N. 192 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 giugno 2018
Ordinanza del 28 giugno 2018 della Corte d'appello di Trieste nel procedimento civile promosso da Baf Severino e altri contro Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.. Impiego pubblico - Norme della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia - Abrogazione di disposizioni transitorie in materia di trattamento pensionistico dell'indennita' dirigenziale applicate al personale regionale cessato dal servizio successivamente al 30 settembre 1990 - Cessazione dell'erogazione dei trattamenti pensionistici integrativi con decorrenza dal 1° settembre 2014. - Legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 4 agosto 2014, n. 15 (Assestamento del bilancio 2014 e del bilancio pluriennale per gli anni 2014-2016 ai sensi dell'articolo 34 della legge regionale n. 21/2007), art. 12, comma 3, nella parte in cui abroga i commi 3 e 4 dell'art. 100 della legge regionale 27 marzo 1996, n. 18 (Riforma dell'impiego regionale in attuazione dei principi fondamentali di riforma economico-sociale desumibili dalla legge 23 ottobre 1992, n. 421), e comma 5.(GU n.3 del 16-1-2019 )
LA CORTE D'APPELLO DI TRIESTE Collegio di Lavoro Composta dai signori magistrati: dott. Mario Pellegrini - Presidente; dott. Lucio Benvegnu' - Consigliere relatore; dott. Andrea Doardo - Giudice ausiliario, ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa in materia di previdenza iscritta al n. 202 del ruolo 2017, promossa in questa sede di appello con ricorso depositato il 29 agosto 2017 da: Baf Severino, Bellarosa Giovanni, Bernetti Giorgio Franco, Bevilacqua Enzo, Biziai Rosella, Chiavacci Antonietta, Cozzarini Gelsomina, Grillo Franco, Maggi Giorgio, Novelli Gastone, Roncone Giovanni, Rossi Giuliano, Salatei Lucia, Sossi Fulvio, Spagna Enzo, Spazzapan Giorgio, Terzuoli Lamberto, Udina Francesco, Zanmarchi Sergio, Brunetta Sergio e Volpi Guglielmo, rappresentati e difesi dagli avvocati prof. Federico Sorrentino, Enzo Bevilacqua, anche in proprio, e Alessandro Tudor, quest'ultimo anche domiciliatario in Trieste in forza di mandato trasmesso per via telematica unitamente al ricorso in appello, appellanti; contro la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste, appellata. Motivi della decisione (art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87) Gli appellanti sig.ri Severino Baf, Giovanni Bellarosa, Giorgio Franco Bernetti, Enzo Bevilacqua, Rosetta Biziai, Antonietta Cebavacci, Gelsomina Cozzarini, Franco Grillo, Giorgio Maggi, Gastone Novelli, Giovanni Roncone, Giuliano Rossi, Lucia Salatei, Fulvio Sossi, Enzo Spagna, Giorgio Spazzapan, Lamberto Terzuoli, Francesco Udina, Sergio Zanmarchi, Sergio Brunetta e Guglielmo Volpi, hanno convenuto in giudizio la Regione Friuli-Venezia Giulia chiedendo l'accertamento del loro diritto a percepire la pensione integrativa regionale di cui all'art. 100, comma 2 della legge n. 18/1996 (o meglio il trattamento differenziale previsto dal combinato disposto dei successivi commi 3 e 4 e dall'art. 140 della legge regionale n. 53/1981) e, conseguentemente, la condanna della Regione al pagamento delle somme dovute, non che' alla restituzione di quanto indebitamente trattenuto a partire dal 1° settembre 2014. 1.1. A sostegno della loro pretesa i ricorrenti hanno dedotto: 1) di essere stati tutti dipendenti, con la qualifica di dirigente, della Regione Friuli-Venezia Giulia e cio' da epoca anteriore al 1° ottobre 1990, e di essere stati collocati in quiescenza dopo tale data; 2) che la retribuzione da essi percepita in costanza di rapporto di lavoro comprendeva anche l'indennita' di funzione dirigenziale, in origine non considerata pensionabile dall'INPDAP (a differenza di quanto accadeva per i dirigenti statali), ma qualificata come tale dalla Regione Friuli-Venezia Giulia con gli articoli 21, 25 e 140 della legge regionale n. 53/1981; 3) che in seguito, nel 1996, l'INPDAP ha fatto rientrate la suddetta indennita' nella retribuzione pensionabile a decorrere dal 1° ottobre 1990 (per cui la Regione aveva trasferito all'Istituto i contributi pagati dai dirigenti da quest'ultima data fino al 1996); 4) che di conseguenza l'art. 100, comma 1 della legge regionale n. 18/1996 ha abrogato l'art. 140, commi 1, 2, 3 e 4 e l'art. 143, primo comma, secondo periodo, della legge regionale n. 53/1981, facendo pero' salvo (al comma 2) il diritto dei dirigenti gia' cessati dal servizio entro il 30 settembre 1990 a continuare a percepire i trattamenti gia' loro concessi ai sensi della disciplina abrogata e (al comma 4) il diritto dei dirigenti cessati dopo la suddetta data, i quali avessero pero' gia' maturato i requisiti per il trattamento pensionistico regionale, a ricevere un assegno pari alla differenza «tra l'ammontare del maturato ai sensi della normativa di cui all'art. 140 della legge ragionale n. 53/1981 e l'incremento di pensione spettante dall'INPDAP - CPDEL con la valutazione dell'indennita' di funzione»; 5) di avere quindi percepito, dopo il collocamento in quiescenza, l'assegno pensionistico integrativo regionale ai sensi dell'art. 100 della legge regionale n. 19/1996, in aggiunta alla pensione erogata prima dall'INPDAP e poi dall'INPS; 6) che pero' l'art. 12, comma 3 della legge regionale n. 15/2014 ha abrogato l'art. 100, commi 1, 3 e 4 della legge regionale n. 18/1996, facendo cosi' venire meno (a decorrere dal 1° settembre 2014, come previsto nel successivo comma 5) il trattamento integrativo regionale, salvo che per i dirigenti cessati dal servizio entro il 30 settembre 1990 (tutelati dall'art. 100, comma 2, non abrogato dalla legge regionale n. 15/2014) e, a seguito della modifica introdotta dall'art. 12, comma 1 della legge regionale n. 27/2014, per il «personale cessato dal servizio nei cui confronti l'INPDAP non ha riconosciuto nell'imponibile pensionabile utile ai fini della determinazione della quota A di pensione l'importo dell'indennita' di funzione o di posizione»; 7) che quest'ultima disposizione deve essere interpretata, allo scopo di rendere la nuova disciplina compatibile con la Costituzione, in modo da comprendere anche quei dirigenti che, come loro, hanno versato contributi previdenziali alla Regione prima del 30 settembre 1990 (e cioe' prima che l'indennita' dirigenziale fosse considerata pensionabile dall'INPDAP), venendo posti in quiescenza dopo tale data; 8) che in caso contrario l'art. 12, commi 3 a 5 della legge regionale n. 15/2014 dovrebbe essere ritenuto illegittimo per violazione dei principi sanciti dagli articoli 2, 3, 36, 38 e 53 della Costituzione e dall'art. 6 CEDU, perche': A) ha imposto loro un sacrificio non eccezionale e transitorio, ma definitivo, e comunque sproporzionato rispetto al vantaggio cosi' ottenuto per le finanze regionali; B) ha introdotto, senza una razionale giustificazione, una illegittima disparita' di trattamento fra situazioni sostanzialmente identiche (avendo fatto salvo il trattamento integrativo regionale solo per i dirigenti cessati dal servizio prima del 1° ottobre 1990, e non anche per quelli cessati dopo, pur avendo tutti pagato, fino al 30 settembre 1990, i contributi previsti dalla legge n. 53/1981); C) ha inciso negativamente sull'adeguatezza del trattamento pensionistico (anche sotto il profilo della sua natura di retribuzione differita); D) ha introdotto, nella sostanza, un'imposta speciale (tale dovendosi considerare la decurtazione imposta d'autorita' del reddito pensionistico finalizzata al finanziamento della spesa pubblica) gravante su una sola categoria di contribuenti (e cioe' i dirigenti regionali in servizio prima del 1° ottobre 1990 e collocati in quiescenza dopo tale data). 1.2. Si e' costituita in giudizio la Regione Friuli-Venezia Giulia replicando, in sintesi: 1) che il periodo aggiunto dall'art. 12, comma 1 della legge regionale n. 24/2014 all'art. 100, comma 2 della legge regionale n. 18/1996 si riferisce esclusivamente al personale regionale cui sia stato conferito un incarico dirigenziale, pur essendo privo della relativa qualifica, al quale l'INPDAP non ha per questo riconosciuto come pensionabile l'indennita' di funzione o di posizione; 2) che la disciplina previgente e' stata abrogata dall'art. 12, comma 3 della legge regionale n. 15/2014 perche' comportava degli oneri non piu' giustificabili a carico della finanza pubblica, in contrasto con le norme fondamentali di riforma economico sociale e con il principio di economicita' delle gestioni previdenziali; 3) che non vi e' stata alcuna violazione del principio di tutela del legittimo affidamento ne' del canone di ragionevolezza, essendo al contrario l'intervento legislativo oggetto di discussione giustificato (e imposto) dalla necessita' di salvaguardia degli equilibri di bilancio e di contenimento della spesa previdenziale (tanto piu' che la prestazione rivendicata costituiva una indebita duplicazione di importi gia' riconosciuti dall'Ente previdenziale, essendo i ricorrenti titolari di pensioni calcolate con il sistema retributivo); 4) che neppure sono stati violati i principi di uguaglianza, di proporzionalita' della retribuzione, di adeguatezza del trattamento pensionistico e di capacita' contributiva. 2. I dubbi di costituzionalita' sollevati dai ricorrenti in primo grado sono certamente rilevanti ai fini della decisione; gli odierni appellanti chiedono infatti di ottenere nuovamente (e di conservare per il futuro) il trattamento pensionistico integrativo previsto, a carico della Regione, dall'art. 100, commi 3 e 4 della legge regionale n. 18/1996, abrogati dall'art. 12, comma 3 della legge regionale n. 15/2014: e pertanto solo eliminando quest'ultima norma dall'ordinamento, tramite una dichiarazione di illegittimita' costituzionale, essi potrebbero conseguire il risultato perseguito in causa (e cioe' il riconoscimento del loro diritto a percepire ancora, in base al citato art. 100 della legge regionale n. 18/1996, la differenza fra il trattamento stabilito dall'art. 140 della legge regionale n. 53/1981 e l'incremento derivante dal computo dell'indennita' dirigenziale nella pensione erogata dall'INPDAP, oggi INPS). 3. Le questioni sollevate dagli appellanti non sono manifestamente infondate. 3.1. A questo proposito si deve ricordare, in linea generale: 1) che il legislatore puo' modificare in senso sfavorevole la disciplina dei rapporti di durata, anche incidendo su diritti soggettivi perfetti previsti da leggi precedenti, a condizione di non introdurre una disciplina irrazionale e arbitraria «frustrando cosi anche l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica che costituisce elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto» (cosi' Corte cost. n. 179/1996; nello stesso senso le pronunce n. 206/2009 e n. 166/2012); 2) che le esigenze di bilancio e di contenimento della spesa pubblica possono giustificare un intervento del legislatore su posizioni soggettive consolidate, purche' il sacrificio imposto sta ragionevole (ovvero non arbitrario), eccezionale (o comunque temporaneo) e proporzionato (cosi' Corte cost. n. 245/1997, n. 299/1999, n. 92/2013); 3) che un'imposizione tributaria, sotto forma di riduzione di un trattamento retributivo o pensionistico finalizzato a garantire l'equilibrio di bilancio e il contenimento della spesa pubblica, e' legittima a condizione di non essere irragionevole e di rispettare i principi sanciti dagli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione (in questo senso Corte cost. n. 223/2012, n. 116/2013, n. 304/2013, n. 154/2014). 3.2. Nel caso in esame si puo' effettivamente dubitare che questi limiti siano stati rispettati dal legislatore regionale. Sul punto si deve infatti osservare: 1) che il sacrificio imposto agli appellanti non e' ne' eccezionale, ne' temporaneo, poiche' l'art. 12, commi 3 e 5 della legge regionale n. 15/2014 non ha previsto una riduzione transitoria e parziale della pensione integrativa loro spettante in virtu' dell'art. 100, commi 3 e 4 della legge regionale n. 18/1996, ma ha radicalmente e definitivamente eliminato il diritto, in contrasto con il legittimo affidamento dei titolari sulla certezza, stabilita' e adeguatezza della loro posizione (gia' retributiva e ora) previdenziale; 2) che il legislatore regionale ha creato una irragionevole disparita' di trattamento, poiche', fra tutti i dirigenti che hanno versato i contributi previdenziali sull'indennita' della legge n. 53/1981 fino al 30 settembre 1990, ha inciso solo sulla posizione di coloro che (come gli appellanti) sono andati in pensione dopo quella data (nonostante la loro posizione, riguardo ai contributi versati in epoca anteriore, sia identica a quella dei colleghi cessati dal servizio prima del 1° ottobre 1990); e ancora perche' - trattandosi di un'imposizione di natura evidentemente tributaria (alla luce dei criteri fissati dalla Corte costituzionale nelle pronunce sopra citate) - non risulta (e non e' stato espressamente allegato dalla Regione) che un analogo sacrificio sia stato imposto - allo scopo di ridurre la spesa pubblica e garantire l'equilibrio di bilancio - ad altri soggetti equiparabili sotto il profilo della loro posizione (attuale o pregressa) di dipendenti dell'Ente e delle condizioni personali di reddito; 3) che nessuna specifica allegazione e' stata formulata dalla Regione in ordine alla proporzionalita' e adeguatezza del sacrificio imposto agli appellanti rispetto agli obiettivi perseguiti dall'art. 12 della legge regionale n. 15/2014. Nulla e' dato sapere infatti riguardo al costo della pensione integrativa oggetto di causa, e quindi al risparmio conseguibile dall'Ente grazie alla sua eliminazione, riguardo all'incidenza di questo costo sul bilancio regionale e sull'equilibrio finanziario dell'Ente (con particolare riferimento ai trattamenti retributivi e previdenziali erogati); e soprattutto riguardo al rapporto fra la pensione integrativa corrisposta agli appellanti in base all'art. 100, commi 3 e 4 della legge regionale n. 18/1996 e i contributi da essi versati fino al 30 settembre 1990 in base alla legge regionale n. 53/1981 (contributi che la Regione ha trattenuto, avendo trasferito all'INPDAP solo quelli relativi i al periodo successivo fino al 1996) e quindi alla coerenza fra accantonamenti (del passato) e prestazioni gia' eseguite e da erogare in futuro. 3.3. Il legislatore regionale ha quindi violato - in ipotesi - gli articoli 3, 36, comma 1, 38, comma 2 e 53 della Costituzione perche' ha trattato in modo diverso situazioni identiche, intervenendo, solo per alcuni soggetti, su un diritto ormai acquisito; ha leso il legittimo affidamento degli appellanti riguardo alla certezza e stabilita' dell'ordinamento; ha introdotto un peso di natura tributaria, tale da incidere sulla adeguatezza della posizione retributiva e previdenziale degli obbligati, solo per una specifica categoria di contribuenti e senza effettuare e prevedere una qualche forma di equo bilanciamento di interessi. 4. I dubbi di costituzionalita' sollevati dagli appellanti sin dal primo grado non possono essere risolti, come da essi proposto, in via interpretativa. 4.1. A questo riguardo si deve tenere presente che l'interpretazione costituzionalmente orientata e' consentita (e doverosa) a condizione che si tratti di una vera interpretazione e cioe' della scelta, fra piu' significati della norma possibili e compatibili con il suo tenore letterale e con il contesto in cui e' inserita, di quello conforme ai principi sanciti dalla Costituzione. 4.2. Nel caso in esame il testo dell'art. 100, comma 2 della legge regionale n. 18/1996, come modificato dall'art. 12, comma 1 della legge regionale n. 27/2014, e' assolutamente chiaro e univoco nel riferirsi solo ed esclusivamente a coloro cui l'INPDAP «non ha riconosciuto nell'imponibile pensionabile utile ai fini della determinazione della quota A di pensione l'importo dell'indennita' di funzione o di posizione» e in questa categoria certamente non rientrano gli appellanti, a quali pacificamente l'INPS (gia' INPDAP) eroga una pensione determinata (con il sistema retributivo) tenendo conto anche dell'indennita' dirigenziale prevista dalla legge regionale n. 53/1981. Ne' si puo' condividere l'affermazione degli appellanti secondo cui la suddetta , disposizione, se non riguardasse anche loro, sarebbe priva di contenuto: si deve infatti ritenere che la norma sia diretta - come ha giustamente osservato la Regione - a tutelare la posizione di quei lavoratori che, pur avendo ricevuto incarichi dirigenziali e quindi percepito l'indennita' di cui si discute (in forza dell'art. 212 della legge regionale n. 53/1981) - non possedevano la relativa qualifica, con la conseguenza che la suddetta indennita' non e' stata computata dall'Istituto previdenziale al fine di determinare il loro trattamento pensionistico. A quanto appena detto si deve aggiungere che, interpretata nel senso voluto dagli appellanti, la disciplina risultante dal combinato disposto dell'art. 100, comma 2 della legge regionale n. 18/1996, come integrato dall'art. 12, comma 1 della legge regionale n. 27/2014, e dell'art. 12, commi 3 e 5 della legge regionale n. 15/2014 sarebbe palesemente assurda e contraddittoria: il legislatore regionale, infatti, avrebbe, da una parte, eliminato (abrogando l'art. 100, commi 3 e 4 della legge regionale n. 18/1996 mediante l'art. 12, comma 3 della legge regionale n. 15/2014) la pensione integrativa prevista dall'art. 140 della legge regionale n. 53/1981 (che, va ricordato, compete solo ed esclusivamente a un numero ben definito e chiuso di ex dirigenti regionali, fra cui gli appellanti) e, dall'altra, l'avrebbe reintrodotta (tramite l'art. 12, comma 1 della legge regionale n. 27/2014) peri medesimi soggetti (che sono, si ripete, gli unici a beneficiarne). In sintesi la Regione Friuli-Venezia Giulia avrebbe prima tolto la pensione integrativa agli appellanti (e agli altri dirigenti nella loro stessa posizione), e cio' «ai fini del contenimento della spesa pubblica e nel rispetto dei principi fondamentali di coordinamento di finanza pubblica», e poi, smentendo se stessa e le finalita' espressamente dichiarate nell'art. 12, comma 3 della legge regionale n. 15 del 4 agosto 2014, l'avrebbe subito reintrodotta con l'art. 12, comma 1 della legge regionale 30 dicembre 2014, n. 27; il risultato sarebbe una sorta di corto circuito legislativo, poiche' l'art. 100, comma 2 della legge regionale n. 18/1996 darebbe di nuovo agli appellanti cio' che i successivi commi 3 e 4 (ormai abrogati dall'art. 12, comma 3 della legge regionale n. 15/2014, tuttora in vigore) non concedono piu' a partire dal 1° settembre 2014 (come stabilisce l'art. 12, comma 5 della medesima legge regionale, anch'esso mai abrogato e quindi vigente). 4.3. E' quindi inevitabile rimettere la valutazione della legittimita' dell'art. 12, commi 3 e 5 della legge regionale n. 15/2014 alla Corte costituzionale.
P. Q. M. La Corte di appello di Trieste, cosi' decide: visti gli articoli 134 della Costituzione, 1 legge cost. n. 1/1948 e 23 legge n. 87/1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, commi 3 e 5 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 4 agosto 2014, n. 15, intitolata «Assestamento del bilancio 2014 e del bilancio pluriennale per gli anni 2014-2016 ai sensi dell'art. 34 della legge regionale n. 21/2007», nella parte in cui ha abrogato l'art. 100, commi 3 e 4 della legge regionale 27 marzo 1996, n. 18 («Riforma dell'impiego regionale in attuazione dei principi fondamentali di riforma economico sociale desumibili dalla legge 23 ottobre 1992, n. 421») e fatto venire meno il trattamento pensionistico ivi previsto a decorrere dal 1° settembre 2014, in relazione gli articoli 3, 36, 38 e 53 della Costituzione; sospende il presente giudizio e rimette gli atti alla Corte costituzionale; ordina che a cura della Cancelleria di questa Corte la presente ordinanza venga trasmessa alla Corte costituzionale e sia comunicata al Presidente della giunta regionale del Friuli-Venezia Giulia nonche' al Presidente del consiglio regionale di detta Regione e notificata alle parti in causa. Trieste, 28 giugno 2018 Il Presidente: Pellegrini