N. 2 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 settembre 2018

Ordinanza  del  17  settembre  2018  del   Tribunale   amministrativo
regionale per la Puglia - Sezione di Lecce sul  ricorso  proposto  da
Nardelli Alessandro contro Agenzia delle  Dogane  e  dei  Monopoli  -
Ufficio dei Monopoli di Taranto.. 
 
Documentazione  amministrativa   -   Dichiarazioni   sostitutive   di
  certificazioni  e   dell'atto   di   notorieta'   -   Controlli   -
  Dichiarazione non veritiera - Decadenza dai benefici. 
- Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre  2000,  n.  445
  ("Testo unico delle disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
  materia di documentazione amministrativa (Testo A)"), art. 75. 
(GU n.5 del 30-1-2019 )
 
         IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA PUGLIA 
                       (Lecce - Sezione terza) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 1240 del 2017,  proposto  da  Nardelli  Alessandro,
rappresentato e difeso dagli avvocati Paolanna Digregorio  e  Giorgia
Calella, con  domicilio  digitale  come  da  P.E.C.  da  Registri  di
Giustizia e domicilio eletto  presso  Giorgio  Mauro  in  Lecce,  via
Colonnello Costadura, n. 22/B; 
    Contro Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - Ufficio dei Monopoli
di  Taranto,  in  persona  del  legale  rappresentante  pro  tempore,
rappresentata e  difesa  dall'Avvocatura  Distrettuale  dello  Stato,
domiciliata ex lege in Lecce, piazza S. Oronzo; 
 
                         Per l'annullamento 
 
    del provvedimento dell'Agenzia delle  Dogane  e  dei  Monopoli  -
Ufficio dei Monopoli per la Puglia,  la  Basilicata  e  il  Molise  -
Sezione Operativa Territoriale di Taranto n. 216 del 27 luglio  2017,
prot. n. 56640, notificato in data 9 agosto 2017; 
    ove  dovesse  occorrere,   di   tutti   gli   atti   presupposti,
consequenziali e con il citato provvedimento connessi; 
    nonche' per  la  immediata  restituzione  del  patentino  per  la
vendita di generi di monopolio; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visto l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'Agenzia  delle
Dogane e dei Monopoli - Ufficio dei Monopoli di Taranto; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza  pubblica  del  giorno  3  luglio  2018  la
dott.ssa Maria Luisa Rotondano e uditi per  le  parti  l'avvocato  G.
Calella e l'Avvocato dello Stato G. Marzo; 
 
                           Fatto e diritto 
 
1. - Con  l'atto  introduttivo  del  presente  giudizio,  ritualmente
notificato il 28 settembre 2017 e depositato il 17 ottobre  2017,  il
ricorrente - gia' titolare di patentino per la vendita di  generi  di
monopolio, nell'esercizio bar  ubicato  all'interno  di  stazione  di
servizio automobilistica sita su S.S. 172 Km 52+175 in Martina Franca
(TA) - ha impugnato, domandandone l'annullamento: 
      1) il provvedimento n. 216 del 27 luglio 2017, prot. n.  56640,
notificatogli in data 9 agosto 2017, con cui l'Agenzia delle Dogane e
dei Monopoli - Ufficio dei Monopoli per la Puglia, la Basilicata e il
Molise - Sezione Operativa  Territoriale  di  Taranto,  in  riscontro
all'istanza presentata in data 12 maggio 2017 per il rinnovo biennale
del citato patentino: 
        «Visto che con decreto ministeriale n. 38/13, art.  9)  comma
1) il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha specificato che  gli
interessati al  rinnovo  del  patentino  devono  presentare,  insieme
all'istanza, una dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante
i dati e le informazioni di cui all'art. 8)  comma  3)  dello  stesso
decreto; 
      Atteso che il Consiglio di Stato, decidendo  in  caso  analogo,
nella sentenza di rigetto di appello n. 2028/15 ha motivato: 
        "il rinnovo non e' altro, in relazione alla  durata  biennale
del titolo,  che  un  rinnovato  rilascio,  onde  devono  logicamente
ritenersi  necessari  a  tal  fini  anche  i  presupposti   normativi
richiesti per quest'ultimo alla data in cui il rinnovo e'  richiesto;
tale considerazione trova fondamento nella stessa lettera del decreto
