N. 13 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 5 febbraio 2019

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 5 febbraio 2019 (della Regione Marche). 
 
Straniero - Disposizioni in materia di  protezione  internazionale  e
  immigrazione, sicurezza  pubblica  -  Disposizioni  in  materia  di
  permesso di soggiorno per motivi umanitari  e  disciplina  di  casi
  speciali di  permessi  di  soggiorno  temporanei  per  esigenze  di
  carattere  umanitario  -  Disposizioni  in  materia  di  iscrizione
  anagrafica - Disposizioni in materia di accoglienza dei richiedenti
  asilo. 
- Decreto-legge 4 ottobre  2018,  n.  113  (Disposizioni  urgenti  in
  materia di  protezione  internazionale  e  immigrazione,  sicurezza
  pubblica,  nonche'  misure  per  la  funzionalita'  del   Ministero
  dell'interno e l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia
  nazionale  per  l'amministrazione  e  la  destinazione   dei   beni
  sequestrati   e   confiscati   alla   criminalita'    organizzata),
  convertito, con modificazioni, nella legge  1°  dicembre  2018,  n.
  132, intero testo e, in particolare, artt.  1  e  13;  art.  1,  in
  particolare, combinato disposto di cui  al  comma  1,  lettera  b),
  numero 2, comma 2 e comma 8; art. 1, comma 1, lettere e),  f),  g),
  h), i), o) e p), numero 1; art. 1, comma 1, lettere e), f),  numeri
  1 e 2, g), h) e i), numeri 1 e 2; art. 1, comma 1, lettera  g),  in
  combinato disposto con l'art. 1, comma 2; art. 13, in  particolare,
  comma 1, lettere a), numero 2,  e  c);  art.  12,  in  particolare,
  combinato disposto dei commi 1, lettere a), b) e c), nonche'  comma
  2, lettere f), numero 1, l) e m). 
(GU n.12 del 20-3-2019 )
    Ricorso della Regione  Marche,  in  persona  del  presidente  pro
tempore della giunta regionale, a cio' autorizzato con  deliberazioni
della giunta regionale n. 39 del 22 gennaio  2019  e  n.  85  del  28
gennaio 2019, rappresentato e difeso dall'avv. prof.  Stefano  Grassi
(codice      fiscale      GRSSFN45T05D612X;       indirizzo       pec
stefanograssi@pec.ordineavvocatifirenze.it) e dall'avv. Gabriella  De
Berardinis   (codice   fiscale   DBRGRL60S43E783L;   indirizzo    pec
avv.gabrielladeberardinis@legalmail.it), ed elettivamente domiciliato
presso lo studio dell'avv. prof.  Stefano  Grassi,  in  Roma,  piazza
Barberini 12, come da procura speciale in calce al presente atto; 
    Contro lo Stato, in persona  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri  pro  tempore,  per  la  dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale   del   decreto-legge   4   ottobre   2018,   n.   113
(«Disposizioni urgenti in  materia  di  protezione  internazionale  e
immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita'
del Ministero dell'interno  e  l'organizzazione  e  il  funzionamento
dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e  la  destinazione  dei
beni  sequestrati  e  confiscati  alla  criminalita'   organizzata»),
convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018,
n. 132, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 3 dicembre  2018,  n.
281, sia in toto sia con particolare riferimento agli  articoli  1  e
13, in relazione ai principi ed alle norme di cui agli articoli 2, 3,
4, 10, 11, 32, 77, 114, 117, 118 e 119 Cost.; degli articoli 2, 15  e
18 della direttiva 2011/95/UE; degli articoli 4, 14, 15, 16, 17, 18 e
19 della direttiva 2013/33/UE; degli articoli 6, 10, 17, 23 e 24  del
Patto Internazionale di New York sui diritti civili e politici; degli
articoli 2, 3 e 8 della Convenzione europea  dei  diritti  dell'uomo,
anche  in  riferimento  alle  altre  convenzioni   internazionali   e
direttive europee richiamate nei motivi di ricorso. 
Premesse. 
    1. - Il decreto-legge 4  ottobre  2018,  n.  113,  convertito  in
legge, con modificazioni,  dalla  legge  1°  dicembre  2018,  n.  132
(«Disposizioni urgenti in  materia  di  protezione  internazionale  e
immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita'
del Ministero dell'interno  e  l'organizzazione  e  il  funzionamento
dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e  la  destinazione  dei
beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata»), incide
profondamente sulla disciplina della protezione internazionale  degli
stranieri. 
    1.1.  -  Tale  disciplina  costituisce  attuazione  dei  principi
costituzionali di cui agli articoli 2, 3 e 10 Cost. e  di  molteplici
convenzioni internazionali e  direttive  eurounitarie,  tra  cui,  in
particolare: 
        la Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e il  Protocollo
di New York del  1967,  che  per  primi  definiscono  lo  status  del
«rifugiato»  e  riconoscono  a  questi  il  diritto  alla  protezione
internazionale; 
        le  direttive  2004/83/CE  e  2011/95/UE,  contenenti   norme
sull'attribuzione  della  qualifica  di   rifugiato   nonche'   della
protezione sussidiaria  e/o  umanitaria  (attuate  in  Italia  con  i
decreti legislativi 19 novembre 2007, n. 251, e 21 febbraio 2014,  n.
18); 
        le direttive 2003/9/CE e  2013/33/UE,  recanti  l'indicazione
delle misure di accoglienza da garantire ai richiedenti la protezione
internazionale (attuate con i decreti legislativi 30 maggio 2005,  n.
140, e 18 agosto 2015, n. 142); 
        le direttive 2005/85/CE e 2013/32/UE, regolanti le  procedure
di riconoscimento e di revoca dello status  di  rifugiato  e/o  della
protezione sussidiaria (attuate con i decreti legislativi 28  gennaio
2008, n. 25, e 18 agosto 2015, n. 142). 
    1.2. - Il sistema della protezione  internazionale  previsto  dal
legislatore  italiano  in  esecuzione  degli  atti  sopra  citati  e'
incentrato su tre istituti: 
        a)  lo  status  di  rifugiato  (articoli  7-13  del   decreto
legislativo 19 novembre 2007, n. 251,  come  modificato  dal  decreto
legislativo 21  febbraio  2014,  n.  18,  attuativo  delle  direttive
2004/83/CE e 2011/95/UE); 
        b) la protezione sussidiaria  (articoli  14-17  del  suddetto
decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251); 
        c) il permesso di soggiorno per  motivi  umanitari  (previsto
dal decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286  a  completamento  del
suddetto quadro di tutele ed in linea con quanto previsto dall'art. 2
della direttiva 2011/95/UE e dall'art. 4 della direttiva 2013/33/UE). 
    Le modifiche introdotte dal decreto-legge n. 113 del  2018  (c.d.
«decreto  sicurezza»)  riguardano  prevalentemente  il  permesso   di
soggiorno per motivi umanitari e le misure di accoglienza  in  favore
dei soggetti richiedenti il riconoscimento dello status di rifugiati. 
    1.3. - Con specifico riferimento al  permesso  di  soggiorno  per
motivi umanitari, la disciplina oggetto della modifica introdotta dal
decreto-legge n. 113 del 2018 era contenuta nell'art. 5, comma 6, del
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. 
    Questa disposizione, in particolare, prevedeva che - al  soggetto
richiedente un titolo di permanenza nel  territorio  dello  Stato  in
base ad  accordi  o  convenzioni  internazionali  resi  esecutivi  in
Italia, ma privo delle «condizioni di soggiorno  applicabili  in  uno
degli Stati contraenti» -  potesse  essere  negato  il  rilascio  del
permesso salvo che  ricorressero  «seri  motivi,  in  particolare  di
carattere  umanitario  o  risultanti  da  obblighi  costituzionali  o
internazionali dello  Stato  italiano»  (art.  5,  comma  6,  decreto
legislativo cit.). 
    Tale ultimo inciso  imponeva  all'amministrazione  di  rilasciare
allo straniero richiedente un titolo  di  permanenza  nel  territorio
nazionale (c.d. «permesso di soggiorno per motivi  umanitari»)  anche
laddove le norme sulla protezione  internazionale  non  consentissero
all'istante  di   accedere   alle   forme   tipiche   di   protezione
internazionale (status di rifugiato e protezione sussidiaria). Cio' a
condizione che fosse accertata la sussistenza di «seri motivi» aventi
carattere umanitario ovvero risultanti da obblighi  costituzionali  o
internazionali. 
    Il permesso di soggiorno per  motivi  umanitari  assumeva  natura
residuale rispetto alle altre  forme  di  protezione  internazionale,
perche' poteva  ricomprendere  le  istanze  di  tutela  ad  esse  non
riconducibili, ma pur sempre connotate dall'esigenza di salvaguardare
fondamentali  valori  di  carattere  umanitario  e/o   di   rilevanza
sovranazionale e costituzionale. 
    La consolidata giurisprudenza di legittimita' aveva ritenuto  che
l'istituto del c.d. «permesso umanitario» completasse il quadro delle
misure attuative dell'art. 10, terzo comma, Cost. (Cass.  civ.,  Sez.
VI, 12 aprile 2018, n. 9169; id., Sez. VI, 26 giugno 2012, n.  10686)
e che le ipotesi di rilascio del permesso  di  soggiorno  per  motivi
umanitari costituissero un «catalogo  aperto»,  estensibile  ad  ogni
ipotesi di accettata vulnerabilita' del  soggetto  richiedente  e  di
verificata  natura  umanitaria  delle  ragioni  poste  a   fondamento
dell'istanza  (Cass.  civ.,  Sez.  I,  23  febbraio  2018,  n.  4455;
Cassazione civ., Sez. VI, 27 novembre 2013, n. 26566). 
    La  natura  residuale  del  permesso  umanitario   era   ribadita
dall'art. 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25
(«Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime  per  le
procedure applicate negli Stati membri ai fini del  riconoscimento  e
della revoca dello status di rifugiato»), che coordinava la procedura
di riconoscimento  della  protezione  internazionale  con  quella  di
rilascio  del  permesso  di  soggiorno  per  motivi   umanitari.   Si
prevedeva, infatti, che la Commissione di cui all'art. 4 dello stesso
decreto legislativo  n.  25  del  2008,  anche  in  caso  di  rigetto
dell'istanza di concessione della protezione internazionale,  dovesse
trasmettere  gli  atti  al  questore  per  l'eventuale  rilascio  del
permesso di soggiorno per  motivi  umanitari,  nel  caso  che  avesse
ritenuto sussistenti «gravi motivi di carattere umanitario» (art. 32,
comma 3, decreto legislativo n. 25 del 2008);  ovvero  «nel  caso  di
decisione  di  revoca  o  cessazione  degli  status   di   protezione
internazionale» (art. 33, comma 3,  decreto  legislativo  n.  25  del
2008). 
    Nella prassi amministrativa e  giurisprudenziale,  la  protezione
umanitaria era stata estesa a tutti gli stranieri che -  in  caso  di
ritorno al paese di origine - si sarebbero trovati in  condizioni  di
vulnerabilita' sotto  il  profilo  dei  «diritti  umani  fondamentali
protetti a  livello  costituzionale  e  internazionale»  (ex  multis,
Cassazione civ., Sez. I, 24 maggio 2018, n. 12978). 
    Erano state valorizzate, ad esempio, le condizioni di salute  del
richiedente, il quale poteva ottenere il rilascio di un  permesso  di
soggiorno per motivi umanitari qualora si fosse  trovato  in  cattivo
stato di salute ovvero fosse affetto da patologie tali da  esporlo  a
un  pericolo  per  la  propria  integrita'  psicofisica  in  caso  di
rimpatrio (Cass. civ. SU, 11 dicembre 2018, n. 32046; id.,  Sez.  VI,
n. 26566 del 2013, cit.). 
    Fra le ragioni umanitarie idonee a determinare il rilascio di  un
permesso di soggiorno ai  sensi  del  testo  dell'art.  5,  comma  6,
decreto legislativo n. 286 del 1998, veniva attribuito rilievo  anche
al diritto  alla  vita  privata  e  familiare  protetto  dall'art.  8
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta'  fondamentali  (purche',  all'esito   di   una   valutazione
comparativa delle condizioni di  vita  dello  straniero  nello  stato
ospitante  e  in  quello  di  provenienza,  il  medesimo   risultasse
effettivamente   esposto   al    rischio    «della    violazione    o
dell'impedimento all'esercizio dei diritti  umani  inalienabili»:  v.
Cassazione civ., Sez. I, n. 4455, cit.). 
    1.4. - Accanto alla fattispecie generale di protezione umanitaria
di cui al citato art. 5, comma 6, il decreto legislativo n.  286  del
1998 aveva enucleato alcune ipotesi tipiche di permesso di  soggiorno
per motivi umanitari, con particolare riguardo ai casi in cui: 
        «nel corso di operazioni di polizia,  di  indagini  o  di  un
procedimento per taluno dei delitti di cui all'art. 3 della legge  20
febbraio 1958, n. 75, o di quelli previsti dall'art. 380  del  codice
di procedura penale, ovvero nel corso di interventi assistenziali dei
servizi sociali degli enti locali» fossero accertate  «situazioni  di
violenza o di grave sfruttamento nei confronti di  uno  straniero  ed
emergano concreti pericoli per la sua incolumita',  per  effetto  dei
tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di  un'associazione  dedita
ad uno dei predetti delitti o  delle  dichiarazioni  rese  nel  corso
delle indagini preliminari o del giudizio» (art. 18, comma 1, decreto
legislativo n 286  del  1998,  rubricato  «Soggiorno  per  motivi  di
protezione sociale»); 
        «nel corso di operazioni di polizia,  di  indagini  o  di  un
procedimento per taluno dei delitti previsti dagli articoli 572, 582,
583, 583-bis, 605, 609- bis e 612-bis del codice penale o per uno dei
delitti previsti  dall'art.  380  del  codice  di  procedura  penale,
commessi sul territorio nazionale in ambito  di  violenza  domestica»
fossero accertate «situazioni di violenza o abuso  nei  confronti  di
uno straniero» ed emergesse «un concreto ed attuale pericolo  per  la
sua incolumita', come conseguenza  della  scelta  di  sottrarsi  alla
medesima violenza o per effetto delle dichiarazioni  rese  nel  corso
delle indagini preliminari o del giudizio»  (art.  18-bis,  comma  1,
decreto legislativo n. 286 del 1998, rubricato «Permesso di soggiorno
per le vittime di violenza domestica»); 
        lo straniero potesse  essere  «oggetto  di  persecuzione  per
motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di  religione,
di opinioni politiche, di  condizioni  personali  o  sociali»  ovvero
potesse rischiare «di essere rinviato verso un altro Stato nel  quale
non sia protetto  dalla  persecuzione»  (art.  19,  comma  1  decreto
legislativo n. 286 del 1998, rubricato «Divieti di  espulsione  e  di
respingimento»); ovvero ancora vi fossero fondati motivi  per  temere
la sottoposizione dello straniero a  tortura  in  caso  di  rimpatrio
(art. 19, comma 1.1, decreto legislativo n. 286 del 1998); in  questi
casi, l'art. 28, comma 1, lettera d) , decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 394 del 1999, prevedeva il rilascio di un  permesso  di
soggiorno «per motivi umanitari»...,  salvo  che  [potesse]  disporsi
l'allontanamento verso  uno  Stato  che  provvede  ad  accordare  una
protezione analoga contro le persecuzioni di cui all'art. 19, comma 1
del testo unico»; 
        venisse accertata una situazione di particolare  sfruttamento
lavorativo dello straniero ai sensi del comma 12-bis dell'art. 22 del
decreto legislativo n. 286  del  1998  e  tale  soggetto  presentasse
denuncia  e  cooperasse  nel  procedimento  penale   instaurato   nei
confronti del datore di lavoro (art.  22,  comma  12-quater,  decreto
legislativo n. 286 del 1998). 
    1.5. - I titolari di permessi di soggiorno per  motivi  umanitari
rilasciati in base al decreto  legislativo  n.  286  del  1998  erano
considerati  come  stranieri  regolarmente  soggiornanti   ed   erano
pertanto ammessi a fruire di tutti i servizi di accoglienza  previsti
dal legislatore nazionale (talora  anche  in  condizioni  di  parita'
rispetto ai cittadini italiani). 
    A questo proposito, l'art. 34, comma 1, lettera b),  del  decreto
legislativo n. 286 del 1998 stabiliva che gli «stranieri regolarmente
soggiornanti», ovvero quelli che avessero  «chiesto  il  rinnovo  del
titolo di soggiorno.. per asilo umanitario»,  avevano  «l'obbligo  di
iscrizione al Servizio sanitario nazionale», nonche' il diritto  alla
«parita' di trattamento e  piena  uguaglianza  di  diritti  e  doveri
rispetto  ai  cittadini  italiani  per  quanto  attiene   all'obbligo
contributivo, all'assistenza erogata in Italia dal Servizio sanitario
nazionale e alla sua validita' temporale». 
    L'art. 38, comma 5, dal canto suo,  consentiva  alle  istituzioni
scolastiche  di  organizzare,  in  favore  degli   stranieri   adulti
regolarmente soggiornanti, interventi di accoglienza (lett. a), corsi
di alfabetizzazione e scolarizzazione di base (lettera b e lettera d)
nonche' corsi di formazione anche integrativi degli studi svolti  nel
paese di provenienza (lettera c e lettera e). 
    Sotto altro profilo, l'art. 39, comma 5, del decreto  legislativo
n. 286 del 1998 prescriveva che fosse «comunque consentito  l'accesso
ai corsi di istruzione tecnica superiore o di formazione superiore  e
alle scuole di  specializzazione  delle  universita',  a  parita'  di
condizioni con gli studenti  italiani,  agli  stranieri  titolari  di
permesso di soggiorno... per motivi umanitari». 
    Tale previsione  era  rafforzata  dall'art.  22,  comma  15,  che
consentiva ai lavoratori extracomunitari di partecipare  «a  tutti  i
corsi di formazione e di riqualificazione programmati nel  territorio
della  Repubblica».  Ancora,  l'art.  40,  comma   6,   del   decreto
legislativo n. 286 del 1998 prescriveva (e prescrive tuttora) che  il
diritto di accedere alle procedure di  assegnazione  di  un  alloggio
popolare, nonche' ai servizi di intermediazione delle agenzie sociali
in materia di edilizia residenziale  pubblica  spetta  soltanto  agli
«stranieri regolarmente  soggiornanti  in  possesso  di  permesso  di
soggiorno almeno biennale». 
    L'art.  41  del  medesimo  decreto  legislativo  stabiliva   (con
prescrizione a tutt'oggi vigente) che «gli stranieri  titolari  della
carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore
ad un anno, nonche' i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o
nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani
ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni,  anche
economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro
che sono  affetti  da  morbo  di  Hansen  o  da  tubercolosi,  per  i
sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi  civili  e  per  gli
indigenti». 
    L'art.  42  prevedeva  (e  prevede  tuttora)  l'effettuazione  di
interventi, da parte delle  amministrazioni  centrali  e  locali,  di
sostegno a: 
        attivita' educative sulla lingua e  la  cultura  di  origine,
organizzate da istituti di formazione esteri operanti  in  Italia  in
favore  degli  stranieri  ivi  regolarmente  soggiornanti  (comma  1,
lettera a); 
        iniziative volte alla conoscenza e alla valorizzazione  delle
espressioni culturali, ricreative, sociali,  economiche  e  religiose
degli  stranieri  regolarmente  soggiornanti   in   Italia,   nonche'
all'informazione sulle cause  dell'immigrazione  e  alla  prevenzione
delle discriminazioni razziali (comma 1, lettera b); 
        la stipula di  convenzioni  volte  all'impiego  di  stranieri
(titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di  durata
non  inferiore  a  due  anni  all'interno  delle  proprie  strutture)
all'interno delle strutture amministrative centrali  e  territoriali,
in qualita' di mediatori interculturali (comma 1, lettera d). 
    Con previsione di carattere generale,  l'art.  3,  comma  5,  del
decreto legislativo n. 286 del 1998 stabilisce  (e  tuttora  prevede)
che  «nell'ambito  delle  rispettive  attribuzioni  e  dotazioni   di
bilancio, le regioni, le province, i comuni e gli altri  enti  locali
adottano i provvedimenti concorrenti al perseguimento  dell'obiettivo
di  rimuovere  gli  ostacoli  che  di  fatto  impediscono  il   pieno
riconoscimento  dei  diritti  e  degli  interessi  riconosciuti  agli
stranieri nel territorio dello  Stato,  con  particolare  riguardo  a
quelli inerenti all'alloggio, alla lingua, all'integrazione  sociale,
nel rispetto dei diritti fondamentali della persona umana». 
    Infine, l'art. 34, comma 5, del decreto legislativo  19  novembre
2007, n. 251, estendeva  (ed  estende  tuttora)  ai  titolari  di  un
permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui all'art. 5, comma 6
del decreto legislativo n. 286 del 1998 «i medesimi diritti stabiliti
dal  [suddetto]  decreto  a  favore  dei  titolari  dello  status  di
protezione sussidiaria», concernenti -  in  particolare  -  l'accesso
all'occupazione  (art.  25)  e  all'istruzione  (art.  26),   nonche'
l'assistenza sanitaria e sociale (art. 27). 
    2. - Le modifiche introdotte dal decreto-legge n. 113  del  2018,
come convertito in legge, hanno anzitutto riguardato  la  fattispecie
generale di protezione umanitaria prevista dall'art. 5, comma 6,  del
decreto legislativo n. 286 del 1998. 
    2.1. - L'art. 1, comma 1, lettera b), n. 2, del decreto-legge  n.
113 del 2018 modifica la disciplina nei seguenti termini: «il rifiuto
o la  revoca  del  permesso  di  soggiorno  possono  essere  altresi'
adottati sulla base di convenzioni  o  accordi  internazionali,  resi
esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi  le  condizioni
di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti». 
    Viene cosi' eliminata la previsione derogatoria fondata su  «seri
motivi  ...  di  carattere  umanitario  o  risultanti   da   obblighi
costituzionali o internazionali dello Stato italiano»,  in  grado  di
attribuire al permesso  di  soggiorno  per  motivi  umanitari  natura
generale  e  residuale  rispetto  alle  altre  forme  di   protezione
internazionale. 
    2.2. - La nuova disciplina dettata dal decreto-legge n.  113  del
2018 ha inoltre inciso sulle ipotesi tipiche di protezione umanitaria
di cui al  decreto  legislativo  n.  286  del  1998,  in  particolare
stabilendo che: 
        i permessi di soggiorno umanitari di cui  agli  articoli  18,
comma 1,  18-bis,  comma  1,  e  22,  comma  12-quater,  del  decreto
legislativo n. 286 del  1998,  sono  sostituiti  da  un  permesso  di
soggiorno «per casi speciali», con durata e disciplina  differenziate
a seconda dei casi (art. 1, comma 1, lettera e, lettera f, numeri 1 e
2, e lettera i, numeri 1 e 2, del decreto-legge n. 113 del 2018);  in
particolare: 
          a) il titolo di cui all'art. 18 («Soggiorno per  motivi  di
protezione sociale»)  «ha  la  durata  di  sei  mesi  e  puo'  essere
rinnovato per un anno, o per il maggior periodo occorrente per motivi
di giustizia» (art. 18, comma  4,  decreto  legislativo  n.  286  del
1998); 
          b)  il  permesso  di  cui  all'art.  18-bis  («Permesso  di
soggiorno per le vittime di violenza domestica») «ha la durata di  un
anno e consente l'accesso ai  servizi  assistenziali  e  allo  studio
nonche' l'iscrizione nell'elenco anagrafico previsto dall'art. 4  del
regolamento di cui al  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  7
luglio 2000, n.  442,  o  lo  svolgimento  di  lavoro  subordinato  e
autonomo, fatti salvi i requisiti minimi di eta'. Alla  scadenza,  il
permesso di  soggiorno  di  cui  al  presente  articolo  puo'  essere
convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro  subordinato
o autonomo, secondo le  modalita'  stabilite  per  tale  permesso  di
soggiorno ovvero in  permesso  di  soggiorno  per  motivi  di  studio
qualora il titolare sia iscritto ad un corso regolare di studi» (art.
1, comma 1, lettera f, numeri 1 e 2, decreto-legge n. 113 del 2018); 
          c) il permesso di soggiorno  per  particolare  sfruttamento
lavorativo ex art. 22, comma 12-quater, «ha la durata di sei  mesi  e
puo' essere rinnovato per un anno o per il maggior periodo occorrente
alla definizione del procedimento penale ... consente lo  svolgimento
di attivita' lavorativa e puo' essere convertito, alla  scadenza,  in
permesso di soggiorno per lavoro subordinato o  autonomo»  (art.  22,
comma 12-quinquies, decreto legislativo n.  286  del  1998;  art.  1,
comma 1, lettera i, n. 2, del decreto-legge n. 113 del 2018); 
        e' abrogata la lettera  d)  del  comma  1  dell'art.  28  del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  394  del  1999,  che
consentiva il  rilascio  di  un  permesso  di  soggiorno  per  motivi
umanitari nelle ipotesi di cui all'art. 19 commi 1 e 1.1, del decreto
legislativo n. 286  del  1998  (art.  1,  comma  6,  lettera  d,  del
decreto-legge n. 113 del 2018); residua tuttavia la possibilita'  che
la Commissione territoriale investita di una richiesta di concessione
della protezione internazionale - ove non ravvisi  i  presupposti  di
quest'ultima, ma ritenga sussistenti le condizioni di cui  ai  citati
commi 1 e 1.1 dell'art. 19 - rilasci un  permesso  di  soggiorno  per
protezione speciale», salvo che possa disporsi l'allontanamento verso
uno Stato che provvede ad accordare una protezione analoga  (art.  1,
comma 2, lettera a, decreto-legge  n.  113  del  2018,  che  modifica
l'art. 32, comma 3, n. 28 del 2005); 
    2.3 - L'art. 1 del decreto-legge n.  113  del  2018  ha,  infine,
previsto delle nuove tipologie di  permessi  di  soggiorno  speciali,
connesse  a  singole   esigenze   di   carattere   umanitario.   Piu'
precisamente: 
        e' introdotto un «permesso di soggiorno per cure mediche»  in
favore degli «stranieri  che  versano  in  condizioni  di  salute  di
particolare  gravita',  accertate  mediante   idonea   documentazione
rilasciata da  una  struttura  sanitaria  pubblica  o  da  un  medico
convenzionato  con  il  Servizio   sanitario   nazionale,   tali   da
determinare un rilevante pregiudizio alla salute degli stessi in caso
di rientro nel Paese di origine o di provenienza» (art. 1,  comma  1,
lettera g, decreto-legge n.  113  del  2018,  che  ha  introdotto  la
lettera  d-bis  all'interno  dell'art.  19,  comma  2,  del   decreto
legislativo n. 286 del 1998, norma che prevede, piu' precisamente, le
ipotesi di divieto di espulsione e di respingimento),  con  validita'
pari al «tempo attestato dalla certificazione sanitaria, comunque non
superiore ad un anno, rinnovabile finche' persistono le condizioni di
salute di particolare gravita' debitamente certificate,  valido  solo
nel territorio nazionale»; 
        viene istituito il «permesso  di  soggiorno  per  calamita'»,
rilasciabile «quando il Paese verso il quale  lo  straniero  dovrebbe
fare ritorno versa in una situazione di  contingente  ed  eccezionale
calamita' che non consente il rientro e la permanenza  in  condizioni
di sicurezza» (art. 1, comma 1, lettera h, di n. 113 del 2018, che ha
introdotto l'art. 20-bis, nel decreto legislativo n. 286 del 1998); 
        e', infine, previsto un permesso di soggiorno  «per  atti  di
particolare valore civile» dello straniero (art. 1, comma 1,  lettera
q, decreto-legge n. 113 del 2018, che ha introdotto l'art. 42-bis nel
decreto legislativo n. 286 del 1998). 
    2.4 - Da quanto sopra, emerge in termini evidenti una complessiva
riduzione dell'ambito  della  protezione  umanitaria  precedentemente
accordata agli stranieri dal decreto legislativo  n.  286  del  1998,
poiche': 
        a)  risulta  abrogata  la  fattispecie  generale  di  «motivo
umanitario» suscettibile di essere tutelata mediante il rilascio allo
straniero del permesso di permanenza sul territorio nazionale (di cui
all'art. 5, cometa 6 del decreto legislativo n. 286 del 1998); 
        b) le uniche esigenze umanitarie  idonee  a  giustificare  la
concessione  di  tale  permesso  sono  tipizzate  dal  legislatore  e
ancorate a stringenti presupposti  normativi  che  -  come  si  dira'
meglio infra - escludono la tutela di alcune fattispecie  in  passato
ricondotte all'alveo dell'art. 5, comma 6, cit.  ovvero  ne  riducono
l'ampiezza. 
    2.5. - La  contrazione  delle  ragioni  umanitarie  tutelate  dal
legislatore nazionale opera anche nei confronti dei soggetti  che  in
passato hanno ottenuto il riconoscimento di un permesso di  soggiorno
ai sensi dei previgenti articoli 5, comma 6, del decreto  legislativo
n. 286 del 1998 e 32, comma 3, del  decreto  legislativo  n.  28  del
2005. 
    L'art. 1,  comma  8,  decreto-legge  n.  113  del  2018  prevede,
infatti, che «fermo restando i casi di conversione,  ai  titolari  di
permesso di soggiorno per motivi umanitari gia' riconosciuto ai sensi
dell'art. 32, comma 3, del decreto legislativo 28  gennaio  2008,  n.
25, in corso di validita' alla data di entrata in vigore del presente
decreto, e' rilasciato, alla scadenza, un permesso  di  soggiorno  ai
sensi dell'art. 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008,
n. 25, come modificato dal presente decreto, previa valutazione della
competente Commissione territoriale sulla sussistenza dei presupposti
di cui all'art. 19, commi 1 e 1.1, del decreto legislativo 25  luglio
1998, n. 286». 
    La norma, in altri termini,  preclude  il  rinnovo  a  condizioni
invariate del permesso di soggiorno per motivi  umanitari  rilasciato
in forza della normativa previgente. Viceversa,  essa  impone  che  -
alla scadenza del suddetto titolo - la situazione dell'istante  venga
rivalutata alla luce delle nuove (e piu' stringenti)  fattispecie  di
permesso di soggiorno previste dal decreto  legislativo  n.  286  del
1998 (come modificato dal decreto-legge n.  113  del  2018).  Con  la
conseguenza che Io straniero non rientrante  in  una  di  tali  nuove
fattispecie  finira'   per   essere   ricompreso   fra   i   soggetti
irregolarmente soggiornanti nel territorio nazionale. 
    E' stato anche soppresso il meccanismo di trasmissione  ufficiosa
al questore  degli  atti  della  procedura  di  riconoscimento  della
protezione   internazionale   pendente   dinanzi   alla   Commissione
territoriale (anteriormente  previsto  dall'art.  32,  comma  3,  del
decreto legislativo n. 25 del 2008 con riguardo a tutte le ipotesi di
accertata sussistenza di «gravi  motivi  di  carattere  umanitario»).
Tale meccanismo opera oggi con esclusivo riferimento ai casi  in  cui
siano verificate le condizioni di cui all'art. 19, commi 1 e 1.1, del
decreto legislativo n. 286 del 1998 (art.  1,  comma  2,  lettera  a,
decreto-legge n. 113 del 2018). 
    2.6. - Mediante il  ridimensionamento  delle  ipotesi  di  tutela
umanitaria, il legislatore nazionale, da un lato,  ha  irrigidito  il
sistema di riconoscimento della protezione internazionale, creando  i
presupposti  per  un  rilevante  aumento  degli  stranieri  privi  di
permesso di soggiorno e, dall'altro lato, ha escluso tali soggetti da
quelli  ammessi  a  fruire  dei  servizi  concernenti   la   sanita',
l'istruzione  superiore  e  la  formazione  professionale,  che   gli
articoli 34, comma 1, e 39, comma 5, del decreto legislativo  n.  286
del 1998 (nella versione anteriore al decreto-legge n. 113 del  2018)
riconoscevano  anche  agli  stranieri  titolari  di  un  permesso  di
soggiorno per motivi umanitari. 
    L'art. 1, comma 1, lettere o) e p) , n. 1, del  decreto-legge  n.
113 del 2018, infatti, attribuisce  il  diritto  alla  fruizione  dei
suddetti servizi ai soli titolari di permessi di soggiorno «per  casi
speciali», «per protezione speciale»,  «per  cure  mediche»,  nonche'
(limitatamente alle prestazioni di cui  all'art.  39,  comma  5,  del
decreto legislativo n. 286 del 1998) «per atti di particolare  valore
civile». 
    I soggetti in stato di vulnerabilita' sotto il profilo umanitario
- che non abbiano i requisiti per accedere a una delle forme  tipiche
di permesso di soggiorno previste oggi dal decreto legislativo n. 286
del 1998 (come modificato dal decreto-legge n. 113 del 2018)  -  sono
considerati   stranieri   irregolarmente   soggiornanti   sul   suolo
nazionale. Essi, dunque, beneficiano delle sole prestazioni sanitarie
minime previste dall'art. 35, comma 3, del decreto legislativo n. 286
del 1998 e non possono fruire dei servizi di formazione professionale
e istruzione superiore previsti dall'art.  39  del  medesimo  decreto
legislativo. 
    Tali soggetti sono parimenti esclusi dalle prestazioni in materia
di  edilizia  residenziale  pubblica,  assistenza  sociale,   nonche'
integrazione sociale, che gli articoli 40, comma 6, 41 e 42, comma 2,
del decreto legislativo n. 286  del  1998  riservano  agli  stranieri
regolarmente   soggiornanti   nel   territorio   nazionale    (talora
prescrivendo  anche  una  durata  minima  del  relativo  permesso  di
soggiorno). 
    3. - Il decreto-legge n. 113 del 2018 ha altresi'  modificato  il
decreto legislativo 18 agosto  2015,  n.  142,  nella  parte  in  cui
disciplina le misure di accoglienza a favore  dei  soggetti  titolari
dello status di rifugiati ovvero della protezione sussidiaria. 
    In particolare,  il  «decreto  sicurezza»  ha  stabilito  che  il
permesso  di  soggiorno  «per  richiesta  di  asilo»   -   attribuito
temporaneamente (ai sensi dell'art. 4, comma 1,  decreto  legislativo
n. 142 del 2015) ai soggetti la cui domanda di asilo non  sia  ancora
stata definita dall'amministrazione -  «non  costituisce  titolo  per
l'iscrizione anagrafica ai sensi del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 30 maggio 1989, n.  223,  e  dell'art.  6,  comma  7,  del
decreto legislativo 25 luglio  1998,  n.  286»  (art.  13,  comma  1,
lettera a, n. 2, decreto-legge n. 113 del 2018, che ha introdotto  il
comma 1-bis nell'art. 4 del decreto legislativo n. 142 del 2015; art.
13, comma 1, lettera c, decreto-legge cit., che  ha  abrogato  l'art.
5-bis del  decreto  legislativo  n.  142  del  2015,  in  materia  di
iscrizione anagrafica del richiedente asilo). 
    Il decreto-legge n. 113 del 2018 ha anche riformato  il  disposto
del decreto-legge n. 416 del 1989 (Norme urgenti in materia di  asilo
politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e  di
regolari  azione  dei  cittadini  extracomunitari  ed  apolidi   gia'
presenti nel territorio dello Stato) nonche' del decreto  legislativo
n. 142 del 2015, prevedendo che: 
        i servizi di accoglienza erogati dagli enti locali rientranti
nella rete SPRAR (Sistema  di  protezione  per  richiedenti  asilo  e
rifugiati) e finanziati dal fondo nazionale  per  le  politiche  e  i
servizi per l'asilo di cui all'art. 1-septies del decreto legislativo
n. 416 del 1989 - prima garantiti anche ai richiedenti asilo  e  agli
stranieri titolari della protezione umanitaria  -  siano  erogati  si
soli soggetti gia' «titolari di protezione internazionale», ai minori
stranieri non  accompagnati  ovvero  ai  «titolari  dei  permessi  di
soggiorno di cui agli articoli  19,  comma  2,  lettera  d-bis),  18,
18-bis, 20-bis, 22, comma 12-quater e 42-bis del decreto  legislativo
25 luglio 1998, n. 286», purche' non gia' destinatati di  sistemi  di
protezione specificamente dedicati (art.  12,  comma  1,  lettera  a,
lettera b, lettera c, decreto-legge n. 113  del  2018,  che  modifica
l'art. 1-sexies, commi 1, 4 e 5 del decreto legislativo  n.  416  del
1989; art. 12, comma 2, lettera f, n. 1, che ha novellato l'art.  14,
comma  1  del  decreto  legislativo  n.  142  del  2015,  negando  ai
richiedenti asilo l'accesso al sistema SPRAR); 
        i servizi di formazione professionale  e  gli  interventi  di
inclusione sociale basati sulla partecipazione a lavori  di  utilita'
sociale - anteriormente garantiti anche ai richiedenti la  protezione
internazionale - sono invece  oggi  esclusi  nei  confronti  di  tali
soggetti (cfr. art. 12, comma 2, lettera 1, decreto-legge n. 113  del
2018, che abroga l'art. 22, comma 3 del decreto  legislativo  n.  142
del 2015, in tema di formazione professionale dei richiedenti  asilo;
cfr. anche art. 12, comma  2,  lettera  m,  decreto-legge  cit.,  che
emenda l'art. 22-bis, commi 1 e 3 del decreto legislativo n. 142  del
2015, limitando ai soli «titolari di  protezione  internazionale»  la
possibilita' di partecipare ai lavori di utilita' sociale organizzati
dalle Prefetture e dagli enti territoriali, d'intesa fra loro). 
    Con tali interventi normativi, il legislatore  statale  -  da  un
lato -ha precluso a tutti gli stranieri in attesa  di  una  decisione
sulla loro  domanda  di  protezione  internazionale  di  accedere  ai
servizi, la cui  fruizione  presuppone  l'iscrizione  anagrafica  del
richiedente;  e,  d'altro   lato,   ha   complessivamente   riformato
l'organizzazione dei servizi di accoglienza  previsti  a  favore  dei
richiedenti asilo, pressoche' eliminando  la  possibilita'  che  tali
servizi siano  erogati  direttamente  dagli  enti  locali  a  livello
decentrato e, comunque, rideterminando l'ampiezza  delle  prestazioni
di accoglienza fruibili dai richiedenti la protezione internazionale. 
    4.  -  La  nuova  disciplina  della   protezione   internazionale
introdotta dal decreto-legge n. 113  del  2018,  come  convertito  in
legge dalla legge n. 132 del 2018, incide sulle  potesta'  normative,
amministrative e organizzative nelle materie che  l'art.  117,  commi
terzo e quarto, Cost. affida alla competenza legislativa  concorrente
o residuale delle regioni. 
    Alle regioni e' attribuita dalla  Costituzione  la  competenza  a
regolare e organizzare lo svolgimento di funzioni essenziali  per  la
gestione  del  fenomeno  migratorio,   implicanti   l'erogazione   di
molteplici servizi in favore della popolazione straniera  stabilitasi
nel proprio territorio. 
    Si tratta in particolare di servizi per la tutela  della  salute,
la tutela del lavoro e le politiche attive del lavoro, la  formazione
professionale,  l'istruzione  inferiore  e  superiore,   l'assistenza
sociale, residenziale pubblica e, in generale, riferiti  a  tutte  le
prestazioni volte a garantire  l'inclusione  e  l'integrazione  degli
immigrati nel tessuto socio-economico regionale. 
    Sono tutti settori di intervento che rientrano nelle  materie  di
competenza legislativa concorrente o residuale delle regioni ai sensi
dell'art. 117, commi terzo e quarto, Cost.  e  sono  oggetto  di  una
distribuzione multilivello - tra Stato,  regioni  ed  enti  locali  -
delle corrispondenti funzioni amministrative (ai sensi dell'art. 118,
primo comma, Cost.). 
    La Regione Marche ha esercitato le  competenze  sopra  richiamate
sia con atti legislativi sia con attivita' amministrative. 
    Si possono citare: 
        a)  la  legge  regionale  26  maggio  2009,  n.  13,  recante
«Disposizioni  a  sostegno  dei  diritti  e   dell'integrazione   dei
cittadini  stranieri  immigrati»,  la  quale  detta  misure  volte  a
garantire agli immigrati formazione, riqualificazione e aggiornamento
professionale (art.  11),  assistenza  sanitaria  (art.  12),  difesa
civica  (art.  13),  diritto  all'abitazione  (art.  16),  protezione
sociale (art. 17); 
        b) la legge  regionale  1°  dicembre  2014,  n.  32,  recante
«Sistema regionale integrato  dei  servizi  sociali  e  tutela  della
persona e della famiglia», la quale contempla, tra le  sue  esplicite
finalita', quelle dell'«inclusione sociale e culturale dei  cittadini
stranieri immigrati e assistenza alle popolazioni nomadi,  attraverso
i comuni singoli e associati (Ambiti territoriali sociali)» (art.  1,
comma 1, lettera h); 
        c) i programmi, progetti e piani regionali per l'integrazione
dei migranti, attivati per l'erogazione di servizi e la realizzazione
di progetti di integrazione sociale, lavorativa e linguistica. 
    L'attuazione di tali interventi risulta di fondamentale  rilievo,
non solo per garantire il  rispetto  dei  diritti  inviolabili  degli
stranieri, ma anche per assicurare l'ordinata e  pacifica  convivenza
della popolazione residente  nel  territorio  regionale,  evitando  i
costi sociali ed  economici  che  si  produrrebbero  a  carico  della
comunita' intera in caso di soppressione degli interventi medesimi. 
    E' sufficiente considerare - a titolo di esempio - le conseguenze
per la salute pubblica che si verificherebbero in caso di  esclusione
della popolazione straniera stabilmente presente  nella  regione  dai
programmi di vaccinazione e  dalle  campagne  di  informazione  sulle
profilassi e sulle  modalita'  di  diagnosi  e  cura  delle  malattie
infettive (prestazioni che certamente esulano  da  quelle  di  natura
emergenziale, che l'art. 35, comma 3, del decreto legislativo n.  286
del 1998 riconosce anche agli stranieri  irregolarmente  soggiornanti
in Italia). 
    Ancora, l'eliminazione dei  servizi  di  assistenza  sociale,  di
istruzione ed educazione (specie in eta' giovanile) e delle politiche
attive per l'inserimento lavorativo  e  la  formazione  professionale
degli immigrati determinerebbe  la  totale  estraniazione  di  questi
soggetti dal tessuto economico-sociale proprio dell'area in cui  essi
si sono stabiliti,  con  il  conseguente  rischio  di  incremento  di
fenomeni di  delinquenza  -individuale  o  associata  -  connessi  al
suddetto stato di emarginazione. 
    Le  disposizioni  del  decreto-legge  n.  113  del   2018,   come
convertito in legge, rischiano di vanificare del tutto gli interventi
regionali volti a garantire l'ordinata  gestione  degli  effetti  sul
territorio e sulla convivenza sociale  dei  fenomeni  migratori,  con
conseguente grave pregiudizio per  le  regioni  e  gli  enti  locali,
chiamati  a  far  fronte  alle  situazioni  di  disagio  sociale   ed
economico, degrado urbano ed emarginazione  che  si  verificherebbero
laddove venissero meno le suddette misure di mitigazione. 
    In contrasto  con  tali  esigenze,  la  nuova  disciplina  abroga
l'istituto generale del permesso di soggiorno per motivi umanitari  e
pertanto determina il rischio  concreto  di  un  notevole  incremento
della popolazione straniera irregolarmente  presente  sul  territorio
nazionale. Si riducono, infatti, le esigenze di protezione umanitaria
idonee a giustificare il rilascio di  un  titolo  di  permanenza  nel
territorio nazionale al richiedente; e, contestualmente, si impedisce
agli stranieri gia' possessori di un permesso di soggiorno per motivi
umanitari di ottenerne il rinnovo a condizioni invariate  (posto  che
l'art. 1, comma 8, del decreto-legge n. 113 del 2018  impone  -  alla
scadenza del titolo -  una  nuova  valutazione  amministrativa  sulla
situazione del richiedente, onde  verificare  i  presupposti  per  il
rilascio di uno dei  permessi  di  soggiorno  tipizzati  dalla  nuova
normativa). In un breve  lasso  di  tempo,  molti  stranieri  -  oggi
regolarmente  presenti  nel  territorio  regionale  -  perderanno   i
requisiti  di  permanenza  legittima  nel  territorio   nazionale   e
diventeranno  percio',  a  tutti  gli  effetti,  immigrati  non  piu'
regolarmente    soggiornanti;     con     conseguente     preclusione
dell'erogazione   di   tutti   quei   servizi   cui   prima   avevano
legittimamente  accesso  (salvi  i  rari  casi  in  cui  ricorrano  i
presupposti  dei  permessi   di   soggiorno   tipici   previsti   dal
decreto-legge n. 113 del 2018). 
    Gli stranieri divenuti irregolari  a  seguito  della  riforma  si
troveranno in una situazione di assoluta incertezza; poiche',  da  un
lato, saranno considerati  -  a  tutti  gli  effetti  -  soggiornanti
irregolari (e conseguentemente esclusi  dalle  prestazioni  pubbliche
sopra  descritte),  ma,  d'altro   lato,   vi   saranno   sicuramente
difficolta' perche' possano essere espulsi dal territorio  nazionale,
data la necessita' di  specifici  accordi  per  il  rimpatrio  con  i
principali  Paesi  di  provenienza  degli   stranieri:   in   assenza
dell'operativita'  di  tali  accordi  l'espulsione  e'   estremamente
difficile (ne' il decreto-legge n. 113 del 2018 disciplina  in  alcun
modo il rientro in patria degli irregolari o  garantisce  che  questo
avvenga, in quanto non prevede una tempistica per detta  finalita'  e
neppure specifica quale sia la disciplina - anche  transitoria  -  da
applicare a queste persone una volta divenute non  piu'  regolarmente
soggiornanti). 
    A seguito della riforma, i legislatori regionali sono obbligati a
introdurre    modifiche    rilevanti     nella     legislazione     e
nell'organizzazione  amministrativa   riferita   all'erogazione   dei
servizi di accoglienza agli stranieri. 
    A causa del rilevante aumento del numero degli immigrati non piu'
in possesso di un valido titolo di soggiorno presenti sul territorio,
le regioni e gli altri enti locali devono, infatti, far  fronte  alle
conseguenze negative che le previsioni del decreto-legge n.  113  del
2018 produrranno nello svolgimento dei servizi erogati a favore della
popolazione  presente  nella  regione,  affrontando  le   conseguenti
problematiche organizzative e  sostenendone  i  relativi  costi  (ivi
compresa la perdita degli  effetti  positivi  delle  misure  fin  qui
adottate). 
    In quest'ottica - oltre alle attribuzioni regionali  in  tema  di
tutela  del  lavoro,  politiche   attive   del   lavoro,   formazione
professionale,  istruzione  inferiore  e  superiore,   assistenza   e
inclusione sociale, edilizia residenziale pubblica - verra'  altresi'
in  rilievo  la  competenza  regionale   in   materia   di   «polizia
amministrativa  locale»,  con  particolare  riguardo  alla  sicurezza
urbana (che il combinato disposto dei commi  secondo,  lettera  h,  e
quarto  dell'art.  117  Cost.  affida   senz'altro   alla.   potesta'
legislativa residuale della regione; cfr. anche Corte  costituzionale
n. 407/2002), nonche' al contrasto dei  fenomeni  di  degrado  urbano
che, in prospettiva,  l'attuazione  della  riforma  e'  in  grado  di
produrre. 
    5. - Per tali motivi, le modifiche introdotte  dal  decreto-legge
n. 113 del 2018 - inficiate, come si vedra', da  molteplici  vizi  di
illegittimita' costituzionale - possono essere impugnate dall'odierna
ricorrente davanti a questa ecc.ma Corte,  posto  che  i  profili  di
incostituzionalita' che saranno puntualmente indicati in ciascuno dei
motivi di ricorso «ridondano» senz'altro in lesione delle  competenze
costituzionali attribuite alla regione e che quest'ultima ha fino  ad
oggi concretamente esercitato con la sua attivita' legislativa e  con
l'organizzazione dei servizi predisposti  a  favore  degli  stranieri
titolari dei relativi permessi di soggiorno. 
    Come questa ecc.ma  Corte  ha  da  tempo  chiarito,  infatti,  le
regioni  sono  ammesse  a  promuovere  il  giudizio  di  legittimita'
costituzionale in via principale avverso gli atti  legislativi  dello
Stato non soltanto nelle ipotesi in cui sia lamentata una  violazione
delle norme sul riparto di competenze tra lo Stato e le  regioni,  ma
anche nei casi in cui  «la  disposizione  statale,  pur  conforme  al
riparto  costituzionale  delle  competenze,  obbliga  le  regioni   -
nell'esercizio di altre loro attribuzioni normative, amministrative o
finanziarie  -  a   conformarsi   ad   una   disciplina   legislativa
asseritamente incostituzionale, per contrasto con parametri, appunto,
estranei a tale riparto» (ex multis, Corte costituzionale, 10  giugno
2016, n. 145). 
    Con  il  presente  ricorso,  la   Regione   Marche   impugna   le
disposizioni   legislative   indicate   in   epigrafe,    deducendone
l'illegittimita' costituzionale per le  ragioni  che  di  seguito  si
espongono. 
 
                          Motivi di diritto 
 
I. - Primo motivo. 
    Illegittimita' costituzionale del decreto-legge n. 113 del  2018,
convertito in legge con legge n. 132  del  2018,  ed  in  particolare
degli articoli 1 e 13, per  violazione  dell'art.  77  Cost.  Lesione
indiretta delle attribuzioni legislative in materia di «tutela  della
salute»,   «tutela    del    lavoro»,    «istruzione»,    «formazione
professionale», «governo del territorio» con riferimento all'edilizia
residenziale pubblica, e in materia di «assistenza sociale»,  nonche'
delle relative funzioni amministrative, che gli articoli  117,  commi
terzo e quarto, e 118 Cost.  riconoscono  in  favore  della  Regione.
Lesione  indiretta  dell'autonomia  finanziaria  regionale  garantita
dall'art. 119 Cost. Lesione indiretta delle attribuzioni  che  l'art.
118 Cost. - anche in relazione agli articoli 114 e 117, comma  sesto,
Cost. - riconosce in favore dei comuni,  in  riferimento  alle  sopra
indicate materie di competenza legislativa regionale. 
    I.1. - Il decreto-legge n. 113 del 2018, convertito in legge  con
legge n. 132 del 1° dicembre 2018, e' stato adottato in mancanza  dei
presupposti  di  straordinaria  necessita'   e   urgenza   prescritti
dall'art. 77 Cost., con l'effetto di risultare  radicalmente  viziato
da illegittimita' costituzionale e di rendere  parimenti  illegittima
per vizio in procedendo  anche  la  relativa  legge  di  conversione.
Infatti: 
        a) manca nel preambolo del decreto un'adeguata motivazione in
grado  di  giustificare  l'ampiezza   della   riforma   ordinamentale
introdotta in relazione alla necessaria e specifica sussistenza,  nel
caso di specie, dei presupposti di straordinaria necessita' e urgenza
che dovrebbero costituire il legittimo fondamento della scelta  della
fonte concretamente utilizzata; 
        b)  e'  inammissibile  l'adozione   del   decreto-legge   con
riferimento alla rilevante eterogeneita' delle  materie  disciplinate
(immigrazione, protezione  internazionale,  cittadinanza,  sicurezza,
contrasto  della  corruzione  e   della   criminalita'   organizzata,
organizzazione amministrativa delle autorita' nazionali e  locali  di
pubblica sicurezza); 
        c) mancano i presupposti della necessita' e  urgenza  per  un
intervento normativo di immediata applicazione diretto a fronteggiare
un fenomeno  ormai  «ordinario»,  quale  quello  della  immigrazione,
peraltro ridottosi fortemente proprio nel 2018. 
    Nel caso di specie, il vizio riferito alla  fonte  di  produzione
utilizzata  ridonda  senz'altro   in   lesione   delle   attribuzioni
legislative, amministrative e finanziarie sia della Regione  che  dei
comuni tenuti ad intervenire in svariate materie. 
    In particolare, le previsioni del decreto-legge n. 113  del  2018
incidono sull'esercizio delle  funzioni  proprie  delle  regioni  nei
settori della «tutela  della  salute»,  della  «tutela  del  lavoro»,
dell'«istruzione», della «formazione professionale», del «governo del
territorio» con riferimento  all'edilizia  residenziale  pubblica,  e
dell'«assistenza  sociale»,  nonche'  sulle  corrispondenti  funzioni
amministrative  regionali  e  locali,  cosi'  come  precisate   nelle
premesse di fatto (v. par. 1.4.). 
    L'illegittimita' della fonte normativa adottata per introdurre la
riforma  costringe,  infatti,  regioni  ed   enti   locali   ad   una
riorganizzazione dei loro servizi, con tempi illogicamente stringenti
ed oneri non preventivati. 
    La  Regione  e'  quindi  legittimata  a  dedurre  la   violazione
dell'art. 77 Cost. con il ricorso in via principale innanzi a  questa
ecc.ma Corte, posto che la riforma  della  protezione  internazionale
operata dall'impugnato decreto-legge in assenza  dei  presupposti  di
necessita' e urgenza, nonche'  dei  requisiti  di  omogeneita'  delle
materie trattate configura un'ipotesi di illegittima  ridondanza  del
vizio denunciato sulle sfere di competenza regionali (Corte  cost.  4
ottobre 2016, n.  244),  con  particolare  riferimento  all'autonomia
legislativa,  amministrativa  e  finanziaria  di   cui   alle   norme
costituzionali richiamate in rubrica. 
II. - Secondo motivo. 
    Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, decreto-legge  n.  113
del 2018, come convertito in legge con legge n.  132  del  2018,  con
particolare riferimento al combinato disposto  di  cui  al  comma  1,
lettera b), n. 2, comma 2 e comma 8; nonche' con riferimento al comma
1, lettera e), lettera f), lettera  g),  lettera  h)  e  lettera  i);
nonche' con riferimento al comma 1, lettera o), e lettera p) , n.  1,
per violazione degli articoli 2, 3, 10, commi secondo  e  terzo,  11,
117, primo comma, della  Costituzione  (anche  con  riferimento  agli
articoli 15,  lettera  c,  e  18  della  direttiva  2011/95/UE;  agli
articoli 6, 10, comma 1, 17, 23, 24, del Patto Internazionale di  New
York sui diritti civili e politici; agli articoli  2,  3  e  8  della
CEDU). Lesione indiretta delle attribuzioni legislative in materia di
«tutela della salute», «tutela del lavoro», «istruzione», «formazione
professionale», «governo del territorio» con riferimento all'edilizia
residenziale pubblica, e in materia di «assistenza sociale»,  nonche'
delle relative funzioni amministrative, che gli articoli  117,  commi
terzo e quarto, e 118 Cost.  riconoscono  in  favore  della  Regione.
Lesione  indiretta  dell'autonomia  finanziaria  regionale  garantita
dall'art. 119 Cost. Lesione indiretta delle attribuzioni  che  l'art.
118 Cost. - anche in relazione agli articoli 114 e 117, comma  sesto,
Cost. - riconosce in favore dei comuni,  in  riferimento  alle  sopra
indicate materie di competenza legislativa regionale. 
    II.1.  -  L'art.  1,  commi  1,  lettera  b),  n.  2,  e  2,  del
decreto-legge n. 113 del  2018,  modifica  l'art.  5,  comma  6,  del
decreto legislativo n. 286 del 1998, riducendo i casi nei  quali  non
e' consentito rifiutare o revocare  il  permesso  di  soggiorno  agli
stranieri, poiche' i motivi «di  carattere  umanitario»  ammessi  dal
citato art. 5, comma 6, sono stati soppressi. 
    Come detto,  il  ridimensionamento  della  tutela  umanitaria  si
applica non solo ai soggetti  che  formulano  domanda  di  protezione
umanitaria successivamente all'entrata in vigore del decreto-legge n.
113 del 2018, ma anche a coloro che - prima di tale riforma  -  hanno
ottenuto un titolo di permanenza sul territorio  nazionale  in  forza
dei previgenti articoli 5, comma 6, decreto legislativo  n.  286  del
1998 e 32, comma 3, del decreto legislativo n. 28 del 2005. 
    Infatti, ai sensi dell'art. 1, comma 8, decreto-legge n. 113  del
2018, i titolari di un «vecchio» permesso  di  soggiorno  per  motivi
umanitari - giunti alla scadenza del periodo di validita' del  titolo
- non potranno  ottenerne  il  rinnovo  a  condizioni  invariate,  ma
dovranno superare il vaglio dell'amministrazione circa la sussistenza
delle condizioni previste dall'art. 1, comma 8, citato: ossia, quelle
previste dall'art. 19, commi 1 e 1.1, del decreto legislativo n.  286
del 1998. 
    Il combinato disposto del comma 1, lettera b) , n. 2, e del comma
8 dell'art. 1, decreto-legge n. 113 del 2018, ha quindi l'effetto  di
rendere irregolare (o al momento del rilascio del permesso, o del suo
rinnovo, o nel caso di una sua revoca o rifiuto) la  posizione  degli
stranieri che prima potevano godere del  permesso  di  soggiorno  per
«motivi umanitari», ma che ora non rientrano nei casi di cui all'art.
19, commi 1 e 1.1, del decreto legislativo n. 286 del 1998,  ne'  nei
casi speciali previsti dal decreto-legge n. 113 del 2018  (quali,  ad
esempio, quello per cure mediche relative a situazioni di  salute  di
particolare gravita': cfr. art. 1, comma 1, lettera f). 
    II.2. - La  nuova  disciplina  pregiudica  gravemente  i  diritti
inviolabili che la stessa Costituzione, le norme europee,  nonche'  i
trattati internazionali impongono alle autorita' statali di garantire
anche nei confronti dei cittadini  stranieri.  Di  qui  il  contrasto
della nuova disciplina con: 
        l'art. 2 Cost. e il connesso «principio di  dignita'  umana»,
poiche' esclude dal regime di protezione internazionale soggetti che,
ove costretti al ritorno al Paese d'origine, si vedrebbero  lesi  nel
godimento di diritti «fondamentalissimi» che concorrono a qualificare
la dignita' dell'uomo in quanto tale, quali: i) soggetti che  corrono
il rischio di veder  seriamente  minacciata  la  propria  vita  e  la
propria incolumita' in ragione  di  disordini  violenti  o  conflitti
armati interni  e  internazionali  che  caratterizzino  il  Paese  di
origine, pur non  avendo  i  requisiti  per  ottenere  la  protezione
sussidiaria; ii) soggetti  che,  anche  in  ragione  di  instabilita'
politiche e sociali, in caso di  rientro  nel  Paese  di  origine  si
vedrebbero esposti a grave rischio di violazione dei propri diritti e
liberta'  democratiche,  in  ipotesi  ulteriori  rispetto  a   quelle
disciplinate per i «casi speciali»; iii) soggetti che, a causa  delle
condizioni  in  cui  versa  il  Paese  di  origine,  si  troverebbero
inesorabilmente a mancare delle condizioni minime  per  soddisfare  i
loro bisogni primari, in ragione di fattori economici e/o ambientali;
iv) soggetti esposti, in caso di rientro nel  Paese  d'origine,  alla
minaccia grave e individuale alla vita o alla persona  di  un  civile
derivante dalla violenza indiscriminata in  situazioni  di  conflitto
armato interno o internazionale; v) soggetti che,  ove  costretti  ad
abbandonare il territorio italiano, sarebbero lesi nel  loro  diritto
fondamentale al rispetto della vita privata e familiare; vi) soggetti
caratterizzati da estrema indigenza nel Paese d'origine, poiche' tale
condizione compromette in modo inesorabile il diritto  a  raggiungere
gli standard minimi di una esistenza dignitosa  (cfr.  Cassazione  n.
4455/2018); vii) i soggetti  vertenti  in  cattivo  stato  di  salute
ovvero  affetti  da  patologie  invalidanti  che  non  ottengano  una
certificazione di «particolare gravita'» del proprio  quadro  clinico
(come oggi richiesto dall'art. 19, comma 2, lettera d-bis del decreto
legislativo n. 286 del 1998), ma che  nondimeno  che  subirebbero  un
aggravamento delle proprie condizioni di salute in caso di ritorno in
patria; 
        gli articoli 2 e  3  della  Cost.,  sotto  il  profilo  della
irragionevole lesione della posizione acquisita dagli  stranieri  che
in virtu' del precedente assetto normativa fruivano  di  un  regolare
permesso di soggiorno e che, senza adeguata  disciplina  transitoria,
sono collocati in posizione di  irregolarita'.  La  nuova  disciplina
introduce, inoltre, una disparita' di trattamento tra coloro i quali,
a parita' di condizioni di rilascio, dopo  l'entrata  in  vigore  del
decreto-legge n. 113 del 2018 non potranno piu' godere  del  permesso
di soggiorno e coloro i quali, invece,  lo  potranno  mantenere;  con
conseguente discriminazione anche nel godimento dei diritti  e  delle
prestazioni collegate al permesso di soggiorno; 
        l'art. 10, terzo comma, Cost., poiche' esclude dal regime  di
protezione ivi disciplinato soggetti che - secondo  la  ricostruzione
della giurisprudenza  di  legittimita'  (cfr.,  ad  es.,  Cassazione,
sentenze n. 10686 del 2012; n. 16362 del 2016; n. 4455  del  2018)  -
sono  titolari  del  diritto  di  asilo  riconosciuto  dalla   citata
disposizione costituzionale, e in particolare coloro che: i) pur  non
essendo esposti a possibili attivita' «persecutorie» dirette nei loro
confronti,  corrono  tuttavia  il  rischio   di   vedere   seriamente
minacciata la propria vita e la propria  incolumita'  in  ragione  di
disordini violenti o conflitti armati interni  e  internazionali  che
caratterizzino il Paese di  origine  e  non  hanno  i  requisiti  per
vedersi riconosciuta la protezione sussidiaria; ii) anche in  ragione
di instabilita' politiche e sociali, in caso di rientro nel Paese  di
origine si vedrebbero esposti  a  grave  rischio  di  violazione  dei
propri diritti e liberta' democratiche, quali il diritto a non essere
discriminato (art. 3 Cost.), il diritto a non  essere  estradato  per
reati politici (art. 10 Cost.), la liberta'  di  religione  (art.  19
Cost.), la liberta' di manifestazione del pensiero (art.  21  Cost.),
il diritto di agire e difendersi in  giudizio  (art.  24  Cost.),  il
diritto a un  giudice  naturale  precostituito  per  legge  (art.  25
Cost.); iii) a causa delle  condizioni  in  cui  versa  il  Paese  di
origine, si troverebbero inesorabilmente a mancare  delle  condizioni
minime per soddisfare i bisogni primari, necessariamente  presupposti
dall'esercizio delle liberta' democratiche,  in  ragione  di  fattori
economici  e/o  ambientali,  quali   carestie,   siccita',   poverta'
inemendabile; 
        gli articoli 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione  agli
articoli 15, lettera c), e 18  della  direttiva  2011/95/UE,  poiche'
esclude dal regime  di  protezione  ivi  disciplinato  soggetti  che,
essendo esposti,  in  caso  di  rientro  nel  Paese  d'origine,  alla
«minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di  un  civile
derivante dalla violenza indiscriminata in  situazioni  di  conflitto
armato interno  o  internazionale»,  hanno  diritto  alla  protezione
sussidiaria; 
        gli articoli 10, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., in
riferimento agli articoli 6, 10, comma 1,  17,  23  e  24  del  Patto
internazionale sui diritti civili e politici (PIDCP) - reso esecutivo
in Italia con legge 25 ottobre 1977, n. 881 - e agli articoli 2, 3  e
8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo
e  delle  liberta'  fondamentali,  poiche'  esclude  dal  regime   di
protezione ivi disciplinato: i) soggetti che, in caso di rientro  nel
Paese d'origine, sarebbero esposti al serio rischio  per  la  propria
vita e la sicurezza alimentare in  ragione  dell'estrema  poverta'  e
indigenza presente nel Paese di provenienza (articoli 6 e  10,  comma
1, PIDCP; articoli 2 e 3 CEDU); ii) soggetti che,  ove  costretti  ad
abbandonare il territorio italiano, sarebbero lesi nel  loro  diritto
fondamentale al rispetto della vita privata e familiare (articoli 17,
23 e 24 PIDCP; art. 8 CEDU). 
    I profili di incostituzionalita' sopra indicati  risultano  ancor
piu' gravi se si considera che le novita' introdotte - in particolare
dall'art. 1, comma 2, del decreto-legge - intervengono su un  sistema
di protezione internazionale attuato per dare seguito  necessario  ai
principi di cui all'art. 10 Cost. Si deve, infatti considerare che le
disposizioni impugnate nel presente ricorso abrogano  una  disciplina
«costituzionalmente obbligatoria», in quanto sistema  normativo  che,
anche nell'interpretazione giurisprudenziale, ha avuto la funzione di
rendere effettivi i diritti fondamentali della persona. Si tratta  di
norme che «una volta venute ad esistenza possono essere dallo  stesso
legislatore modificate o sostituite  con  altra  disciplina,  ma  non
possono essere puramente e semplicemente abrogate, cosi' da eliminare
la tutela precedentemente concessa, pena  la  violazione  diretta  di
quel  medesimo   precetto   costituzionale   della   cui   attuazione
costituiscono strumento» (cfr. Corte cost., sentenza n. 49 del 2000). 
    Le disposizioni impugnate, in quanto  viziate  di  illegittimita'
costituzionale,   incidono   illegittimamente   sulle    attribuzioni
legislative regionali ex art. 117, terzo comma, Cost., riguardanti  i
servizi erogati a favore degli stranieri in materia di «tutela  della
salute»,   «tutela    del    lavoro»,    «istruzione»,    «formazione
professionale», «governo del territorio» con riferimento all'edilizia
residenziale  pubblica,  nonche'  su  quelle  concernenti  i  servizi
erogati in materia di  «assistenza  sociale»  di  cui  all'art.  117,
quarto comma, Cost., e sulle relative funzioni amministrative ex art.
118, primo comma, Cost. 
    Come si e'  anticipato,  infatti,  la  riforma  della  protezione
umanitaria operata dal decreto-legge n. 113 del 2018 e' destinata  ad
aumentare  il  numero  degli  stranieri  cui  risulta   preclusa   la
possibilita'  di  acquisire  un  valido  titolo  di   soggiorno   sul
territorio nazionale e la  conseguente  possibilita'  di  fruire  dei
molteplici servizi predisposti in loro favore dalle regioni in virtu'
della previgente normativa. 
    Cio' comporta la necessita' di una rimodulazione  delle  funzioni
regionali - sia dal punto di vista della relativa disciplina, che del
loro concreto esercizio - in modo  tale  da  escludere  il  godimento
delle prestazioni concernenti i servizi sopra elencati da parte degli
stranieri che non potranno piu' ottenere il rilascio o il rinnovo  (o
potranno subire la revoca) del permesso di soggiorno, in forza  delle
norme di cui al decreto-legge n. 113 del 2018. 
    In particolare, la nuova  normativa  introdotta  dal  legislatore
statale imporra' alla Regione  di  negare  agli  stranieri  non  piu'
qualificabili come «regolarmente soggiornanti» una  molteplicita'  di
prestazioni previste dal decreto  legislativo  n.  286  del  1998  ed
essenziali per la corretta gestione degli effetti  sul  territorio  e
sociali del fenomeno migratorio, quali: l'assistenza sanitaria  (art.
34); i corsi di alfabetizzazione  e  scolarizzazione  di  base  degli
stranieri adulti (art. 38, comma 5,  lettera  a  e  b);  l'istruzione
superiore e la formazione professionale (art. 39, comma 5); l'accesso
agli alloggi di  edilizia  residenziale  pubblica  e  ai  servizi  di
intermediazione delle agenzie sociali per facilitare  l'accesso  alle
locazioni abitative e al credito agevolato in  materia  di  edilizia;
(art. 40, comma 6); i servizi di assistenza sociale (art. 41). 
    Le disposizioni citate prevedono - quale  requisito  generale  di
accesso alle prestazioni - il possesso, da parte del richiedente,  di
un valido titolo di  soggiorno  nel  territorio  nazionale;  dal  che
deriva l'esclusione di tutti gli immigrati  che  -  a  seguito  della
riforma - non  saranno  piu'  qualificati  (ne'  qualificabili)  come
regolarmente soggiornanti. 
    Inoltre, la disciplina di molti dei servizi  erogati  dagli  enti
territoriali prescrive che  -  per  accedervi  -  l'interessato  deve
essere iscritto nei registri anagrafici del comune di  residenza.  La
riduzione delle ipotesi di protezione  umanitaria  e  il  conseguente
aumento  degli  stranieri  non  piu'  regolarmente  soggiornanti   si
ripercuoteranno dunque  anche  sulle  prestazioni  che  esigono  tale
presupposto,  considerato  che  l'art.  6,  comma  7,   del   decreto
legislativo n. 286 del 1998 riconosce ai soli stranieri  regolarmente
soggiornanti il diritto di ottenere l'iscrizione anagrafica a parita'
di condizioni rispetto ai cittadini italiani. 
    II.3. - Risultano evidenti  sia  l'illegittimita'  costituzionale
sotto molteplici profili delle previsioni contenute nel decreto-legge
n. 113 del 2018, sia la concreta «ridondanza» di tale  illegittimita'
costituzionale in lesione  delle  attribuzioni  che  la  Costituzione
riconosce alle regioni. 
    Le norme legislative censurate - pur  essendo  espressione  della
competenza legislativa esclusiva  dello  Stato  nelle  materie,  c.d.
«trasversali», del «diritto  di  asilo  e  condizione  giuridica  dei
cittadini di Stati non appartenenti all'Unione  europea»  (art.  117,
secondo comma, lettera  a)  nonche'  dell'«immigrazione»  (art.  117,
secondo comma, lettera b) - incidono  palesemente  (e  con  contenuti
illegittimi) sulle competenze regionali concernenti la «tutela  della
salute», la  «tutela  del  lavoro»,  l'«istruzione»,  la  «formazione
professionale»,  il  «governo   del   territorio»   con   riferimento
all'edilizia residenziale pubblica, e l'«assistenza sociale». 
    La «ridondanza» dei profili di illegittimita'  costituzionale  di
una normativa statale in lesione delle attribuzioni  regionali,  come
si e' detto, si configura  proprio  laddove  le  norme  adottate  dal
legislatore nazionale non contrastino con le regole costituzionali in
tema di riparto di competenze tra lo Stato e gli  enti  territoriali,
ma nondimeno obblighino le regioni a conformarsi  ad  una  disciplina
legislativa incostituzionale  (sotto  altri  profili)  nell'esercizio
delle loro attribuzioni normative, amministrative o  finanziarie  (v.
la citata sentenza di questa Corte, n. 145/2016). 
    Cio' e' per l'appunto quel che accade nel  caso  di  specie,  dal
momento che le censurate norme - del decreto-legge n. 113  del  2018,
mediante l'introduzione di  vincoli  costituzionalmente  illegittimi,
vincolano le regioni nella  regolamentazione  e  nell'erogazione  dei
servizi di accoglienza in favore degli stranieri. 
    II.4. -  In  particolare,  la  disciplina  legislativa  impugnata
preclude  alle  regioni  -  con  specifico  riferimento  al  servizio
sanitario e alle prestazioni concernenti l'istruzione superiore e  la
formazione  professionale  -  di  esercitare  la  facolta',  ad  esse
costituzionalmente garantita, di dettare autonomamente il volume e le
modalita' organizzative dei servizi  a  favore  degli  stranieri  che
rientrano nella loro competenza legislativa. 
    In  proposito,  occorre  ricordare  i  principi   sanciti   dalla
giurisprudenza di questa Corte, secondo cui - ferme  le  attribuzioni
statali in tema di regolazione dei flussi di ingresso nel  territorio
nazionale - le  regioni  hanno  piena  facolta'  di  intervenire  per
«assicurare  anche  agli   stranieri   irregolari   le   fondamentali
prestazioni sanitarie ed assistenziali atte a  garantire  il  diritto
all'assistenza sanitaria,  nell'esercizio  della  propria  competenza
legislativa»;  prestazioni  che   spettano   ai   suddetti   soggetti
«qualunque sia la loro posizione rispetto  alle  norme  che  regolano
l'ingresso ed il soggiorno nello Stato» (Corte cost. 22 ottobre 2010,
n. 299; in termini, Corte costituzionale 22 luglio 2010, n. 269). 
    Anche   le   direttive   europee   in   materia   di   protezione
internazionale  contemplano  espressamente  la  possibilita'  che   i
legislatori nazionali introducano «disposizioni  piu'  favorevoli  in
ordine  alla  determinazione  dei   soggetti   che   possono   essere
considerati rifugiati o persone aventi  titolo  a  beneficiare  della
protezione sussidiaria, nonche'  in  ordine  alla  definizione  degli
elementi sostanziali della protezione internazionale» (art.  2  della
direttiva 2011/95/UE). 
    Piu'  precisamente,  la  direttiva  2013/33/UE  -  concernente  i
servizi di accoglienza dei richiedenti  protezione  internazionale  -
prevede che «gli Stati membri possono stabilire o mantenere in vigore
disposizioni piu' favorevoli  sulle  condizioni  di  accoglienza  dei
richiedenti e dei parenti  stretti  dei  richiedenti  presenti  nello
stesso Stato membro, quando siano a loro  carico  oppure  per  motivi
umanitari...» (art. 4). 
    In base ai suddetti principi giurisprudenziali e tenuto conto del
potere del legislatore regionale  di  concorrere  all'attuazione  del
diritto europeo negli ambiti  di  rispettiva  competenza  (art.  117,
quinto comma, Cost.), le regioni hanno facolta' di approvare norme di
maggior favore nei  confronti  degli  stranieri,  con  riguardo  alla
«tutela della salute» ed alla «formazione professionale». 
    Sennonche', l'art. 1, comma  1,  lettere  o)  e  p),  n.  1,  del
decreto-legge n. 113 del 2018 ha modificato gli articoli 34, comma 1,
e 39, comma 5, del decreto legislativo n. 286 del 1998, riducendo  il
novero dei  soggetti  ammessi  a  fruire  dei  servizi  sanitari,  di
istruzione superiore e di formazione professionale ai  soli  titolari
di  permessi  di  soggiorno  «per  casi  speciali»,  «per  protezione
speciale»,  «per   cure   mediche»,   nonche'   (limitatamente   alle
prestazioni di cui all'art. 39, comma 5, del decreto  legislativo  n.
286 del 1998) «per atti di particolare valore civile». 
    In tal modo, il legislatore statale ha precluso alle  regioni  di
optare autonomamente per il riconoscimento dei  suddetti  servizi  in
favore degli stranieri che, in passato, erano  titolari  (o  potevano
conseguire il rilascio)  di  un  permesso  di  soggiorno  per  motivi
umanitari. 
    Anche sotto questo profilo,  dunque,  i  vizi  di  illegittimita'
costituzionale che affliggono le indicate norme del decreto-legge  n.
113 del 2018 ridondano illegittimamente in lesione  delle  competenze
regionali  in  tema  di  servizi  di  accoglienza  in  favore   degli
stranieri. 
    II.5.  -  La  nuova  normativa  statale,  in  quanto  illegittima
costituzionalmente,   incide   negativamente   anche   sull'autonomia
finanziaria regionale di  cui  all'art.  119  Cost.,  particolarmente
sotto il profilo dell'autonomia di spesa  in  materia  sanitaria  (ma
anche in  riferimento  agli  oneri  che  la  Regione  deve  sostenere
nell'esercizio delle altre competenze sopra richiamate). 
    In particolare, l'art. 35, comma 3, decreto  legislativo  n.  286
del 1998, individua le prestazioni sanitarie comunque assicurate agli
stranieri non in regola con  le  norme  relative  all'ingresso  e  al
soggiorno in Italia. 
    Tale norma, letta  alla  luce  della  circolare  Ministero  della
salute n. 5 del 24 marzo 2000 e dell'Accordo Stato Regioni n. 255 del
20  dicembre  2012,  comporta  che  gli  oneri  economici   derivanti
dall'erogazione delle «prestazioni  ospedaliere  urgenti  o  comunque
essenziali, per  malattia  ed  infortunio,  e  cioe'  quelle  urgenti
erogate  tramite  pronto  soccorso  e  quelle  essenziali,  ancorche'
continuative, erogate in regime di  ricovero,  compreso  il  ricovero
diurno (day  hospital),  od  in  via  ambulatoriale»  debbano  essere
sostenuti dallo Stato, mentre spetta alla Regione sostenere gli oneri
relativi alle prestazioni indicate alle lettere a), b),  c),  d),  e)
del comma 3 del citato art. 35. 
    La combinazione  tra  quest'ultima  norma  e  quelle  discendenti
dall'art. 1, commi 1, lettera b), n. 2, 2 e 8, decreto-legge  n.  113
del  2018,  comporta  che  all'aumento  del  numero  degli  stranieri
irregolarmente soggiornanti nel  territorio  italiano  corrispondera'
necessariamente l'aumento delle spese  sostenute  dalle  regioni  per
l'erogazione  delle  prestazioni  sanitarie  a  loro  carico  di  cui
all'art. 35, comma 3, lettere a), b), c), d), e). 
    Analoga conseguenza si deve segnalare con riferimento anche  agli
oneri da sostenere per i  servizi  sociali  e  assistenziali  per  la
formazione professionale e per l'edilizia residenziale pubblica. 
    E'  evidente,  dunque,  che  le  citate   norme   contenute   nel
decreto-legge n.  113  del  2018  pongono  un  vincolo  all'esercizio
dell'autonomia finanziaria regionale, garantita dall'art. 119 Cost. 
    Di  qui,   l'illegittimita'   costituzionale   della   disciplina
impugnata anche in relazione ai parametri che definiscono l'autonomia
finanziaria della Regione. 
III. Terzo motivo. 
    In  particolare,  illegittimita'  costituzionale   dell'art.   1,
decreto-legge n. 113 del 2018, come convertito in legge con legge  n.
132 del 2018, con particolare riferimento al  comma  1,  lettera  e),
lettera f), numeri 1 e 2, lettera g), lettera h) e lettera i), numeri
1 e 2, per violazione  degli  articoli  2  e  3  della  Costituzione.
Lesione  indiretta  delle  attribuzioni  legislative  in  materia  di
«formazione  professionale»,   «tutela   del   lavoro»,   «assistenza
sociale», «edilizia residenziale pubblica»,  nonche'  delle  relative
competenze amministrative, che l'art. 117, commi terzo  e  quarto,  e
l'art. 118, primo comma, Cost. riconoscono in favore  della  Regione.
Lesione  indiretta  dell'autonomia  finanziaria  regionale  garantita
dall'art. 119 Cost. Lesione indiretta delle attribuzioni  che  l'art.
118 Cost. -anche in relazione agli articoli 114 e 117,  comma  sesto,
Cost. - riconosce in favore dei comuni,  in  riferimento  alle  sopra
indicate materie di competenza legislativa regionale. 
    III.1. - Come accennato, l'art. 1, comma 1, lettera e, lettera f,
numeri 1 e 2, lettera g, lettera h e lettera i, numeri  1  e  2,  del
decreto-legge  n.  113  del  2018,  come  convertito  in  legge,   ha
sostituito i permessi di soggiorno umanitari di cui agli articoli 18,
comma 1,  18-bis,  comma  1,  e  22,  comma  12-quater,  del  decreto
legislativo n. 286 del 1998 con un permesso di  soggiorno  «per  casi
speciali» e ha previsto ulteriori ipotesi di  permesso  di  soggiorno
tipici aventi durata e disciplina differenziate a seconda dei casi. 
    Per quanto interessa in questa sede, occorre ricordare che: 
        a) il permesso di cui all'art. 18-bis del decreto legislativo
n. 286 del 1998 (per le vittime di violenza domestica) «ha la  durata
di un anno e consente l'accesso ai  [soli]  servizi  assistenziali  e
allo studio  nonche'  l'iscrizione  nell'elenco  anagrafico  previsto
dall'art. 4 del regolamento di cui al decreto  del  Presidente  della
Repubblica 7  luglio  2000,  n.  442,  o  lo  svolgimento  di  lavoro
subordinato e autonomo»; 
        b) il permesso di soggiorno per motivi sanitari ex  art.  19,
comma 2, lettera d-bis, del  decreto  legislativo  n.  286  del  1998
(recante, si ricorda, le  ipotesi  di  divieto  di  espulsione  e  di
respingimento)  ha  validita'   «per   il   tempo   attestato   dalla
certificazione  sanitaria,  comunque  non  superiore  ad   un   anno,
rinnovabile finche' persistono le condizioni di salute di particolare
gravita' debitamente certificate»; 
        c) il permesso di soggiorno per  calamita'  di  cui  all'art.
20-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998 «ha la durata  di  sei
mesi, ed e' rinnovabile per un  periodo  ulteriore  di  sei  mesi  se
permangono le condizioni di eccezionale calamita' di cui al comma  1;
il permesso e' valido solo nel territorio  nazionale  e  consente  di
svolgere attivita' lavorativa,  ma  non  puo'  essere  convertito  in
permesso di soggiorno per motivi di lavoro». 
        d) il permesso  di  soggiorno  per  particolare  sfruttamento
lavorativo ex art. 22, comma 12-quater, del  decreto  legislativo  n.
286 del 1998 «ha la durata di sei mesi e puo' essere rinnovato per un
anno o  per  il  maggior  periodo  occorrente  alla  definizione  del
procedimento  penale  ...  consente  lo  svolgimento   di   attivita'
lavorativa e puo' essere convertito, alla scadenza,  in  permesso  di
soggiorno per lavoro subordinato o autonomo». 
    III.2.  -  Le  richiamate  previsioni  dell'art.  1,   comma   1,
decreto-legge n. 113 del 2018 non sono  in  grado  di  includere  nel
proprio campo di operativita' tutte le manifestazioni - almeno -  del
diritto all'alloggio e  del  diritto  alla  formazione,  determinando
cosi' l'esclusione di tali  diritti  per  gli  stranieri  vittime  di
violenza domestica, per  quelli  vertenti  in  condizioni  di  salute
particolarmente  gravi  e   per   quelli   oggetto   di   particolare
sfruttamento lavorativo. 
    Con particolare riguardo al diritto all'alloggio, infatti, l'art.
40, comma 6, del decreto legislativo n. 286 del  1998  prescrive  che
l'accesso all'edilizia residenziale pubblica, nonche' ai  servizi  di
intermediazione  delle  agenzie   sociali,   spetti   soltanto   agli
«stranieri regolarmente  soggiornanti  in  possesso  di  permesso  di
soggiorno  almeno  biennale».  Risultano,   dunque,   automaticamente
esclusi dall'ambito applicativo di tale norma i soggetti che  abbiano
conseguito uno dei titoli di permanenza nel territorio nazionale «per
casi speciali» ai sensi della nuova normativa. 
    L'esigua durata temporale di tali titoli esclude anche il diritto
- per coloro che li abbiano ottenuti - a godere delle convenzioni per
l'impiego   all'interno   delle   strutture   degli   enti   pubblici
territoriali  (che  l'art.  42,  comma  1,  lettera  d,  del  decreto
legislativo n. 286 del 1998 consente di stipulare solo riguardo  agli
stranieri detentori di un permesso  di  soggiorno  almeno  biennale),
nonche' - salva l'ipotesi di cui all'art. 18-bis - delle  prestazioni
di assistenza sociale (per cui l'art.  41  richiede  un  permesso  di
soggiorno con durata di almeno un anno). 
    La privazione dei suddetti servizi nei confronti dei titolari  di
permesso  di  soggiorno  «per  casi   speciali»   e',   all'evidenza,
incostituzionale perche' discrimina irragionevolmente la posizione di
questi ultimi - comunque in possesso  di  un  permesso  di  soggiorno
speciale - rispetto a quella degli stranieri che  sono  titolari  del
permesso  di  soggiorno  di  cui  all'art.  32,  comma   3,   decreto
legislativo n. 28 del 2005: cosi' violando  tanto  l'art.  2,  quanto
l'art. 3 della Costituzione. 
    III.3. - Tale illegittimita' costituzionale  si  risolve,  a  sua
volta, nella lesione indiretta delle attribuzioni regionali  relative
alle materie sulle quali incidono i  diritti  non  contemplati  -  e,
dunque, esclusi - dalle norme che  qui  si  censurano,  ovvero  della
competenza  legislativa   regionale   in   materia   di   «formazione
professionale», «tutela del lavoro», «assistenza sociale», nonche' di
quella relativa alla «edilizia residenziale pubblica» (la quale,  per
quel che concerne la «gestione del patrimonio immobiliare di edilizia
residenziale  pubblica»,   rientra   nella   competenza   legislativa
residuale regionale ex art. 117, quarto comma, Cost., e, quanto  alla
sua programmazione, rientra invece nella  competenza  concernente  il
«governo del territorio» di cui all'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,
nonche'  delle  relative  competenze  amministrative  spettanti  alla
Regione  in  base   all'art.   118,   primo   comma,   Cost.:   Corte
costituzionale n. 273 del 2016). 
    Inoltre,  la  nuova  normativa  statale,  in  quanto  illegittima
costituzionalmente,   incide   negativamente   anche   sull'autonomia
finanziaria regionale di  cui  all'art.  119  Cost.,  particolarmente
sotto il profilo dell'autonomia di  spesa  in  relazione  ai  servizi
erogati per l'integrazione degli immigrati. 
    Infine,  il  decreto-legge,  in  quanto  contrario  ai  parametri
costituzionali indicati in rubrica, ridonda in  lesione  anche  delle
competenze amministrative spettanti agli enti locali - ai sensi degli
articoli 114 e 118 Cost. - nella materia dell'accoglienza  in  favore
degli stranieri, perche' nell'esercizio di tali attribuzioni comuni e
province   saranno   tenuti   a   conformarsi   a   una    disciplina
incostituzionale. 
IV. - Quarto motivo. 
    In  particolare,  illegittimita'  costituzionale   dell'art.   1,
decreto-legge n. 113 del 2018, come convertito in legge con legge  n.
132 del 2018, con particolare riferimento al comma 1, lettera g),  in
combinato disposto con l'art. 1, comma 2, del medesimo  decreto,  per
violazione degli articoli 2,  3  e  32  della  Costituzione.  Lesione
indiretta delle attribuzioni legislative in materia di «tutela  della
salute», nonche' delle relative competenze amministrative, che l'art.
117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost.,  riconoscono  in  favore
della Regione. Lesione indiretta dell'autonomia finanziaria regionale
garantita dall'art. 119 Cost. Lesione  indiretta  delle  attribuzioni
che l'art. 118 Cost. - anche in relazione agli articoli  114  e  117,
comma sesto, Cost. - riconosce in favore dei comuni,  in  riferimento
alle sopra indicate materie di competenza legislativa regionale. 
    IV.1. - L'art. 1, comma 1, lettera g), decreto-legge n.  113  del
2018, invece, introduce all'art. 19, comma 2, decreto legislativo  n.
286 del 1998, la  lettera  d-bis),  la  quale  prevede  uno  speciale
permesso di soggiorno per cure mediche per gli «stranieri che versano
in condizioni di salute di particolare gravita',  accertate  mediante
idonea documentazione rilasciata da una struttura sanitaria  pubblica
o da un medico convenzionato con  il  Servizio  sanitario  nazionale,
tali da  determinare  un  rilevante  pregiudizio  alla  salute  degli
stessi, in caso di rientro nel Paese di origine o di provenienza». 
    Tale disposizione, a prima lettura favorevole nei confronti degli
stranieri, se esaminata alla luce della novita' introdotta  dall'art.
1, comma 2, del decreto-legge n. 113 del 2018 - che fa venir meno  il
permesso di soggiorno per motivi  umanitari  -  comporta  conseguenze
rilevanti in relazione al diritto alla salute degli stranieri che  si
trovano sul nostro territorio. 
    Infatti, in virtu' del combinato disposto delle due  norme  sopra
citate (art. 1, comma 2, e art. 1,  comma  1,  lettera  g),  un'ampia
fascia  di  stranieri  che   prima   dell'entrata   in   vigore   del
decreto-legge n. 113 del 2018 soggiornava regolarmente  in  Italia  e
poteva fruire delle prestazioni sanitarie legate  a  tale  status  si
verra' a trovare irragionevolmente privata  di  esse  e  discriminata
rispetto ai pochi che presentano un quadro patologico di  particolare
gravita'. 
    In definitiva, chi si trovasse a non godere piu' del permesso  di
soggiorno precedente rilasciato per motivi umanitari  e  versasse  in
una situazione di salute grave ma non di  particolare  o  eccezionale
gravita', non avendo diritto neppure  al  permesso  speciale  di  cui
all'art. 1, comma 1, lettera  g),  vedrebbe  oltremodo  compresso  il
proprio diritto alla salute che prima dell'avvento del  decreto-legge
n. 113 del 2018 era pienamente tutelato: con  conseguente  violazione
degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione. 
    IV.2.  -  Anche  in  questo  caso  i  profili  di  illegittimita'
costituzionale della norma censurata comportano una lesione indiretta
delle attribuzioni regionali  relative  alle  materie  «tutela  della
salute» di cui  all'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  nonche'  delle
relative competenze amministrative spettanti  alla  Regione  in  base
all'art. 118, primo comma, Cost. 
    Infatti, la  Regione  si  trovera'  costretta  ad  escludere  dai
destinatari delle proprie prestazioni sanitarie (non ambulatoriali  o
d'urgenza) gli stranieri che pur  versando  in  gravi  situazioni  di
salute non rientrino nell'ambito di operativita' dell'art.  1,  comma
1, lettera g), decreto-legge n. 113 del 2018. E il vincolo -  che  la
Regione si vede imposto - ad attuare una disciplina  incostituzionale
o, comunque, ad adeguare la propria legislazione e la propria  azione
amministrativa a una disciplina incostituzionale, negando  i  servizi
essenziali  per  la  tutela  di  un  diritto  della  persona  che  la
Costituzione qualifica espressamente come «fondamentale», dimostra la
sicura «ridondanza» dei vizi denunciati in lesione delle attribuzioni
costituzionali dell'odierna ricorrente. 
    La   nuova   normativa    statale,    in    quanto    illegittima
costituzionalmente,   incide   negativamente   anche   sull'autonomia
finanziaria regionale di  cui  all'art.  119  Cost.,  particolarmente
sotto il profilo dell'autonomia di  spesa  in  relazione  ai  servizi
erogati per l'integrazione degli immigrati. 
    Infine, il decreto-legge impugnato  in  questa  sede,  in  quanto
contrario ai parametri costituzionali indicati in rubrica, ridonda in
lesione delle competenze amministrative spettanti agli enti locali  -
ai  sensi  degli  articoli  114  e  118   Cost.   -   nella   materia
dell'accoglienza in favore degli  stranieri,  poiche'  costringe  gli
enti medesimi a negare prestazioni essenziali per il  soddisfacimento
dei bisogni connessi a  diritti  primari  dell'individuo,  incorrendo
nelle medesime violazioni proprie del decreto-legge. 
V. - Quinto motivo. 
    Illegittimita' costituzionale dell'art. 13 del  decreto-legge  n.
113 del 2018, come convertito in legge con legge n. 132 del 2018, con
particolare riferimento al comma 1, lettera a), n. 2 e  al  comma  1,
lettera c), nella parte in  cui  debba  interpretarsi  nel  senso  di
vietare e dunque escludere l'iscrizione  anagrafica  dei  richiedenti
asilo, per violazione degli articoli 3, 10, terzo comma, e 117, primo
comma,  della  Costituzione.  Lesione  indiretta  delle  attribuzioni
legislative in materia di «tutela della salute», «tutela del lavoro»,
«istruzione», «formazione professionale»,  «governo  del  territorio»
con riferimento all'edilizia residenziale pubblica, e in  materia  di
«assistenza sociale», nonche' delle relative funzioni  amministrative
che gli articoli 117, commi terzo e quarto, e 118  Cost.  riconoscono
in favore della Regione. Lesione indiretta dell'autonomia finanziaria
regionale garantita  dall'art.  119  Cost.  Lesione  indiretta  delle
attribuzioni che l'art. 118 Cost. - anche in relazione agli  articoli
114 e 117, comma sesto, Cost. - riconosce in favore  dei  comuni,  in
riferimento alle sopra indicate  materie  di  competenza  legislativa
regionale. 
    V.1.  -  Il  comma  1,  lettera  a),  n.  2  dell'art.   13   del
decreto-legge  n.  113  del  2018  introduce  all'art.   4,   decreto
legislativo n. 142 del 2015, il comma 1-bis, il quale dispone che «Il
permesso di soggiorno di cui al comma 1 non  costituisce  titolo  per
l'iscrizione anagrafica ai sensi del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 30 maggio 1989, n.  223,  e  dell'art.  6,  comma  7,  del
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286». 
    La residenza rappresenta il principale criterio  di  collegamento
tra  cittadino  e  territorio,  con  rilevanti   implicazioni   nella
definizione  della  platea  dei  potenziali  beneficiari  di   misure
socio-assistenziali, nonche' di quella rivolte a favorire l'autonomia
del cittadino. 
    V.2. - La disposizione introdotta dal comma 1, lettera a),  n.  2
dell'art. 13 del decreto-legge n. 113 del 2018, per la parte  in  cui
si  debba  intendere  nel  senso  di  vietate  e   dunque   escludere
l'iscrizione  anagrafica  dei  richiedenti  asilo  (sia,  a   maggior
ragione, dei soggetti  esclusi  dalla  possibilita'  di  ottenere  il
permesso di  soggiorno  per  motivi  umanitari)  si  pone  dunque  in
contrasto: 
        con gli articoli 3 e 10, terzo comma, Cost., dal momento  che
tratta in modo  irragionevolmente  differenziato  e  con  una  misura
assolutamente  sproporzionata  rispetto  al  fine   una   particolare
categoria di stranieri, i richiedenti asilo, che  comunque  risultano
regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato,  applicando  ad
essi una irragionevole e  sproporzionata  disparita'  di  trattamento
rispetto  ad  altri  stranieri,  pure  regolarmente  soggiornanti  in
condizioni del tutto analoghe,  quali  i  titolari  del  permesso  di
soggiorno ex art. 32, comma 3, decreto legislativo n. 25 del 2008,  o
degli altri permessi speciali introdotti dal decreto-legge n. 113 del
2018; 
        con l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in  riferimento  sia
all'art. 2, comma 1,  del  Protocollo  4  allegato  alla  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, reso esecutivo in Italia  con  decreto  del  Presidente
della Repubblica 14 aprile 1982, n. 217, sia all'art.  12,  comma  1,
del  Patto  internazionale  sui  diritti  civili  e  politici,   reso
esecutivo in Italia con legge  25  ottobre  1977,  n.  881,  i  quali
prevedono, rispettivamente, che «Chiunque si trovi  regolarmente  sul
territorio di uno Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e  di
scegliervi liberamente la sua residenza» e che «Ogni individuo che si
trovi legalmente nel territorio di uno Stato ha diritto alla liberta'
di movimento e alla  liberta'  di  scelta  della  residenza  in  quel
territorio». Alla luce delle citate norme internazionali, infatti,  i
richiedenti asilo, i quali sono titolari di un  diritto  all'ingresso
nel territorio dello  Stato,  nonche'  di  quello  ad  accedere  alla
procedura di esame della  domanda  di  asilo  (cfr.,  tra  le  altre,
Cassazione SS.UU., sentenza n. 4674 del 1997), e  dunque  si  trovano
legalmente nel territorio  italiano,  hanno  il  diritto  di  fissare
all'interno di tale territorio la propria residenza: diritto  violato
dall'art. 13 del decreto-legge n. 113 del 2018, nella  parte  in  cui
debba intendersi nel senso di vietare  anagrafica  e  la  conseguente
fissazione della residenza per il richiedente asilo; 
        con  l'art.  11  e  l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,   con
riferimento  alla  direttiva   2013/33/UE,   nella   parte   in   cui
quest'ultima riconosce al richiedente asilo  (per  tale  intendendosi
«il cittadino di un paese terzo o apolide che  abbia  presentato  una
domanda di protezione internazionale sulla quale non e' stata  ancora
adottata una decisione definitiva»: art. 2, lettera b) il diritto  di
fruire  delle  condizioni  di  accoglienza  stabilite  nella   stessa
direttiva,  concernenti  in   particolare:   la   scolarizzazione   e
l'istruzione dei minori (art. 14); l'accesso al  mercato  del  lavoro
(art.  15);  la  formazione  professionale  (art.  16);  l'assistenza
sanitaria e l'alloggio (articoli 17, 18 e 19). 
    V.3. - L'interpretazione dell'art. 13, comma 1, lettera a), n. 2,
del decreto-legge n. 113 del 2018 in senso preclusivo dell'iscrizione
anagrafica dei richiedenti asilo incide senz'altro sulle attribuzioni
regionali - legislative e amministrative  -  in  materia  di  «tutela
della  salute»,  «tutela  del  lavoro»,   «istruzione»,   «formazione
professionale», «governo del territorio» con riferimento all'edilizia
residenziale pubblica, nonche' in materia  di  «assistenza  sociale»,
che gli articoli 117, commi terzo e quarto, e 118, primo comma, Cost.
riconoscono in favore della Regione, nella misura in cui  il  divieto
di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo finisce  per  impedire
alla Regione di considerare tali stranieri ai fini della disciplina e
dell'erogazione di  servizi  e  di  prestazioni  che,  in  base  alla
legislazione  vigente,  richiedano  l'iscrizione   anagrafica   quale
presupposto necessario, ovvero  finisce  comunque  per  imporre  alla
Regione di modificare la propria vigente legislazione al riguardo. 
    V.4. - Ugualmente, l'art.  13,  comma  1,  lettera  a)  ,  n.  2,
decreto-legge n. 113 del 2018,  laddove  interpretato  nel  senso  di
imporre un divieto di iscrizione  anagrafica  ai  richiedenti  asilo,
potrebbe  impedire  anche  ai  comuni  di  erogare  a  tali  soggetti
molteplici   servizi   essenziali   per   garantire    l'integrazione
socio-economica dei migranti. 
    Infatti,   l'iscrizione   anagrafica   costituisce    presupposto
necessario per l'accesso all'assistenza sociale, per  la  concessione
di  sussidi  o  agevolazioni  basati  sulle  condizioni  di   reddito
verificate   mediante   l'indicatore   della   situazione   economica
equivalente - ISEE, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri n. 159 del 2013. 
    Trattasi di benefici di natura sociale e sociosanitaria del tutto
centrali nella vita della comunita': quali, ad esempio, la  priorita'
di accesso ai servizi; l'applicazione di tariffe inferiori  a  quelle
massime; la concessione di contributi a parziale o  totale  copertura
delle rette; l'esenzione dalla contribuzione al  costo  dei  servizi,
ecc. 
    Ancora, la residenza anagrafica e' richiesta per poter  usufruire
del reddito di inclusione (REI), ai sensi del decreto legislativo  15
settembre 2017, n. 147. Infatti, secondo l'art.  3  di  tale  decreto
legislativo, la misura e' rivolta (tra l'altro) a chi  sia  residente
in Italia, in via continuativa, da almeno  due  anni  al  momento  di
presentazione della domanda. In tal modo, la norma presuppone che  il
soggetto richiedente la concessione del beneficio possa attestare  la
durata della sua residenza nel territorio nazionale mediante apposita
certificazione anagrafica. 
    Infine,  la  mancanza  di  iscrizione  anagrafica  incide   sulle
politiche attive del lavoro e, in particolare, sulla  possibilita'  -
per lo straniero - di  ottenere  il  riconoscimento  dello  stato  di
disoccupazione ai sensi del decreto  legislativo  n.  150  del  2015.
L'assenza dello  stato  di  disoccupazione,  a  sua  volta,  preclude
l'accesso a tutti i servizi di politica attiva del lavoro  finanziati
dal Fondo sociale europeo e, dunque, dotati di maggiore efficacia. 
    A cio'  si  aggiunge  l'irragionevolezza  del  sistema  normativo
risultante dall'art. 13 del decreto-legge n. 113 del 2018, posto  che
- da un lato - le norme vigenti, anche di rango sovranazionale  (cfr.
art. 18 della direttiva 2013/33/UE), riconoscono ai richiedenti asilo
il diritto ad un alloggio; e, d'altro lato, il suddetto articolo nega
ai  medesimi  soggetti  la  possibilita'  di  ottenere   l'iscrizione
anagrafica. Cosi' incidendo anche sul buon  andamento  nell'esercizio
delle funzioni dei singoli comuni, i quali  -  per  svolgere  i  loro
compiti - necessitano di conoscere esattamente il numero dei soggetti
stabilmente presenti nel proprio territorio  (cio'  che  risulterebbe
impossibile  riguardo  alla  popolazione  straniera,  se  -  anziche'
avvalersi di un sistema anagrafico basato sull'accertamento del luogo
di residenza - i comuni dovessero verificare, di volta in  volta,  il
luogo in cui lo straniero si trova abitualmente, ovvero quello in cui
ha stabilito il domicilio). 
    V.5. - L'impossibilita' di accedere ai suddetti  servizi  vale  -
oltre che per i richiedenti asilo  -  anche  per  gli  stranieri  che
mirino ad ottenere un permesso di soggiorno per  ragioni  umanitarie.
Infatti, come sopra accennato, la riduzione delle ragioni  umanitarie
meritevoli di tutela in base alle norme del decreto-legge n. 113  del
2018 comportera' un aumento degli stranieri  irregolarmente  presenti
nel territorio nazionale, i quali - stante il disposto  dell'art.  6,
comma 7, del decreto legislativo  n.  286  del  1998  -  non  avranno
diritto all'iscrizione anagrafica in condizioni di  parita'  rispetto
ai  cittadini  italiani  e,  pertanto,  risentiranno  delle  suddette
limitazioni in tema di prestazioni erogabili degli enti territoriali. 
    V.6. - Per queste ragioni, l'art. 1, comma 1, lettera  a),  n.  2
dell'art. 13 del decreto-legge n. 113 del 2018 - nella parte  in  cui
vieta l'iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo  -  incide  sulle
competenze  legislative  e  amministrative  regionali  nelle  materie
dell'assistenza sociale, della tutela  della  salute  e  del  lavoro,
nonche' dell'istruzione e formazione professionale, che  l'art.  117,
commi terzo e quarto, e 118, primo comma, Cost. riconoscono in favore
della Regione. 
    Le  considerazioni  sopra   svolte   circa   la   lesione   delle
attribuzioni della Regione valgono anche con riferimento  ai  comuni,
ai quali e' devoluta la tenuta e la gestione dei registri  anagrafici
della popolazione residente sul territorio. 
    Con la conseguenza che le disposizioni del decreto-legge  n.  113
del  2018  ridondano  in  lesione  delle  competenze   amministrative
spettanti agli enti locali ai sensi degli articoli 114 e 118 Cost. 
    La lesione indiretta delle attribuzioni costituzionali dei comuni
ex art. 118 Cost., d'altronde, puo' senz'altro essere fatta valere da
parte della Regione dinanzi alla Corte costituzionale  qualora,  come
nel caso di specie, essa sia potenzialmente idonea a determinare  una
vulnerazione delle competenze regionali (Corte cost., sentenza n. 196
del 2004). 
    La  nuova  normativa  statale  -   in   quanto   introduce,   con
disposizioni illegittime costituzionalmente, obblighi di  adeguamento
e riorganizzazione dei servizi  di  accoglienza  e  di  gestione  dei
rapporti con gli stranieri privi di permesso di soggiorno, dai  quali
derivano oneri finanziari non previsti - incide  negativamente  anche
sull'autonomia finanziaria  regionale  di  cui  all'art.  119  Cost.,
particolarmente sotto il profilo dell'autonomia di spesa in relazione
ai servizi erogati per l'integrazione degli immigrati. 
VI - Sesto motivo. 
    Illegittimita' costituzionale dell'art. 12, decreto-legge n.  113
del 2018, come convertito in legge con legge n.  132  del  2018,  con
particolare riferimento al disposto dell'art. 12,  comma  1,  lettera
a), lettera b) e lettera c), nonche' dell'art. 12, comma  2,  lettera
f), n. 1, lettera l) e lettera m), per violazione degli  articoli  2,
3,  10,  commi  secondo  e  terzo,  11,  117,  primo   comma,   della
Costituzione (anche con riferimento alle disposizioni della direttiva
2013/33/UE), con conseguente  lesione  indiretta  delle  attribuzioni
legislative in materia di «tutela della salute», «tutela del lavoro»,
«istruzione», «formazione professionale»,  «governo  del  territorio»
con riferimento all'edilizia residenziale pubblica, e in  materia  di
«assistenza sociale», nonche' delle relative funzioni amministrative,
che gli articoli 117, commi terzo e quarto, e 118  Cost.  riconoscono
in favore della Regione. Lesione indiretta dell'autonomia finanziaria
regionale garantita  dall'art.  119  Cost.  Lesione  indiretta  delle
attribuzioni che l'art. 118 Cost. - anche in relazione agli  articoli
114 e 117, comma VI, Cost. -  riconosce  in  favore  dei  comuni,  in
riferimento alle sopra indicate  materie  di  competenza  legislativa
regionale. 
    VI.1. - L'art. 12, comma 1, del decreto-legge n.  113  del  2018,
convertito in legge con legge n. 132 del 2018, ha modificato l'ambito
applicativo dell'art. 1-sexies del decreto-legge  n.  416  del  1989,
prevedendo che i servizi di accoglienza erogati dalla  rete  SPRAR  e
finanziati  dal  fondo  di  cui  all'art.  1-septies   del   medesimo
decreto-legge n. 416 del 1989, siano erogati  ai  soli  «titolari  di
protezione internazionale», ai  minori  stranieri  non  accompagnati,
ovvero ai «titolari dei permessi di soggiorno di  cui  agli  articoli
19, comma 2, lettera d-bis), 18, 18-bis, 20-bis, 22, comma  12-quater
e 42-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286». 
    In questo modo, la norma ha escluso la possibilita' che  la  rete
SPRAR eroghi i suddetti  servizi  ai  soggetti  che  hanno  formulato
richiesta, ma sono ancora in attesa del pronunciamento dell'autorita'
amministrativa sulla richiesta medesima. 
    VI.2. - Tale modifica normativa,  per  la  parte  in  cui  e'  in
contrasto  con   le   norme   eurounitarie   e   costituzionali   che
disciplinano, sotto  il  profilo  organizzativo,  l'erogazione  delle
prestazioni  assistenziali  in  favore  degli  stranieri  richiedenti
asilo,   lede   indirettamente   le   competenze   costituzionalmente
riconosciute alla Regione nelle materie indicate  nella  rubrica  del
presente motivo. 
    In particolare, la direttiva 2013/33/UE stabilisce che - al  fine
di garantire il corretto funzionamento delle misure di accoglienza  -
«e'  opportuno  assicurare  l'efficienza  dei  sistemi  nazionali  di
accoglienza e la  cooperazione  tra  gli  Stati  membri  nel  settore
dell'accoglienza   dei   richiedenti»   nonche'   «incoraggiare    un
appropriato coordinamento tra  le  autorita'  competenti  per  quanto
riguarda  l'accoglienza  dei  richiedenti,  e   pertanto   promuovere
relazioni  armoniose  tra  le  comunita'  locali  e   i   centri   di
accoglienza» (Considerando n. 26 e n. 27 direttiva cit.). 
    L'inciso  normativo   evidenzia   la   centralita'   degli   enti
territoriali  nella  gestione  del  fenomeno  migratorio,   data   la
capacita'  degli  enti  medesimi  di  rilevare   le   istanze   delle
popolazioni locali ospitanti e di coniugarle con  le  esigenze  della
comunita'  di  richiedenti  asilo  presente  sul  territorio,   cosi'
garantendo la pacifica convivenza reciproca. 
    In assenza dell'intermediazione dell'ente locale, sarebbe  invero
impossibile attuare l'inclusione degli stranieri nel delicato tessuto
economico-sociale dei singoli  territori  regionali  o  subregionali,
cosi'  ponendo  nel  nulla  le  esigenze  di   convivenza   armoniosa
valorizzate dalla direttiva. 
    Tali assunti, peraltro, sono coerenti con le norme costituzionali
che  disciplinano  il   riparto   delle   competenze   amministrative
nell'ordinamento nazionale, le quali prescrivono che  lo  svolgimento
delle funzioni e dei servizi pubblici avvenga al livello piu'  vicino
possibile rispetto al destinatario  della  funzione  o  del  servizio
medesimi, salvo che per ragioni di differenziazione, sussidiarieta' e
adeguatezza risulti necessario lo svolgimento di tali attivita' ad un
livello organizzativo superiore (art. 118 Cost.). 
    Del  resto,  l'art.  114  Cost.   riconosce   ai   diversi   enti
rappresentativi  delle  comunita'  territoriali  (regioni,  province,
comuni  e  citta'   metropolitane)   una   posizione   costituzionale
pariordinata  rispetto  allo  Stato,  cosi'  implicando,   non   solo
l'obbligo degli enti medesimi di osservare  il  diritto  europeo,  ma
anche quello di  provvedere  alla  sua  attuazione  negli  ambiti  di
rispettiva competenza. 
    VI.3. - In netto contrasto con i principi  sopra  richiamati,  il
decreto-legge n. 113 del 2018 ha radicalmente precluso alle regioni e
agli   enti   locali   di   esercitare    le    proprie    competenze
costituzionalmente garantite nel settore dei servizi  di  accoglienza
in   favore   degli   stranieri   richiedenti   asilo,    sopprimendo
drasticamente la rete di interventi precedentemente garantiti a  tali
soggetti dal sistema SPRAR e  conseguentemente  accentrando  in  capo
allo Stato le relative competenze. 
    L'illegittimita' della nuova disciplina,  per  la  parte  in  cui
contrasta con i principi della direttiva 2013/33/UE  e  viola  quindi
gli articoli  10,  11  e  117  Cost.,  ridonda  nella  lesione  delle
competenze costituzionali  riconosciute  alla  Regione  e  agli  enti
locali nei settori della «tutela della  salute»,  della  «tutela  del
lavoro», dell'«istruzione»,  della  «formazione  professionale»,  del
«governo del territorio» con  riferimento  all'edilizia  residenziale
pubblica, e dell'«assistenza sociale». 
    L'incidenza sulle competenze amministrative  degli  enti  locali,
operata dal  decreto-legge  n.  113  del  2018,  non  si  accompagna,
inoltre, a un'effettiva riduzione delle attivita'  che  le  strutture
amministrative  di  tali  enti  saranno  chiamate  a   svolgere   per
partecipare a garantire l'ordinata gestione del fenomeno migratorio. 
    L'art. 8 della direttiva 2013/33/UE, infatti, non prevede  alcuna
limitazione della liberta' di circolazione dei richiedenti  asilo  in
pendenza del procedimento di definizione della  loro  domanda  (fanno
eccezione solo i limiti necessari alla fase dell'identificazione):  i
richiedenti  asilo  saranno  liberi  di  stabilirsi  nel   territorio
regionale  in  attesa  della  definizione  di  tale  procedimento   e
continueranno,  dunque,  ad  essere   diffusamente   presenti   nelle
comunita' locali. 
    Cio' imporra' agli enti territoriali di attuare  misure  volte  a
garantire la  salute  pubblica,  la  sicurezza  locale,  limitando  i
fenomeni di emarginazione socio-economica dei migranti e favorendo la
loro integrazione con la popolazione residente; pena il rischio di un
incremento consistente della criminalita', nonche' il verificarsi  di
fenomeni di degrado urbano. 
    Sennonche', il decreto-legge n. 113 del  2018  rende  impossibile
l'attuazione di tali interventi, impedendo agli enti territoriali  di
realizzare  progetti  di  integrazione  dei   richiedenti   asilo   e
privandoli delle  risorse  finanziare  del  fondo  nazionale  per  le
politiche e i  servizi  dell'asilo  di  cui  all'art.  1-septies  del
decreto-legge n. 416 del 1989. Con la conseguenza che ogni misura  di
sostegno agli stranieri dovra' essere attuata  dalle  amministrazioni
locali mediante impiego di risorse proprie, cio'  che,  all'evidenza,
mette in luce un'ulteriore lesione  di  competenze  -  da  parte  del
legislatore statale - sotto  il  profilo  dell'autonomia  finanziaria
garantita dall'art. 119 Cost. 
    La nuova normativa incide cosi' indirettamente,  ma  chiaramente,
sulle competenze amministrative regionali e locali, per la  parte  in
cui il decreto-legge n. 113 del 2018 provoca  conseguenze  gravissime
sulla gestione amministrativa delle regioni e degli enti locali,  che
- se, da un lato, saranno tenuti ad astenersi da qualsiasi intervento
di  sostegno  e  integrazione  nei  confronti  dei   richiedenti   la
protezione internazionale - d'altro lato, dovranno  comunque  gestire
le  conseguenze  per  la  salute  pubblica,  la  sicurezza,  l'ordine
pubblico e il decoro  derivanti  dalla  presenza  di  un  consistente
numero di  soggetti  privi  di  assistenza  nell'ambito  del  proprio
territorio. 
    Il risultato ultimo della riforma introdotta dal decreto-legge  -
in definitiva - sara' quello di moltiplicare il numero  di  stranieri
non  assistiti  e  non  occupati  presenti  a   livello   locale,   e
conseguentemente di aumentare gli oneri che gli enti  rappresentativi
delle comunita' territoriali saranno chiamati a sostenere per ovviare
a tali fenomeni. 
    Dal che risulta evidente la sicura incidenza del decreto-legge n.
113 del 2018 nelle  competenze  amministrative  che  la  Costituzione
attribuisce  alle  regioni  e  agli  enti  locali   con   riferimento
all'assistenza degli stranieri. 
    VI.4. - L'art. 12 del decreto-legge n. 113 del 2018 ha  eliminato
la  norma  che  consentiva  di  ricomprendere  gli   aspiranti   alla
protezione internazionale  privi  di  occupazione,  in  programmi  di
formazione professionale volti all'inserimento lavorativo  (art.  12,
comma 2, lettera l, che  abroga  l'art.  22,  comma  3,  del  decreto
legislativo n. 142 del 2015). La stessa disposizione ha limitato  gli
interventi di inclusione basati sulla partecipazione degli  stranieri
a lavori di utilita'  sociale,  consentendone  l'erogazione  ai  soli
«titolari di protezione internazionale» (art. 12, comma 2, lettera m,
che modifica l'art. 22-bis, commi 1 e 3, del decreto  legislativo  n.
142 del 2015). 
    VI.5. - Tali previsioni sono illegittime per  aver  indebitamente
ridotto il novero delle prestazioni  di  accoglienza  che  dovrebbero
essere  assicurate  ai  richiedenti  asilo  in  base  alla  direttiva
2013/33/UE. 
    La direttiva cit. riconosce il diritto all'erogazione di svariate
misure  di  accoglienza  anche  al  «richiedente  asilo»,  per   tale
intendendosi il «cittadino di un paese  terzo  o  apolide  che  abbia
presentato una domanda di protezione internazionale sulla  quale  non
e' stata ancora adottata una decisione definitiva» (art. 2,  par.  1,
lettera b della direttiva 2013/33/UE; in termini simili anche art. 2,
comma 1, lettera a del decreto legislativo n. 142/2015). 
    In particolare, la citata  direttiva  prescrive  che  i  soggetti
proponenti istanza di  protezione  internazionale  hanno  diritto  di
accedere ai servizi educativi - quantomeno pubblici - per  provvedere
alla scolarizzazione dei propri figli minori  (art.  14);  di  essere
immessi nel mercato del lavoro entro  un  termine  ragionevole  dalla
presentazione della domanda  di  protezione  internazionale  e  senza
incorrere in indebite limitazioni (art. 15); di fruire di un alloggio
all'interno di strutture pubbliche o private (art. 18); di usufruire,
all'occorrenza, di un'adeguata assistenza sanitaria (art. 19). 
    Si consente, inoltre, agli Stati membri  dell'Unione  europea  di
«autorizzare l'accesso dei richiedenti alla formazione  professionale
indipendentemente dal  fatto  che  abbiano  accesso  al  mercato  del
lavoro» (art. 16). 
    Secondo il legislatore eurounitario, tali misure  di  accoglienza
devono  assicurare  una  «qualita'  di   vita   che   garantisca   il
sostentamento dei richiedenti e ne tuteli la salute fisica e mentale»
e  che  sia  «adeguata  alla  specifica  situazione   delle   persone
vulnerabili, ai sensi dell'art. 21,  nonche'  alla  situazione  delle
persone che si trovano in stato di trattenimento» (art.  17,  par.  2
della direttiva cit.). 
    Per effetto della soppressione - ad opera  del  decreto-legge  n.
113 del 2018 - degli interventi  di  formazione  professionale  e  di
inclusione sociale precedentemente  garantiti  ai  richiedenti  asilo
dagli articoli 22, comma 3, e 22-bis decreto legislativo n.  142  del
2015, i livelli di adeguatezza imposti dalla disciplina  eurounitaria
sopra richiamata non saranno piu' assicurati. 
    Ne deriva la violazione degli articoli 2, 3, 10, commi secondo  e
terzo,  11,  117,  primo  comma,  della   Costituzione   (anche   con
riferimento alle disposizioni della direttiva  2013/33/UE),  i  quali
viceversa impongono che i suddetti livelli minimi di assistenza siano
effettivamente erogati agli stranieri  che  attendono  una  decisione
sulla loro domanda di protezione internazionale. 
    La  scarsa  integrazione  lavorativa  e  la  mancanza  di   mezzi
economici, infatti,  sono  la  prima  causa  di  emarginazione  degli
stranieri e delle connesse problematiche  sul  piano  della  sanita',
della sicurezza pubblica e della coesione sociale cui - come detto  -
gli enti territoriali sono chiamati a far fronte. 
    La compressione del contenuto  delle  prestazioni  di  assistenza
erogate ai migranti che  abbiano  chiesto  protezione  internazionale
contrasta - come detto - con le norme della direttiva  2013/33/UE  e,
per cio' stesso, incide illegittimamente sulle competenze che  -  nel
settore  dell'accoglienza  degli  stranieri  -  spettano  agli   enti
territoriali   (costretti   ad    adeguarsi    ad    una    normativa
incostituzionale e, dunque,  a  negare  le  suddette  prestazioni  ai
richiedenti). 
    VI.6.  -  L'art.  12,  comma  2,  lettera  l  e  lettera  m   del
decreto-legge  n.  113  del  2018  incide,  in   particolare,   sulle
attribuzioni della Regione in  materie  devolute  alla  sua  potesta'
legislativa  concorrente  (quanto  alla  «formazione  professionale»)
ovvero esclusiva (con riferimento, invece, all'«assistenza sociale»). 
    Per effetto della nuova disposizione, infatti, risulta del  tutto
precluso alla Regione di disciplinare autonomamente il volume nonche'
le condizioni di erogazione dei servizi di formazione professionale e
assistenza  sociale  in  favore   dei   richiedenti   la   protezione
internazionale stanziati sul proprio territorio. 
    Cio' in palese contrasto  con  i  principi  enunciati  da  questa
Corte, che riconosce  alle  regioni  il  potere  di  intervenire  per
assicurare  le  prestazioni  indispensabili  al  soddisfacimento  dei
diritti inviolabili  della  persona  anche  agli  stranieri  che  non
rispettino appieno le norme che regolano l'ingresso ed  il  soggiorno
nello Stato (cfr. le citate sentenze n. 299/2010  e  n.  269/2010  di
questa Corte) e, dunque, a maggior ragione nei  confronti  di  coloro
che  (semplicemente)  attendono  una  decisione  sulla   domanda   di
protezione internazionale. 
    Anche  sotto  questi  profili,  le  disposizioni  impugnate   del
decreto-legge n. 113 del 2018 ridondano illegittimamente  in  lesione
delle competenze regionali in  tema  di  servizi  di  accoglienza  in
favore degli stranieri. 
    I profili di illegittimita' del decreto-legge sopra  riscontrati,
inoltre,  ridondano  in  lesione  delle   competenze   amministrative
spettanti agli enti locali - ai sensi degli articoli 114 e 118  Cost.
- nella materia dell'accoglienza in favore degli stranieri, in quanto
impediscono a comuni e province di erogare prestazioni essenziali per
la tutela dei diritti garantiti  dalla  Costituzione  e  dal  diritto
eurounitario ai soggetti che richiedono la protezione internazionale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Regione Marche, come sopra rappresentata e difesa, chiede  che
questa ecc.ma Corte  costituzionale,  in  accoglimento  del  presente
ricorso, dichiari l'illegittimita' costituzionale del decreto-legge 4
ottobre 2018, n. 113, come convertito in legge n. 132 del 1° dicembre
2018, per le ragioni e nei termini analiticamente indicati nei motivi
sopra esposti. 
    Con ossequio. 
        Roma, 1° febbraio 2019 
 
               Avv. prof. Grassi - Avv. De Berardinis