N. 17 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 6 febbraio 2019

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 6 febbraio 2019 (della Regione Toscana). 
 
Straniero - Disposizioni in materia di  protezione  internazionale  e
  immigrazione, sicurezza  pubblica  -  Disposizioni  in  materia  di
  permesso di soggiorno per motivi umanitari  e  disciplina  di  casi
  speciali di  permessi  di  soggiorno  temporanei  per  esigenze  di
  carattere  umanitario  -  Disposizioni  in  materia  di  iscrizione
  anagrafica - Estensione alle aree su cui insistono presidi sanitari
  dell'ambito applicativo del divieto di accesso in  specifiche  aree
  urbane. 
- Decreto-legge 4 ottobre  2018,  n.  113  (Disposizioni  urgenti  in
  materia di  protezione  internazionale  e  immigrazione,  sicurezza
  pubblica,  nonche'  misure  per  la  funzionalita'  del   Ministero
  dell'interno e l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia
  nazionale  per  l'amministrazione  e  la  destinazione   dei   beni
  sequestrati   e   confiscati   alla   criminalita'    organizzata),
  convertito, con modificazioni, nella legge  1°  dicembre  2018,  n.
  132, artt. 1, commi 1, lettere b) e f), e 8; 13, comma  1,  lettera
  a), numero 2; e 21, comma 1, lettera a). 
(GU n.13 del 27-3-2019 )
     Ricorso della Regione Toscana (P.IVA  01386030488),  in  persona
del presidente pro  tempore  della  giunta  regionale,  dott.  Enrico
Rossi, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 91 del
28 gennaio 2019, rappresentato e difeso, come da mandato in calce  al
presente atto,  dall'Avv.  Lucia  Bora  (c.f.  BROLCU57M59B157V  pec:
lucia.bora@postacert.toscana.it)  dell'Avvocatura  regionale  e   dal
prof. Avv. Marcello Cecchetti (C.F. CCCMCL65E02H501Q), presso il  cui
studio e' elettivamente domiciliato, in Roma, Piazza Barberini n.  12
(fax 06.4871847; PEC marcello.cecchetti@firenze.pecavvocati.it); 
    contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro  tempore  per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1,  primo
comma, lettera b) ed ottavo comma, dell'art. 1, primo comma,  lettera
f), dell'art. 13, primo comma, lettera a) n. 2, dell'art.  21,  primo
comma, lettera a) del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 convertito
in legge, con modificazioni, dalla legge 1°  dicembre  2018,  n.  132
recante «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale
e  immigrazione,  sicurezza   pubblica,   nonche'   misure   per   la
funzionalita' del Ministero  dell'interno  e  l'organizzazione  e  il
funzionamento  dell'Agenzia  nazionale  per  l'amministrazione  e  la
destinazione dei beni  sequestrati  e  confiscati  alla  criminalita'
organizzata», per violazione degli articoli 2, 3,  10,  32,  97,  117
primo, terzo, quarto comma e 118 Cost. 
    In data 3 dicembre  2018  e'  stata  pubblicata,  nella  Gazzetta
Ufficiale n. 281 la legge n. 132 del 2018, la quale ha convertito  in
legge, con modificazioni, il decreto-legge n. 113 del 2018. 
    L'art. 1, primo comma, lettera b) ed ottavo comma del  menzionato
decreto-legge interviene  sui  permessi  di  soggiorno  per  generali
ragioni umanitarie e sulla disciplina, alla loro scadenza, di  quelli
gia' rilasciati; l'art. 1, primo comma,  lettera  f)  interviene  sul
permesso di soggiorno per gli stranieri vittime di  violenza;  l'art.
13, primo comma, lettera a)  n.  2  stabilisce  che  il  permesso  di
soggiorno concesso ai richiedenti  asilo  non  consente  l'iscrizione
anagrafica e l'art. 21, primo comma, lettera a) estende il c.d. DASPO
urbano anche ai presidi ospedalieri. 
    I  suddetti  articoli   incidono   su   molteplici   attribuzioni
costituzionali della Regione Toscana; inoltre numerosi comuni toscani
hanno chiesto alla Regione di far  valere  con  il  presente  ricorso
anche la lesione delle attribuzioni degli enti locali (doc. 1 -  doc.
2), richiesta che l'odierna ricorrente  ha  ritenuto  di  accogliere,
sussistendone  i  presupposti,  per  la  stretta  connessione  -   in
particolare nelle materie dell'assistenza sociale, dell'istruzione  e
dell'edilizia   residenziale   pubblica   -   tra   le   attribuzioni
costituzionali regionali e quelle delle autonomie  locali,  la  quale
«consente di ritenere che la  lesione  delle  competenze  locali  sia
potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze
regionali»  (Corte  cost.  sentenza  n.  196/2004,  n.  417/2005,  n.
95/2007). 
    Tanto premesso, le impugnate disposizioni  del  decreto-legge  n.
113 del 2018, come convertito in legge, sono lesive delle  competenze
regionali e degli enti locali per i seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, primo comma,  lettera
b) ed ottavo comma del decreto-legge n. 113 del 2018, come convertito
in legge, per violazione degli articoli 2, 3, 10, 32, 117 primo comma
Cost.,  che  determina  una  lesione  indiretta  delle   attribuzioni
legislative e amministrative regionali  di  cui  agli  articoli  117,
terzo e quarto comma e dell'art. 118 Cost. in materia di tutela della
salute, istruzione, politiche attive del lavoro, assistenza  sociale,
servizi sociali e formazione professionale. 
    1.1) Prima dell'intervento normativo operato con le  disposizioni
indicate,  l'art.  5,  comma  6,  del  Testo  unico  in  materia   di
immigrazione, approvato con decreto  legislativo  n.  286  del  1998,
cosi' disponeva: 
        «6. Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno  possono
essere  altresi'  adottati  sulla  base  di  convenzioni  o   accordi
internazionali, resi esecutivi in Italia,  quando  lo  straniero  non
soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in  uno  degli  Stati
contraenti, salvo  che  ricorrano  seri  motivi,  in  particolare  di
carattere  umanitario  o  risultanti  da  obblighi  costituzionali  o
internazionali dello Stato italiano. Il  permesso  di  soggiorno  per
motivi umanitari e' rilasciato  dal  questore  secondo  le  modalita'
previste nel regolamento di attuazione». 
    Il permesso di soggiorno per motivi umanitari  si  affiancava  al
permesso  di  soggiorno  rilasciato  ai  titolari  dello  status   di
rifugiato e ai titolari dello status di protezione  sussidiaria,  che
compongono la protezione internazionale. 
    Il testo unico sull'immigrazione  prevedeva,  oltre  al  generale
permesso di soggiorno  umanitario,  casi  speciali  di  rilascio  del
permesso di soggiorno: «per motivi di protezione sociale» (art.  18),
«per le vittime di violenza domestica» (art. 18-bis) e  per  «ipotesi
di particolare sfruttamento lavorativo» (art. 22,  comma  12-quater):
si  trattava  dunque  di  casi  tipici,  che  si  aggiungevano   alla
previsione generale dell'art. 5, comma 6, del decreto legislativo  n.
286 del 1998. 
    La disposizione contenuta nell'art. 1, primo  comma,  lettera  b)
del decreto-legge n. 113 del 2018  ha  eliminato  il  riferimento  al
permesso di soggiorno per motivi umanitari previsto dall'art.  5  del
TU sull'immigrazione ed ha aggiunto nello stesso  testo  unico  altri
tre casi di speciali permessi di soggiorno: quello «per cure mediche»
[art: 19, comma 2,  lettera  d-bis)]  quello  «per  calamita'»  (art.
20-bis) e quello  «per  atti  di  particolare  valore  civile»  (art.
42-bis). 
    Quindi e' venuto meno  il  generale  permesso  di  soggiorno  per
motivi  umanitari,  restando  esclusivamente  quello  delle   ipotesi
tipiche  e  tassative  per  cure  mediche,  nonche'  per  motivi   di
protezione  sociale,  per  le  vittime  di  violenza  domestica,  per
calamita', per  particolare  sfruttamento  lavorativo,  per  atti  di
particolare  valore  civile,  per  protezione  speciale   (ai   sensi
dell'art. 32, comma 3, decreto legislativo n. 25 del 2008). 
    La norma transitoria contenuta nel comma ottavo dell'art.  1  del
decreto-legge n. 113 del 2018 regola  la  disciplina  applicabile  ai
permessi  umanitari  gia'  riconosciuti  ai  sensi  della  previgente
normativa,  stabilendo  che  gli  stessi  restino  validi  sino  alla
scadenza; a quel momento potra'  essere  rilasciato  un  permesso  di
soggiorno speciale annuale rinnovabile che permette di  lavorare,  ma
che non puo' essere convertito in permesso per motivi di lavoro. 
    Le impugnate disposizioni,  eliminando  l'istituto  del  generale
permesso di soggiorno umanitario  -  sia  attuativo  del  diritto  di
asilo, sia collegato ai «seri motivi» e quindi ad una  situazione  di
pregiudizio dei diritti fondamentali della persona -  determinano  la
conseguenza che un significativo numero di individui  che  oggi  sono
regolarmente presenti  nel  territorio  regionale,  in  forza  di  un
permesso di soggiorno per motivi  umanitari,  diventera'  irregolare.
