N. 54 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 novembre 2018

Ordinanza  del  27  novembre  2018  del  Tribunale  di   Modena   nel
procedimento  civile  promosso  da  Bitonti  Cesare   contro   Mathew
Blessing, Ogbomo Joy e Isibor Endurance Obasuyi. 
 
Locazioni di immobili urbani - Procedimento per convalida di  sfratto
  - Termine per il pagamento dei canoni  scaduti  -  Sanatoria  della
  morosita' in sede giudiziale -  Esclusione  della  risoluzione  del
  contratto - Inadempimento residuo. 
- Legge 27  luglio  1978,  n.  392  (Disciplina  delle  locazioni  di
  immobili urbani), art. 55. 
(GU n.16 del 17-4-2019 )
 
                       IL TRIBUNALE ORDINARIO 
                              DI MODENA 
 
    Il giudice sciolta la riserva assunta all'udienza del 6  novembre
2018, ha pronunciato la seguente ordinanza 
    Con l'atto introduttivo del presente giudizio  per  convalida  di
sfratto, Cesare Bitonti ha allegato: 
        1) contratto di locazione ad  uso  abitativo  del  15  maggio
2015, registrato il 29 maggio 2014, stipulato  con  Mathew  Blessing,
Ogbomo Joy, Isibor Endurance Obasuyi; 
        2) l'inadempimento dei conduttori in relazione a: 2.1) canoni
dovuti per le mensilita' di aprile, maggio e luglio per un totale  di
euro 1.500,00; 2.2) mancato pagamento di oneri condominiali per  euro
750,00. 
    All'udienza del 17 luglio 2018 e' stato concesso ai conduttori il
termine ex art. 55 l. n. 392/1978 per il pagamento di  euro  2.250,00
per canoni scaduti oltre quelli da scadere, euro 1.106,00 a titolo di
spese legali. 
    All'udienza del 6 novembre  2018  l'intimante  ha  dichiarato  la
persistenza della morosita' per  euro  250,00  per  canoni  oltre  al
mancato pagamento delle spese,  insistendo  per  la  convalida  dello
sfratto. 
    Alla mancata comparizione degli intimati in quest'ultima  udienza
non puo' attribuirsi un significato  di  non  "non  opposizione  alla
convalida", mutuato dall'udienza  del  17  luglio  2018,  perche'  e'
evidente  che  la  mancata  opposizione  di  allora  preludeva   alla
richiesta del termine "di grazia" per la salvaguardia  dell'interesse
abitativo. 
    La valutazione della  domanda  di  parte  intimante  deve  dunque
essere effettuata senza che vi influisca il contegno  processuale  di
parte intimata, non assistitita da difensore,  la  cui  comparizione,
con o senza opposizione, dopo la concessione del termine ex  art.  55
legge n. 392/1978, non avrebbe peraltro alcun significativo effetto. 
    Parte intimata non ha rispettato il termine ex art. 55  legge  n.
392/1978, sia dal punto di vista temporale, sia dal  punto  di  vista
dell'entita' complessiva della somma da saldare. 
     La norma che il Tribunale e' chiamato ad applicare e' l'art.  55
legge n. 392/1978, ove si prevede: 
    La morosita' del conduttore nel  pagamento  dei  canoni  o  degli
oneri di cui all'articolo 5 puo' essere sanata in sede giudiziale per
non piu' di tre volte nel corso di un quadriennio  se  il  conduttore
alla prima udienza versa l'importo dovuto per tutti i canoni  scaduti
e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli
interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal
giudice. 
    Ove il pagamento non avvenga in udienza, il  giudice,  dinanzi  a
comprovate condizioni di difficolta' del conduttore,  puo'  assegnare
un termine non superiore a giorni novanta. 
    In tal caso rinvia l'udienza  a  non  oltre  dieci  giorni  dalla
scadenza del termine assegnato. 
    La morosita' puo' essere sanata, per non piu'  di  quattro  volte
complessivamente nel corso di un quadriennio, ed il termine di cui al
secondo comma e' di centoventi giorni, se l'inadempienza, protrattasi
per non oltre due  mesi,  e'  conseguente  alle  precarie  condizioni
economiche del conduttore, insorte dopo la stipulazione del contratto
e  dipendenti  da  disoccupazione,  malattie  o   gravi,   comprovate
condizioni di difficolta'. 
    Il pagamento, nei termini di cui ai commi precedenti, esclude  la
risoluzione del contratto. 
    La giurisprudenza di legittimita' e'  costante  nell'interpretare
la norma nel senso per cui «il comportamento del  conduttore  sanante
la morosita' deve consistere nell'estinzione di tutto  quanto  dovuto
per canoni, oneri accessori, interessi e spese fino alla scadenza del
termine di grazia, senza che l'inadempimento residuo sia suscettibile
di nuova verifica sotto il profilo della gravita'. Il giudice non  ha
infatti il potere di valutare se il  superamento,  ancorche'  esiguo,
del suddetto termine di grazia concesso al conduttore per  sanare  la
morosita' costituisca inadempimento grave, ne' se il ritardo  dipenda
dal debitore o da un terzo di cui egli si sia avvalso per  adempiere 
[...]  perche' il giudice ha soltanto la possibilita' di  fissare  il
termine entro il limite minimo e massimo stabilito  dal  legislatore"
(tra le tante, Cassazione, sent. n. 5540/2012). 
