N. 71 ORDINANZA 20 febbraio - 29 marzo 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo  penale  -  Decreto  di  giudizio  immediato  -  Decreto  di
  citazione a  giudizio  -  Facolta'  dell'imputato  di  chiedere  la
  sospensione del procedimento con messa alla prova. 
- Codice di procedura penale, artt. 456 e 552, comma 1, lettera f). 
-   
(GU n.14 del 3-4-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 456 e 552,
comma 1, lettera f), del codice di  procedura  penale,  promossi  dal
Tribunale ordinario di Bergamo e dal Tribunale ordinario di Bari, con
ordinanze  del  21  dicembre  e   del   3   aprile   2017,   iscritte
rispettivamente ai  nn.  60  e  73  del  registro  ordinanze  2018  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica  nn.  16  e  20,
prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 20 febbraio 2019  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'. 
    Ritenuto che il Tribunale ordinario di Bergamo, con ordinanza del
21 dicembre 2017, pervenuta a questa Corte il 27 marzo 2018 (r. o. n.
60  del  2018),  ha  sollevato,  in  riferimento  all'art.  24  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  456
del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il
decreto di giudizio immediato debba contenere l'avviso della facolta'
dell'imputato di chiedere la sospensione del processo con messa  alla
prova, con la forma e i termini di cui all'art. 458 cod. proc. pen.; 
    che  il  giudice  rimettente  premette  di  essere   chiamato   a
pronunciarsi  sulla  colpevolezza  di  un  soggetto  «imputato,   tra
l'altro, del reato di cui  all'art.  5  decreto  legislativo  74/2000
[...], che prevede una pena massima non superiore a quattro anni, che
in astratto legittima l'ammissione alla sospensione del processo  con
messa alla prova», a seguito dell'emissione da parte del giudice  per
le indagini preliminari di un decreto  di  giudizio  immediato  privo
dell'avviso della facolta' dell'imputato di chiedere  la  sospensione
del procedimento con messa alla prova; 
    che,  su  istanza  formulata  dalla  difesa  dell'imputato  prima
dell'apertura  del  dibattimento,  il  giudice  a  quo  ha   ritenuto
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 456 cod. proc. pen. come sopra formulata; 
    che  la  rilevanza  della  questione  risiederebbe,  secondo   il
rimettente, nel  fatto  che  l'eventuale  accoglimento  della  stessa
determinerebbe la nullita' del decreto di giudizio immediato, con  la
conseguente restituzione  degli  atti  al  giudice  per  le  indagini
preliminari  per  l'emissione  di  un  nuovo  decreto   di   giudizio
immediato,  corredato  dell'avviso   relativo   alla   facolta'   per
l'imputato di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla
prova; 
    che, quanto alla non manifesta infondatezza della  questione,  il
rimettente osserva che l'istituto della sospensione del processo  con
messa alla prova  introdotto  dalla  legge  28  aprile  2014,  n.  67
(Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e  di
riforma  del  sistema  sanzionatorio.  Disposizioni  in  materia   di
sospensione del procedimento con messa alla  prova  e  nei  confronti
degli irreperibili), costituisca «a tutti gli effetti un  nuovo  rito
alternativo», anche alla luce di  quanto  statuito  da  questa  Corte
nella sentenza n. 240 del 2015; 
    che il rimettente osserva, altresi', che l'art.  456  cod.  proc.
pen. prescrive - a pena di nullita' -  che  il  decreto  di  giudizio
immediato contenga l'avviso per l'imputato di  potersi  avvalere  dei
riti alternativi del giudizio abbreviato  e  dell'applicazione  della
pena su richiesta delle parti, senza tuttavia  fare  menzione  alcuna
della facolta' di chiedere la sospensione con messa alla prova; 
    che, a parere del giudice a quo, l'obbligo di avvisare l'imputato
della facolta' di  chiedere  riti  alternativi  sarebbe  strettamente
connesso all'esercizio del diritto di difesa, tanto che, proprio  con
riguardo al nuovo istituto della  sospensione  del  procedimento  con
messa  alla  prova,  questa  Corte  ha  dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 460, comma 1, lettera e), cod.  proc.  pen.,
nella parte in cui non prevede che  il  decreto  penale  di  condanna
contenga l'avviso della facolta' dell'imputato di chiedere,  mediante
l'opposizione, la sospensione del procedimento con messa alla  prova,
proprio  in  quanto  l'omissione  dell'avviso  puo'  «determinare  un
pregiudizio irreparabile» al diritto di difesa di  cui  all'art.  24,
secondo comma,  Cost.,  essendo  «nel  procedimento  per  decreto  il
termine entro il quale chiedere la messa alla prova [...]  anticipato
rispetto al giudizio» (sentenza n. 201 del 2016); 
    che, ad avviso del rimettente,  le  medesime  ragioni  dovrebbero
condurre  alla   dichiarazione   di   illegittimita'   costituzionale
dell'art. 456  cod.  proc.  pen.,  dal  momento  che,  ai  sensi  del
combinato disposto degli artt. 464-bis, comma 2, e 458, comma 1, cod.
proc. pen., la richiesta di riti alternativi deve essere formulata, a
pena di decadenza, entro un termine anticipato rispetto al  giudizio,
e in particolare entro quindici giorni dalla  data  di  notificazione
del decreto di giudizio immediato; 
    che e' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, concludendo per  l'infondatezza  della  questione,  in  quanto
sarebbe possibile dare alla disposizione censurata un'interpretazione
costituzionalmente conforme, si' da imporre, a pena di nullita',  che
il  decreto  di   giudizio   immediato   debba   contenere   l'avviso
all'imputato  della  facolta'  di   chiedere   la   sospensione   del
procedimento con messa alla prova entro il termine e con le forme  di
cui all'art. 458 cod. proc. pen.; 
    che il Tribunale ordinario di Bari, con ordinanza  del  3  aprile
2017, pervenuta a questa Corte il 24 aprile 2018 (r.  o.  n.  73  del
2018), ha sollevato, in riferimento  agli  articoli  3,  24,  secondo
comma,  e  111  Cost.,  questioni  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 552, comma 1, lettera f), cod. proc. pen., nella  parte  in
cui non prevede l'avviso che, qualora  ne  ricorrano  i  presupposti,
l'imputato, fino alla dichiarazione di apertura del  dibattimento  di
primo  grado,  puo'  formulare  la  richiesta  di   sospensione   del
procedimento con messa alla prova, ai sensi  degli  artt.  168-bis  e
seguenti del codice penale e 464-bis e seguenti cod. proc. pen.; 
    che il rimettente espone di essere  chiamato  a  giudicare  sulla
responsabilita' penale di tre soggetti imputati del  delitto  di  cui
all'art. 648 cod. pen., rinviati a giudizio con decreto di  citazione
diretta,  nel  quale  non  era  contenuto  alcun  avviso   circa   la
possibilita' di chiedere la sospensione del  procedimento  con  messa
alla prova; 
    che,  a  parere  del  rimettente,  l'avviso  all'imputato   della
facolta' di chiedere  riti  alternativi  costituirebbe  una  garanzia
essenziale per il godimento del diritto di  difesa,  come  comprovato
dalla sanzione della nullita', ex  art.  178,  comma  1,  lettera  e)
(recte: lettera c), cod. proc. pen., in caso di omesso avviso  quando
e' stabilito un  termine  di  decadenza  per  la  richiesta  di  riti
alternativi (sono richiamate le sentenze n. 237 del 2012, n. 219 e n.