Infatti,  come  accennato,  in  base  al  comma  ottavo,  oggetto  di
impugnativa, i permessi umanitari in corso di validita' alla data  di
entrata in vigore della disciplina in esame, alla loro  scadenza  non
saranno rinnovati  secondo  le  regole  previgenti  -  pur  avendo  i
destinatari acquisito un  diritto  di  soggiornare  regolarmente  sul
territorio - ma avranno solo un permesso  speciale  annuale  che  non
puo' essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro,
al termine del  quale,  quindi,  non  potranno  che  risultare  -  in
assoluta prevalenza  e  salvo  rare  eccezioni  in  cui  ricorrano  i
presupposti  molto  limitati  dei  permessi  speciali   tipizzati   -
irregolari.  A  quel   punto,   nelle   dichiarate   intenzioni   del
legislatore, dovrebbe divenire automatica l'espulsione, ma  la  nuova
normativa non disciplina  in  alcun  modo  e  dunque  non  garantisce
affatto  che  cio'  avvenga  (in  quanto,  com'e'  noto,  attualmente
l'Italia non ha accordi per il rimpatrio con i  principali  Paesi  di
provenienza dei soggetti  immigrati  e  senza  tali  accordi  diventa
impossibile l'espulsione),  ne'  prevede  una  tempistica  per  detta
finalita' e neppure specifica quale sia la sorte  di  queste  persone
una volta divenute irregolari. 
    1.2) Tutto cio' determina senz'altro una  forte  incidenza  sulle
competenze della Regione e degli enti locali. 
    1.2.a) Finora i soggetti titolari del permesso di  soggiorno  per
motivi  umanitari  ai  sensi  dell'art.  5,  comma  6,  del   decreto
legislativo n. 286 del  1998,  e  quindi  regolarmente  presenti  nel
territorio  toscano,  sono  stati  iscritti  al  servizio  sanitario,
beneficiando  cosi'  della  assistenza   sanitaria,   dell'assistenza
domiciliare e non  quindi  della  sola  assistenza  emergenziale  che
l'art. 35  del  decreto  legislativo  n.  286/1998  prevede  per  gli
irregolari. Sono stati programmati  ed  offerti  a  tali  soggetti  i
servizi previsti nel piano socio - sanitario regionale, in attuazione
di quanto stabilito dalla legge regionale  n.  40  del  2005  che  ha
introdotto la disciplina del servizio sanitario regionale basata  sul
principio dell'universalita' e parita' di accesso ai servizi sanitari
per tutti gli assistiti; sulla garanzia per tutti  gli  assistiti  di
livelli  uniformi  ed  essenziali  di  assistenza  (art.  3);   sulla
partecipazione degli enti locali sia alla programmazione sanitaria  e
sociale integrata regionale  sia  al  governo  dei  servizi  sanitari
territoriali in forma integrata  con  i  servizi  sociali  (art.  6).
Questo sistema ha garantito un fondamentale diritto (la tutela  della
salute) ai soggetti titolari del permesso umanitario generale  e,  al
tempo stesso, ha permesso alla  Regione  (e  per  essa  alle  Aziende
sanitarie) di avere  esatta  conoscenza  dei  soggetti  presenti  sul
territorio,  potendo  cosi'  programmare  ed  attuare   campagne   di
profilassi, diagnosi e cura di malattie infettive,  non  possibili  a
fronte di soggetti irregolari e quindi non conosciuti, neanche  nella
loro consistenza numerica. Inoltre l'accesso  alla  tutela  sanitaria
ordinaria ha evitato «ingolfamento» del pronto soccorso  ospedaliero,
altrimenti inevitabile nei casi di tutela emergenziale, con  evidenti
ricadute sull'organizzazione del Servizio sanitario regionale. 
    1.2.b) Similmente, i  soggetti  gia'  titolari  del  permesso  di
soggiorno  umanitario  sono  stati  destinatari  degli  strumenti  di
inclusione  ed  integrazione  sociale,   previsti   dagli   atti   di
programmazione regionale, in base alle norme  contenute  nell'art.  5
della legge regionale n. 41 del 2005,  essenziali  per  l'inserimento
nel tessuto sociale, per superare le  discriminazioni  e  quindi  per
contenere rischi di aumento della criminalita'; cio'  in  conformita'
con il carattere di universalita' del sistema integrato di interventi
e servizi sociali sancito all'art.  2  comma  1  della  stessa  legge
regionale n. 41 del 2005. 
    In particolare i titolari del permesso  di  soggiorno  umanitario
sono  stati  destinatari  dei  servizi  sociali  previsti  nel  piano
integrato socia - sanitario approvato dal Consiglio regionale con  la
deliberazione 5 novembre 2014, n. 91, con riferimento ai  servizi  di
scuola materna, asilo  nido  e  servizi,  in  genere,  per  la  prima
infanzia; alle misure  di  sostegno  per  le  situazioni  di  disagio
personale  e  familiare,  anche  in   relazione   ai   soggetti   non
autosufficienti e disabili;  agli  interventi  sociali  ed  educativi
realizzati nell'ambito  delle  politiche  giovanili,  alle  forma  di
sostegno per contenere le difficolta' abitative. 
    1.2.c) Anche gli  interventi  di  formazione  professionale  sono
stati cospicui ed erogati ai titolari dei  permessi  umanitari:  essi
sono  particolarmente  necessari  per  l'inserimento  nel  mondo  del
lavoro. In tale ambito si segnalano i corsi  linguistici,  i  voucher
formativi individuali destinati a soggetti disoccupati ed inoccupati,
finanziati dalla Regione con le risorse del POR  FSE  ed  i  tirocini
attivati in favore di persone straniere anche non residenti nella UE,
disciplinati ai sensi dell'art. 17-quinquies della legge regionale n.
32 del 2002, («Testo unico della normativa della Regione  Toscana  in
materia   di   educazione,   istruzione,   orientamento,   formazione
professionale e lavoro»). Mediante tali tirocini la Regione ha inteso
favorire le esperienze formative, orientative  e  professionalizzanti
realizzate  presso  soggetti  pubblici  e  privati   nel   territorio
regionale: trattasi quindi di  interventi  particolarmente  rilevanti
per coloro che, titolari di permessi umanitari, cercano di integrarsi
nel territorio toscano e nella diversa realta', anche sociale, in cui
vengono a trovarsi. 
    1.2.d) I soggetti in esame sono  stati  destinatari  anche  delle
politiche attive di lavoro,  erogate  dai  centri  per  l'impiego  in
Toscana, sulla base delle previsioni del decreto legislativo  n.  150
del 2015: essi  hanno  potuto  sottoscrivere  il  Patto  di  servizio
personalizzato che ha incluso i seguenti servizi: 1) orientamento; 2)
riconoscimento ed eventuale validazione delle competenze; 3) incontro
tra la domanda e l'offerta di lavoro. 
    1.2.e) In sintesi, la legislazione e la programmazione  regionale
hanno disciplinato e previsto molteplici  misure  ed  interventi  per
favorire l'integrazione  e  l'inclusione  sociale  dei  titolari  dei
permessi di soggiorno umanitari; cio' nelle  materie  dell'assistenza
sanitaria, dell'assistenza sociale, della  formazione  professionale,
dell'istruzione, delle politiche attive del lavoro. Gli enti  locali,
per parte loro,  hanno  concretamente  dato  attuazione  alle  misure
previste nei suddetti ambiti materiali dalle leggi  e  dai  programmi
regionali 
    Le disposizioni impugnate, abolendo il permesso di soggiorno  per
motivi  umanitari  di  carattere  generale  e  sostituendolo  con   i
tassativi casi di permesso di soggiorno  sopra  richiamati,  incidono
fortemente sulle prestazioni sociali e sulla tutela sanitaria  finora
erogabile  ai  titolari  di  permesso   umanitario   in   base   alla
legislazione  vigente,  costringendo  il  legislatore  regionale   ad
adeguarsi alle nuove previsioni. 
    1.3) La rilevata  incidenza  sulle  materie  regionali  non  puo'
ritenersi  superata  dalla  previsione  dei  permessi  di   soggiorno
tipizzati. 
    L'art.  41  del  decreto  legislativo   n.   286/1998   subordina
l'erogazione delle prestazioni di assistenza sociale alla titolarita'
di un permesso di soggiorno di almeno un anno: cio', sino ad oggi, ha
permesso alla Regione Toscana di prevedere la possibilita' di erogare
dette prestazioni ai titolari della protezione umanitaria, che  aveva
durata biennale, per l'appunto  a  fronte  di  ragioni  di  carattere
umanitario. 
    Alcuni  dei  nuovi  permessi  speciali  hanno  durata   inferiore
all'anno (permesso  di  soggiorno  per  calamita'  e  per  protezione
sociale) e quindi cio'  costringe  la  Regione  a  ridisciplinare  il
sistema dell'erogazione delle  prestazioni  sociali  eliminando  tali
categorie. 
    Parimenti, per effetto della durata  ridotta  ad  un  anno  degli
altri permessi di soggiorno speciali, i titolari dei  nuovi  permessi
per cure mediche, per protezione speciale e  per  casi  speciali  non
avranno piu' accesso agli alloggi di edilizia  residenziale  pubblica
che l'art. 40 del decreto legislativo n. 286 del 1998  garantisce  ai
titolari di permesso di soggiorno della durata di  almeno  due  anni,
come era il permesso per motivi umanitari. 
    Inoltre, alcuni dei nuovi permessi speciali di soggiorno  (quello
per calamita' di cui  all'art.  20-bis  del  TU  sull'immigrazione  -
introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera h) del decreto-legge n.  113
del 2018 - e quello per atti di particolare  valore  civile,  di  cui
all'art. 42-bis del TU sull'immigrazione -  introdotto  dall'art.  1,
comma 1, lettera q del decreto-legge n. 113 del 2018  -  in  oggetto)
non consentono piu' l'iscrizione al servizio sanitario nazionale. 
    Infatti l'art. 34, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n.
286 del 1998 e' stato modificato dall'art. 1, comma 1, lettera o) del
decreto-legge in esame, con la limitazione della possibile iscrizione
al servizio sanitario di stranieri regolarmente soggiornanti,  o  che
abbiano chiesto il rinnovo del titolo di soggiorno, solo  per  lavoro
subordinato, per lavoro autonomo, per motivi  familiari,  per  asilo,
per protezione  sussidiaria,  per  richiesta  di  asilo,  per  attesa
adozione, per  affidamento,  per  acquisto  della  cittadinanza;  gli
articoli specifici  (ossia  citati  articoli  20-bis  e  42-bis)  non
contemplano  la  possibile  erogazione  dei  servizi  di   assistenza
sanitaria ai titolari dei corrispondenti permessi speciali. 
    Cio' relega questi stranieri al solo accesso  alle  cure  mediche
urgenti ed essenziali ambulatoriali o ospedaliere previste  dall'art.
35   decreto   legislativo   n.   286/1998   e   comporta   manifeste
illegittimita'   costituzionali   per   l'irragionevole   restrizione
rispetto   all'attuazione   piena   dell'accesso   alle   prestazioni
concernenti il diritto fondamentale alla salute previsto dall'art. 32
Cost., nonche' l'incidenza sulle competenze regionali in  materia  di
organizzazione  ed  erogazione  delle  prestazioni  sanitarie,  prima
invece erogate a tutti i titolari dei permessi umanitari. 
    1.4) Come accennato, vengono quindi in considerazione materie  di
sicura  competenza  regionale,  costituzionalmente  attribuite   alla
potesta'  legislativa  concorrente  (come  la  tutela  della  salute,
l'istruzione e le  politiche  attive  del  lavoro)  e  alla  potesta'
legislativa residuale (l'assistenza sociale, i servizi sociali  e  la
formazione professionale) delle  regioni,  ai  sensi  dell'art.  117,
terzo e quarto comma Cost. 
    Cio',  d'altra  parte,   e'   gia'   stato   riconosciuto   dalla
giurisprudenza  costituzionale:  questa  ecc.ma  Corte,  infatti,  ha
precisato che «l'intervento pubblico concernente  gli  stranieri  non
puo' (...) limitarsi al controllo dell'ingresso e del soggiorno degli
stessi sul territorio nazionale, ma deve necessariamente  considerare
altri ambiti - dall'assistenza sociale all'istruzione,  dalla  salute
all'abitazione, materie che intersecano ex  Costituzione,  competenze
dello Stato con altre regionali, in forma esclusiva  o  concorrente».
(cfr. sentenze n. 156 del 2006, n. 300 del 2005, n. 299 del 2010). 
    Nello stesso senso rilevano anche le ulteriori pronunce di questa
Corte numeri 269/2010, 299/2010 e 61/2011 ove e'  stato  sottolineato
l'intreccio tra le competenze statali in tema di  immigrazione  e  le
competenze  regionali  (assistenza   sociale,   istruzione,   salute,
abitazione).  In  particolare,  nella   sentenza   n.   61/2011,   le
disposizioni legislative regionali impugnate dal Governo  sono  state
giustificate dalle finalita' perseguite  dal  legislatore  regionale,
«in un contesto di competenze concorrenti o residuali», di predispone
«sistemi di tutela e promozione, volti ad  assicurare  l'opportunita'
per le persone straniere presenti in Campania di accedere  a  diritti
quali  quello  allo  studio   ed   alla   formazione   professionale,
all'assistenza sociale, al lavoro, all'abitazione, alla salute». 
    La Regione Toscana, come sopra evidenziato, ha fatto ampio uso di
tali competenze, disciplinando specifici interventi di  inclusione  e
integrazione sociale, nel  pieno  rispetto  di  quanto  stabilito  da
questa  Corte,  la  quale  ha  sottolineato  la  necessita'   che   i
beneficiari delle azioni in  tale  ambito  previsti  dal  legislatore
regionale siano individuati in modo  ragionevole,  non  arbitrario  e
quindi nel rispetto dell'art.  3  Cost.  (sentenze  n.  432/2005;  n.
166/2018). 
    E' quindi indubbio che le disposizioni qui contestate  vanificano
la legislazione regionale e gli interventi che, sulla base di questa,
sono stati programmati ed erogati ai soggetti titolari di permesso di
soggiorno umanitario,  con  conseguente  lesione  delle  attribuzioni
costituzionali nelle materie di cui  all'art.  117,  terzo  e  quarto
comma Cost., nonche' delle relative funzioni amministrative spettanti
agli enti locali e  alla  Regione,  ai  sensi  dell'art.  118  Cost.,
costringendo   quest'ultima   a   rimodulare   tali   funzioni    con
l'esclusione,  dai  destinatari  delle  azioni  sinora  erogate,  dei
soggetti in esame, fino a ieri  pienamente  regolari  e  fruitori  di
politiche regionali volte a favorirne l'inclusione sociale,  i  quali
sono divenuti o sono destinati a divenire inesorabilmente irregolari. 
    Per gli stessi motivi e per la violazione degli stessi  parametri
costituzionali, anche il comma ottavo dell'art. 1  del  decreto-legge
n. 113 del 2018 risulta costituzionalmente illegittimo, giacche'  non
permette al titolare di un permesso di soggiorno per motivi umanitari
in corso di validita' alla data di  entrata  in  vigore  della  nuova
disciplina, il rinnovo a condizioni di  rilascio  invariate,  il  che
incide sui percorsi di integrazione gia' avviati dalla  Regione  alla
luce delle competenze sopra evidenziate. 
    1.5) Il permesso di soggiorno per motivi umanitari,  rilasciabile
a fronte di «seri motivi, in particolare di  carattere  umanitario  o
risultanti da obblighi costituzionali o  internazionali  dello  Stato
italiano», ai sensi dell'art. 5, comma 6 del decreto  legislativo  n.
286 del 1998, trova fondamento negli articoli 2, 3 e 10 Cost. 
    Cio' perche' questo permesso e' uno  strumento  che  permette  di
riconoscere a tutte le persone i diritti inviolabili  dell'uomo,  nel
rispetto del dovere  di  solidarieta'  economica  e  sociale  secondo
l'art. 2 Cost. nonche' di evitare discriminazioni  arbitrarie  e  non
ragionevoli, nel rispetto dell'art. 3 Cost. 
    Questa  ecc.ma  Corte  infatti,  in  merito   ai   «seri   motivi
umanitari», si e' cosi' espressa : «Non sembra dubbio che i motivi di
carattere umanitario debbano essere identificati facendo  riferimento
alle fattispecie previste dalle Convenzioni universali che  impongono
al nostro Paese di adottare  misure  di  protezione  e  garanzia  dei
diritti umani fondamentali e che trovano espressione e garanzia nella
Costituzione, non solo per il valore di diritti inviolabili in  forza
dell'art. 2, ma  anche  perche'  al  di  la'  della  coincidenza  dei
cataloghi di tali diritti, le diverse formule  che  li  esprimono  si
integrano completandosi reciprocamente  nell'interpretazione»  (cosi'
la sentenza n. 381 del 1999). 
    Tale permesso umanitario e'  poi  lo  strumento  per  attuare  il
diritto di asilo costituzionalmente  garantito  dall'art.  10,  terzo
comma Cost. 
    La Corte di  cassazione  civile,  sez.  I,  con  la  sentenza  n.
4455/2018 ha affermato: «La  protezione  umanitaria  costituisce  una
delle forme di attuazione dell'asilo costituzionale (art.  10  Cost.,
comma 3), secondo il costante orientamento di questa Corte (Cass.  n.
10686 del 2012; n. 16362 del 2016), unitamente al rifugio politico ed
alla protezione sussidiaria, evidenziandosi anche in questa  funzione
il carattere aperto e non integralmente tipizzabile delle  condizioni
per il suo riconoscimento, coerentemente con la configurazione  ampia
del   diritto   d'asilo   contenuto   nella   norma   costituzionale,
espressamente riferita all'impedimento nell'esercizio delle  liberta'
democratiche, ovvero ad una  formula  dai  contorni  non  agevolmente
definiti e tutt'ora oggetto di ampio dibattito». 
    In  effetti,  le  situazioni  che  impediscono  -  nel  Paese  di
provenienza dello straniero - «l'effettivo esercizio  delle  liberta'
democratiche garantite dalla Costituzione  italiana»  non  sono  solo
quelle che precludono l'esercizio dei diritti che  piu'  direttamente
attengono alla democrazia (liberta' di espressione,  di  associazione
etc.), ma tutte quelle che incidono sui diritti fondamentali e  sulle
condizioni minime di una vita sicura e dignitosa. Come noto, infatti,
i diritti  alla  vita,  alla  salute,  all'istruzione  etc.  sono  il
presupposto  per  l'esercizio  delle  liberta'  (piu'   strettamente)
«democratiche». L'art. 10, terzo comma,  Cost.  va  dunque  letto  in
collegamento con gli articoli 2 e 3 Cost. 
    Poiche' i presupposti della protezione internazionale (status  di
rifugiato e protezione sussidiaria) sono ben definiti e tipizzati  ai
sensi del decreto  legislativo  n.  251  del  2007,  tutte  le  altre
situazioni in cui lo straniero era privato, nel proprio Paese, di uno
o piu' diritti fondamentali, non esistendo le  condizioni  minime  di
una vita sicura e dignitosa, trovavano  tutela  tramite  il  permesso
umanitario. 
    Cosi', essendo  attuativo  del  diritto  di  asilo,  il  permesso
umanitario «generale» si  ricollegava  in  particolare  alla  seconda
parte dell'art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 286 del  1998,
cioe' a quella che  menzionava  gli  obblighi  costituzionali  («seri
motivi, in  particolare  di  carattere  umanitario  o  risultanti  da
obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano»). 
    Cio'  trova  conferma  nella  citata  pronuncia  della  Corte  di
cassazione n. 4455/2018, ove si afferma che il permesso di  soggiorno
umanitario fronteggia  situazioni  di  vulnerabilita'  personale  che
meritano di essere tutelate attraverso il riconoscimento di un titolo
di soggiorno che protegga il soggetto dal rischio di essere  immesso,
nuovamente, in conseguenza del rimpatrio,  in  un  contesto  sociale,
politico o ambientale, quale quello del paese di  origine,  idoneo  a
costituire  «significativa  ed  effettiva  compromissione  dei   suoi
diritti fondamentali inviolabili». 
    Il parametro di riferimento rispetto alla violazione dei  diritti
umani, in un contesto in cui emerga anche la presenza di un effettivo
radicamento sociale, diventano gli articoli 3 e 8  della  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo, i quali, nell'interpretazione  accolta
dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (sent. 20 marzo 1991,  Cruz
Varas e altri contro Svezia; 30  ottobre  1991,  Vilvarajah  e  altri
contro Regno Unito; 28 febbraio 2008, Saadi contro Italia)  impongono
agli Stati di offrire protezione agli stranieri che, se rimandati nei
paesi d'origine, potrebbero essere sottoposti a trattamenti inumani o
degradanti,  senza  possibilita'  di  bilanciare  il  diritto   dello
straniero con altri interessi, eventualmente confliggenti,  e  quindi
senza che sia possibile che tale obbligo subisca deroghe. 
    Il permesso di soggiorno per motivi umanitari,  dunque,  permette
di attuare una uguaglianza  sostanziale  tra  soggetti  presenti  nel
territorio, creando una parita' tra i cittadini degli Stati membri  e
questi stranieri che  con  il  permesso  suddetto  sono  regolarmente
soggiornanti;  il  medesimo  da'  dunque  piena  attuazione  a  norme
costituzionali, internazionali convenzionali ed europee e,  pertanto,
i vincoli previsti nell'art. 10, secondo e terzo  comma  e  nell'art.
117, primo  comma  Cost.  impediscono  al  legislatore  nazionale  di
abrogare tale istituto sostituendolo con altri che  non  garantiscano
piu' un'attuazione completa ed esaustiva a tali  obblighi.  In  altri
termini, il legislatore non ha la possibilita' di ridurre  l'ampiezza
di tutele che sono gia' previste dalla legge, qualora  queste  tutele
siano imposte dall'esigenza di dare  intera  attuazione  ad  obblighi
costituzionali o sovranazionali. Trattasi di leggi costituzionalmente
obbligatorie, che possono dunque essere modificate o  sostituite,  ma
sempre a condizione che la nuova disciplina dia  comunque  attuazione
ai medesimi obblighi ai quali dava attuazione quella abrogata,  senza
arretramenti delle tutele. 
    Ne  consegue  che  le  impugnate  disposizioni,   eliminando   la
previsione  del  permesso  di  soggiorno  per  motivi  umanitari   di
carattere generale e non permettendone  il  successivo  rinnovo  alla
scadenza, violano gli articoli 2, 3 e 10 Cost., di cui quell'istituto
costituiva attuazione, l'art. 117, primo comma, oltre che  l'art.  32
della Cost. per le restrizioni all'iscrizione al  Servizio  sanitario
regionale  conseguente  alla  soppressione  del  permesso  umanitario
generale, sostituito  con  permessi  tipizzati,  i  quali  non  tutti
permettono  l'assistenza   sanitaria   ordinaria,   con   inevitabile
restrizione  della  tutela  della  salute   dei   relativi   soggetti
interessati (come evidenziato al precedente punto 1.3). 
    1.6) La violazione degli articoli  2,  3  e  10  Cost.  e'  assai
accentuata anche considerando il particolare  impatto  che  le  norme
impugnate producono sui minori. 
    L'impugnata disposizione infatti impatta su: 
        i Minori stranieri non accompagnati (MSNA) che si  apprestano
a diventare maggiorenni (c.d. neomaggiorenni); 
        i nuclei familiari di origine straniera in cui sono  presenti
minori di eta' (minori accompagnati). 
    L'abolizione della protezione  umanitaria  determina  conseguenze
sul  livello  di  protezione   dei   minori,   in   particolare   dei
neomaggiorenni, in termini di rischi di interruzione dei percorsi  di
inclusione sociale predisposti dai servizi sociali territoriali e dal
Tribunale per i  minorenni  al  compimento  dei  18  anni.  La  nuova
normativa    non    prevede,    infatti,     alcuna     misura     di
sostegno/accompagnamento rivolta ai giovani  neomaggiorenni  ne',  in
particolare, norme  specifiche  che  possano  garantire  un'effettiva
accoglienza a coloro che risultano essere - in  eta'  minorile  -  in
affidamento ai servizi sociali secondo i provvedimenti  disposti  dal
Tribunale per i minorenni, in ottemperanza all'art. 13 della legge n.
47 del 2017. Per tali situazioni, fino ad oggi, e' stato concessa una
protezione umanitaria con  un  permesso  di  soggiorno  di  due  anni
rinnovabile e convertibile, in linea con il principio  internazionale
di non respingimento (ribadito anche nel decreto legislativo  n.  286
del 1998 e nella legge n. 47 del 2017). 
    Ma anche il percorso del minore non accompagnato non  richiedente
protezione internazionale appare oggi esposto a nuove difficolta'  al
momento del raggiungimento della maggiore eta': secondo l'art. 32 del
decreto legislativo n. 286 del 1998 i MSNA con permesso di  soggiorno
per minore eta' possono richiedere la  conversione  dello  stesso  al
compimento dei 18 anni in permesso per lavoro, attesa  occupazione  o
studio. Tuttavia, uno dei requisiti per la conversione e' il possesso
del passaporto. Considerate le difficolta' a cui gran parte dei  MSNA
va incontro nell'ottenimento del passaporto da parte delle Ambasciate
e/o dalla non volonta' di  accedervi  per  timore  di  ripercussioni,
molti di loro hanno difficolta' nella  conversione  del  permesso  di
soggiorno. 
    In definitiva, per quanto concerne i minori,  l'abolizione  della
protezione umanitaria: 
        ha reso  i  MSNA  ancora  piu'  vulnerabili,  soprattutto  in
relazione alla delicatissima fase di transizione  dalla  minore  alla
maggiore eta' (anche  nell'ottica  di  dare  senso  e  coerenza  agli
sforzi/investimenti, in termini  di  risorse,  compiuti  dai  servizi
socio-sanitari nel periodo minorile); 
        appare  in  contrasto  con  la  politica  regionale  tesa   a
promuovere  percorsi  di   autonomia   dei   neo-maggiorenni,   anche
attraverso  soluzioni  residenziali  ad  essi  dedicati   (ai   sensi
dell'art. 21, comma 2 del Regolamento 9 gennaio 2018, n. 2/R). 
    1.7) La violazione delle  richiamate  norme  costituzionali  puo'
senz'altro essere fatta valere dalla Regione odierna ricorrente. 
    La  giurisprudenza  costituzionale,  infatti,  e'  costante   (da
ultimo, sentenze n. 79 del 2018, n. 13 del 2017, n. 287, n. 251 e  n.
244 del 2016) nell'affermare che le regioni possono evocare parametri
costituzionali diversi da quelli che riguardano  la  ripartizione  di
competenze  tra  Stato  e  regioni,  a  due  condizioni:  quando   la
violazione denunciata sia potenzialmente idonea a riverberarsi  sulle
attribuzioni regionali costituzionalmente garantite  (sentenze  n.  8
del 2013 e n. 199 del 2012) e quando le  regioni  ricorrenti  abbiano
sufficientemente motivato in ordine alla ridondanza  della  lamentata
illegittimita' costituzionale sul riparto di competenze, indicando la
specifica  competenza  che   risulterebbe   offesa   e   argomentando
adeguatamente in proposito (sentenze n. 65 e n. 29 del 2016, n.  251,
n. 189, n. 153, n. 140, n. 89 e n. 13 del 2015). 