    Tale interpretazione e' confortata  dal  tenore  letterale  della
norma, in particolare nell'inciso  secondo  cui  la  risoluzione  del
contratto e' esclusa solo in  caso  di  "pagamento",  parola  il  cui
significato allude in maniera univoca  all'atto  solutorio,  volto  a
estinguere il debito in base al valore nominale espresso nell'atto di
intimazione. 
    Sgombra ogni dubbio la precisazione successiva  «nei  termini  di
cui ai commi precedenti»: solo la prova di  aver  versato  "l'importo
dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori  maturati
sino a tale data, maggiorato degli interessi  legali  e  delle  spese
processuali liquidate in tale sede dal  giudice   [...]   esclude  la
risoluzione del contratto". 
    Il Tribunale e' consapevole che: 
        1) l'art. 663 comma III cpc subordina la convalida, quando lo
sfratto  e'  stato  intimato  per  mancato  pagamento   del   canone,
all'attestazione in giudizio del locatore o del suo  procuratore  che
la morosita' persiste; 
        2)  l'art.  5  legge  n.  392/1978  indica  quale  motivo  di
risoluzione del contratto di locazione ad uso  abitativo  il  mancato
pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza; 
        3) l'art. 55  della  medesima  legge  costituisce  una  norma
eccezionale che neutralizza le conseguenze del principio per cui, una
volta che il ereditare abbia chiesto la risoluzione del contratto, il
debitore  inadempiente  »non   puo'   piu'   adempiere   la   propria
obbligazione (art. 1453 comma III cc). 
    La rigidita' del  meccanismo  introdotto  dalla  concessione  del
termine ex art. 55 1. cit., ben  descritto  dalla  giurisprudenza  di
legittimita', pare costituire  una  sorta  di  compensazione  per  il
sacrificio,   normalmente   non   contemplato,   dell'interesse   del
creditore, che abbia  chiesto  la  risoluzione,  al  venir  meno  del
rapporto contrattuale. 
    Non puo'  sottacersi,  pero',  che  il  gia'  menzionato  art.  5
introduce una qualificazione legale  della  "non  scarsa  importanza"
dell'adempimento, precludendo la  valutazione  ex  art  1455  cc  del
giudice  in  senso  obiettivamente  favorevole  al  locatore,  se  si
considera che e' sufficiente il ritardo di venti giorni nel pagamento
di un solo canone. 
    Questa definizione dell'equilibrio tra gli interessi contrapposti
si prolunga inalterata dal 1978 al giorno d'oggi. Nei  quaranta  anni
di  vigenza  delle  due  norme  menzionate  il  contesto  sociale  ed
economico ha subito mutamenti che difficilmente  il  legislatore  del
1978 avrebbe potuto immaginare. La crisi del settore produttivo  e  i
tentativi di porre rimedio  a  questa  crisi  hanno  determinato  una
maggiore instabilita' dei rapporti di lavoro,  la  cui  remunerazione
appare, per chi non sia titolare di altre fonti di  reddito,  l'unica
via per ottenere la provvista per pagare i  canoni  di  locazione.  I
fenomeni migratori hanno ampliato le categorie di  persone  bisognose
di alloggio e, al tempo stesso, esposte alla difficolta'  di  trovare
le risorse economiche per adempiere alle proprie obbligazioni. 
    Sotto questo profilo,  l'impermeabilita'  letterale  e  semantica
dell'art. 55 1. cit. confligge con la  riflessione  giuridica,  ormai
giunta a compimento, in ordine alla clausola di buona fede  in  senso
obiettivo quale fonte di obblighi  di  considerazione  dell'interesse
della controparte, nei limiti dell'apprezzabile sacrificio,  in  ogni
fase, anche quella patologica, del rapporto obbligatorio. 
    Sul  punto,  anche  per  l'autorevolezza  dell'estensore,   basti
menzionare, in termini generali, la  pronuncia  n.  21255/2013  della
Corte  di  Cassazione,  in  cui  si  chiarisce   che   "il   rapporto
obbligatorio precede e segue l'integrazione della vicenda negoziale -
intesa nella sua duplice dimensione di fatto storico e di fattispecie
programmatica - ed e' integrato nella  sua  piu'  intima  essenza  da
doveri di comportamento che [...]  appaiono  piuttosto  funzionali  a
governare secondo buona fede i  differenti  aspetti  della  complessa
vicenda interpersonale dipanatasi tra le parti, cosi' operando  nella
(diversa e piu' ampia) logica  del  rapporto  e  della  (complessita'
della) fattispecie". 
