consentire alle amministrazioni locali di partecipare al procedimento. E' chiaramente evidente l'errore in iudicando in cui e' incorso il Collegio giudicante quando attribuisce alla Regione Basilicata l'omesso compito di avviare attivita' di concertazione tese a superare il dissenso del territorio e con la finalita' di pervenire ad una intesa favorevole, compito proprio dello Stato! Tanto trova conferma nella legge di stabilita' 2014 che prevede espressamente «in caso di mancato raggiungimento dell'intesa, si provvede con le modalita' di cui all'art. 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239», ovvero il Ministero rimette gli atti alla Presidenza del Consiglio; nel caso invece in cui vi e' intesa negativa, in quanto gli enti si esprimono dichiarando di non essere d'accordo, lo Stato non puo' superare unilateralmente il dissenso manifestato, ma e' tenuto ad avviare una reale trattativa. Nei rapporti tra Stato e Regioni interessati dall'istituto dell'attrazione in sussidiarieta' non si puo' ragionare in termini di avocazione tout court perche' non e' applicabile il principio di gerarchia bensi' quello di leale collaborazione. La giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 121/2010; n. 33/2011) ribadisce che per assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione siano necessarie «idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze», consentendo un superamento concordato del dissenso. L'attribuzione alla Presidenza del Consiglio dei ministri del potere di decidere sull'intesa elude la natura di quest'ultima, imponendo un atto di imperio dello Stato che viola non solo il principio di leale collaborazione ma anche la corretta ripartizione di competenze cosi' come costituzionalmente prevista. Al fine di qualificare il rifiuto dell'intesa, posto in essere dalla Regione Basilicata, come «aprioristico» sono state richiamate, poi, le argomentazioni della sentenza della Corte costituzionale n. 117/2013, omettendo di considerare che oggetto della sentenza citata era l'art. 37 della legge regionale n. 16/2012, ovvero un rifiuto aprioristico all'esercizio dei permessi di ricerca tout court, che nulla ha a che vedere con l'intesa negativa espressa con D.G.R. n. 1528 del 29 dicembre 2016, provvedimento afferente al singolo caso e non alla genericita' e pluralita' indifferenziata, frutto di ragionevolezza e proporzionalita' nonche' di una attenta ponderazione dell'istanza (Corte costituzionale sentenza n. 113/2013), in considerazione che il diniego ha visto il coinvolgimento del territorio e ben risponde al principio di leale collaborazione, sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza. Si ribadisce, come si e' gia' ampiamente argomentato, che il rilascio dell'intesa consegue ad una valutazione non solo prettamente ambientale ma anche relativa alla programmazione di sviluppo regionale che, nel caso in specie, prevede un futuro non compatibile con altri progetti di petrolizzazione, bensi' orientato alla ecosostenibilita', alla qualita' ambientale e turistica, alla tutela della produzione agricola di pregio ed alla innovazione tecnologica. La Regione nel suo provvedimento giustamente non subordina la potesta' governativa regionale al preventivo assenso dello Stato, e rinvia ad un'intesa che assolutamente non puo' essere interpretata come giuridicamente coercibile. Qualora si ritenesse che il rilascio dell'intesa regionale per il conferimento di nuovi titoli minerari fosse soggetta a processi automatici di formazione, senza margini di autonomia valutativa regionale in materia, sarebbe mortificata e compromessa la reale consistenza giuridica dell'intesa e le finalita' alle quali e' istituzionalmente preordinata. Ne' l'assenso regionale al conferimento di nuovi titoli minerari puo' darsi per acquisito in via generalizzata. Pare opportuno ribadire che nel settore energetico e' prevista un'intesa «forte» tra Stato e Regioni: nel rispetto del principio di leale collaborazione la Regione, infatti, puo' esprimere senza vincoli i propri punti di vista e le proprie determinazioni. In proposito la Corte costituzionale ha affermato che in caso di dissenso sono necessarie idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze. Solo nell'ipotesi di ulteriore esito negativo di tali procedure mirate all'accordo