N. 53 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 novembre 2018

Ordinanza  del  27  novembre  2018  del  Tribunale  di   Modena   nel
procedimento civile promosso da  Braglia  Christian  contro  Abrokwah
Seth Owusu e Alhasan Mohammed Maahey. 
 
Locazioni di immobili urbani - Procedimento per convalida di  sfratto
  - Termine per il pagamento dei canoni  scaduti  -  Sanatoria  della
  morosita' in sede giudiziale -  Esclusione  della  risoluzione  del
  contratto - Inadempimento residuo. 
- Legge 27  luglio  1978,  n.  392  (Disciplina  delle  locazioni  di
  immobili urbani), art. 55. 
(GU n.16 del 17-4-2019 )
 
                   TRIBUNALE ORDINARIO DI MODENA  
 
    Il giudice sciolta la riserva assunta all'udienza del 6  novembre
2018, ha pronunciato la seguente ordinanza; 
    Con l'atto introduttivo del presente giudizio  per  convalida  di
sfratto, Christian Braglia ha allegato: 
        1) contratto di locazione ad uso abitativo del 6 giugno 2014,
registrato il 10 giugno 2014, stipulato con  Abrokwah  Seth  Owusu  e
Alhasan Mohammed Maahey; 
        2) l'inadempimento dei conduttori in relazione a: 2.1) canoni
dovuti per le mensilita' da novembre 2017  a  febbraio  2018  per  un
totale di euro 2.000,00; 2.2) canoni precedenti  per  un  residuo  di
euro 282,50; 2.3) mancato pagamento di oneri  condominiali  per  euro
1.236,00. 
    All'udienza del 19 giugno 2018, comparso Abrokwah  Seth  Owusu  e
accertata la regolare notifica  nei  confronti  di  Alhasan  Mohammed
Maahey, e' stato concesso ai conduttori il termine ex art.  55  legge
n. 392/1978 per il pagamento di euro  2.000,00  per  canoni  scaduti,
previa  imputazione  dei  pagamenti  avvenuti  medio   tempore   alle
mensilita' piu' vecchie, piu' canoni  da  scadere,  euro  756,17  per
oneri condominiali, euro 1.374,80 a titolo di spese legali. 
    All'udienza del 23 ottobre  2018  l'intimante  ha  dichiarato  la
persistenza della  morosita'  per  euro  2.500,00  per  canoni  e  ha
insistito per la convalida dello sfratto. 
    Abrokwah Seth Owusu  e'  comparso  e  ha  prodotto  contabili  di
pagamento dei canoni per tutti i mesi  da  novembre  2017  a  ottobre
2018, ad eccezione di marzo 2018. 
    All'udienza del 6 novembre 2018, l'intimante ha insistito per  la
convalida in quanto la  morosita'  persisteva  per  euro  500,00  per
canone di marzo 2018, euro 282,50  a  titolo  di  residuo  su  canoni
locatizi anteriori alla mensilita' di novembre  2017,  euro  40,50  a
titolo di residuo sui  canoni  successivi  in  quanto  il  conduttore
avrebbe arbitrariamente trattenuto le spese e commissioni di bonifico
versando al proprietario euro 495,50  invece  di  euro  500,00,  euro
1.374,80 a titolo di spese legali. 
    Abrokwah Seth Owusu  e'  comparso  e  ha  prodotto  contabile  di
pagamento per il mese di marzo 2018. 
    L'intimante ha comunque insistito per la convalida dello sfratto. 
    Parte intimata non ha rispettato il termine ex art. 55  legge  n.
392/1978, sia dal punto di vista temporale, sia dal  punto  di  vista
dell'entita' complessiva della somma da saldare. 
    Parte intimante,  al  6  novembre  2018,  si  duole  del  mancato
pagamento di canoni per euro 322,50 e della mancata  refusione  delle
spese legali per euro 1.374,80. 
    La norma che il Tribunale e' chiamato ad applicare e'  l'art.  55
legge n. 392/1978, ove si prevede: 
        La morosita' del conduttore nel pagamento dei canoni o  degli
oneri di cui all'art. 5 puo' essere sanata in sede giudiziale per non
piu' di tre volte nel corso di un quadriennio se il  conduttore  alla
prima udienza versa l'importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per
gli oneri accessori maturati  sino  a  tale  data,  maggiorato  degli
interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal
giudice. 
    Ove il pagamento non avvenga in udienza, il  giudice,  dinanzi  a
comprovate, condizioni di difficolta' del conduttore, puo'  assegnare
un termine non superiore a giorni novanta. 
    In tal caso rinvia l'udienza  a  non  oltre  dieci  giorni  dalla
scadenza del termine assegnato. 
    La morosita' puo' essere sanata, per non piu'  di  quattro  volte
complessivamente nel corso di un quadriennio, ed il termine di cui al
secondo comma e' di centoventi giorni, se l'inadempienza, protrattasi
per non oltre due  mesi,  e'  conseguente  alle  precarie  condizioni
economiche del conduttore, insorte dopo la stipulazione del contratto
e  dipendenti  da  disoccupazione,  malattie  o   gravi,   comprovate
condizioni di difficolta'. 
    Il pagamento, nei termini di cui ai commi precedenti, esclude  la
risoluzione del contratto. 