148 del 2004, n. 101 del 1997, n. 70 del 1996, n. 497 del 1995, n. 76
del 1993, nonche' l'ordinanza n. 309 del 2005); 
    che l'istituto della messa alla prova avrebbe carattere  di  rito
alternativo al giudizio ordinario; 
    che la Corte di cassazione ha, invero, recentemente  escluso  che
ricorra un caso di nullita' derivante dal mancato avviso, nel decreto
di citazione diretta  a  giudizio,  della  facolta'  di  chiedere  la
sospensione del processo con messa alla  prova,  tale  omissione  non
comportando ad avviso della stessa Corte un  effetto  pregiudizievole
per l'imputato, in quanto l'applicazione del  beneficio  puo'  essere
richiesta alla prima udienza (Corte di  cassazione,  sezione  seconda
penale, sentenza 23 dicembre 2016, n. 2379 [recte: 3864]); 
    che tuttavia, secondo il giudice a quo, una tale possibilita'  da
un lato non garantisce che l'imputato sia realmente consapevole della
facolta' in parola, in  ragione  della  frequente  assenza  di  previ
contatti tra costui e il difensore, specie se d'ufficio, e dall'altro
non assicura che l'imputato abbia il tempo  necessario  per  prendere
contatto con l'Ufficio esecuzione penale esterna e per predisporre il
programma da sottoporre all'approvazione del giudice; 
    che tale  situazione  integrerebbe  una  violazione  dell'art.  3
Cost., equiparando «soggetti che non possono accedere all'istituto in
parola, per cui e' del tutto indifferente l'avviso, ai  soggetti  che
invece possono  accedervi  e  che  potrebbero  vedersi  limitati  nel
diritto di difesa a seguito dell'omissione»; 
    che pregiudicati sarebbero, altresi', il diritto di difesa di cui
all'art. 24, secondo comma, e 111 Cost., la disciplina  oggi  vigente
non  consentendo  all'imputato  di  determinarsi  tempestivamente  su
«quale  sia  la  migliore   difesa   perseguibile   con   la   scelta
dell'istituto piu' appropriato»; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni vengano dichiarate inammissibili  o
comunque infondate; 
    che,   a   parere   dell'Avvocatura   generale    dello    Stato,
l'inammissibilita'   delle    questioni    discenderebbe    anzitutto
dall'assenza nell'ordinanza di rimessione  di  qualsiasi  descrizione
dei fatti oggetto di giudizio, non essendo neppure stati riportati  i
capi di imputazione e non  avendo  il  rimettente  indicato  la  fase
processuale in cui sono state sollevate le questioni, con conseguente
impossibilita' di valutarne la rilevanza nel giudizio a quo; 
    che il giudice remittente avrebbe potuto, peraltro,  superare  il
dubbio  di  costituzionalita'  attraverso  un'interpretazione   della
normativa nel senso di ritenere necessaria la restituzione degli atti
al pubblico ministero,  tenuto  conto  anche  della  circostanza  che
nell'avviso  di  conclusioni  delle  indagini  preliminari,  ex  art.
415-bis cod. proc. pen., il pubblico ministero  nel  giudizio  a  quo
aveva effettivamente formulato tale avviso. 
    Considerato che il Tribunale ordinario di Bergamo, con  ordinanza
del 21 dicembre 2017, pervenuta a questa Corte il 27 marzo  2018  (r.
o. n. 60 del 2018), ha sollevato, in riferimento  all'art.  24  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  456
del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il
decreto di giudizio immediato debba contenere l'avviso della facolta'
dell'imputato di chiedere la sospensione del processo con messa  alla
prova, con la forma e i termini di cui all'art. 458 cod. proc. pen.; 
    che il Tribunale ordinario di Bari, con ordinanza  del  3  aprile
2017, pervenuta a questa Corte il 24 aprile 2018 (r.  o.  n.  73  del
2018), ha sollevato, in riferimento  agli  articoli  3,  24,  secondo
comma,  e  111  Cost.,  questioni  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 552, comma 1, lettera f), cod. proc. pen., nella  parte  in
cui non prevede l'avviso che, qualora  ne  ricorrano  i  presupposti,
l'imputato, fino alla dichiarazione di apertura del  dibattimento  di
primo  grado,  puo'  formulare  la  richiesta  di   sospensione   del
procedimento con messa alla prova, ai sensi  degli  artt.  168-bis  e
seguenti del codice penale e 464-bis e seguenti cod. proc. pen.; 
    che le questioni sollevate dal Tribunale ordinario di  Bergamo  e
dal  Tribunale  ordinario  di  Bari,  pur  vertendo  su  disposizioni
diverse,     lamentano     entrambe     la     mancata     previsione
dell'obbligatorieta'  dell'avviso  della  facolta'  dell'imputato  di
chiedere la  sospensione  del  procedimento  con  messa  alla  prova,
rispettivamente nel decreto di giudizio immediato e  nel  decreto  di
citazione diretta a giudizio, di talche' meritano di essere esaminate
congiuntamente e decise con unica pronuncia; 
    che l'ordinanza del Tribunale ordinario di Bergamo  non  contiene
alcuna descrizione dei fatti oggetto del giudizio a quo,  limitandosi
a  indicare  la  disposizione  che  prevede   il   reato   contestato
all'imputato,  senza  neppure   riportare   il   relativo   capo   di
imputazione; 
    che  gia'  sotto  questo  aspetto,  come  correttamente  eccepito
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  la  questione  deve  essere
ritenuta manifestamente inammissibile per  omessa  descrizione  della
fattispecie concreta  e  conseguente  difetto  di  motivazione  sulla
rilevanza (ex multis, ordinanze n. 85 e n. 7 del 2018, n. 210 e n. 46
del 2017); 
    che, inoltre, tra  i  reati  contestati  vi  e'  quello  previsto
dall'art. 10 del decreto legislativo 10  marzo  2000,  n.  74  (Nuova
disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e  sul  valore
aggiunto, a norma dell'articolo 9 della  legge  25  giugno  1999,  n.
205), punito con la reclusione fino  a  sei  anni,  dunque  oltre  il
limite edittale entro cui e' ammessa, ai sensi dell'art. 168-bis  del
codice penale, la messa alla prova; 
    che, come gia' rammentato da questa Corte  nell'ordinanza  n.  85
del 2018,  la  Corte  di  cassazione  ha  escluso  che,  in  tema  di
sospensione  con  messa  alla  prova,  la  sospensione  possa  essere
disposta, previa separazione dei processi, soltanto  per  alcuni  dei
reati contestati per i quali sia possibile l'accesso al beneficio, in
quanto la messa alla prova tende  alla  eliminazione  completa  delle
tendenze antisociali del reo e sarebbe incompatibile con le finalita'
dell'istituto una rieducazione parziale (Corte di cassazione, sezione
seconda penale, sentenza 12 marzo 2015, n. 14112); 
    che  da  cio'  discende   un'ulteriore   ragione   di   manifesta
inammissibilita' della questione prospettata dal Tribunale  ordinario
di Bergamo, non potendo in ogni caso l'imputato  del  procedimento  a
quo beneficiare della sospensione del processo con messa alla prova; 
    che anche le questioni sollevate dal Tribunale ordinario di  Bari
sono  manifestamente  inammissibili,  come   correttamente   eccepito
dall'Avvocatura generale dello Stato; 
    che, infatti, anche in questo caso l'ordinanza di rimessione  non
contiene alcuna descrizione dei fatti oggetto  del  giudizio  a  quo,
limitandosi  a  indicare  la  disposizione  che  prevede   il   reato
contestato agli imputati, senza neppure riportare il relativo capo di
imputazione; 
    che, inoltre, l'ordinanza di rimessione  non  ha  specificato  se
nell'udienza in cui sono state sollevate le questioni di legittimita'
costituzionale   fosse   gia'   stata   dichiarata   l'apertura   del
dibattimento e se gli imputati avessero manifestato  la  volonta'  di
richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova; 
    che, come gia' rilevato da questa Corte nell'ordinanza n.  7  del
2018, ai sensi dell'art. 182, comma 1, cod. proc. pen.,  la  nullita'
del decreto di citazione a giudizio non puo' essere eccepita  da  chi
non ha interesse all'osservanza della disposizione violata; 
    che il rimettente avrebbe dunque dovuto  precisare  se  si  fosse
gia' verificata l'apertura del dibattimento, il che avrebbe  precluso
agli  imputati  la  possibilita'  di  chiedere  la  sospensione   del
procedimento con messa alla prova; 
    che solo l'imputato  nei  cui  confronti  si  sia  verificata  la
preclusione conseguente all'apertura del dibattimento,  e  che  abbia
l'intenzione di chiedere la sospensione del  procedimento  con  messa
alla prova, puo' aver interesse alla  declaratoria  di  nullita'  del
decreto di citazione  a  giudizio  che  non  contenga  l'avvertimento
relativo a tale facolta'; 
    che l'insufficiente descrizione della fattispecie processuale,  e
in particolare dello stato in cui si trovava il  giudizio,  impedisce
il necessario controllo in punto di rilevanza e  rende  le  questioni
manifestamente inammissibili (ex multis, ordinanze n. 7 del 2018,  n.
210 del 2017 e n. 237 del 2016). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    1) dichiara la  manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 456  del  codice  di  procedura
penale, sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal
Tribunale ordinario di Bergamo con l'ordinanza indicata in epigrafe; 
    2) dichiara la  manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 552, comma 1, lettera f),  cod.
proc. pen., sollevate, in  riferimento  agli  artt.  3,  24,  secondo
comma, e 111 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Bari  con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 29 marzo 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA