N. 9 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 1 febbraio 2019

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria  il  1°  febbraio  2019  (della  Regione  autonoma  della
Sardegna). 
 
Straniero - Disposizioni in materia di  protezione  internazionale  e
  immigrazione, sicurezza  pubblica  -  Disposizioni  in  materia  di
  permesso di soggiorno per motivi umanitari  e  disciplina  di  casi
  speciali di  permessi  di  soggiorno  temporanei  per  esigenze  di
  carattere umanitario - Disposizioni in materia di  accoglienza  dei
  richiedenti  asilo  -  Disposizioni  in   materia   di   iscrizione
  anagrafica - Modifiche all'art. 143 del decreto legislativo n.  267
  del 2000 (Testo  unico  delle  leggi  sull'ordinamento  degli  enti
  locali). 
- Decreto-legge 4 ottobre  2018,  n.  113  (Disposizioni  urgenti  in
  materia di  protezione  internazionale  e  immigrazione,  sicurezza
  pubblica,  nonche'  misure  per  la  funzionalita'  del   Ministero
  dell'interno e l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia
  nazionale  per  l'amministrazione  e  la  destinazione   dei   beni
  sequestrati   e   confiscati   alla   criminalita'    organizzata),
  convertito, con modificazioni, nella legge  1°  dicembre  2018,  n.
  132, art. 1, comma 1, lettere a), b), c), d), e), f), i),  l),  m),
  n), numero 2), n-bis), o), p) e q); comma 2; comma 3,  lettera  a),
  numeri 1 e 2; comma 6; comma 7; comma 8; comma 9; art. 12, comma 1,
  lettere a), b), c) e d); comma 2, lettere a), b), c), d), numeri  1
  e 2, e), f), g), h), i), l), m) e n); comma 3; comma  4;  comma  5;
  comma 5-bis; comma 6; art. 13, comma 1, lettere a), numero 2, b)  e
  c); e art. 28, comma 1. 
(GU n.10 del 6-3-2019 )
    Ricorso  della  Regione  autonoma  della  Sardegna  (cod.   fisc.
80002870923) con sede legale in 09123 Cagliari (CA), Viale Trento, n.
69, in persona del presidente  pro  tempore  Francesco  Pigliaru,  in
forza di procura speciale a margine del presente atto rappresentata e
difesa dagli avv.  Alessandra  Camba  (cod.  fisc.  CMBLSN57D49B354X;
posta elettronica certificata  acamba@pec.regione.sardegna.it  -  fax
070.6062418)   e   avv.   prof.   Massimo   Luciani    (cod.    fisc.
LCNMSM52L23H501G - fax  06.90236029;  posta  elettronica  certificata
(massimoluciani@ordineavvocatiroma.org),  elettivamente   domiciliata
presso lo studio del secondo in Roma (00153),  Lungotevere  Raffaello
Sanzio, n. 9; 
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in  persona  del
Presidente  del  Consiglio  pro  tempore,  rappresentato   e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la  cui  sede  in  00186
Roma e' domiciliato ex lege, per la dichiarazione dell'illegittimita'
costituzionale: 
        dell'art. 1, a eccezione del comma 1, lettere g); h); n),  n.
1; del comma 3, lettera a), n. 3, e lettera  b);  del  comma  4;  del
comma 5; 
        dell'art. 12, a eccezione  del  comma  1,  lettere  a-bis)  e
a-ter); del comma 2, lettera d), n. 1-bis; del comma 7; 
        dell'art. 13, a eccezione del comma 1, lettera a), n. 1; 
        dell'art. 28, limitatamente al comma 1; 
        del  decreto-legge  4   ottobre   2018,   n.   113,   recante
«Disposizioni urgenti  in  materia  di  protezione  internazionale  e
immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita'
del Ministero dell'interno  e  l'organizzazione  e  il  funzionamento
dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e  la  destinazione  dei
beni  sequestrati  e  confiscati  alla   criminalita'   organizzata»,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4  ottobre  2018,  n.  231,  come
convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma  1,  della
legge 1° dicembre 2018, n. 132, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 3
dicembre  2018,  n.  281,  e,  pertanto,   analiticamente,   per   la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale: dell'art. 1, comma 1,
lettere a), b), c), d), e), f), i), l), m), n), n. 2, n-bis), o), p),
q); comma 2; comma 3, lettera a), numeri 1 e 2;  comma  6;  comma  7;
comma 8; comma 9; dell'art. 12, comma 1,  lettere  a),  b),  c),  d);
comma 2, lettere a), b), c), d), numeri 1 e 2, e), f),  g),  h),  i),
l), m), n); comma  3;  comma  4;  comma  5;  comma  5-bis;  comma  6;
dell'art. 13, comma 1, lettera a), n.  2,  lettera  b),  lettera  c);
dell'art. 28, comma 1; del medesimo decreto-legge 4 ottobre 2018,  n.
113, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4 ottobre 2018, n. 231, come
convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma  1,  della
legge 1° dicembre 2018, n. 132, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 3
dicembre 2018, n. 281. 
 
                                Fatto 
 
    1. - Con decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113  (pubblicato  nella
Gazzetta  Ufficiale  4  ottobre  2018,  n.  231),   convertito,   con
modificazioni, in legge 1° dicembre 2018, n.  132  (pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale 3 dicembre 2018,  n.  281),  sono  state  adottate
«Disposizioni urgenti  in  materia  di  protezione  internazionale  e
immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita'
del Ministero dell'interno  e  l'organizzazione  e  il  funzionamento
dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e  la  destinazione  dei
beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata». 
    Le disposizioni di maggiore rilievo del decreto-legge n. 113  del
2018, per quanto qui interessa, sono quelle che seguono. 
    i) L'art. 1, che ha sostituito il generale istituto del  permesso
di soggiorno «per motivi umanitari» di cui  all'art.  5  del  decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (recante  il  «Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero»), con una pluralita' di fattispecie
tipizzate e, sulla scorta di tale scelta di fondo, nelle disposizioni
qui impugnate, ha adottato la consequenziale disciplina di dettaglio,
di coordinamento e di attuazione. 
    ii) L'art.  12  («Disposizioni  in  materia  di  accoglienza  dei
richiedenti asilo»), che e' intervenuto  sulle  vigenti  disposizioni
relative al Sistema di protezione per richiedenti asilo  e  rifugiati
(Sprar), con disposizioni tutte lesive, a eccezione di quelle escluse
dalla presente impugnazione. 
    iii) L'art. 13, qui interamente gravato, a eccezione del comma 1,
lettera a), n. 1, il quale, in particolare, alla lettera a),  n.  2),
ha novellato l'art. 4 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n.  142
(«Attuazione  della  direttiva  2013/33/UE  recante  norme   relative
all'accoglienza dei richiedenti  protezione  internazionale,  nonche'
della direttiva 2013/32/UE, recante  procedure  comuni  ai  fini  del
riconoscimento  e   della   revoca   dello   status   di   protezione
internazionale»), inserendovi un comma 1-bis, a tenor del  quale  «il
permesso di soggiorno di cui al comma 1 non  costituisce  titolo  per
l'iscrizione anagrafica ai sensi del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 30 maggio 1989, n.  223,  e  dell'art.  6,  comma  7,  del
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286». Lo stesso  art.  13,  al
comma 1, lettera b), n. 1, ha poi sostituito il comma 3  dell'art.  5
del decreto legislativo n. 142 del 2015, disponendo che «l'accesso ai
servizi previsti dal presente decreto e a quelli comunque erogati sul
territorio ai sensi delle norme vigenti e' assicurato  nel  luogo  di
domicilio individuato ai sensi dei commi 1 e 2». 
    iv) L'art. 28, comma 1, che ha novellato l'art. 143  del  decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (recante  il  «Testo  unico  delle
leggi sull'ordinamento degli enti locali»,  hinc  inde  anche  TUEL),
inserendovi un comma 7-bis, a tenor del quale «Nell'ipotesi di cui al
comma 7, qualora dalla relazione del prefetto emergano,  riguardo  ad
uno  o  piu'  settori  amministrativi,  situazioni  sintomatiche   di
condotte  illecite   gravi   e   reiterate,   tali   da   determinare
un'alterazione delle procedure e da compromettere il buon andamento e
l'imparzialita' delle amministrazioni comunali o provinciali, nonche'
il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, il  prefetto,
sulla base delle risultanze dell'accesso, al fine di far  cessare  le
situazioni riscontrate e di ricondurre  alla  normalita'  l'attivita'
amministrativa  dell'ente,  individua,  fatti  salvi  i  profili   di
rilevanza penale, i prioritari interventi  di  risanamento  indicando
gli atti da assumere, con la fissazione di un termine per  l'adozione
degli stessi, e fornisce ogni utile supporto tecnico-amministrativo a
mezzo dei propri uffici. Decorso inutilmente il termine  fissato,  il
prefetto assegna all'ente un ulteriore termine, non  superiore  a  20
giorni, per la  loro  adozione,  scaduto  il  quale  si  sostituisce,
mediante commissario ad acta,  all'amministrazione  inadempiente.  Ai
relativi oneri gli enti locali provvedono con le risorse  disponibili
a legislazione vigente sui propri bilanci». 
    Gli articoli 1, comma 1, lettere a), b), c), d), e), f), i),  l),
m), n), n. 2, n-bis), o), p), q);  comma  2;  comma  3,  lettera  a),
numeri 1 e 2; comma 6; comma 7;  comma  8;  comma  9;  12,  comma  1,
lettere a), b), c), d); comma 2, lettere a), b), c), d), numeri  1  e
2, e), f), g), h), i), l), m), n); comma 3; comma 4; comma  5;  comma
5-bis; comma 6; 13, comma 1, lettera a), n. 2,  lettera  b),  lettera
c); 28, comma 1; del decreto-legge 4 ottobre 2018,  n.  113,  recante
«Disposizioni urgenti  in  materia  di  protezione  internazionale  e
immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita'
del Ministero dell'interno  e  l'organizzazione  e  il  funzionamento
dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e  la  destinazione  dei
beni  sequestrati  e  confiscati  alla   criminalita'   organizzata»,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4  ottobre  2018,  n.  231,  come
convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma  1,  della
legge 1° dicembre 2018, n. 132, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 3
dicembre  2018,  n.  281,  sono  lesivi  degli  interessi   e   delle
attribuzioni costituzionali della Regione  autonoma  della  Sardegna,
che ne chiede la declaratoria d'illegittimita' costituzionale  per  i
seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
Premessa. 
    Quanto all'incidenza delle  norme  impugnate  nelle  attribuzioni
costituzionali della Regione autonoma della Sardegna. - Come  risulta
dal suo stesso titolo, riportato in epigrafe, il decreto-legge n. 113
del 2018 disciplina  una  varia  pluralita'  di  oggetti,  che,  come
vedremo al quinto motivo di  ricorso,  non  sono  caratterizzati  dal
tratto dell'omogeneita' e la cui regolazione,  pei  profili  che  qui
interessano,  non  e'  assistita  dalla  straordinaria  necessita'  e
urgenza che, ai sensi dell'art. 77 Cost., deve caratterizzare  questa
categoria di atti. Le norme del decreto-legge, inoltre,  nelle  parti
qui  censurate,  sono  gravemente   lesive   di   plurimi   parametri
costituzionali ulteriori. 
    Prima di illustrare i singoli motivi di doglianza,  pero',  conta
ora mettere in luce, in via del tutto preliminare e con riferimento a
tutte  le  previsioni  censurate,  che   i   vizi   di   legittimita'
costituzionale di cui appresso  si  fara'  illustrazione  sono  tutti
contestabili in sede di giudizio di  legittimita'  costituzionale  in
via d'azione,  a  causa  della  loro  evidente  interferenza  con  le
attribuzioni regionali, cui arrecano un grave pregiudizio. 
    In primo  luogo,  l'art.  28  concerne  attribuzioni  di  diretta
spettanza regionale,  poiche'  l'ordinamento  degli  enti  locali  e'
materia di competenza regionale esclusiva  per  la  Regione  autonoma
della Sardegna in virtu' dell'art. 3,  comma  1,  lettera  b),  della
legge cost. 26 febbraio 1948, n. 3, recante «Statuto speciale per  la
Sardegna» (hinc inde «Statuto»). 
    In secondo luogo, come e' noto, l'art. 117, comma 2, lettere b) e
h), Cost., ricomprende la materia «immigrazione» e la materia «ordine
pubblico e sicurezza» tra quelle assegnate alla competenza  esclusiva
dello Stato. Nondimeno, la stessa Costituzione, all'art.  118,  comma
3, riconosce esplicitamente l'esistenza di  un  profondo  legame  fra
questa materia e quelle di competenza concorrente,  affidate  (anche)
alla cura delle regioni. Stabilire che «La legge  statale  disciplina
forme di coordinamento fra Stato e regioni nelle materie di cui  alle
lettere b) e h) del secondo  comma  dell'art.  117  [...]»,  infatti,
equivale a  dare  atto  dell'intreccio  competenziale  fra  tali  due
materie  e  le  molte  altre  di  competenza  regionale,   come,   in
particolare e a  tacer  d'altro,  «tutela  e  sicurezza  del  lavoro;
istruzione [...]; tutela della salute [...]; previdenza complementare
e integrativa; coordinamento della finanza  pubblica  e  del  sistema
tributario». 
    Per quanto specificamente  concerne  la  Regione  autonoma  della
Sardegna,  poi,   sono   coinvolte   anche   competenze   statutarie,
addirittura di tipo esclusivo. 
    Basta pensare, a tal proposito, a quelle in materia  di  «polizia
locale urbana e rurale» (art. 3, lettera c),  dello  Statuto),  o  di
«edilizia ed urbanistica» (art. 3, lettera  f),  dello  Statuto).  Su
quest'ultima, in particolare, e' sufficiente considerare - a conferma
del predetto coinvolgimento - che la legge reg. Sardegna 23 settembre
2016, n. 22 (recante «Norme generali in materia di edilizia sociale e
riforma dell'Azienda regionale per l'edilizia abitativa») all'art. 1,
comma 2, dispone che «La Regione  esercita  le  proprie  funzioni  in
materia di edilizia sociale assicurando il conseguimento dei seguenti
obiettivi  generali:  [...]  f)  coordinamento  con  altre  politiche
pubbliche, soprattutto urbanistiche, territoriali, ambientali  e  per
l'inclusione sociale, la salute, il diritto allo studio, il lavoro  e
l'immigrazione». 
    Sul punto concorda, peraltro, anche codesta ecc.ma Corte, che con
specifico riferimento alla materia «immigrazione» ha  gia'  chiarito,
nella sentenza n. 299 del 2010,  che  «deve  essere  riconosciuta  la
possibilita' di interventi legislativi delle regioni con riguardo  al
fenomeno dell'immigrazione, per come previsto dall'art. 1,  comma  4,
del decreto legislativo n. 286 del 1998,  fermo  restando  che  «tale
potesta' legislativa non puo' riguardare aspetti che  attengono  alle
politiche di programmazione dei flussi di ingresso e di soggiorno nel
territorio nazionale, ma altri ambiti, come il diritto allo studio  o
all'assistenza sociale,  attribuiti  alla  competenza  concorrente  e
residuale delle Regioni» (sentenza n. 134 del 2010)». 
    E difatti «l'intervento pubblico concernente  gli  stranieri  non
puo' [...] limitarsi al controllo dell'ingresso e del soggiorno degli
stessi sul territorio nazionale, ma deve necessariamente  considerare
altri ambiti - dall'assistenza sociale all'istruzione,  dalla  salute
all'abitazione - che  coinvolgono  molteplici  competenze  normative,
alcune attribuite allo Stato, altre alle regioni (sentenze n. 156 del
2006, n. 300 del 2005)». 
    Ebbene: le norme censurate  con  l'odierno  ricorso  coinvolgono,
come si vedra', non solo competenze statali, ma anche regionali,  sia
esclusive (alle quali si e' gia'  fatto  cenno),  che  concorrenti  e
integrative. Competenze che, in  fatto,  la  Regione  autonoma  della
Sardegna ha puntualmente esercitato. 
    A tal proposito, lasciando da  parte  le  materie  di  competenza
esclusiva  e  prendendo  le  mosse  dalle   materie   di   competenza
concorrente, di cui all'art. 4 dello Statuto sardo,  sia  sufficiente
osservare che: 
        in materia di «assistenza e beneficenza  pubblica»  (art.  4,
lettera h)), la legge regionale Sardegna 23 dicembre 2005,  n.  23  -
recante «Sistema integrato  dei  servizi  alla  persona.  Abrogazione
della  legge  regionale  n.  4  del  1988  (Riordino  delle  funzioni
socio-assistenziali)» - all'art.  4,  comma  1,  dispone  che  «hanno
diritto ad accedere ai  servizi  ed  alle  prestazioni  di  cui  alla
presente legge: [...] c) i  cittadini  extracomunitari  residenti  ai
sensi dell'art. 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286; d)
gli apolidi ed i rifugiati residenti, nel  rispetto  delle  normative
statali ed internazionali vigenti; e) i cittadini  stranieri  di  cui
all'art. 18 del decreto legislativo n. 286 del 1998; [...]»; 
        in materia di «igiene e sanita' pubblica»  (art.  4,  lettera
i), dello Statuto): 
        la legge regionale Sardegna 8 marzo  1979,  n.  8  -  recante
«Istituzione  e  disciplina  dei  Consultori  familiari»  -  dispone,
all'art. 9, comma 1,  che  «Le  prestazioni  effettuate  dai  servizi
consultoriali previsti dalla presente legge sono gratuite per tutti i
cittadini  italiani  nonche'  per  gli  stranieri  residenti  o   che
soggiornino anche temporaneamente nel territorio italiano»; 
        la legge regione autonoma della Sardegna 13 aprile  2017,  n.
5, all'art. 5  (rubricato  «Disposizioni  in  materia  di  sanita'  e
politiche sociali») autorizza «per l'anno  2017,  la  spesa  di  euro
200.000 per il potenziamento del sistema della  governance  regionale
sul tema dell'accoglienza dei migranti attraverso la realizzazione di
progetti  rivolti  alla  formazione  degli  operatori   del   settore
dell'accoglienza ai richiedenti asilo» (cosi' il comma 27) . 
    Quanto alle competenze integrative, sia sufficiente rilevare che: 
        in materia di «lavoro» e «previdenza ed  assistenza  sociale»
(di cui all'art. 5 dello Statuto e al decreto legislativo  10  aprile
2001, n. 180, recante «Norma di  attuazione  dello  Statuto  speciale
della Regione Sardegna recante delega di funzioni amministrative alla
Regione in materia  di  lavoro  e  servizi  all'impiego»),  la  legge
regione autonoma della Sardegna  17  maggio  2016,  n.  9  -  recante
«Disciplina dei servizi e delle politiche per il lavoro»  -  dispone,
all'art. 33-bis, comma 1, che «L'ASPAL,  al  fine  di  garantire  una
reale fruizione dei servizi per il lavoro e dei programmi di politica
attiva del lavoro, anche  in  coordinamento  con  gli  interventi  di
politica  sociale  promossi  dalla  normativa  europea,  nazionale  e
regionale, da parte  di  soggetti  a  rischio  di  esclusione,  quali
lavoratori stranieri, beneficiari di forme di reddito di inclusione e
altre categorie [...] e' autorizzata ad assumere personale dotato  di
specifiche competenze per l'espletamento delle suddette attivita'». 
    La  disciplina  qui  censurata,  peraltro,  interseca  anche  una
pluralita' di ambiti competenziali regionali elencati nell'art.  117,
comma 3, Cost. (applicabile alle regioni a statuto speciale ai  sensi
dell'art. 10 della legge cost. n. 3  del  2001),  quali:  «previdenza
complementare e integrativa», «coordinamento della finanza pubblica e
del sistema tributario» (presidiato dall'art. 7  dello  Statuto,  per
l'odierna ricorrente) e «istruzione». Tale  intreccio  e'  confermato
anche da un rapido esame «a campione» della legislazione  vigente  in
altre  regioni  nelle  materie  incise,  per  i   profili   che   qui
interessano, dal decreto-legge n. 113 del 2018. 
    Senza alcuna pretesa d'esaustivita' basti considerare che: 
        i) quanto alla materia «istruzione», l'art. 3, comma 1, della
legge regionale Basilicata 13 agosto 2015, n.  30,  recante  «Sistema
integrato  per  l'apprendimento  permanente  ed  il   sostegno   alle
transizioni nella vita attiva», prevede che «le  azioni  del  sistema
regionale integrato per l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita
sono rivolte ai cittadini  dell'Unione  europea  (UE),  nonche'  agli
stranieri ed agli apolidi muniti di regolare permesso di soggiorno»; 
        ii)  quanto  alla   materia   «previdenza   complementare   e
integrativa»  (incisa  perche'  i  migranti   regolari   sono   anche
contribuenti previdenziali), l'art. 3, comma 1, della  legge  regione
Veneto 18 maggio 2007, n. 10, stabilisce che «la Giunta regionale  e'
autorizzata, nei limiti dello stanziamento di bilancio, a concedere a
favore di lavoratrici e lavoratori residenti nel Veneto, iscritti  ai
fondi pensione di natura collettiva, contributi diretti ad assicurare
per limitati periodi di tempo la copertura contributiva», prevedendo,
quale condizione per il godimento del beneficio,  solo  la  residenza
nel territorio regionale e  l'iscrizione  a  fondi  pensione  e  non,
ovviamente, la cittadinanza; 
        iii)  quanto  alla  materia  «coordinamento   della   finanza
pubblica e del sistema tributario», e' superfluo  ricordare  che  gli
obblighi tributari  regionali  gravano  anche  sugli  stranieri;  per
l'effetto, laddove, a mero titolo esemplificativo, la legge regionale
Umbria 24 dicembre 2007, n.  36,  recante  «Disposizioni  in  materia
tributaria e di altre entrate della Regione Umbria»,  fa  riferimento
alla figura del «contribuente regionale», comprende in tale categoria
anche lo straniero regolarmente  soggiornante  nel  territorio  della
Regione. In  via  ancor  piu'  generale,  si  deve  osservare  che  i
migranti, oltre che un onere per le regioni (a causa dei servizi  che
esse devono erogare), sono per esse anche  una  risorsa,  perche'  il
loro apporto lavorativo e' necessario per il buon  funzionamento  dei
programmi di sviluppo regionali. Sottrarre queste risorse senza alcun
coinvolgimento delle regioni e' dunque in se'  violativo  della  loro
sfera di autonomia. 
    Tanto  considerato,  la  legittimazione  della  ricorrente   alla
contestazione delle  disposizioni  in  epigrafe  non  puo'  ritenersi
dubbia, sicche' si  puo'  passare  alla  formulazione  delle  singole
censure. 
1. - Quanto all'art. 1, comma 1, lettere a), b), c), d), e), f),  i),
1), m), n), n. 2, n-bis), o), p), q); comma 2; comma 3,  lettera  a),
numeri 1 e 2; comma 6; comma 7; comma 8; comma 9;  del  decreto-legge
n. 113 del 2018. Violazione degli articoli 2, 3, 10, commi 2 e 3, 11,
117, comma 1, della Costituzione (anche con riferimento agli articoli
15, lettera c), e 18, della direttiva 2011/95/UE, 6, 10, comma 1, 17,
23 e 24 del Patto Internazionale di New York  sui  diritti  civili  e
politici e 2, 3 e 8 della Convenzione europea per la salvaguardia del
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali).  Violazione  degli
articoli 117,  commi  2,  3  e  4;  118  e  119  della  Costituzione.
Violazione degli articoli 3, 4, 5, 6, 7 e  8  della  legge  cost.  26
febbraio 1948, n. 3, recante  «Statuto  speciale  per  la  Sardegna»,
anche in riferimento al decreto legislativo 10 aprile 2001,  n.  180,
recante «Norme di attuazione dello  Statuto  speciale  della  Regione
Sardegna recante delega di funzioni amministrative  alla  Regione  in
materia di lavoro e servizi all'impiego» e al decreto del  Presidente
della Repubblica 22 maggio 1975, n.  480,  recante  «Nuove  norme  di
attuazione  dello  statuto  speciale  della  Regione  autonoma  della
Sardegna». 
    Come gia' riportato in narrativa, l'art. 1 del  decreto-legge  n.
113 del 2018 ha apportato  significative  modifiche  sia  al  decreto
legislativo 25 luglio  1998,  n.  286  (recante  «Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero»), sia  al  decreto  legislativo  28
gennaio  2008,  n.  25  (emanato  in  «Attuazione   della   direttiva
2005/85/CE recante norme minime  per  le  procedure  applicate  negli
Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca  dello  status
di rifugiato»). 
    Prima dell'emanazione del decreto impugnato, l'art. 5 del decreto
legislativo n.  286  del  1998  -  che  disciplina  in  via  generale
l'istituto del permesso di soggiorno - prevedeva, al comma 6, che «Il
rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresi'
adottati sulla base di convenzioni  o  accordi  internazionali,  resi
esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi  le  condizioni
di soggiorno applicabili in uno degli  Stati  contraenti,  salvo  che
ricorrano seri motivi,  in  particolare  di  carattere  umanitario  o
risultanti da obblighi costituzionali o  internazionali  dello  Stato
italiano. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari e' rilasciato
dal  questore  secondo  le  modalita'  previste  nel  regolamento  di
attuazione». 
    Sul testo appena menzionato e' intervenuto l'art. 1, comma 1, del
decreto-legge n. 113 del 2018, il quale, alla lettera b), n.  2),  ha
soppresso  l'inciso  del  primo  periodo  contenente  la   menzionata
clausola di  salvaguardia  («salvo  che  ricorrano  seri  motivi,  in
particolare  di  carattere  umanitario  o  risultanti   da   obblighi
costituzionali o internazionali dello  Stato  italiano»)  e  l'intero
secondo periodo, che contemplava la  possibilita'  del  rilascio  del
permesso di soggiorno «per motivi umanitari». 
    In secondo luogo, l'art. 32, comma 3, del decreto legislativo  n.
25 del 2008, nella  versione  antecedente  l'emanazione  del  decreto
impugnato, disponeva che «Nei casi in cui non accolga la  domanda  di
protezione internazionale e  ritenga  che  possano  sussistere  gravi
motivi di carattere umanitario, la Commissione territoriale trasmette
gli atti  al  questore  per  l'eventuale  rilascio  del  permesso  di
soggiorno ai sensi dell'art. 5, comma 6, del decreto  legislativo  25
luglio 1998, n. 286». 
    Anche tale disposizione e' stata modificata dal decreto-legge  n.
113   del   2018   (e,   segnatamente,   dall'art.   1,   comma   2).
Conseguentemente, si prevede ora che «Nei casi in cui non accolga  la
domanda di protezione internazionale e ricorrano i presupposti di cui
all'art. 19, commi 1 e 1.1, del decreto legislativo 25  luglio  1998,
n. 286, la Commissione territoriale trasmette gli  atti  al  questore
per il rilascio di un permesso  di  soggiorno  annuale  che  reca  la
dicitura   "protezione   speciale",   salvo   che   possa    disporsi
l'allontanamento verso  uno  Stato  che  provvede  ad  accordare  una
protezione analoga. Il permesso di soggiorno di cui al presente comma
e' rinnovabile,  previo  parere  della  Commissione  territoriale,  e
consente  di  svolgere  attivita'  lavorativa  ma  non  puo'   essere
convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro». 
    Piu' in generale, l'istituto del permesso di soggiorno per «gravi
motivi di carattere umanitario» e' stato  sostituito  da  fattispecie
direttamente tipizzate dai novellati decreto legislativo n.  286  del
1998 e decreto legislativo n. 25 del 2008, i quali,  in  particolare,
ne consentono il rilascio: 
        i) quando lo straniero «possa essere oggetto di  persecuzione
per motivi di  razza,  di  sesso,  di  lingua,  di  cittadinanza,  di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o  sociali,
ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un  altro  Stato  nel
quale non sia protetto dalla persecuzione» (art. 19, comma 1, decreto
legislativo n. 286 del 1998); 
        ii) quando vi siano «fondati motivi»  ch'egli  possa  «essere
sottopost[o] a tortura» (art. 19, comma 1.1, decreto  legislativo  n.
286 del 1998); 
        iii) per «cure mediche», con riferimento agli «stranieri  che
versano in condizioni di salute di particolare  gravita'»  (art.  19,
comma 2, lettera d-bis), decreto legislativo n. 286 del 1998; 
        iii) per «calamita'» (art. 20-bis, decreto legislativo n. 286
del 1998); 
        iv) per «atti di particolare  valore  civile»  (art.  42-bis,
decreto legislativo n. 286 del 1998); 
        v) per «protezione  speciale»  (art.  32,  comma  3,  decreto
legislativo 28 gennaio 2008, n. 25). 
    In terzo luogo, l'art. 1, comma 8, del decreto-legge n.  113  del
2018, stabilisce che  «Fermo  restando  i  casi  di  conversione,  ai
titolari  di  permesso  di  soggiorno  per  motivi   umanitari   gia'
riconosciuto ai sensi dell'art. 32, comma 3, del decreto  legislativo
28 gennaio 2008, n. 25, in corso di validita' alla data di entrata in
vigore  del  presente  decreto,  e'  rilasciato,  alla  scadenza,  un
permesso di soggiorno ai sensi dell'art. 32,  comma  3,  del  decreto
legislativo 28 gennaio 2008, n.  25,  come  modificato  dal  presente
decreto, previa valutazione della competente Commissione territoriale
sulla sussistenza dei presupposti di cui all'art. 19, commi 1 e  1.1,
del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286». Ne consegue che,  in
sede di rinnovo, la nuova disciplina di cui  al  menzionato  comma  8
dovra' retroattivamente applicarsi anche agli stranieri cui e'  stato
rilasciato un regolare permesso di soggiorno per  «motivi  umanitari»
ai sensi della normativa previgente. 
    1.1. - Dalle disposizioni teste' menzionate emerge, in  sostanza,
che: 
        gli stranieri che prima avrebbero potuto godere del  permesso
di soggiorno per «motivi  umanitari»  diventano  irregolari,  qualora
essi non si trovino nelle condizioni di cui all'art. 19,  commi  1  e
1.1 del novellato decreto legislativo n. 286 del  1998  o  in  quelle
ulteriori per le quali il medesimo decreto  legislativo  n.  286  del
1998 o il decreto legislativo n. 25 del 2008  prevedono  il  rilascio
del permesso; 
        detta  irregolarita'  non  colpisce  solamente   coloro   che
presentano richiesta per il menzionato permesso o ai quali esso viene
rilasciato successivamente all'entrata in vigore del decreto-legge n.
113 del 2018, ma si estende anche a chi gia' ne sia in possesso,  con
conseguente revoca o diniego del rinnovo rispettivamente ai sensi dei
commi l e 8 dell'art. 1 del decreto impugnato. 
    1.2. - Tanto premesso, non v'e' dubbio che  la  nuova  disciplina
presenti  plurimi  profili  d'illegittimita'   costituzionale,   come
appresso si vedra'. 
    E' opportuno anzitutto ribadire che il complessivo riordino della
normativa relativa al  permesso  di  soggiorno  comporta  un  diretto
coinvolgimento delle regioni. A tal proposito, al di  la'  di  quanto
gia' osservato in via generale nella premessa del  presente  gravame,
basti pensare, a titolo esemplificativo: 
        alla nuova ipotesi di permesso di soggiorno per cure  mediche
per gli «stranieri che versano in condizioni di salute di particolare
gravita'» di cui  all'art.  19,  comma  2,  lettera  d-bis),  decreto
legislativo n. 286 del 1998, fattispecie indubbiamente connessa  alla
materia «tutela della salute»; 
        alla nuova ipotesi di  permesso  di  soggiorno  speciale  per
stranieri vittime di violenza domestica di cui  all'art.  18-bis  del
decreto legislativo n. 286 del 1998, il quale «ha  la  durata  di  un
anno e consente l'accesso ai  servizi  assistenziali  e  allo  studio
nonche' l'iscrizione nell'elenco anagrafico [...] o lo svolgimento di
lavoro subordinato e autonomo, fatti  salvi  i  requisiti  minimi  di
eta'» e interseca inevitabilmente le materie «istruzione»  e  «tutela
del lavoro». 
    Vero quanto precede, le norme censurate incidono illegittimamente
non solo nelle attribuzioni attinenti alla  funzione  legislativa  ex
articoli 117, comma 3, Cost. e 3, 4 e 5 dello Statuto,  ma  anche  in
quelle relative alle funzioni amministrative ai sensi dell'art.  118,
comma 1, Cost. e 6 dello Statuto,  pure  in  riferimento  al  decreto
legislativo n. 180 del  2001  («Norme  di  attuazione  dello  Statuto
speciale  della  Regione  Sardegna   recante   delega   di   funzioni
amministrative  alla  Regione  in  materia  di   lavoro   e   servizi
all'impiego») e al decreto del Presidente della Repubblica n. 480 del
1975 (recante «Nuove norme di attuazione dello statuto speciale della
Regione autonoma della Sardegna»). 
    La Regione, infatti, e' costretta a rimodulare  tali  funzioni  -
tanto con riferimento alla loro disciplina, quanto al  loro  concreto
esercizio - escludendo dalla platea  dei  destinatari  gli  stranieri
che, in  virtu'  della  nuova  legislazione  statale  in  materia  di
permesso di soggiorno, non potranno piu' ottenerne il rilascio  o  il
rinnovo  e  potranno  subirne  la  revoca.  Quanto  alle   specifiche
disposizioni gravate, infine, sono comprese tutte quelle che  dettano
le scelte di fondo della riduzione della protezione umanitaria,  o  a
tale scelta danno svolgimento. Sono invece escluse quelle che a  tale
scelta non si collegano. 
    1.3. - Violato, in secondo luogo, e' l'art. 3 Cost., e  con  esso
il legittimo affidamento dei privati. La  lesione  -  si  badi  -  e'
bidirezionale: da una  parte,  infatti,  e'  leso  l'affidamento  dei
titolari  di  un  permesso  di  soggiorno  ottenuto  in  virtu'   del
precedente assetto normativo; dall'altra,  quello  di  coloro  che  -
sempre alla  luce  della  disciplina  previgente  -  confidavano  nel
rilascio del citato permesso. 
    In entrambi i casi siamo di fronte  a  esempi  di  retroattivita'
«impropria» (c.d. «unechte Rückwirkung»), ancorche' con due  distinte
gradazioni. 
    La lesione dell'affidamento e' particolarmente grave per la prima
categoria di destinatari, gia' da tempo residenti  in  Italia  e  che
nutrivano progetti di vita radicalmente condizionati dall'aspettativa
del rinnovo del permesso, in costanza delle  condizioni  per  il  suo
rilascio. 
    Anche l'altra categoria, pero', e'  seriamente  colpita,  perche'
pure in questo caso un progetto di vita, inizialmente attuato con  un
accesso al territorio nazionale confidante nel possesso dei requisiti
per il rilascio del permesso di soggiorno, e' stato cancellato  dalla
disciplina qui censurata. 
    E' vero che affidamento non vuol dire  pretesa  all'immutabilita'
della disciplina legislativa, ma non e' meno  vero  che  la  costante
giurisprudenza di  codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale,  ma  anche
quella della Corte di giustizia UE e della Corte europea dei  diritti
dell'uomo, ammette l'incidenza  in  situazioni  soggettive  pregresse
(nei c.d. «diritti  quesiti»)  solo  a  condizione  che  l'intervento
legislativo sia: a) necessario; b)  proporzionato;  c)  motivato  dal
riferimento a interessi costituzionalmente meritevoli di  protezione.
Nella specie,  nessuna  di  queste  condizioni  ricorre,  perche'  la
cancellazione dell'istituto del permesso  di  soggiorno  per  ragioni
umanitarie non persegue alcun interesse meritevole di tutela e anzi -
come subito vedremo al  sottoparagrafo  che  segue  -  confligge  con
numerosi   strumenti   internazionali,   qualificabili   come   fonti
interposte in forza dell'art. 117, comma 1, Cost. 
    1.4. - In terzo luogo, sono violati gli articoli 2, 3 e 117 Cost.
Viene infatti irragionevolmente operata una  distinzione  tra  coloro
che, a parita' di condizioni di rilascio, dopo  l'entrata  in  vigore
del decreto-legge n. 113  del  2018  non  potranno  piu'  godere  del
permesso di soggiorno e coloro i quali, invece,  potranno  egualmente
mantenerlo    alla    luce    delle     sopravvenienze     normative.
L'irragionevolezza di tale distinzione, poi, e' tanto piu' grave,  in
quanto si ripercuote anche sul godimento delle prestazioni  pubbliche
e, in generale, sulle situazioni giuridiche  soggettive  direttamente
connesse alla titolarita' del permesso di soggiorno. 
    La disparita' di trattamento  si  rileva  anche  per  un  diverso
profilo.  Secondo  la  giurisprudenza  civile  e  amministrativa,   i
requisiti per concedere il permesso di soggiorno per motivi umanitari
concernono le speciali esigenze relative alla «tutela della  famiglia
e dei minori, ricongiungimento familiare, [...] persecuzioni dovute a
ragioni etniche, religiose o politiche» (Cons.  Stato,  Sez.  VI,  10
settembre 2008, n. 4317), nonche' al  «rischio  effettivo  di  essere
sottoposto  a  pena  di  morte,  tortura  o  trattamenti  inumani   e
degradanti» (Cass. civ., Sez. VI, ordinanza 24 marzo 2011, n.  6879).
Ebbene:  poiche'  le  fattispecie   non   coincidono   integralmente,
distinguere coloro che versano  in  tali  condizioni  da  coloro  che
presentano  i  requisiti  per  i  «casi  speciali»  introdotti  dalle
disposizioni qui impugnate e' irragionevole e violativo del principio
di eguaglianza, in quanto entrambi i gruppi  comprendono  le  persone
c.d. «vulnerabili» secondo la giurisprudenza della Corte europea  dei
diritti  dell'uomo,  per  le  quali  lo  Stato  deve  necessariamente
apprestare misure volte a evitare che siano  soggetti  a  trattamenti
inumani e degradanti  (cfr.  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,
sentenze 21 gennaio 2011, M.S.S. c. Grecia e  Belgio,  e  4  novembre
2014, Tarakhel c. Svizzera). Conseguentemente, e' violato l'art. 117,
comma 1, Cost., atteso che  la  giurisprudenza  ora  citata  fa  leva
sull'art. 3 Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    1.5. - E' poi violato l'art. 10, comma 3, Cost., che riconosce il
diritto d'asilo nel territorio nazionale allo straniero al quale  sia
impedito  nel  suo  Paese  l'effettivo   esercizio   delle   liberta'
democratiche. Significative in  proposito  sono  le  statuizioni  del
giudice della nomofilachia, il quale ha costantemente  affermato  che
«la protezione umanitaria costituisce una delle forme  di  attuazione
dell'asilo costituzionale [...], unitamente al  rifugio  politico  ed
alla protezione sussidiaria, evidenziandosi anche in questa  funzione
il carattere aperto e non integralmente tipizzabile delle  condizioni
per il suo riconoscimento, coerentemente con la configurazione  ampia
del   diritto   d'asilo   contenuto   nella   norma   costituzionale,
espressamente riferita all'impedimento nell'esercizio delle  liberta'
democratiche, ovvero ad una  formula  dai  contorni  non  agevolmente
definiti e tutt'ora oggetto di  ampio  dibattito»  (sent.  Cassazione
civ., Sez. I, 23 febbraio 2018, n. 4455). 
    Ebbene: non e' chi non veda che la formula  relativa  ai  «motivi
umanitari» a  fondamento  del  rilascio  del  permesso  di  soggiorno
rispondeva perfettamente alla necessita', imposta dall'art. 10, comma
3, Cost., di approntare ai richiedenti asilo una tutela elastica,  in
quanto  consustanziale  alla  «configurazione   ampia   del   diritto
d'asilo». Venuta  meno  quella  formula,  e'  venuta  meno  anche  la
pienezza  della  relativa  tutela,  relegata  a  singole  fattispecie
tipizzate, per  cio'  solo  inidonee  (come  precisato  dalla  citata
giurisprudenza  di  legittimita')  a   realizzare   le   prescrizioni
costituzionali. 
    1.6. - Non basta. Le disposizioni censurate si pongono  anche  in
contrasto con gli articoli 11 e 117, comma  1,  Cost.  (in  relazione
agli articoli 15, lettera c), e 18  della  direttiva  2011/95/UE  del
Parlamento europeo e del Consiglio  del  13  dicembre  2011,  recante
«norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della
qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status
uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare
della protezione sussidiaria, nonche' sul contenuto della  protezione
riconosciuta»). 
    Per quanto qui interessa, la direttiva in esame stabilisce che: 
        «persona  avente  titolo  a  beneficiare   della   protezione
sussidiaria» e' qualsiasi «cittadino di un paese terzo o apolide  che
non possiede i requisiti per essere riconosciuto come  rifugiato,  ma
nei cui confronti sussistono  fondati  motivi  di  ritenere  che,  se
ritornasse nel paese di origine,  o,  nel  caso  di  un  apolide,  se
ritornasse nel  paese  nel  quale  aveva  precedentemente  la  dimora
abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire  un  grave  danno
come definito all'art. 15, e al  quale  non  si  applica  l'art.  17,
paragrafi 1 e 2, e il quale non puo' o, a causa di tale rischio,  non
vuole avvalersi della protezione di detto  paese»  (art.  2,  lettera
g)); 
        ai  fini  del  possesso  dei  requisiti  per  la   protezione
sussidiaria, e'  considerata  «danno  grave»  la  «minaccia  grave  e
individuale alla vita o alla persona di  un  civile  derivante  dalla
violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato  interno  o
internazionale» (art. 15, lettera c)); 
        gli Stati membri dell'Unione europea «riconoscono  lo  status
di protezione sussidiaria a un cittadino di un paese  terzo  o  a  un
apolide aventi titolo a beneficiare della protezione  sussidiaria  in
conformita' dei capi II e V» (art. 18). 
    Ebbene:  la  disciplina  censurata  e'  gravemente   lesiva   dei
parametri eurounitari poc'anzi richiamati. Essa, infatti, esclude dal
regime  di  protezione  sussidiaria  proprio  le  persone  che,   ove
rientrassero nel Paese di origine, verrebbero esposte alla  «minaccia
grave e individuale alla vita o alla persona di un  civile  derivante
dalla violenza  indiscriminata  in  situazioni  di  conflitto  armato
interno o internazionale». 
    1.7. - Le norme impugnate,  inoltre,  sono  senz'altro  violative
degli articoli 2, 10, comma 2, e 117, comma 1, Cost., in  riferimento
agli articoli 2, 3 e 8 della Convenzione europea per la  salvaguardia
del diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (hinc inde: CEDU)
e agli articoli 6, 10, comma 1, 17, 23 e 24 del Patto  internazionale
sui diritti civili e politici, reso esecutivo in Italia con legge  25
ottobre 1977, n. 881 (hinc inde: Patto). 
    A tal proposito, e' agevole osservare che il diritto al  rispetto
della vita privata e familiare di cui  agli  articoli  8  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali e 17,  23  e  24  del  Patto  sarebbe  irrimediabilmente
compromesso per i  soggetti  esclusi  dal  regime  di  protezione  in
ragione dell'allontanamento dal territorio  italiano.  Essi,  poi,  a
causa della poverta' del Paese di  provenienza,  vedrebbero  messe  a
repentaglio la propria vita e sicurezza alimentare,  con  conseguente
lesione degli articoli 2 e 3 Convenzione europea per la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e 6 e  10,  comma
1, del  Patto  internazionale  sui  diritti  civili  e  politici.  Ne
discende l'ulteriore violazione, sotto  diverso  profilo  rispetto  a
quanto gia' osservato (v. par. 1.4), dell'art. 2  Cost.,  perche'  in
tal modo sono compromessi i diritti inviolabili degli interessati. 
    1.8. - Da ultimo, va osservato che le norme censurate intersecano
sicuramente  gli  ambiti  di  autonomia  finanziaria  riservati  alle
Regioni ai sensi dell'art. 119 Cost. e specificamente garantiti,  per
quanto concerne la Regione ricorrente, dagli articoli  7  e  8  dello
Statuto. 
    A tal proposito, e' sufficiente menzionare l'art.  35,  comma  3,
del decreto legislativo n. 286 del 1998, il quale individua «le  cure
ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorche'
continuative, per malattia ed infortunio» e i «programmi di  medicina
preventiva a salvaguardia della salute individuale e  collettiva»  in
ogni caso garantiti «ai cittadini stranieri presenti  sul  territorio
nazionale, non in regola con le norme  relative  all'ingresso  ed  al
soggiorno». 
    Ai sensi dell'Accordo Stato-regioni n. 255 del 20 dicembre  2012,
poi, le regioni sono tenute  a  rimborsare  le  ASL  territorialmente
competenti degli oneri per le prestazioni sanitarie erogate ai  sensi
dell'art. 35, comma 3, del decreto legislativo n. 286 del 1998. 
    La Regione ricorrente, peraltro, in forza dell'art. 1, comma 836,
della legge n. 296  del  2006,  «dall'anno  2007  [...]  provvede  al
finanziamento  del  fabbisogno  complessivo  del  Servizio  sanitario
nazionale sul proprio territorio senza alcun  apporto  a  carico  del
bilancio dello Stato». 
    Ebbene: 
        in forza delle norme impugnate, il  numero  degli  «stranieri
presenti sul territorio nazionale» e «non  in  regola  con  le  norme
relative all'ingresso ed al soggiorno» e' destinato ad aumentare; 
        di  conseguenza,  poiche'  l'assistenza  sanitaria  di   base
dovrebbe comunque essere assicurata, la spesa sostenuta dalle regioni
per l'erogazione delle prestazioni sanitarie a loro carico  ai  sensi
del citato art. 35, comma 3, decreto legislativo n. 286 del 1998  non
diminuirebbe, mentre diminuirebbe la partecipazione degli  stranieri,
tramite il versamento delle imposte e dei contributi. 
    Ne  consegue,  all'evidenza,   un   ulteriore   (e   illegittimo)
pregiudizio per l'autonomia finanziaria della Regione ricorrente. 
    1.9. - Una censura specifica  e  uno  specifico  svolgimento  dei
motivi  di  ricorso  merita  l'art.  1,  comma  1,  lettera  f),  del
decreto-legge n. 113 del 2018. Esso regola l'ambito  dei  servizi  di
accoglienza per i titolari dei c.d. permessi di soggiorno  per  «casi
speciali», novellando l'art. 18-bis del decreto  legislativo  n.  286
del 1998 con l'inserimento del comma 1-bis. Detto comma 1-bis prevede
che «Il  permesso  di  soggiorno  rilasciato  a  norma  del  presente
articolo reca la dicitura "casi speciali", ha la durata di un anno  e
consente l'accesso ai servizi assistenziali  e  allo  studio  nonche'
l'iscrizione  nell'elenco  anagrafico  previsto   dall'art.   4   del
regolamento di cui al  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  7
luglio 2000, n.  442,  o  lo  svolgimento  di  lavoro  subordinato  e
autonomo, fatti salvi i requisiti minimi di eta'. Alla  scadenza,  il
permesso di  soggiorno  di  cui  al  presente  articolo  puo'  essere
convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro  subordinato
o autonomo, secondo le  modalita'  stabilite  per  tale  permesso  di
soggiorno ovvero in  permesso  di  soggiorno  per  motivi  di  studio
qualora il titolare sia iscritto ad un corso regolare di studi.». 
    Tale disposizione e' illegittima nella parte in cui non  consente
ai titolari di permesso di soggiorno «speciali» l'accesso ai  servizi
sociali  diversi  da  quelli  esplicitamente  menzionati,   ovverosia
«servizi assistenziali» e «studio». 
    In  questo  modo  il  legislatore  statale  ha  manifestamente  e
illegittimamente compresso le attribuzioni regionali quantomeno nelle
materie «assistenza e beneficenza  pubblica»  (art.  4,  lettera  h),
dello  Statuto),  oltre  che  «lavoro»,  «previdenza  ed   assistenza
sociale» (di cui all'art. 5 dello Statuto e al decreto legislativo 10
aprile 2001, n. 180,  recante  «Norme  di  attuazione  dello  Statuto
speciale  della  Regione  Sardegna   recante   delega   di   funzioni
amministrative  alla  Regione  in  materia  di   lavoro   e   servizi
all'impiego»), ambiti nei quali la ricorrente puo' adottare norme  di
integrazione e attuazione per «adattare alle sue particolari esigenze
le disposizioni delle leggi della Repubblica». 
    Ne deriva la violazione non solo dell'art. 4, ma anche  dell'art.
5 dello Statuto  (e  delle  relative  Norme  di  attuazione  indicate
supra), in quanto le disposizioni impugnate sono sia  autoapplicative
che «di dettaglio» e non  lasciano  alla  Regione  alcun  margine  di
discrezionale  determinazione  nell'ottica  di  un  adattamento  alle
specifiche esigenze della ricorrente. 
    Per le stesse ragioni sono violati anche gli articoli 118 Cost. e
6  dello  Statuto  (anche  in  riferimento  alle  Norme   integrative
menzionate nell'epigrafe del presente motivo), in quanto alla Regione
e'  sottratto  ogni  spazio  di  esercizio  delle  sue   attribuzioni
amministrative nelle materie di competenza  concorrente  o  residuale
sopra indicate. 
    Specificamente violato e' l'art. 118, comma 3, Cost.,  in  quanto
la disciplina in esame non  ha  previsto  l'obbligo  dello  Stato  di
concertare con le regioni le modalita' di  assistenza  nei  confronti
dei richiedenti asilo  e/o  protezione  internazionale,  nonche'  nei
confronti dei soggetti gia'  riconosciuti  in  stato  di  «protezione
umanitaria». 
2. - Quanto all'art. 12, comma 1, lettere a), b), c),  d);  comma  2,
lettere a), b), c), d), numeri 1 e 2, e), f), g), h), i), 1), m), n);
comma 3; comma 4; comma 5; comma 5-bis; comma 6; del decreto-legge n.
113 del 2018. Violazione degli articoli 2, 3,  97,  117,  118  e  119
della Costituzione, anche in riferimento all'art. 3 della Convenzione
europea per la salvaguardia del diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali. Violazione degli articoli 3, 4, 5, 6, 7 e 8 della legge
cost. 26 febbraio 1948,  n.  3,  recante  «Statuto  speciale  per  la
Sardegna», anche in  riferimento  al  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 22 maggio 1975, n. 480, recante «Nuove norme di attuazione
dello statuto speciale della regione autonoma della  Sardegna»  e  al
decreto legislativo  17  aprile  2001,  n.  234,  recante  «Norme  di
attuazione dello Statuto  speciale  della  regione  Sardegna  per  il
conferimento di funzioni amministrative, in  attuazione  del  Capo  I
della legge n. 59 del 1997». 
    L'art. 12 del decreto-legge n.  113  del  2018  interviene  sulle
vigenti  disposizioni  relative  al   Sistema   di   protezione   per
richiedenti asilo e rifugiati (Sprar). Come e' noto, lo Sprar  e'  il
servizio costituito dalla rete di centri di accoglienza gestiti dagli
enti locali, che  non  si  limitano  ad  accogliere  i  migranti,  ma
svolgono anche  progetti  e  attivita'  di  istruzione,  integrazione
sociale, informazione, assistenza e orientamento nella costruzione di
percorsi individuali e/o collettivi di  inserimento  socio-economico.
Ne consegue che: 
        le  funzioni  dei  centri  SPRAR  non  sono  in  alcun   modo
sovrapponibili  ne'  riducibili  a  quelle  degli  altri  centri  che
gestiscono  il  fenomeno  migratorio  e  dei  richiedenti  asilo  e/o
protezione internazionale (c.d. «hot spot», CARA o CAS); 
        nella prospettiva del  riparto  di  competenze  tra  Stato  e
regioni, l'attivita' svolta dallo SPRAR e'  certamente  riconducibile
alle competenze regionali; 
        in particolare (e fermo  restando  quanto  osservato  in  via
generale  nella  premessa  del  presente  gravame),  l'attivita'  (e,
dunque, la disciplina) dei centri SPRAR e' del  tutto  estranea  alle
«politiche di programmazione dei flussi di ingresso  e  di  soggiorno
nel territorio nazionale», concernendo i diversi ambiti del  «diritto
allo  studio  o  all'assistenza  sociale»,  nonche'  delle  politiche
abitative, ambiti «attribuiti alla competenza concorrente e residuale
delle  regioni»  (per  riprendere  le  parole  delle  sentenze  Corte
costituzionale, nn. 134 e 299 del 2010). 
    Il servizio di accoglienza SPRAR e' stato  fortemente  modificato
dalle norme censurate, tanto che l'art. 12,  comma  4,  ne  ha  anche
mutato il nome in  «Sistema  di  protezione  per  richiedenti  asilo,
rifugiati e minori stranieri non accompagnati». 
    In particolare, l'articolo in esame interviene sulla  platea  dei
beneficiari dei  servizi  di  accoglienza  sul  territorio  che  sono
prestati dagli enti locali:  i  servizi  di  accoglienza  sono  stati
riservati   ai   titolari   delle   vigenti   forme   di   protezione
internazionale,  ivi  compresi  quelli  «speciali»  introdotti  dallo
stesso decreto-legge n. 113 del 2018 ai  novellati  articoli  18-bis,
19, comma 2, lettera d-bis), 22, comma  12-quater,  20-bis  e  42-bis
(permesso  di  soggiorno  per  vittime  di  violenza  domestica,  per
soggetti in condizioni di salute di eccezionale gravita', per vittime
di particolare sfruttamento lavorativo, per calamita',  per  soggetti
che hanno compiuto atti di particolare valore civile),  e  ai  minori
stranieri  non  accompagnati.  Sono  stati   invece   esclusi   dalla
possibilita' di usufruire  dei  relativi  servizi  i  richiedenti  la
protezione internazionale, oltre  che  i  possessori  dei  precedenti
permessi «per motivi umanitari» oggi soppressi. 
    Ne consegue che, allo stato, molti soggetti accolti  dagli  Sprar
dovranno   lasciarli,   nonostante   abbiano   gia'    ottenuto    il
riconoscimento del diritto alla «protezione umanitaria». 
    2.1. - Cio' detto in via  di  premessa  generale,  e'  necessario
esaminare nel dettaglio il  contenuto  delle  disposizioni  impugnate
(nei limiti di quanto qui d'interesse). 
    Il comma 1 modifica l'art. 1-sexies del decreto-legge n. 416  del
1989. 
    La  lettera  a)  ne  ha  riscritto  il  primo  comma.  La   nuova
formulazione esclude i «richiedenti asilo» dal  novero  dei  soggetti
che possono essere accolti dai  servizi  di  accoglienza  degli  enti
locali  e  include  solo  i  soggetti  gia'  titolari  dei   permessi
«speciali» di soggiorno introdotti dal decreto-legge n. 113 del 2018. 
    La lettera b) ne ha modificato  il  comma  4,  circoscrivendo  il
meccanismo di «coordinamento» tra Ministero ed enti locali in materia
di accoglienza  alla  sola  tutela  dei  soggetti  gia'  titolari  di
protezione  internazionale  e  dei  minori  non   accompagnati,   con
esclusione  dei  richiedenti  asilo,   dei   richiedenti   protezione
internazionale e dei soggetti  titolari  del  soppresso  permesso  di
soggiorno per ragioni umanitarie. 
    La lettera c) ne ha novellato il comma 5, lettera a),  prevedendo
che  il  servizio  centrale  del  meccanismo  di  coordinamento   sia
competente a monitorare la presenza sul territorio dei soggetti  gia'
titolari di protezione internazionale e dei minori non  accompagnati,
con esclusione dei  richiedenti  asilo,  dei  richiedenti  protezione
internazionale e dei soggetti  titolari  del  soppresso  permesso  di
soggiorno per ragioni umanitarie. 
    La lettera d) ha riscritto la rubrica dell'art.  1-sexies,  cosi'
da non menzionare i soggetti esclusi dal servizio di accoglienza. 
    Il comma 2 reca varie modifiche al decreto legislativo n. 142 del
2015. 
    In particolare, le lettere da a) a e) intervengono sugli articoli
5, 8, 9, 11 e 12 del decreto legislativo n. 142 del 2015,  nel  senso
di espungere tutti i riferimenti all'art.  14  del  medesimo  decreto
legislativo n. 142 del 2015, che regola  il  sistema  di  accoglienza
territoriale per richiedenti asilo  e  rifugiati,  cosi'  da  ridurre
significativamente l'ambito di operativita' di tale sistema. 
    La lettera f) novella proprio il suddetto  art.  14  del  decreto
legislativo n. 142 del 2015. In particolare: 
        il n. 1 novella il comma 1, cosi' da escludere il richiedente
asilo e/o protezione internazionale dall'accesso al sistema Sprar; 
        il n. 2, abrogando il comma  2,  sopprime  il  meccanismo  di
richiesta di contributo economico da parte degli enti locali  per  la
realizzazione dei servizi di accoglienza Sprar; 
        il n. 3, novellando il comma 3, stabilisce che l'accesso  del
richiedente ai centri diversi dallo Sprar (CARA e CAS) e' limitato ai
soggetti che si dichiarano privi di mezzi di sussistenza.  In  questo
modo si «dirottano» i richiedenti verso i  centri  che  non  svolgono
attivita' di integrazione socio-assistenziale; 
        il n. 4 modifica il comma 4, sopprimendo  il  riferimento  al
comma 1, per ragioni di coordinamento formale del testo novellato; 
        il n. 5  novella  la  rubrica  dell'art.  14,  espungendo  il
riferimento  al  «Sistema  di  protezione  per  richiedenti  asilo  e
rifugiati». 
    La lettera g) modifica l'art. 15 del decreto legislativo  n.  142
del  2015,  che  regola  le  modalita'  di  accesso  al  sistema   di
protezione. 
    Il n. 1 abroga i commi 1 e 2, che regolavano il  procedimento  di
esame della domanda di accesso allo Sprar da parte  della  Prefettura
UTG  competente  e  la  sua  evasione  mediante  collocazione   nelle
strutture disponibili all'interno del sistema. 
    Il n. 2 novella la rubrica  dell'articolo  (prima  «Modalita'  di
accesso  al  sistema  di  accoglienza  territoriale  -   Sistema   di
protezione per richiedenti asilo e  rifugiati»,  ora  «Individuazione
della struttura di accoglienza»). 
    La lettera h) modifica l'art. 17 del decreto legislativo  n.  142
del 2015, che regola l'accoglienza  delle  persone  portatrici  delle
c.d. «esigenze particolari». 
    Il n. 1 abroga il comma 4, che  istituiva  i  «servizi  speciali»
degli Sprar per le persone portatrici di «esigenze particolari». 
    Il n. 2 modifica il comma 6, espungendo il richiamo al precedente
comma 4, ora abrogato. 
    La lettera i) modifica l'art. 20 del decreto legislativo  n.  142
del  2015,  che  regola  l'attivita'  di  monitoraggio  e  controllo,
espungendo il riferimento all'attivita' di monitoraggio del  servizio
di  coordinamento  tra  Ministero  e  Enti  locali  di  cui  all'art.
1-sexies, comma 4, del decreto-legge n. 416  del  1989  (disposizione
novellata dal comma 1 dell'art. 12 del decreto-legge n. 113 del 2018,
come sopra indicato), nonche' sopprimendo l'attivita' di monitoraggio
sui centri Sprar. 
    La lettera l) abroga l'art. 22, comma 3, del decreto  legislativo
n. 142 del 2015, che consentiva ai soggetti accolti nei centri  Sprar
di «frequentare  corsi  di  formazione  professionale,  eventualmente
previsti dal programma dell'ente locale dedicato all'accoglienza  del
richiedente». 
    La lettera m) modifica l'art. 22-bis, commi 1 e  3,  del  decreto
legislativo n. 142 del 2015, stabilendo che  la  partecipazione  alle
attivita' di  utilita'  sociale  non  e'  consentita  ai  richiedenti
protezione internazionale, ma solo  ai  soggetti  gia'  titolari  dei
permessi di protezione internazionale. 
    La lettera n) modifica l'art. 23 del decreto legislativo  n.  142
del 2015, che regola  la  revoca  delle  condizioni  di  accoglienza,
escludendo il riferimento all'art. 14,  che  disciplina  il  servizio
degli Sprar. 
    Il comma 3 modifica il decreto legislativo n. 25 del 2008. 
    La lettera a) modifica l'art. 4, comma 5, del decreto legislativo
n. 25 del 2008, cancellando dai criteri che definiscono la competenza
per territorio delle Commissioni territoriali che  esaminano  domanda
di   protezione   internazionale   dei   richiedenti   quello   della
collocazione  nel  centro  Sprar,  mentre  la  lettera  b)  inserisce
disposizioni di coordinamento sui portatori di esigenze speciali. 
    Il comma 4 dispone che «Le definizioni di "Sistema di  protezione
per richiedenti asilo e rifugiati" ovvero di "Sistema  di  protezione
per richiedenti asilo, rifugiati e minori stranieri non accompagnati"
di cui all'art. 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989,  n.  416
[...], ovunque presenti, in disposizioni di legge o  di  regolamento,
si intendono sostituite dalla seguente: "Sistema  di  protezione  per
titolari di protezione internazionale  e  per  minori  stranieri  non
accompagnati" di cui all'art. 1-sexies del decreto-legge 30  dicembre
1989, n. 416 [...], e successive modificazioni». 
    Il comma 5 stabilisce  che  «I  richiedenti  asilo  presenti  nel
Sistema di protezione di cui all'art. 1-sexies del  decreto-legge  30
dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge  28
febbraio 1990, n. 39, alla data di entrata  in  vigore  del  presente
decreto, rimangono in accoglienza fino alla scadenza del progetto  in
corso, gia' finanziato». 
    Il comma 5-bis dispone che «I minori non accompagnati richiedenti
asilo al compimento della maggiore  eta'  rimangono  nel  Sistema  di
protezione di cui al comma 4 fino alla definizione della  domanda  di
protezione internazionale». 
    Il comma 6 stabilisce che «I titolari  di  protezione  umanitaria
presenti nel Sistema di  protezione  di  cui  all'art.  1-sexies  del
decreto-legge   30   dicembre   1989,   n.   416,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990,  n.  39,  alla  data  di
entrata in vigore del presente decreto, rimangono in accoglienza fino
alla scadenza del periodo temporale previsto  dalle  disposizioni  di
attuazione sul funzionamento del medesimo  Sistema  di  protezione  e
comunque non oltre la scadenza del progetto di accoglienza». 
    2.2.  -  Come  si  evince   pianamente   gia'   dalla   sintetica
illustrazione di cui sopra, gli effetti prodotti  dalle  disposizioni
dell'art. 12 qui in esame (restando non censurati i commi 1,  lettere
a-bis) e a-ter); 2, lettera d), n. 1-bis; 7) sono i seguenti: 
        i servizi socio-assistenziali, formativi  e  di  integrazione
sono riservati ai minori non accompagnati e ai titolari di protezione
internazionale, con esclusione dei titolari  del  «vecchio»  permesso
per motivi umanitari; 
        i richiedenti protezione internazionale sono esclusi da  tali
servizi, essendo la loro accoglienza affidata ai centri CARA  e  CAS,
che si limitano al loro sostentamento; 
        al termine dei progetti  gia'  finanziati,  i  soggetti  gia'
inseriti negli Sprar saranno di fatto espulsi da quei centri; 
        i richiedenti protezione saranno ri-allocati presso i CARA  e
CAS,  mentre  i  titolari  del  «vecchio»  permesso  per   protezione
umanitaria, ancorche' non ancora in grado di sostentarsi, non avranno
alcun ricollocamento; 
        questi ultimi, ovviamente, andranno a gravare sui servizi  di
integrazione e socio-assistenziali «comuni» (ovverosia dedicati  alla
generalita' della popolazione residente),  predisposti  e  finanziati
dagli enti locali e dalle regioni. 
    2.3. - L'illegittimita' costituzionale delle disposizioni qui  in
esame  e  la  contestuale  lesione  delle  competenze  legislative  e
amministrative della Regione ricorrente e' evidente. 
    Il legislatore statale, infatti, attraverso la riforma del centri
di accoglienza Sprar, la soppressione dei servizi socio-assistenziali
e formativi ai richiedenti protezione internazionale e -  circostanza
che merita una specifica menzione - ai minori accompagnati e il  loro
contestuale inserimento nei CARA o CAS,  impedisce  alla  Regione  di
esercitare  le  sue  attribuzioni   nelle   materie   di   competenza
concorrente «istruzione», «formazione professionale»,  «promozione  e
organizzazione di attivita'  culturali»,  nonche'  nelle  materie  di
competenza  regionale  residuale   «servizi   sociali»,   «assistenza
sociale», «diritto allo studio», «politiche abitative». 
    Si  badi:  le  regioni  non  solo  devono  scontare   il   totale
«disimpegno» organizzativo e finanziario dello Stato dai programmi di
integrazione per i richiedenti protezione internazionale e  i  minori
accompagnati (circostanza  gia'  di  per  se'  idonea  a  violare  le
segnalate competenze regionali), ma sono anche di fatto e di  diritto
impossibilitate a svolgere quelle attivita', in quanto nei CARA e nei
CAS (che sono centri gestiti  dall'Amministrazione  statale)  non  e'
previsto lo svolgimento di alcuna attivita' socio-assistenziale. Tale
circostanza rende evidente che le disposizioni  in  esame  cancellano
integralmente le competenze legislative regionali sopra indicate. 
    Ne deriva la violazione non solo  degli  articoli  3  e  4  dello
Statuto - oltre che dell'art. 117,  comma  4,  Cost.  -  ,  ma  anche
dell'art. 5 dello Statuto sardo e dell'art. 117, comma 3,  Cost.,  in
quanto le disposizioni impugnate sono  sia  autoapplicative  che  «di
dettaglio» e non lasciano alla Regione alcun margine di discrezionale
determinazione nell'ottica di un adattamento alle specifiche esigenze
della ricorrente. 
    Per le stesse ragioni sono violati anche gli articoli 118 Cost. e
6 dello Statuto, in quanto alla Regione e' sottratto ogni  spazio  di
esercizio delle sue  attribuzioni  amministrative  nelle  materie  di
competenza sopra indicate. 
    Specificamente violato e' l'art. 118, comma 3, Cost.,  in  quanto
la disciplina in esame non  ha  previsto  l'obbligo  dello  Stato  di
concertare con le regioni le modalita' di  assistenza  nei  confronti
dei richiedenti asilo  e/o  protezione  internazionale,  nonche'  nei
confronti dei soggetti gia'  riconosciuti  in  stato  di  «protezione
umanitaria». 
    Gli articoli 117, commi 3 e 4, e 118 Cost. e gli articoli 3, 4, 5
e 6 dello Statuto sono violati anche in riferimento al  principio  di
tutela dei diritti inviolabili ex  art.  2  Cost.,  al  principio  di
ragionevolezza ex art. 3 Cost., al principio del buon andamento della
pubblica amministrazione ex art. 97 Cost., al dovere di adempiere gli
obblighi derivanti dai trattati internazionali ex art. 117, comma  1,
Cost., in relazione all'art. 3 della Convezione EDU. In particolare: 
        l'espulsione del titolare del «vecchio» permesso di soggiorno
per protezione umanitaria dal sistema  di  accoglienza  senza  alcuna
verifica della sua capacita' di auto-sostentarsi e' al di sotto dello
standard minimo di protezione dei diritti inviolabili  dell'uomo  (in
quanto compromette il minimo di sostegno sociale dovuto  a  qualunque
essere umano); e' del tutto irragionevole (perche' tratta allo stesso
modo situazioni personali anche assai  differenziate),  e'  violativa
del principio del legittimo  affidamento  e  del  principio  di  buon
andamento della pubblica  amministrazione,  in  quanto  vanifica  gli
sforzi (anche finanziari) sostenuti dagli enti coinvolti nel  sistema
Sprar per l'integrazione socio-assistenziale del migrante  e  scarica
il  costo  economico-sociale  del  migrante  sugli  ordinari  servizi
socio-assistenziali approntati e finanziati  dalle  regioni  e  dagli
enti locali, di bel nuovo con illegittima compressione dell'autonomia
legislativa, amministrativa e finanziaria regionale (visto che  anche
gli oneri finanziari di simili attivita' gravano sulle regioni); 
        secondo la giurisprudenza della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo (per tutte v. le sentt. 21 gennaio 2011, M.S.S. c. Grecia e
Belgio,  e  4  novembre  2014,  Tarakhel  c.  Svizzera)   costituisce
trattamento degradante violativo dell'art. 3 della Convezione EDU  la
cessazione dei servizi di accoglienza gia' avviati nei  confronti  di
soggetti definiti «vulnerabili», quali  sono,  nella  specie,  sia  i
richiedenti asilo  sia,  a  piu'  forte  ragione,  coloro  che  hanno
ottenuto  il  «vecchio»  permesso   di   soggiorno   per   protezione
umanitaria.  La  compressione  dell'autonomia  regionale  per  questi
soggetti, dunque, risulta ancor piu' ingiustificata e illegittima. 
    2.4. - Da ultimo, anche  per  tuziorismo,  prevenendo  la  stessa
ipotesi  di  un'eccezione  d'inammissibilita'   della   censura   per
oscurita' del petitum, si specifica di seguito l'intervento richiesto
a codesta ecc.ma Corte: 
        quanto al comma 1,  lettera  a),  si  chiede  di  dichiararne
l'illegittimita' costituzionale nella parte in  cui  prevede  che  il
comma 1 dell'art. 1-sexies del decreto-legge n. 416 sia  «sostituito»
dal testo di  cui  al  n.  1  della  medesima  lettera  a),  anziche'
«integrato»  da  quel  testo,  affinche'  il   servizio   Sprar   sia
accessibile alla platea dei soggetti eleggibili in ragione sia  della
previgente che della nuova disciplina dei permessi di soggiorno; 
        quanto al comma 1, lettere b), c)  e  d),  se  ne  chiede  la
caducazione con un  semplice  intervento  ablativo,  con  conseguente
espansione  delle  competenze   del   meccanismo   di   coordinamento
all'intera platea dei soggetti ammissibili al servizio  Sprar  e  con
ripristino della precedente rubrica dell'art. 1 -sexies; 
        quanto al comma  2,  se  ne  chiede  la  caducazione  con  un
semplice  intervento  ablativo,  con  conseguente  espansione   delle
competenze del servizio Sprar; 
        quanto al comma  3,  se  ne  chiede  la  caducazione  con  un
semplice intervento ablativo, con conseguente ripristino del criterio
di  competenza  delle  Commissioni  territoriali  di  evasione  delle
domande di richiesta di protezione in connessione con l'attivita' del
servizio Sprar; 
        quanto al comma  4,  se  ne  chiede  la  caducazione  con  un
semplice  intervento  ablativo,  con  conseguente  ripristino   della
denominazione del servizio Sprar; 
        parimenti, si chiede la semplice ablazione dei commi 5, 5-bis
e 6, che prevedono il limite temporale di  accoglienza  dei  soggetti
gia' inseriti nei centri Sprar e che il decreto-legge n. 113 del 2018
qualifica come non piu' accoglibili. 
3. - Quanto all'art. 13, comma 1,  lettera  a),  n.  2,  lettera  b),
lettera c), del decreto-legge  n.  113  del  2018.  Violazione  degli
articoli 3, 97, 117, commi 3 e  4,  118  e  119  della  Costituzione.
Violazione degli articoli 3, 4, 5, 6, 7 e  8  della  legge  cost.  26
febbraio 1948, n. 3, recante  «Statuto  speciale  per  la  Sardegna»,
anche in riferimento al decreto del Presidente  della  Repubblica  22
maggio 1975, n. 480, recante «Nuove norme di attuazione dello statuto
speciale  della  Regione  autonoma  della  Sardegna»  e  al   decreto
legislativo 17 aprile 2001, n.  234,  recante  «Norme  di  attuazione
dello Statuto speciale della Regione Sardegna per il conferimento  di
funzioni amministrative, in attuazione del Capo I della legge  n.  59
del 1997». Violazione degli articoli 2, 3, 10, comma 3, 117, comma 1,
della Costituzione, anche con riferimento all'art. 2,  comma  1,  del
Protocollo 4 allegato alla Convenzione europea  per  la  salvaguardia
del diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali  e  all'art.  12,
comma 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici. 
    Come segnalato in narrativa, l'art. 13 del decreto-legge  n.  113
del  2018  -  rubricato  «Disposizioni  in  materia   di   iscrizione
anagrafica» -, nella parte che qui interessa, restando non  censurato
il comma 1, lettera a), n. 1, ha modificato gli  articoli  4  e  5  e
abrogato l'art.  5-bis  del  decreto  legislativo  n.  142  del  2015
(«Attuazione  della  direttiva  2013/33/UE  recante  norme   relative
all'accoglienza dei richiedenti  protezione  internazionale,  nonche'
della direttiva 2013/32/UE, recante  procedure  comuni  ai  fini  del
riconoscimento  e   della   revoca   dello   status   di   protezione
internazionale»). 
    Piu' specificamente, e per quanto qui rileva, l'art. 4 del citato
decreto legislativo n. 142 del 2015,  al  comma  1,  prevede  che  al
richiedente sia rilasciato «un permesso di  soggiorno  per  richiesta
asilo valido nel territorio nazionale per sei mesi, rinnovabile  fino
alla decisione della domanda o  comunque  per  il  tempo  in  cui  e'
autorizzato a rimanere nel territorio nazionale  ai  sensi  dell'art.
35-bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25». 
    A tale previsione l'art. 13, comma  1,  lettera  a),  n.  1,  del
decreto-legge n. 113 del 2018 ha aggiunto la seguente:  «Il  permesso
di  soggiorno  costituisce  documento  di  riconoscimento  ai   sensi
dell'art. 1, comma 1, lettera c), del decreto  del  Presidente  della
Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445». 
    Subito dopo e' stato inserito - a opera dell'art.  13,  comma  1,
lettera a), n. 2 - il comma 1-bis, a tenor del quale «Il permesso  di
soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo  per  l'iscrizione
anagrafica ai sensi del decreto del Presidente  della  Repubblica  30
maggio 1989, n. 223, e dell'art. 6, comma 7, del decreto  legislativo
25 luglio 1998, n. 286.». 
    Lo stesso art.  13,  al  comma  1,  lettera  b),  n.  1,  ha  poi
sostituito il comma 3 dell'art. 5 del decreto legislativo n. 142  del
2015, disponendo che «l'accesso  ai  servizi  previsti  dal  presente
decreto e a quelli comunque erogati sul  territorio  ai  sensi  delle
norme vigenti e' assicurato nel luogo  di  domicilio  individuato  ai
sensi dei commi 1 e 2». 
    3.1. - Orbene: dal combinato disposto degli enunciati  richiamati
discende  che  il  permesso  di  soggiorno  per  richiesta  di  asilo
costituisce un documento di riconoscimento ai fini  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, ma  non  un  titolo  per
l'iscrizione anagrafica ai sensi del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 223 del 1989  e  dell'art.  6,  comma  7,  del  decreto
legislativo n. 286 del 1998. 