    Questi doveri di comportamento condizionano, piu' in particolare,
anche l'esercizio dei diritti potestativi, dal momento che «anche  in
presenza di clausola risolutiva espressa, i contraenti sono tenuti  a
rispettare il principio generale della buona fede ed  il  divieto  di
abuso del diritto, preservando l'uno  gli  interessi  dell'altro.  Il
potere  di  risolvere  di  diritto  il  contratto  avvalendosi  della
clausola risolutiva  espressa,  in  particolare,  e'  necessariamente
governato dal principio di buona fede,  da  tempo  individuato  dagli
interpreti sulla base del dettato normativo (art. 1175,  1375,  1356,
1366, 1371, c.c.,  ecc)  come  direttiva  fondamentale  per  valutare
l'agire dei privati e come concretizzazione delle  regole  di  azione
per i contraenti in  ogni  fase  del  rapporto  (precontrattuale,  di
conclusione e di esecuzione del contratto).  Il  principio  di  buona
fede si pone allora, nell'ambito  della  fattispecie  dell'art.  1456
c.c.,    come    canone    di    valutazione    sia    dell'esistenza
dell'inadempimento,  sia  del  conseguente  legittimo  esercizio  del
potere unilaterale di risolvere il contratto,  al  fine  di  evitarne
l'abuso ed impedendone l'esercizio ove contrario ad essa (ad  esempio
escludendo i comportamenti  puramente  pretestuosi,  che  quindi  non
riceveranno   tutela   dall'ordinamento)"   (Cassazione,   sent.   n.
23868/2015). 
    Gia' da tempo, la S.C. aveva peraltro affermato che "il principio
di  buona  fede  (intesa,  questa,  nel  senso  sopra  chiarito  come
requisito  della  condotta)  costituisce  ad  un  tempo  criterio  di
valutazione  e  limite  anche  del  comportamento  discrezionale  del
contraente dalla cui volonta' dipende (in parte) l'avveramento  della
condizione», in quanto e' «proprio l'elemento potestativo  quello  in
relazione al quale il dovere di comportarsi  secondo  buona  fede  ha
piu' ragion d'essere, perche' e' con riguardo a quell'elemento che la
discrezionalita' contrattualmente attribuita alla parte  deve  essere
esercitata nel quadro del principio cardine di correttezza"  (SS.UU.,
sent. n. 18450/2005). 
    Dal punto di vista processuale, la Corte di Cassazione, a partire
da SS.UU. n. 23726/2007, e' costante nell'affermare due principi: 
        "a) la regola di correttezza  e  buona  fede,  che  specifica
all'interno del rapporto obbligatorio la necessita' di soddisfare gli
«inderogabili  doveri  di  solidarieta'»,  il  cui   adempimento   e'
richiesto dall'art. 2 Cost.,  regola  che  viene  violata  quando  il
creditore aggravi ingiustificatamente la posizione del  debitore;  b)
la garanzia del processo giusto e di durata  ragionevole  di  cui  al
noveilato art. 111 Cost., la quale esclude, innanzi tutto, che  possa
ritenersi «giusto» il processo che costituisca esercizio  dell'azione
in forme eccedenti, o devianti, rispetto alla  tutela  dell'interesse
sostanziale,   che   segna   il   limite,   oltreche'   la    ragione
dell'attribuzione,  al   suo   titolare,   della   potestas   agendi"
(Cassazione, sent. n. 4228/2015, ove pure si  scrive  che  l'art.  24
Cost. "tutelando il diritto di azione non esclude certamente  che  la
legge possa richiedere, nelle  controversie  meramente  patrimoniali,
che per giustificare l'accesso al giudice il valore  economico  della
pretesa debba superare una soglia minima di rilevanza, innanzi  tutto
economica e, quindi, anche giuridica"). 
    Se e' vero che (solo) il pagamento nei termini indicati dall'art.
55 comma I l. cit. esclude la risoluzione,  cio'  significa  che,  in
sede di udienza  successiva  alla  concessione  del  termine  cd  "di
grazia", il giudice non potra' valutare se e in che misura: 
        1) per il peculiare  atteggiarsi  del  caso  concreto,  anche
nella fase patologica del rapporto, sussista un dovere  del  locatore
di   considerare    l'interesse    del    conduttore    nei    limiti
dell'apprezzabile sacrificio del proprio; 
        2) l'inadempimento del conduttore, per come allegato in  atto
di intimazione e per  come  risultante  all'udienza  successiva  alla
concessione del termine ex art. 55 comma II 1. cit., abbia  inciso  e
incida nella sfera giuridica del locatore; 
        3) il pagamento del  conduttore,  in  ipotesi  incompleto,  a
seguito  della  concessione  del  termine,  abbia  eroso  il   debito
complessivo; 
        4) l'esistenza di pregresse  morosita',  in  ipotesi  sanate,
anche tramite il necessario ricorso del locatore all'assistenza di un
legale, abbia contraddistinto la vita del rapporto; 
        5) conclusivamente, la  richiesta  di  convalida  di  sfratto
integri una modalita' di esercizio del diritto di azione eccedente  o
deviante rispetto alla tutela dell'interesse sostanziale, o,  peggio,
in assenza di qualsiasi interesse sostanziale da tutelare. 
    Se i doveri sostanziali di comportamento  e  la  cd  "buona  fede
processuale", delineati  dalla  giurisprudenza  di  legittimita',  si
fondano sul principio di  solidarieta'  espresso  dall'art.  2  della
Costituzione, non vi e' ragione di ritenere che l'eccezionalita'  del
cd "subprocedimento  di  sanatoria"  di  cui  all'art.  55  legge  n.
392/1978 lo renda immune dal vaglio di compatibilita'  con  questo  e
altri valori espressi dalla Carta Costituzionale. 
    I nodi critici sono due, entrambi presenti nella fattispecie  per
cui e' causa. 
        1) il conduttore non paga le spese processuali; 
        2) il conduttore paga quasi del tutto  la  somma  dovuta  per
canoni (oppure oneri accessori). 
    Per quanto riguarda il primo aspetto, il  Tribunale  ritiene  che
sia astrattamente  configurabile  un  dovere  "di  solidarieta'"  del
locatore di considerare l'interesse del conduttore alla  prosecuzione
del rapporto contrattuale ove il debito per  canoni/oneri  sia  stato
colmato a seguito della concessione del termine ex art. 55  comma  II
1. cit., ma residui il pagamento delle spese legali. I presupposti di
questo dovere sono evidenti: la condizioni di  difficolta'  economica
del conduttore;  la  natura  del  suo  interesse  abitativo,  il  cui
fondamento costituzionale non puo' passare in secondo piano. 
    Per altro verso, anche ammettendo che la mancata rifusione  delle
spese processuali integri un  sacrificio  apprezzabile  (infatti,  se
dovessero rimanere a  carico  del  locatore,  i  costi  del  processo
"giusto", cioe' sorretto dall'esistenza di un  interesse  sostanziale
da tutelare, rimarrebbero a carico della parte  che  aveva  ragione),
tale sacrificio  non  e'  mai  attuale  all'udienza  successiva  alla
concessione del termine ex art. 55 comma II 1. cit., perche' le spese
ben potrebbero essere rifuse una volta definitasi la procedura  (come
accade, per esempio, in caso di pagamento  della  somma  ingiunta  in
corso di giudizio di opposizione a  decreto  ingiuntivo,  in  cui  le
spese di lite, a fronte  di  una  pronuncia  di  revoca  del  decreto
ingiuntivo, di regola sono poste a  carico  dell'opponente,  nei  cui
confronti potranno essere recuperate in seguito). 
    Si tratta, a ben vedere, dell'unica ipotesi in cui  l'obbligo  di
pagare le spese processuali per  la  parte  virtualmente  soccombente
sorge prima delle definizione del  processo,  dal  momento  che,  per
l'inosservanza  di  tale  obbligo,  e'  prevista  una  sanzione,  che
consiste, con un notevole salto logico, nella reale soccombenza. 
    Del resto, la norma non consente, in caso  di  mancato  pagamento
delle spese processuali a seguito della concessione  del  termine  ex
art. 55 comma II 1. cit., ne'  di  "escludere  la  risoluzione",  con
condanna dell'intimante al loro pagamento, ne' di mutare il rito  per
verificare in che misura il mancato pagamento, se protrattosi,  abbia
inciso sull'economia complessiva del rapporto. 
    L'apprezzabile sforzo di evitare una pronuncia  che  obblighi  il
conduttore al rilascio dell'immobile per il mancato pagamento di  una
somma (a tutto voler  concedere)  solo  indirettamente  collegata  al
rapporto di  locazione  e'  stato  di  recente  tradotto  in  termini
operativi dal Protocollo del Tribunale di Bologna per il procedimenti
per convalida di sfratto (aggiornamento 2017, punto 14), ove e' stato
previsto che, se il conduttore intimato, in  prima  udienza,  paga  o
dimostra di aver pagato, dopo  la  notifica  dell'atto  introduttivo,
l'intero debito per canoni/oneri, ma non le  spese,  il  giudice,  se
richiesto,  "dichiarera'  cessata  la  materia   del   contendere   e
condannera' l'intimato  al  pagamento  delle  spese  processuali  con
ordinanza avente valore di sentenza". 
    Ad avviso del Tribunale, una pronuncia che obblighi  al  rilascio
diventa tanto  piu'  aspra  ove  il  conduttore,  nonostante  le  sue
condizioni  di  difficolta'  economica,  abbia  recuperato  le  somme
(spesso ingenti, tenuto conto della situazione reddituale) per pagare
i canoni dopo la concessione del termine ex art. 55 comma II 1. cit.,
ripristinando,  seppure  faticosamente,  l'equilibrio   contrattuale,
mediante la soddisfazione, seppure tardiva, dell'interesse  economico
che aveva mosso il locatore alla stipula del contratto. 
