N. 38 SENTENZA 23 gennaio - 6 marzo 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Parlamento - Intercettazioni   occasionali   di    conversazioni    o
  comunicazioni di membri del  Parlamento - Obbligo  del  giudice  di
  chiedere   alla   Camera   di   appartenenza    del    parlamentare
  l'autorizzazione a utilizzare in giudizio, come mezzi di  prova,  i
  tabulati telefonici di utenze intestate a terzi, venute in contatto
  con quella del parlamentare. 
- Legge  20  giugno  2003,  n.  140  (Disposizioni  per  l'attuazione
  dell'articolo 68 della Costituzione nonche' in materia di  processi
  penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), art. 6, comma
  2. 
-   
(GU n.11 del 13-3-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici :Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio   PROSPERETTI,
  Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, 
  
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 2,
della legge 20 giugno 2003, n.  140  (Disposizioni  per  l'attuazione
dell'articolo 68 della Costituzione nonche' in  materia  di  processi
penali nei confronti delle alte cariche dello  Stato),  promosso  dal
giudice per  le  indagini  preliminari  del  Tribunale  ordinario  di
Bologna, nel procedimento penale a carico di C.A.  G.  e  altri,  con
ordinanza del  3  maggio  2017,  iscritta  al  n.  162  del  registro
ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 46, prima serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 23 gennaio  2019  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 3 maggio 2017, il giudice per  le  indagini
preliminari del Tribunale ordinario di Bologna ha sollevato questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 2, della  legge  20
giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione  dell'articolo  68
della  Costituzione  nonche'  in  materia  di  processi  penali   nei
confronti delle alte cariche dello Stato), per  violazione  dell'art.
68, terzo comma, della Costituzione, nella parte in cui  prevede  che
il giudice chieda alla Camera, alla quale il parlamentare  appartiene
o  apparteneva,  l'autorizzazione  anche  all'utilizzo  dei  tabulati
telefonici acquisiti a carico di terzi. 
    1.1.- Riferisce il rimettente che,  nel  corso  del  procedimento
penale nei confronti,  tra  gli  altri,  del  senatore  C.A.  G.,  il
pubblico ministero ha chiesto  la  fissazione  dell'udienza  prevista
dall'art. 6 della legge n. 140 del 2003, affinche' il  GIP,  valutata
la necessita', richieda al Senato della Repubblica  l'autorizzazione,
tra l'altro, all'utilizzo dei tabulati del traffico telefonico  delle
utenze in uso ad alcuni indagati, nei quali compaiono contatti con il
senatore C.A. G. 
    Premette ancora il rimettente che il pubblico ministero  ipotizza
a carico del senatore C.A. G. i reati di cui agli artt.  338,  336  e
326 del codice penale, aggravati dall'art.  7  del  decreto-legge  13
maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti  in  tema  di  lotta  alla
criminalita'  organizzata  e  di   trasparenza   e   buon   andamento
dell'attivita' amministrativa),  convertito,  con  modificazioni,  in
legge 12 luglio 1991, n. 203, che si assumono  commessi  in  concorso
con funzionari della  Prefettura  di  Modena  e  di  altre  pubbliche
amministrazioni, diversi soggetti privati,  e  A.  B.,  imputato  del
reato  di  cui  agli  artt.  110  e  416-bis  cod.  pen.   in   altro
procedimento. 
    Secondo l'accusa, il senatore C.A. G. si  sarebbe  avvalso  della
propria influenza politica e delle sue conoscenze  all'interno  della
Prefettura di Modena, al fine di condizionare l'attivita' del  Gruppo
Interforze Ricostruzione Emilia Romagna  (d'ora  in  avanti:  GIRER),
organo  incaricato  di  svolgere   l'istruttoria   preordinata   alla
formulazione dell'elenco degli appaltatori non soggetti  a  tentativo
di infiltrazione mafiosa, per le opere di  ricostruzione  nelle  zone
colpite dal sisma del 20 e 29 maggio 2012 (cosiddetta white list). In
particolare - sempre secondo l'accusa - egli avrebbe svolto  illecite
pressioni perche' tale organo modificasse gli  orientamenti  negativi
gia' espressi nei confronti della B. C. srl e della ditta individuale
di A. B., pur conoscendo  i  rapporti  di  quest'ultimo  con  M.  B.,
esponente di spicco di un'associazione criminale. 
    Riferisce ancora il rimettente che  l'attivita'  di  indagine  e'
stata condotta, tra l'altro, attraverso operazioni di intercettazione
telefonica e di acquisizione dei  dati  del  traffico  telefonico  di
diversi soggetti, alcuni dei quali in servizio presso  la  Prefettura
di Modena, in base all'ipotesi  che  questi  ultimi  operassero  come
trait d'union tra i B. e  il  GIRER,  per  tentare  di  condizionarne
l'azione. Alcuni di tali soggetti sarebbero risultati in contatto con
il senatore C.A. G. 
    Ritenendo di poter  acquisire  da  questi  riscontri  documentali
elementi di prova a sostegno dell'accusa, il  pubblico  ministero  ha
chiesto al GIP di valutarne la «necessita'», ai fini della  richiesta
di autorizzazione all'utilizzo secondo quando disposto  dall'art.  6,
comma 2, della legge n. 140 del 2003. 
