N. 22 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 12 febbraio 2019

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 12 febbraio 2019 (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Caccia - Norme della Regione Lombardia -  Annotazione  sul  tesserino
  venatorio, in modo indelebile, del numero dei  capi  di  selvaggina
  migratoria dopo gli abbattimenti e l'avvenuto recupero -  Modalita'
  e  divieti  per  l'esercizio  venatorio  da  appostamento  fisso  e
  temporaneo. 
- Legge della Regione Lombardia 4 dicembre  2018,  n.  17  (Legge  di
  revisione normativa e di semplificazione 2018), art. 15,  comma  1,
  lettere j), m) e q). 
(GU n.14 del 3-4-2019 )
    Ricorso ex art. 127 Costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso  ex  lege  dall'Avvocatura  generale
dello   Stato   c.f.   80224030587,    fax    06/96514000    e    PEC
roma@mailcert.avvocaturastato.it  presso  i  cui   uffici   ex   lege
domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    nei confronti della Regione Lombardia in persona  del  presidente
della  giunta  regionale  pro  tempore  per   la   dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 1, lettere j),  m),
e q), della legge regionale 4 dicembre 2018, n. 17, recante «Legge di
revisione normativa e di semplificazione 2018», pubblicata nel BUR n.
49 del 6 dicembre 2018, giusta delibera del Consiglio dei ministri in
data 31 gennaio 2019. 
    Con la legge regionale n. 17 del 4 dicembre 2018, che  consta  di
trentuno articoli, la Regione Lombardia ha  emanato  le  disposizioni
per l'attuazione della revisione normativa e della semplificazione. 
    In particolare, con l'art. 15, comma 1, lettere j), l) e q)  sono
state introdotte modificazioni alla legge regionale 16  agosto  1993,
n. 26, recante «Norme per la protezione della fauna selvatica  e  per
la tutela  dell'equilibrio  ambientale  e  disciplina  dell'attivita'
venatoria». 
    E' avviso del Governo che, con le norme denunciate  in  epigrafe,
la Regione Lombardia  abbia  ecceduto  dalla  propria  competenza  in
violazione  della  normativa  costituzionale,  come  si  confida   di
dimostrare in appresso con l'illustrazione dei seguenti 
 
                               Motivi 
 
1. L'art. 15, comma 1, lettera j), della legge regionale  4  dicembre
2018, n. 17 citata viola l'art.  117,  comma  1,  lettera  s),  della
Costituzione in relazione all'art. 12, comma 12-bis, della  legge  11
febbraio 1992, n. 157. 
    L'art. 15, comma 1, lettera j), citato modifica il comma  settimo
dell'art. 22, «Esercizio dell'attivita' venatoria - Tesserino», della
legge regionale  16  agosto  1993,  n.  26,  recante  «Norme  per  la
protezione della fauna selvatica  e  per  la  tutela  dell'equilibrio
ambientale  e  disciplina  dell'attivita'  venatoria»  citata  e   lo
riformula come segue: 
        «7. I  capi  di  selvaggina  migratoria  vanno  annotati  sul
tesserino venatorio, in modo indelebile, sul posto  di  caccia,  dopo
gli abbattimenti e l'avvenuto recupero». 
    La norma regionale prevede che l'annotazione  dei  capi  cacciati
avvenga  solo  dopo   il   ritrovamento   dell'animale,   «l'avvenuto
recupero», incidendo con cio' sulla complessiva annotazione  sia  del
numero degli  animali  cacciabili,  sia  del  limite  giornaliero  di
prelievo delle specie,  perche'  subordina  il  rilievo  «statistico»
all'eventuale e successivo recupero della specie abbattuta. 
    La  disposizione  e'  in  contrasto  con  la  normativa   statale
interposta costituita dall'art.  12,  comma  12-bis  della  legge  11
febbraio 1992, n. 157, recante le  «Norme  per  la  protezione  della
fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio»,  in  tema  di
prelievo venatorio (introdotto dall'art. 31 della legge n.  122/2016,
in relazione al Caso EU Pilot 6955/14/ENVI), che, invece, recita: 
        «12-bis. La fauna selvatica stanziale e migratoria  abbattuta
deve essere annotata sul tesserino  venatorio  di  cui  al  comma  12
subito dopo l'abbattimento». 