    La giurisprudenza di legittimita' e'  costante  nell'interpretare
la norma nel senso per cui «il comportamento del  conduttore  sanante
la morosita' deve consistere nell'estinzione di tutto  quanto  dovuto
per canoni, oneri accessori, interessi e spese fino alla scadenza del
termine di grazia, senza che l'inadempimento residuo sia suscettibile
di nuova verifica sotto il profilo della gravita'. Il giudice non  ha
infatti il potere di valutare se il  superamento,  ancorche'  esiguo,
del suddetto termine di grazia concesso al conduttore per  sanare  la
morosita' costituisca inadempimento grave, ne' se il ritardo  dipenda
dal debitore o da un terzo di cui egli si sia avvalso  per  adempiere
[...] perche' il giudice ha soltanto la possibilita'  di  fissare  il
termine entro il limite minimo e massimo stabilito  dal  legislatore»
(tra le tante, Cassazione, sentenza n. 5540/2012). 
    Tale interpretazione e' confortata  dal  tenore  letterale  della
norma, in particolare nell'inciso  secondo  cui  la  risoluzione  del
contratto e' esclusa solo in  caso  di  «pagamento»,  parola  il  cui
significato allude in maniera univoca  all'atto  solutorio,  volto  a
estinguere il debito in base al valore nominale espresso nell'atto di
intimazione. 
    Sgombra ogni dubbio la precisazione successiva  «nei  termini  di
cui ai commi precedenti»: solo la prova di  aver  versato  «l'importo
dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori  maturati
sino a tale data, maggiorato degli interessi  legali  e  delle  spese
processuali liquidate in tale  sede  dal  giudice  [...]  esclude  la
risoluzione del contratto». 
    Il Tribunale e' consapevole che: 
        1) l'art. 663 comma III codice di procedura civile  subordina
la convalida,  quando  lo  sfratto  e'  stato  intimato  per  mancato
pagamento del canone, all'attestazione in giudizio del locatore o del
suo procuratore che la morosita' persiste; 
        2)  l'art.  5  legge  n.  392/1978  indica  quale  motivo  di
risoluzione del contratto di locazione ad uso  abitativo  il  mancato
pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza; 
        3) l'art. 55  della  medesima  legge  costituisce  una  norma
eccezionale che neutralizza le conseguenze del principio per cui, una
volta che il creditore abbia chiesto la risoluzione del contratto, il
debitore  inadempiente  «non   puo'   piu'   adempiere   la   propria
obbligazione» (art. 1453 comma III codice civile). 
    La rigidita' del  meccanismo  introdotto  dalla  concessione  del
termine  ex  art.  55,  ben   descritto   dalla   giurisprudenza   di
legittimita', pare costituire  una  sorta  di  compensazione  per  il
sacrificio,   normalmente   non   contemplato,   dell'interesse   del
creditore, che abbia  chiesto  la  risoluzione,  al  venir  meno  del
rapporto contrattuale. 
    Non puo'  sottacersi,  pero',  che  il  gia'  menzionato  art.  5
introduce una qualificazione legale  della  «non  scarsa  importanza»
dell'adempimento, precludendo la  valutazione  ex  art.  1455  codice
civile del giudice in senso obiettivamente favorevole al locatore, se
si considera che e'  sufficiente  il  ritardo  di  venti  giorni  nel
pagamento di un solo canone. 
    Questa definizione dell'equilibrio tra gli interessi contrapposti
si prolunga inalterata dal 1978 al giorno d'oggi. Nei  quaranta  anni
di  vigenza  delle  due  norme  menzionate  il  contesto  sociale  ed
economico ha subito mutamenti che difficilmente  il  legislatore  del
1978 avrebbe potuto immaginare. La crisi del settore produttivo  e  i
tentativi di porre rimedio  a  questa  crisi  hanno  determinato  una
maggiore instabilita' dei rapporti di lavoro,  la  cui  remunerazione
appare, per chi non sia titolare di altre fonti di  reddito,  l'unica
via per ottenere la provvista per pagare i  canoni  di  locazione.  I
fenomeni migratori hanno ampliato le categorie di  persone  bisognose
di alloggio e, al tempo stesso, esposte alla difficolta'  di  trovare
le risorse economiche per adempiere alle proprie obbligazioni. 
    Sotto questo profilo,  l'impermeabilita'  letterale  e  semantica
dell'art. 55 legge citata confligge  con  la  riflessione  giuridica,
ormai giunta a compimento, in ordine alla clausola di buona  fede  in
senso  obiettivo  quale   fonte   di   obblighi   di   considerazione
dell'interesse  della  controparte,  nei   limiti   dell'apprezzabile
sacrificio, in ogni  fase,  anche  quella  patologica,  del  rapporto
obbligatorio. 
    Sul  punto,  anche  per  l'autorevolezza  dell'estensore,   basti
menzionare, in termini generali, la  pronuncia  n.  21255/2013  della
Corte  di  cassazione,  in  cui  si  chiarisce   che   «il   rapporto
obbligatorio precede e segue l'integrazione della vicenda negoziale -
intesa nella sua duplice dimensione di fatto storico e di fattispecie
programmatica - ed e' integrato nella  sua  piu'  intima  essenza  da
doveri di comportamento che [...]  appaiono  piuttosto  funzionali  a
governare secondo buona fede i  differenti  aspetti  della  complessa
vicenda interpersonale dipanatasi tra le parti, cosi' operando  nella
(diversa e piu' ampia) logica  del  rapporto  e  della  (complessita'
della) fattispecie». 
    Questi doveri di comportamento condizionano, piu' in particolare,
anche l'esercizio dei diritti potestativi, dal momento che «anche  in
presenza di clausola risolutiva espressa, i contraenti sono tenuti  a
rispettare il principio generale della buona fede ed  il  divieto  di
abuso del diritto, preservando l'uno  gli  interessi  dell'altro.  Il
potere  di  risolvere  di  diritto  il  contratto  avvalendosi  della
clausola risolutiva  espressa,  in  particolare,  e'  necessariamente
governato dal principio di buona fede,  da  tempo  individuato  dagli
interpreti sulla base del dettato normativo (art. 1175,  1375,  1356,
1366, 1371, codice civile,  ecc.)  come  direttiva  fondamentale  per
valutare l'agire dei privati e come concretizzazione delle regole  di
azione per i contraenti in ogni fase del  rapporto  (precontrattuale,
di conclusione e di esecuzione del contratto). Il principio di  buona
fede si pone allora, nell'ambito  della  fattispecie  dell'art.  1456
codice  civile,  come  canone  di  valutazione   sia   dell'esistenza
dell'inadempimento,  sia  del  conseguente  legittimo  esercizio  del
potere unilaterale di risolvere il contratto,  al  fine  di  evitarne
l'abuso ed impedendone l'esercizio ove contrario ad essa (ad  esempio
escludendo i comportamenti  puramente  pretestuosi,  che  quindi  non
riceveranno  tutela  dall'ordinamento)»  (Cassazione,   sentenza   n.
23868/2015). 
    Gia' da tempo, la S.C. aveva peraltro affermato che «il principio
di  buona  fede  (intesa,  questa,  nel  senso  sopra  chiarito  come
requisito  della  condotta)  costituisce  ad  un  tempo  criterio  di
valutazione  e  limite  anche  del  comportamento  discrezionale  del
contraente dalla cui volonta' dipende (in parte) l'avveramento  della
condizione», in quanto e' «proprio l'elemento potestativo  quello  in
relazione al quale il dovere di comportarsi  secondo  buona  fede  ha
piu' ragion d'essere, perche' e' con riguardo a quell'elemento che la
discrezionalita' contrattualmente attribuita alla parte  deve  essere
esercitata nel quadro del principio cardine di correttezza»  (SS.UU.,
sentenza n. 18450/2005). 
    Dal punto di vista processuale, la Corte di cassazione, a partire
da SS.UU. n. 23726/2007, e' costante nell'affermare due principi: 
        «a) la regola di correttezza  e  buona  fede,  che  specifica
all'interno del rapporto obbligatorio la necessita' di soddisfare gli
"inderogabili  doveri  di  solidarieta'",  il  cui   adempimento   e'
richiesto dall'art. 2 Costituzione, regola che viene  violata  quando
il creditore aggravi ingiustificatamente la posizione  del  debitore;
b) la garanzia del processo giusto e di durata ragionevole di cui  al
novellato art. 111 Costituzione, la quale esclude, innanzi tutto, che
possa  ritenersi  "giusto"  il  processo  che  costituisca  esercizio
dell'azione in forme eccedenti,  o  devianti,  rispetto  alla  tutela
dell'interesse sostanziale, che segna il limite, oltreche' la ragione
dell'attribuzione,  al   suo   titolare,   della   potestas   agendi»
(Cassazione, sentenza n. 4228/2015, ove pure si scrive che l'art.  24
Costituzione «tutelando il diritto di azione non  esclude  certamente
che  la  legge  possa  richiedere,   nelle   controversie   meramente
patrimoniali, che per giustificare l'accesso  al  giudice  il  valore
economico  della  pretesa  debba  superare  una  soglia   minima   di
rilevanza, innanzi tutto economica e, quindi, anche giuridica»). 
    Se e' vero che (solo) il pagamento nei termini indicati dall'art.
55 comma II legge citata esclude la risoluzione, cio' significa  che,
in sede di udienza successiva alla concessione  dei  termine  cd  «di
grazia», il giudice non potra' valutare se e in che misura: 
        1) per il peculiare  atteggiarsi  del  caso  concreto,  anche
nella fase patologica del rapporto, sussista un dovere  del  locatore
di   considerare    l'interesse    del    conduttore    nei    limiti
dell'apprezzabile sacrificio del proprio; 
        2) l'inadempimento del conduttore, per come allegato in  atto
di intimazione e per  come  risultante  all'udienza  successiva  alla
concessione del termine ex art.  55  comma  II  legge  citata,  abbia
inciso e incida nella sfera giuridica del locatore; 
        3) il pagamento del  conduttore,  in  ipotesi  incompleto,  a
seguito  della  concessione  del  termine,  abbia  eroso  il   debito
complessivo; 
        4) l'esistenza di pregresse  morosita',  in  ipotesi  sanate,
anche tramite il necessario ricorso del locatore all'assistenza di un
legale, abbia contraddistinto la vita del rapporto; 
        5) conclusivamente, la  richiesta  di  convalida  di  sfratto
integri una modalita' di esercizio del diritto di azione eccedente  o
deviante rispetto alla tutela dell'interesse sostanziale, o,  peggio,
in assenza di qualsiasi interesse sostanziale da tutelare. 