    1.2.-  Nell'argomentare  in  punto  di  rilevanza,   ricorda   il
rimettente che la disposizione censurata prevede che  il  GIP  chieda
l'autorizzazione  all'utilizzo  di  intercettazioni  o  tabulati  nei
confronti del parlamentare  qualora  lo  «ritenga  necessario»;  che,
secondo la giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 74 del  2013  e
n. 188 del 2010), il criterio della «necessita'» impone di  indicare,
«da un lato, le specifiche emergenze probatorie fino a  quel  momento
disponibili e, dall'altro, la  loro  attitudine  a  fare  sorgere  la
"necessita'" di quanto si chiede di autorizzare»; che tale necessita'
deve essere «motivata in termini di non  implausibilita'»,  ossia  di
coerenza  con  l'impianto  probatorio  acquisito  nel   corso   delle
indagini. 
    Tanto premesso, ritiene il giudice  a  quo  che  le  informazioni
acquisite dall'esame dei tabulati dispieghino una  indubbia  coerenza
funzionale rispetto  all'ipotesi  di  accusa,  secondo  la  quale  il
senatore C.A. G. avrebbe indebitamente speso la propria influenza per
ottenere provvedimenti favorevoli all'impresa B. C. srl e all'impresa
I., che della prima sarebbe mera replica, cosi' turbando la  regolare
attivita'  dell'organo  collegiale.  Poiche'  sulla  base   di   tale
indagine, sarebbero stati accertati plurimi rapporti tra  A.  B.,  il
viceprefetto M. V. e il senatore C.A. G., il rimettente  conclude  di
dover  chiedere   al   Senato   della   Repubblica   l'autorizzazione
all'utilizzo dei dati contenuti nei tabulati acquisiti. 
    1.3.- Ritiene, tuttavia, il GIP  del  Tribunale  di  Bologna  che
l'art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003 si ponga in  contrasto
con l'art. 68, terzo comma, Cost. 
    Quest'ultima disposizione - ricorda il rimettente -  e'  volta  a
proteggere il parlamentare «da illegittime  interferenze  giudiziarie
sull'esercizio del suo mandato rappresentativo» al fine di  garantire
la  piena  autonomia  decisionale  dell'assemblea  legislativa,  non,
invece, l'interesse del singolo parlamentare in ipotesi  pregiudicato
dal compimento dell'atto, interesse  che  potra'  trovare  tutela  in
altre  disposizioni  di  rango  costituzionale   (sul   punto,   sono
menzionate le sentenze n. 74 del 2013 e n. 390 del 2007). 
    Nel  contempo,  esso  introduce  un   regime   differenziato   di
acquisizione della prova in ragione  dello  status  di  parlamentare,
cosi' derogando al principio di parita' di trattamento rispetto  alla
giurisdizione, ossia a un principio  che  si  colloca  «alle  origini
della formazione dello Stato di diritto» (sentenza n. 24  del  2004).
Ne dovrebbe logicamente conseguire - ad avviso del rimettente  -  che
nella  disciplina  delle  prerogative  parlamentari  il   legislatore
ordinario  e'  «vincolato  ad  attuare  il  dettato  costituzionale»,
restandogli  invece   «preclusa   ogni   eventuale   integrazione   o
estensione» (sentenza n. 262  del  2009),  dovendo  l'art.  68  Cost.
essere interpretato «nel senso  piu'  aderente  al  testo  normativo»
(cosi', ancora, sentenze n. 74 del 2013 e n. 390 del  2007).  Ricorda
ancora sul punto il giudice a quo che la Corte costituzionale,  nella
sentenza n.  262  del  2009,  ha  specificamente  affermato  che  «la
disciplina delle prerogative contenuta nel testo  della  Costituzione
de(ve) essere intesa come uno specifico sistema normativo, frutto  di
un particolare bilanciamento e assetto di  interessi  costituzionali;
sistema che non e' consentito al legislatore ordinario  alterare  ne'
in peius ne' in melius». 
    L'art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003,  invece,  la  cui
applicazione e'  richiesta  dal  pubblico  ministero,  assoggetta  al
medesimo  regime  tanto  l'utilizzabilita'  dei   verbali   e   delle
registrazioni delle conversazioni  o  comunicazioni  intercettate  in
qualsiasi forma nel corso di  procedimenti  riguardanti  terzi,  alle
quali hanno preso parte membri  del  Parlamento,  quanto  quella  dei
tabulati di  comunicazioni  acquisiti  nel  corso  del  procedimento.
Prevede, tra l'altro, analoga disciplina l'art. 4 della legge n.  140
del  2003,  che  regola  l'acquisizione  dei  tabulati   direttamente
riferibili ad utenze  del  parlamentare  («e,  volendo  trasferire  a
questo contesto la dicotomia, elaborata per le  intercettazioni,  tra
tabulati 'indiretti' e tabulati 'casuali'», anche dei primi). 
    Tuttavia - osserva il rimettente - nel testo dell'art. 68,  terzo
comma, Cost. non compare alcun riferimento ai tabulati. 
    1.4.- Il  giudice  a  quo  osserva,  quindi,  come  sussista  una
differenza  «ontologica   e   normativa»   tra   le   intercettazioni
telefoniche  e  i  dati  esterni  di  esse:  le  prime  costituiscono
«tecniche che consentono di apprendere, nel  momento  stesso  in  cui
viene  espresso,  il  contenuto  di  una  conversazione  o   di   una
comunicazione, contenuto che,  per  le  modalita'  con  le  quali  si
svolge, sarebbe altrimenti inaccessibile a  quanti  non  siano  parti
della comunicazione medesima» (sentenza n. 81 del 1993),  i  secondi,
invece, forniscono la  documentazione  del  dato  «estrinseco»  della
conversazione, di cui riscontrano la durata, le utenze  coinvolte,  i
ponti-radio collegati. 