    La norma statale costituisce,  quindi,  il  parametro  interposto
come espressione della  competenza  esclusiva  dello  Stato  a  porre
standard uniformi  di  tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema  non
derogabili in peius dalle regioni in  base  all'art.  117,  comma  2,
lettera s), della Costituzione. 
    La disciplina normativa in  materia  di  protezione  della  fauna
selvatica e di prelievo venatorio e', infatti,  dettata  dalla  legge
quadro n. 157 del 1992 citata, che  costituisce  ai  sensi  dell'art.
117, comma 2, lettera s), della Costituzione,  il  nucleo  minimo  di
salvaguardia della fauna selvatica e  il  cui  rispetto  deve  essere
assicurato sull'intero territorio nazionale  (sentenza  n.  233/2010;
sentenza n. 139/2017, punto 5. del Considerato in diritto). 
    Costituisce    principio    costantemente     affermato     dalla
giurisprudenza costituzionale che «spetta allo Stato,  nell'esercizio
della  potesta'  legislativa   esclusiva   in   materia   di   tutela
dell'ambiente e  dell'ecosistema,  prevista  dall'art.  117,  secondo
comma, lettera s), della Costituzione, stabilire  standard  minimi  e
uniformi di tutela della fauna, ponendo  regole  che  possono  essere
modificate  dalle  regioni   nell'esercizio   della   loro   potesta'
legislativa in materia  di  caccia,  esclusivamente  nella  direzione
dell'innalzamento del livello di tutela» (ex  plurimis,  sentenze  n.
174 del 2017; n. 303 del 2103; n. 278, n. 116 e n. 106 del 2012). 
    L'obbligo di annotazione, in  sintesi,  non  risulta  subordinato
dalla legge quadro al preliminare «recupero» dell'animale  abbattuto;
fatto questo successivo che  sarebbe  suscettibile  di  escludere  da
conteggi e registrazioni gli animali uccisi, ma,  eventualmente,  non
rintracciati e/o non recuperati per motivi collegati alla difficolta'
di  ricerca  nella  vegetazione,  o  in  aree  impervie,  paludose  e
lacustri, o per sopraggiunte condizioni di scarsa luminosita'. 
    La norma regionale impugnata nell'introdurre, quindi, l'ulteriore
requisito del preventivo «recupero» da parte  del  cacciatore,  prima
che  la  preda  abbattuta  venga  annotata  sul  tesserino  venatorio
regionale, porta ad eludere la finalita'  della  norma  nazionale  di
riferimento,  volta  ad  assicurare  la   massima   tempestivita'   e
accuratezza   della   registrazione   della   selvaggina   cacciabile
effettivamente oggetto di prelievo venatorio  in  concessione,  sulla
base di carnieri  massimi  (giornalieri  e  stagionali)  fissati  per
ciascun cacciatore dal «calendario venatorio regionale». 
    La citata legge quadro impone, invece, l'immediata  registrazione
sul  tesserino  venatorio  dell'abbattimento  dell'animale,  sia  per
finalita' statistiche, sia per monitorare  il  rispetto  delle  quote
massime di esemplari oggetto della caccia medesima su un  determinato
territorio. 
    Si ricorda che nel vigente  regime  di  caccia  programmata  (pur
sempre consentita laddove non si ponga in contrasto con l'esigenza di
conservazione della fauna selvatica dettata  dall'art.  1,  comma  2,
della legge n. 157 del 1992 citata),  le  violazioni  in  materia  di
annotazione   del   tesserino    venatorio    regionale    comportano
l'applicazione della sanzione  amministrativa  di  cui  all'art.  31,
comma 1, lettera i), della stessa legge n. 157/1992. 
    Va rilevato che la questione e' stata  oggetto  di  ordinanza  di
rimessione  alla  Corte  costituzionale  da   parte   del   Tribunale
amministrativo regionale Liguria (ordinanza n. 821/2018 pubblicata in
data 11 ottobre 2018). 