    Tali condizioni ricorrono evidentemente nel caso in oggetto. 
    Le impugnate disposizioni del decreto-legge n. 113 del 2018,  per
le argomentazioni di cui ai precedenti punti 1.2, 1.3 e 1.4, incidono
sulle materie  della  tutela  della  salute,  dell'istruzione,  delle
politiche  attive  del  lavoro,  dell'assistenza  sociale  e  servizi
sociali, della formazione professionale e dunque  sulle  attribuzioni
costituzionalmente garantite alle regioni  ai  sensi  dell'art.  117,
terzo  e  quarto  comma  Cost.,  nonche'  sulle   relative   funzioni
amministrative spettanti agli  enti  regionali  e  locali,  ai  sensi
dell'art. 118 Cost. 
    Tale incidenza determina che - con  l'eliminazione  del  permesso
umanitario di carattere generale e l'impossibilita' del  suo  rinnovo
alla scadenza - stranieri  che  oggi  sono  regolari  sul  territorio
regionale e fruitori degli interventi e delle misure che  la  Regione
Toscana ha attuato nelle citate materie (con le leggi indicate e  con
i conseguenti atti applicativi della  stessa  Regione  e  degli  enti
locali toscani)  diventeranno  irregolari,  senza  che  sia  reale  e
garantita dalla nuova disciplina qui contestata la possibilita' della
loro espulsione. Da tale effetto, come  rilevato,  discendono  alcuni
sicuri obblighi conformativi sulle attribuzioni costituzionali  della
Regione sopra menzionate e, in particolare: 
        a) l'impossibilita' di continuare ad applicare un sistema  di
welfare  basato  sul  principio  di  universalita',  introdotto   dal
legislatore regionale sia  per  l'assistenza  sanitaria  (articoli  3
della legge regionale n. 40 del 2005) che per quella sociale (art.  2
della legge regionale n. 41 del 2005); 
        b) l'impossibilita' di continuare ad erogare a  soggetti  che
oggi  sono  regolarmente  presenti  sul  territorio   regionale,   le
prestazioni disciplinate e previste dalle leggi regionali in  materia
di diritto alla salute, servizi sociali, istruzione, politiche attive
del  lavoro,   formazione   professionale,   vanificando   cosi'   la
legislazione regionale e gli strumenti in questi anni approntati  con
impegno e risorse finanziarie investite; 
        c) l'impossibilita'  di  conoscere  e  di  identificare  tali
soggetti,  una  volta  che  saranno  diventati   irregolari,   e   di
organizzare nei loro confronti efficaci misure di profilassi  e  cura
di malattie infettive, con il rischio,  quindi,  del  diffondersi  di
malattie anche per la popolazione toscana; 
        d) il rischio concreto di aumento della  criminalita',  posto
che  l'insussistenza  di   strumenti   di   espulsione   determinera'
l'emarginazione di tali soggetti e quindi il loro facile  adescamento
da parte della  criminalita'  organizzata,  con  conseguente  lesione
delle attribuzioni regionali e  degli  enti  locali  in  merito  alla
sicurezza urbana. A tale proposito, si  rammenta  che  questa  ecc.ma
Corte, nella sentenza n. 407/2002, ha sottolineato che  per  definire
il concetto di «sicurezza pubblica» «e' sufficiente constatare che il
contesto specifico della lettera h) del secondo comma  dell'art.  117
[ordine  pubblico  e   sicurezza,   ad   esclusione   della   polizia
amministrativa locale],  -  che  riproduce  pressoche'  integralmente
l'art. 1, comma 3, lettera l) della legge n. 59 del 1997 - induce, in
ragione   della   connessione   testuale   con   "ordine    pubblico"
dell'esclusione  esplicita  della  "polizia  amministrativa  locale",
nonche'  in  base  ai  lavori  preparatori,   ad   un'interpretazione
restrittiva della nozione di "sicurezza  pubblica".  Questa  infatti,
secondo un tradizionale indirizzo di questa Corte, e' da configurare,
in contrapposizione ai compiti di polizia amministrativa regionale  e
locale, come  settore  riservato  allo  Stato  relativo  alle  misure
inerenti alla prevenzione dei reati  o  al  mantenimento  dell'ordine
pubblico»  (seguono  lo  stesso  orientamento   anche   le   pronunce
successive: cfr. sentenze n. 428/2004; n. 105/2006; n.  222/2006;  n.
237/2006; n. 196/2009). 
    A fronte degli interventi ricadenti nell'ambito della nozione  di
«sicurezza  pubblica»,  in  quanto  tali  rimessi   alla   competenza
legislativa esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo  comma,
lettera h), Cost., si collocano dunque, con  autonoma  evidenza,  gli
interventi di polizia amministrativa locale che, in base al combinato
disposto dei commi secondo, lettera h) e quarto dell'art. 117  Cost.,
rientrano nella sfera  della  potesta'  legislativa  residuale  delle
regioni. 
    Le iniziative legislative e amministrative assunte dalla  odierna
ricorrente e dai comuni toscani nelle materie di propria  competenza,
allo scopo di favorire l'inclusione  sociale  anche  degli  stranieri
titolari del permesso  di  soggiorno  umanitario  hanno  permesso  il
miglioramento delle condizioni di vivibilita' nei centri  urbani,  la
convivenza civile e la coesione sociale. E'  chiaro,  pero',  che  in
tale ambito,  evidentemente  indefinito,  sono  ricomprese  anche  le
attivita' di prevenzione e lotta al degrado urbano, volte a  favorire
un  ordinato  sviluppo  delle  relazioni  sociali  ed  economiche   e
un'ordinata e civile convivenza della comunita' regionale: anche tali
azioni, espressione  di  competenze  costituzionalmente  riconosciute
della Regione e degli enti locali, subiscono una menomazione  con  le
norme impugnate, il cui effetto, si  ripete,  e'  appunto  quello  di
creare un numero elevato di clandestini che rimarranno nel territorio
regionale per lungo periodo di tempo. 
2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera  f),
per violazione degli articoli  2  e  3  della  Costituzione.  Lesione
indiretta delle attribuzioni legislative e  amministrative  regionali
di cui agli articoli 117, terzo  e  quarto  comma,  e  118  Cost.  in
materia  di  «edilizia  residenziale  pubblica»  e   di   «formazione
professionale». 
    L'art. 1, comma 1, lettera f), n. 2, del decreto-legge n. 113 del
2018, come convertito in legge, introduce all'art. 18-bis del decreto
legislativo n. 286 del 1998, dopo il comma 1 relativo alla disciplina
del permesso di soggiorno speciale per stranieri vittime di  violenza
domestica, il comma  1-bis,  ai  sensi  del  quale  «Il  permesso  di
soggiorno rilasciato a norma del presente articolo reca  la  dicitura
"casi speciali", ha la durata di un  anno  e  consente  l'accesso  ai
servizi assistenziali e allo studio nonche' l'iscrizione  nell'elenco
anagrafico previsto dall'art. 4 del regolamento di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 7 luglio 2000, n. 442, o  lo  svolgimento
di lavoro subordinato e autonomo, fatti salvi i requisiti  minimi  di
eta'. Alla scadenza, il permesso di  soggiorno  di  cui  al  presente
articolo puo' essere convertito in permesso di soggiorno  per  motivi
di lavoro subordinato o autonomo, secondo le modalita' stabilite  per
tale permesso di soggiorno ovvero in permesso di soggiorno per motivi
di studio qualora il titolare sia iscritto ad un  corso  regolare  di
studi». 
    2.1) Tale disposizione lascia fuori dal suo campo di operativita'
almeno il diritto all'alloggio e il diritto  alla  formazione,  cosi'
incidendo  sulla  competenza  legislativa  regionale  in  materia  di
«formazione professionale» e di edilizia  residenziale  pubblica,  la
quale, per quel che concerne la «gestione del patrimonio  immobiliare
di  edilizia  residenziale  pubblica»,   rientra   nella   competenza
legislativa residuale regionale ex art. 117, quarto comma, Cost.,  e,
quanto alla  sua  programmazione,  rientra  invece  nella  competenza
concernente il «governo del territorio» di cui  all'art.  117,  terzo
comma, Cost. (cosi', da ultimo, la sentenza n. 273 del 2016), nonche'
sulle relative funzioni amministrative  di  cui  all'art.  118  Cost.
(Corte cost. n. 273 del 2016). Cio' significa che la  Regione,  nella
programmazione e assegnazione di alloggi, cosi' come nella disciplina
e   nell'esercizio   delle   funzioni   relative   alla   «formazione
professionale»,  dovra'  escludere  dai  relativi   destinatari   gli
stranieri che non godono piu' del permesso di soggiorno  «umanitario»
di cui in precedenza, ancorche' siano vittime di violenza domestica. 
    2.2) La norma in esame e' incostituzionale poiche', escludendo il
diritto all'alloggio e alla formazione per gli stranieri  vittime  di
violenza  domestica,  discrimina  la  posizione  di  questi   ultimi,
comunque in possesso di un permesso di soggiorno speciale, rispetto a
quella degli stranieri che sono titolari del permesso di soggiorno di
cui all'art. 32, comma 3, decreto legislativo n. 25 del  2008  e,  in
generale,  rispetto  allo  straniero  regolarmente  soggiornante  sul
territorio: cosi' violando tanto l'art.  2,  quanto  l'art.  3  della
Costituzione. 