    Rileva  il  rimettente  come,  proprio  sulla  scorta   di   tale
differenza, la disciplina prevista dal codice di procedura penale per
le intercettazioni non sia stata  ritenuta  estensibile  ai  tabulati
(sentenze n. 81 del 1993  e  n.  281  del  1998).  Tale  irriducibile
diversita' non ha impedito di assicurare livelli minimi  di  garanzia
in ordine all'acquisizione dei tabulati, trattandosi  pur  sempre  di
attivita'  investigative  afferenti  a  dati  di   non   trascurabile
capacita' intrusiva soggetti alle garanzie  prescritte  dall'art.  15
Cost. Ma cio' costituisce  -  per  il  rimettente  -  «il  limite  di
identita' di disciplina e dell'estensione della garanzia  predisposta
dall'ordinamento». 
    1.5.- Sulla base di tali premesse, ritiene il giudice a  quo  che
l'art. 6, comma 2, della  legge  n.  140  del  2003  (cosi'  come  il
precedente   art.   4)   estenda   illegittimamente   la   disciplina
dell'autorizzazione ad un mezzo di ricerca  della  prova  diverso  ed
ulteriore rispetto a quelli indicati, con  elencazione  da  ritenersi
tassativa, dall'art. 68, terzo comma, Cost. 
    Osserva ancora il rimettente come l'estensione ai tabulati  delle
guarentigie previste per le intercettazioni non possa trovare altrove
il proprio  fondamento  costituzionale:  non  nell'inciso,  contenuto
nell'art. 68 Cost., secondo cui  l'autorizzazione  e'  richiesta  per
l'intercettazione  «in  qualsiasi  forma»   delle   conversazioni   o
comunicazioni, poiche' tale espressione, come chiarito  dalla  stessa
Corte costituzionale  nella  sentenza  n.  390  del  2007,  e'  stata
utilizzata  per  scongiurare  la  possibilita'  che  nuove  forme  di
captazione  del  contenuto  di  conversazioni   diverse   da   quelle
telefoniche  ed  ambientali  potessero  essere  sottratte  al  regime
autorizzativo; ne'  attraverso  una  inclusione  dei  tabulati  nella
nozione di «sequestro  di  corrispondenza»,  avendo  quest'ultimo  ad
oggetto, diversamente da quanto accade per i  tabulati  del  traffico
telefonico, non  solo  il  dato  esteriore  (mittente,  destinatario,
data), ma anche il contenuto della comunicazione. 
    Osserva,   inoltre,   il   rimettente   come    il    legislatore
costituzionale  avesse  ben  presente  la   distinzione   ontologica,
«scolpita dalla Corte gia' nel 1991», tra intercettazioni e tabulati,
e come, dunque, il silenzio serbato sul  punto  non  potrebbe  essere
interpretato  come  mera  omissione  ininfluente,  ma  al   contrario
sembrerebbe  assumere  ulteriore  valenza   corroboratrice   di   una
intenzione selettiva dell'ambito di operativita' delle guarentigie. 
    Il giudice a quo  afferma,  infine,  come  la  tesi  opposta  non
potrebbe essere desunta, a suo avviso, neppure dalle sentenze  n.  57
del 2000 e n. 188 del 2010 e da una recente pronuncia della Corte  di
cassazione. 
    Nel primo caso, la Corte costituzionale, chiamata a  decidere  un
conflitto di attribuzione tra poteri  dello  Stato  a  seguito  della
mancata   autorizzazione   all'utilizzo   di   tabulati,    dichiaro'
inammissibile  il  conflitto  poiche'  l'autorita'  giudiziaria,  pur
avendo argomentato in merito all'esclusione dei tabulati  dal  regime
autorizzativo, aveva denunciato non gia'  il  cattivo  esercizio  del
potere da parte  del  Parlamento,  ma  l'esistenza  stessa  di  detto
potere. 
    Nella seconda pronuncia, invece, parimenti resa in  un  conflitto
di attribuzione fra poteri, la Corte avrebbe rimarcato  la  «notevole
capacita' intrusiva» dei tabulati,  attratti  nell'ambito  di  tutela
offerto dall'art. 15 Cost., in quanto consentono sia di ricostruire i
contatti   telefonici,    sia    di    localizzare    il    detentore
dell'apparecchio, aggiungendo che tutto  cio',  «in  caso  di  utenze
nella disponibilita' di  un  parlamentare,  puo'  aprire  squarci  di
conoscenza sui suoi rapporti, specialmente istituzionali, di ampiezza
ben maggiore rispetto alle  esigenze  di  una  specifica  indagine  e
riguardanti altri soggetti (in  specie,  altri  parlamentari)  per  i
quali opera e deve operare la  medesima  tutela  dell'indipendenza  e
della liberta' della funzione». 
    Ad avviso del rimettente, tali affermazioni non  sarebbero  pero'
dirimenti, poiche', ferme restando  le  considerazioni  svolte  sulla
tassativita' dell'elenco contenuto nell'art. 68, terzo  comma  Cost.,
esse  atterrebbero  semmai  a  profili  incidenti  sul  diritto  alla
riservatezza  del   singolo   parlamentare   che   trova   protezione
esclusivamente nell'art. 15 Cost. 
    D'altra parte - osserva il  giudice  a  quo  -  a  risultati  non
dissimili  da  quelli  ottenuti  con   l'acquisizione   di   tabulati
telefonici potrebbe giungersi qualora il parlamentare  fosse  oggetto
di attivita' di osservazione, controllo e  pedinamento  e  successiva
documentazione, attivita' che non risulta soggetta ad  autorizzazione
ne' preventiva, ne' successiva. 