    Il Giudice remittente, infatti,  ha  sollevato  la  questione  di
costituzionalita' di una  analoga  norma  integrativa  della  Regione
Liguria (art. 38, comma 8, della legge  regionale  n.  29/1994),  che
subordina   l'obbligo   di   annotazione   dell'abbattimento,   unica
condizione richiesta dalla norma statale,  come  detto,  all'avvenuto
«accertamento» dell'abbattimento medesimo; affermando  il  Giudice  a
quo (pag. 7  dell'ordinanza)  che  «L'introduzione  dell'accertamento
dell'abbattimento  elude  pertanto  la  ratio  della  norma  statale,
diretta ad assicurare la massima tempestivita' ed  accuratezza  della
registrazione delle prede (ai  fini  del  rispetto  per  esempio  del
carniere  massimo  giornaliero  e  stagionale  fissati,  per  ciascun
cacciatore;  per  evitare  che  siano  abbattuti  animali   poi   non
registrati sul tesserino,  per  eludere  la  vigilanza,  ecc).»;  con
riferimento, quindi, all'art. 12-bis della legge n. 157/1992 citata e
in relazione al parametro costituzionale di cui all'art.  117,  comma
2, lettera s), della Costituzione. 
2. L'art. 15, comma 1, lettera m), della legge regionale  4  dicembre
2018, n. 17 citata viola l'art.  117,  comma  1,  lettera  s),  della
Costituzione in relazione agli articoli 5, comma 5, e  12,  comma  5,
della legge 11 febbraio 1992, n. 157. 
    L'art. 15, comma 1,  lettera  m),  citato  modifica  il  comma  9
dell'art. 25 della legge regionale n. 26/1993 citata  e  consente  ai
titolari ed utilizzatori degli appostamenti di caccia di  vagare  «in
attitudine di caccia» (e, quindi, armati), anche con uso di  cane  da
riporto, a 200 metri dagli appostamenti medesimi,  per  abbattere  la
fauna precedentemente ferita. 
    L'art. 28,  comma  9,  citato  dispone,  quindi,  che  «9.  Ferma
restando l'esclusivita' della forma di caccia  ai  sensi  e  per  gli
effetti del disposto di cui all'art. 35, e' consentito al titolare  e
alle persone dallo stesso autorizzate, entro un  raggio  di  duecento
metri  dal  capanno,  il  recupero  in  attitudine  di  caccia  della
selvaggina ferita anche con l'uso del cane da riporto o con l'uso  di
natante con motore fuoribordo con obbligo di arma scarica  e  riposta
nell'apposita custodia.». 
    La  norma  impugnata,  non   prevedendo   una   distinzione   tra
appostamenti fissi o temporanei, con o senza richiami vivi, viola  il
principio  dell'esclusivita'  dell'opzione  di  caccia,  fissato  dal
combinato disposto degli articoli 5, comma 5, «esercizio venatorio da
appostamento fisso e  richiami  vivi»,  e  12,  comma  5,  «esercizio
dell'attivita' venatoria» della normativa primaria statale costituita
dalla legge n. 157 del 1992, che, come gia' detto, funge da normativa
interposta. 
    Il cacciatore, con opzione in via  esclusiva  per  la  caccia  da
appostamento con richiami  vivi,  non  puo',  invero,  esercitare  la
caccia in forma vagante per la stagione venatoria in corso. 
    La violazione risulta, infatti, sanzionata dall'art. 31, comma 1,
lettera a), «sanzioni amministrative», della citata legge n. 157  del
1992,  che   comporta,   altresi',   l'ulteriore   provvedimento   di
sospensione della licenza di porto di fucile per un  anno,  ai  sensi
del successivo art. 32, comma 4, della legge n. 157/1992 citata. 
    La norma statale, in quanto volta «ad assicurare la sopravvivenza
e la riproduzione delle specie cacciabili» (sentenza 139/2017,  punto
5. del Considerato in diritto) puo' essere oggetto di integrazione da
parte  della  legge   regionale   «esclusivamente   nella   direzione
dell'innalzamento del livello di tutela» (sentenze n. 116  e  n.  278
del 2012; sentenza n. 139/2017, ibidem). 
    La norma impugnata, nel consentire, sia pure  limitatamente,  una
forma di caccia diversa da  quella  per  cui  si  e'  optato  in  via
generale contrasta con la norma interposta citata, poiche' riduce  il
livello di tutela in violazione dell'art. 117, comma 1,  lettera  s),
della Costituzione. 
3. L'art. 15, comma 1, lettera q), della legge regionale  4  dicembre
2018, n. 17 citata viola l'art.  117,  comma  1,  lettera  s),  della
Costituzione in relazione all'art. 21, comma  1,  lettera  f),  della
legge 11 febbraio 1992, n. 157. 
    L'art. 15, comma 1, lettera q), citato aggiunge il  comma  19-bis
all'art. 25 della legge regionale n. 26 del 1993 citata, che  dispone
che «Le distanze di cui al presente articolo devono essere verificate
seguendo il profilo morfologico del terreno.». 
    Premesso che l'art. 25 citato come novellato reca norme  relative
all'«esercizio  venatorio  da  appostamento  fisso   e   temporaneo»,
prevedendone modalita'  e  divieti,  la  misurazione  delle  distanze
attinenti agli appostamenti di  caccia,  in  particolare  per  quanto
attiene alle distanze di sicurezza da fabbricati o stabili adibiti ad
abitazioni o posto di lavoro, effettuata non  in  forma  lineare,  ma
seguendo il profilo morfologico del terreno,  riduce  inevitabilmente
gli spazi essenziali a tutela della pubblica incolumita'. 
    L'art. 21, comma 1, lettera e), «Divieti», della legge statale n.
157 del 1992 citata non prevede, come gia' precisato, tale  forma  di
misurazione delle distanze, che comporta una riduzione delle stesse e
una conseguente limitazione della finalita' di  tutela,  connessa  al
rispetto di distanze minime. 
    Tale modalita' di misurazione delle distanze, peraltro, non trova
riscontro nella normativa nazionale in materia di metrologia. 
    La giurisprudenza in materia  urbanistico-edilizia,  quanto  alle
distanze  tra  fabbricati,   e',   peraltro,   orientata   in   senso
diametralmente opposto. 
    La stessa disciplina venatoria statale, del resto, in caso di uso
delle armi da fuoco, prende in considerazione il concetto di  gittata
massima (art. 21, comma 1, lettera f), della legge n.  157  del  1992
citato), del tutto incompatibile con una misurazione che  includa  le
increspature dei terreni. 
    La norma regionale impugnata,  quindi,  consente  la  misurazione
delle distanze attinenti agli appostamenti di caccia, in  particolare
per quanto attiene alle distanze di sicurezza da fabbricati o stabili
adibiti ad abitazioni o posto di lavoro, non  in  forma  lineare,  ma
seguendo   il   profilo   morfologico    del    terreno,    riducendo
inevitabilmente  gli  spazi  essenziali  a  tutela   della   pubblica
incolumita' previsti dalla legge  quadro  n.  157/1992  citata  e  in
violazione dell'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione. 
    La competenza legislativa residuale  spettante  alle  regioni  in
materia di caccia deve essere esercitata  rispettando  i  livelli  di
tutela garantiti dalla legislazione statale e fissati dalla legge  n.
157/1992  citata  (sentenza  n.  174/2017  citata,  punto  8.3.   del
Considerato in diritto),  che  «stabilisce  un  livello  uniforme  di
tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» (sentenza n. 174/2017 citata,
punto 9.2. del Considerato in diritto). 
    In conclusione, poiche' le norme  statali  citate  sono  poste  a
tutela della fauna selvatica e, dunque, a  tutela  dell'ambiente,  il
contrasto con le medesime si traduce  senz'altro  in  una  violazione
dell'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione nelle  materie
di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema. 
    In sintesi, la disciplina sulla caccia ha per  oggetto  la  fauna
selvatica, che rappresenta «un bene ambientale di  notevole  rilievo,
la  cui  tutela  rientra  nella  materia  "tutela   dell'ambiente   e
dell'ecosistema",  affidata  alla  competenza  legislativa  esclusiva
dello Stato, che deve provvedervi assicurando un livello  di  tutela,
non "minimo", ma "adeguato e non riducibile"» (sentenza  n.  193  del
2010). 
    Da cio'  consegue  che  le  norme  statali  rappresentano  limiti
invalicabili per  l'attivita'  legislativa  della  Regione,  dettando
norme imperative che devono essere rispettate sull'intero  territorio
nazionale per primarie esigenze di tutela ambientale. 
    La   giurisprudenza   costituzionale   e',    invero,    costante
nell'affermare che la materia «tutela  dell'ambiente»  rientra  nella
competenza legislativa  esclusiva  dello  Stato,  appunto,  ai  sensi
dell'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione e  inerisce  a
un interesse pubblico di valore costituzionale primario e assoluto. 
    Si tratta di una «materia trasversale», titolo che  legittima  lo
Stato   ad   adottare   disposizioni   a   tutela   di   un    valore
costituzionalmente protetto, anche in  «campi  di  esperienza»  -  le
cosiddette «materie» in senso proprio -  attribuiti  alla  competenza
legislativa regionale. Ne  deriva  che  le  disposizioni  legislative
statali adottate in tale ambito fungono da limite alla disciplina che
le regioni, anche a statuto speciale, e le province autonome, dettano
nei settori di loro competenza, essendo a esse  consentito  soltanto,
eventualmente, incrementare i livelli della tutela ambientale, senza,
pero', compromettere il punto di equilibrio fra esigenze contrapposte
espressamente individuato dalla norma statale (ex multis, sentenza n.
197 del 2014, punto 3.2. del Considerato in diritto). 
    Pur  costituendo,  dunque,  la  caccia  materia   affidata   alla
competenza legislativa residuale della  Regione  ai  sensi  dell'art.
117, comma 4, della Costituzione, e', comunque, necessario,  in  base
all'art. 117,  comma  2,  lettera  s),  della  Costituzione,  che  la
legislazione regionale rispetti la normativa statale adottata in tema
di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, ove  essa  esprima  regole
minime uniformi (ex plurimis, sentenze n. 2  del  2015;  n.  278  del
2012; n. 151 del 2011 e n. 315 del 2010). 
    Quando tali regole sono contenute nella legge  n.  157  del  1992
citata, che in larga parte le racchiude, la  normativa  regionale  in
contrasto con le corrispondenti disposizioni statali invade la  sfera
di   competenza   legislativa   dello   Stato   ed    e',    percio',
costituzionalmente illegittima. 
    La legge n. 157/1992 citata (sentenza n. 174/2017, punto 6.1. del
Considerato in diritto) «stabilisce il punto di  equilibrio  tra  "il
primario  obiettivo   dell'adeguata   salvaguardia   del   patrimonio
faunistico nazionale e  l'interesse  ...all'esercizio  dell'attivita'
venatoria (sentenza n. 4 del 2000); conseguentemente,  i  livelli  di
tutela  da  questa  fissati  non  sono  derogabili  in  peius   dalla
legislazione nazionale (da ultimo,  sentenze  n.  139  e  n.  74  del
2017)». 
    Alla  luce  di  quanto  rappresentato  e  del  quadro   normativo
eurounitario e statale in cui si  colloca  la  tutela  oggetto  delle
disposizioni  impugnate,  si  eccepisce  il  contrasto  delle   norme
regionali indicate in epigrafe, per i motivi di ricorso  svolti,  con
l'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, poiche' tendenti
a ridurre in  peius  il  livello  di  tutela  della  fauna  selvatica
stabilito dalla legislazione nazionale, invadendo illegittimamente la
competenza legislativa esclusiva dello Stato  in  materia  di  tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Si conclude perche' dell'art. 15, comma 1, lettere  j),  m),  q),
della legge regionale 4 dicembre  2018,  n.  17,  recante  «Legge  di
revisione normativa e di semplificazione 2018», pubblicata nel BUR n.
49  del  6  dicembre  2018  indicata  in  epigrafe   sia   dichiarato
costituzionalmente illegittimo. 
    Si produce  l'estratto  della  deliberazione  del  Consiglio  dei
ministri del 31 gennaio 2019. 
        Roma, 4 febbraio 2019 
 
           Il vice Avvocato generale dello Stato: Palmieri 
 
 
                  p. l'Avvocato dello Stato: Morici