ministeriale n. 38/2013,  laddove,  evidentemente  alla  scopo  della
verifica della sussistenza di tali requisiti, l'art. 9  richiede  una
dichiarazione sostitutiva che riporti i dati e le informazioni di cui
all'art. 8, comma 3"; 
    Vista la dichiarazione sostitutiva di atto  notorio  nella  quale
l'interessato dichiarava al punto 7) la  mancata  sussistenza  a  suo
carico di eventuali pendenze fiscali e/o morosita' verso  l'Erario  o
verso il Concessionario della riscossione definitivamente accertate o
risultanti da sentenze non impugnabili; 
    Vista la verifica della  veridicita'  di  quanto  dichiarato  nel
succitato punto con nota protocollo n.  36947  del  18  maggio  2017,
inviata a mezzo pec al concessionario Equitalia Sud S.p.A.; 
    Considerato che dal  riscontro  della  suddetta  nota  pervenuta,
stesso mezzo, con protocollo n. 41206 del 5 giugno 2017, e' emersa la
non corrispondenza di quanto dichiarato dalla  parte»  (precisamente,
l'esistenza, a carico del ricorrente, di una cartella  di  pagamento,
emessa da Equitalia  Servizi  di  Riscossione  S.p.A.,  per  l'omesso
pagamento di una sanzione amministrativa  per  violazione  al  Codice
della Strada, dell'importo totale di euro 217,18, di cui euro  196,91
per «Totale tributi in debito»,  oltre  euro  5,88  per  «Diritti  di
notifica», euro 11,95 per «Aggio» ed  euro  2,44  per  «Interessi  di
mora»); 
    «....verificato che la  cartella  esattoriale  al  momento  della
presentazione della dichiarazione sostitutiva  di  atto  notorio  era
ancora pendente ed e' stata liquidata solo successivamente  a  quanto
comunicato da questo ufficio all'interessato ai  sensi  dell'art.  76
del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000; 
    Considerato che, cosi' come previsto dal decreto ministeriale  n.
38/13 comma 3) art. 7), ai fini dell'adozione del  provvedimento  gli
Uffici competenti  devono  valutare  -  lettera  g)  -  l'assenza  di
eventuali pendenze e/o di morosita' verso l'erario o  verso  l'agente
di  riscossione  definitivamente  accertate  indicate,   cosi'   come
previsto alla lettera f), comma 3)  art.  8)  del  succitato  decreto
ministeriale, nell'atto notorio presentato a corredo dell'istanza; 
    Considerato quanto emerso dal controllo della veridicita'  presso
l'agente della riscossione in merito a  quanto  dichiarato  nell'atto
notorio  presentato  ovvero  la  presenza  di   pendenze   verso   il
concessionario «ancora non pagati o pagati parzialmente alla data del
5 giugno 2017»; 
    Considerato che nell'atto notorio la presenza di tali  situazioni
debitorie non erano state segnalate al punto f) dello stesso; 
    Considerato che per quanto sopra l'istante e' incorso  in  quanto
previsto dall'art. 76 del decreto del Presidente della Repubblica  n.
445/2000 in merito ad una dichiarazione risultata non veritiera»; 
    ha   determinato   «il   rigetto    dell'istanza    di    rinnovo
dell'autorizzazione n. 503039/TA per i motivi  sopra  indicati  e  la
decadenza dell'autorizzazione  provvisoria  alla  vendita  rilasciata
nelle more dell'istruttoria»; 
    2)  ove  dovesse   occorrere,   tutti   gli   atti   presupposti,
consequenziali e con il citato provvedimento connessi. 
    Ha chiesto, altresi', «la immediata  restituzione  del  patentino
per la vendita di generi di monopolio». 
    A sostegno dell'impugnazione interposta ha dedotto: 
      1) violazione e/o falsa  applicazione  di  Regolamento,  e,  in
particolare, degli articoli 7, 8 e 9 decreto Ministero  dell'Economia
e delle Finanze n. 38/2013, falsa presupposizione, eccesso di  potere
per illogicita' ed ingiustizia; 
      2) violazione e/o falsa applicazione del  decreto  ministeriale
n. 38/2013 in particolare, degli articoli 7, 8 e 9, eccesso di potere
per sviamento e contraddittorieta'; 
      3) violazione e/o falsa applicazione di  principi  generali  di
imparzialita' e correttezza della P.A., come rinvenienti dall'art. 97
Costituzione,   violazione   del   principio   di    proporzionalita'
dell'azione amministrativa; 
      4) violazione e/o falsa applicazione degli articoli 75 e 76 del
decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000. 