    La  differenza  tra  cio'  che  e'  necessario   per   soddisfare
l'interesse del locatore (estinguere il debito  per  canoni/oneri)  e
cio' che e' necessario per "escludere la risoluzione", per quanto  in
origine spiegabile con  la  forzata  abdicazione  all'interesse  alla
caducazione del rapporto,  appare  oggi,  per  le  motivazioni  sopra
esposte, nella misura in cui  consente  al  locatore  di  chiedere  e
ottenere, comunque e in ogni caso, la convalida: 
        1) eccedente l'interesse sostanziale del locatore dedotto  in
contratto,   che   dovrebbe   costituire   l'oggetto   della   tutela
giurisdizionale; 
        2) connotata da un'ingiustificabile valenza di emenda per  il
conduttore, che contraddice il  riconoscimento  della  condizione  di
difficolta' economica da cui ha avuto origine  il  mancato  pagamento
dei canoni; 
        3) mortificante lo sforzo del  conduttore  che,  pur  essendo
riuscito, nonostante le sue condizioni di  difficolta'  economica,  a
recuperare la somma necessaria per pagare il debito per  canoni/oneri
(per esempio, destinando i primi stipendi di un nuovo lavoro,  oppure
vendendo beni di proprieta'), sarebbe destinatario di  una  pronuncia
identica a quella che ci sarebbe stata qualora tale sforzo non  fosse
stato profuso; 
        4) decisiva ai fini di una pronuncia che incide  sul  diritto
all'abitazione di persone per cui e' facile immaginare  l'assenza  di
alternative valide. 
    Si potrebbe obiettare che  queste  considerazioni  tengono  conto
dell'interesse solo di una delle parti e che, specie per  chi  tragga
dal rapporto di locazione la propria unica fonte di reddito,  la  non
fisiologica esecuzione del contratto,  unita  al  pericolo  di  dover
sostenere il costo delle spese processuali, costituisca di per se' un
sacrificio apprezzabile. 
    A tale obiezione potrebbe replicarsi che la  norma  impedisce  di
valutare  ogni  aspetto  della  specifica  situazione  all'esame  del
Tribunale, perche' e' evidente che la valutazione dell'interesse  del
conduttore  dovrebbe  essere  necessariamente  compiuta   in   chiave
comparativa con l'interesse del locatore. La valutazione  comparativa
potrebbe avere esito diverso a seconda, per esempio, che il  locatore
abbia o non abbia fonti di  reddito  alternative;  ancor  prima,  non
avrebbe ragione di essere effettuata  se  l'interesse  economico  del
locatore non abbia avuto una pur tardiva soddisfazione. 
    Per quanto riguarda il secondo aspetto, il Tribunale ritiene  che
la risoluzione del contratto, imposta dall'art. 55 comma  V  l.  cit.
anche in un'ipotesi in cui il debito per canoni (nel caso di  specie,
anche  oneri)  si  sia  ridotto  in  misura  quasi  totale  dopo   la
concessione del termine ex art. 55 comma II  l.  cit.,  presenti  gli
stessi aspetti critici della risoluzione del  contratto  nell'ipotesi
della soddisfazione integrale con residuo delle spese processuali. 
    Infatti, il giudice non puo' comparare l'entita'  del  sacrificio
dell'interesse economico del locatore fondato sul contratto (che  ben
puo' essere inesistente o marginale)  con  l'entita'  del  sacrificio
dell'interesse di natura personale del conduttore  in  condizioni  di
difficolta' economica e da qui trarre la convinzione di un  esercizio
della  tutela  giurisdizionale,  predisposta  dal  procedimento   per
convalida   di   sfratto,   eccedente   la   tutela    dell'interesse
dell'intimante, in quanto piegata alla soddisfazione di  un  esigenza
diversa, per quanto umanamente  comprensibile,  scaturita  dal  venir
meno della fiducia personale. 
    Inoltre, il trattamento giuridico di  chi  non  abbia  pagato  la
somma individuata in sede di concessione del termine ex art. 55 comma
II 1. cit. in misura tale  da  incidere  in  concreto  sull'interesse
economico del locatore (o, almeno, in misura tale da far ritenere  il
sacrificio dell'interesse economico del locatore non bilanciabile dal
sacrificio dell'interesse abitativo cui conduce  la  convalida  dello
sfratto), sarebbe analogo al trattamento giuridico di chi  non  abbia
pagato la somma individuata in sede di  concessione  del  termine  ex
art. 55 comma II 1. cit. in misura tale da non incidere  in  concreto
sull'interesse economico del locatore (o, almeno, in misura  tale  da
far ritenere il  sacrificio  dell'interesse  economico  del  locatore
bilanciabile dal sacrificio dell'interesse abitativo cui  conduce  la
convalida  dello  sfratto  dallo  sforzo  del  conduttore   che,   in
condizione di difficolta' economica, e' riuscito  a  trovare  risorse
nell'intento di evitarla). 
    La rigidita' del meccanismo previsto dall'art. 55  1.  cit.  pare
peraltro collidere con la possibilita', pure contemplata dalla norma,
per cui la morosita' puo' essere sanata per non piu' di tre volte nel
corso di un quadriennio. 
    Infatti, se e' vero che la morosita' attuale puo'  essere  indice
della probabile verificazione di altre in futuro,  e'  altresi'  vero
che la norma prefigura una pluralita' di situazioni critiche  per  la
vita del rapporto e, sotto questo profilo, l'interesse a  scongiurare
tale pericolo, che si  intravede  nell'insistenza  per  la  convalida
dello sfratto a fronte di un debito residuo - di per se', o alla luce
della valutazione delle posizioni contrapposte  delle  parti  -  poco
significativo,  sottende  una,  seppure  comprensibile,  volonta'  di
"fuga" dal rapporto che la nonna, per altro verso, non  consente  per
il sol fatto che il conduttore per piu' volte si trovi in  condizioni
economiche tali da rendergli  difficile  il  regolare  pagamento  dei
canoni. 
    Ancora una volta, l'alternativa tra non  risolvere  il  contratto
nel caso in cui l'intera somma sia versata e risolverlo nel  caso  in
cui il versamento non integrale e non tempestivo non comporti per  il
locatore un sacrificio intollerabile pare rispondere  a  un  criterio
puramente formale se non addirittura simbolico,  secondo  una  logica
che contraddice il diritto vivente e i valori costituzionali  che  ne
orientano l'evoluzione. 
    La norma, cosi come nel caso di  mancato  pagamento  delle  spese
processuali,  pone  peraltro  un'alternativa  secca,  senza  lasciare
spazio a  mutamenti  del  rito  per  verificare,  in  un  giudizio  a
cognizione piena, la reale incidenza del debito residuo nell'economia
complessiva del rapporto. 
    A cio' si aggiunga che l'art. 56 comma II 1. cit.,  ai  fini  del
rilascio, detta una disciplina piu' severa per il conduttore che  non
abbia provveduto al pagamento nel termine assegnato (anche in  questo
caso, senza operare  nessuna  distinzione  all'interno  del  'mancato
pagamento") rispetto all'ipotesi generale di cui  all'art.  56  comma
11. cit. 
    Il  Tribunale e'  consapevole  che  la  Consulta   si   e'   gia'
pronunciata sulla legittimita' costituzionale dell'art. 55 1. cit.: 
        1) con ordinanza n. 315/1986, in cui la questione  posta,  in
epoca    risalente,    riguardava    aspetti    diversi,    afferenti
all'impossibilita' per il conduttore di chiedere il termine  ex  art.
55 comma II 1.cit. anche nell'ulteriore corso del procedimento ovvero
per il giudice di concederlo in sede di ordinanza di rilascio ex art.
665 cpc; 
        2) con sentenza n. 2/1992, in  cui  la  Consulta  ha  escluso
l'irragionevolezza dell'art. 55  nell'interpretazione  fornita  dalla
Corte di Cassazione, secondo cui la richiesta del cd termine ex  art.
55  cornma  II  1.  cit.  puo'  essere  formulata  solo  in  sede  di
procedimento speciale di convalida di sfratto e non in  un  ordinario
giudizio a cognizione piena instaurato dal locatore per  ottenere  la
risoluzione del contratto; 
        3) con ordinanza n. 410/2001, in cui e' stata  affrontata  la
non irragionevole discriminazione di disciplina tra locazioni ad  uso
abitativo e locazioni ad uso non abitativo circa la  possibilita'  di
chiedere il termine ex art. 55 comma III. cit.. 
    Nondimeno, il Tribunale ritiene che i profili qui sollevati siano
diversi,  anche  alla  luce  del  mutamento  della  cornice  storica,
economica e sociale, per cui ha ragione di porsi il dubbio in  ordine
al se la contropartita alla deroga all'art. 1453 comma  III  cc,  che
consiste nella possibilita' per il locatore di utilizzare, in sede di
procedimento per convalida di sfratto, un meccanismo rigido  sia  dal
punto di vista dell'onere imposto al locatore (pagamento di tutto  il
debito per canoni e oneri), sia dal  punto  di  vista  temporale  (un
pagamento  effettuato  all'ottantanovesimo  giorno  escluderebbe   la
risoluzione, un pagamento  effettuato  al  novantunesimo  giorno  no,
senza verificare se cio' sia  dipeso  o  meno  da  comportamenti  del
conduttore ispirati a buona fede),  sia  dal  punto  di  vista  della
regolazione delle spese processuali, singolarmente  da  pagare  prima
della definizione del processo, resista all'esame del tempo e  delle,
ormai compiute, riflessioni  giurisprudenziali  che,  per  un  verso,
muovono dal dovere di solidarieta' per  integrare  il  contenuto  del
rapporto  obbligatorio,  al   contempo   evitando   che   la   tutela
giurisdizionale consenta di approdare a un  equilibrio  inaccettabile
degli interessi in gioco, e che, per un altro, attribuiscono  rilievo
centrale al concreto modo di atteggiarsi del rapporto tra  le  parti,
anche nei suoi  risvolti  patologici,  per  individuare  risposte  di
giustizia calibrate sulla diversita' delle situazioni. 
    Se, come e' stato osservato  dalla  Consulta  nella  sentenza  n.
2/1992,  la  ratio  della  legge  n.  392/1978  e'   di   "conservare
continuita'  al  rapporto   di   locazione",   appare   difficilmente
giustificabile,  nel  presente  contesto  storico,  alla   luce   dei
menzionati  principi  costituzionali,  che   tale   continuita'   sia
pregiudicata in tutte le ipotesi in cui non  sia  accertato,  se  del
caso tramite un processo  a  cognizione  piena,  la  reale  incidenza
dell'inosservanza, quantitativa e/o  temporale,  del  cd  termine  di
"grazia" sull'equilibrio del rapporto. 
    Tanto premesso, occorre sospendere la causa  promossa  da  Cesare
Bitonti, promuovendo, nell'ambito della stessa, questione incidentale
di legittimita' costituzionale. 
    Tale questione, stante quanto fin  qui  esposto,  ha  ad  oggetto
l'art. 55 Legge n.  392/1978  nella  parte  in  cui,  prevedendo  che
pagamento, nei  termini  di  cui  ai  commi  precedenti,  esclude  la
risoluzione del contratto", non comprende, tra i casi  di  esclusione
della risoluzione in sede di procedimento per convalida  di  sfratto,
ove al conduttore sia stato concesso il termine previsto dal medesimo
articolo per le sue condizioni di difficolta' economica: 
        1)  l'ipotesi  in  cui  residui  il  pagamento  delle   spese
processuali; 
        2) ogni altra ipotesi in cui, al momento della decisione,  la
caducazione del rapporto contrattuale, tenuto conto dell'entita'  del
debito residuo per canoni scaduti, oneri accessori o interessi, avuto
riguardo  alle  reciproche  posizioni  delle  parti,   determini   un
sacrificio sproporzionato dell'interesse abitativo del conduttore. 
    Rispetto a tale norma, non  essendo  praticabile,  per  i  motivi
suesposti, un'interpretazione adeguatrice o  estensiva,  si  pone  un
dubbio - a parere del Tribunale, non manifestamente  infondato  -  di
conformita' rispetto: 
        1)  al  parametro  costituito  dal  dovere  di   solidarieta'
politica, economica e sociale ex art. 2 Cost., che costituisce,  come
la giurisprudenza di legittimita' ha  ripetutamente  argomentato,  il
fondamento della clausola generale di buona fede in senso  obiettivo,
che impone alla parte del rapporto obbligatorio, in ogni sua fase, di
considerare    l'interesse    della    controparte     nei     limiti
dell'apprezzabile sacrificio del proprio, in quanto non  consente  al
giudice di  valutare  l'entita'  di  questi  interessi  e  di  questi
sacrifici, imponendogli la pronuncia di risoluzione in sede  sommaria
anche nelle ipotesi in cui, a fronte della (sicura e  attuale,  salvo
prova  contraria)   compromissione   dell'interesse   abitativo   del
conduttore, non sia chiaro se  il  debito  residuo  per  canoni/oneri
condominiali incida in misura rilevante  nella  sfera  giuridica  del
locatore ovvero nelle ipotesi  in  cui,  a  fronte  della  (sicura  e
attuale,  salvo  prova   contraria)   compromissione   dell'interesse
abitativo  del  conduttore,  il   mancato   pagamento   delle   spese
processuali, che il locatore potrebbe comunque ottenere in seguito in
forza del provvedimento definitorio  del  giudizio,  rappresenti  una
mera eventualita'; 
        2) al parametro costituito dall'art. 3, comma 2 Cost,  inteso
come ragionevolezza, che esclude il trattamento analogo di situazioni
differenti, quali, nella specie, devono essere ritenute: 
2.1) la condizione del conduttore cui sia stato concesso  il  termine
ex art. 55 comma II 1. cit. e che non  abbia  pagato  il  debito  per
canoni e oneri in misura tale da incidere in maniera rilevante  nella
sfera patrimoniale del locatore; 
2.2) la condizione del conduttore cui sia stato concesso  il  termine
ex art. 55 comma II 1. cit. e che non  abbia  pagato  il  debito  per
canoni e oneri  senza  incidere  in  maniera  rilevante  nella  sfera
patrimoniale del locatore; 
    infatti, in entrambi i casi, l'art. 55 comma V 1. cit. impone  la
risoluzione del contratto,  precludendo  al  giudice  la  valutazione
comparativa degli interessi contrapposti; 
        3) ancora, al parametro costituito dall'art. 3, comma 2 Cost,
inteso come ragionevolezza, che esclude  il  trattamento  analogo  di
situazioni differenti, quali, nella specie, devono  essere  ritenute:
3.1) la condizione del conduttore cui sia stato concesso  il  termine
ex art. 55 comma II 1. cit. e che non  abbia  pagato  il  debito  per
canoni e le spese processuali; 3.2) la condizione del conduttore  cui
sia stato concesso il termine ex art. 55 comma II 1. cit. e che abbia
pagato il debito per canoni e oneri  ma  non  le  spese  processuali;
infatti, in entrambi i casi, l'art. 55 comma  V  1.  cit.  impone  la
risoluzione del contratto; 
        4)  al  parametro  costituito  dal  principio   del   "giusto
processo" di cui all'art. 111  Cost.,  inteso  come  presidio  contro
l'esercizio dell'azione in forme eccedenti, o devianti, rispetto alla
tutela dell'interesse sostanziale, come chiarito dalla giurisprudenza
di legittimita',  in  quanto  la  norma  impone  la  risoluzione  del
contratto,  cioe'  la  compromissione  dell'interesse  abitativo  del
conduttore, anche nei casi in cui,  a  fronte  di  un  suo  obiettivo
sforzo, date le condizioni di difficolta', la lesione  dell'interesse
economico del locatore,  identificata  dalla  differenza  tra  quanto
determinato in sede di concessione del termine ex art. 55 comma II 1.
cit. e quanto pagato  dal  conduttore,  sia  tollerabile  nei  limiti
dell'apprezzabile sacrificio, avuto riguardo  alle  condizioni  delle
parti,  oppure  soltanto  eventuale,  come  nel  caso   delle   spese
processuali. 
    La questione, oltreche' non manifestamente infondata, per  quanto
fin qui esposto, appare  anche  dotata  di  rilevanza  rispetto  alla
fattispecie  in  esame:  dall'applicazione  della  norma,  dalla  cui
costituzionalita' si dubita, il Tribunale non puo' prescindere per la
definizione della controversia sottoposta al suo  esame,  in  cui  la
risoluzione del contratto dovrebbe essere pronunciata - a  fronte  di
una riduzione significativa del debito fondato sul contratto di parte
intimata, pari oggi a euro 250,00 (poco piu' di un decimo del  debito
allegato nell'atto di intimazione), cifra che di per se', in  assenza
di approfondimenti meritevoli di cognizione piena, ferma restando  la
sua spettanza, non pare in grado di incidere nella sfera patrimoniale
del locatore in misura sufficiente  per  giustificare  il  sacrificio
dell'interesse abitativo del conduttore in  difficolta'  economica  -
per la mera non corrispondenza tra la somma individuata quale  debito
per canoni/oneri accessori in sede di concessione del termine ex art.
55 comma II 1. cit. e quella pagata in concreto dal conduttore, oltre
che  per  il  mancato  pagamento  delle  spese   processuali   allora
liquidate. 
    Si  osserva  che  il  debito  allegato  in  atto  di  intimazione
riguardava mensilita'  del  2017:  cio'  significa  che,  oltre  alla
riduzione dell'arretrato, parte intimata  ha  regolarmente  pagato  i
canoni per tutto il 2018. 
    Se  alla  logica  asimmetrica  e  perentoria  della   grazia   si
sostituisce la logica mite, paritetica e  costituzionalmente  fondata
della solidarieta', il risultato cui si perviene, nel caso di specie,
attraverso la pronuncia di risoluzione  imposta  dalla  norma  appare
tale da incidere in misura ingiustificata sull'interesse,  di  natura
personale, all'abitazione dell'intimato. 
    Ad avviso del Tribunale,  l'auspicata  scissione  tra  "sanatoria
della morosita'" ed "esclusione della risoluzione del contratto"  non
dovrebbe avere ricadute sul tenore letterale dell'art. 55 comma I  1.
cit., nel senso che, ferma restando la spettanza di tutti  i  crediti
il cui  titolo  e'  costituito  dal  contratto  di  locazione  a  uso
abitativo, la liquidazione «anticipate  delle  spese  processuali  in
sede di concessione del termine di cui all'art. 55 comma II  1.  cit.
potrebbe comunque essere opportuna  per  agevolare  l'estinzione  del
giudizio prevenendo ragioni ulteriori di contenzioso. 
    Infine, nessuna preclusione alla proponibilita'  della  questione
incidentale puo' derivare dalla natura  sommaria  del  rito  esperito
dalla ricorrente, comunque annoverabile tra  i  possibili  giudizi  a
quibus, stante l'idoneita' ad assumere efficacia  omogenea  a  quella
del giudicato ex art.  2909  cc  del  provvedimento  definitorio  del
presente giudizio. 
 
                                 PQM 
 
    1) letti gli artt. 134 Cost. e 23, L. n. 87/1953, con riferimento
alla domanda proposta da Cesare Bitonti,  dichiara  rilevante  e  non
manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 2, 3, 111 Cost.,
la questione di legittimita' della seguente norma: 
        art. 55 L. n. 392/1978, nella parte in  cui,  prevedendo  che
«il pagamento, nei termini di cui ai camini  precedenti,  esclude  la
risoluzione del contratto», non comprende, tra i casi  di  esclusione
della risoluzione in sede di procedimento per convalida  di  sfratto,
ove al conduttore sia stato concesso il termine previsto dal medesimo
articolo per le sue condizioni di difficolta' economica, l'ipotesi in
cui residui il pagamento delle spese processuali e ogni altra ipotesi
in cui, al momento  della  decisione,  la  caducazione  del  rapporto
contrattuale, tenuto conto dell'entita' del debito residuo per canoni
scaduti, oneri accessori o interessi, avuto riguardo alle  reciproche
posizioni  delle  parti,  determini  un   sacrificio   sproporzionato
dell'interesse abitativo del conduttore; 
    2) dispone la sospensione del  presente  giudizio  ed  ordina  la
trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale; 
    3)  manda  alla  Cancelleria  per  la  notifica  della   presente
ordinanza alle parti e al  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
nonche'  per  la  comunicazione  ai  Presidenti  del   Senato   della
Repubblica e della Camera dei Deputati. 
 
          Modena, 27 novembre 2018 
 
                       Il Giudice: Siracusano