    Non  sarebbe  decisiva,  infine,  la  sentenza  della  Corte   di
cassazione, sezione sesta penale, 22 settembre 2016, n. 49538, con la
quale e' stata riconosciuta la materialita' del reato di cui all'art.
323  cod.  pen.  nella  condotta  di  acquisizione  di  tabulati   di
parlamentari in assenza di autorizzazione, in  quanto  -  osserva  il
rimettente - il  tema  devoluto  allo  scrutinio  del  giudice  della
nomofilachia era diverso rispetto al profilo ora denunciato, vertendo
esclusivamente sulla formula  assolutoria  adottata  dal  giudice  di
secondo grado. 
    2.- Con atto depositato il 5  dicembre  2017  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   la
questione   di    legittimita'    costituzionale    sia    dichiarata
manifestamente  infondata,  poiche'  la   norma   censurata   sarebbe
pienamente   conforme   al    parametro    costituzionale    evocato,
realizzandone correttamente la ratio ispiratrice. 
    2.1.- L'Avvocatura generale dello Stato, anzitutto, osserva  come
l'art. 68, terzo comma, Cost. miri a porre al riparo il  parlamentare
da  «illegittime  interferenze  giudiziarie  sull'esercizio  del  suo
mandato rappresentativo» (sentenza n. 390 del 2007). Benche' in  modo
piu' limitato rispetto alla  formulazione  antecedente  alla  riforma
costituzionale del 1993, tale disposizione  costituzionale,  infatti,
non  configura  «privilegi   meramente   personali   a   favore   dei
Parlamentari», ma garantisce «la funzionalita'  dell'organo,  nonche'
l'indipendenza e l'autonomia decisionale dei suoi membri da  indebite
ingerenze da parte di altri soggetti». 
    Detta tutela - ad avviso dell'Avvocatura generale - «deve  essere
estesa a qualsiasi altro atto lato sensu di "intercettazione" che, al
di la' di una presunta limitazione che si  assume  essere  intrinseca
alla  formulazione  letterale  della  norma   costituzionale,   possa
comportare una invasione o limitazione della liberta'  individuale  e
della liberta' di comunicazione identica a quella che si realizza con
gli atti indicati dall'art. 68 della Costituzione, e  finisce  quindi
col  riverberare  sulle  guarentigie  dell'Organo  costituzionale  di
appartenenza». 
    In particolare, se attraverso la previa autorizzazione ad acta si
vuole  impedire  che  l'ascolto  di  colloqui  riservati   da   parte
dell'autorita' giudiziaria possa essere indebitamente finalizzato  ad
incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, divenendone fonte di
condizionamenti e pressioni sulla  libera  esplicazione  del  mandato
parlamentare,  cio'  sarebbe  «perfettamente  vero   anche   per   la
documentazione dei dati estrinseci delle conversazioni», ossia per  i
tabulati telefonici. 
    Citando la sentenza della Corte costituzionale n. 188  del  2010,
l'Avvocatura  generale  ricorda  che  «i   tabulati   consentono   di
apprendere e individuare non solo tutti i contatti con altre utenze e
la loro collocazione temporale, ma  -  se  si  tratta  di  apparecchi
mobili  -  anche  il  cosiddetto  "tracciamento",  vale  a  dire   le
localizzazioni   e   gli   spostamenti   dei    soggetti    detentori
dell'apparecchio». Nella medesima occasione  la  Corte  aggiunse  che
cio', «in caso di utenze nella  disponibilita'  di  un  parlamentare,
puo' aprire squarci di conoscenza  sui  suoi  rapporti,  specialmente
istituzionali, di ampiezza ben maggiore rispetto alle esigenze di una
specifica indagine e riguardante altri soggetti per i quali  opera  e
deve operare la medesima tutela dell'indipendenza  e  della  liberta'
della funzione». 
    Ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato,  l'«ampiezza  ben
maggiore»  alla  quale  la   Corte   costituzionale   avrebbe   fatto
riferimento nella citata sentenza consentirebbe di individuare, al di
la' del diritto costituzionalmente tutelato dall'art.  15  Cost.,  la
compresenza,  nella  fattispecie,  «di  quel   fondamentale   diritto
all'autonomia, liberta' e  indipendenza»  dell'organo  costituzionale
che l'art. 68 Cost. intende garantire. La  «conoscenza  dei  rapporti
istituzionali» afferirebbe infatti, nel  senso  piu'  pieno,  proprio
allo svolgimento del mandato parlamentare. 
    2.2.- Alle medesime conclusioni l'Avvocatura generale ritiene  di
poter giungere  anche  attraverso  un'analisi  del  testuale  dettato
costituzionale. 
    In primo luogo, l'art. 68, terzo comma, Cost.,  riferendosi  alle
intercettazioni «in qualsiasi  forma»,  potrebbe  ricomprendere  ogni
forma  di  intercettazione  intesa  come  «intrusione  nell'attivita'
istituzionale del Parlamentare»,  inclusa  quindi  l'acquisizione  di
rilevanti dati estratti dai tabulati telefonici. 
    In secondo luogo, la disposizione  costituzionale  opererebbe  un
generico   riferimento   a   «intercettazioni»,   «conversazioni»   e
«comunicazioni», al  fine  di  comprendervi  sia  tutti  i  mezzi  di
comunicazione, sia «qualsiasi dato significativo  dell'attivita'  del
Parlamentare»  che  possa  essere  captato  e,   dunque,   non   solo
comunicazioni e notizie, ma anche «meri fatti» significativi. 
    2.3.- Ricorda, infine, l'Avvocatura  generale  dello  Stato  come
l'art. 68, terzo comma, Cost. vieti di intercettare le  comunicazioni
del parlamentare, non le sue utenze (sentenza n.  390  del  2007),  e
come a tale conclusione sia giunta  anche  la  Corte  di  cassazione,
sezione sesta penale, nella sentenza 22  settembre  2016,  n.  49538,
osservando come acquisire e prendere visione  dei  tabulati  relativi
alle telefonate intercorse  tra  il  parlamentare  e  altro  soggetto
equivalga proprio «ad accedere nella sfera  delle  comunicazioni  del
parlamentare». 
    In  tale  ipotesi  non  vi  sarebbe  solo  una  violazione  della
riservatezza del parlamentare in quanto  persona,  gia'  garantita  a
tutti i cittadini dall'art. 15 Cost., ma anche una  compressione  del
libero esercizio della funzione pubblica tutelato dall'art. 68 Cost.,
al fine di scongiurare il pericolo che l'autorita' giudiziaria  possa
incidere  indebitamente  nello  svolgimento  del  mandato   elettivo,
divenendo  fonte  di  condizionamenti  e   pressioni   sulla   libera
esplicazione di tale funzione. 
    In conclusione, l'Avvocatura generale dello Stato chiede  che  la
Corte  costituzionale   dichiari   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 6, comma 2, della  legge  n.  140  del  2003
manifestamente infondata, poiche' la disposizione  censurata  sarebbe
pienamente  conforme  tanto  alla  lettera,  quanto  alle   finalita'
perseguite dall'art. 68, terzo comma, Cost. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  giudice  per  le  indagini  preliminari  del   Tribunale
ordinario di Bologna dubita, in riferimento all'art. 68, terzo comma,
della Costituzione, della legittimita'  costituzionale  dell'art.  6,
comma 2, della  legge  20  giugno  2003,  n.  140  (Disposizioni  per
l'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione nonche'  in  materia
di processi penali nei confronti delle  alte  cariche  dello  Stato),
nella parte in cui prevede che il giudice debba chiedere alla Camera,
alla quale il parlamentare appartiene o apparteneva, l'autorizzazione
ad  utilizzare  i  tabulati  di  comunicazioni  relativi  ad   utenze
intestate a terzi, venute in contatto con il primo. 
    Espone il giudice a quo che la disposizione censurata equipara  i
tabulati  telefonici  ai   verbali   e   alle   registrazioni   delle
conversazioni o comunicazioni intercettate, in qualsiasi  forma,  nel
corso di procedimenti riguardanti terzi,  alle  quali  abbiano  preso
parte membri del Parlamento, con la  conseguenza  che  il  giudice  -
quando ritenga necessario utilizzare i tabulati dai  quali  risultino
contatti dei terzi col parlamentare - deve chiedere  l'autorizzazione
in parola. 
    Ritiene il giudice  rimettente  che  tale  equiparazione  sia  in
contrasto con l'art. 68, terzo comma, Cost., poiche' la  disposizione
costituzionale  menziona  le  intercettazioni  di   conversazioni   e
comunicazioni ma non anche i tabulati, sicche'  l'art.  6,  comma  2,
della legge n. 140 del 2003 avrebbe indebitamente esteso l'ambito  di
applicazione  della   prerogativa   parlamentare   costituzionalmente
stabilita. 
    Sostiene, in particolare,  che  l'art.  68,  terzo  comma,  Cost.
sarebbe volto a tutelare il parlamentare «da illegittime interferenze
giudiziarie sull'esercizio del suo mandato rappresentativo», al  fine
di  garantire   la   piena   autonomia   decisionale   dell'assemblea
legislativa,  non,  invece,  l'interesse  della  persona  fisica  del
parlamentare in ipotesi pregiudicato  dal  compimento  dell'atto.  Ne
ricava che, derogando al principio di parita' di trattamento rispetto
alla giurisdizione, tale disposizione costituzionale dovrebbe  essere
interpretata restrittivamente e  che  il  legislatore  ordinario  non
potrebbe integrarne o estenderne il testo. 
    Il giudice a quo osserva, inoltre, come sussista  una  differenza
«ontologica e normativa» tra le intercettazioni telefoniche e i  dati
esterni di esse,  poiche'  le  prime  costituirebbero  «tecniche  che
consentono di apprendere, nel momento stesso in cui  viene  espresso,
il contenuto di una conversazione o di una  comunicazione,  contenuto
che, per le modalita' con le  quali  si  svolge,  sarebbe  altrimenti
inaccessibile a quanti non siano parti della comunicazione  medesima»
(e' citata in proposito la sentenza n. 81 del 1993 di questa  Corte),
mentre  i  tabulati   fornirebbero   la   documentazione   del   dato
«estrinseco» della conversazione, di cui riscontrerebbero la  durata,
le utenze coinvolte, i ponti-radio collegati. 
    Evidenzia, infine, come, proprio sulla scorta di tale differenza,
questa  Corte  non  avrebbe  ritenuto  estensibile  ai  tabulati   la
disciplina  che  il  codice  di  procedura  penale  prevede  per   le
intercettazioni (sentenze n. 81 del 1993 e n. 281 del 1998). 
    2.- La questione non e' fondata. 
    2.1.- L'art. 68, terzo comma, Cost. - all'esito  della  revisione
costituzionale compiuta con la legge costituzionale 29 ottobre  1993,
n.  3  (Modifica  dell'articolo  68  della  Costituzione),   che   ha
sostituito l'originaria autorizzazione a procedere nei confronti  dei
parlamentari con un sistema basato su  specifiche  autorizzazioni  ad
acta - stabilisce  la  necessita'  dell'autorizzazione  della  Camera
d'appartenenza  «per  sottoporre   i   membri   del   Parlamento   ad
intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni
e a sequestro di corrispondenza». 