puo' essere rimessa al Governo una decisione unilaterale. (Corte costituzionale sentenza n. 165/2011). Nel caso specifico alla deliberazione di mancata intesa emessa dalla Giunta regionale non ha ancora fatto ancora seguito alcuna azione dello Stato. Anche la legge n. 239/2004 (legge quadro in materia di energia) in riferimento alla materia: produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, materia oggetto di legislazione concorrente, stabilisce che gli obiettivi di politica energetica sono conseguiti sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione fra Stato, Regioni ed enti locali. La suddetta legge prosegue con l'elencazione degli obiettivi includendo la valorizzazione delle risorse nazionali degli idrocarburi, favorendone la prospezione e l'utilizzo con modalita' compatibili con l'ambiente, evidenziando con cio' che dette attivita', pur rientrando tra gli obiettivi di politica energetica, non possono tuttavia prescindere da modalita' tali da garantire la tutela dell'ambiente e della salute. Del resto la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema e' tra le priorita' perseguite dal legislatore proprio attraverso la legge n. 239/2004, art. 1, comma 1, elaborate e definite dallo Stato avvalendosi all'uopo di meccanismi di raccordo e di cooperazione con le autonomie regionali. A questo si aggiunga che parere di compatibilita' ambientale e' una fase essenziale ma non sufficiente del procedimento sull'intesa. L'intesa, dunque, supera i limiti del mero provvedimento tecnico-amministrativo e si colloca nell'ambito del governo del territorio e della tutela della salute, che sono materie di legislazione concorrente ai sensi dell'art. 117, comma 3 Cost. In tal senso la Giunta regionale ha fatto valere le proprie prerogative in tema di uso razionale del territorio, contrastando l'insorgenza di nuovi vincoli che condizionano la sua programmazione. La pronuncia oggetto della presente impugnativa, viola dunque l'autonoma attivita' discrezionale della pubblica amministrazione, che nel merito e' sottratta al sindacato del Giudice amministrativo in quanto afferisce alle scelte di opportunita' e convenienza, e nel caso di specie anche all'indirizzo politico della Regione, riservate unicamente all'Amministrazione, in omaggio al principio della separazione dei poteri. Il G.A. nel caso di attivita' discrezionale puo' solo sindacare la legittimita' dell'azione amministrativa, ma non il merito della stessa. Invero, cio' che occorre chiedersi e' se la giurisdizione amministrativa e la giurisdizione costituzionale possano sindacare l'atto con cui la Regione decide di rilasciare o di negare l'intesa. A tale questione il Giudice amministrativo ha (erroneamente) risposto in modo affermativo, allorche' non ha aderito alla tesi proposta, secondo cui, «se l'intesa regionale deve servire a "compensare" il sistema autonomistico della perdita di competenza ceduta a livello centrale, verrebbe in rilievo una controversia dall'indubbio "tono costituzionale", con conseguente sindacato appartenente alla sola Corte costituzionale, unica giurisdizione deputata nel nostro sistema costituzionale a giudicare dei conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni ai sensi dell'art. 134 Cost., e carenza di giurisdizione del giudice amministrativo». Nel rigettare la tesi, il Supremo consesso di giustizia amministrativa ha osservato che «l'art. 134 Cost. sancisce che la Corte costituzionale giudica, tra l'altro, sui conflitti di attribuzione tra lo Stato e le Regioni. L'art. 39, comma 1, della legge n. 87 del 1953 stabilisce che se la Regione invade con un suo atto la sfera di competenza assegnata dalla Costituzione allo Stato ovvero ad un'altra Regione, lo Stato o la Regione rispettivamente interessata possono proporre ricorso alla Corte costituzionale per dirimere il conflitto (del pari puo' proporre ricorso la Regione la cui sfera di competenza costituzionale sia invasa da un atto dello Stato). La fattispecie in esame, pur inserendosi in un procedimento in cui e' richiesto l'intervento sia statale che regionale, e' totalmente al di fuori di questo ambito. La controversia e' stata correttamente proposta al giudice amministrativo in giurisdizione generale di legittimita' in quanto la Societa', lesa in un suo interesse legittimo pretensivo, ha agito in giudizio deducendo l'illegittimita' del provvedimento lesivo. Il diniego di intesa, infatti, costituisce un provvedimento amministrativo, idoneo a ledere la posizione giuridica soggettiva del richiedente il permesso, il quale, pertanto, puo' attivare gli strumenti di tutela (nella specie, l'azione di annullamento dell'atto) previsti dall'ordinamento». Percio', il Giudice amministrativo d'appello ha, per un verso, implicitamente ritenuto che l'atto di diniego di intesa avesse un'autonoma portata lesiva e che, pertanto, fosse impugnabile e, per altro verso, lo ha ritenuto sindacabile come ogni altro atto amministrativo. Di qui, l'evidente lesione delle competenze costituzionalmente attribuite alle Regioni, tale da integrare un conflitto di attribuzione. E' fin troppo evidente, in virtu' delle premesse costituzionali e normative, che si verte in una materia che ha conosciuto l'applicazione dell'istituto, di creazione giurisprudenziale, della chiamata in sussidiarieta'. Si discute, pertanto, di competenze statali (il rilascio dei titoli minerari) che tali sono in virtu' di un accentramento delle attribuzioni che puo' ritenersi legittimo soltanto a patto che si prevedano adeguate forme di partecipazione regionale, che non possono essere considerate alla stregua di ogni altro parere, accordo o nulla-osta delle amministrazioni coinvolte nei procedimenti amministrativi. Tale partecipazione regionale qualificata, che assume il nomen iuris di intesa, non si estrinseca solo nel rilascio di un atto, posto che, come si e' visto, un eventuale diniego non comporta ne' l'arresto del procedimento, ne' la diretta avocazione della competenza da parte del Governo. Comporta piuttosto l'impegno delle parti a svolgere «serie trattative» per superare il dissenso, all'esito delle quali va da se' che vi potrebbe essere l'intervento del Governo volto a evitare lo stallo. Tale ultimo intervento e' comunque visto come una extrema ratio nei rapporti fra elementi costitutivi della Repubblica, Stato e Regione, entrambi parimenti titolari della potesta' legislativa. Invece, l'ammissibilita' dell'intervento giurisdizionale avverso il diniego di intesa regionale comporta la rinuncia a qualunque tipo di trattativa volta a superare il dissenso e il passaggio a una fase patologica che mal si addice alla tipologia di relazioni ordinamentali che vengono in rilievo, la quale presuppone casomai una fase fisiologica di confronto per il superamento politico del dissenso. Appare chiaro che, se l'intesa serve a garantire la partecipazione regionale nell'esercizio della funzione statale, l'ammissibilita' dell'impugnazione del suo diniego, invece dell'attivazione delle procedure volte a superare il dissenso, fa si' che lo Stato possa avocare a se' le competenze concorrenti senza alcun contributo regionale, dal momento che allo Stato medesimo (persona giuridica) sarebbe attribuito l'esercizio della funzione amministrativa e sempre allo Stato (persona giuridica), per il tramite della sua giurisdizione, sarebbe consentito di superare il dissenso. In sostanza, l'intesa, che per sua natura e' un atto bilaterale, finirebbe per essere adottata dallo Stato con atto unilaterale o con sommatoria di atti unilaterali comunque riconducibili allo Stato persona giuridica. In secondo luogo, vale la pena osservare come il ricorso proposto avverso il diniego di intesa investa in un senso cosi' evidente la dinamica delle relazioni costituzionali, non suscettibili di sindacato giurisdizionale, ma casomai di dialogo politico, che, se quella azione fosse stata proposta dal Governo, anziche' dalla Societa' controinteressata, il ricorso sarebbe stato palesemente inammissibile. Infatti, occorre chiedersi come il Governo avrebbe mai potuto dolersi di un atto di diniego, per il quale l'ordinamento prevede gli strumenti amministrativi per il suo superamento proprio in capo al Governo stesso, che finirebbe per chiedere al Giudice amministrativo una pronuncia che acclari cio' che questi gia' puo' fare. Sarebbe piuttosto l'atto unilaterale di superamento del dissenso (dopo le serie trattative che lo devono precedere) a poter essere assoggettato al sindacato giurisdizionale (della Corte costituzionale e non del giudice amministrativo), dal momento che e' con esso che si chiude il procedimento. A nulla vale