N. 24 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 ottobre 2018
Ordinanza del 12 ottobre 2018 del Tribunale di Civitavecchia nel procedimento penale a carico di T. A.. Reati e pene - Introduzione dell'art. 570-bis del codice penale (Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio) - Omessa previsione dell'applicabilita' della nuova disposizione anche al genitore che violi gli obblighi di natura economica disposti nei procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio. - Decreto legislativo 1° marzo 2018, n. 21 (Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell'articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103), art. 2, comma 1, lettera c) [, introduttivo dell'art. 570-bis del codice penale].(GU n.8 del 20-2-2019 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI CIVITAVECCHIA SEZIONE PENALE Ordinanza (art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87) Il tribunale, in composizione monocratica, in persona del giudice dott.ssa Guia Carlomagno, letti gli atti del procedimento penale n. 1605/12 R.G.n.r. n. 149/16 R.G.Dib., instaurato a carico di T. A., nato a Roma il ......, in ordine al reato di cui all'art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, osserva quanto segue. Premesso in fatto 1. Con decreto emesso dal pubblico ministero il 17 giugno 2015, T. A. e' stato citato a giudizio innanzi al Tribunale di Civitavecchia in composizione monocratica per rispondere del delitto di cui all'art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, per essersi sottratto, dal mese di settembre dell'anno 2009 al 28 febbraio 2017, all'obbligo economico (di versamento della somma di € 250,00 mensili, oltre all'importo, una tantum, di € 6.000,00 a titolo di rimborso parziale delle spese sostenute dalla nascita) imposto a suo carico dal Tribunale per i minorenni di Roma per la contribuzione al mantenimento della figlia minore, V. G., nata da una relazione extraconiugale con la denunciante V. C. (imputazione cosi' da ultimo modificata all'udienza del 4 luglio 2018). Esaurita l'istruttoria dibattimentale, il procedimento e' stato rinviato per la discussione. Nelle more del giudizio, e' intervenuto - in attuazione della delega prevista dall'art. 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103 - il decreto legislativo 1° marzo 2018, n. 21 (recante «Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell'art. 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103»), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 68 del 22 marzo 2018, che ha abrogato l'art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, cosi' come l'art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898, da quella disposizione richiamato, e ha contestualmente introdotto nel codice penale l'art. 570-bis codice penale, rubricato «Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio», espressamente applicabile solo al «coniuge» che si sottragga all'obbligo di corresponsione dell'assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullita' del matrimonio oppure violi gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli. Considerato in diritto 1. Con l'introduzione della norma di cui all'art. 570-bis codice penale e la contestuale abrogazione dell'art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, il decreto legislativo l° marzo 2018, n. 21, ha determinato una contrazione dell'area del penalmente rilevante nell'ambito delle violazioni degli obblighi di assistenza familiare, comportando una parziale abolitio criminis in relazione alle condotte omissive realizzate in pregiudizio dei figli (minorenni o maggiorenni non autosufficienti) nati fuori dal matrimonio, cosi' eccedendo i limiti posti dalla legge di delega, che aveva assegnato all'esecutivo il compito, meramente riorganizzativo e non innovativo, di attuare il principio della riserva di codice nella materia penale «attraverso l'inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore che abbiano a diretto oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale» (art. 1, comma 85, lettera q) della legge 23 giugno 2017, n. 103). Tanto induce il tribunale a sollevare d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera c) del decreto legislativo 1° marzo 2018, n. 21, nella parte in cui non prevede che le pene indicate dall'art. 570-bis codice penale, mediante rinvio all'art. 570 codice penale, si applichino anche al genitore, non coniugato, che violi gli obblighi di natura economica disposti nell'ambito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio, in riferimento agli artt. 25, comma 2, e 76 della Costituzione, in quanto adottato in assenza di una delega parlamentare che autorizzasse il Governo ad operare scelte di politica criminale, innovando l'ordinamento penale con la sottrazione alla sanzione penale di una condotta che in precedenza vi era soggetta. 2. L'art. 570-bis codice penale riproduce, benche' non in modo letterale, le previgenti disposizioni contenute all'art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e all'art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, norme che, conseguentemente, sono state espressamente abrogate dall'art. 7, comma 1, lettere b) e o) del decreto legislativo 1° marzo 2018, n. 21. Il raffronto tra l'attuale art. 570-bis codice penale e le disposizioni caducate palesa, tuttavia, come il legislatore delegato non si sia limitato a traslare le norme incriminatrici in un diverso contesto ordinamentale ma abbia operato una selezione tra le condotte in precedenza soggette a sanzione penale. La fattispecie di nuovo conio, infatti, si pone in termici di parziale discontinuita' rispetto alla previgente normativa extracodicistica in tema di violazione degli obblighi di assistenza materiale nei confronti dei figli, nella parte in cui non contempla tra le condotte penalmente rilevanti anche le inadempienze agli obblighi di natura economica imposti dal giudice civile nell'ipotesi di genitori non legati da rapporto di coniugio, condotte che, per contro, la prevalente e condivisibile giurisprudenza di legittimita' riteneva idonee ad integrare l'elemento materiale del delitto di cui all'art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54. Fulcro del previgente quadro normativa era l'art 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898, che puniva, rinviando quoad poenam all'art. 570 codice penale, la condotta del coniuge che, in caso di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, si sottraesse all'obbligo di corresponsione dell'assegno stabilito in sede giudiziale in favore dell'altro coniuge e/o dei figli. Con la legge 8 febbraio 2006, n. 54, che ha rimodulato la disciplina dell'affidamento dei figli minori in caso di separazione dei genitori, dettando disposizioni anche in tema di mantenimento della prole, la tutela penale offerta dall'art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970 e' stata estesa alle ipotesi di inadempimento degli obblighi di natura economica stabiliti in sede di separazione per il mantenimento dei figli, minorenni o maggiorenni, ove non autosufficienti. Il successivo art. 4 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, tuttora vigente, dispone che le previsioni della legge 8 febbraio 2006, n. 54 «si applic[hi]no anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullita' del matrimonio, nonche' ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati». Nell'interpretazione del combinato disposto delle norme di cui agli artt 3 e 4 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, si e' posto il dubbio in merito alla riferibilita' della previsione contenuta nell'art. 4 alla sola disciplina civilistica in tema di regolamentazione dei rapporti tra genitori e figlio oppure anche alla tutela penale degli obblighi economici introdotta dall'art. 3: dubbio che e' stato in quest'ultimo senso risolto dal maggioritario orientamento della giurisprudenza di legittimita'. E' rimasto, invero, isolato il primo arresto della Corte di cassazione sul tema, che, facendo leva sulla lettera dell'art. 4 cit., ha circoscritto l'ambito di applicabilita' del reato di omesso versamento dell'assegno periodico previsto dell'art. 12-sexies legge 1° dicembre 1970, n. 898 (richiamato dall'art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54) ai casi di separazione dei genitori coniugati, ovvero di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullita' del matrimonio, ritenendo, per contro, applicabile il solo reato di cui all'art. 570, comma secondo, n. 2, codice penale per l'ipotesi di violazione degli obblighi di natura economica derivanti dalla cessazione del rapporto di convivenza (sez. 6, sentenza n. 2666 del 7 dicembre 2016, rv. 268968). Secondo l'esegesi prospettata nella richiamata pronuncia, con il ricorso alla locuzione «in caso di» solo con riguardo alle ipotesi di scioglimento, cessazione degli effetti civili e nullita' del matrimonio e non anche in relazione al caso di genitori non coniugati, il legislatore avrebbe inteso operare una distinzione tra le due classi di ipotesi, al fine di circoscrivere la portata estensiva dell'art. 4 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, nel caso di figli naturali, ai soli procedimenti civili indicati dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54 all'art. 2 e non anche alla previsione, attinente al diritto penale sostanziale, di cui all'art. 3. In senso contrario, si registrano tre successivi arresti della Suprema corte, che espressamente hanno preso le distanze dalla pronuncia ora richiamata, sposando un'ermeneusi che, pienamente compatibile con la lettera delle norme e maggiormente aderente all'evoluzione del complessivo tessuto normativo in tema di filiazione e responsabilita' genitoriale (si vedano, in particolare, gli artt. 337-bis e ss. codice civile, introdotti dall'art. 55, comma 1, decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, che hanno improntato la regolamentazione dei rapporti civilistici tra genitori e figli a una assoluta parita' di trattamento), appare costituzionalmente imposta, in quanto, a differenza dell'opposta tesi, consente una piena parificazione della tutela penale apprestata dall'ordinamento ai figli legittimi e naturali, in ossequio ai principi sanciti dall'art. 3 della Costituzione e, per quanto attiene specificamente all'assistenza materiale dei figli nati fuori dal matrimonio, dall'art. 30, comma 1, della Costituzione. Si e', dunque, evidenziato, in tale condivisibile prospettiva, anzitutto, come la lettera dell'art. 4 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, non imponga la lettura restrittiva proposta, potendo essere piu' semplicemente ricondotto alla difficolta' del legislatore di individuare una diversa locuzione per l'ipotesi di genitori non coniugati. Non a caso, la medesima espressione ricorre sia nella rubrica del capo II del libro IX del codice civile (relativo all'«Esercizio della responsabilita' genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullita' del matrimonio ovvero all'esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio») che nel testo dell'art. 337-bis codice civile, che ne definisce l'ambito di applicazione. Deve, dunque, ritenersi che il rinvio operato dall'art. 4 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, riguardi, indistintamente, tutte le norme della legge, ivi compresa quella, di natura penale, di cui all'art. 3. In secondo luogo, depone nel senso dell'applicabilita' dell'art. 3 cit. anche alle omissioni di natura economica in pregiudizio dei figli naturali l'interpretazione sistematica della norma de qua, che induce a ritenere priva di giustificazione e confliggente con la tendenza perequativa sviluppatasi in ambito civile la disparita' di trattamento che si verificherebbe laddove i figli nati fuori dal matrimonio godessero solo della minore tutela penale garantita dall'art. 570 codice penale (e, per converso, i genitori coniugati fossero soggetti al deteriore trattamento penale di cui all'art. 3 cit.). In proposito, si e' osservato come, mentre la fattispecie prevista dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54, si concretizza per effetto del mero colpevole inadempimento agli obblighi economici stabiliti in sede civile, l'art. 570 codice penale e' ancorato a piu' stringenti presupposti, richiedendo, oltre alla condotta omissiva, anche lo stato di bisogno dell'avente diritto e la dimostrazione del venir meno dei mezzi di sussistenza di quest'ultimo, quale effetto dell'omissione (sez. 6, sentenza n. 25267 del 6 aprile 2017, rv. 270030). Con un successivo arresto, in dichiarata continuita' con tale ultima decisione, la Corte di cassazione ha richiamato l'inquadramento operato dalle sezioni unite con la pronuncia n. 23866 del 31 gennaio 2013, che, nel dirimere il contrasto insorto in merito alla riferibilita' del rinvio quoad poenam operato dall'art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898, al primo oppure al secondo comma dell'art. 570 codice penale, ha ricondotto l'art. 12-sexies cit. alla tutela penale apprestata dall'art. 570, comma 1, codice penale, ove a venire in rilievo e' la violazione degli obblighi di assistenza - non solo morale ma anche - materiale che gravano sul genitore e che, previsti dalle norme del codice civile, sono destinati a valere non solo per i genitori separati, divorziati o il cui vincolo matrimoniale sia stato oggetto di annullamento, ma anche per i genitori non coniugati (sez. U, sentenza n. 23866 del 31 gennaio 2013, pp. 10-11). Ha ritenuto, dunque, consequenziale alla ricostruzione sistematica offerta dalle sezioni unite l'affermazione per cui «le norme del codice civile (oggi l'art. 337-bis e ss. codice civile, come richiamati dall'art. 155 codice civile) ed i doveri ivi richiamati integrano il precetto penale dando contenuto agli obblighi di assistenza in questo menzionati per un meccanismo la cui applicabilita' viene espressamente estesa per le disposizioni finali contenute nell'art. 4, comma 2, legge n. 54 del 2006, anche ai figli di genitori non coniugati» (sez. 6, sentenza n. 12393 del 31 gennaio 2018, pp. 3-4, ove si richiama, altresi', sez. 6, sentenza n. 36263 del 22 settembre 2011 che, seppur incidentalmente, aveva gia' lambito la questione, prendendo posizione nel senso dell'estensione della tutela ai figli naturali, reputando applicabile l'art. 3 della legge 8 febbraio 2006 n. 54 in caso di figli di genitori divorziati, separati o «non coniugati affatto»). L'interpretazione propugnata consente di ricondurre a coerenza il sistema della tutela penale prevista per le omissioni degli obblighi di natura materiale commesse dai genitori nei riguardi dei figli, operando un'unica distinzione tra la categoria dei figli di genitori non coniugati, separati, divorziati o il cui vincolo sia stato annullato, da un lato, e quella dei figli dei genitori che si trovino in costanza di matrimonio, dall'altro. La piu' avanzata tutela indistintamente apprestata ai primi trova, infatti, ragionevole fondamento nella condizione di maggiore debolezza del soggetto passivo derivante dall'assenza originaria o sopravvenuta - del vincolo coniugale (sez. 6, sentenza n. 12393 del 31 gennaio 2018) Da ultimo, si e' ulteriormente evidenziato come l'applicabilita' della fattispecie di cui all'art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, anche in caso di omesso versamento da parte del genitore dell'assegno periodico disposto in favore dei figli in assenza di vincolo coniugale sia imposta da una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, alla luce del principio di eguaglianza di trattamento sancito dagli artt. 3 e 30 della Costituzione, anche in relazione ai risvolti civilistici della vicenda penale, discendendo dalla sussistenza di un fatto di reato la responsabilita' per danni non patrimoniali, diversamente da quanto previsto in termini generali per l'illecito civile, ai sensi degli artt. 185 codice penale e 2059 codice civile (sez. 6, sentenza n. 14731 del 22 febbraio 2018). In definitiva, sulla scorta del maggioritario orientamento della giurisprudenza di legittimita', puo' affermarsi l'inclusione, nell'alveo delle condotte penalmente sanzionate dall'art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, della inadempienza alle obbligazioni patrimoniali stabilite in sede giudiziale a carico del genitore in favore del figlio naturale. 3. Rispetto alla fattispecie previgente, l'art. 570-bis codice penale si differenzia per l'assenza di riferimenti, anche impliciti, alla disciplina dei rapporti patrimoniali tra figli e genitori non coniugati. Risulta anche eliso, per effetto dell'abrogazione dell'art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, il collegamento con la disposizione di cui al successivo art. 4 della stessa legge, che consentiva, come sopra evidenziato, l'estensione della tutela penale anche all'ipotesi di figli naturali. Nell'operazione di traslazione delle norme di cui agli artt. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898 e 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 34, dalla legislazione speciale al tessuto codicistico, il decreto legislativo 1° marzo 2018, n. 21, ha, dunque, determinato una parziale abolitio criminis in relazione alla condotta del genitore non coniugato che ometta di versare l'assegno per il mantenimento del figlio stabilito a suo carico dal giudice civile, esorbitando dai limiti tracciati dalla legge di delegazione parlamentare. Come noto, la legge 23 giugno 2017, n. 103 (recante «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario», c.d. «riforma Orlando»), oltre ad operare cospicui interventi modificativi dell'ordinamento penale, sostanziale e processuale (art. 1, commi da 1 a 81), al comma 82 ha delegato il Governo «ad adottare decreti legislativi per la riforma della disciplina in materia di intercettazione di conversazioni o comunicazioni e di giudizi di impugnazione nel processo penale nonche' per la riforma dell'ordinamento penitenziario, secondo i principi e criteri direttivi previsti dai commi 84 e 85». Stabilite al successivo comma 83 le scansioni procedurali e temporali per l'adozione dei decreti delegati, i principi e i criteri direttivi per l'esercizio della delega sono stati fissati, rispettivamente, dal comma 84, per le modifiche incidenti sulla disciplina del processo penale, e dal comma 85, per i decreti legislativi «recanti modifiche all'ordinamento penitenziario». Tra i principi e criteri direttivi elencati dal citato comma 85, si legge, alla lettera q): «attuazione, sia pure tendenziale, del principio della riserva di codice nella materia penale, al fine di una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e quindi dell'effettivita' della funzione rieducativa della pena, presupposto indispensabile perche' l'intero ordinamento penitenziario sia pienamente conforme ai principi costituzionali, attraverso l'inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore che abbiano a diretto oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale, in particolare i valori della persona umana, e tra questi il principio di uguaglianza, di non discriminazione e di divieto assoluto di ogni forma di sfruttamento a fini di profitto della persona medesima, e i beni della salute, individuale e collettiva, della sicurezza pubblica e dell'ordine pubblico, della salubrita' e integrita' ambientale, dell'integrita' del territorio, della correttezza e trasparenza del sistema economico di mercato». A fronte del chiaro dettato della legge di delegazione parlamentare, e', dunque, da escludere che si sia con essa inteso attribuire all'esecutivo il potere di intervenire, modificandole, sulle scelte di criminalizzazione operate dal Parlamento. Tanto e' chiarito nella stessa relazione illustrativa del Governo allo schema di decreto legislativo recante «Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell'art. 1, comma 85, lettera g), della legge 23 giugno 2017, n. 103», ove si afferma, richiamando i lavori della Commissione istituita, con decreto del Ministero della giustizia del 3 maggio 2016, per l'elaborazione di una proposta attuativa della delega di recepimento del principio della c.d. «tendenziale riserva di codice in materia penale» che «il progetto prevede un "riordino" della materia penale, "ferme restando le scelte incriminatrici gia' operate dal Legislatore", cosi' da preservare la centralita' del codice penale secondo la gerarchia di interessi che la Costituzione delinea». E, ancora, si legge, che «in questo senso deve essere letta la delega nella parte in cui discorre di "inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore": tale dizione sembra, pertanto, escludere che l'attivita' delegata possa consistere in modifiche alle fattispecie criminose vigenti, contenute in contesti diversi dal codice penale». Quanto al tema di cui si tratta, la Relazione si limita a statuire -in apparente coerenza con le esposte premesse -che l'art. 570-bis codice penale, di nuova introduzione, "assorbe le previsioni di cui all'art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), a mente del quale: «Al coniuge che si sottrae all'obbligo di corresponsione dell'assegno dovuto a norma degli articoli 5 e 6 della presente legge si applicano le pene previste dall'art. 570 del codice penale», e di cui all'art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54 (Disposizioni in materia di separazione dei coniugi e affidamento condiviso dei figli), che a sua volta recita: «In caso di violazione degli obblighi di natura economica si applica l'art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898», chiosando che tale «modifica, da un lato, non incide sul regime di procedibilita' di ufficio, la cui corrispondenza a Costituzione e' stata comunque ripetutamente affermata dalla Corte costituzionale (da ultimo con sentenza n. 220 del 2015), dall'altro, contempla le ipotesi (gia' previste mediante rinvio agli articoli 5 e 6 della stessa legge) di scioglimento, cessazione degli effetti civili, nullita' del matrimonio oltre che quella dell'assegno dovuto ai figli nelle medesime evenienze». Eppure, per le ragioni dianzi rappresentate, il raffronto tra l'art. 570-bis codice penale e la norma derivante dal combinato disposto degli artt. 3 e 4 della legge 8 febbraio 2016, n. 54, appalesa come - in relazione alla condotta omissiva realizzata in pregiudizio dei figli naturali -il legislatore delegato abbia modificato - in senso restrittivo -la fattispecie criminosa vigente, esorbitando sul punto dai limiti imposti dalla legge di delega. 4. La questione di legittimita' costituzionale che si intende sollevare, nei termini sinora esposti, appare ammissibile, in relazione al principio della riserva di legge posto dall'art. 25, comma 2, della Costituzione, oltre che rilevante nel giudizio in corso. La disamina di tali profili involge il tema, ampiamente vagliato dalla giurisprudenza costituzionale, del sindacato sulle norme penale di favore e dell'invocabilita' di pronunce di illegittimita' costituzione con effetti in malam partem, cosi' definite per il deteriore trattamento che ne deriverebbe per la persona imputata. Quanto al profilo sostanziale di ammissibilita' di siffatte pronunce, si e' evidenziato come il principio della riserva di legge di cui all'art. 25, comma 2, della Costituzione, che demanda in via esclusiva al legislatore la selezione dei fatti da sottoporre a pena e l'individuazione delle sanzioni applicabili, impedisce alla Corte costituzionale di sindacare la conformita' a Costituzione di una norma penale quando ne consegua la creazione di nuove fattispecie criminose oppure l'estensione di fattispecie esistenti a casi non previsti o, ancora, l'inasprimento del trattamento sanzionatorio dei reati (Corte cost., sentenza n. 407 del 2007). Tuttavia, e' stata riconosciuta la sindacabilita' delle c.d. norme penali di favore, per tali dovendosi intendere le «norme che stabiliscano, per determinati soggetti o ipotesi, un trattamento penalistico piu' favorevole di quello che risulterebbe dall'applicazione di norme generali o comuni». Il principio di legalita', infatti, non preclude alla Corte costituzionale «decisioni ablative di norme che sottraggono determinati gruppi di soggetti o di condotte alla sfera applicativa di una norma comune o comunque piu' generale, accordando loro un trattamento piu' benevolo», poiche', in siffatte ipotesi, «la riserva al legislatore resta salva: l'effetto in malam partem non discende dall'introduzione di nuove norme o dalla manipolazione di norme esistenti da parte della Corte, la quale si limita a rimuovere la disposizione giudicata lesiva dei parametri costituzionali; esso rappresenta, invece, una conseguenza dell'automatica riespansione della norma generale o comune, dettata dallo stesso legislatore, al caso oggetto di una incostituzionale disciplina derogatoria» (Corte cost., sentenza n. 394 del 2006; in termini, sentenze nn. 324 del 2008, 57 del 2009, 28 del 2010, 273 del 2010, 46 del 2014). L'ammissibilita' di un sindacato di costituzionalita' in malam partem e' stata affermata dalla Corte costituzionale anche in relazione agli interventi normativi spieganti effetti favorevoli sull'ordinamento penale operati dall'esecutivo mediante lo strumento del decreto legislativo in violazione di quanto prescritto dalle legge di delegazione parlamentare. A tale proposito si e' evidenziato come sia proprio l'esigenza di salvaguardia del principio della riserva di legge in materia penale, di cui all'art. 25, comma 2, della Costituzione, a imporre l'adozione di pronunce di segno sfavorevole per la persona imputata, laddove una scelta di politica criminale sia stata effettuata dal Governo in assenza o al di fuori dei limiti di una valida delega legislativa. La verifica circa il corretto esercizio da parte dell'esecutivo della funzione legislativa delegata diventa, infatti, in tale evenienza, uno strumento di garanzia del rispetto del principio della riserva di legge in materia penale (Corte cost., sentenza n. 5 del 2014). Venendo, poi, al versante processuale del vaglio di ammissibilita', involgente il profilo della rilevanza nel giudizio pendente, si e' statuito, in via generale, che a rendere ammissibili le questioni incidentali e' sufficiente che la norma censurata sia applicabile in quel giudizio e, dunque, che la decisione della Corte sia idonea a determinare effetti nel processo d'origine, senza che rilevi il senso di tali effetti per le parti in causa (Corte cost., sentenze nn. 5 del 2014 e 46 del 2014). In altri termini, il principio di irretroattivita' sfavorevole, che trova fondamento nell'art. 25, comma 2, della Costituzione e ratio nell'esigenza di calcolabilita' delle conseguenze penali delle condotte individuali, quand'anche impedisca l'operativita' nel giudizio d'origine della norma comune o generale il cui ambito applicati,- o sia tornato ad ampliarsi per effetto della declaratoria di illegittimita' della norma di favore - non preclude il sindacato di costituzionalita' della norma di favore stessa. Preminente e', infatti, l'esigenza di sottoporre anche siffatte norme al sindacato della Corte costituzionale onde evitare di istituire «zone franche del tutto impreviste dalla Costituzione, all'interno delle quali la legislazione ordinaria diverrebbe incontrollabile» (Corte cost., sentenza n. 148 del 1983). Peraltro, le pronunce concernenti la legittimita' delle norme penali di favore potrebbero comunque, in ogni caso, influire nel giudizio a quo, incidendo sulla formula di proscioglimento (fondata sull'art. 2 codice penale anziche' sulla disposizione dichiarata incostituzionale), oppure spiegando effetti sistemici comunque rimessi al vaglio del giudice remittente o, ancora, determinando effetti diversi da valutare caso per caso in presenza di pronunce di interpretative di rigetto o correttive delle premesse esegetiche fondanti l'ordinanza di rimessione. Nell'ipotesi, poi, in cui il fatto oggetto di giudizio sia stato commesso - come nel caso sub iudice - sotto la vigenza della norma comune piu' severa, la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della norma di favore - sopravvenuta al fatto - impedisce che quest'ultima retroagisca, come accadrebbe in ossequio al principio di retroattivita' in mitius. Tale principio, invero, in quanto estraneo all'esigenza di garanzia della liberta' di autodeterminazione individuale, non trova copertura nell'art. 25, comma 2, della Costituzione, ma nel principio di eguaglianza, che impone la parificazione del trattamento penale di fatti identici nella loro materialita' (quand'anche diversamente «rimproverabil» sotto il profilo soggettivo). Si tratta, peraltro, di principio non inderogabile, ma suscettibile di deroghe, purche' sorrette da giustificazioni ragionevoli, e, in ogni caso, destinato a operare soltanto a condizione che la norma successiva piu' favorevole sia costituzionalmente legittima (Corte cost., sentenza 394 del 2006). A tale ultima ipotesi, come anticipato, e' riconducibile la vicenda sottoposta allo scrutinio di questo decidente, atteso che la condotta contestata all'imputato sarebbe stata interamente commessa sotto la vigenza dell'art. 3 della legge 8 febbraio del 2006 n. 54 (segnatamente, dal mese di settembre dell'anno 2009 al 28 febbraio 2017). Tale disposizione, per quanto in precedenza argomentato, si pone in piena continuita' normativa con il vigente art. 570-bis codice penale, con la sola eccezione del profilo che forma oggetto della presente questione di legittimita'. Sicche', laddove la questione fosse accolta, tornerebbe a rivivere, e ad applicarsi nel presente procedimento, la medesima norma penale oggetto della contestazione formulata dal pubblico ministero, immutata nel suo contenuto, a fronte di una meta variazione di sedes materiae, operata in ossequio al principio della riserva di codice introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103.
P. Q. M. Visti l'art. 134 della Costituzione, l'art. 1 della legge 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, Dichiara d'ufficio ammissibile, rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera c) del decreto legislativo 1° marzo 2018, n. 21, nella parte in cui non prevede che l'art. 570-bis codice penale si applica anche al genitore che violi gli obblighi di natura economica disposti nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio, per contrarieta' agli artt. 76 e 25, comma 2, della Costituzione, per eccesso di delega e violazione del principio della riserva di legge in materia penale; Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza, di cui viene data lettura in udienza alla presenza delle parti, sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Civitavecchia, 12 ottobre 2018 Il Giudice: Carlomagno