    Se i doveri sostanziali di comportamento  e  la  cd  «buona  fede
processuale», delineati  dalla  giurisprudenza  di  legittimita',  si
fondano sul principio di  solidarieta'  espresso  dall'art.  2  della
Costituzione, non vi e' ragione di ritenere che l'eccezionalita'  del
cd «subprocedimento  di  sanatoria»  di  cui  all'art.  55  legge  n.
392/1978 lo renda immune dal vaglio di compatibilita'  con  questo  e
altri valori espressi dalla Carta costituzionale. 
    I nodi critici sono due, entrambi presenti nella fattispecie  per
cui e' causa. 
        1) il conduttore non paga le spese processuali; 
        2) il conduttore paga quasi del tutto  la  somma  dovuta  per
canoni (oppure oneri accessori). 
    Per quanto riguarda il primo aspetto, il  Tribunale  ritiene  che
sia astrattamente  configurabile  un  dovere  «di  solidarieta'»  del
locatore di considerare l'interesse del conduttore alla  prosecuzione
del rapporto contrattuale ove il debito per  canoni/oneri  sia  stato
colmato a seguito della concessione del termine ex art. 55  comma  II
legge  citata,  ma  residui  il  pagamento  delle  spese  legali.   I
presupposti  di  questo  dovere  sono  evidenti:  la  condizioni   di
difficolta' economica del conduttore; la  natura  del  suo  interesse
abitativo, il cui  fondamento  costituzionale  non  puo'  passare  in
secondo piano. 
    Per altro verso, anche ammettendo che la mancata rifusione  delle
spese processuali integri un  sacrificio  apprezzabile  (infatti,  se
dovessero rimanere a  carico  del  locatore,  i  costi  del  processo
«giusto», cioe' sorretto dall'esistenza di un  interesse  sostanziale
da tutelare, rimarrebbero a carico della parte  che  aveva  ragione),
tale sacrificio  non  e'  mai  attuale  all'udienza  successiva  alla
concessione del termine ex art. 55 comma II legge citata, perche'  le
spese ben potrebbero essere rifuse una volta definitasi la  procedura
(come accade, per esempio, in caso di pagamento della somma  ingiunta
in corso di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in  cui  le
spese di lite, a fronte  di  una  pronuncia  di  revoca  del  decreto
ingiuntivo, di regola sono poste a  carico  dell'opponente,  nei  cui
confronti potranno essere recuperate in seguito). 
    Si tratta, a ben vedere, dell'unica ipotesi in cui  l'obbligo  di
pagare le spese processuali per  la  parte  virtualmente  soccombente
sorge prima delle definizione del  processo,  dal  momento  che,  per
l'inosservanza  di  tale  obbligo,  e'  prevista  una  sanzione,  che
consiste, con un notevole salto logico, nella reale soccombenza. 
    Del resto, la norma non consente, in caso  di  mancato  pagamento
delle spese processuali a seguito della concessione  del  termine  ex
art. 55 comma II legge citata, ne' di «escludere la risoluzione», con
condanna dell'intimante al loro pagamento, ne' di mutare il rito  per
verificare in che misura il mancato pagamento, se protrattosi,  abbia
inciso sull'economia complessiva del rapporto. 
    L'apprezzabile sforzo di evitare una pronuncia  che  obblighi  il
conduttore al rilascio dell'immobile per il mancato pagamento di  una
somma (a tutto voler  concedere)  solo  indirettamente  collegata  al
rapporto di  locazione  e'  stato  di  recente  tradotto  in  termini
operativi dal protocollo del Tribunale di Bologna per il procedimenti
per convalida di sfratto (aggiornamento 2017, punto 14), ove e' stato
previsto che, se il conduttore intimato, in  prima  udienza,  paga  o
dimostra di aver pagato, dopo  la  notifica  dell'atto  introduttivo,
l'intero debito per canoni/oneri, ma non le  spese,  il  giudice,  se
richiesto,  «dichiarera'  cessata  la  materia   del   contendere   e
condannera' l'intimato  al  pagamento  delle  spese  processuali  con
ordinanza avente valore di sentenza». 
    Ad avviso del Tribunale, una pronuncia che obblighi  al  rilascio
diventa tanto  piu'  aspra  ove  il  conduttore,  nonostante  le  sue
condizioni  di  difficolta'  economica,  abbia  recuperato  le  somme
(spesso ingenti, tenuto conto della situazione reddituale) per pagare
i canoni dopo la concessione del termine ex art. 55  comma  II  legge
citata,   ripristinando,    seppure    faticosamente,    l'equilibrio
contrattuale,   mediante   la   soddisfazione,    seppure    tardiva,
dell'interesse economico che aveva mosso il locatore alla stipula del
contratto. 
    La  differenza  tra  cio'  che  e'  necessario   per   soddisfare
l'interesse del locatore (estinguere il debito  per  canoni/oneri)  e
cio' che e' necessario per «escludere la risoluzione», per quanto  in
origine spiegabile con  la  forzata  abdicazione  all'interesse  alla
caducazione del rapporto,  appare  oggi,  per  le  motivazioni  sopra
esposte, nella misura in cui  consente  al  locatore  di  chiedere  e
ottenere, comunque e in ogni caso, la convalida: 
        1) eccedente l'interesse sostanziale del locatore dedotto  in
contratto,   che   dovrebbe   costituire   l'oggetto   della   tutela
giurisdizionale; 
        2) connotata da un'ingiustificabile valenza di emenda per  il
conduttore, che contraddice il  riconoscimento  della  condizione  di
difficolta' economica da cui ha avuto origine  il  mancato  pagamento
dei canoni; 
        3) mortificante lo sforzo del  conduttore  che,  pur  essendo
riuscito, nonostante le sue condizioni di  difficolta'  economica,  a
recuperare la somma necessaria per pagare il debito per  canoni/oneri
(per esempio, destinando i primi stipendi di un nuovo lavoro,  oppure
vendendo beni di proprieta'), sarebbe destinatario di  una  pronuncia
identica a quella che ci sarebbe stata qualora tale sforzo non  fosse
stato profuso; 
        4) decisiva ai fini di una pronuncia che incide  sul  diritto
all'abitazione di persone per cui e' facile immaginare  l'assenza  di
alternative valide. 
    Si potrebbe obiettare che  queste  considerazioni  tengono  conto
dell'interesse solo di una delle parti e che, specie per  chi  tragga
dal rapporto di locazione la propria unica fonte di reddito,  la  non
fisiologica esecuzione del contratto,  unita  al  pericolo  di  dover
sostenere il costo delle spese processuali, costituisca di per se' un
sacrificio apprezzabile. 
    A tale obiezione potrebbe replicarsi che la  norma  impedisce  di
valutare  ogni  aspetto  della  specifica  situazione  all'esame  del
Tribunale, perche' e' evidente che la valutazione dell'interesse  del
conduttore  dovrebbe  essere  necessariamente  compiuta   in   chiave
comparativa con l'interesse del locatore. La valutazione  comparativa
potrebbe avere esito diverso a seconda, per esempio, che il  locatore
abbia o non abbia fonti di  reddito  alternative;  ancor  prima,  non
avrebbe ragione di essere effettuata  se  l'interesse  economico  del
locatore non abbia avuto una pur tardiva soddisfazione. 
    Per quanto riguarda il secondo aspetto, il Tribunale ritiene  che
la risoluzione del contratto, imposta  dall'art.  55  comma  V  legge
citata anche in un'ipotesi in cui il debito per canoni (nel  caso  di
specie, anche oneri) si sia ridotto in misura quasi  totale  dopo  la
concessione del termine ex art. 55 comma II  legge  citata,  presenti
gli  stessi  aspetti  critici   della   risoluzione   del   contratto
nell'ipotesi della soddisfazione integrale con  residuo  delle  spese
processuali. 
    Infatti, il giudice non puo' comparare l'entita'  del  sacrificio
dell'interesse economico del locatore fondato sul contratto (che  ben
puo' essere inesistente o marginale)  con  l'entita'  del  sacrificio
dell'interesse di natura personale del conduttore  in  condizioni  di
difficolta' economica e da qui trarre la convinzione di un  esercizio
della  tutela  giurisdizionale,  predisposta  dal  procedimento   per
convalida   di   sfratto,   eccedente   la   tutela    dell'interesse
dell'intimante, in quanto piegata alla soddisfazione di  un  esigenza
diversa, per quanto umanamente  comprensibile,  scaturita  dal  venir
meno della fiducia personale. 
    Inoltre, il trattamento giuridico di  chi  non  abbia  pagato  la
somma individuata in sede di concessione del termine ex art. 55 comma
II legge citata in misura tale da incidere in concreto sull'interesse
economico del locatore (o, almeno, in misura tale da far ritenere  il
sacrificio dell'interesse economico del locatore non bilanciabile dal
sacrificio dell'interesse abitativo cui conduce  la  convalida  dello
sfratto), sarebbe analogo al trattamento giuridico di chi  non  abbia
pagato la somma individuata in sede di  concessione  del  termine  ex
art. 55 comma II legge citata in  misura  tale  da  non  incidere  in
concreto sull'interesse economico del locatore (o, almeno, in  misura
tale da far  ritenere  il  sacrificio  dell'interesse  economico  del
locatore bilanciabile dal  sacrificio  dell'interesse  abitativo  cui
conduce la convalida dello sfratto dallo sforzo del  conduttore  che,
in condizione di difficolta' economica, e' riuscito a trovare risorse
nell'intento di evitarla). 
    La rigidita' del meccanismo previsto dall'art.  55  legge  citata
pare peraltro collidere con la possibilita', pure  contemplata  dalla
norma, per cui la morosita' puo' essere sanata per non  piu'  di  tre
volte nel corso di un quadriennio. 
    Infatti, se e' vero che la morosita' attuale puo'  essere  indice
della probabile verificazione di altre in futuro,  e'  altresi'  vero
che la norma prefigura una pluralita' di situazioni critiche  per  la
vita del rapporto e, sotto questo profilo, l'interesse a  scongiurare
tale pericolo, che si  intravede  nell'insistenza  per  la  convalida
dello sfratto a fronte di un debito residuo - di per se', o alla luce
della valutazione delle posizioni contrapposte  delle  parti  -  poco
significativo,  sottende  una,  seppure  comprensibile,  volonta'  di
«fuga» dal rapporto che la norma, per altro verso, non  consente  per
il sol fatto che il conduttore per piu' volte si trovi in  condizioni
economiche tali da rendergli  difficile  il  regolare  pagamento  dei
canoni. 
    Ancora una volta, l'alternativa tra non  risolvere  il  contratto
nel caso in cui l'intera somma sia versata e risolverlo nel  caso  in
cui il versamento non integrale e non tempestivo non comporti per  il
locatore un sacrificio intollerabile pare rispondere  a  un  criterio
puramente formale se non addirittura simbolico,  secondo  una  logica
che contraddice il diritto vivente e i valori costituzionali  che  ne
orientano l'evoluzione. 
    La norma, cosi come nel caso di  mancato  pagamento  delle  spese
processuali,  pone  peraltro  un'alternativa  secca,  senza  lasciare
spazio a  mutamenti  del  rito  per  verificare,  in  un  giudizio  a
cognizione piena, la reale incidenza del debito residuo nell'economia
complessiva del rapporto. 
    A cio' si aggiunga che l'art. 56 comma II legge citata,  ai  fini
del rilascio, detta una disciplina piu' severa per il conduttore  che
non abbia provveduto al pagamento nel  termine  assegnato  (anche  in
questo  caso,  senza  operare  nessuna  distinzione  all'interno  del
«mancato pagamento») rispetto all'ipotesi generale di cui all'art. 56
comma I legge citata. 
    Il  Tribunale  e'  consapevole  che  la  Consulta  si   e'   gia'
pronunciata sulla  legittimita'  costituzionale  dell'art.  55  legge
citata: 
        1) con ordinanza n. 315/1986, in cui la questione  posta,  in
epoca    risalente,    riguardava    aspetti    diversi,    afferenti
all'impossibilita' per il conduttore di chiedere il termine  ex  art.
55 comma II legge citata anche nell'ulteriore corso del  procedimento
ovvero per il giudice di concederlo in sede di ordinanza di  rilascio
ex art. 665 codice di procedura civile; 
        2) con sentenza n. 2/1992, in  cui  la  Consulta  ha  escluso
l'irragionevolezza dell'art. 55  nell'interpretazione  fornita  dalla
Corte di Cassazione, secondo cui la richiesta del cd termine ex  art.
55 comma II legge  citata puo'  essere  formulata  solo  in  sede  di
procedimento speciale di convalida di sfratto e non in  un  ordinario
giudizio a cognizione piena instaurato dal locatore per  ottenere  la
risoluzione del contratto; 
        3) con ordinanza n. 410/2001, in cui e' stata  affrontata  la
non irragionevole discriminazione di disciplina tra locazioni ad  uso
abitativo e locazioni ad uso non abitativo circa la  possibilita'  di
chiedere il termine ex art. 55 comma II legge citata. 
    Nondimeno, il Tribunale ritiene che i profili qui sollevati siano
diversi,  anche  alla  luce  del  mutamento  della  cornice  storica,
economica e sociale, per cui ha ragione di porsi il dubbio in  ordine
al se la contropartita alla deroga all'art.  1453  comma  III  codice
civile,  che  consiste  nella  possibilita'  per   il   locatore   di
utilizzare, in sede di procedimento  per  convalida  di  sfratto,  un
meccanismo rigido sia  dal  punto  di  vista  dell'onere  imposto  al
locatore (pagamento di tutto il debito per canoni e oneri),  sia  dal
punto di vista temporale (un pagamento effettuato all'ottantanovesimo
giorno  escluderebbe  la  risoluzione,  un  pagamento  effettuato  al
novantunesimo giorno no, senza verificare se cio' sia dipeso  o  meno
da comportamenti del conduttore ispirati a buona fede), sia dal punto
di vista della regolazione delle spese processuali, singolarmente  da
pagare prima della definizione del processo,  resista  all'esame  del
tempo e delle, ormai compiute, riflessioni giurisprudenziali che, per
un verso,  muovono  dal  dovere  di  solidarieta'  per  integrare  il
contenuto del rapporto  obbligatorio  al  contempo  evitando  che  la
tutela  giurisdizionale  consenta  di  approdare  a   un   equilibrio
inaccettabile  degli  interessi  in  gioco  e  che,  per  un   altro,
attribuiscono rilievo centrale al concreto modo  di  atteggiarsi  del
rapporto tra le  parti,  anche  nei  suoi  risvolti  patologici,  per
individuare risposte di giustizia calibrate  sulla  diversita'  delle
situazioni. 
    Se, come e' stato osservato  dalla  consulta  nella  sentenza  n.
2/1992,  la  ratio  della  legge  n.  392/1978  e'   di   «conservare
continuita'  al  rapporto   di   locazione»,   appare   difficilmente
giustificabile,  nel  presente  contesto  storico,  alla   luce   dei
menzionati  principi  costituzionali,  che   tale   continuita'   sia
pregiudicata in tutte le ipotesi in cui non  sia  accertato,  se  del
caso tramite un processo  a  cognizione  piena,  la  reale  incidenza
dell'inosservanza, quantitativa e/o  temporale,  del  cd  termine  di
«grazia» sull'equilibrio del rapporto. 
    Tanto premesso, occorre sospendere la causa promossa da Christian
Braglia, promuovendo, nell'ambito della stessa, questione incidentale
di legittimita' costituzionale. 
    Tale questione, stante quanto fin  qui  esposto,  ha  ad  oggetto
l'art. 55 legge n. 392/1978 nella parte in cui,  prevedendo  che  «il
pagamento, nei  termini  di  cui  ai  commi  precedenti,  esclude  la
risoluzione del contratto», non comprende, tra i casi  di  esclusione
della risoluzione in sede di procedimento per convalida  di  sfratto,
ove al conduttore sia stato concesso il termine previsto dal medesimo
articolo per le sue condizioni di difficolta' economica: 
        1)  l'ipotesi  in  cui  residui  il  pagamento  delle   spese
processuali; 
        2) ogni altra ipotesi in cui, al momento della decisione,  la
caducazione del rapporto contrattuale, tenuto conto dell'entita'  del
debito residuo per canoni scaduti, oneri accessori o interessi, avuto
riguardo  alle  reciproche  posizioni  delle  parti,   determini   un
sacrificio sproporzionato dell'interesse abitativo del conduttore. 
    Rispetto a tale norma, non  essendo  praticabile,  per  i  motivi
suesposti, un'interpretazione adeguatrice o  estensiva,  si  pone  un
dubbio - a parere del Tribunale, non manifestamente  infondato  -  di
conformita' rispetto: 
        1)  al  parametro  costituito  dal  dovere  di   solidarieta'
politica,  economica  e  sociale  ex   art.   2   Costituzione,   che
costituisce, come la giurisprudenza di legittimita' ha  ripetutamente
argomentato, il fondamento della clausola generale di buona  fede  in
senso obiettivo, che impone alla parte del rapporto obbligatorio,  in
ogni sua fase,  di  considerare  l'interesse  della  controparte  nei
limiti  dell'apprezzabile  sacrificio  del  proprio,  in  quanto  non
consente al giudice di valutare l'entita' di questi  interessi  e  di
questi sacrifici, imponendogli la pronuncia di  risoluzione  in  sede
sommaria anche nelle  ipotesi  in  cui,  a  fronte  della  (sicura  e
attuale,  salvo  prova   contraria)   compromissione   dell'interesse
abitativo del conduttore, non sia chiaro se  il  debito  residuo  per
canoni/oneri condominiali incida  in  misura  rilevante  nella  sfera
giuridica del locatore ovvero nelle ipotesi in cui,  a  fronte  della
(sicura   e   attuale,   salvo   prova   contraria)    compromissione
dell'interesse abitativo del conduttore, il mancato  pagamento  delle
spese processuali, che il  locatore  potrebbe  comunque  ottenere  in
seguito  in  forza  del  provvedimento  definitorio   del   giudizio,
rappresenti una mera eventualita'; 
        2) al parametro costituito dall'art. 3, comma 2 Costituzione,
inteso come ragionevolezza, che esclude  il  trattamento  analogo  di
situazioni differenti, quali, nella specie, devono  essere  ritenute:
2.1) la condizione del conduttore cui sia stato concesso  il  termine
ex art. 55 comma II legge citata e che non abbia pagato il debito per
canoni e oneri in misura tale da incidere in maniera rilevante  nella
sfera patrimoniale del locatore; 2.2) Ia  condizione  del  conduttore
cui sia stato concesso il termine ex art. 55 comma II legge citata  e
che non abbia pagato il debito per canoni e oneri senza  incidere  in
maniera rilevante nella sfera patrimoniale del locatore; infatti,  in
entrambi i casi, l'art. 55 comma V legge citata impone la risoluzione
del contratto, precludendo  al  giudice  la  valutazione  comparativa
degli interessi contrapposti; 
        3) ancora, al  parametro  costituito  dall'art.  3,  comma  2
Costituzione, inteso come ragionevolezza, che esclude il  trattamento
analogo di situazioni differenti, quali, nella specie, devono  essere
ritenute: 3.1) la condizione del conduttore cui sia stato concesso il
termine ex art. 55 comma II legge citata e che non  abbia  pagato  iI
debito per canoni e le spese  processuali;  3.2)  la  condizione  del
conduttore cui sia  stato  concesso  il  termine  ex  art.  55  comma
II legge citata e che abbia pagato il debito per canoni  e  oneri  ma
non le spese processuali; infatti, in  entrambi  i  casi,  l'art.  55
comma V legge citata impone la risoluzione del contratto; 
        4)  al  parametro  costituito  dal  principio   del   «giusto
processo» di cui all'art.  111  Costituzione,  inteso  come  presidio
contro  l'esercizio  dell'azione  in  forme  eccedenti,  o  devianti,
rispetto alla tutela dell'interesse sostanziale, come chiarito  dalla
giurisprudenza  di  legittimita',  in  quanto  la  norma  impone   la
risoluzione del contratto,  cioe'  la  compromissione  dell'interesse
abitativo del conduttore, anche nei casi in cui, a fronte di  un  suo
obiettivo sforzo, date  le  condizioni  di  difficolta',  la  lesione
dell'interesse economico del locatore, identificata dalla  differenza
tra quanto determinato in sede di concessione del termine ex art.  55
comma II legge citata e quanto pagato dal conduttore, sia tollerabile
nei  limiti  dell'apprezzabile  sacrificio,   avuto   riguardo   alle
condizioni delle parti, oppure  soltanto  eventuale,  come  nel  caso
delle spese processuali. 
    La questione, oltreche' non manifestamente infondata, per  quanto
fin qui esposto, appare  anche  dotata  di  rilevanza  rispetto  alla
fattispecie  in  esame:  dall'applicazione  della  norma,  dalla  cui
costituzionalita' si dubita, il Tribunale non puo' prescindere per la
definizione della controversia sottoposta al suo  esame,  in  cui  la
risoluzione del contratto dovrebbe essere pronunciata - a  fronte  di
un progressivo e significativo  recupero  dell'esposizione  debitoria
dell'intimato nel corso del 2018, tale da far residuare  ad  oggi  un
debito di  euro  322,50  (meno  di  un  decimo  del  debito  allegato
nell'atto di intimazione), cifra  che  di  per  se',  in  assenza  di
approfondimenti meritevoli di cognizione piena, ferma restando la sua
spettanza, non pare in grado di incidere nella sfera patrimoniale del
locatore  in  misura  sufficiente  per  giustificare  il   sacrificio
dell'interesse abitativo del conduttore in  difficolta'  economica  -
per la mera non corrispondenza tra la somma individuata quale  debito
per canoni/oneri accessori in sede di concessione del termine ex art.
55 comma II legge citata e quella pagata in concreto dal  conduttore,
oltre che per il mancato pagamento  delle  spese  processuali  allora
liquidate. 
    Si osserva, ancora una volta, che dopo  il  periodo  critico  tra
fine 2017 e inizio 2018, l'intimato ha pagato tutti i mesi  del  2018
(salva la questione degli euro 4,50 delle commissioni di  bonifico  e
gli euro 282,50 di arretrati per le mensilita' anteriori  a  novembre
2017). Cio' per cui dovrebbe  essere  sacrificato  il  suo  interesse
abitativo, in sostanza, e' il ritardo nel  saldare  dicembre  2017  e
gennaio 2018 (pagamento  del  19  ottobre  2018,  per  la  verosimile
necessita' di  trovare  una  somma  piu'  consistente,  ulteriore  al
pagamento dei canoni per gli  altri  mesi  del  2018)  e  marzo  2018
(pagamento del 6 novembre 2018, verosimilmente per una  dimenticanza,
tenuto conto che, in teoria, l'intimato  avrebbe  potuto  imputare  i
precedenti pagamenti a partire, appunto, da  marzo  2018  e,  a  quel
punto, al 23 ottobre 2018, sarebbe residuata solo  la  mensilita'  di
ottobre 2018, con un ritardo di soli ventidue giorni). 
    Se  alla  logica  asimmetrica  e  perentoria  della   grazia   si
sostituisce la logica mite, paritetica e  costituzionalmente  fondata
della solidarieta', il risultato cui si perviene, nel caso di specie,
attraverso la pronuncia di risoluzione  imposta  dalla  norma  appare
tale da incidere  in  misura  ingiustificata  sull'interesse,  natura
personale, all'abitazione dell'intimato. 
    Ad avviso del Tribunale,  l'auspicata  scissione  tra  «sanatoria
della morosita'» ed «esclusione della risoluzione del contratto»  non
dovrebbe avere ricadute sul tenore letterale  dell'art.  55  comma  I
legge citata, nel senso che, ferma restando la spettanza di  tutti  i
crediti il cui titolo e' costituito dal contratto di locazione a  uso
abitativo, la liquidazione «anticipata» delle  spese  processuali  in
sede di concessione del termine di cui all'art.  55  comma  II  legge
citata potrebbe comunque essere opportuna per agevolare  l'estinzione
del giudizio prevenendo ragioni ulteriori di contenzioso. 
    Infine, nessuna preclusione alla proponibilita'  della  questione
incidentale puo' derivare dalla natura  sommaria  del  rito  esperito
dalla ricorrente, comunque annoverabile tra  i  possibili  giudizi  a
quibus, stante l'idoneita' ad assumere efficacia  omogenea  a  quella
del  giudicato  ex  art.  2909  codice   civile   del   provvedimento
definitorio del presente giudizio. 
 
                               P.Q.M. 
 
    1) letti gli articoli 134 Costituzione e 23,  legge  n.  87/1953,
con riferimento alla domanda proposta da Christian Braglia,  dichiara
rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  con  riferimento  agli
articoli 2, 3, 111 Costituzione, la questione di  legittimita'  della
seguente norma: 
        art. 55 legge n. 392/1978, nella parte in cui, prevedendo che
«il pagamento, nei termini di cui ai  commi  precedenti,  esclude  la
risoluzione del contratto», non comprende, tra i casi  di  esclusione
della risoluzione in sede di procedimento per convalida  di  sfratto,
ove al conduttore sia stato concesso il termine previsto dal medesimo
articolo per le sue condizioni di difficolta' economica, l'ipotesi in
cui residui il pagamento delle spese processuali e ogni altra ipotesi
in cui, al momento  della  decisione,  la  caducazione  del  rapporto
contrattuale, tenuto conto dell'entita' del debito residuo per canoni
scaduti, oneri accessori o interessi, avuto riguardo alle  reciproche
posizioni  delle  parti,  determini  un   sacrificio   sproporzionato
dell'interesse abitativo del conduttore; 
    2) dispone la sospensione del  presente  giudizio  ed  ordina  la
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
    3)  manda  alla  cancelleria  per  la  notifica  della   presente
ordinanza alle parti e al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
nonche'  per  la  comunicazione  ai  Presidenti  del   Senato   della
Repubblica e della Camera dei deputati. 
 
      Modena, 27 novembre 2018 
 
                       Il Giudice: Siracusano