    2.3) Tale illegittimita' si risolve, a sua volta,  nella  lesione
indiretta delle attribuzioni legislative e  amministrative  regionali
relative alle materie sulle quali incidono i diritti non  contemplati
- e, dunque, esclusi - dalla norma in esame,  ovvero  -  come  si  e'
detto  -  quelli  attinenti   alla   «formazione   professionale»   e
all'edilizia residenziale pubblica (la quale, per quel  che  concerne
la «gestione del  patrimonio  immobiliare  di  edilizia  residenziale
pubblica» rientra nella competenza legislativa residuale regionale ex
art.  117,   quarto   comma,   Cost.,   mentre,   quanto   alla   sua
programmazione, rientra nella competenza concernente il «governo  del
territorio» di cui all'art. 117, terzo comma, Cost.). 
3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 1, lettera a),
n. 2 del decreto-legge n. 113 del 2018, come convertito in legge, per
violazione degli articoli 2, 3, 10, 97, 117 primo comma Cost. Lesione
indiretta delle attribuzioni legislative e  amministrative  regionali
di cui agli articoli 117, terzo e quarto comma e 118 Cost. in materia
di politiche attive del lavoro, assistenza sociale e servizi sociali,
formazione professionale e istruzione. 
    L'art. 13, comma 1, lettera a) n. 2 del decreto-legge n. 113  del
2018, come convertito in legge, inserisce il comma 1-bis  all'art.  4
del decreto legislativo n. 142 del 2015 e si riferisce ai richiedenti
asilo i quali, sino a che non  sia  definita  la  procedura  e  siano
quindi in attesa di una decisione della commissione  territoriale  (o
dell'esito  del  ricorso  promosso   avverso   la   pronuncia   sulla
richiesta), sono titolari di un  permesso  di'  soggiorno  e  vengono
sistemati nelle strutture di prima accoglienza (CARA e CAS). 
    La  norma  stabilisce  che  questo  permesso  di  soggiorno   per
richiesta  di  asilo  non   costituisce   titolo   per   l'iscrizione
anagrafica. 
    Va subito precisato  che  il  procedimento  per  il  permesso  di
soggiorno al richiedente asilo non e' breve, perche'  le  commissioni
impiegano circa due anni  per  la  relativa  definizione,  cui  vanno
sommati i tempi del contenzioso di altri due/tre anni. 
    Tanto premesso, la previsione incide  in  materie  di  competenza
regionale e degli enti locali per plurimi motivi. 
    3.1) L'articolo impugnato modifica le  disposizioni  del  decreto
legislativo n. 142 del 2015 di  diretta  attuazione  della  direttiva
europea  2013/33/UE  recante  norme  relative   all'accoglienza   dei
richiedenti  protezione  internazionale.  Quest'ultima,  all'art.  7,
prevede la residenza e la libera circolazione dei richiedenti,  norma
recepita dall'art. 4 del decreto legislativo n. 142  del  2015,  oggi
modificato dalla contestata disposizione. Con tale modifica quindi si
incide direttamente sui vincoli imposti dalla direttiva  europea,  in
violazione  dell'art.  117,  primo  comma   Cost.   Detto   parametro
costituzionale e' violato altresi' in  riferimento  sia  all'art.  2,
comma 1, del Protocollo 4 allegato alla Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
reso esecutivo in Italia con decreto del Presidente della  Repubblica
14 aprile  1982,  n.  217,  sia  all'art.  12,  comma  1,  del  Patto
internazionale sui diritti  civili  e  politici,  reso  esecutivo  in
Italia con  legge  25  ottobre  1977,  n.  881,  i  quali  prevedono,
rispettivamente, che «Chiunque si trovi regolarmente  sul  territorio
di uno Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e di  scegliervi
liberamente la sua residenza» e che  «Ogni  individuo  che  si  trovi
legalmente nel territorio di uno Stato ha diritto  alla  liberta'  di
movimento  e  alla  liberta'  di  scelta  della  residenza  in   quel
territorio». Alla luce delle citate norme internazionali, infatti,  i
richiedenti asilo, i quali sono titolari di un  diritto  all'ingresso
nel territorio dello  Stato,  nonche'  di  quello  ad  accedere  alla
procedura di esame della  domanda  di  asilo  (cfr.,  tra  le  altre,
Cassazione SS.UU., sentenza n. 4674 del 1997), e  dunque  si  trovano
legalmente nel territorio  italiano,  hanno  il  diritto  di  fissare
all'interno di tale territorio la propria residenza: diritto  violato
dall'art. 13 del decreto-legge n. 113 del 2018, nella  parte  in  cui
vieta l'iscrizione  anagrafica  e  la  conseguente  fissazione  della
residenza per il richiedente asilo. 
    3.2) La disposizione impugnata non ha abrogato la norma contenuta
nell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n.  286  del  1998,  ai
sensi  del  quale  «Le  iscrizioni  e  variazioni  anagrafiche  dello
straniero regolarmente soggiornante  sono  effettuate  alle  medesime
condizioni dei cittadini italiani...» con la conseguenza che si  crea
una situazione di assoluta incertezza sulla normativa applicabile  ai
richiedenti asilo regolarmente presenti,  a  danno  della  efficienza
dell'azione amministrativa delle amministrazioni regionali e  locali,
in violazione dell'art. 97 Cost. 
    3.3) L'iscrizione anagrafica  e'  il  presupposto  per  l'accesso
all'assistenza sociale, per la concessione di sussidi o  agevolazioni
previste  dalla  legislazione  statale  e  regionale   basate   sulle
condizioni  di  reddito  verificate   mediante   l'indicatore   della
situazione economica equivalente - ISEE. 
    Piu'  precisamente,  per  le  prestazioni  di  natura  sociale  e
sociosanitaria, in tutti i casi in cui i richiedenti  possano  fruire
di condizioni agevolate, in base alla condizione economica (priorita'
di accesso,  tariffe  inferiori  a  quelle  massime,  concessione  di
contributi a parziale o totale copertura delle rette, esenzione dalla
contribuzione  al  costo  dei  servizi),  l'accesso  alle  condizioni
agevolate  deve  essere  valutato  utilizzando   l'indicatore   della
situazione economica equivalente ai sensi del decreto del  Presidente
del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159; la determinazione
e  l'applicazione  di  tale  indicatore  ai  fini  dell'accesso  alle
prestazioni sociali agevolate costituiscono livello essenziale  delle
prestazioni. Presupposto per poter ottenere  l'ISEE,  secondo  quanto
previsto  dal  citato  decreto  del  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri, e' avere la residenza anagrafica. 
    Pertanto senza la residenza anagrafica  non  sara'  possibile  ai
richiedenti asilo avere la determinazione ed applicazione dell'ISEE -
che pure costituisce, come  sopra  rilevato,  un  livello  essenziale
delle prestazioni sociali - e quindi fruire delle prestazioni sociali
agevolate  erogabili  in  base  all'ISEE  stesso.  Si  tratta   delle
esenzioni e dei sostegni parziali o totali delle rette di asili nido,
scuole dell'infanzia e centri diurni; dei contributi per garantire la
permanenza a domicilio di persone anziane, disabili o con problemi di
salute mentale; dell'erogazione di buoni per  farmaci  e  per  generi
alimentari da comperare nei supermercati convenzionati; del pagamento
totale o parziale delle bollette per le utenze  domestiche  di  prima
necessita', di sussidi per i canoni di  locazione  o  per  l'acquisto
della prima casa. Inoltre, in base a quanto ad esempio  prevede  oggi
alla legge regionale Toscana n. 2 del 2019, la  residenza  anagrafica
e' richiesta per la partecipazione ai bandi di concorso per  accedere
agli alloggi di edilizia residenziale pubblica. 
    3.4)  Si  consideri  altresi'  che  chi  entra  in  Italia   come
richiedente asilo e resta in tale condizione per tre o  quattro  anni
(anche a causa della durata del contenzioso seguente  alla  decisione
della Commissione territoriale) non puo'  maturare  nel  frattempo  i
requisiti di  durata  della  residenza  necessari  per  l'accesso  al
reddito di inclusione (REI), ai sensi del decreto legislativo n.  147
del 2017, cosi' come a tutte le altre prestazioni statali,  regionali
e locali che spesso vengono condizionate alla durata della  residenza
sul territorio nazionale, regionale o locale. 
    3.5) La previsione impugnata incide anche sulle politiche  attive
del lavoro. La residenza e' infatti prevista  per  l'iscrizione  allo
stato di disoccupazione ai sensi del decreto legislativo n.  150  del
2015; l'assenza dello stato di disoccupazione  preclude  l'accesso  a
tutti i servizi di politica attiva del lavoro  finanziati  dal  Fondo
sociale europeo che sono quelli  a  maggior  valore  aggiunto  e  che
possono  risultare  piu'  efficaci  per  l'occupabilita'  di   queste
persone. Cio' vale in riferimento a politiche attive  come:  l'avviso
per l'erogazione di contributi ai soggetti ospitanti  privati  per  i
rimborsi forfettari  erogati  ai  tirocinanti;  i  voucher  formativi
individuali; i  corsi  di  formazione  professionale  finanziati;  la
sperimentazione regionale dell'assegno  di  ricollocazione;  l'avviso
per l'erogazione di contributi ai datori di lavoro privati a sostegno
dell'occupazione; in tali casi lo status di disoccupato,  certificato
mediante regolare iscrizione, e' condizione necessaria. 
    3.6) Quindi, nella misura in cui si pone  una  regola  che  vieta
l'iscrizione  all'anagrafe   per   questi   soggetti   (tra   l'altro
regolarmente soggiornanti  e  maggiormente  fragili,  trattandosi  di
persone che hanno presentato richiesta di asilo),  si  preclude  alle
regioni e agli enti locali di programmare interventi  a  loro  favore
nelle   materie    dell'assistenza    sociale,    della    formazione
professionale, del lavoro, con interferenza sulle scelte  legislative
che, in tali  ambiti,  competono  all'Amministrazione  regionale,  ai
sensi dell'art. 117, terzo e quarto comma Cost., nonche' sul concreto
esercizio delle funzioni amministrative spettanti  in  base  all'art.
118 Cost. perche'  la  Regione  ed  i  comuni  saranno  costretti  ad
escludere, dai servizi nei citati ambiti, i richiedenti asilo. 
    Cio'  e'  tanto  piu'  rilevante  considerando  che  l'assistenza
sociale e la formazione  professionale  sono  materie  di  competenza
legislativa residuale delle regioni, ai sensi dell'art.  117,  quarto
comma Cost. e che, anche per le materie di  legislazione  concorrente
(come il lavoro e l'istruzione), le regioni devono rispettare solo  i
principi  fondamentali  che   informano   la   materia   stessa.   La
disposizione censurata non puo' ritenersi espressione di un principio
fondamentale, in quanto non ha alcuna attinenza con le materie  delle
politiche attive del lavoro e dell'istruzione. 
    3.7) Peraltro l'art. 13, comma 1,  lettera  a),  n.  2  non  puo'
essere ritenuto espressivo di un  principio  fondamentale  vincolante
per le regioni nelle  materie  di  loro  attribuzione  anche  perche'
contrasta evidentemente con rilevanti regole costituzionali. 
    La necessaria parita' di trattamento tra  stranieri  regolarmente
soggiornanti (quali sono senz'altro i richiedenti asilo) e  cittadini
e' gia' considerata fondamentale da questa ecc.ma Corte, la quale  ha
avuto modo di affermare (sent. n. 306/2008) che  «una  volta  che  il
diritto  a  soggiornare  non  sia  in  discussione,  non  si  possono
discriminare gli stranieri, stabilendo nei loro confronti particolari
limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della  persona,
riconosciuti invece ai cittadini». 
    La norma impugnata si pone dunque  in  contrasto  con  l'art.  3,
primo  comma  Cost.  perche'  discrimina  in  modo  irragionevole   i
richiedenti asilo sia rispetto ai cittadini, sia rispetto alle  altre
categorie di stranieri  regolarmente  presenti  sul  territorio,  cui
l'iscrizione anagrafica non e' preclusa. 
    Inoltre la giurisprudenza ha  sempre  rilevato  che  l'iscrizione
anagrafica  e'  un  diritto  soggettivo  (tra  le  tante:  Corte   di
cassazione 14 marzo 1986, n. 1738), espressione  dell'art.  2  Cost.,
violato  dalla  contestata  disposizione;   la   sua   negazione   ai
richiedenti asilo e' di dubbia  costituzionalita'  anche  perche'  in
contrasto  con  l'art.  14  della  Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo che vieta ogni discriminazione tra  cittadini  degli  Stati
membri  e  stranieri  regolarmente   soggiornanti.   Similmente,   la
Convenzione relativa ai rifugiati firmata a Ginevra il 28 luglio 1951
ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge n. 722  del  1954;
stabilisce all'art. 26 che  «Ciascuno  Stato  contraente  concede  ai
rifugiati che soggiornano regolarmente sul territorio, il diritto  di
scegliervi il loro luogo di residenza»:  emerge,  percio',  anche  la
violazione dell'art. 10, secondo comma e dell'art. 117,  primo  comma
Cost., perche' la norma in esame non e'  conforme  alle  norme  e  ai
trattati internazionali per quanto attiene alla condizione  giuridica
dello straniero. 
    In conclusione quello all'iscrizione all'anagrafe e'  un  diritto
elementare, essenziale: non si tratta  di  una  graziosa  concessione
dello Stato; e' indice  del  fatto  che  una  persona  esiste  ed  e'
stabilmente - ancorche' pro tempore  -  collegata  a  un  determinato
territorio. 
    La disciplina censurata, invece, mira ad escludere uomini e donne
dai  servizi  di  welfare  che  sono   fondati   sul   principio   di
universalita'. 
    3.8) Anche nel caso in esame, la violazione degli articoli 2,  3,
10, 97 e 117 primo comma Cost. puo' senz'altro  essere  fatta  valere
dalla  Regione  ricorrente,  in  applicazione  del  principio   della
ridondanza richiamato nel precedente  punto  1.7,  ossia  in  ragione
della lesione indiretta che si determina a  carico  delle  competenze
della Regione. 
    L'impugnata disposizione, per le  argomentazioni  sopra  esposte,
incide infatti sulle  materie  delle  politiche  attive  del  lavoro,
dell'assistenza  sociale  e   servizi   sociali,   della   formazione
professionale  e  dell'istruzione,  e   dunque   sulle   attribuzioni
costituzionalmente garantite alle regioni  ai  sensi  dell'art.  117,
terzo  e  quarto  comma  Cost.,  nonche'  sulle   relative   funzioni
amministrative spettanti agli enti regionali e agli  enti  locali  ai
sensi dell'art. 118 Cost. 
    Si consideri, in proposito, che la  legge  regionale  n.  41  del
2005, che disciplina il sistema integrato  di  interventi  e  servizi
sociali, e' organizzata, per l'appunto,  sulla  residenza  anagrafica
dei destinatari  degli  stessi,  ai  quali  il  comune  di  residenza
assicura la definizione del percorso personalizzato assistenziale, ai
sensi dell'art. 7 della stessa legge regionale. 
    L'abrogazione (incostituzionale  per  quanto  si  e'  detto)  del
diritto all'iscrizione anagrafica  dei  richiedenti  asilo,  oltre  a
rappresentare  un  sostanziale  atto   discriminatorio,   impone   al
legislatore  regionale  la  modifica  della   vigente   legislazione,
determinando altresi' per gli enti locali e per la Regione,  ai  fini
delle  funzioni  di  programmazione  e  organizzazione  dei   servizi
socio-sanitari   integrati   di   livello   regionale;    l'oggettiva
impossibilita' di: 
        avere   contezza   del   numero   effettivo   delle   persone
regolarmente presenti sul territorio e quindi di poter programmare ed
organizzare i servizi  necessari.  L'art.  2,  comma  2  della  legge
regionale  n.  41  del  2005  stabilisce  che  la  programmazione   e
l'organizzazione del sistema integrato, in conformita' con i  livelli
essenziali delle prestazioni sociali definiti dallo Stato,  competono
alla Regione ed agli enti locali:  e'  evidente  che  il  primo  dato
indispensabile per svolgere tale funzione e' conoscere il numero  dei
possibili soggetti bisognosi di assistenza; 
        poter fondare l'accesso al sistema di welfare  su  un  titolo
previsto come necessario. 
    Inoltre, sempre ai fini delle funzioni  regionali  inerenti  alla
programmazione  e  all'organizzazione  dei   servizi   socio-sanitari
integrati,  l'impugnata  disposizione  normativa  ha   l'effetto   di
scorporare il sottoinsieme dei richiedenti asilo  dall'insieme  degli
stranieri  regolarmente   presenti   sul   territorio   quanto   alla
possibilita' di accedere al complesso dei servizi e degli  interventi
di cui all'art. 5, commi 1 e 2, della legge regionale n. 41 del 2005,
confinandoli nei soli limiti degli interventi di prima assistenza  di
cui al comma 4 dello stesso articolo, in contrasto con  il  carattere
di universalita'  del  sistema  integrato  di  interventi  e  servizi
sociali sancito all'art. 2, comma 1 della medesima legge regionale. 
    3.9)  Ne'  i  suddetti  profili  di  incostituzionalita'  possono
ritenersi superati dalla disposizione contenuta nello stesso art.  13
al comma 1, lettera b),  n.  1  il  quale,  sostituendo  il  comma  3
dell'art. 5 del decreto legislativo n.  142  del  2015,  dispone  che
l'accesso ai  servizi  previsti  dallo  stesso  decreto  e  a  quelli
comunque erogati sul territorio  ai  sensi  delle  norme  vigenti  e'
assicurato  nel  luogo  di  domicilio  comunicato  alla  questura   o
corrispondente all'indirizzo del Centro presso cui il richiedente  si
trova. 
    Cio' per molteplici motivi: 
        a) in primo luogo spetta alle regioni definire le  condizioni
di accesso al sistema di assistenza sociale; come gia' rilevato,  nel
territorio della Regione Toscana, in base alla legge regionale n.  41
del 2005, il sistema integrato di interventi e servizi  sociali,  per
offrire una assistenza piena, e' basato sulla residenza anagrafica  e
quindi  la  norma  impugnata  incide  evidentemente  su  tale   legge
imponendone una modifica,  con  lesione  indiretta  delle  competenze
regionali di cui all'art. 117, terzo e quarto comma Cost.; 
        b) l'art. 43 codice civile  configura  in  termini  giuridici
diversi la residenza e il domicilio:  solo  la  residenza  indica  il
luogo  in  cui  abitualmente  si   vive,   impone   l'obbligo   della
registrazione anagrafica (che permette  al  Comune  di  conoscere  le
persone presenti sul territorio), ha carattere di stabilita' e quindi
da' visibilita' alla persona. 
    Non vi e' equipollenza tra i due diversi istituti giuridici e  la
disposizione censurata e' del tutto generica, vaga e quindi  inidonea
a modificare le differenze civilistiche esistenti tra i due istituti. 
    La  disposizione  che  qui  si  contesta  non   fornisce   alcuna
indicazione su come in concreto possa essere assicurata la  piena  ed
effettiva equipollenza tra residenza e domicilio e pertanto essa  non
permette di superare i vizi denunciati; 
        c) in ogni caso l'eliminazione per i richiedenti asilo  della
residenza anagrafica e la sua  sostituzione  con  il  mero  domicilio
impone all'Amministrazione regionale e agli enti locali che erogano i
servizi    socio-sanitari    l'organizzazione    sulle    piattaforme
informatiche di due diverse procedure (anziche'  di  una  sola),  che
complicheranno la gestione e faranno crescere i costi (sia in termine
di modifica delle piattaforme oggi esistenti che dei  relativi  corsi
di aggiornamento per gli operatori e gestione  dei  relativi  tempi).
Oggi i sistemi per l'erogazione dei  servizi  sociali  dialogano  con
l'anagrafe  e  la  residenza  anagrafica:  dunque  -  pur  ammettendo
l'equipollenza tra residenza e domicilio per i fini in esame (il  che
si contesta per i motivi sopra richiamati)  -,  l'attuazione  pratica
della nuova previsione legislativa statale richiederebbe  una  totale
riorganizzazione  amministrativa,  basata   sulla   duplicazione   di
strumenti, inefficiente, costosa e inutile; 
        d) si osservi, inoltre, che la presenza dei richiedenti asilo
nell'anagrafe dei residenti rende senz'altro piu' agevole,  da  parte
delle amministrazioni regionali e locali eroganti,  il  controllo  di
veridicita'  delle  autocertificazioni   prodotte   (certificato   di
residenza), perche' la residenza e' caratterizzata dall'abitualita' e
permanenza,  mentre  il  criterio  del   domicilio   non   garantisce
altrettanta sicurezza. A tal fine deve ulteriormente notarsi come  la
residenza, mediante la iscrizione anagrafica, e' accertata una  volta
per tutte in modo ufficiale dal Comune, il che da' certezza a  tutti;
invece,  il  domicilio  e'  situazione  oggettivamente   piu'   vaga,
flessibile e incerta, che occorre di fatto provare volta  per  volta;
il che diviene operazione piu' difficile proprio per chi  sia  appena
arrivato  nel  paese  e  percio'  abbia   maggiori   difficolta'   di
comprensione linguistica. Tale differenziazione costituisce ulteriore
profilo di illegittimita' in quanto ingenera  inefficienze  contrarie
al principio di buon  andamento  delle  amministrazioni  regionali  e
locali sancito dall'art. 97 della Costituzione; 
        e) infine si consideri  che  la  variabilita'  del  domicilio
rende piu' difficile organizzare i controlli  sui  soggetti  presenti
sul territorio e, quindi, programmare  i  servizi  socio  -  sanitari
necessari. La facilita' di modificazione del domicilio favorisce  poi
anche la possibilita' di abusi non governabili (un richiedente  asilo
potrebbe mutare il proprio domicilio nelle varie realta' territoriali
per poter usufruire del maggior numero di servizi che ogni territorio
e' in grado di offrire). 
    E' evidente, pertanto, l'incidenza della  disposizione  impugnata
sulle competenze regionali garantite  dagli  articoli  117,  terzo  e
quarto comma e 118 Cost. Per i profili evidenziati sussiste anche  la
violazione dell'art. 97 Cost., che determina  anch'essa  una  lesione
indiretta delle richiamate attribuzioni costituzionali della Regione. 
4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 1, lettera  a)
del decreto-legge n. 113 del 2018,  come  convertito  in  legge,  per
violazione dell'art. 32 Cost. Lesione  indiretta  delle  attribuzioni
costituzionali della Regione in  materia  di  «tutela  della  salute»
riconosciute dall'art. 117, terzo comma Cost. 
    Il DASPO (acronimo di Divieto  di  Accedere  alle  manifestazioni
SPOrtive) urbano e' stato  introdotto  dagli  articoli  9  e  10  del
decreto-legge n. 14 del 2017, convertito in legge dalla legge  n.  48
del 2017: si tratta di una misura con cui il sindaco  puo'  applicare
una sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 300 euro a coloro che
impediscono l'accessibilita' e  la  fruizione  di  infrastrutture  di
trasporto (strade, ferrovie, aeroporti) in violazione dei divieti  di
stazionamento o di occupazione  di  spazi  ivi  previsti  e  disporre
l'allontanamento dal luogo in cui il fatto e' stato commesso. 
    I regolamenti comunali di  polizia  urbana  individuano  le  aree
urbane  su  cui  insistono   scuole,   plessi   scolastici   e   siti
universitari;  musei,   aree   e   parchi   archeologici,   complessi
monumentali o altri istituti e luoghi di  cultura  o  interessati  da
flussi  turistici  in  cui  si  applica  l'allontanamento   suddetto;
l'allontanamento e' disposto anche per chi in tali zone si  trovi  in
stato di ubriachezza, compia atti  contrari  alla  pubblica  decenza,
eserciti commercio abusivo su spazi pubblici e  compia  attivita'  di
parcheggiatore abusivo. 
    La disposizione qui contestata estende  la  possibilita',  per  i
regolamenti di polizia urbana,  di  introdurre  tale  allontanamento,
sempre per le stesse condotte  sopra  individuate,  anche  alle  aree
urbane in cui insistono presidi sanitari nonche' alle aree  destinate
allo svolgimento  di  fiere,  mercati,  pubblici  spettacoli,  ovvero
adibite a verde pubblico. 
    Ne deriva che oggi il Daspo  urbano  colpisce  sempre  le  stesse
condotte e cioe': 
        impedimento  dell'accessibilita'   e   della   fruizione   di
infrastrutture  di  trasporto  (  strade,  ferrovie,  aeroporti)   in
violazione dei divieti di stazionamento o di occupazione di spazi; 
        stato di ubriachezza, 
        compimento di atti contrari alla pubblica decenza, 
        esercizio di commercio abusivo su spazi pubblici, 
        attivita' di parcheggiatore abusivo. 
    Tali condotte, per essere colpite  con  l'allontanamento,  devono
essere compiute nelle  aree  previste  dai  regolamenti  comunali  di
polizia urbana su cui insistano: 
        presidi sanitari; 
        scuole e plessi scolastici e siti universitari; 
        musei, aree e parchi archeologici; 
        complessi monumentali o altri istituti e luoghi di cultura  o
interessati da flussi turistici; 
        aree destinate a  svolgimento  di  fiere,  mercati,  pubblici
spettacoli o adibite a verde pubblico. 
    Quindi  i  regolamenti  comunali  potranno   estendere   l'ambito
applicativo del DASPO  anche  alle  aree  in  cui  insistono  presidi
sanitari. 
    Tale previsione e' costituzionalmente illegittima per  violazione
dell'art. 32 Cost., in quanto alla persona sottoposta a DASPO  potra'
essere vietata la possibilita' di accedere al luogo in  relazione  al
quale il DASPO e' stato disposto. 
    Ne deriva che in caso di sopravvenuti problemi di salute  (magari
non conclamati da situazioni di assoluta urgenza  o  evidenza)  della
persona sottoposta a DASPO, si potranno ingenerare dubbi sul  diritto
della  stessa  ad  accedere  al  presidio  sanitario,   con   lesione
conseguente del diritto alla salute costituzionalmente tutelato (art.
32  Cost.)  e  conseguente  lesione  indiretta   delle   attribuzioni
regionali relative alla materia «tutela della salute» di cui all'art.
117, terzo comma Cost. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Si conclude affinche'  piaccia  all'ecc.ma  Corte  costituzionale
dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, primo  comma,
lettera b) ed ottavo comma, dell'art. 1,  primo  comma,  lettera  f),
dell'art. 13, primo comma, lettera a),  n.  2,  dell'art.  21,  primo
comma, lettera a) del decreto-legge n. 113 del 2018, come  convertito
in legge, per le ragioni e nei termini sopra esposti. 
    Si depositano: 
        1) nota del capo di Gabinetto del presidente del  28  gennaio
2019, con allegate le lettere inviate da comuni toscani al presidente
della Regione; 
        2) nota integrativa del capo di Gabinetto del presidente  con
allegate le lettere di ulteriori cinque comuni toscani. 
    Si deposita altresi' la deliberazione della giunta  regionale  n.
91 del 28 gennaio 2019 di autorizzazione a stare in giudizio. 
        Firenze - Roma, 31 gennaio 2019 
 
                        Prof. Avv. Cecchetti