    Alla  previsione  costituzionale   e'   stata   data   attuazione
attraverso gli artt. 4 e 6 della legge n. 140 del 2003. 
    L'art. 4 di tale legge dispone che, laddove occorra eseguire  nei
confronti di un membro del Parlamento intercettazioni,  in  qualsiasi
forma, di conversazioni o  comunicazioni,  o  acquisire  tabulati  di
comunicazioni,   l'autorita'    giudiziaria    competente    richiede
direttamente l'autorizzazione alla  Camera  alla  quale  il  soggetto
appartiene. 
    Si tratta, in tal  caso,  di  un'autorizzazione  preventiva,  che
precede il compimento dell'atto d'indagine. 
    Questa  Corte  ha  precisato  che  l'autorizzazione  deve  essere
preventivamente richiesta non solo se l'atto d'indagine sia  disposto
direttamente nei confronti di  utenze  intestate  al  parlamentare  o
nella sua disponibilita' (intercettazioni cosiddette  "dirette"),  ma
anche tutte le volte in cui la captazione si riferisca  a  utenze  di
interlocutori abituali del parlamentare, o sia effettuata  in  luoghi
presumibilmente da questo frequentati, al precipuo scopo di conoscere
il  contenuto  delle  conversazioni   e   delle   comunicazioni   del
parlamentare   stesso.   Ai   fini   della    richiesta    preventiva
dell'autorizzazione, cio' che conta,  in  altre  parole,  non  e'  la
titolarita' dell'utenza  o  del  luogo,  ma  la  direzione  dell'atto
d'indagine (sentenza n. 390 del 2007). 
    Il successivo art. 6, comma 2,  della  legge  n.  140  del  2003,
invece,  disciplina   la   richiesta   alla   Camera   d'appartenenza
dell'autorizzazione all'utilizzo in giudizio di  un  atto  d'indagine
gia' svolto: intervenendo «fuori dalle ipotesi previste dall'art. 4»,
esso si riferisce al caso in cui il GIP ritenga necessario utilizzare
intercettazioni o tabulati gia' acquisiti, rispetto ai quali, proprio
per il carattere  imprevisto  dell'interlocuzione  del  parlamentare,
l'autorita' giudiziaria non avrebbe potuto, neanche volendo,  munirsi
preventivamente  dell'autorizzazione  della   Camera   d'appartenenza
(sulla distinzione fra intercettazioni  "mirate",  da  una  parte,  e
"casuali" o "fortuite", dall'altra, sentenze n.  114  e  n.  113  del
2010, n. 390 del 2007; ordinanza n. 263 del 2010). 
    Nel caso in esame, la questione  di  legittimita'  costituzionale
posta all'attenzione  di  questa  Corte  non  riguarda  il  carattere
"successivo" dell'autorizzazione relativa all'utilizzo dei verbali  o
delle registrazioni di  un'intercettazione  "casuale"  o  "fortuita",
ovvero di un tabulato gia' acquisito, dai quali emergano contatti con
il parlamentare. Ma concerne l'art. 6, comma 2, della  legge  n.  140
del 2003, solo nella parte in cui tale  autorizzazione  e'  richiesta
anche per l'utilizzo, nei confronti del parlamentare, di tabulati  di
comunicazioni, dai quali emergano contatti tra quest'ultimo  e  terzi
indagati, in asserito  contrasto  con  quanto  testualmente  disposto
dall'art. 68, terzo comma, Cost., che si  riferirebbe  unicamente  ai
verbali o alle registrazioni delle intercettazioni di conversazioni o
comunicazioni. 
    2.2.- Sottolinea  correttamente  il  giudice  rimettente  che  le
prerogative poste a tutela della funzione parlamentare comportano una
deroga  al  principio  di  parita'  di   trattamento   davanti   alla
giurisdizione - principio che e' all'origine della  formazione  dello
Stato di diritto (sentenze n. 262 del 2009 e n.  24  del  2004)  -  e
devono  percio'  essere  interpretate  evitando   improprie   letture
estensive. 
    Questa  esigenza  risulta,  del  resto,  rafforzata  nell'attuale
sistema delle immunita' e delle prerogative parlamentari, in  seguito
alla ricordata revisione dell'art. 68 Cost. Attualmente, non piu'  il
procedimento penale in se', ma solo alcuni specifici atti  di  questo
sono considerati idonei a incidere  negativamente  sulla  liberta'  e
sull'indipendenza della funzione parlamentare e in quanto  tali  sono
soggetti alla necessaria autorizzazione della  Camera  d'appartenenza
(sentenza n. 74 del 2013). 
    L'esigenza  in  parola  riguarda  non  solo  l'interpretazione  e
l'applicazione dei testi costituzionali e legislativi che  contengono
le  prerogative  in  questione,  ma,  prima  ancora,   le   modalita'
attraverso le quali il legislatore ordinario da'  attuazione,  quando
necessario, al relativo dettato costituzionale.  A  tale  legislatore
e', infatti, preclusa ogni  integrazione  o  estensione  della  fonte
costituzionale, restandogli consentito provvedere alla sua attuazione
nella sola misura in cui sia finalizzata  a  rendere  la  prerogativa
immediatamente e direttamente operativa sul piano processuale,  senza
che  cio'  comporti  alcun  indebito  allargamento   delle   garanzie
apprestate dalla disposizione costituzionale  (sentenze  n.  262  del
2009 e n. 120 del 2004). 
