N. 11 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 ottobre 2018

Ordinanza del 16 ottobre 2018 del Giudice  di  pace  di  Venezia  nel
procedimento penale a carico di B.M.. 
 
Reati e pene - Abrogazione del reato di cui all'art.  594  cod.  pen.
  (Ingiuria). 
- Legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di  pene
  detentive non carcerarie e di riforma  del  sistema  sanzionatorio.
  Disposizioni in materia di sospensione del procedimento  con  messa
  alla prova e nei confronti degli irreperibili), art. 2, comma 3  [,
  lettera a), n. 2];  decreto  legislativo  15  gennaio  2016,  n.  7
  (Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione  di
  illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma  dell'articolo  2,
  comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67),  art.  1,  [comma  1,]
  lettera c). 
(GU n.6 del 6-2-2019 )
 
               UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI VENEZIA 
 
    Il Giudice di pace nel procedimento  RGNR  n.  2367/2014,  Rg.GdP
393/2015, premesso che si procede penalmente nei confronti di  B.  M.
nato a ... il ... per i fatti di cui alla seguente imputazione: 
        1) del reato p. e p. dagli articoli 81 comma 1  e  594 C.  P.
perche', a seguito della medesima condotta illecita offendeva l'onore
e il decoro di  R.  S.  proferendo  nei  confronti  del  predetto  le
seguenti espressioni: in data 8 settembre 2014 «coprofago, parassita,
cornuto,  becco»;  in  data  9  settembre  2014  «sei  un  coprofago,
parassita e tutta la vita ti sara' un parassita»; in data 13  ottobre
2014» sei un cacasotto, parassita, pidocchio, piattola»;  nonche'  in
data 21 ottobre 2014 sputandogli contro; fatti  commessi  nelle  date
sopraindicate; 
        2) del reato p. e p. dall'art. 595 codice  penale  per  avere
offeso la reputazione di R. S., scrivendo l'espressione «parassita» a
lui riferita nel corpo di una missiva inviata a  mezzo  fax  all'avv.
V. F.; in Venezia in data 22 settembre 2014. 
          che la fattispecie di  reato  di  cui  al  procedimento  in
oggetto riguarda il reato di  ingiurie  ex  art.  594  codice  penale
(oltre al reato di diffamazione ex  art.  595  c.p.),  che  e'  stato
abrogato dall'art. 1, lettera c), del decreo legislativo n. 7 del  15
gennaio 2016 quale norma attuativa della legge delega n.  67  del  28
aprile 2014, art. 2, comma 3°; 
    Considerato che il giudice procedente dubita  della  legittimita'
costituzionale delle norme che hanno abrogato il  suddetto  reato  di
ingiuria  punito  dall'art.  594  cp;  tanto  premesso   il   giudice
remittente osserva quanto segue. 
1 - Inquadramento normativo. 
    L'oggetto del giudizio riguarda il reato di ingiuria  previsto  e
punito dall'art. 594 c.p.. Tale reato  e'  stato  abrogato  dell'art.
lettera c), del decreto legislativo n. 7 del 15  gennaio  2016  quale
norma attuativa della legge delega n. 67 del 28 aprile 2014, art.  2,
comma  3.  Di  tali  norme  abrogative  il  remittente  dubita  della
legittimita' costituzionale. Il testo  dell'art.  594  codice  penale
cosi' disponeva: 
        «chiunque offende l'onore o il decoro di una persona presente
e' punito con la reclusione fino a sei mesi o con  la  multa  fino  a
euro 516. 
        Alla stessa pena soggiace  chi  commette  il  fatto  mediante
comunicazione telegrafica o telefonica,  o  con  scritti  o  disegni,
diretti alla persona offesa. 
        La pena e' della reclusione fino a un anno o della multa fino
a euro 1.032 se  l'offesa  consiste  nell'attribuzione  di  un  fatto
determinato. 
    Le pene sono aumentate qualora l'offesa sia commessa in  presenza
di piu' persone». 
    Nel procedimento avanti al Giudice di Pace il suddetto reato  era
punito con la multa da euro 258,00  fino  ad  euro  2.582,00  ed  era
inserito nel Capo II, Titolo XII  del  Libro  II  del  codice  penale
riguardante i delitti contro l'onore. 
    L'onore costituisce uno dei beni fondamentali della persona umana
riconosciuto tra i diritti inviolabili dell'uomo di  cui  all'art.  2
della Costituzione, nei quali sono compresi  il  diritto  alla  vita,
all'incolumita' fisica e alla liberta'  personale.  La  stessa  Corte
costituzionale infatti  lo  annovera  tra  i  beni  e  gli  interessi
inviolabili in quanto essenzialmente connessiicon  la  persona  umana
(Corte costituzionale n. 86/1972 e n. 38/1973). 