    Si e' costituita in  giudizio,  per  il  tramite  dell'Avvocatura
Distrettuale Erariale,  l'Agenzia  delle  Dogane  e  dei  Monopoli  -
Ufficio dei Monopoli di  Taranto,  contestando  in  toto  le  avverse
pretese e chiedendo la reiezione del gravame. 
    Con «Note d'udienza» depositate agli atti del giudizio in data 26
giugno   2018,   parte   ricorrente   ha   prospettato    dubbi    di
costituzionalita' in ordine all'art. 75 del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 445/2000, chiedendo che l'adito Tribunale «Voglia
sollevare questione di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  75
decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000 per contrasto con
l'art. 3 Cost.» (essenzialmente, sotto il  profilo  della  violazione
dei  canoni  di  ragionevolezza,  proporzionalita'  e   uguaglianza),
«nonche' per  contrasto  con  l'art.  117,  primo  comma,  Cost.  con
riferimento all'art. 49, terzo comma, della CDFUE»  («avente  ora  lo
stesso valore giuridico dei trattati, in forza dell'art. 5, comma  1,
del Trattato sull'Unione Europea (TUE), come modificato a Lisbona, il
13 dicembre 2007, ratificato e reso esecutivo con legge 2 agosto 2008
n. 130, ed entrato in vigore il 1° dicembre  2009,  secondo  cui  "le
pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato"»). 
    Alla pubblica udienza del 3 luglio 2018, su richiesta  di  parte,
la causa e' stata introitata per la decisione. 
2. -  Rileva,  innanzitutto,  il  Collegio  che  l'impugnato  diniego
risulta motivato dalla P.A. sulla scorta  dell'omessa  dichiarazione,
da parte dell'istante, di taluni debiti verso l'Erario (e  cioe',  la
preesistenza di  una  cartella  di  pagamento,  emessa  da  Equitalia
Servizi di Riscossione S.p.A., per l'omesso pagamento di una sanzione
amministrativa per violazione al Codice  della  Strada,  dell'importo
totale di euro 217,18), ai sensi,  sostanzialmente  (a  ben  vedere),
dell'art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica 28  dicembre
2000 n. 445. 
    E' opportuno rammentare che l'art. 75 («Decadenza dai  benefici»)
del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n.  445
(«Testo unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
materia di documentazione amministrativa») dispone che: 
      «1. Fermo restando quanto previsto dall'art.  76,  qualora  dal
controllo di cui all'art. 71 emerga la non veridicita' del  contenuto
della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente
conseguenti al provvedimento emanato sulla base  della  dichiarazione
non veritiera». 
    La granitica giurisprudenza formatasi in «subiecta  materia»  (ex
plurimis, Consiglio di Stato, Sezione Quinta, 9 aprile 2013, n. 1933)
ha osservato che il su riportato art. 75 del decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 445/2000 «si inserisce in un contesto in cui alla
dichiarazione sullo status o sul possesso di determinati requisiti e'
attribuita funzione probatoria, da cui il dovere del  dichiarante  di
affermare il vero. 
    Ne consegue che la dichiarazione «non veritiera» al  di  la'  dei
profili penali, ove ricorrano  i  presupposti  del  reato  di  falso,
nell'ambito della disciplina dettata dalla legge  n.  445  del  2000,
preclude  al  dichiarante  il  raggiungimento  dello  scopo  cui  era
indirizzata la dichiarazione o comporta  la  decadenza  dall'utilitas
conseguita per effetto del mendacio». 
    Pertanto, «In tale contesto normativo, in cui  la  "dichiarazione
falsa o non veritiera" opera come fatto, perde  rilevanza  l'elemento
soggettivo ovvero il dolo o la colpa del dichiarante»  (Consiglio  di
Stato, Sezione Quinta, cit., n. 1933/2013), "poiche', se cosi' fosse,
verrebbe meno la ratio della disciplina che e' volta  a  semplificare
l'azione   amministrativa,   facendo   leva    sul    principio    di
autoresponsabilita' del dichiarante"  (Consiglio  di  Stato,  Sezione
Quinta, 27 aprile 2012, n. 2447): sicche'  ogni  eventuale  ulteriore
circostanza, «senz'altro rilevante in sede penale, in quanto ostativa
alla  configurazione  del  falso  ideologico,  attesa   la   mancanza
dell'elemento soggettivo,  ovvero  della  volonta'  cosciente  e  non
coartata di compiere il fatto e della consapevolezza di agire  contro
il dovere  giuridico  di  dichiarare  il  vero,  non  assume  rilievo
nell'ambito della legge n. 445 del 2000, in cui  il  mendacio  rileva
quale inidoneita' della dichiarazione  allo  scopo  cui  e'  diretto»
(Consiglio di Stato, Sezione Quinta, cit., n. 1933/2013). 
    Ai sensi della normativa generale di cui all'art. 75 del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 445  del  2000,  quindi,  «la  non
veridicita'  di  quanto  autodichiarato  rileva  sotto   un   profilo
oggettivo  e  conduce  alla  decadenza  dei  benefici  ottenuti   con
l'autodichiarazione non veritiera»; cosi' la sent. 13 settembre 2016,
n. 9699)» (T.A.R. Lazio, Roma, Sezione Terza ter, 24 maggio 2017,  n.
6207), "Senza che tale disposizione lasci margine di discrezionalita'
alle Amministrazioni (cfr. ad es. CdS  1172_2017)"  (T.A.R.  Liguria,
Genova, Sezione Prima, 14 giugno 2017, n. 534). 
    In definitiva, per effetto  della  suddetta  esegesi  consolidata
(tale da assurgere al rango di «diritto vivente», sicche' neppure  e'
possibile  per  il  Tribunale  operare  una   c.d.   «interpretazione
costituzionalmente conforme»): 
      l'applicazione dell'art. 75 del decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 445/2000 comporta l'automatica decadenza dal  beneficio
eventualmente  gia'  conseguito,  non  residuando,  nell'applicazione
della predetta norma, alcun margine di discrezionalita'  alle  PP.AA.
che, in sede di controllo (d'ufficio) ex art. 71 del  medesimo  testo
unico,  si  avvedano  della   (oggettiva)   non   veridicita'   delle
autodichiarazioni,  posto  che  tale  norma  prescinde,  per  la  sua
applicazione,   dalla   condizione   soggettiva   del    dichiarante,
attestandosi (unicamente) sul dato oggettivo della  non  veridicita',
rispetto  al  quale  risulta,  peraltro,  del  tutto  irrilevante  il
complesso delle giustificazioni addotte dal dichiarante medesimo; 
      parimenti, tale disposizione, nel contemplare la decadenza  dai
benefici  conseguenti  al  provvedimento  emanato  sulla  base  delle
dichiarazioni non veritiere, impedisce (ovviamente e a fortiori, come
nel caso di specie) anche l'emanazione del provvedimento (ampliativo)
di accoglimento dell'istanza tendente ad ottenere  i  benefici  dalla
P.A. 
3. - Tuttavia, la predetta norma (art. 75 del decreto del  Presidente
della Repubblica n. 445/2000), intesa  alla  stregua  dell'illustrato
«diritto vivente», nel suo meccanico automatismo  legale  (del  tutto
decontestualizzato dal caso specifico) e nella sua assoluta rigidita'
applicativa  (che  non  conosce  eccezioni),   sembra   al   Collegio
incostituzionale, per  violazione  dei  principi  di  ragionevolezza,
proporzionalita'   e   uguaglianza   sanciti   dall'art.   3    della
Costituzione. 
  4.  -  Ed  invero,  «il  giudizio  di  ragionevolezza,  lungi   dal
comportare  il  ricorso  a  criteri   di   valutazione   assoluti   e
astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni  relative
alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal legislatore  nella  sua
insindacabile discrezionalita' rispetto alle  esigenze  obiettive  da
soddisfare o alle finalita'  che  intende  perseguire,  tenuto  conto
delle circostanze  e  delle  limitazioni  concretamente  sussistenti.
Sicche',... l'impossibilita' di fissare in astratto un punto oltre il
quale  scelte  di  ordine   quantitativo   divengono   manifestamente
arbitrarie e, come tali,  costituzionalmente  illegittime,  non  puo'
essere validamente assunta come elemento connotativo di  un  giudizio
di merito, essendo un tratto che si riscontra ... anche  nei  giudizi
di ragionevolezza. 
    Del resto,......, le censure di merito non comportano valutazioni
strutturalmente diverse, sotto il profilo  logico,  dal  procedimento
argomentativo proprio dei giudizi valutativi implicati dal  sindacato
di legittimita', differenziandosene, piuttosto, per il fatto  che  in
quest'ultimo le regole o gli interessi  che  debbono  essere  assunti
come parametro del giudizio sono  formalmente  sanciti  in  norme  di
legge o della Costituzione» (Corte costituzionale, 22 dicembre  1988,
n. 1130). 
    In conclusione: 
      per un verso, il giudizio  di  ragionevolezza  della  norma  di
legge  deve  essere   necessariamente   ancorato   al   criterio   di
proporzionalita', rappresentando  quest'ultimo  «diretta  espressione
del generale canone di  ragionevolezza  (ex  art.  3  Cost.)»  (Corte
costituzionale, 1° giugno 1995, n. 220); 
      per altro verso, la ragionevolezza  va  intesa  come  forma  di
razionalita' pratica (tenuto conto,  appunto,  «delle  circostanze  e
delle limitazioni concretamente sussistenti» - Corte  costituzionale,
cit., n. 1130/1988), non  riducibili  alla  mera  (e  sola)  astratta
razionalita' sillogistico - deduttiva e  logico  -  formale,  laddove
(invece)  la  ragione  (pratica  e  concreta)  deve   essere   aperta
all'impatto che su di essa esplica il caso,  il  fatto,  il  dato  di
realta'  (che  diventa  esperienza  giuridica),  solo  cosi'  potendo
(doverosamente)  valutarsi  l'adeguatezza  del  mezzo  al  fine,   la
ragionevolezza «intrinseca», in uno agli (eventuali) esiti ed effetti
sproporzionati e/o paradossali che possono concretamente derivare  da
una regola generale apparentemente ed astrattamente logica. 
    In tal senso, il giudizio di ragionevolezza, lungi dal  limitarsi
alla  (sola)  valutazione  della  singola  situazione  oggetto  della
specifica controversia  da  cui  sorge  il  giudizio  incidentale  di
legittimita' costituzionale, si appalesa idoneo  (traendo  spunto  da
quest'ultima) a vagliare gli effetti della legge sull'intera  realta'
sociale che la legge  medesima  e'  chiamata  a  regolare,  anche  in
funzione dell'«"esigenza di conformita' dell'ordinamento a valori  di
giustizia e  di  equita'"  ...  ed  a  criteri  di  coerenza  logica,
teleologica  ,  che  costituisce  un  presidio   contro   l'eventuale
manifesta irrazionalita' o iniquita' delle conseguenze della  stessa»
(sentenza n. 87 del 2012)» (Corte costituzionale, sentenza 10  giugno
2014, n. 162). 
    E tanto anche confrontando i benefici che derivano dall'adozione,
per dir cosi', "neutra" del  provvedimento  con  i  suoi  "costi",  e
valutando l'eventuale inadeguata penalizzazione degli altri diritti e
interessi  di   rango   costituzionale   contestualmente   in   gioco
(bilanciamento). 
5. - Orbene, l'illustrata fattispecie di "automatismo legislativo" di
cui all'art. 75  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
445/2000, intesa alla stregua del "diritto vivente", non  sfugge,  ad
avviso meditato del Collegio, a forti  dubbi  di  incostituzionalita'
per violazione dei principi  di  proporzionalita',  ragionevolezza  e
uguaglianza, di cui all'art. 3 della Costituzione. 
  5.1 - Ed  invero,  le  conseguenze  decadenziali  (definitive)  dal
beneficio (peraltro,  latu  sensu  sanzionatorie),  legate  alla  non
veridicita'   obiettiva   della   dichiarazione,   e,   a   fortiori,
l'impedimento a conseguire il beneficio medesimo, ai sensi del citato
art. 75 del decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  445/2000,
appaiono al Tribunale irragionevoli e incostituzionali,  contrastando
con il principio di proporzione, che e' alla base della  razionalita'
che, a sua volta, informa il principio di uguaglianza sostanziale, ex
art. 3 della Costituzione. 
    E tanto ove si considerino (innanzitutto e in via  dirimente)  il
meccanico automatismo legale (del tutto "slegato"  dalla  fattispecie
concreta)  e  l'assoluta  rigidita'  applicativa   della   norma   in
questione, che (da un lato) impone tout court (senza alcun distinguo,
ne' gradazione)  la  decadenza  dal  beneficio  (o  l'impedimento  al
conseguimento dello stesso), a  prescindere  dall'effettiva  gravita'
del fatto contestato (sia per le fattispecie in cui la  dichiarazione
non veritiera  riveste  un'incidenza  del  tutto  marginale  rispetto
all'interesse pubblico perseguito dalla P.A., sia  per  quelle  nelle
quali  tale  dichiarazione  risulta  in  netto  contrasto  con   tale
interesse, riservando, quindi, il medesimo trattamento  a  situazioni
di oggettiva  diversa  gravita'),  e  (dall'altro)  non  consente  di
escludere   nemmeno   le   ipotesi   di   non    veridicita'    delle
autodichiarazioni su aspetti  di  minima  rilevanza  concreta  (come,
appunto, nel caso di cui al presente giudizio), con ogni possibile (e
finanche  prevedibile)  abnormita'  e  sproporzione  delle   relative
conseguenze, rispetto al reale disvalore del fatto commesso. 
  5.2  -  Sotto  altro   profilo,   inoltre,   l'assoluta   rigidita'
applicativa dell'art. 75 del decreto del Presidente della  Repubblica
n. 445/2000 appare  eccessiva,  in  quanto  non  consente  (parimenti
irragionevolmente   e   inadeguatamente)   di   valutare   l'elemento
soggettivo (dolo - la c.d. coscienza e volonta' di immutare il vero -
ovvero colpa, grave o meno - nell'ipotesi di  fatto  dovuto'  a  mera
leggerezza   o   negligenza    dell'agente)    della    dichiarazione
(oggettivamente) non veritiera, nella naturale (e  contestuale)  sede
del procedimento amministrativo (o anche, laddove la P.A. lo ritenga,
nell'ambito del pertinente giudizio penale). 
    5.3  -   Ne'   puo'   ritenersi   che   i   suddetti   dubbi   di
costituzionalita' possano essere superati facendo  leva  sulla  ratio
sottesa alla disposizione di che trattasi,  rinvenibile,  secondo  il
diritto "vivente" (cfr., ex plurimis,  Consiglio  di  Stato,  Sezione
Quinta,   cit.,   n.   2447/2012),   nel   principio   generale    di
semplificazione  amministrativa  (cui  si  accompagna  l'affermazione
dell'autoresponsabilita' - "oggettiva" - del dichiarante). 
    E' ben vero, infatti, che l'art. 75 del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 445/2000 debba qualificarsi quale norma  generale
di semplificazione amministrativa. 
    Tuttavia, proprio in quanto tale, la suddetta norma,  se,  da  un
lato, e' sicuramente volta a  rendere  piu'  efficiente  ed  efficace
l'azione dell'Amministrazione  pubblica  (buon  andamento,  ai  sensi
dell'art.  97  della  Costituzione),   dall'altro   e'   (altrettanto
inequivocabilmente) finalizzata a garantire  i  diritti  dei  singoli
costituzionalmente tutelati  e  di  volta  in  volta  coinvolti   nel
procedimento amministrativo attivato (e nell'ambito  del  quale  sono
state rese le autodichiarazioni medesime): si pensi, ad  esempio,  al
diritto allo studio (art. 34), al diritto alla salute (art.  32),  al
diritto al lavoro  (articoli  4  e  35),  al  diritto  all'assistenza
sociale (art. 38), al diritto di iniziativa economica  privata  (art.
41, come nel caso di specie). 
    Sicche', anche nella  prospettiva  del  necessario  bilanciamento
degli  interessi  costituzionali  coinvolti  (nonche'  della  massima
espansione possibile delle relative tutele),  il  rigido  automatismo
applicativo (in uno ai correlati e definitivi effetti preclusivi  e/o
decadenziali) si rivela, in concreto, lesivo del doveroso  equilibrio
fra le diverse esigenze in gioco,  e  persino  tale  da  pregiudicare
definitivamente proprio quei diritti costituzionali del singolo  alla
cui migliore e piu' rapida realizzazione la norma di  semplificazione
de qua e', in definitiva, finalizzata. 
    E  tanto  vieppiu'  allorche'  si   consideri   che   l'art.   40
(«Certificati»)  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  28
dicembre 2000, n, 445 («Testo unico delle disposizioni legislative  e
regolamentari in materia  di  documentazione  amministrativa»),  come
modificato dall'art. 15, comma 1, lett. a), legge 12  novembre  2011,
n. 183, ha disposto  che  «01.  Le  certificazioni  rilasciate  dalla
pubblica amministrazione in ordine  a  stati,  qualita'  personali  e
fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra  privati.  Nei
rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di
pubblici servizi i certificati e gli atti di notorieta'  sono  sempre
sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e  47»  e  che
«02. Sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati e' apposta,
a pena di nullita', la dicitura: "Il presente  certificato  non  puo'
essere prodotto agli  organi  della  pubblica  amministrazione  o  ai
privati  gestori  di  pubblici  servizi"»:  sicche',  in  definitiva,
essendo il privato obbligato, e non  piu'  (meramente)  facultato,  a
presentare alle PP.AA. le «dichiarazioni di cui agli  articoli  46  e
47», la semplificazione de qua si risolve, in ultima analisi, per  un
verso,  nella  (sicura)  diminuzione  degli  adempimenti   a   carico
dell'Amministrazione pubblica  (a  fronte  dei  controlli  d'ufficio,
«anche a campione», ai sensi dell'art. 71 del decreto del  Presidente
della Repubblica n. 445/2000), e,  per  altro  verso,  nell'eccessiva
(considerate  le  conseguenze  automatiche  derivanti  dall'eventuale
dichiarazione non veritiera, ex art. 75 del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 445/2000) autoresponsabilita'  ("oggettiva")  del
privato medesimo. 
6. - Pertanto, rispetto ad una disposizione - l'art. 75  del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 445/2000 - nel significato in  cui
essa "vive" nella (costante) applicazione giudiziale, il Collegio non
puo' che  sollevare  la  questione  di  legittimita'  costituzionale,
tenuto conto, per quanto innanzi esposto, che la  stessa  appare  non
superabile in via interpretativa (in ragione, appunto,  del  "diritto
vivente") e non manifestamente infondata. 
  7.  -  Inoltre,  l'intervento  del  Giudice  delle   Leggi   appare
assolutamente necessario nella presente controversia,  non  potendosi
prescindere  dalla   definizione   (necessariamente   e   logicamente
pregiudiziale) di tale questione ai fini della decisione del presente
giudizio, in quanto, nell'ipotesi  in  cui  il  citato  art.  75  del
decreto del Presidente della Repubblica n.  445/2000  dovesse  essere
dichiarato  incostituzionale,  verrebbe  meno   l'unico   presupposto
normativo posto, sostanzialmente (a ben  vedere),  a  fondamento  del
gravato diniego, nel mentre, in caso contrario,  il  gravame  sarebbe
infondato  alla  stregua  delle   censure   formulate   dalla   parte
ricorrente. 
    8. - Il Collegio, in conclusione, ritiene  che  la  questione  di
legittimita'  costituzionale,  per  contrasto  con  i   principi   di
ragionevolezza, proporzionalita' e  uguaglianza  di  cui  all'art.  3
della Costituzione, dell'art. 75 del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 28 dicembre 2000,  n.  445,  sia  rilevante  (sussistendo,
appunto, il nesso di assoluta pregiudizialita' tra la soluzione della
prospettata questione di legittimita' costituzionale e  la  decisione
del presente giudizio)  e  non  manifestamente  infondata,  e  debba,
conseguentemente,    essere    rimessa    all'esame    della    Corte
costituzionale, mentre il giudizio in corso deve essere sospeso  fino
alla decisione della Consulta. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale Amministrativo  Regionale  per  la  Puglia  Lecce  -
Sezione  Terza,  pronunciando  sul  ricorso  indicato  in   epigrafe,
sospende  il   giudizio   e   solleva   questione   di   legittimita'
costituzionale, per contrasto con l'art. 3  della  Costituzione,  nei
sensi e termini di cui in motivazione, dell'art. 75 del  decreto  del
Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
    Ordina che, a cura della Segreteria, la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti in causa, nonche' al Presidente  del  Consiglio
dei ministri, e comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati  e
del Senato della Repubblica. 
    Cosi' deciso in Lecce nella Camera  di  Consiglio  del  giorno  3
luglio 2018 con l'intervento dei magistrati: 
      Enrico d'Arpe, Presidente; 
      Maria Luisa Rotondano, Primo Referendario, Estensore; 
      Anna Abbate, Referendario. 
 
                        Il Presidente: d'Arpe 
 
 
                                               L'estensore: Rotondano