N. 27 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 ottobre 2018

Ordinanza del 23 ottobre 2018 del Tribunale amministrativo  regionale
per la Puglia - Sezione di Lecce sul ricorso proposto da Societa' Bar
Argento di Argento Francesco & Co. S.n.c. contro Agenzia delle dogane
e dei monopoli - Ufficio dei monopoli per la Puglia, la Basilicata  e
il Molise - Sezione operativa territoriale di Taranto.. 
 
Documentazione  amministrativa   -   Dichiarazioni   sostitutive   di
  certificazioni  e   dell'atto   di   notorieta'   -   Controlli   -
  Dichiarazione non veritiera - Decadenza dai benefici. 
- Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre  2000,  n.  445
  ("Testo unico delle disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
  materia di documentazione amministrativa (Testo A)"), art. 75. 
(GU n.9 del 27-2-2019 )
 
         IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA PUGLIA 
                        Lecce - Sezione Terza 
 
    ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 390 del 2018, proposto da: 
        Societa' Bar Argento di Argento Francesco &  Co.  S.n.c.,  in
persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa
congiuntamente e disgiuntamente dagli avvocati  Luigi  Nilo  e  Marco
Nilo, con domicilio digitale come da p.e.c. da Registri di  giustizia
e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Luigi Nilo in  Taranto,
via Nitti, n. 2/A; 
    contro Agenzia delle dogane e dei monopoli - Ufficio dei monopoli
per la  Puglia,  la  Basilicata  e  il  Molise  -  Sezione  operativa
territoriale di Taranto, in persona  del  legale  rappresentante  pro
tempore, rappresentata e difesa  dall'Avvocatura  distrettuale  dello
Stato, domiciliata ex lege in Lecce, Piazza S. Oronzo; 
    per l'annullamento: 
        del provvedimento prot. n. 47 del 15 marzo  2018  di  rigetto
dell'istanza  di  rinnovo  dell'autorizzazione  n.  500226/TA  e   di
conseguente soppressione del patentino per la vendita dei  generi  di
monopolio, ricevuto via raccomandata A./R. il 28 marzo 2018; 
        di tutti gli atti presupposti e consequenziali, ivi  compresa
la relazione finale del responsabile del procedimento  protocollo  n.
18282 del 14 marzo 2018; 
    nonche' per il risarcimento del danno. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visto l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'Agenzia  delle
dogane e dei monopoli - Ufficio monopoli per la Puglia, la Basilicata
e il Molise - Sezione operativa territoriale di Taranto; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza  pubblica  del  giorno  3  luglio  2018  la
dott.ssa Maria Luisa Rotondano e uditi per  le  parti  l'avvocato  M.
Nilo e l'Avvocato dello Stato G. Marzo; 
 
                           Fatto e diritto 
 
    1. - Con l'atto introduttivo del presente  giudizio,  ritualmente
notificato in data 11 aprile 2018 e depositato il 13 aprile 2018,  la
Societa' ricorrente - gia' titolare di patentino per  la  vendita  di
generi di monopolio, nell'esercizio bar ubicato in Statte,  alla  via
Bainsizza, n. 69 - ha impugnato, domandandone l'annullamento: 
        1) il provvedimento n. 47 del  15  marzo  2018,  notificatole
(con nota raccomandata a.r. prot. n. 20141 del 21 marzo 2018) in data
28 marzo 2018, con cui  l'Agenzia  delle  dogane  e  dei  monopoli  -
Ufficio dei monopoli per la Puglia,  la  Basilicata  e  il  Molise  -
Sezione operativa territoriale di Taranto, in  riscontro  all'istanza
pervenuta in data 27 novembre 2017 per il rinnovo biennale del citato
patentino: 
          «Visto che con decreto ministeriale n. 38/13, art. 9, comma
1, il Ministero dell'economia e delle finanze ha specificato che  gli
interessati al  rinnovo  del  patentino  devono  presentare,  insieme
all'istanza, una dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante
i dati e le informazioni di cui all'art.  8,  comma  3  dello  stesso
decreto; 
    Atteso che il Consiglio di  Stato,  decidendo  in  caso  analogo,
nella sentenza di rigetto di appello n. 2028/15 ha motivato: 
        "il rinnovo non e' altro, in relazione alla  durata  biennale
del titolo,  che  un  rinnovato  rilascio,  onde  devono  logicamente
ritenersi  necessari  a  tal  fini  anche  i  presupposti   normativi
richiesti per quest'ultimo alla data in cui il rinnovo e'  richiesto;
tale considerazione trova fondamento nella stessa lettera del decreto
ministeriale n. 38/2013,  laddove,  evidentemente  allo  scopo  della
verifica della sussistenza di tali requisiti, l'art. 9  richiede  una
dichiarazione sostitutiva che riporti "i dati e  le  informazioni  di
cui all'art. 8, comma 3"; 
    Visto   l'ormai   consolidato   orientamento   della    giustizia
amministrativa e da  ultimo  il  Tribunale  amministrativo  regionale
Lecce, con sentenza n. 2466/15, secondo cui il rinnovo del  patentino
costituisce un nuovo momento di valutazione di tutti i  requisiti  di
legittimita' ed opportunita' del punto vendita; 
    Valutato ai fini dell'adozione del  provvedimento  i  dati  e  le
informazioni di cui  all'art.  8,  comma  3,  del  succitato  decreto
riportate nella dichiarazione sostitutiva; 
    Vista la dichiarazione sostitutiva di atto  notorio  nella  quale
l'interessato dichiarava al punto 7) la  mancata  sussistenza  a  suo
carico di eventuali pendenze fiscali e/o morosita' verso  l'Erario  o
verso il Concessionario della riscossione definitivamente accertate o
risultanti da sentenze non impugnabili; 
    Vista la verifica della  veridicita'  di  quanto  dichiarato  nel
succitato punto con nota protocollo n. 84694 del  1°  dicembre  2017,
inviata a mezzo p.e.c.  al  concessionario  Equitalia  Sud  S.p.A.  e
successive inviate per  i  vari  soci  protocollo  n.  87679  del  15
dicembre 2017 e sollecito protocollo n. 1290 dell'8 gennaio 2018; 
    Considerato che dal  riscontro  della  suddetta  nota  pervenuto,
stesso mezzo, con protocollo n. 85248 del 4 dicembre 2017, e'  emersa
la non corrispondenza di quanto dichiarato dalla parte»; 
    Viste le  osservazioni  ricevute  in  data  19  febbraio  2018  e
«Verificato  che  la  cartella  esattoriale   n.   10620170008340463»
(precisamente,  cartella  di  pagamento,  emessa  dall'Agenzia  delle
entrate - Agente riscossione, per  l'omesso  pagamento  del  «Diritto
annuale anni 2013 - 2014» - Camera di commercio, dell'importo  totale
di euro 150,89, di cui euro 140,78 per «Diritto annuale anni  2013  -
2014», euro 4,23 per oneri di riscossione ed euro 5,88 per diritti di
notifica),  «notificata  il  10  novembre  2017  al   momento   della
presentazione della dichiarazione sostitutiva  di  atto  notorio  era
ancora pendente e che le suddette osservazioni  non  apportano  nuovi
elementi tali da consentire una diversa valutazione della  situazione
in quanto la mancata lettura  della  notifica  p.e.c.  rientra  nella
sfera delle proprie responsabilita' e non  puo'  essere  giustificata
dal guasto del personal computer, atteso che la stessa poteva  essere
letta comunque attraverso altri apparecchi  informatici,  considerato
tra l'altro che quanto accaduto diventa oggetto di  interruzione  del
rapporto di fiducia dell'amministrazione nei confronti della suddetta
societa'; 
    Considerato che, cosi' come previsto dal decreto ministeriale  n.
38/13, comma 3, art. 7, ai fini dell'adozione del  provvedimento  gli
Uffici competenti  devono  valutare  -  lettera  g)  -  l'assenza  di
eventuali pendenze e/o di morosita' verso l'erario o  verso  l'agente
di  riscossione  definitivamente  accertate  indicate,   cosi'   come
previsto alla lettera f) comma  3,  art.  8,  del  succitato  decreto
ministeriale, nell'atto notorio presentato a corredo dell'istanza; 
    Considerato quanto emerso dal controllo della veridicita'  presso
l'agente della riscossione in merito a  quanto  dichiarato  nell'atto
notorio  presentato  ovvero  la  presenza  di   pendenze   verso   il
concessionario "ancora non pagati o pagati parzialmente alla data del
19 dicembre 2017"; 
    Considerato che nell'atto notorio la presenza di tali  situazioni
debitorie non erano state segnalate al punto 7) dello stesso; 
    Considerato che per quanto sopra l'istante e' incorso  in  quanto
previsto dall'art. 76 del decreto del Presidente della Repubblica  n.
445/2000 in merito ad una dichiarazione risultata non veritiera»; 
    ha   determinato   il   rigetto    dell'«istanza    di    rinnovo
dell'autorizzazione n. 500226/TA», con soppressione del patentino  in
questione, «per i motivi sopra indicati»; 
        2) tutti gli atti presupposti e consequenziali, ivi  compresa
la relazione finale del responsabile del procedimento  protocollo  n.
18282 del 14 marzo 2018. 
    Ha chiesto, altresi', il risarcimento del danno. 
    A sostegno dell'impugnazione interposta ha  dedotto  la  seguente
unica articolata censura: 
        1) eccesso di potere per illogica presupposizione  in  fatto;
difetto  di  motivazione;  illogica  e/o  errata  e/o   insufficiente
motivazione;  inesistenza  dell'assenza   del   vincolo   fiduciario;
irrilevanza  del  debito  tributario;  violazione  del  principio  di
proporzionalita'; violazione dell'art 97 della Costituzione. 
    Si e' costituita in  giudizio,  per  il  tramite  dell'Avvocatura
distrettuale erariale,  l'Agenzia  delle  dogane  e  dei  monopoli  -
Ufficio dei monopoli di  Taranto,  contestando  in  toto  le  avverse
pretese e chiedendo la reiezione del gravame. 
    Con decreto 16 aprile 2018, n. 193,  il  Presidente  della  Terza
Sezione  di  questo  Tribunale   amministrativo   regionale,   «Vista
l'istanza di misure cautelari monocratiche  proposta  dalla  Societa'
ricorrente, ai sensi dell'art. 56 cod. proc. amm.», «Considerato che,
a prescindere da ogni questione sull'esistenza del fumus  boni  juris
(che, nel caso di specie, appare  opportuno  riservare  al  Collegio,
all'esito della completa  esplicazione  del  contraddittorio  tra  le
parti in causa),  tenuto  conto  delle  peculiarita'  fattuali  della
vicenda  concreta   in   questione   e   ravvisandosi   la   presenza
dell'allegato pregiudizio di estrema gravita' ed urgenza tale da  non
consentire dilazione nemmeno sino alla prossima Camera  di  consiglio
della  Sezione,  si  ritiene  opportuno  giungere  alla   trattazione
collegiale dell'istanza cautelare proposta "re  adhuc  integra"»,  ha
accolto l'istanza di misure cautelari urgenti presidenziali  proposta
dalla   Societa'   ricorrente   e,   per   l'effetto,   ha    sospeso
provvisoriamente l'efficacia del provvedimento impugnato. 
    Con «memoria» depositata agli atti del giudizio in data 28 maggio
2018, parte ricorrente ha prospettato dubbi di  costituzionalita'  in
ordine all'art. 75 del decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.
445/2000, chiedendo, «se del caso, previa sospensione della decisione
impugnata, la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per  lo
esame della questione di legittimita' costituzionale dedotta  in  via
di eccezione» (essenzialmente, sotto il profilo della violazione  dei
canoni di ragionevolezza, proporzionalita' e uguaglianza - articoli 3
e 97 della Costituzione). 
    Alla pubblica udienza del 3 luglio 2018, all'esito della rinuncia
all'istanza cautelare alla Camera di consiglio del 2 maggio 2018,  su
richiesta di parte, la causa e' stata introitata per la decisione. 
    2. - Rileva, innanzitutto, il Collegio  che  l'impugnato  diniego
risulta motivato dalla  pubblica  amministrazione  (a  seguito  delle
osservazioni prodotte in data 19  febbraio  2018,  atteso  che,  come
evidenziato dalla  Societa'  ricorrente,  «rispetto  alle  originarie
contestazioni di presunti debiti tributari a carico  della  scrivente
societa', A.A.M.M.S. ha condiviso  ed  accettato  le  controdeduzioni
riguardo  alle  cartelle  di  pagamento  n.  106  2017  000   6743691
notificata in data 25.08.2017 e n. 106 2017 000 1521442 notificata il
10 aprile 2017,  limitando  la  motivazione  del  rigetto  alla  sola
cartella esattoriale n. 10620170008340463 notificata il  10  novembre
2017, di euro 150,89») sulla  scorta  della  (e  limitatamente  alla)
omessa dichiarazione, da parte dell'istante, di taluni  debiti  verso
l'Erario (e cioe', la preesistenza  di  una  cartella  di  pagamento,
emessa dall'Agenzia delle entrate -  Agente  della  riscossione,  per
l'omesso pagamento dei diritti annuali  della  Camera  di  commercio,
dell'importo totale di euro 150,89, inclusi oneri  di  riscossione  e
diritti di notifica),  ai  sensi,  sostanzialmente  (a  ben  vedere),
dell'art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica 28  dicembre
2000, n. 445. 
    E' opportuno rammentare che l'art. 75 («Decadenza dai  benefici»)
del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n.  445
(«Testo unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
materia di documentazione amministrativa») dispone che: 
        «1. Fermo restando quanto previsto dall'art. 76, qualora  dal
controllo di cui all'art. 71 emerga la non veridicita' del  contenuto
della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente
conseguenti al provvedimento emanato sulla base  della  dichiarazione
non veritiera». 
    La granitica giurisprudenza formatasi in «subiecta  materia»  (ex
plurimis, Consiglio di Stato, Sezione Quinta, 9 aprile 2013, n. 1933)
ha osservato che il su riportato art. 75 del decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 445/2000 «si inserisce in un contesto in cui alla
dichiarazione sullo status o sul possesso di determinati requisiti e'
attribuita funzione probatoria, da cui il dovere del  dichiarante  di
affermare il vero. 
    Ne consegue che la dichiarazione "non veritiera" al  di  la'  dei
profili penali, ove ricorrano  i  presupposti  del  reato  di  falso,
nell'ambito della disciplina dettata dalla legge  n.  445  del  2000,
preclude  al  dichiarante  il  raggiungimento  dello  scopo  cui  era
indirizzata la dichiarazione o comporta  la  decadenza  dall'utilitas
conseguita per effetto del mendacio». 
    Pertanto, «In tale contesto normativo, in cui  la  "dichiarazione
falsa o non veritiera" opera come fatto, perde  rilevanza  l'elemento
soggettivo ovvero il dolo o la colpa del dichiarante»  (Consiglio  di
Stato, Sezione Quinta, cit., n. 1933/2013), «poiche', se cosi' fosse,
verrebbe meno la ratio della disciplina che e' volta  a  semplificare
l'azione   amministrativa,   facendo   leva    sul    principio    di
autoresponsabilita' del dichiarante»  (Consiglio  di  Stato,  Sezione
Quinta, 27 aprile 2012, n. 2447): sicche'  ogni  eventuale  ulteriore
circostanza, «senz'altro rilevante in sede penale, in quanto ostativa
alla  configurazione  del  falso  ideologico,  attesa   la   mancanza
dell'elemento soggettivo,  ovvero  della  volonta'  cosciente  e  non
coartata di compiere il fatto e della consapevolezza di agire  contro
il dovere  giuridico  di  dichiarare  il  vero,  non  assume  rilievo
nell'ambito della legge n. 445 del 2000, in cui  il  mendacio  rileva
quale inidoneita' della dichiarazione  allo  scopo  cui  e'  diretto»
(Consiglio di Stato, Sezione Quinta, cit., n. 1933/2013). 
    Ai sensi della normativa generale di cui all'art. 75 del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 445  del  2000,  quindi,  «la  non
veridicita'  di  quanto  autodichiarato  rileva  sotto   un   profilo
oggettivo  e  conduce  alla  decadenza  dei  benefici  ottenuti   con
l'autodichiarazione non veritiera»; cosi' la  sentenza  13  settembre
2016, n. 9699) (T.A.R. Lazio, Roma,  Sezione  Terza  ter,  24  maggio
2017, n.  6207),  «senza  che  tale  disposizione  lasci  margine  di
discrezionalita' alle Amministrazioni (cfr. ad  es.  CdS  1172\2017)»
(T.A.R. Liguria, Genova, Sezione Prima, 14 giugno 2017, n. 534). 
    In definitiva, per effetto  della  suddetta  esegesi  consolidata
(tale da assurgere al rango di «diritto vivente», sicche' neppure  e'
possibile  per  il  Tribunale  operare  una   c.d.   «interpretazione
costituzionalmente conforme»): 
        l'applicazione dell'art. 75 del decreto del Presidente  della
Repubblica n. 445/2000 comporta l'automatica decadenza dal  beneficio
eventualmente  gia'  conseguito,  non  residuando,  nell'applicazione
della predetta norma, alcun margine di discrezionalita'  alle  PP.AA.
che, in sede di controllo (d'ufficio) ex art. 71 del  medesimo  Testo
Unico,  si  avvedano  della   (oggettiva)   non   veridicita'   delle
autodichiarazioni,  posto  che  tale  norma  prescinde,  per  la  sua
applicazione,   dalla   condizione   soggettiva   del    dichiarante,
attestandosi (unicamente) sul dato oggettivo della  non  veridicita',
rispetto  al  quale  risulta,  peraltro,  del  tutto  irrilevante  il
complesso delle giustificazioni addotte dal dichiarante medesimo; 
        parimenti, tale disposizione, nel  contemplare  la  decadenza
dai benefici conseguenti al provvedimento emanato  sulla  base  delle
dichiarazioni non veritiere, impedisce (ovviamente e a fortiori, come
nel caso di specie) anche l'emanazione del provvedimento (ampliativo)
di accoglimento dell'istanza tendente ad ottenere  i  benefici  dalla
pubblica amministrazione. 
    3. - Tuttavia,  la  predetta  norma  (art.  75  del  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  n.  445/2000),  intesa  alla   stregua
dell'illustrato «diritto  vivente»,  nel  suo  meccanico  automatismo
legale (del tutto decontestualizzato dal caso specifico) e nella  sua
assoluta rigidita' applicativa (che non conosce eccezioni), sembra al
Collegio   incostituzionale,   per   violazione   dei   principi   di
ragionevolezza, proporzionalita' e uguaglianza  sanciti  dall'art.  3
della Costituzione. 
    4. -  Ed  invero,  «il  giudizio  di  ragionevolezza,  lungi  dal
comportare  il  ricorso  a  criteri   di   valutazione   assoluti   e
astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni  relative
alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal legislatore  nella  sua
insindacabile discrezionalita' rispetto alle  esigenze  obiettive  da
soddisfare o alle finalita'  che  intende  perseguire,  tenuto  conto
delle circostanze  e  delle  limitazioni  concretamente  sussistenti.
Sicche', ... l'impossibilita' di fissare in astratto un  punto  oltre
il quale  scelte  di  ordine  quantitativo  divengono  manifestamente
arbitrarie e, come tali,  costituzionalmente  illegittime,  non  puo'
essere validamente assunta come elemento connotativo di  un  giudizio
di merito, essendo un tratto che si riscontra ... anche  nei  giudizi
di ragionevolezza. 
    Del  resto,  .......,  le  censure  di  merito   non   comportano
valutazioni strutturalmente diverse, sotto  il  profilo  logico,  dal
procedimento argomentativo proprio dei giudizi  valutativi  implicati
dal sindacato di legittimita', differenziandosene, piuttosto, per  il
fatto che in quest'ultimo le  regole  o  gli  interessi  che  debbono
essere assunti come parametro del giudizio sono  formalmente  sanciti
in norme di legge o della  Costituzione»  (Corte  costituzionale,  22
dicembre 1988, n. 1130). 
    In conclusione: 
        per un verso, il giudizio di ragionevolezza  della  norma  di
legge  deve  essere   necessariamente   ancorato   al   criterio   di
proporzionalita', rappresentando  quest'ultimo  «diretta  espressione
del generale canone di  ragionevolezza  (ex  art.  3  Cost.)»  (Corte
costituzionale, 1° giugno 1995, n. 220); 
        per altro verso, la ragionevolezza va intesa  come  forma  di
razionalita' pratica (tenuto conto,  appunto,  «delle  circostanze  e
delle limitazioni concretamente sussistenti» - Corte  costituzionale,
cit., n. 1130/1988), non  riducibili  alla  mera  (e  sola)  astratta
razionalita' sillogistico - deduttiva e  logico  -  formale,  laddove
(invece)  la  ragione  (pratica  e  concreta)  deve   essere   aperta
all'impatto che su di essa esplica il caso,  il  fatto,  il  dato  di
realta'  (che  diventa  esperienza  giuridica),  solo  cosi'  potendo
(doverosamente)  valutarsi  l'adeguatezza  del  mezzo  al  fine,   la
ragionevolezza «intrinseca», in uno agli (eventuali) esiti ed effetti
sproporzionati e/o paradossali che possono concretamente derivare  da
una regola generale apparentemente ed astrattamente logica. 
    In tal senso, il giudizio di ragionevolezza, lungi dal  limitarsi
alla  (sola)  valutazione  della  singola  situazione  oggetto  della
specifica controversia  da  cui  sorge  il  giudizio  incidentale  di
legittimita' costituzionale, si appalesa idoneo  (traendo  spunto  da
quest'ultima) a vagliare gli effetti della legge sull'intera  realta'
sociale che la legge  medesima  e'  chiamata  a  regolare,  anche  in
funzione dell'«"esigenza di conformita' dell'ordinamento a valori  di
giustizia e  di  equita'"  ...  ed  a  criteri  di  coerenza  logica,
teleologica .... , che costituisce  un  presidio  contro  l'eventuale
manifesta irrazionalita' o iniquita' delle conseguenze della  stessa»
(sentenza n. 87 del 2012) (Corte costituzionale, sentenza  10  giugno
2014, n. 162). 
    E tanto anche confrontando i benefici che derivano dall'adozione,
per dir cosi', «neutra» del  provvedimento  con  i  suoi  «costi»,  e
valutando l'eventuale inadeguata penalizzazione degli altri diritti e
interessi  di   rango   costituzionale   contestualmente   in   gioco
(bilanciamento). 
    5.   -   Orbene,   l'illustrata   fattispecie   di   «automatismo
legislativo» di cui all'art. 75  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 445/2000, intesa alla stregua  del  «diritto  vivente»,
non sfugge, ad  avviso  meditato  del  Collegio,  a  forti  dubbi  di
incostituzionalita' per violazione dei principi di  proporzionalita',
ragionevolezza e uguaglianza, di cui all'art. 3 della Costituzione. 
    5.1 - Ed invero, le  conseguenze  decadenziali  (definitive)  dal
beneficio (peraltro,  latu  sensu  sanzionatorie),  legate  alla  non
veridicita'   obiettiva   della   dichiarazione,   e,   a   fortiori,
l'impedimento a conseguire il beneficio medesimo, ai sensi del citato
art. 75 del decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  445/2000,
appaiono al Tribunale irragionevoli e incostituzionali,  contrastando
con il principio di proporzione, che e' alla base della  razionalita'
che, a sua volta, informa il principio di uguaglianza sostanziale, ex
art. 3 della Costituzione. 
    E tanto ove si considerino (innanzitutto e in via  dirimente)  il
meccanico automatismo legale (del tutto «slegato»  dalla  fattispecie
concreta)  e  l'assoluta  rigidita'  applicativa   della   norma   in
questione, che (da un lato) impone tout court (senza alcun distinguo,
ne' gradazione)  la  decadenza  dal  beneficio  (o  l'impedimento  al
conseguimento dello stesso), a  prescindere  dall'effettiva  gravita'
del fatto contestato (sia per le fattispecie in cui la  dichiarazione
non veritiera  riveste  un'incidenza  del  tutto  marginale  rispetto
all'interesse pubblico perseguito dalla pubblica amministrazione, sia
per quelle nelle quali tale dichiarazione risulta in netto  contrasto
con tale interesse, riservando, quindi,  il  medesimo  trattamento  a
situazioni  di  oggettiva  diversa  gravita'),  e  (dall'altro)   non
consente di escludere nemmeno le ipotesi  di  non  veridicita'  delle
autodichiarazioni su aspetti  di  minima  rilevanza  concreta  (come,
appunto, nel caso di cui al presente giudizio), con ogni possibile (e
finanche  prevedibile)  abnormita'  e  sproporzione  delle   relative
conseguenze, rispetto al reale disvalore del fatto commesso. 
    5.2  -  Sotto  altro  profilo,  inoltre,   l'assoluta   rigidita'
applicativa dell'art. 75 del decreto del Presidente della  Repubblica
n. 445/2000 appare  eccessiva,  in  quanto  non  consente  (parimenti
irragionevolmente   e   inadeguatamente)   di   valutare   l'elemento
soggettivo (dolo - la c.d. coscienza e volonta' di immutare il vero -
ovvero colpa, grave o meno - nell'ipotesi  di  fatto  dovuto  a  mera
leggerezza   o   negligenza    dell'agente)    della    dichiarazione
(oggettivamente) non veritiera, nella naturale (e  contestuale)  sede
del  procedimento  amministrativo  (o  anche,  laddove  la   pubblica
amministrazione  lo  ritenga,  nell'ambito  del  pertinente  giudizio
penale). 
    5.3  -   Ne'   puo'   ritenersi   che   i   suddetti   dubbi   di
costituzionalita' possano essere superati facendo  leva  sulla  ratio
sottesa alla disposizione di che trattasi,  rinvenibile,  secondo  il
diritto «vivente» (cfr., ex plurimis,  Consiglio  di  Stato,  Sezione
Quinta,   cit.,   n.   2447/2012),   nel   principio   generale    di
semplificazione  amministrativa  (cui  si  accompagna  l'affermazione
dell'autoresponsabilita' - «oggettiva» - del dichiarante). 
    E' ben vero, infatti, che l'art. 75 del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 445/2000 debba qualificarsi quale norma  generale
di semplificazione amministrativa. 
    Tuttavia, proprio in quanto tale, la suddetta norma,  se,  da  un
lato, e' sicuramente volta a  rendere  piu'  efficiente  ed  efficace
l'azione dell'Amministrazione  pubblica  (buon  andamento,  ai  sensi
dell'art.  97  della  Costituzione),   dall'altro   e'   (altrettanto
inequivocabilmente) finalizzata a garantire  i  diritti  dei  singoli
costituzionalmente  tutelati  e  di  volta  in  volta  coinvolti  nel
procedimento amministrativo attivato (e nell'ambito  del  quale  sono
state rese le autodichiarazioni medesime): si pensi, ad  esempio,  al
diritto allo studio (art. 34), al diritto alla salute (art.  32),  al
diritto al lavoro  (articoli  4  e  35),  al  diritto  all'assistenza
sociale (art. 38), al diritto di iniziativa economica  privata  (art.
41, come nel caso di specie). 
    Sicche', anche nella  prospettiva  del  necessario  bilanciamento
degli  interessi  costituzionali  coinvolti  (nonche'  della  massima
espansione possibile delle relative tutele),  il  rigido  automatismo
applicativo (in uno ai correlati e definitivi effetti preclusivi  e/o
decadenziali) si rivela, in concreto, lesivo del doveroso  equilibrio
fra le diverse esigenze in gioco,  e  persino  tale  da  pregiudicare
definitivamente proprio quei diritti costituzionali del singolo  alla
cui migliore e piu' rapida realizzazione la norma di  semplificazione
de qua e', in definitiva, finalizzata. 
    E  tanto  vieppiu'  allorche'  si   consideri   che   l'art.   40
(«Certificati»)  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  28
dicembre 2000, n. 445 («Testo unico delle disposizioni legislative  e
regolamentari in materia  di  documentazione  amministrativa»),  come
modificato dall'art. 15, comma 1, lettera a), legge 12 novembre 2011,
n. 183, ha disposto  che  «01.  Le  certificazioni  rilasciate  dalla
pubblica amministrazione in ordine  a  stati,  qualita'  personali  e
fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra  privati.  Nei
rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di
pubblici servizi i certificati e gli atti di notorieta'  sono  sempre
sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e  47»  e  che
«02. Sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati e' apposta,
a pena di nullita', la dicitura: "Il presente  certificato  non  puo'
essere prodotto agli  organi  della  pubblica  amministrazione  o  ai
privati  gestori  di  pubblici  servizi"»:  sicche',  in  definitiva,
essendo il privato obbligato, e non  piu'  (meramente)  facultato,  a
presentare alle PP.AA. le «dichiarazioni di cui agli  articoli  46  e
47», la semplificazione de qua si risolve, in ultima analisi, per  un
verso,  nella  (sicura)  diminuzione  degli  adempimenti   a   carico
dell'Amministrazione pubblica  (a  fronte  dei  controlli  d'ufficio,
«anche a campione», ai sensi dell'art. 71 del decreto del  Presidente
della Repubblica n. 445/2000), e,  per  altro  verso,  nell'eccessiva
(considerate  le  conseguenze  automatiche  derivanti  dall'eventuale
dichiarazione non veritiera, ex art. 75 del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 445/2000) autoresponsabilita'  («oggettiva»)  del
privato medesimo. 
    6. - Pertanto, rispetto ad  una  disposizione  -  l'art.  75  del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.   445/2000   -,   nel
significato  in  cui  essa  «vive»  nella   (costante)   applicazione
giudiziale, il Collegio  non  puo'  che  sollevare  la  questione  di
legittimita'  costituzionale,  tenuto  conto,  per   quanto   innanzi
esposto, che la stessa appare non superabile  in  via  interpretativa
(in ragione, appunto, del «diritto  vivente»)  e  non  manifestamente
infondata. 
    7.  -  Inoltre,  l'intervento  del  Giudice  delle  leggi  appare
assolutamente necessario nella presente controversia,  non  potendosi
prescindere  dalla   definizione   (necessariamente   e   logicamente
pregiudiziale) di tale questione ai fini della decisione del presente
giudizio, in quanto, nell'ipotesi  in  cui  il  citato  art.  75  del
decreto del Presidente della Repubblica n.  445/2000  dovesse  essere
dichiarato  incostituzionale,  verrebbe  meno   l'unico   presupposto
normativo posto, sostanzialmente (a ben  vedere),  a  fondamento  del
gravato diniego, nel mentre, in caso contrario,  il  gravame  sarebbe
infondato  alla  stregua  delle   censure   formulate   dalla   parte
ricorrente. 
    8. - Il Collegio, in conclusione, ritiene  che  la  questione  di
legittimita'  costituzionale,  per  contrasto  con  i   principi   di
ragionevolezza, proporzionalita' e  uguaglianza  di  cui  all'art.  3
della Costituzione, dell'art. 75 del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 28 dicembre 2000,  n.  445,  sia  rilevante  (sussistendo,
appunto, il nesso di assoluta pregiudizialita' tra la soluzione della
prospettata questione di legittimita' costituzionale e  la  decisione
del presente giudizio)  e  non  manifestamente  infondata,  e  debba,
conseguentemente,    essere    rimessa    all'esame    della    Corte
costituzionale, mentre il giudizio in corso deve essere sospeso  fino
alla decisione della Consulta. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale amministrativo  regionale  per  la  Puglia  Lecce  -
Sezione  Terza,  pronunciando  sul  ricorso  indicato  in   epigrafe,
sospende  il   giudizio   e   solleva   questione   di   legittimita'
costituzionale, per contrasto con l'art. 3  della  Costituzione,  nei
sensi e termini di cui in motivazione, dell'art. 75 del  decreto  del
Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale. 
    Ordina che, a cura della segreteria, la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti in causa, nonche' al Presidente  del  Consiglio
dei ministri, e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati  e
del Senato della Repubblica. 
    Cosi' deciso in Lecce nella Camera  di  consiglio  del  giorno  3
luglio 2018 con l'intervento dei magistrati: 
        Enrico d'Arpe, Presidente; 
        Maria Luisa Rotondano, primo referendario, estensore; 
        Anna Abbate, referendario. 
 
                        Il Presidente: d'Arpe 
 
                                               L'estensore: Rotondano