    Per l'effetto, il titolare di permesso di soggiorno per richiesta
di protezione internazionale di cui all'art. 4, comma 1,  del  citato
decreto legislativo n. 142  del  2015,  non  potra'  essere  iscritto
all'anagrafe dei residenti. 
    Nondimeno, in virtu' dell'art. 5, comma 3, del  medesimo  decreto
legislativo - per come novellato dall'art. 13  del  decreto-legge  n.
113 del 2018  -  il  richiedente  continuera'  ad  avere  accesso  ai
«servizi» previsti dal decreto legislativo n. 142 del 2015 e a quelli
«comunque erogati sul territorio» nel luogo di domicilio. 
    Non sfuggira', pero', che la gran parte dei servizi previsti  dal
decreto legislativo n. 142 del 2015 e' erogata attraverso il  diretto
coinvolgimento di regioni ed enti locali e interseca  una  pluralita'
di materie di competenza esclusiva , concorrente o integrativa  della
Regione autonoma della Sardegna. 
    A mero titolo esemplificativo basti considerare che tra i servizi
previsti dal decreto legislativo n. 142 del 2005, comunque  garantiti
ai richiedenti, rientrano: 
        l'«accesso all'assistenza sanitaria secondo  quanto  previsto
dall'art. 34 del decreto legislativo 25 luglio 1998,  n.  286,  fermo
restando l'applicazione dell'art. 35 del medesimo decreto legislativo
nelle more dell'iscrizione al servizio  sanitario  nazionale»  (cosi'
l'art. 21, comma 1), con ovvia  incidenza  nella  materia  «igiene  e
sanita' pubblica»; 
        la soggezione «all'obbligo scolastico, ai sensi dell'art.  38
del decreto  legislativo  25  luglio  1998,  n.  286»  per  i  minori
richiedenti protezione internazionale o i minori figli di richiedenti
protezione  internazionale,  nonche'  l'accesso  «ai  corsi  e   alle
iniziative per l'apprendimento della lingua italiana di cui al  comma
2 del medesimo articolo» (cosi' l'art. 21,  comma  2),  con  evidente
intreccio con la materia «istruzione»; 
        la possibilita' «di svolgere attivita' lavorativa» (art.  22,
comma 1), che involge inevitabilmente la materia del «lavoro»; 
        la partecipazione ad «attivita' di  utilita'  sociale»  (art.
22-bis). 
    Per tali ragioni (e per quelle gia' indicate,  in  via  generale,
nella premessa del presente gravame)  le  censure  di  illegittimita'
costituzionale che nel prosieguo si articoleranno sono  -  oltre  che
fondate - certamente ammissibili. 
    3.2. - Muovendo dalla  prospettiva  delle  prerogative  regionali
menomate, l'art. 13, del decreto-legge n. 113 del 2018 - a  eccezione
del suo comma 1, lettera a), n. 1  -  e'  anzitutto  violativo  degli
articoli 2, 3, 97, 117, commi 3 e 4, 118 e 119 Cost.,  nonche'  degli
articoli 3, 4, 5, 6, 7 e 8 dello Statuto. 
    Come accennato supra, infatti,  la  norma  censurata  formalmente
proclama che i richiedenti  asilo  mantengono  l'accesso  ai  servizi
«comunque garantiti» sul territorio in cui sono  domiciliati,  ma  al
contempo  preclude  loro  l'iscrizione  all'anagrafe  dei  residenti,
iscrizione che costituisce il necessario presupposto per il godimento
di numerose prestazioni erogate dalle regioni e/o dagli enti locali. 
    Il punto e' ribadito anche nella Relazione  di  presentazione  al
disegno di legge di conversione del decreto-legge n.  113  del  2018,
ove si sottolinea che «L'esclusione dall'iscrizione all'anagrafe  non
pregiudica  l'accesso  ai  servizi  riconosciuti  dalla  legislazione
vigente ai  richiedenti  asilo  (iscrizione  al  servizio  sanitario,
accesso  al  lavoro,  iscrizione  scolastica  dei  figli,  misure  di
accoglienza)  che  si  fondano  sulla  titolarita'  del  permesso  di
soggiorno»  e  che  «l'esclusione   dall'iscrizione   anagrafica   si
giustifica per la precarieta' del  permesso  per  richiesta  asilo  e
risponde alla necessita' di definire  preventivamente  la  condizione
giuridica del richiedente». 
    In disparte la patente contraddittorieta' della norma  -  di  cui
appresso si dira' - occorre segnalare che la  disposizione  in  esame
impone alle regioni, alternativamente, di: 
        escludere  dall'erogazione  di  servizi   e   prestazioni   i
richiedenti asilo, in violazione dei principi  dettati  dallo  stesso
legislatore statale nel decreto legislativo n. 142 del 2015; 
        modificare la corrispondente normativa regionale in  modo  da
garantire - a spese delle regioni medesime, s'intende  -  determinati
servizi  e  prestazioni  anche  ai  non  iscritti  all'anagrafe   dei
residenti. 
    L'esito e', in entrambi  i  casi,  paradossale  e  in  ogni  caso
violativo delle prerogative regionali garantite agli articoli 3, 4  e
5 dello Statuto. 
    Le norme teste' menzionate, infatti, fondano - nell'ordine  -  le
competenze legislative esclusive,  concorrenti  e  integrative  della
Regione  autonoma  della  Sardegna,  tutte  indebitamente   compresse
dall'art. 13 qui gravato. Esso, come visto, impone  alla  Regione  di
esercitare nuovamente  la  sua  competenza  legislativa  in  modo  da
fornire ora anche ai non residenti i servizi  garantiti  dal  decreto
legislativo n.  142  del  2015.  Tanto,  per  il  sol  fatto  che  il
legislatore statale, da un lato, impedisce ai  richiedenti  asilo  di
iscriversi all'anagrafe dei residenti e, dall'altro,  prevede  -  ne'
potrebbe fare altrimenti - che  taluni  servizi  gli  siano  comunque
erogati  (da  parte,  appunto,  di  regioni  ed  enti   locali).   La
ricorrente, in  buona  sostanza,  sara'  costretta  a  modificare  la
propria  legislazione  in  materie  come  l'«edilizia»,  l'«igiene  e
sanita' pubblica», l'«assistenza e beneficenza pubblica» ove  -  come
emerso in  premessa  -  la  residenza  costituisce  quasi  sempre  il
presupposto per  il  riconoscimento  di  determinati  benefici  o  la
fruizione di taluni servizi. Non puo' non segnalarsi,  peraltro,  che
tali violazioni ridondano anche in lesione dell'autonomia finanziaria
regionale, di cui agli articoli 119 Cost., 7 e  8  dello  Statuto,  e
risultano in contrasto  col  principio  di  economicita'  dell'azione
amministrativa, imposto dall'art. 97 Cost., e al  quale  soggiacciono
anche le regioni. 
    Non sfugge infatti che, da  un  lato,  la  Regione  e'  tenuta  a
garantire anche ai titolari di permesso di soggiorno per richiesta di
asilo i servizi erogati sul proprio territorio, ma,  dall'altro,  non
puo' - stante l'impossibilita' della loro iscrizione  all'anagrafe  -
considerare costoro partecipi a pieno titolo, anche sotto il  profilo
dei doveri tributari, contributivi,  etc.,  della  sua  comunita'  di
residenti. 
    Parimenti violati dalle norme qui censurate sono gli articoli 118
Cost. e 6 dello Statuto, atteso che il suddetto divieto di iscrizione
anagrafica impedisce ai comuni anche di erogare ai richiedenti  asilo
i  servizi  e  le  prestazioni  che  richiedano,  quale  presupposto,
l'iscrizione  all'anagrafe  dei  residenti,  incidendo  in  tal  modo
nell'esercizio delle funzioni  amministrative  loro  spettanti  nelle
materie di competenza regionale sopra menzionate e qui rilevanti. 
    3.3. - Non basta. L'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  13
dev'essere rilevata anche sotto un altro profilo. La norma e' infatti
certamente violativa anche degli articoli 3 e 10, comma 3, Cost. 
    Impedendo l'iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, infatti,
il legislatore ha riservato un trattamento diverso - e deteriore -  a
una particolare categoria di stranieri, creando  una  discriminazione
del tutto irragionevole in quanto fondata esclusivamente sul  diverso
tipo di permesso di soggiorno posseduto. Dato, questo, che certamente
non puo' giustificare la limitazione in parola, tanto piu'  se,  come
nel caso di specie, e'  direttamente  la  Costituzione  all'art.  10,
comma 3, a prevedere che «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo
paese l'effettivo esercizio  delle  liberta'  democratiche  garantite
dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio  della
Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge». 
    Codesta ecc.ma Corte ha peraltro ormai chiarito che «Il principio
di eguaglianza comporta che a  una  categoria  di  persone,  definita
secondo  caratteristiche  identiche  o  ragionevolmente  omogenee  in
relazione  al  .fine  obiettivo  cui  e'  indirizzata  la  disciplina
normativa considerata, deve essere imputato un trattamento  giuridico
identico    od    omogeneo,    ragionevolmente    commisurato    alle
caratteristiche essenziali in ragione delle quali e'  stata  definita
quella determinata categoria di persone». Viceversa, «ove i  soggetti
considerati  da  una  certa  norma,  diretta   a   disciplinare   una
determinata fattispecie, diano luogo a una classe di  persone  dotate
di caratteristiche non omogenee rispetto al fine obiettivo perseguito
con il trattamento giuridico ad essi riservato, quest  'ultimo  sara'
conforme al principio di eguaglianza soltanto nel  caso  che  risulti
ragionevolmente   differenziato   in    relazione    alle    distinte
caratteristiche proprie delle sottocategorie di  persone  che  quella
classe compongono» (sent. n. 163 del 1993). 
    Orbene, nel caso di specie e' di piana evidenza che la previsione
di un trattamento diverso per la sola categoria dei richiedenti asilo
non  trova  una  giustificazione  ragionevole  nella  sussistenza  di
eventuali profili di differenziazione dai titolari di altri  tipi  di
permesso  di  soggiorno   (ivi   compresi   quelli   introdotti   dal
decreto-legge n. 113 del 2018). 
    Priva di pregio e' l'affermazione - che si legge nella  Relazione
che  accompagna  il  d.d.l.  di  conversione   -   che   l'esclusione
dall'iscrizione anagrafica si giustificherebbe  «per  la  precarieta'
del permesso per richiesta asilo». E' vero, infatti, che quest'ultimo
ha durata semestrale (ex art. 4, comma 1, del decreto legislativo  n.
142 del 2015), ma e' parimenti vero che la medesima durata semestrale
hanno anche - per citarne solo alcuni - il permesso  «per  calamita'»
(di cui all'art. 20-bis del testo unico Immigrazione) o  il  permesso
di soggiorno per motivi di protezione sociale (di cui all'art. 18 del
medesimo T.U.). 
    Solo il primo,  pero',  preclude  l'iscrizione  all'anagrafe  dei
residenti. 
    3.4. - La norma impugnata e' certamente  violativa,  dal  ultimo,
anche degli articoli 2, 3 e 117, comma 1, Cost.  in  riferimento  sia
all'art. 2, comma 1, del Protocollo n. 4  allegato  alla  Convenzione
europea per la salvaguardia del diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, a tenor del quale «chiunque si trovi  regolarmente  sul
territorio di uno Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e  di
scegliervi liberamente la propria residenza», sia all'art. 12,  comma
1, del Patto internazionale  sui  diritti  civili  e  politici,  reso
esecutivo in Italia con  legge  25  ottobre  1977,  n.  881,  laddove
dispone che «Ogni individuo che si trovi legalmente nel territorio di
uno Stato ha diritto alla liberta' di movimento e  alla  liberta'  di
scelta della residenza in quel territorio». 
    L'irragionevole preclusione dell'iscrizione dei richiedenti asilo
all'anagrafe dei residenti mina irrimediabilmente anche  le  garanzie
previste   dalle   fonti   sovranazionali   richiamate,    gravemente
compromettendo il diritto (garantito dagli articoli 2 e 3  Cost.)  al
riconoscimento pubblico del reale rapporto fra persona  e  territorio
dello Stato (e dei suoi Comuni), essendo consustanziale alla dignita'
dell'uomo la titolarita' dello  status  pubblicisticamente  rilevante
che corrisponde alle condizioni di fatto in cui ci si trova. 
4. - Quanto all'art. 28, comma 1, del decreto-legge n. 113 del  2018.
Violazione degli articoli 3, 5, 23, 25, 27, 97, 114,  117,  comma  1,
della Costituzione, in riferimento agli articoli 6  e  7  Convenzione
europea per la salvaguardia del diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali; 117, commi 2 e 3; 118, commi 1 e 2; 119 e 120, comma 2,
della Costituzione. Violazione degli articoli 3, 4, 5, 6, 7, 8, 44  e
46 della legge  cost.  26  febbraio  1948,  n.  3,  recante  «Statuto
speciale  per  la  Sardegna»,  anche  in   riferimento   al   decreto
legislativo 17 aprile 2001, n.  234,  recante  «Norme  di  attuazione
dello Statuto speciale della Regione Sardegna per il conferimento  di
funzioni amministrative, in attuazione del Capo I della legge  n.  59
del 1997». 
    L'art. 28, comma 1, del decreto-legge n.  113  del  2018  novella
l'art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000,  n.  267  (recante
«Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli  enti  locali»:  hinc
inde anche TUEL), inserendovi un comma 7  -bis,  a  tenor  del  quale
«Nell'ipotesi di cui al comma 7, qualora dalla relazione del prefetto
emergano, riguardo ad uno o piu' settori  amministrativi,  situazioni
sintomatiche  di  condotte  illecite  gravi  e  reiterate,  tali   da
determinare un'alterazione delle procedure e da compromettere il buon
andamento  e  l'imparzialita'  delle   amministrazioni   comunali   o
provinciali, nonche' il regolare funzionamento dei  servizi  ad  esse
affidati, il prefetto, sulla base delle risultanze  dell'accesso,  al
fine di far cessare le situazioni riscontrate e  di  ricondurre  alla
normalita' l'attivita'  amministrativa  dell'ente,  individua,  fatti
salvi i profili di  rilevanza  penale,  i  prioritari  interventi  di
risanamento indicando gli atti da assumere, con la fissazione  di  un
termine per l'adozione degli stessi, e fornisce ogni  utile  supporto
tecnico-amministrativo a mezzo dei propri uffici. Decorso inutilmente
il  termine  fissato,  il  prefetto  assegna  all'ente  un  ulteriore
termine, non superiore a 20 giorni, per la loro adozione, scaduto  il
quale    si    sostituisce,    mediante    commissario    ad    acta,
all'amministrazione inadempiente. Ai relativi oneri gli  enti  locali
provvedono con le risorse  disponibili  a  legislazione  vigente  sui
propri  bilanci».  Si  tratta   di   previsione   gravemente   lesiva
dell'autonomia degli enti locali e  -  pertanto  -  delle  competenze
regionali in materia di ordinamento degli stessi. 
    4.1. - Occorre preliminarmente osservare che l'art. 3,  comma  1,
lettera b), dello Statuto  annovera  tra  le  materie  di  competenza
legislativa della Regione ricorrente anche l'«ordinamento degli  enti
locali e delle relative circoscrizioni». 
    L'art. 44 dello Statuto,  inoltre,  stabilisce  che  «la  Regione
esercita normalmente le sue funzioni amministrative delegandole  agli
enti locali o valendosi dei loro uffici», mentre  l'art.  46  demanda
agli organi  della  Regione  «il  controllo  sugli  atti  degli  enti
locali». Com'e' noto, codesta ecc.ma Corte ha costantemente  ritenuto
che le regioni siano legittimate a tutelare, in sede  di  contenzioso
costituzionale, l'autonomia degli enti locali. Nella sentenza n.  298
del 2009, infatti, ha ricordato che «le regioni  sono  legittimate  a
denunciare la legge statale anche per la lesione  delle  attribuzioni
degli  enti  locali,  indipendentemente  dalla  prospettazione  della
violazione della competenza legislativa regionale». 
    Ebbene: nel  caso  di  specie  la  legittimazione  della  Regione
autonoma della Sardegna possiede un duplice  fondamento,  atteso  che
l'art. 28 del decreto-legge n. 113 del  2018  lede  all'un  tempo  le
attribuzioni degli enti locali regionali e la competenza  legislativa
della ricorrente fissata nello Statuto. 
    4.2. - Ancora in via preliminare, si deve ricordare che l'art. 1,
comma 2, del TUEL stabilisce che «le disposizioni del presente  testo
unico non si  applicano  alle  regioni  a  statuto  speciale  e  alle
Province autonome di Trento e di  Bolzano  se  incompatibili  con  le
attribuzioni  previste  dagli  statuti  e  dalle  relative  norme  di
attuazione». 
    Secondo la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte,  «la  clausola
di  salvaguardia  svolge  una  "funzione  di  generale  limite"   per
l'applicazione delle norme statali ove queste siano in contrasto  con
gli statuti e le relative norme di attuazione» (ex plurimis, sentenze
numeri 31 del 2016 e 125 del 2017). Nondimeno,  e'  «principio,  gia'
affermato dalla giurisprudenza  costituzionale,  quello  secondo  cui
l'illegittimita' costituzionale di una previsione legislativa non  e'
esclusa dalla presenza di una clausola di salvaguardia, laddove  tale
clausola entri in contraddizione con  quanto  affermato  dalle  norme
impugnate, con esplicito riferimento alle regioni a statuto  speciale
e alle Province autonome» (sentenze numeri 154 del 2017, 1 e  40  del
2016, 77 e 156 del 2015). 
    Alla luce delle  segnalate  competenze  statutarie,  sarebbe  ben
possibile ritenere  che  l'ipotesi  di  commissariamento  degli  enti
locali qui in esame non sia applicabile alla  Regione  Sardegna.  Per
tuziorismo, nondimeno, e' indispensabile procedere  all'impugnazione,
anche  alla  luce  del  fatto  che,  a  causa  della   sua   generica
formulazione, la clausola di salvaguardia non appare sufficientemente
garantista, considerando che la forma di commissariamento  introdotta
dall'art. 28 del decreto-legge n. 113  del  2018  e'  stata  inserita
nell'art. 143 TUEL, rubricato «Scioglimento dei consigli  comunali  e
provinciali  conseguente   a   fenomeni   di   infiltrazione   e   di
condizionamento di  tipo  mafioso  o  similare.  Responsabilita'  dei
dirigenti e dipendenti». 
    Tanto premesso, e' possibile osservare quanto segue. 
    4.3. -  La  norma  impugnata  detta,  anzitutto,  una  disciplina
gravemente irragionevole; lesiva  dei  principi  di  legalita',  buon
andamento   e   imparzialita'   della    pubblica    amministrazione;
inosservante del principio autonomistico. 
    4.3.1. - Il potere  (prima)  di  sostanziale  sostituzione  della
volonta'  del  prefetto  a  quella  degli  enti  locali  e  (poi)  di
commissariamento e' esercitabile «Nell'ipotesi  di  cui  al  comma  7
(dello stesso art. 143  del  TUEL)»,  cioe'  «Nel  caso  in  cui  non
sussistano i presupposti per lo scioglimento o  l'adozione  di  altri
provvedimenti di cui al comma 5». Il comma 5 dell'art.  143  TUEL,  a
sua volta, dispone che «Anche nei casi in cui  non  sia  disposto  lo
scioglimento, qualora la relazione prefettizia rilevi la  sussistenza
degli elementi di cui  al  comma  1  con  riferimento  al  segretario
comunale o provinciale, al direttore  generale,  ai  dirigenti  o  ai
dipendenti a qualunque  titolo  dell'ente  locale,  con  decreto  del
Ministro dell'interno, su proposta del  prefetto,  e'  adottato  ogni
provvedimento utile a far cessare immediatamente  il  pregiudizio  in
atto e ricondurre alla normalita' la vita  amministrativa  dell'ente,
ivi inclusa la sospensione dall'impiego del dipendente, ovvero la sua
destinazione ad altro ufficio o altra mansione con obbligo  di  avvio
del procedimento disciplinare da parte dell'autorita' competente». 
    Come si vede, i provvedimenti sinora consentiti dal  TUEL  erano:
a)  lo  scioglimento  dei  consigli  comunali  e  provinciali  (nelle
gravissime ipotesi di cui agli articoli 141 e 143, comma  1);  b)  in
alternativa,   misure   d'ordine   organizzativo-sanzionatorio    nei
confronti  dei  dipendenti  dell'ente  locale.  Ora,  si  introducono
provvedimenti di sostituzione e di commissariamento la cui logica  e'
del tutto incomprensibile. Se, infatti, non  si  e'  provveduto  allo
scioglimento, e' perche'  sono  emersi  elementi  significativi  «con
riferimento  al  segretario  comunale  o  provinciale,  al  direttore
generale, ai dirigenti o ai dipendenti a qualunque  titolo  dell'ente
locale», non certo del «governo» dell'ente. Nonostante cio', pero', i
poteri di  commissariamento  e  di  sostituzione  colpiscono  proprio
quest'ultimo. L'irragionevolezza della costruzione,  con  conseguente
violazione  dell'art.  3  Cost.,  e'  evidente  (si  colpiscono   gli
amministratori e l'ente in ragione di fatti imputabili ai dipendenti,
indebitamente proiettando - appunto - su amministratori  ed  ente  la
responsabilita' di quelli). 
    Ne' basta. L'art. 28, comma 1-bis, del decreto-legge n.  113  del
2018, novellando l'art. 143, comma 11, TUEL,  stabilisce  che  «Fatta
salva ogni altra  misura  interdittiva  ed  accessoria  eventualmente
prevista, gli amministratori responsabili delle  condotte  che  hanno
dato causa allo scioglimento di cui al presente articolo non  possono
essere candidati alle elezioni per la Camera  dei  deputati,  per  il
Senato della Repubblica e per  il  Parlamento  europeo  nonche'  alle
elezioni regionali,  provinciali,  comunali  e  circoscrizionali,  in
relazione  ai  due  turni  elettorali  successivi  allo  scioglimento
stesso,  qualora  la  loro  incandidabilita'   sia   dichiarata   con
provvedimento definitivo». Come  si  vede,  l'incandidabilita'  degli
amministratori e' collegata alla responsabilita' per atti  che  hanno
condotto allo scioglimento dei consigli, non alla responsabilita' per
atti che  hanno  condotto  all'esercizio  dei  poteri  prefettizi  di
sostituzione e commissariamento oggi «inventati» dal legislatore.  Il
che vuol dire, confessoriamente, che il commissariamento (cosi'  come
la sostituzione), che pur incide nell'autonomia dell'ente e dei  suoi
organi di governo, e' disposto per fatto dei dipendenti,  il  che  e'
del tutto contraddittorio, irragionevole e privo di proporzionalita'.
Se,  infatti,  il  legislatore  stabilisce  l'incandidabilita'  degli
amministratori solo nell'ipotesi di una loro diretta responsabilita',
non si comprende perche' essi possano essere privati  del  potere  di
indirizzo e di gestione dell'ente per il fatto dei dipendenti, che lo
stesso legislatore - evidentemente - considera come  una  fattispecie
del tutto diversa. 
    4.3.2. -  La  rilevata  irragionevolezza  e'  aggravata,  infine,
dall'estrema latitudine dei presupposti legittimanti l'esercizio  dei
poteri sostitutivi e di commissariamento da parte  dei  prefetti.  Il
generico   riferimento   a   «condotte   illecite»;   alla   semplice
«alterazione delle procedure»,  al  «buon  andamento»,  al  «regolare
funzionamento  dei  servizi»  apre  un  campo  cosi'  indefinito  che
l'autonomia degli  enti  locali  della  Regione  finisce  per  essere
abbandonata  alle  arbitrarie   determinazioni   del   rappresentante
dell'Esecutivo statale sul territorio regionale. 
    Non solo le regioni sono completamente pretermesse sia nella fase
di accertamento dei presupposti che in quella di esercizio dei poteri
di sostituzione e di commissariamento, ma -  come  gia'  detto  -  la
norma primaria qui censurata non contiene  alcuna  reale  definizione
dei paradigmi di  esercizio  del  potere  prefettizio,  come  sarebbe
invece imposto dal principio di legalita' (desumibile anche dall'art.
23 Cost.), anche al fine di assicurare l'imparzialita' della pubblica
amministrazione (nella specie: di quella prefettizia). 
    Anche il principio del buon  andamento  e'  compromesso,  perche'
l'amministrazione degli enti locali puo' essere  commissariata  anche
pel  semplice  fatto  dei  suoi  dipendenti,   laddove,   in   simile
fattispecie,  l'ordinamento  prevede  una  pluralita'  di  ben   piu'
efficienti  e  meno  invasivi  strumenti  remediali,   di   carattere
privatistico (risoluzione  del  contratto)  o  pubblicistico  (azione
disciplinare), in capo agli organi di governo degli enti  interessati
e perfettamente idonei alla soluzione del problema. 
    Che in questo modo sia gravemente compromesso anche il  principio
autonomistico e' evidente, atteso che l'autonomia degli enti  locali,
desumibile anzitutto dagli articoli 5 e 114  della  Costituzione,  e'
sostanzialmente rimessa alla discrezione di  un  organo  dello  Stato
(del prefetto). 
    4.4. - La nuova disciplina, pero', viola anche gli articoli 3, 4,
5, 6, 7, 8, 44 e 46 dello Statuto e gli articoli 117, commi  2  e  3,
118, commi 1 e 2, 119 e 120 della Costituzione. 
        i)  Essa,  anzitutto,  compromette  l'autonomia  degli   enti
territoriali della Regione (espropriati delle loro funzioni) e quella
della Regione stessa, che si vede sottratte le  sue  attribuzioni  in
materia di enti locali (che le discendono  direttamente  dalle  norme
statutarie menzionate). 
        ii)   Impedisce   il   funzionamento   del    principio    di
sussidiarieta' verticale fissato dall'art. 118,  comma  1,  Cost.  (a
tenor del quale «Le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni
salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario,  siano  conferite  a
province, citta' metropolitane,  regioni  e  Stato,  sulla  base  dei
principi  di  sussidiarieta',  differenziazione  ed  adeguatezza»)  e
dall'art. 120, comma 2, Cost„ attraendo le funzioni degli enti locali
verso l'alto, oltretutto nella sede della decisione (non governativa,
ma) prefettizia. 
        iii) Viola l'art. 118, comma 2, Cost., a tenor del  quale  «I
comuni, le province  e  le  citta'  metropolitane  sono  titolari  di
funzioni amministrative proprie  e  di  quelle  conferite  con  legge
statale o  regionale,  secondo  le  rispettive  competenze»,  perche'
quella della titolarita' delle funzioni non e' una garanzia meramente
formale, ma si estende a tutte le forme di interferenza con  il  loro
esercizio, quali sono - tipicamente - quelle della sostituzione e del
commissariamento. 
        iv) Conseguentemente, viola l'art.  120,  comma  2,  Cost.  a
tenor del quale «Il Governo puo' sostituirsi a organi delle  regioni,
delle citta' metropolitane, delle province e dei comuni nel  caso  di
mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa
comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumita' e la sicurezza
pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unita' giuridica
o dell'unita' economica  e  in  particolare  la  tutela  dei  livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e  sociali,
prescindendo dai confini territoriali dei governi  locali.  La  legge
definisce le procedure atte a  garantire  che  i  poteri  sostitutivi
siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarieta'  e  del
principio  di   leale   collaborazione».   La   sostituzione   e   il
commissariamento, infatti, non sono  disposti  dal  Governo,  ma  dal
prefetto, per soprammercato totalmente al di fuori delle  fattispecie
previste dal paradigma costituzionale, con totale disinteresse per il
principio di sussidiarieta' e di leale collaborazione. L'ente locale,
infatti, puo' sfuggire al commissariamento  solo  se  resta  prono  a
quanto  il  prefetto  impone  (addirittura  stabilendo  gli  atti  da
adottare  e  il  termine   per   la   loro   adozione),   rinunciando
completamente alla propria autonomia. 
        v) Compromette  l'autonomia  finanziaria  degli  enti  locali
della regione, garantita  dall'art.  119  Cost.,  poiche'  essi  sono
tenuti a sostenere le spese di  qualsivoglia  attivita'  il  prefetto
ritenga opportuno imporre. 
    4.5. - Da ultimo, la norma censurata configura una forma di  vera
e  propria  responsabilita'  oggettiva,  che  il  nostro  ordinamento
rifiuta, salvi casi eccezionali (cfr. Corte costituzionale,  sentenza
n. 364 del 1988). Siamo di fronte a una misura di tipo sanzionatorio,
che per la sua gravita' (in applicazione dei  noti  «Criteri  Engel»)
deve  ricevere  un  trattamento  giuridico  analogo  a  quello  delle
sanzioni  penali.  Nella   specie,   invece,   il   principio   della
personalita' della responsabilita' e' disatteso, con violazione degli
articoli  25  e  27  Cost.  e  6  e  7  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
5. - Quanto all'art. 1, comma 1, lettere a), b), c), d), e), f),  i),
l), m), n), n. 2, n-bis), o), p), q); comma 2; comma 3,  lettera  a),
numeri 1 e 2; comma 6; comma 7; comma 8; comma 9; all'art. 12,  comma
1, lettere a), b), c), d); comma 2, lettere a), b), c), d), numeri  1
e 2, e), f), g), h), i), l), m), n); comma 3; comma 4; comma 5; comma
5-bis; comma 6; all'art. 13, comma 1, lettera a), n. 2,  lettera  b),
lettera c); all'art. 28, comma 1; del decreto-legge n. 113 del  2018.
Violazione dell'art. 77 della Costituzione. Violazione del  principio
di leale collaborazione. 
    Le disposizioni  censurate  sono  costituzionalmente  illegittime
anche perche' adottate in flagrante  violazione  dell'art.  77  della
Costituzione e del principio di leale collaborazione. 
    5.1. - Difettavano, anzitutto, i  presupposti  per  l'inserimento
delle disposizioni censurate in un decreto-legge. 
    In via generale, puo' agevolmente constatarsi che la relazione di
accompagnamento al disegno di legge di conversione,  dalla  quale  le
ragioni di (straordinaria) necessita' e urgenza  dovrebbero  emergere
con chiarezza, non offre alcuna vera motivazione sul punto e - anzi -
e'  confessoria  dell'assoluta  carenza   dei   presupposti   fissato
dall'art. 77 Cost. Infatti (e per quanto qui interessa): 
        a) ivi si afferma apoditticamente che l'intervento  normativo
assunto con il decreto-legge si sarebbe reso «necessario  ed  urgente
nell'ambito di una complessa azione riorganizzativa»  in  materia  di
immigrazione, «finalizzata in ultima istanza a una piu' efficiente ed
efficace gestione  del  fenomeno  migratorio  nonche'  ad  introdurre
misure di contrasto al possibile ricorso strumentale alla domanda  di
protezione internazionale»; 
        b) si mettono in evidenza quelli che si  affermano  essere  i
«principali profili di criticita' dell'attuale sistema»; 
        c) si descrive, piu' in  dettaglio  e  in  molte  pagine,  il
contenuto delle scelte normative compiute dal decreto-legge; 
        d) con riferimento all'art. 1 (qui censurato), si afferma che
il ricorso alla tutela umanitaria si  fonderebbe  «principalmente  su
una definizione legislativa dell'istituto dai contorni  incerti,  che
lascia ampi margini ad una interpretazione estensiva», e che  sarebbe
«pertanto  necessario  delimitare  l'ambito  di  esercizio  di   tale
discrezionalita' [...]»; 
        e) con riferimento all'art. 12 (qui censurato) ci si limita a
una sorta di parafrasi del testo normativo; 
        f) con riferimento all'art. 13  (qui  censurato)  si  afferma
soltanto che esso «prevede che il permesso di soggiorno per richiesta
asilo non consente l'iscrizione  all'anagrafe  dei  residenti,  fermo
restando che esso costituisce documento di riconoscimento»  e  ci  si
sofferma  sulle   conseguenze   della   «esclusione   dall'iscrizione
all'anagrafe»: 
        g) anche con riferimento all'art. 28 (qui  censurato)  ci  si
limita a una sorta di parafrasi del testo normativo. 
    Nulla di piu'. 
    Ora, e' evidente che quelle sopra  riportate  non  sono  adeguate
motivazioni del ricorrere dei presupposti di cui  all'art.  77  Cost.
Non lo sono in generale e non lo sono per le singole disposizioni qui
censurate. Anzi, esse sono addirittura confessorie della  carenza  di
quei presupposti, laddove fanno ben intendere che gli interventi  qui
contestati sono ordinamentali e di sistema,  dunque  per  definizione
estranei all'ambito legittimamente regolabile  con  un  decreto-legge
(pensiamo  all'esplicito  riconoscimento,  sopra  ricordato,  che  il
decreto-legge ha compiuto una  «complessa  azione  riorganizzativa»).
Piu'  in  dettaglio  quanto  alle  singole  disposizioni   censurate,
comunque, valgono anche le considerazioni che seguono. 
    Quanto all'art. 1, e' significativa gia' la  premessa  dell'atto.
Non sfuggira' ad alcuno che in essa si e' «Ritenuta la  necessita'  e
urgenza di prevedere misure volte a individuare i casi  in  cui  sono
rilasciati speciali permessi di soggiorno temporanei per esigenze  di
carattere   umanitario,   nonche'   di    garantire    l'effettivita'
dell'esecuzione  dei  provvedimenti  di  espulsione».  Formula  assai
diversa da quella successiva, con la  quale  si  e'  «Considerata  la
straordinaria necessita' e urgenza di introdurre norme per rafforzare
i dispositivi a garanzia della sicurezza  pubblica,  con  particolare
riferimento  alla  minaccia  del  terrorismo  e  della   criminalita'
organizzata di tipo mafioso [...]».  Anche  qui,  il  legislatore  ha
quasi  confessoriamente  esplicitato  la  natura  meramente  fittizia
dell'invocazione delle esigenze di urgenza in ordine a questioni  che
non  hanno  nulla  a  che  vedere  con  il  fenomeno  del   contrasto
all'immigrazione clandestina (pel quale  dette  esigenze  sono  state
sovente evocate, piu' o meno a proposito, nel dibattito pubblico). Le
disposizioni censurate riguardano, infatti, la materia  del  rilascio
dei permessi di soggiorno, cioe' un profilo di tipo ordinamentale, in
ordine al quale i presupposti della decretazione d'urgenza  sono  per
definizione  carenti.  Per  soprammercato,  l'incongrua  scelta   del
legislatore d'urgenza  ha  -  come  si  e'  accennato  -  determinato
addirittura  l'aggravamento  del   fenomeno   della   clandestinita',
gettando in tale condizione un numero assai  consistente  di  persone
che  prima  soggiornavano  regolarmente  nel  nostro  Paese,   avendo
ottenuto permessi per ragioni umanitarie. 
    Quanto all'art. 12, esso interviene  sulle  vigenti  disposizioni
relative al Sistema di protezione per richiedenti asilo  e  rifugiati
(Sprar). Come sopra osservato (par. 2.),  lo  Sprar  e'  il  servizio
costituito dalla rete di centri di  accoglienza  gestiti  dagli  enti
locali, che non si limitano ad accogliere  i  migranti,  ma  svolgono
anche progetti  e  attivita'  di  istruzione,  integrazione  sociale,
informazione, assistenza e orientamento nella costruzione di percorsi
individuali e/o collettivi  di  inserimento  socio-economico.  Com'e'
evidente, le funzioni cui gli Sprar sono  istituzionalmente  preposti
sono assai articolate e,  pertanto,  non  disciplinabili  in  via  di
interventi di (asserita) necessita' e urgenza.  Le  misure  previste,
poi, non hanno carattere di immediata applicabilita' e,  addirittura,
si prevede l'ultrattivita' della  precedente  disciplina  per  coloro
tuttora collocati in quei centri. 
    Quanto all'art. 13, esso - come visto supra - ha  introdotto  nel
nostro ordinamento il principio che  il  permesso  di  soggiorno  per
richiesta  di  asilo  non  costituisce  un  titolo  per  l'iscrizione
anagrafica ai sensi del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
223 del 1989 e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo  n.  286
del 1998. 
    La previsione e' «di  sistema»,  ovviamente,  ne'  e'  dettata  o
giustificata da alcuna straordinaria necessita' o urgenza. La miglior
prova di cio' e' fornita  proprio  dalla  gia'  citata  Relazione  di
accompagnamento al d.d.l. di conversione del decreto-legge n. 113 del
2018,   ove   si   afferma    confessoriamente    che    l'esclusione
dall'iscrizione anagrafica  «risponde  alla  necessita'  di  definire
preventivamente la condizione giuridica del richiedente». E' di piana
evidenza che tale «necessita'» (recte: ritenuta  «opportunita'»)  non
e' idonea a giustificare l'adozione di un decreto-legge. 
    Quanto all'art. 28, esso incide nei rapporti istituzionali fra le
articolazioni territoriali dell'Amministrazione  dello  Stato  e  gli
enti locali, introducendo misure  ordinamentali  che,  una  volta  di
piu', sono per definizione prive d'ogni carattere di necessita' e  di
urgenza. 
    5.2.  -  Difetta,  poi,  il   requisito   dell'omogeneita'   (del
decreto-legge e della sua legge di conversione).  Come  e'  noto,  la
Corte costituzionale, sin dalla sentenza n. 22 del 2012, ha stabilito
che: 
        i)  «ai  sensi  del  secondo  comma  dell'art.  77  Cost.,  i
presupposti per l'esercizio senza delega della  potesta'  legislativa
da parte del Governo riguardano il decreto-legge nella sua interezza,
inteso come insieme di disposizioni omogenee per la materia o per  lo
scopo»; 
        ii) «la necessaria  omogeneita'  del  decreto-legge,  la  cui
interna coerenza va valutata in relazione all'apprezzamento politico,
operato dal Governo e controllato dal Parlamento,  del  singolo  caso
straordinario di necessita' e urgenza, deve  essere  osservata  dalla
legge di conversione»; 
        iii) « il testo  puo'  anche  essere  emendato  per  esigenze
meramente tecniche o formali [...] Cio'  che  esorbita  invece  dalla
sequenza tipica profilata dall'art.  77,  secondo  comma,  Cost.,  e'
l'alterazione dell'omogeneita'  di  fondo  della  normativa  urgente,
quale risulta dal testo originario, ove questo, a sua volta, possieda
tale caratteristica». 
    Se, ora, esaminiamo il contenuto del  decreto-legge  n.  113  del
2018 (convertito in legge n. 132 del 2018), ci avvediamo  agevolmente
ch'esso accosta e disciplina  uno  actu  una  serie  nutritissima  di
oggetti e addirittura di materie. 
    A mero titolo esemplificativo, basti considerare che: 
        al  Titolo  I  del  decreto-legge  in  esame  figurano  norme
relative al rilascio di speciali  permessi  di  soggiorno  temporanei
nonche' in materia di protezione internazionale e di immigrazione; 
        il Titolo II e' dedicato alle  disposizioni  «in  materia  di
sicurezza pubblica, prevenzione e  contrasto  al  terrorismo  e  alla
criminalita'  mafiosa»,   e   vi   convivono   norme   quali   l'art.
21-quinquies, recante «Modifiche alla disciplina sull'accattonaggio»,
e l'art. 28, che interviene sull'art. 143 del decreto legislativo  n.
267 del 2000, in materia di commissariamento degli  enti  locali  (di
cui s'e' detto supra al par. 4); 
        nel  medesimo  decreto-legge  n.  113  del  2018,  per   come
convertito in legge n. 132 del 2018, trovano spazio, al  Titolo  III,
anche norme relative al  funzionamento  del  Ministero  dell'interno,
quali l'art. 32-quater («Disposizioni in materia di tecnologia  5G»),
l'art. 32-sexies («Istituzione del Centro Alti  Studi  del  Ministero
dell'interno»). 
    5.3.  -  Da  ultimo,  risulta  violato  il  principio  di   leale
collaborazione fra lo Stato e le  regioni,  che  invece  proprio  nei
rapporti con le regioni ad autonomia speciale vincola  in  modo  piu'
stringente il legislatore statale. 
    Sul punto sia sufficiente ricordare quanto affermato  da  codesta
ecc.ma  Corte  nella  sentenza  n.  230  del   2013,   in   tema   di
determinazione  delle  modalita'  di  svolgimento  del  servizio   di
collegamento marittimo con le isole sarde. 
    In quella sede, pur riconoscendo che, secondo il  criterio  della
prevalenza, tale disciplina ricadeva nell'ambito della «tutela  della
concorrenza», di esclusiva  competenza  statale,  l'ecc.ma  Corte  ha
rilevato che «la determinazione delle modalita' e delle condizioni di
svolgimento del servizio di collegamento marittimo avente ad  oggetto
in particolare la Regione autonoma  Sardegna  e'  espressione  di  un
potere, si', statale, in quanto pertinente alla concorrenza,  ma  che
tocca direttamente un interesse differenziato  della  Regione  e  che
interferisce  in  misura  rilevante  sulle  scelte  rientranti  nelle
competenze  della  medesima,   quali   il   turismo   e   l'industria
alberghiera». 
    Anche  in  questo  caso,  dunque,  si  e'  in  presenza  di   una
«sovrapposizione di competenze» che impone al legislatore statale  di
«attribuire adeguato rilievo al principio di leale collaborazione, le
cui  potenzialita'  precettive  si  manifestano  compiutamente  negli
ambiti di intervento nei quali s 'intrecciano interessi  ed  esigenze
di diversa matrice» (cosi' ancora la sentenza n. 230 del 2013, ma  v.
anche sentenza n. 33 del 2011). 
    Peraltro, come e' noto, il  principio  di  leale  collaborazione,
benche'  inizialmente  inapplicabile  all'esercizio  della   funzione
legislativa, e' stato esteso anche ad  essa,  avendo  codesta  ecc.ma
Corte costituzionale statuito che «la' dove  [..  .]  il  legislatore
delegato si accinge a riformare istituti che incidono  su  competenze
statali e regionali, inestricabilmente connesse, sorge la  necessita'
del ricorso all'intesa», che «si impone, dunque, quale cardine  della
leale collaborazione anche  quando  l'attuazione  delle  disposizioni
dettate dal legislatore statale  e'  rimessa  a  decreti  legislativi
delegati, adottati dal Governo sulla base dell'art. 76 Cost.»  (sent.
n. 251 del 2016). 
    A  piu'  forte  ragione,  dunque,  tale  principio  deve   valere
nell'ipotesi in cui a incidere nelle  prerogative  regionali  sia  un
provvedimento adottato  ai  sensi  dell'art.  77  Cost.,  pur  sempre
imputabile al Governo. Nella specie, pero', le regioni (e, per quanto
qui specificamente interessa, in particolare la ricorrente) non  sono
state  minimamente  coinvolte  nel  procedimento  di   adozione   del
decreto-legge, nemmeno nella (ovviamente piu' distesa) fase della sua
conversione in legge. 
    Ne'  basta.  Anche  a  ritenere  che  il   principio   di   leale
collaborazione non trovi applicazione in ordine  all'esercizio  della
funzione legislativa, il  vizio  denunciato  non  verrebbe  meno.  Il
coinvolgimento delle regioni, infatti, non e' stato previsto  nemmeno
per gli atti di concreta amministrazione applicativi  delle  astratte
previsioni del decreto-legge, sebbene - come (si confida)  ampiamente
dimostrato  -  siano   direttamente   incise   competenze   regionali
costituzionalmente e statutariamente garantite. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La  Regione   autonoma   della   Sardegna,   come   in   epigrafe
rappresentata   e   difesa,   chiede   che   codesta   ecc.ma   Corte
costituzionale voglia: 
        accogliere il presente ricorso; 
        per  l'effetto,  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 1, lettera a), b), c), d), e), f), i), l), m), n),
n. 2, n-bis), o), p), q); comma 2; comma 3, lettera a), numeri 1 e 2;
comma 6; comma 7; comma 8; comma 9; dell'art. 12,  comma  1,  lettere
a), b), c), d); comma 2, lettere a), b), c), d), numeri 1  e  2,  e),
f), g), h), i), l), m), n); comma 3; comma 4; comma 5;  comma  5-bis;
comma 6; dell'art. 13, comma 1, lettera a), n. 2, lettera b), lettera
c); dell'art. 28, comma 1; del decreto-legge 4 ottobre 2018, n.  113,
recante «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale
e  immigrazione,  sicurezza   pubblica,   nonche'   misure   per   la
funzionalita' del Ministero  dell'interno  e  l'organizzazione  e  il
funzionamento  dell'Agenzia  nazionale  per  l'amministrazione  e  la
destinazione dei beni  sequestrati  e  confiscati  alla  criminalita'
organizzata», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4 ottobre 2018,  n.
231, per come convertito in legge, con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 1°  dicembre  2018,  n.  132,  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale 3 dicembre 2018, n. 281. 
    Si deposita copia autentica della delibera della giunta regionale
n. 5/16 del 29 gennaio 2019. 
        Cagliari - Roma, 31 gennaio 2019 
 
                   Avv. Camba - Avv. Prof. Luciani