    Si tratta quindi di un bene  giuridico  ascritto  nel  rango  dei
diritti   essenziali,   assoluti,   personali,   non    patrimoniali,
inalienabili, intrasmissibili, imprescrittibili, originari e  innati,
ed e' estrinsecazione, nelle societa' democratiche, del  fondamentale
principio di uguaglianza di tutti gli esseri umani che trova  le  sue
profonde radici nel principio del rispetto per ogni persona, per ogni
essere umano, senza alcuna distinzione di sesso, di razza, di lingua,
di religione,  di  opinioni  politiche,  di  condizioni  personali  e
sociali. 
    In tale contesto il legislatore e' intervenuto  emanando  le  due
richiamate  leggi  ordinarie  che  hanno  abrogato  la  norma  penale
preposta alla tutela  del  suddetto  bene  giuridico  tutelato  dagli
articoli 2 e 3 della Costituzione, quale  diritto  inviolabile  della
persona. 
    Il remittente dubita  quindi  della  legittimita'  costituzionale
delle suddette disposizioni normative rispetto agli articoli  2  e  3
della Carta Costituzionale. 
    Ulteriore profilo di  dubbio  della  legittimita'  costituzionale
delle leggi ordinarie abrogative  dell'art.  594  c.p.,  va  espresso
sotto  l'aspetto   della   violazione   dei   principi   fondamentali
dell'unione europea alla quale l'Italia aderisce. 
    L'art. 1 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione europea
statuisce che «La dignita' umana e'  inviolabile.  Essa  deve  essere
rispettata e tutelata».  La  dignita',  che  costituisce  espressione
ampia dei concetti di onore, decoro  e  rispetto,  entra  quindi  nel
tessuto della Carta Costituzionale attraverso gli articoli 10  e  117
come uno dei beni fondamentali da rispettare e tutelare. 
    Sotto  questo  ulteriore  profilo  il  remittente  dubita   della
legittimita' delle disposizioni normative sottoposte a scrutinio  per
la violazione degli articoli 10 e 117 della Costituzione. 
2. Sulla rilevanza della questione. 
    2.1  -  La  questione  di  legittimita'   costituzionale   appare
rilevante ai fini della decisione del presente  giudizio  sussistendo
un nesso di pregiudizialita' necessaria tra il giudizio a quo  ed  il
giudizio di legittimita' costituzionale. Ed invero nel vigente quadro
normativo il giudice di pace  sarebbe  tenuto  a  dichiarare  di  non
doversi procedere ex art. 129 codice di procedura penale dal reato di
ingiurie perche' il fatto non  e'  piu'  previsto  dalla  legge  come
reato. 
    Tuttavia il dubbio di  legittimita'  costituzionale  della  norma
abrogativa comporterebbe, in caso di declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale,  la   riespansione   della   rilevanza   penale   del
comportamento oggetto del reato di ingiurie con  conseguente  obbligo
per  il  giudice  di  celebrare  il  processo  e  di  verificare   in
dibattimento la sussistenza o meno della fattispecie  delittuosa  che
potrebbe comportare la condanna dell'imputato. 
    Ne consegue che la questione  di  costituzionalita'  della  norma
abrogativa del reato di ingiuria possiede una incidenza  attuale  nel
procedimento a quo perche' ha ad  oggetto  la  norma  abrogativa  del
comportamento delittuoso in base al  quale  e'  stato  instaurato  il
presente giudizio nei confronti dell'imputato. 
    2.2 - La rilevanza della questione appare sussistere anche  sotto
il profilo delle norme penali  di  favore  e  precisamente  di  norme
abrogative di ipotesi  delittuose.  Il  remittente  e'  a  conoscenza
dell'indirizzo contrario alla sindacabilita' delle  norme  penali  di
favore, tuttavia lo scrivente  ritiene  che  l'applicazione  di  tale
orientamento porterebbe a conseguenze  contrarie  alla  tutela  della
Costituzione. Si deve considerare infatti che se  fosse  preclusa  la
sindacabilita' delle norme penali di favore, i dubbi di  legittimita'
costituzionale sulle norme sicuramente applicabili nel giudizio a quo
e ritenute dal giudice non manifestamente infondate,  non  potrebbero
essere posti al sindacato della Corte con l'aberrante conseguenza che
le  norme  penali   di   favore   sfuggirebbero   al   controllo   di
costituzionalita'  precludendo  lo  strumento  atto  a  garantire  la
preminenza della Costituzione sulla legislazione statale ordinaria. 
    Sul punto si richiama l'orientamento della  Corte  costituzionale
(espresso a partire dalla sentenza n. 148/1983) in base al  quale  e'
possibile esperire il  sindacato  di  costituzionalita'  anche  sulle
norme abrogative  o  che  escludano  la  rilevanza  penale  di  certi
comportamenti  poiche'  non  e'  possibile  concedere  l'immunita'  a
nessuna tipologia di norme della legislazione ordinaria rispetto alla
Carta Costituzionale. 
    In tal senso si e' espressa anche  la  successiva  giurisprudenza
della Corte costituzionale affermando la  sindacabilita'  delle  c.d.
norme  penali  di  favore  ovvero  di  norme  che  stabiliscano,  per
determinati soggetti od  ipotesi,  un  trattamento  penalistico  piu'
favorevole di quello  che  risulterebbe  dall'applicazione  di  norme
generali e comuni (cfr. Corte costituzionale n.  394/2006).  In  tale
decisione si e' altresi'  precisato  che  la  Corte  non  puo'  certo
configurare nuove norme penali, ma non le sono precluse «le decisioni
ablative di norme che sottraggono determinati gruppi di soggetti o di
condotte alla sfera applicativa di una norma comune o  comunque  piu'
generale» con la sola conseguenza «dell'automatica riespansione della
norma generale o comme, dettata dallo  stesso  legislatore,  al  caso
gia' oggetto di una incostituzionale disciplina derogatoria»  (c.f.r.
Corte costituzionale n. 394/2006). Sotto  tale  profilo  si  richiama
infatti la recente decisione della Corte costituzionale  nella  quale
venne dichiarata l'incostituzionalita'  della  legge  abrogativa  del
reato di associazione paramilitare, facendo rivivere  la  fattispecie
penale (cfr. Corte costituzionale n. 5/2014). 
    Alla luce di tale inquadramento il remittente ritiene quindi  che
alla Corte costituzionale non possa essere precluso lo  scrutinio  di
costituzionalita' di qualsivoglia norma costitutiva o  abrogativa  di
fattispecie emanata dal legislatore con la forma di legge ordinaria. 
3. Sulla non manifesta infondatezza. 
    Il requisito della «non manifesta infindatezza»  della  questione
si ravvisa nell'effettiva e concreta consistenza della  questione  di
legittimita' che si esprime nei seguenti termini. 
    3.1  -  Un  primo  aspetto  di  non  manifesta  infondatezza   va
ricondotto al fatto che le disposizioni abrogative del reato per  cui
e' processo hanno determinato la fuoriuscita del  bene  dell'onore  e
del  decoro  dal  sistema  di  tutela   pubblicistica   dei   diritti
fondamentali. 
    Si osserva infatti che non ci sono  diritti  inviolabili  di  cui
all'art. 2 della Costituzione che  non  siano  protetti  anche  dalle
norme penali, proprio in virtu' della  massima  tutela  che  ad  essi
viene garantita. 
    La stessa  Corte  costituzionale  ha  infatti  ritenuto  che  gli
articoli  2,  3  e  l'art.  13,  primo  comma,   della   Costituzione
riconoscano e garantiscano i diritti  inviolabili  dell'uomo,  fra  i
quali rientrano quelli del proprio decoro, del proprio  onore,  della
propria  rispettabilita',  riservatezza,  intimita'  e   reputazione,
sanciti espressamente negli articoli 8 e 10 della Convenzione europea
sui diritti dell'uomo (cfr. Corte costituzionale n. 38/1973). 
    Inoltre i concetti di onore e di decoro,  uniti  al  concetto  di
reputazione,  costituiscono  tre   fondamentali   concetti   che   la
giurisprudenza, la dottrina e anche le  dottrine  filosofiche,  hanno
ricondotto all'essenza concettuale del valore uomo  identificato  con
il termine: dignita'. 
    Il rispetto che ho per gli altri - scriveva Immanuel Kant - e' il
riconoscimento della dignita' che e' negli altri. Ed e'  proprio  per
dare un senso al «riconoscimento della dignita' che e'  negli  altri»
che e' sorta la necessita' di tutelare normativamente la dignita'  di
ogni essere umano. Dignita' che e' tutelata come diritto fondamentale
nella Carta dei Diritti Fondamentali  dell'Unione  europea  di  Nizza
(pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunita' europee  del  18
dicembre 2000), che proclama nell'art. 1 che: «La dignita'  umana  e'
inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata.» 