    Se si attenga a questi principi il  riferimento  contenuto  nella
disposizione censurata ai tabulati di comunicazioni - in relazione al
testo dell'art. 68, terzo comma,  Cost.,  che  pur  non  li  menziona
espressamente - e' appunto l'oggetto della questione di  legittimita'
costituzionale sottoposta a questa Corte. 
    2.3.-  Non  e'  qui  in   discussione   la   circostanza,   messa
opportunamente in evidenza dal giudice rimettente, che la  disciplina
processuale  vigente  preveda,  per  tutti  i  cittadini,   rilevanti
differenze quanto alle condizioni alle quali e'  consentito  disporre
l'intercettazione  del  contenuto  di  una  conversazione  o  di  una
comunicazione, da una parte, e l'acquisizione dei dati estrinseci  di
esse,   dall'altra,   con   particolare   riferimento   all'autorita'
giudiziaria che puo' ordinare l'una o l'altra misura. 
    Solo il GIP, e solo in presenza di determinati reati (con  limiti
che sono stati resi via via piu' stringenti: artt. 266 e seguenti del
codice di procedura penale), puo' autorizzare intercettazioni, mentre
per l'acquisizione dei tabulati si e' sempre ritenuta sufficiente  la
richiesta del pubblico ministero con decreto ex art. 256  cod.  proc.
pen. (relativo al dovere di esibizione all'autorita'  giudiziaria  di
documenti riservati o segreti), come ha in seguito confermato,  anche
se con una  disciplina  piu'  dettagliata,  l'art.  132  del  decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196, intitolato «Codice in materia  di
protezione dei dati personali, recante disposizioni per l'adeguamento
dell'ordinamento  nazionale  al  regolamento  (UE)  n.  2016/679  del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla
protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati
personali, nonche' alla libera circolazione di tali dati e che abroga
la direttiva 95/46/CE». 
    Regole legislative non coincidenti, quindi,  secondo  una  scelta
che questa Corte non ha censurato (sentenze n. 281 del 1998 e  n.  81
del 1993), considerando i diversi elementi  di  conoscenza  alla  cui
acquisizione le due misure  sono  rispettivamente  finalizzate  e  le
differenti esigenze investigative che mirano a soddisfare.  Anche  se
nell'appena citata sentenza n. 81 del 1993 si  e'  rilevato  che  gli
stessi dati "esterni" di  una  conversazione  conoscibili  attraverso
l'acquisizione dei tabulati telefonici - i soggetti fra  i  quali  la
comunicazione intercorre, la data e l'ora in cui essa avviene, la sua
durata - devono beneficiare della garanzia che alla liberta'  e  alla
segretezza di ogni forma di comunicazione e' assicurata dall'art.  15
Cost. 
    Quel che ai fini della presente decisione conta, in ogni caso, e'
che sono le norme legislative a  dover  essere  osservate  alla  luce
della Costituzione, e non gia' quest'ultima alla stregua di cio'  che
stabilisce  la   disciplina   legislativa   (nella   specie,   quella
processuale).  Per  questa  essenziale  ragione,  non  e'  consentito
trarre,  a  partire   dalle   norme   processuali   in   materia   di
intercettazioni  e  acquisizione  di  tabulati,   alcuna   definitiva
conclusione  quanto  alla  specifica  disciplina   costituzionalmente
sancita, nella stessa materia, per i parlamentari, anche  perche'  la
disciplina del  codice  potrebbe  mutare  in  futuro,  proprio  sugli
aspetti qui rilevanti, e anche  in  direzione  di  un  piu'  omogeneo
trattamento di intercettazioni e acquisizione di tabulati. 
    In questa sede, va dunque verificato se l'art. 68,  terzo  comma,
Cost. contenga una specifica disciplina in materia  di  comunicazioni
del parlamentare, confrontandovi la pertinente legislazione ordinaria
che a quella  norma  costituzionale  ha  esplicitamente  inteso  dare
attuazione. 
    A questo scopo, non e'  possibile  muovere,  come  invece  fa  il
giudice rimettente (sempre alla  luce  della  disciplina  processuale
vigente), dal presupposto che tra il contenuto di una conversazione o
di una comunicazione, da un lato, e il documento che  rivela  i  dati
estrinseci   di   queste,   dall'altro,   sussista   una   differenza
«ontologica». 
    In primo luogo, dell'esistenza di questa differenza  "ontologica"
puo' dubitarsi, dal momento che questa Corte ha ricondotto  sotto  la
tutela dell'art. 15 Cost., per  tutti  i  soggetti  dell'ordinamento,
anche i dati "esterni" di una comunicazione ricavabili da un tabulato
telefonico.  Ma,  soprattutto,  con   riferimento   alla   disciplina
positivamente prevista per i parlamentari,  si  tratta  piuttosto  di
verificare se davvero, come ancora asserisce il  giudice  rimettente,
il testo dell'art.  68,  terzo  comma,  Cost.,  nella  parte  in  cui
utilizza le espressioni «conversazioni»  e  «comunicazioni»,  escluda
ogni riferimento a un documento, come  il  tabulato,  che  di  quelle
riveli, non gia' il contenuto ma dati ed elementi,  certo  "esterni",
che  tuttavia,  come  si  e'  detto,  sono  di  indubbio  significato
comunicativo: data e ora in cui le conversazioni o  le  comunicazioni
sono avvenute, loro durata, utenze coinvolte,  consentendo  altresi',
in   virtu'   dell'evoluzione   tecnologica,   il   tracciamento   di
localizzazioni e spostamenti dei titolari di apparati mobili. 