l'osservazione del Consiglio di Stato secondo cui «Il diniego di intesa, infatti, costituisce un provvedimento amministrativo, idoneo a ledere la posizione giuridica soggettiva del richiedente il permesso, il quale, pertanto, puo' attivare gli strumenti di tutela (nella specie, l'azione di annullamento dell'atto) previsti dall'ordinamento». Infatti, nonostante la preoccupazione del Giudice amministrativo, non vi e' alcun rischio che le parti private sarebbero private di un rimedio giurisdizionale, posto che il «dialogo» del privato nel procedimento amministrativo volto al rilascio del titolo minerario non coinvolge affatto la Regione, dal momento che le Compagnie interessate propongono la propria domanda al Ministero dello sviluppo economico e con quest'ultimo si relazionano. Ne' alla proponente sono opponibili in alcun senso le dinamiche amministrative e istituzionali proprie del lavoro del Dicastero competente. Cio' non significa che sia priva di rimedi giurisdizionali, posto che l'istante puo' sempre proporre ricorso avverso il silenzio dell'Autorita' preposta (il MISE), in quanto non attivi i rimedi per il superamento del dissenso. Invero, posto che la Presidenza del Consiglio dei ministri puo' sempre superare il dissenso regionale, la Societa' proponente e' titolare del rimedio amministrativo del ricorso avverso il silenzio, con il quale stimolerebbe lo Stato centrale a superare l'inerzia o il diniego regionale. A ben vedere, il diniego di intesa e' un atto privo di autonoma portata lesiva nei confronti tanto del Governo quanto dell'istante, dal momento che non e' costituisce l'atto conclusivo del procedimento. L'iter procedimentale volto al rilascio dell'intesa, infatti, conosce la propria chiusura o con l'atto di assenso regionale o con l'atto governativo di superamento del dissenso. Ne deriva che l'atto di diniego dell'intesa si limita ad assumere il ruolo di atto endoprocedimentale, non provvedimentale e non autonomamente lesivo di alcuna posizione giuridica soggettiva. Se e' vero che l'inveramento del principio di leale collaborazione nei procedimenti amministrativi disciplinati per attrazione in sussidiarieta' si realizza per mezzo del sub-procedimento volto al rilascio dell'intesa, va da e' che l'assenso regionale chiude quel sub-procedimento e consente l'adozione degli atti conseguenti. Invece, il diniego di intesa non esaurisce il procedimento, perche' si estende fino alle «trattative» per il superamento del dissenso medesimo e, ancora, fino all'eventuale adozione dell'atto governativo di «sostituzione» dell'intesa (i.e. la deliberazione del Consiglio dei ministri). E' di palmare evidenza che, se in questo iter procedimentale si inserisce l'esercizio della funzione giurisdizionale rispetto a un atto non definitivo, non lesivo e in cui si inverano le dinamiche del riparto costituzionale delle competenze fra Stato e Regioni, le attribuzioni regionali in una materia di potesta' concorrente come quella energetica verrebbero del tutto sminuite o annullate. Si badi che la Regione Basilicata, con la presente impugnazione, non intende percio' solo dolersi del modo con cui il Consiglio di Stato ha giudicato dell'esercizio del diniego di intesa, bensi' tende a negare che vi possa essere alcuna possibile giurisdizione in merito. In buona sostanza, lungi dall'atteggiarsi in termini di gravame, il presente conflitto di attribuzione mira a negare l'an della giurisdizione amministrativa in materia di diniego di intesa, ritenendo che la pronuncia impugnata leda le competenze e prerogative regionali costituzionalmente garantite. D'altronde, quanto sin qui sostenuto e' pacificamente deducibile gia' dalla giurisprudenza costituzionale e, in particolare, in un passaggio gia' citato della sentenza n. 33 del 2011, secondo cui «solo laddove neppure in (...) sede (di trattative volte a superare il dissenso) sia possibile addivenire ad un'intesa, allora la decisione viene rimessa al Governo con il coinvolgimento, peraltro, anche del presidente della Regione. Su tale decisione (...) si esercita, inoltre, la funzione di controllo tipica dell'emanazione di tali atti, avverso i quali ben potranno essere esperiti gli ordinari rimedi giurisdizionali, nonche' eventualmente il ricorso avanti a questa Corte in sede di conflitto di attribuzione.». E' percio' solo su quest'ultimo eventuale atto che puo' essere esercitata la funzione di sindacato giurisdizionale, dacche' deriva che il diniego di intesa e' un atto endoprocedimentale non suscettibile di impugnazione, ne' dinanzi al giudice amministrativo, ne' dinanzi a codesta ecc.ma Corte. Piuttosto, e' compito del Governo giungere a conclusione dell'iter procedimentale (ottenendo l'intesa regionale o sostituendosi a essa) e solo allora vi potra' casomai essere spazio per l'intervento giurisdizionale. Dacche' deriva che non spettava al Consiglio di Stato annullare, con la sentenza n. 5741/2018, il diniego di intesa formulato dalla Regione Basilicata e che pertanto, nell'averne annullato gli effetti, lo Stato, per il tramite della medesima giurisdizione, ha leso le attribuzioni regionali costituzionalmente attribuite che le avrebbero invece garantito di intavolare con il Governo una fase di trattative rivolte anzitutto al raggiungimento di una posizione comune o, in caso negativo, all'adozione di un atto statale di superamento unilaterale del dissenso medesimo. Si chiede pertanto che l'ecc.ma Corte adita voglia annullare la sentenza n. 5741/2018 del Consiglio di Stato, per aver leso la declinazione dell'esercizio delle competenze regionali previsto dal combinato disposto dell'art. 117, comma 3, Cost. (in relazione alle competenze in materia di energia e di governo del territorio), dell'art. 118, comma 1, Cost. e del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost., dal momento che trattasi di materia attratta in sussidiarieta', soggetta percio' ai principi che presiedono a tale istituto, fra i quali vi e' quello delle serie trattative per superare il dissenso regionale, che esclude un annullamento giurisdizionale del diniego di intesa. In ogni caso, gli atti di intesa o di diniego di intesa devono intendersi sottratti alla giurisdizione comune del giudice amministrativo e bensi' casomai rimessi alla cognizione di codesta ecc.ma Corte. In ordine alla statuizione: «e' ormai decorso il termine perentorio di trenta giorni, decorrente dalla notifica, in data 2 dicembre 2016, del provvedimento ministeriale n. 29244 del 1° dicembre 2016, di proroga, del provvedimento di esenzione dalla VIA, la decisione sull'intesa ex art. 29, comma 2, lettera l) decreto legislativo n. 112/98, ai sensi dell'art. 1, comma 8-bis, legge n. 239/2004, come integrato dall'art. 1, comma 554, legge n. 190/2014, spetta alla Presidenza del Consiglio dei ministri», di cui in sentenza di primo grado, si evidenzia che la Regione Basilicata ha ottemperato a quanto previsto dalla sentenza n. 623 del 7 ottobre 2015, emessa dal Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata e confermata dalla V sez. del Consiglio di Stato con la sentenza n. 3058 dell'11 luglio 2016, emanando nei trenta giorni prescritti l'intesa, poi impugnata dalla Soc. Rockhopper Italia con il giudizio davanti al Tribunale amministrativo regionale Basilicata. E' di chiara evidenza l'errore in cui sono incorsi i Giudici amministrativi quando affermano che la decisione sull'intesa ex art. 29, comma 2 lettera l) decreto legislativo n. 112/98, ai sensi dell'art. 1, comma 8-bis, legge n. 239/2004, come integrato dall'art. 1, comma 554, legge n. 190/2014, spetta alla Presidenza del Consiglio dei ministri richiamando i poteri sostitutivi che nel caso di specie non trovano applicazione poiche' l'obbligo e' stato ottemperato dalla Regione Basilicata nei tempi fissati dalle sentenze di cui sopra. La lettura anticostituzionale del concetto di intesa forte, espressa con la sentenza in questione, e' ancor piu' inaccettabile per la Regione Basilicata che, insieme ad altre Regioni, si e' strenuamente battuta sia con ricorso per conflitto di attribuzione dinanzi a codesta ecc.ma Corte, sia sollevando incidentalmente la questione di incostituzionalita' dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio e dinanzi al Capo dello Stato, avverso due successivi decreti disciplinari del MISE, del 25 marzo 2015 e del 3 aprile 2017, che in attuazione dell'art. 38, comma 7 del decreto-legge n. 133/2014, poi esso stesso dichiarato incostituzionale, non prevedevano un adeguato coinvolgimento delle Regioni nel procedimento finalizzato all'adozione del decreto del MISE con cui sono stabilite le modalita' di conferimento del titolo concessorio unico, nonche' le modalita' di esercizio delle relative attivita'. I decreti ministeriali hanno in concreto gravemente inciso sul ruolo riservato alle Regioni, ridimensionando proprio quella che doveva essere un'«intesa forte», espressione di volonta' e scelta politica, e riducendola ad un mero parere tecnico reso da organi amministrativi nell'ambito di una conferenza di servizi! Sono stati evidenziati gli evidenti profili di incostituzionalita' e di contrasto con l'art. 117, comma 3 e 118 Cost. e si ribadiva come la giurisprudenza di codesta Corte sul punto sia sempre stata costante ed uniforme. Gia' dalla sentenza n. 303 del 2003 la Corte costituzionale ha precisato, infatti, che l'esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre insieme alla funzione amministrativa anche quella legislativa, puo' aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese che devono essere condotte in base al principio di lealta'. (Corte cost. n. 303 del 2003. Cfr. anche sentenze n. 6 del 2004, n. 62 e n. 383 del 2005, n. 331 del 2010, n. 182 del 2010). La stessa Corte costituzionale con sentenza n. 383 del 2005 ha dichiarato, ad esempio. l'incostituzionalita' di numerose disposizioni della legge n. 239 del 2004 sul riordino del settore energetico nella parte in cui esse non prevedevano idonee forme di partecipazione procedimentale delle regioni e delle autonomie locali alla definizione di scelte di fondo e strategiche aventi impatto sul territorio. Codesta Corte costituzionale, ancora, ha ripetutamente statuito che appare «costituzionalmente necessario che l'esercizio dei poteri che determinano le linee generali di sviluppo dell'articolazione territoriale delle reti infrastrutturali energetiche nazionali, nonche' la loro programmazione, venga ricondotto a moduli collaborativi con il sistema delle autonomie territoriali nella forma dell'intesa in senso forte fra gli organi statali e la conferenza unificata». Tali intese costituiscono «condizione minima e imprescindibile per la legittimita' costituzionale della disciplina legislativa totale che effettui la chiamata in sussidiarieta' di una funzione amministrativa in materie affidate alla legislazione regionale, con la conseguenza che deve trattarsi di vere e proprie intese in senso forte, ossia di atti a struttura necessariamente bilaterale, non superabili con decisione unilaterale di una delle parti». (Corte cost. n. 383 del 2005 e le ivi citate sentenze n. 242 e 285 del 2005; v. anche sentenza n. 278 del 2010 e sentenze numeri 39, 117 e 182 del 2013). Il mancato raggiungimento di un'intesa puo' in casi eccezionali essere superato ma solo con procedure che facciano sempre salva la partecipazione regionale e con assunzione di responsabilita' politica del Governo. In una recente sentenza n. 239 del 2013 la Corte costituzionale ha chiaramente statuito che «nei casi in cui sia prescritta una intesa in senso forte tra Stato e regioni, ad esempio per l'esercizio unitario statale, in applicazione del principio di sussidiarieta', di funzioni attribuite alla competenza regionale, il mancato raggiungimento dell'accordo non legittima di per se' l'assunzione unilaterale di un provvedimento. Si tratta infatti di atti a struttura necessariamente bilaterale non sostituibili da una determinazione del solo Stato». Ancora nella sentenza n. 39/2013 la Corte ha inoltre precisato che «non e' sufficiente il formale riferimento alla necessaria osservanza del principio di leale collaborazione. Devono essere previste procedure di reiterazione delle trattative, con l'impiego di specifici strumenti di mediazione, ai quali possono aggiungersi ulteriori garanzie della bilateralita', come ad esempio la partecipazione della regione alle fasi preparatorie del provvedimento statale», concludendo che «l'assunzione unilaterale dell'atto non puo' essere prevista come mera conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell'intesa, con sacrificio della sfera di competenza costituzionalmente attribuita alla regione e violazione del principio di leale collaborazione». (sentenza n. 39 del 2013 e le ivi citate sentenze n. 33 e n. 165 del 2011 e n. 179 del 2012). Dall'esposizione dei fatti e dalle considerazioni sopra esposte si evince chiaramente il tono costituzionale del conflitto di attribuzioni che la sentenza del Consiglio di Stato, con questa erronea valutazione di merito sul diniego di intesa forte della Regione Basilicata e sul presunto diritto di intervento sostitutivo della Presidenza del Consiglio dei ministri, ha creato. E se l'obiettivo del conflitto di attribuzione deve essere il ripristino dell'assetto costituzionale delle competenze, e' proprio questo lo scopo cui mira il presente ricorso al fine di ovviare a questa sottrazione di attribuzione a danno della Regione Basilicata, ed illegittima interferenza dello Stato nell'esercizio dei poteri ad essa costituzionalmente garantiti. E' bene specificare e sottolineare come l'intesa regionale in materia di energia, lungi dall'essere assimilabile a qualunque altro atto di assenso o nulla-osta fra Amministrazioni, rappresenta un momento di esplicazione del principio di leale collaborazione, immanente al sistema costituzionale e posto a presidio della partecipazione regionale nell'esercizio delle funzioni amministrative disciplinate a livello centrale per mezzo dell'attrazione in sussidiarieta'. Si e' gia' ampiamente esposto - che, nella materia dell'energia vi e' una delle principali applicazioni dell'istituto della c.d. attrazione in sussidiarieta' (Corte cost., sentenza n. 303 del 2003), come la Corte costituzionale ha avuto occasione di rilevare nella sentenza n. 6 del 2004 e in tante altre pronunce, fino ad arrivare alle sentenze numeri 114, 170 e 198 del 2017. In sostanza, secondo il meccanismo dell'attrazione in sussidiarieta', allo Stato e' consentito disciplinare la materia (nel caso de quo, i titoli minerari), purche' preveda degli strumenti di leale collaborazione: in particolare, l'intesa in senso forte. Ora, appare piuttosto chiaro che un sindacato giurisdizionale amministrativo mal si concilia con la natura delle competenze, costituzionalmente previste e tutelate, coinvolte. E' anzi agevole rilevare che, se l'intesa regionale deve servire a «compensare» il sistema autonomistico della perdita di competenza ceduta in favore del livello centrale, cio' che viene in rilievo e' casomai una controversia dall'indubbio «tono costituzionale». Come e' noto, e' dalla sussistenza di tale tono costituzionale che la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale fa dipendere la propria capacita' di sindacato sugli atti non legislativi delle Regioni e dello Stato in sede di conflitto di attribuzione fra enti. Anzi, la giurisprudenza costituzionale ha progressivamente evidenziato la necessita' di tener fermo il «tono costituzionale» dei conflitti, pena la loro inammissibilita' (sentenze numeri 255, 276 e 389 del 2007), per evitare che il conflitto si trasformi in un mezzo ordinario e generale di ricorso contro atti sfavorevoli per il ricorrente. L'ammissibilita' del conflitto, dal punto di vista della sua necessaria natura, deve dipendere dal fatto che la lesione lamentata dal ricorrente derivi non da qualsiasi atto illegittimo, ma da un atto viziato per lesione diretta della Costituzione, come nel caso di specie, dal momento che la Rockhopper deduceva la violazione di un principio immanente al sistema costituzionale: il principio di leale collaborazione. Una volta acclarato il tono costituzionale della controversia - che nel caso di specie puo' dirsi scontato, vista l'attrazione in sussidiarieta' del settore normativo interessato - il sindacato appartiene alla sola Corte costituzionale, l'unica giurisdizione deputata nel nostro sistema a giudicare dei conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni ai sensi dell'art. 134 della Carta fondamentale; pertanto, il rango politico-costituzionale dell'atto di intesa esclude ogni sindacato del giudice amministrativo in merito.
P.Q.M. La Regione Basilicata, come sopra rappresentata e difesa, chiede che codesta ecc.ma Corte, previa declaratoria di ammissibilita', si esprima sul conflitto di attribuzione cosi' come esposto, ponendo rimedio alla lesione di una precisa prerogativa regionale a rilevanza costituzionale (il diritto di esprimere il proprio diniego all'intesa e collaborare alla definizione della decisione finale, senza subire l'imposizione del potere statale costituzionalmente illegittima) e, conseguentemente, annullando la sentenza del Consiglio di Stato n. 5471/2018. Potenza-Roma, 18 novembre 2018 L'avvocato: Possidente