    Proprio tale fonte norrnativa, recepita nella nostra Costituzione
in forza degli articoli 10 e 117, riconduce il concetto  di  dignita'
nel  tessuto  costituzionale   rendendolo   un   diritto   primo   ed
irrinunciabile della persona. 
    Non solo, ma la dignita' come valore trova la  propria  implicita
affermazione  nel  principio  contenuto  nell'art.  2   della   Carta
Costituzionale dove si stabilisce che:  «la  Repubblica  riconosce  e
garantisce i diritti inviolabili dell'uomo.». 
    In tale contesto si deve  ritenere  che  la  tutela  dei  diritti
fondamentali ed inviolabili dell'essere umano,  dei  quali  e'  parte
fondamentale il concetto di dignita'  che  comprende  i  concetti  di
onore e di decoro, possa essere  garantita  «sia  come  singolo,  sia
nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita'»  soltanto
attraverso le norme penali, poiche' sono proprio le norme penali  che
sono  poste,  ontologicamente,  a  difesa  dei  diritti   inviolabili
dell'essere umano. 
    Diritti inviolabili dell'essere umano che debbono essere tutelati
dalle norme penali, sia per  l'efficacia  deterrente  della  sanzione
penale, che  per  l'inadeguatezza  delle  sanzioni  amministrative  o
civili  che  appaiono  inconciliabili  a  prevenire,   ricomporre   o
reprimere le condotte lesive dei diritti fondamentali. 
    Nel  caso  di  specie  il  legislatore  ha  approvato  con  legge
ordinaria la contestuale abrogazione della fattispecie delittuosa dal
codice penale ed ha  introdotto  una  tutela  privatistica  del  bene
costituzionalmente protetto, utilizzando il medesimo testo del  primo
comma dell'art. 594 c.p., andando cosi'  a  degradare  il  reato  che
tutela un bene di rilevanza  costituzionale  ad  un  illecito  civile
sottoposto unicamente al nuovo  istituto  della  sanzione  pecuniaria
civile (art.  4  del decreto legislativo n.  7/2016)  e  ledendo,  ad
avviso del remittente, gli articoli 2 e 3 della Costituzione posti  a
tutela  dei  diritti  fondamentali  della   persona,   universalmente
riconosciuti. 
    Inoltre tale normativa abrogativa, che ha cancellato la rilevanza
penale di un diritto fondamentale della persona, appare incompatibile
con i principi costituzionali espressi nell'art. 10 e  nell'art.  117
della Carta Costituzionale poiche' la potesta' legislativa  e'  stata
esercitata dallo Stato con legge ordinaria senza rispettare i vincoli
e i principi derivanti dagli obblighi internazionali e dalle norme di
diritto internazionale generalmente riconosciute,  tanto  da  violare
apertamente il principio fondamentale della dignita'  umana  espresso
nell'art. 1 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione  europea
e gli artt. 8 e 10 della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo. 
    3.2  Un secondo aspetto di non manifesta infondatezza  e'  quello
relativo all'instaurazione di  una  difforme  tutela  sostanziale  di
fattispecie    inerenti    il    medesimo    diritto     fondamentale
costituzionalmente tutelato,  generando  la  violazione  dell'art.  3
della Costituzione. 
    Le  norme  oggetto  di  scrutinio  di   costituzionalita'   hanno
determinato, con  l'avvenuta  abrogazione  dell'art.  594  c.p.,  una
disparita' di  trattamento  con  fattispecie  criminose  inerenti  il
medesimo diritto fondamentale costituzionalmente protetto come appare
di incontestabile evidenza nel caso di specie. 
    Ed invero l'art. 594 codice penale e  l'art.  595  codice  penale
sono riconducibili alla stessa medesima ratio e allo  stesso  diritto
fondamentale  della  dignita'  della  persona  composta   dall'onore,
decoro, reputazione e rispettabilita', che  trovano  identica  tutela
codificata in due articoli differenti del codice penale in  relazione
alla presenza dell'offeso (nell'ipotesi di' ingiuria)  o  all'assenza
dell'offeso (nell'ipotesi della diffamazione). 
    Con l'abrogazione del reato di ingiuria  la  tutela  del  diritto
inviolabile della dignita' nella sua declinazione dell'onore, decoro,
rispettabilita'  e'  lasciata  unicamente  alla  fattispecie  di  cui
all'art. 595 codice penale e cioe'  al  medesimo  fatto  commesso  in
assenza  dell'offeso,  con  evidente   lesione   del   principio   di
uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. 
    Le norme abrogative hanno infatti reso penalmente irrilevante  la
stessa medesima condotta punita dall'art. 595 codice  penale  qualora
questa si sia verificata in presenza dell'offeso. In altri termini se
l'offeso non e' presente c'e' il reato (di diffamazione),  mentre  se
l'offeso e' presente il reato non c'e'. 
    La lesione del principio  di  uguaglianza  espresso  dall'art.  3
della Costituzione appare, ad avviso del remittente, fondata, poiche'
nel caso di specie l'imputato  deve  rispondere  del  medesimo  fatto
avvenuto sia in presenza dell'offeso che in sua  assenza.  Ed  invero
per le frasi pronunciate dall'imputato  e  precisamente:  «coprofago,
parassita, cornuto, becco.. sei un coprofago, parassita  e  tutta  la
vita ti sara' un parassita.. sei un cacasotto, parassita,  pidocchio,
piattola»,  successivamente  sputandogli  addosso,  la  condotta   e'
penalmente lecita (perche' posta in essere in presenza  dell'offeso);
mentre per  l'utilizzo  della  parola  «parassita»  (riportata  nella
lettera in assenza dell'offeso), la condotta e' penalmente illecita. 
    Appare dunque contrastante con l'art.  3  della  Costituzione  il
ritenere contemporaneamente una  medesima  condotta  come  penalmente
lecita (quella punita dall'art. 594 codice penale)  e  come  illecita
(quella punita dall'art. 595 codice penale). 
    3.3 - Un terzo aspetto inerente la non manifesta infondatezza  si
riscontra sotto un ulteriore profilo. Esaminando l'ipotesi  aggravata
di cui al comma 4 dell'art. 594 codice penale che disponeva: «Le pene
sono aumentate qualora l'offesa  sia  commessa  in  presenza di  piu'
persone», si  comprende  la  disparita'  di  trattamento  voluta  dal
legislatore ordinario attraverso l'abrogazione integrale del reato di
ingiurie e mantenendo pero' il reato di diffamazione. 
    La scelta di perseguire un fatto «comunicando con  piu'  persone»
in assenza dell'offeso (diffamazione) e di  non  punire  il  medesimo
fatto «Commesso in presenza  di  piu'  persone»  quindi  in  presenza
dell'offeso  (ingiuria),  appare  inugionevole,  discriminante  e  in
violazione dell'art. 3 della Costituzione. 
    Basti pensare che rimane reato una lettera di lamentele inviata a
Tizio e Caio sulle qualita' di Sempronio, mentre non e' piu'  ipotesi
di reato la lesione dell'onore e della dignita' di  una  persona  che
viene offesa e ingiuriata pubblicamente, in  un  convegno  o  in  una
trasmissione televisiva, perche' le piu' turpi,  offensive  e  lesive
frasi ingiuriose in  presenza  della  persona  offesa  sono  divenute
penalmente lecite. 
    Anche sotto  quest'ultimo  profilo  il  remittente  dubita  della
legittimita' costituzionale  delle  norme  abrogative  del  reato  di
ingiuria in quanto vi e' una intrinseca irragionevolezza nella  norma
oggetto di scrutinio di  costituzionalita'  perche'  tratta  in  modo
difforme  fattispecie  che  hanno  ad  oggetto   l'identico   diritto
fondamentale costituzionalmente tutelato, andando cosi' a  ledere  il
principio di uguaglianza espresso dall'art. 3 della Costituzione. 
    Alla luce delle  ragioni  sopra  esposte  il  giudice  rimettente
ritiene di non poter prescindere dall'applicazione al caso di  specie
delle norme abrogative in  oggetto  che  si  ritiene  debbano  essere
sottoposte al vaglio di costituzionalita'. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Giudice di pace di Venezia., letto l'art. 23, legge  11  marzo
1953, n. 87, 
    ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 3°, della legge n.  67
del 28 aprile 2014 e dell'art. 1, lettera c), del decreto legislativo
n. 7 del 15 gennaio 2016, nella parte in cui dispongono l'abrogazione
dell'art. 594 codice penale per violazione degli articoli 2, 3, 10  e
117 della Costituzione, per la violazione dell'art. 1 della Carta dei
Diritti Fondamentali dell'Unione europea e per  la  violazione  degli
articoli 8 e 10 della Convenzione europea sui diritti dell'Uomo; 
    dispone la sospensione del presente giudizio; 
    da' atto  che  della  presente  ordinanza  e'  data  lettura  nel
pubblico dibattimento  alla  presenza  del  pubblico  ministero,  dei
difensori delle parti  processuali,  dell'imputato  e  della  persona
offesa parte civile, personalmente presenti; 
    ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
    ordina che a cura della Cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e  comunicata  ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento; 
      Venezia, 16 ottobre 2018 
 
                     Il Giudice di Pace: Pertile