N. 24 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 ottobre 2018

Ordinanza del 12 ottobre 2018  del  Tribunale  di  Civitavecchia  nel
procedimento penale a carico di T. A.. 
 
Reati e pene -  Introduzione  dell'art.  570-bis  del  codice  penale
  (Violazione degli obblighi  di  assistenza  familiare  in  caso  di
  separazione o di scioglimento del matrimonio) -  Omessa  previsione
  dell'applicabilita' della nuova disposizione anche al genitore  che
  violi gli obblighi di natura economica  disposti  nei  procedimenti
  relativi ai figli nati fuori dal matrimonio. 
- Decreto  legislativo  1°  marzo  2018,  n.  21   (Disposizioni   di
  attuazione del principio di delega della riserva  di  codice  nella
  materia penale a norma dell'articolo 1, comma 85, lettera q), della
  legge 23 giugno 2017, n. 103), art.  2,  comma  1,  lettera  c)  [,
  introduttivo dell'art. 570-bis del codice penale]. 
(GU n.8 del 20-2-2019 )
 
                 TRIBUNALE ORDINARIO DI CIVITAVECCHIA 
                           SEZIONE PENALE 
           Ordinanza (art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87) 
 
     Il  tribunale,  in  composizione  monocratica,  in  persona  del
giudice dott.ssa Guia Carlomagno, letti  gli  atti  del  procedimento
penale n. 1605/12 R.G.n.r. n. 149/16 R.G.Dib., instaurato a carico di
T. A., nato a Roma il ......, in ordine al reato di  cui  all'art.  3
della legge 8 febbraio 2006, n. 54, osserva quanto segue. 
 
                          Premesso in fatto 
 
    1. Con decreto emesso dal pubblico ministero il 17  giugno  2015,
T.  A.  e'  stato  citato  a  giudizio  innanzi   al   Tribunale   di
Civitavecchia in composizione monocratica per rispondere del  delitto
di cui all'art. 3 della legge 8 febbraio 2006,  n.  54,  per  essersi
sottratto, dal mese di settembre dell'anno 2009 al 28 febbraio  2017,
all'obbligo economico (di versamento della somma di € 250,00 mensili,
oltre all'importo, una tantum, di € 6.000,00  a  titolo  di  rimborso
parziale delle spese sostenute dalla nascita) imposto  a  suo  carico
dal Tribunale per  i  minorenni  di  Roma  per  la  contribuzione  al
mantenimento della figlia  minore,  V.  G.,  nata  da  una  relazione
extraconiugale con la denunciante V. C. (imputazione cosi' da  ultimo
modificata all'udienza del 4 luglio 2018). 
    Esaurita l'istruttoria dibattimentale, il procedimento  e'  stato
rinviato per la discussione. 
    Nelle more del giudizio, e' intervenuto  -  in  attuazione  della
delega prevista dall'art. 1, comma 85, lettera  q),  della  legge  23
giugno 2017, n. 103 - il decreto legislativo 1°  marzo  2018,  n.  21
(recante «Disposizioni di attuazione del principio  di  delega  della
riserva di codice nella materia penale a norma dell'art. 1, comma 85,
lettera q), della legge 23 giugno 2017, n.  103»),  pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale n. 68 del 22 marzo 2018, che ha abrogato l'art.  3
della legge 8 febbraio 2006, n. 54, cosi' come l'art. 12-sexies della
legge 1° dicembre 1970, n. 898, da quella disposizione richiamato,  e
ha contestualmente introdotto nel codice penale l'art. 570-bis codice
penale, rubricato «Violazione degli obblighi di assistenza  familiare
in  caso  di  separazione  o   di   scioglimento   del   matrimonio»,
espressamente  applicabile  solo  al  «coniuge»  che   si   sottragga
all'obbligo  di  corresponsione  dell'assegno  dovuto  in   caso   di
scioglimento, di cessazione degli effetti civili o  di  nullita'  del
matrimonio oppure violi gli obblighi di natura economica  in  materia
di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. Con l'introduzione della norma di cui all'art. 570-bis  codice
penale e  la  contestuale  abrogazione  dell'art.  3  della  legge  8
febbraio 2006, n. 54, il decreto legislativo l° marzo 2018, n. 21, ha
determinato  una  contrazione  dell'area  del  penalmente   rilevante
nell'ambito delle violazioni degli obblighi di assistenza  familiare,
comportando una parziale abolitio criminis in relazione alle condotte
omissive realizzate in pregiudizio dei figli (minorenni o maggiorenni
non autosufficienti) nati fuori dal  matrimonio,  cosi'  eccedendo  i
limiti posti dalla legge di delega, che aveva assegnato all'esecutivo
il compito, meramente riorganizzativo e non innovativo, di attuare il
principio della riserva di codice nella  materia  penale  «attraverso
l'inserimento nel codice penale di  tutte  le  fattispecie  criminose
previste da disposizioni di legge in vigore  che  abbiano  a  diretto
oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale»  (art.  1,  comma
85, lettera q) della legge 23 giugno 2017, n. 103). 
    Tanto induce il tribunale  a  sollevare  d'ufficio  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 2,  comma  1,  lettera  c)  del
decreto legislativo 1° marzo 2018, n. 21,  nella  parte  in  cui  non
prevede  che  le  pene  indicate  dall'art.  570-bis  codice  penale,
mediante rinvio all'art. 570 codice penale, si  applichino  anche  al
genitore, non coniugato, che violi gli obblighi di  natura  economica
disposti nell'ambito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del
matrimonio, in riferimento  agli  artt.  25,  comma  2,  e  76  della
Costituzione,  in  quanto  adottato  in   assenza   di   una   delega
parlamentare  che  autorizzasse  il  Governo  ad  operare  scelte  di
politica criminale, innovando l'ordinamento penale con la sottrazione
alla sanzione penale  di  una  condotta  che  in  precedenza  vi  era
soggetta. 
    2. L'art. 570-bis codice penale riproduce, benche'  non  in  modo
letterale, le previgenti disposizioni  contenute  all'art.  12-sexies
della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e  all'art.  3  della  legge  8
febbraio  2006,  n.  54,  norme  che,  conseguentemente,  sono  state
espressamente abrogate dall'art. 7, comma 1,  lettere  b)  e  o)  del
decreto legislativo 1° marzo 2018, n. 21. 
    Il raffronto tra  l'attuale  art.  570-bis  codice  penale  e  le
disposizioni caducate palesa, tuttavia, come il legislatore  delegato
non si sia limitato a traslare le norme incriminatrici in un  diverso
contesto ordinamentale ma abbia operato una selezione tra le condotte
in precedenza soggette a sanzione penale.  La  fattispecie  di  nuovo
conio,  infatti,  si  pone  in  termici  di  parziale  discontinuita'
rispetto  alla  previgente  normativa  extracodicistica  in  tema  di
violazione degli obblighi di assistenza materiale nei  confronti  dei
figli, nella parte in cui non contempla tra  le  condotte  penalmente
rilevanti anche le inadempienze agli  obblighi  di  natura  economica
imposti dal giudice civile nell'ipotesi di  genitori  non  legati  da
rapporto di coniugio, condotte  che,  per  contro,  la  prevalente  e
condivisibile  giurisprudenza  di  legittimita'  riteneva  idonee  ad
integrare l'elemento materiale del delitto di cui  all'art.  3  della
legge 8 febbraio 2006, n. 54. 
    Fulcro del previgente quadro normativa era l'art 12-sexies  della
legge 1° dicembre 1970, n. 898, che puniva,  rinviando  quoad  poenam
all'art. 570 codice penale, la condotta del coniuge che, in  caso  di
scioglimento o cessazione degli effetti  civili  del  matrimonio,  si
sottraesse all'obbligo di corresponsione  dell'assegno  stabilito  in
sede giudiziale in favore dell'altro coniuge e/o dei  figli.  Con  la
legge 8 febbraio  2006,  n.  54,  che  ha  rimodulato  la  disciplina
dell'affidamento  dei  figli  minori  in  caso  di  separazione   dei
genitori, dettando disposizioni anche in tema di  mantenimento  della
prole, la tutela penale offerta dall'art. 12-sexies  della  legge  1°
dicembre 1970 e' stata estesa alle  ipotesi  di  inadempimento  degli
obblighi di natura economica stabiliti in sede di separazione per  il
mantenimento  dei   figli,   minorenni   o   maggiorenni,   ove   non
autosufficienti. 
    Il successivo art. 4 della legge 8 febbraio 2006, n. 54,  tuttora
vigente, dispone che le previsioni della legge 8 febbraio 2006, n. 54
«si applic[hi]no anche in caso di scioglimento, di  cessazione  degli
effetti civili o di nullita' del matrimonio, nonche' ai  procedimenti
relativi ai figli di genitori non coniugati». 
    Nell'interpretazione del combinato disposto delle  norme  di  cui
agli artt 3 e 4 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, si  e'  posto  il
dubbio  in  merito  alla  riferibilita'  della  previsione  contenuta
nell'art.  4  alla   sola   disciplina   civilistica   in   tema   di
regolamentazione dei rapporti tra genitori e figlio oppure anche alla
tutela penale degli obblighi economici introdotta dall'art. 3: dubbio
che  e'  stato  in  quest'ultimo  senso  risolto  dal   maggioritario
orientamento della giurisprudenza di legittimita'. 
    E' rimasto, invero, isolato  il  primo  arresto  della  Corte  di
cassazione sul tema, che, facendo  leva  sulla  lettera  dell'art.  4
cit., ha circoscritto l'ambito di applicabilita' del reato di  omesso
versamento dell'assegno periodico previsto dell'art. 12-sexies  legge
1° dicembre 1970, n.  898  (richiamato  dall'art.  3  della  legge  8
febbraio 2006, n. 54) ai casi di separazione dei genitori  coniugati,
ovvero di scioglimento, di  cessazione  degli  effetti  civili  o  di
nullita' del matrimonio, ritenendo, per contro, applicabile  il  solo
reato di cui all'art. 570, comma secondo, n.  2,  codice  penale  per
l'ipotesi di violazione degli obblighi di natura economica  derivanti
dalla cessazione del rapporto di convivenza (sez. 6, sentenza n. 2666
del 7 dicembre 2016, rv. 268968). 
    Secondo l'esegesi prospettata nella richiamata pronuncia, con  il
ricorso alla locuzione «in caso di» solo con riguardo alle ipotesi di
scioglimento,  cessazione  degli  effetti   civili e   nullita'   del
matrimonio  e  non  anche  in  relazione  al  caso  di  genitori  non
coniugati, il legislatore avrebbe inteso operare una distinzione  tra
le due classi  di  ipotesi,  al  fine  di  circoscrivere  la  portata
estensiva dell'art. 4 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, nel caso di
figli naturali, ai soli procedimenti civili indicati  dalla  legge  8
febbraio 2006,  n.  54  all'art.  2  e  non  anche  alla  previsione,
attinente al diritto penale sostanziale, di cui all'art. 3. 
    In senso contrario, si registrano tre  successivi  arresti  della
Suprema corte,  che  espressamente  hanno  preso  le  distanze  dalla
pronuncia  ora  richiamata,  sposando  un'ermeneusi  che,  pienamente
compatibile con  la  lettera  delle  norme  e  maggiormente  aderente
all'evoluzione  del  complessivo  tessuto  normativo   in   tema   di
filiazione e responsabilita' genitoriale (si vedano, in  particolare,
gli artt. 337-bis e ss. codice civile, introdotti dall'art. 55, comma
1, decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, che hanno improntato
la regolamentazione dei rapporti civilistici tra genitori e  figli  a
una  assoluta  parita'  di  trattamento),  appare  costituzionalmente
imposta, in quanto, a  differenza  dell'opposta  tesi,  consente  una
piena parificazione della tutela penale  apprestata  dall'ordinamento
ai figli legittimi  e  naturali,  in  ossequio  ai  principi  sanciti
dall'art. 3 della Costituzione e, per quanto  attiene  specificamente
all'assistenza  materiale  dei  figli  nati  fuori  dal   matrimonio,
dall'art. 30, comma 1, della Costituzione. 
    Si e', dunque, evidenziato, in  tale  condivisibile  prospettiva,
anzitutto, come la lettera dell'art. 4 della legge 8  febbraio  2006,
n. 54, non imponga la lettura restrittiva  proposta,  potendo  essere
piu' semplicemente ricondotto alla  difficolta'  del  legislatore  di
individuare una diversa  locuzione  per  l'ipotesi  di  genitori  non
coniugati. Non a caso, la  medesima  espressione  ricorre  sia  nella
rubrica del  capo  II  del  libro  IX  del  codice  civile  (relativo
all'«Esercizio  della  responsabilita'  genitoriale  a   seguito   di
separazione,   scioglimento,   cessazione   degli   effetti   civili,
annullamento,   nullita'   del   matrimonio   ovvero   all'esito   di
procedimenti relativi ai figli nati fuori del  matrimonio»)  che  nel
testo dell'art. 337-bis codice civile, che ne definisce  l'ambito  di
applicazione. Deve, dunque, ritenersi che il rinvio operato dall'art.
4 della legge 8 febbraio  2006,  n.  54,  riguardi,  indistintamente,
tutte le norme della legge, ivi compresa quella, di natura penale, di
cui   all'art.   3.   In   secondo   luogo,    depone    nel    senso
dell'applicabilita' dell'art. 3 cit. anche alle omissioni  di  natura
economica  in  pregiudizio  dei  figli   naturali   l'interpretazione
sistematica della norma de  qua,  che  induce  a  ritenere  priva  di
giustificazione  e   confliggente   con   la   tendenza   perequativa
sviluppatasi in ambito civile la disparita'  di  trattamento  che  si
verificherebbe laddove i figli nati fuori  dal  matrimonio  godessero
solo della minore tutela penale garantita dall'art. 570 codice penale
(e, per converso, i genitori coniugati fossero soggetti al  deteriore
trattamento penale di cui all'art.  3  cit.).  In  proposito,  si  e'
osservato come, mentre la fattispecie prevista dalla legge 8 febbraio
2006,  n.  54,  si  concretizza  per  effetto  del   mero   colpevole
inadempimento agli  obblighi  economici  stabiliti  in  sede  civile,
l'art. 570 codice penale e' ancorato a piu'  stringenti  presupposti,
richiedendo, oltre alla condotta omissiva, anche lo stato di  bisogno
dell'avente diritto e la dimostrazione del venir meno  dei  mezzi  di
sussistenza di quest'ultimo, quale effetto  dell'omissione  (sez.  6,
sentenza n. 25267 del 6 aprile 2017, rv. 270030). 
    Con un successivo arresto, in  dichiarata  continuita'  con  tale
ultima   decisione,   la   Corte   di   cassazione   ha    richiamato
l'inquadramento operato dalle sezioni unite con la pronuncia n. 23866
del 31 gennaio 2013, che, nel dirimere il contrasto insorto in merito
alla  riferibilita'  del  rinvio  quoad  poenam   operato   dall'art.
12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898, al  primo  oppure  al
secondo comma dell'art.  570  codice  penale,  ha  ricondotto  l'art.
12-sexies cit. alla tutela penale apprestata dall'art. 570, comma  1,
codice penale, ove  a  venire  in  rilievo  e'  la  violazione  degli
obblighi di assistenza - non solo morale ma  anche  -  materiale  che
gravano sul genitore e che, previsti dalle norme del  codice  civile,
sono destinati a valere non solo per i genitori separati,  divorziati
o il cui vincolo matrimoniale sia stato oggetto di  annullamento,  ma
anche per i genitori non coniugati (sez. U, sentenza n. 23866 del  31
gennaio 2013, pp. 10-11). Ha ritenuto,  dunque,  consequenziale  alla
ricostruzione sistematica offerta dalle sezioni unite  l'affermazione
per cui «le norme del codice civile (oggi l'art. 337-bis e ss. codice
civile, come richiamati dall'art. 155 codice civile) ed i doveri  ivi
richiamati integrano il precetto penale dando contenuto agli obblighi
di  assistenza  in  questo  menzionati  per  un  meccanismo  la   cui
applicabilita' viene espressamente estesa per le disposizioni  finali
contenute nell'art. 4, comma 2, legge n. 54 del 2006, anche ai  figli
di genitori non coniugati» (sez. 6, sentenza n. 12393 del 31  gennaio
2018, pp. 3-4, ove si richiama, altresi', sez. 6, sentenza  n.  36263
del 22 settembre 2011 che, seppur incidentalmente, aveva gia' lambito
la questione, prendendo posizione  nel  senso  dell'estensione  della
tutela ai figli naturali, reputando applicabile l'art. 3 della  legge
8 febbraio 2006 n. 54  in  caso  di  figli  di  genitori  divorziati,
separati o «non coniugati affatto»). 
    L'interpretazione propugnata consente di ricondurre a coerenza il
sistema della tutela penale prevista per le omissioni degli  obblighi
di natura materiale commesse dai genitori  nei  riguardi  dei  figli,
operando un'unica distinzione tra la categoria dei figli di  genitori
non coniugati, separati,  divorziati  o  il  cui  vincolo  sia  stato
annullato, da un lato, e quella dei figli dei genitori che si trovino
in costanza  di  matrimonio,  dall'altro.  La  piu'  avanzata  tutela
indistintamente  apprestata  ai  primi  trova,  infatti,  ragionevole
fondamento  nella  condizione  di  maggiore  debolezza  del  soggetto
passivo  derivante  dall'assenza  originaria  o  sopravvenuta   - del
vincolo coniugale (sez. 6, sentenza n. 12393 del 31 gennaio 2018) 
    Da ultimo, si e' ulteriormente evidenziato come  l'applicabilita'
della fattispecie di cui all'art. 3 della legge 8 febbraio  2006,  n.
54, anche  in  caso  di  omesso  versamento  da  parte  del  genitore
dell'assegno periodico disposto in favore dei  figli  in  assenza  di
vincolo   coniugale    sia    imposta    da    una    interpretazione
costituzionalmente orientata della norma, alla luce del principio  di
eguaglianza  di  trattamento  sancito  dagli  artt.  3  e  30   della
Costituzione,  anche  in  relazione  ai  risvolti  civilistici  della
vicenda penale, discendendo dalla sussistenza di un fatto di reato la
responsabilita' per danni non patrimoniali,  diversamente  da  quanto
previsto in termini generali per l'illecito civile,  ai  sensi  degli
artt. 185 codice penale e 2059 codice civile  (sez.  6,  sentenza  n.
14731 del 22 febbraio 2018). 
    In definitiva, sulla scorta del maggioritario orientamento  della
giurisprudenza  di  legittimita',   puo'   affermarsi   l'inclusione,
nell'alveo delle condotte penalmente  sanzionate  dall'art.  3  della
legge 8 febbraio 2006, n. 54, della  inadempienza  alle  obbligazioni
patrimoniali stabilite in sede giudiziale a carico  del  genitore  in
favore del figlio naturale. 
    3. Rispetto alla fattispecie previgente,  l'art.  570-bis  codice
penale si differenzia per l'assenza di riferimenti, anche  impliciti,
alla disciplina dei rapporti patrimoniali tra figli  e  genitori  non
coniugati.  Risulta  anche  eliso,   per   effetto   dell'abrogazione
dell'art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, il  collegamento  con
la disposizione di cui al successivo art. 4 della stessa  legge,  che
consentiva, come sopra evidenziato, l'estensione della tutela  penale
anche all'ipotesi di figli naturali. 
    Nell'operazione di traslazione delle  norme  di  cui  agli  artt.
12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898  e  3  della  legge  8
febbraio  2006,  n.  34,  dalla  legislazione  speciale  al   tessuto
codicistico, il decreto legislativo 1° marzo 2018, n. 21, ha, dunque,
determinato una parziale abolitio criminis in relazione alla condotta
del genitore non coniugato che ometta di  versare  l'assegno  per  il
mantenimento del figlio stabilito a suo carico  dal  giudice  civile,
esorbitando  dai  limiti  tracciati  dalla   legge   di   delegazione
parlamentare. 
    Come noto, la legge 23 giugno 2017, n. 103 (recante «Modifiche al
codice penale,  al  codice  di  procedura  penale  e  all'ordinamento
penitenziario», c.d. «riforma Orlando»), oltre  ad  operare  cospicui
interventi  modificativi  dell'ordinamento  penale,   sostanziale   e
processuale (art. 1, commi da 1 a 81), al comma  82  ha  delegato  il
Governo  «ad  adottare  decreti  legislativi  per  la  riforma  della
disciplina  in  materia  di  intercettazione   di   conversazioni   o
comunicazioni e  di  giudizi  di  impugnazione  nel  processo  penale
nonche' per la  riforma  dell'ordinamento  penitenziario,  secondo  i
principi e criteri direttivi previsti dai commi 84 e  85».  Stabilite
al successivo comma 83  le  scansioni  procedurali  e  temporali  per
l'adozione dei decreti delegati, i principi e i criteri direttivi per
l'esercizio della delega sono  stati  fissati,  rispettivamente,  dal
comma 84, per le modifiche incidenti sulla  disciplina  del  processo
penale, e dal comma 85, per i decreti legislativi «recanti  modifiche
all'ordinamento penitenziario». 
    Tra i principi e criteri direttivi elencati dal citato comma  85,
si legge, alla lettera q): «attuazione,  sia  pure  tendenziale,  del
principio della riserva di codice nella materia penale,  al  fine  di
una migliore conoscenza  dei  precetti  e  delle  sanzioni  e  quindi
dell'effettivita' della funzione rieducativa della pena,  presupposto
indispensabile  perche'  l'intero   ordinamento   penitenziario   sia
pienamente   conforme   ai   principi   costituzionali,    attraverso
l'inserimento nel codice penale di  tutte  le  fattispecie  criminose
previste da disposizioni di legge in vigore  che  abbiano  a  diretto
oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale, in particolare  i
valori della persona umana, e tra questi il principio di uguaglianza,
di non discriminazione  e  di  divieto  assoluto  di  ogni  forma  di
sfruttamento a fini di profitto della  persona  medesima,  e  i  beni
della salute, individuale e collettiva,  della  sicurezza  pubblica e
dell'ordine  pubblico,  della  salubrita'  e  integrita'  ambientale,
dell'integrita' del territorio, della correttezza e  trasparenza  del
sistema economico di mercato». 
    A  fronte  del  chiaro  dettato  della   legge   di   delegazione
parlamentare, e', dunque, da escludere che si  sia  con  essa  inteso
attribuire all'esecutivo il  potere  di  intervenire,  modificandole,
sulle scelte di criminalizzazione operate dal Parlamento. 
    Tanto e' chiarito nella stessa relazione illustrativa del Governo
allo  schema  di  decreto  legislativo   recante   «Disposizioni   di
attuazione del principio di delega  della  riserva  di  codice  nella
materia penale a norma dell'art. 1, comma 85, lettera g), della legge
23 giugno 2017, n. 103», ove si afferma, richiamando i  lavori  della
Commissione istituita, con decreto del Ministero della giustizia  del
3 maggio 2016, per l'elaborazione di  una  proposta  attuativa  della
delega di recepimento del principio della c.d.  «tendenziale  riserva
di codice in materia penale» che «il progetto prevede  un  "riordino"
della materia penale, "ferme restando le scelte  incriminatrici  gia'
operate dal Legislatore", cosi'  da  preservare  la  centralita'  del
codice penale secondo la gerarchia di interessi che  la  Costituzione
delinea». E, ancora, si legge, che «in questo senso deve essere letta
la delega nella parte in cui  discorre  di  "inserimento  nel  codice
penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni  di
legge in  vigore":  tale  dizione  sembra,  pertanto,  escludere  che
l'attivita' delegata possa consistere in modifiche  alle  fattispecie
criminose vigenti, contenute in contesti diversi dal codice  penale».
Quanto al tema di cui si tratta, la Relazione si  limita  a  statuire
-in apparente coerenza con le esposte premesse  -che  l'art.  570-bis
codice penale, di nuova introduzione, "assorbe le previsioni  di  cui
all'art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n.  898  (Disciplina
dei casi di scioglimento del matrimonio),  a  mente  del  quale:  «Al
coniuge che si sottrae  all'obbligo  di  corresponsione  dell'assegno
dovuto a norma degli articoli 5 e 6 della presente legge si applicano
le pene previste dall'art. 570 del codice penale», e di cui  all'art.
3 della legge 8 febbraio 2006, n.  54  (Disposizioni  in  materia  di
separazione dei coniugi e affidamento condiviso dei figli), che a sua
volta recita:  «In  caso  di  violazione  degli  obblighi  di  natura
economica si applica l'art. 12-sexies della legge 1°  dicembre  1970,
n. 898», chiosando che tale «modifica, da un  lato,  non  incide  sul
regime  di  procedibilita'  di  ufficio,  la  cui  corrispondenza   a
Costituzione e' stata comunque ripetutamente  affermata  dalla  Corte
costituzionale (da ultimo con sentenza n. 220 del 2015),  dall'altro,
contempla le ipotesi (gia' previste mediante rinvio agli articoli 5 e
6 della stessa  legge)  di  scioglimento,  cessazione  degli  effetti
civili, nullita' del matrimonio oltre che quella dell'assegno  dovuto
ai figli nelle medesime evenienze». 
    Eppure, per le ragioni dianzi  rappresentate,  il  raffronto  tra
l'art. 570-bis codice penale  e  la  norma  derivante  dal  combinato
disposto degli artt. 3 e 4  della  legge  8  febbraio  2016,  n.  54,
appalesa come - in relazione alla  condotta  omissiva  realizzata  in
pregiudizio  dei  figli  naturali  -il  legislatore  delegato   abbia
modificato - in senso restrittivo -la fattispecie criminosa  vigente,
esorbitando sul punto dai limiti imposti dalla legge di delega. 
    4. La questione di legittimita'  costituzionale  che  si  intende
sollevare,  nei  termini  sinora  esposti,  appare  ammissibile,   in
relazione al principio della riserva di  legge  posto  dall'art.  25,
comma 2, della Costituzione, oltre  che  rilevante  nel  giudizio  in
corso. 
    La disamina di tali profili involge il tema, ampiamente  vagliato
dalla giurisprudenza costituzionale, del sindacato sulle norme penale
di  favore  e  dell'invocabilita'  di  pronunce   di   illegittimita'
costituzione con effetti in  malam  partem,  cosi'  definite  per  il
deteriore trattamento che ne deriverebbe per la persona imputata. 
    Quanto al  profilo  sostanziale  di  ammissibilita'  di  siffatte
pronunce, si e' evidenziato come il principio della riserva di  legge
di cui all'art. 25, comma 2, della Costituzione, che demanda  in  via
esclusiva al legislatore la selezione dei fatti da sottoporre a  pena
e l'individuazione delle sanzioni applicabili, impedisce  alla  Corte
costituzionale di sindacare la  conformita'  a  Costituzione  di  una
norma penale quando ne consegua la  creazione  di  nuove  fattispecie
criminose oppure l'estensione di fattispecie  esistenti  a  casi  non
previsti o, ancora, l'inasprimento del trattamento sanzionatorio  dei
reati (Corte cost., sentenza n. 407 del 2007). 
    Tuttavia, e' stata  riconosciuta  la  sindacabilita'  delle  c.d.
norme penali di favore, per tali dovendosi intendere  le  «norme  che
stabiliscano, per determinati  soggetti  o  ipotesi,  un  trattamento
penalistico   piu'   favorevole   di    quello    che    risulterebbe
dall'applicazione di  norme  generali  o  comuni».  Il  principio  di
legalita', infatti, non preclude alla Corte costituzionale «decisioni
ablative di norme che sottraggono determinati gruppi di soggetti o di
condotte alla sfera applicativa di una norma comune o  comunque  piu'
generale, accordando loro un trattamento piu' benevolo», poiche',  in
siffatte ipotesi, «la riserva al legislatore resta  salva:  l'effetto
in malam partem non discende dall'introduzione di nuove norme o dalla
manipolazione di norme esistenti da parte della Corte,  la  quale  si
limita a rimuovere la disposizione  giudicata  lesiva  dei  parametri
costituzionali;   esso   rappresenta,   invece,    una    conseguenza
dell'automatica riespansione della norma generale o  comune,  dettata
dallo stesso legislatore, al caso  oggetto  di  una  incostituzionale
disciplina derogatoria» (Corte cost., sentenza n. 394  del  2006;  in
termini, sentenze nn. 324 del 2008, 57 del 2009, 28 del 2010, 273 del
2010, 46 del 2014). 
    L'ammissibilita' di un sindacato di  costituzionalita'  in  malam
partem  e'  stata  affermata  dalla  Corte  costituzionale  anche  in
relazione agli  interventi  normativi  spieganti  effetti  favorevoli
sull'ordinamento penale operati dall'esecutivo mediante lo  strumento
del decreto legislativo in  violazione  di  quanto  prescritto  dalle
legge di delegazione parlamentare. 
    A tale proposito si e' evidenziato come sia proprio l'esigenza di
salvaguardia del principio della riserva di legge in materia  penale,
di cui all'art. 25, comma 2, della Costituzione, a imporre l'adozione
di pronunce di segno sfavorevole per la persona imputata, laddove una
scelta di politica criminale sia  stata  effettuata  dal  Governo  in
assenza o al di fuori dei limiti di una valida delega legislativa. La
verifica circa il corretto esercizio da  parte  dell'esecutivo  della
funzione legislativa delegata diventa, infatti,  in  tale  evenienza,
uno strumento di garanzia del rispetto del principio della riserva di
legge in materia penale (Corte cost., sentenza n. 5 del 2014). 
    Venendo,   poi,   al   versante   processuale   del   vaglio   di
ammissibilita', involgente il profilo della  rilevanza  nel  giudizio
pendente, si e' statuito, in via generale, che a rendere  ammissibili
le questioni incidentali e' sufficiente che la  norma  censurata  sia
applicabile in quel giudizio e, dunque, che la decisione della  Corte
sia idonea a determinare effetti nel processo  d'origine,  senza  che
rilevi il senso di tali effetti per le parti in causa  (Corte  cost.,
sentenze nn. 5 del 2014 e 46 del 2014). 
    In altri termini, il principio di  irretroattivita'  sfavorevole,
che trova fondamento nell'art. 25,  comma  2,  della  Costituzione  e
ratio nell'esigenza di calcolabilita' delle conseguenze penali  delle
condotte  individuali,  quand'anche  impedisca   l'operativita'   nel
giudizio d'origine della  norma  comune  o  generale  il  cui  ambito
applicati,- o sia tornato ad ampliarsi per effetto della declaratoria
di illegittimita' della norma di favore - non preclude  il  sindacato
di costituzionalita' della norma di favore stessa. 
    Preminente e', infatti, l'esigenza di sottoporre  anche  siffatte
norme  al  sindacato  della  Corte  costituzionale  onde  evitare  di
istituire «zone franche  del  tutto  impreviste  dalla  Costituzione,
all'interno  delle  quali  la   legislazione   ordinaria   diverrebbe
incontrollabile» (Corte cost., sentenza n. 148 del  1983).  Peraltro,
le pronunce concernenti la legittimita' delle norme penali di  favore
potrebbero comunque, in ogni  caso,  influire  nel  giudizio  a  quo,
incidendo sulla  formula  di  proscioglimento  (fondata  sull'art.  2
codice    penale    anziche'    sulla     disposizione     dichiarata
incostituzionale),  oppure  spiegando  effetti   sistemici   comunque
rimessi al vaglio del  giudice  remittente  o,  ancora,  determinando
effetti diversi da valutare caso per caso in presenza di pronunce  di
interpretative di rigetto  o  correttive  delle  premesse  esegetiche
fondanti l'ordinanza di rimessione. 
    Nell'ipotesi, poi, in cui il fatto oggetto di giudizio sia  stato
commesso - come nel caso sub iudice - sotto la  vigenza  della  norma
comune piu' severa, la dichiarazione di illegittimita' costituzionale
della norma di  favore  -  sopravvenuta  al  fatto  -  impedisce  che
quest'ultima retroagisca, come accadrebbe in ossequio al principio di
retroattivita' in mitius. Tale principio, invero, in quanto  estraneo
all'esigenza  di  garanzia  della  liberta'   di   autodeterminazione
individuale,  non  trova  copertura  nell'art.  25,  comma  2,  della
Costituzione,  ma  nel  principio  di  eguaglianza,  che  impone   la
parificazione del trattamento penale di  fatti  identici  nella  loro
materialita'  (quand'anche  diversamente  «rimproverabil»  sotto   il
profilo  soggettivo).  Si  tratta,   peraltro,   di   principio   non
inderogabile,  ma  suscettibile  di  deroghe,  purche'  sorrette   da
giustificazioni ragionevoli, e, in ogni  caso,  destinato  a  operare
soltanto a condizione che la norma  successiva  piu'  favorevole  sia
costituzionalmente legittima (Corte cost., sentenza 394 del 2006). 
    A tale ultima  ipotesi,  come  anticipato,  e'  riconducibile  la
vicenda sottoposta allo scrutinio di questo decidente, atteso che  la
condotta contestata all'imputato sarebbe stata  interamente  commessa
sotto la vigenza dell'art. 3 della legge 8 febbraio del  2006  n.  54
(segnatamente, dal mese di settembre dell'anno 2009  al  28  febbraio
2017). Tale disposizione, per quanto in  precedenza  argomentato,  si
pone in piena continuita'  normativa  con  il  vigente  art.  570-bis
codice penale, con la sola eccezione del profilo  che  forma  oggetto
della presente questione di legittimita'. 
    Sicche',  laddove  la  questione  fosse  accolta,  tornerebbe   a
rivivere, e ad applicarsi  nel  presente  procedimento,  la  medesima
norma penale  oggetto  della  contestazione  formulata  dal  pubblico
ministero,  immutata  nel  suo  contenuto,  a  fronte  di  una   meta
variazione di sedes materiae, operata in ossequio al principio  della
riserva di codice introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti l'art. 134  della  Costituzione,  l'art. 1  della  legge  9
febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, 
    Dichiara d'ufficio ammissibile, rilevante  e  non  manifestamente
infondata la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,
comma 1, lettera c) del decreto legislativo 1°  marzo  2018,  n.  21,
nella parte in cui non prevede che l'art. 570-bis  codice  penale  si
applica anche al genitore che violi gli obblighi di natura  economica
disposti  nei  procedimenti  relativi  ai  figli   nati   fuori   del
matrimonio, per contrarieta' agli artt.  76  e  25,  comma  2,  della
Costituzione, per eccesso di delega e violazione del principio  della
riserva di legge in materia penale; 
    Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale; 
    Dispone che la presente ordinanza, di cui viene data  lettura  in
udienza alla presenza delle parti, sia notificata al  Presidente  del
Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti  delle  due  Camere
del Parlamento. 
 
      Civitavecchia, 12 ottobre 2018 
 
                       Il Giudice: Carlomagno