    Secondo  il  giudice  a  quo  la  "naturale"  diversita'  tra  il
contenuto di una conversazione o di una comunicazione, da un lato,  e
il documento che rivela i  dati  estrinseci  di  queste,  dall'altro,
renderebbe costituzionalmente illegittima, in radice,  la  previsione
censurata,  che  invece   equipara   i   due   elementi   di   prova,
assoggettandoli  entrambi  alla  necessita'  dell'autorizzazione,  da
parte della Camera d'appartenenza del parlamentare, al fine del  loro
utilizzo in giudizio. 
    Proprio  sul  piano  testuale,  tuttavia,  tale  assunto  non  e'
corretto. 
    Il duplice riferimento,  nell'art.  68,  terzo  comma,  Cost.,  a
«conversazioni o comunicazioni», induce a ritenere che  al  contenuto
di una conversazione o di una  comunicazione,  siano  accostabili,  e
risultino percio' protetti dalla  garanzia  costituzionale,  anche  i
dati puramente storici ed esteriori, in  quanto  essi  stessi  "fatti
comunicativi". Del resto, il termine «comunicazioni» ha, tra  i  suoi
comuni significati, quello di «contatto», «rapporto», «collegamento»,
evocando proprio i dati e le notizie che un tabulato telefonico e' in
grado di rilevare e rivelare. 
    La stessa Corte di cassazione - pur in presenza di  una  costante
giurisprudenza di legittimita' che,  con  riferimento  alla  generale
disciplina del codice di procedura penale,  ha  sempre  distinto  con
nettezza le intercettazioni dall'acquisizione di tabulati  -  laddove
si e' occupata  della  specifica  disciplina  ora  in  questione,  ha
espressamente affermato che anche l'acquisizione di tabulati, come la
captazione di conversazioni, e' attivita' diretta ad  accedere  nella
sfera delle comunicazioni  del  parlamentare  (Corte  di  cassazione,
sezione sesta penale, sentenza 22 settembre 2016, n. 49538). 
    2.4.-  Per  quanto  fin  qui  affermato,  la   previsione   della
necessaria autorizzazione all'utilizzo, quale  mezzo  di  prova,  del
tabulato telefonico, in grado di rivelare elementi di non  secondario
rilievo inerenti alle comunicazioni di un membro del Parlamento,  non
costituisce inammissibile lesione del principio di uguale  soggezione
alla legge, ma attuazione del pertinente trattamento richiesto  dalla
garanzia costituzionale. 
    Del resto, la ratio della garanzia prevista  all'art.  68,  terzo
comma, Cost. non  mira  a  tutelare  un  diritto  individuale,  ma  a
proteggere la liberta' della funzione che il  soggetto  esercita,  in
conformita' alla natura stessa delle  immunita'  parlamentari,  volte
primariamente  alla  protezione  dell'autonomia  e  dell'indipendenza
decisionale delle Camere rispetto  ad  indebite  invadenze  di  altri
poteri, e solo  strumentalmente  destinate  a  riverberare  i  propri
effetti a favore delle persone investite della funzione (sentenza  n.
9 del 1970). 
    Per questa ragione, la garanzia in esame puo'  estendersi  ad  un
atto investigativo idoneo a incidere sulla liberta' di  comunicazione
del parlamentare, quale e' certamente l'utilizzo, in quanto mezzo  di
prova in giudizio, di un tabulato telefonico. 
    La giurisprudenza di questa Corte ha del resto gia'  sottolineato
«la notevole capacita' intrusiva»  (sentenza  n.  188  del  2010)  di
un'attivita' investigativa che coinvolga i tabulati, confermando che,
per ogni cittadino, il  ricorso  a  tale  strumento  d'indagine  deve
necessariamente essere soggetto alle garanzie previste  dall'art.  15
Cost. 
    Ha  rimarcato,  inoltre,  che  tale  capacita'  intrusiva  assume
significati ulteriori laddove siano in questione le comunicazioni  di
un parlamentare. Non gia' perche' la riservatezza del  cittadino  che
e' altresi' parlamentare abbia  un  maggior  valore,  ma  perche'  la
pervasivita' del mezzo d'indagine in questione puo' tradursi in fonte
di condizionamenti sul libero esercizio della funzione.  Un  tabulato
telefonico puo' infatti aprire squarci di conoscenza sui rapporti  di
un  parlamentare,  specialmente  istituzionali,  «di   ampiezza   ben
maggiore  rispetto  alle  esigenze  di  una  specifica   indagine   e
riguardanti altri soggetti (in  specie,  altri  parlamentari)  per  i
quali opera e deve operare la  medesima  tutela  dell'indipendenza  e
della liberta' della funzione» (sentenza n. 188 del 2010). 
    Non e' pertanto in contrasto con l'art. 68,  terzo  comma,  Cost.
una legge ordinaria che  subordini  all'autorizzazione  della  Camera
d'appartenenza, equiparandone il trattamento alla registrazione o  al
verbale di un'intercettazione, l'utilizzo in giudizio di un  tabulato
telefonico, contenente dati "esterni" relativi alle comunicazioni  di
un membro del Parlamento. 
      
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art.  6,  comma  2,  della  legge  20  giugno   2003,   n.   140
(Disposizioni per l'attuazione dell'articolo  68  della  Costituzione
nonche' in materia  di  processi  penali  nei  confronti  delle  alte
cariche dello Stato), sollevata, in riferimento  all'art.  68,  terzo
comma, della Costituzione, dal giudice per  le  indagini  preliminari
del Tribunale  ordinario  di  Bologna  con  l'ordinanza  indicata  in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                      Nicolo' ZANON, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA