N. 78 SENTENZA 6 marzo - 9 aprile 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Universita' ‒ Condizioni ostative alla partecipazione alle  procedure
  selettive di chiamata dei professori universitari  di  prima  e  di
  seconda fascia. 
- Legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di  organizzazione
  delle universita', di personale accademico e reclutamento,  nonche'
  delega al Governo per incentivare la qualita'  e  l'efficienza  del
  sistema universitario),  art.  18,  comma  1,  lettera  b),  ultimo
  periodo. 
-   
(GU n.16 del 17-4-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  18,  comma
1, lettera b), ultimo periodo, della legge 30 dicembre 2010,  n.  240
(Norme in materia di organizzazione delle universita',  di  personale
accademico e reclutamento, nonche' delega al Governo per  incentivare
la qualita' e l'efficienza del sistema universitario),  promosso  dal
Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione  Siciliana,  nel
procedimento vertente tra l'Universita'  degli  studi  di  Catania  e
Lucia Lo Bello e altra, con ordinanza dell'8 febbraio 2018,  iscritta
al n. 63 del registro ordinanze  2018  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 17,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2018. 
    Visti  gli  atti  di   costituzione   di   Lucia   Lo   Bello   e
dell'Universita' degli studi di Catania,  l'atto  di  intervento  del
Presidente del Consiglio dei ministri e l'atto di intervento di Dario
Francia; 
    udito nella udienza pubblica del 5 marzo 2019 il Giudice relatore
Giuliano Amato; 
    uditi gli avvocati Carmelo Elio Guarnaccia e  Rosario  Panebianco
per Lucia Lo Bello, Felice Giuffre' per l'Universita' degli studi  di
Catania e l'avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata per il  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza depositata l'8 febbraio 2018, il  Consiglio  di
giustizia amministrativa per la Regione Siciliana  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt.  3  e  97  della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 18, comma 1, lettera b), ultimo
periodo, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme  in  materia  di
organizzazione  delle  universita',   di   personale   accademico   e
reclutamento, nonche' delega al Governo per incentivare la qualita' e
l'efficienza del sistema  universitario),  nella  parte  in  cui  non
prevede - tra le condizioni  che  impediscono  la  partecipazione  ai
procedimenti di chiamata dei professori universitari - il rapporto di
coniugio con un docente appartenente al dipartimento o alla struttura
che effettua  la  chiamata,  ovvero  con  il  rettore,  il  direttore
generale  o  un   componente   del   consiglio   di   amministrazione
dell'ateneo. 
    Ad  avviso  del  giudice  a  quo,   la   disposizione   censurata
violerebbe, in primo luogo, l'art.  3  Cost.  per  l'irragionevolezza
insita nella mancata previsione  del  rapporto  di  coniugio  tra  le
situazioni ostative alla partecipazione alle procedure  selettive,  a
fronte della espressa previsione del rapporto di affinita', il  quale
presuppone il rapporto coniugale. 
    Sarebbe violato anche l'art.  97  Cost.,  per  contrasto  con  il
principio   di   buon   andamento   ed   imparzialita'    dell'azione
amministrativa. 
    2.- Il  giudizio  a  quo  ha  per  oggetto  l'impugnazione  della
sentenza  con  cui  il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  la
Sicilia, sezione staccata di Catania, ha annullato  la  nomina  della
vincitrice della procedura selettiva indetta  dall'Universita'  degli
studi di Catania per la chiamata di un professore  di  prima  fascia,
sul rilievo del rapporto di  coniugio  tra  la  vincitrice  ed  altro
professore, appartenente allo stesso dipartimento che aveva richiesto
l'attivazione della procedura. 
    Alla pronuncia di annullamento il TAR e' pervenuto applicando, in
via di interpretazione estensiva, l'art. 18, primo comma, lettera b),
ultimo periodo, della legge n.  240  del  2010,  il  quale  vieta  la
partecipazione ai procedimenti di chiamata di coloro che  abbiano  un
grado di parentela o di affinita', fino al quarto grado compreso, con
un professore appartenente  al  dipartimento  o  alla  struttura  che
effettua la stessa chiamata, ovvero  con  il  rettore,  il  direttore
generale  o  un   componente   del   consiglio   di   amministrazione
dell'ateneo, ma non prevede espressamente il rapporto di coniugio. La
successiva lettera c) del medesimo art.  18  estende  il  divieto  in
esame al conferimento di assegni di ricerca,  alla  stipulazione  dei
contratti di cui al successivo  art.  24  e,  piu'  in  generale,  ai
«contratti a qualsiasi titolo erogati dall'ateneo».  Esso  e'  stato,
altresi', ritenuto applicabile dal Consiglio di Stato e dallo  stesso
Consiglio di  giustizia  amministrativa  anche  ai  procedimenti  per
chiamata diretta. 
    Il giudice a quo osserva che alcune pronunce della giurisprudenza
amministrativa,  anche   di   secondo   grado,   hanno   interpretato
estensivamente  il  divieto,  includendovi  anche  il   rapporto   di
coniugio. In questo caso, infatti, la familiarita' tra  giudicante  e
giudicato  sarebbe   della   massima   intensita'.   Secondo   questa
giurisprudenza, sarebbe quindi irragionevole la  mancata  previsione,
quale causa di incompatibilita', del rapporto di coniugio,  a  fronte
della espressa previsione dell'affinita', che lo presuppone. 
    Tuttavia, ad avviso del giudice  a  quo,  si  tratterebbe  di  un
indirizzo non consolidato, tale da non assurgere a  diritto  vivente,
rispetto al quale sarebbe  viceversa  preminente  la  differenza  tra
coniugio e parentela, nonche' tra coniugio e affinita'. 
    Pur essendo il rapporto di  coniugio  presupposto  di  quello  di
affinita', il rimettente ritiene che alla manifesta  irragionevolezza
della lacuna normativa non si possa ovviare in via interpretativa.  A
cio' osterebbe, da un lato, la natura  tassativa  della  disposizione
che limita la liberta' di accesso ai concorsi pubblici e,  dall'altro
lato, il complessivo ordinamento delle procedure concorsuali, secondo
il quale le cause di esclusione fondate su un  presumibile  conflitto
di interessi devono costituire l'extrema  ratio,  ossia  laddove  non
siano possibili altri strumenti per evitarlo. 
    L'unica via per rimediare a questa irragionevole lacuna  sarebbe,
dunque, rappresentata dall'incidente di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 18, primo comma, lettera b), ultima parte, nella  parte  in
cui non vieta la partecipazione ai procedimenti di chiamata a  coloro
che sono in rapporto di coniugio con un  professore  appartenente  al
dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata, ovvero con il
rettore, il direttore generale  o  un  componente  del  consiglio  di
amministrazione dell'ateneo. 
    3.- Con memoria depositata il 16 maggio 2018,  si  e'  costituita
Lucia Lo  Bello,  parte  appellata  nel  giudizio  a  quo,  chiedendo
l'accoglimento della questione di legittimita' costituzionale. In via
subordinata, ha chiesto che la disposizione  censurata  sia  ritenuta
conforme agli artt. 3  e  97  Cost.,  ove  interpretata  in  modo  da
ricomprendere anche il rapporto di coniugio  tra  le  cause  ostative
alla partecipazione alle procedure  selettive  per  la  chiamata  dei
professori. 
    La parte privata costituita osserva che la disciplina in esame e'
finalizzata alla prevenzione della disparita' di trattamento fra  gli
aspiranti all'accesso a  posti  di  professore  e  ricercatore  nelle
universita'. Essa e' volta ad evitare, anche in astratto, il pericolo
di alterazione della imparzialita', non essendo  richiesta  la  prova
dell'influenza che i rapporti  familiari  considerati  possano  avere
sulla procedura  selettiva.  Questo  obiettivo  avrebbe  una  valenza
generale, mirando ad assicurare la piena trasparenza di ogni pubblica
procedura selettiva. La comunanza di interessi, la solidarieta' e  la
frequentazione che distinguono tali  rapporti  sono  considerate  dal
legislatore   un   ostacolo   all'imparzialita'    della    selezione
concorsuale. 
    La parte privata costituita rileva che, sebbene non espressamente
previsto come causa di esclusione, il rapporto di  coniugio  e'  gia'
stato incluso dalla giurisprudenza amministrativa tra  le  situazioni
genetiche  dell'incompatibilita',  sul  rilievo   del   concetto   di
familiarita', che trova la massima intensita' proprio fra i coniugi. 
    Peraltro,  questa  interpretazione  estensiva  del  divieto  puo'
essere ritenuta incompatibile con la  natura  derogatoria  attribuita
alla disposizione. Al riguardo, e' richiamata la sentenza n. 473  del
1993, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art.  62
del codice di procedura penale del  1930,  nella  parte  in  cui  non
prevedeva che giudici in rapporto di coniugio tra loro non  potessero
esercitare  nello  stesso  procedimento  funzioni  anche  separate  o
diverse. In questo caso, la norma e' stata  ritenuta  eccezionale,  e
non  interpretabile  estensivamente,   sul   presupposto   che   essa
costituisce un limite  alla  pienezza  della  funzione  del  giudice.
Analogamente,  nel  caso  in  esame,  la  natura  derogatoria   della
disposizione censurata andrebbe individuata nel limite che essa  pone
alla liberta' di accesso ai concorsi e di ricerca di un lavoro. 
    3.1.- In via subordinata, la parte costituita propone una lettura
della   disposizione   censurata   che    consentirebbe,    in    via
interpretativa, di superare la questione di costituzionalita'. 
    E' richiamato, a questo  riguardo,  il  contenuto  immediatamente
precettivo dell'art. 97 Cost., che detta la regola  dell'accesso  per
concorso ai pubblici  impieghi  e  che,  allo  stesso  tempo,  impone
all'amministrazione di agire in modo imparziale. 
    Ad avviso della parte costituita, non sarebbe sostenibile neppure
la natura eccezionale della disposizione censurata, poiche' dall'art.
97 Cost. non si ricava una garanzia del  diritto  di  partecipare  ai
concorsi per  tutti  coloro  che  abbiano  le  competenze  richieste.
L'esclusione dal concorso di coloro che  si  trovano  in  determinate
relazioni con l'ente, ritenute tali da condizionarne la  scelta,  non
costituirebbe affatto una deroga, ma sarebbe una  diretta  traduzione
della ratio che ispira l'art. 97 Cost.,  affinche'  il  concorso  sia
veramente  pubblico  e  risponda  ad  un  interesse   generale,   con
esclusione  di  ogni  privilegio  particolare,  quale  puo'  derivare
dall'influenza esercitabile dai congiunti sugli organi che  procedono
alla selezione. 
    Sarebbe, dunque, possibile e doverosa un'interpretazione conforme
all'art. 97 Cost., del quale la disposizione censurata  costituirebbe
attuazione.   Essa    potrebbe,    infatti,    essere    interpretata
estensivamente, in modo da comprendere anche il rapporto di  coniugio
fra le ipotesi  ostative  alla  partecipazione  ai  concorsi  per  la
chiamata dei professori universitari. 
    3.1.2.-  D'altra  parte,  neppure  qualificando  la  disposizione
censurata come  eccezionale  o  derogatoria  vi  sarebbe  un  divieto
assoluto di darne un'interpretazione estensiva, laddove cio'  non  ne
muti la ratio, ne' risulti ridotta  l'area  di  applicabilita'  della
norma derogata, ma sia  individuata  la  reale  portata  della  norma
derogatrice (sono richiamate le sentenze n. 153 del 2017, n. 111  del
2016, n. 6 del 2014, n. 275 del 2005, n. 27  del  2001,  n.  431  del
1997, n. 86 del 1985 e le ordinanze n. 103 del 2012, n. 203 del 2011,
n. 144 del 2009 e n. 10 del 1999). 
    Sarebbe   dunque   ragionevole   e   coerente   con   la    ratio
dell'intervento legislativo riferire il divieto anche al rapporto  di
coniugio, come fonte della medesima incompatibilita'  che  muove  dal
concetto di familiarita', la quale trova la  massima  intensita'  fra
coniugi. La ratio che ha ispirato la legge n. 240  del  2010  sarebbe
proprio quella  di  assicurare  l'imparzialita'  del  reclutamento  e
avanzamento di carriera nel settore universitario, in conformita'  al
principio di uguaglianza  e  al  canone  di  ragionevolezza,  che  ne
costituisce il corollario. 
    4.- L'Universita' degli studi di Catania,  parte  appellante  nel
giudizio a quo, ha  chiesto,  in  via  principale,  che  la  presente
questione sia dichiarata inammissibile o comunque non fondata. 
    4.1.- Ad avviso della parte costituita,  il  legislatore  avrebbe
intenzionalmente omesso di ricomprendere i coniugi nella disposizione
che limita l'accesso ai concorsi universitari. Il coniugio  presenta,
infatti, significativi profili differenziali, tali da giustificare un
trattamento legislativo diversificato. 
    La comune residenza coniugale costituisce  elemento  fondamentale
di garanzia dell'unita' familiare, tale da distinguere la  condizione
dei coniugi da quella dei parenti e affini, per i  quali  non  esiste
alcuna esigenza di vita in comune. Pertanto, escludendo i coniugi dal
divieto in esame, il legislatore avrebbe  inteso  tutelare,  con  una
disciplina differenziata, situazioni diverse rispetto  a  quelle  dei
parenti e degli affini, in armonia con l'art. 3 Cost.  ed  il  canone
della ragionevolezza. 
    Il divieto previsto dalla disposizione censurata sarebbe volto  a
rafforzare  l'imparzialita'  nel  reclutamento  dei  docenti,  in  un
ragionevole  bilanciamento  con  l'interesse  all'unita'   familiare.
Viceversa, sarebbe discriminatorio ed  irragionevole,  oltre  che  in
contrasto con gli artt. 2, 29, 30, 31 e  51  Cost.,  un  divieto  che
costringesse  uno  dei  due  coniugi  a  scegliere  tra  il  rapporto
coniugale,   l'unita'   familiare   e   le   legittime    aspettative
professionali. 
    Si    fa    inoltre    rilevare    che    in    alcuni    settori
scientifico-disciplinari non esisterebbe neppure la  possibilita'  di
chiedere  il  trasferimento  in  altro  dipartimento,  essendo  molte
discipline presenti in un unico  dipartimento.  In  questi  casi,  si
porrebbe l'alternativa  tra  la  rinuncia  alle  proprie  aspirazioni
professionali e la conclusione del matrimonio. 
    Nel   bilanciamento   tra   le   esigenze   dell'uguaglianza    e
imparzialita'  che  presidiano  l'azione  amministrativa   e   quelle
dell'unita' della famiglia dovrebbe essere  attribuita  prevalenza  a
queste ultime. D'altra parte, al fine  di  garantire  l'imparzialita'
sarebbe  stato  sufficiente  delimitare  il  rischio   di   conflitto
d'interessi in concreto,  anziche'  configurare  una  fattispecie  di
radicale  incandidabilita'.  In  molti  altri  ambiti,  infatti,   il
pericolo  di  condizionamento  e'  risolto  attraverso  gli  istituti
dell'astensione  e  della  ricusazione.  L'art.  51  del  codice   di
procedura civile costituirebbe,  infatti,  un  modello  generale  per
risolvere in concreto possibili ipotesi di conflitto di  interessi  o
di "condizionamento parentale". 
    4.2.- In via subordinata, la difesa  della  parte  appellante  ha
dedotto l'illegittimita' costituzionale della disposizione  censurata
in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 51, 97, 29, 30 e 31 Cost., laddove
essa sia interpretata nel senso di ricomprendere  anche  il  coniugio
tra le situazioni ostative della  partecipazione  alle  procedure  in
esame. 
    Cio'  sacrificherebbe  ingiustamente  le  aspettative   di   vita
familiare e di  crescita  professionale  dei  docenti  che  rientrano
nell'ambito di applicazione del divieto. Per costoro,  le  scelte  di
vita della coppia e della famiglia ne uscirebbero perturbate, essendo
costretti ad allontanarsi dal nucleo familiare,  ovvero  dal  proprio
percorso professionale. Il  sacrificio  imposto  al  coniuge  sarebbe
molto piu' gravoso di quello che puo' risentire un  altro  familiare,
non tenuto al rispetto del vincolo di coabitazione. 
    Il divieto  per  i  coniugi  sarebbe,  del  resto,  assolutamente
irragionevole e sproporzionato, poiche' lo  stesso  effetto  potrebbe
essere ottenuto con l'applicazione degli istituti  dell'astensione  e
della  ricusazione,  che  scongiurano   il   rischio   di   conflitto
d'interessi   in   concreto,   senza   pregiudicare   il   necessario
bilanciamento tra diritto al lavoro e tutela della famiglia. 
    5.- Con atto depositato il 15 maggio  2018,  e'  intervenuto  nel
presente  giudizio  il  Presidente  del   Consiglio   dei   ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o  comunque
infondate. 
    In via preliminare, l'interveniente eccepisce  l'inammissibilita'
della  questione   per   l'omessa   sperimentazione   di   un'esegesi
adeguatrice del dato normativo, nel senso di ravvisare  nel  rapporto
di coniugio una situazione genetica della  medesima  incompatibilita'
espressamente prevista dalla disposizione censurata. 
    Tale interpretazione conforme e' gia' stata offerta dal Consiglio
di  Stato,  che  e'  pervenuto  a  questo  risultato  rilevando   che
un'incompatibilita' riferita ad un grado di parentela o di affinita',
fino al quarto grado compreso, si fonda sul possibile  affievolimento
del principio di eguaglianza e della  conseguente  par  condicio  dei
candidati, che deriva dalla familiarita' tra giudicante e  giudicato,
familiarita' che e' di  massima  intensita'  nel  caso  del  coniuge,
considerato anche il suo obbligo di coabitazione. 
    Il divieto in  questione  sarebbe  volto  a  garantire  il  pieno
rispetto dei principi di imparzialita'  e  di  buon  andamento  della
pubblica  amministrazione,  assicurati  anche   dagli   obblighi   di
astensione e ricusazione previsti dagli artt. 51 e 52 cod. proc. civ.
e, per le commissioni di concorso, dall'art. 11 del d.P.R.  9  maggio
1994, n. 487 (Regolamento recante norme  sull'accesso  agli  impieghi
nelle pubbliche amministrazioni e le  modalita'  di  svolgimento  dei
concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme  di  assunzione  nei
pubblici impieghi). Inoltre, il  medesimo  divieto  sarebbe  volto  a
salvaguardare  l'immagine,  la  reputazione   e   il   decoro   delle
universita', assicurando che le procedure di chiamata dei  professori
universitari siano imparziali ed obiettive non solo in concreto,  ma,
soprattutto, che appaiano tali anche in astratto. 
    6.- Con atto depositato l'8  febbraio  2019,  fuori  termine,  e'
intervenuto Dario Francia, chiedendo che la questione  in  esame  sia
dichiarata inammissibile, o comunque non fondata. 
    6.1.- A sostegno della propria legittimazione  a  partecipare  al
giudizio costituzionale, l'interveniente  deduce  di  avere  chiesto,
nell'ambito di un diverso giudizio amministrativo, l'annullamento  di
un provvedimento di diniego di un incarico di docenza  universitaria,
determinato dal rilievo del rapporto di coniugio  con  altro  docente
del medesimo dipartimento. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per  la  Regione
Siciliana ha sollevato, in  riferimento  agli  artt.  3  e  97  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  18,
comma 1, lettera b), ultimo periodo, della legge 30 dicembre 2010, n.
240  (Norme  in  materia  di  organizzazione  delle  universita',  di
personale accademico e reclutamento, nonche' delega  al  Governo  per
incentivare la qualita' e l'efficienza  del  sistema  universitario),
nella parte in cui non prevede - tra le condizioni che impediscono la
partecipazione  ai  procedimenti  per  la  chiamata  dei   professori
universitari - il rapporto di coniugio con un professore appartenente
al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata, ovvero con
il rettore, il direttore generale o un componente  del  consiglio  di
amministrazione dell'ateneo. 
    Ad  avviso  del  giudice  a  quo,   la   disposizione   censurata
violerebbe, in primo luogo, l'art. 3  Cost.,  per  l'irragionevolezza
insita nella mancata previsione del coniugio tra  le  situazioni  che
precludono la partecipazione alle procedure selettive, a fronte della
espressa esclusione dei soggetti legati dal rapporto di affinita', il
quale presuppone il rapporto di coniugio. 
    Sarebbe violato anche l'art.  97  Cost.,  per  contrasto  con  il
principio   di   buon   andamento   ed   imparzialita'    dell'azione
amministrativa. 
    2.-  In  via  preliminare,   va   dichiarata   l'inammissibilita'
dell'intervento ad opponendum di Dario Francia. 
    L'atto di intervento e' stato depositato l'8 febbraio 2019, oltre
il termine di 20 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta  Ufficiale
dell'atto introduttivo del giudizio, previsto dall'art. 4,  comma  4,
delle  Norme  integrative  per   i   giudizi   davanti   alla   Corte
costituzionale, giacche' la pubblicazione  della  suddetta  ordinanza
del Consiglio di giustizia amministrativa e' avvenuta nella  Gazzetta
Ufficiale n. 17 del 26 aprile 2018. 
    Secondo il costante orientamento  di  questa  Corte,  il  termine
previsto dal richiamato art. 4, comma 4, deve ritenersi perentorio  e
non ordinatorio, con la conseguenza che l'intervento avvenuto dopo la
sua scadenza e' inammissibile (ex plurimis, sentenze n. 99 del  2018,
n. 303 del 2010, n. 263 e n. 215 del 2009). 
    3.- Non sono ammissibili  le  deduzioni  svolte  dall'Universita'
degli studi di Catania, in ordine alla  denunciata  violazione  degli
artt. 2, 4, 29, 30, 31 e 51 Cost., in quanto volte  ad  estendere  il
thema decidendum definito dall'ordinanza di  rimessione,  ponendo  in
dubbio la legittimita' costituzionale della  disposizione  in  esame,
ove interpretata nel senso di includere  il  coniugio  tra  le  cause
ostative. 
    La giurisprudenza di questa Corte e' costante  nel  ritenere  che
l'oggetto  del  giudizio  di  legittimita'  costituzionale   in   via
incidentale e' limitato alle disposizioni  e  ai  parametri  indicati
nell'ordinanza di rinvio; non  possono,  pertanto,  essere  presi  in
considerazione, oltre i limiti in questa fissati, ulteriori questioni
o profili di costituzionalita' dedotti dalle parti, sia eccepiti,  ma
non fatti  propri  dal  giudice  a  quo,  sia  volti  ad  ampliare  o
modificare successivamente il contenuto della  stessa  ordinanza  (ex
plurimis, sentenze n. 248, n. 120, n. 27, n. 4 del 2018, n.  251,  n.
250, n. 35 e n. 29 del 2017). 
    4.-  Non  e'  fondata  l'eccezione  di   inammissibilita'   della
questione formulata dall'Avvocatura generale dello Stato per l'omessa
sperimentazione   di   un'interpretazione   conforme   ai    principi
costituzionali. 
    Infatti,   nel   censurare   l'irragionevolezza   della   mancata
previsione del rapporto di coniugio ai fini della partecipazione alle
procedure di chiamata, il giudice a quo  da'  atto  dell'orientamento
giurisprudenziale, secondo il quale la  disposizione  censurata  deve
essere interpretata in modo costituzionalmente orientato,  nel  senso
che si trovano in posizione di incompatibilita' anche coloro che sono
legati da rapporto di coniugio con uno dei  soggetti  indicati  nello
stesso art. 18. 
    Tale  percorso  ermeneutico,  tuttavia,   viene   consapevolmente
scartato  dal  rimettente,  il  quale  ritiene  che  alla   manifesta
irragionevolezza della lacuna normativa non si possa ovviare  in  via
interpretativa. A cio' osterebbe sia la tassativita' della previsione
dei casi di  esclusione,  in  quanto  limitativa  della  liberta'  di
accesso ai concorsi pubblici, sia il  complessivo  ordinamento  delle
procedure concorsuali,  secondo  il  quale  l'esclusione  fondata  su
presumibili conflitti  di  interessi  dovrebbe  costituire  l'extrema
ratio, ove  non  siano  possibili  altri  strumenti  per  evitare  il
conflitto di interessi. 
    Tali considerazioni del rimettente sono sufficienti ad  escludere
l'inammissibilita'  della  questione  per  non   avere   sperimentato
l'interpretazione conforme, che risulta  valutata  e  consapevolmente
esclusa dal giudice a quo. 
    Al riguardo, la giurisprudenza  costituzionale  e'  costante  nel
ritenere che il fatto che il  giudice  a  quo  abbia  consapevolmente
reputato che il tenore letterale della disposizione censurata imponga
un'interpretazione e ne impedisca  altre,  eventualmente  conformi  a
Costituzione, non  e'  ragione  di  inammissibilita',  dato  che  «la
verifica  dell'esistenza  e  della  legittimita'  di  interpretazioni
alternative, che il rimettente  abbia  ritenuto  di  non  poter  fare
proprie, e' questione che attiene al merito del giudizio e  non  alla
sua ammissibilita'» (ex plurimis, sentenze n. 240 del 2018,  n.  194,
n. 69, n. 53, n. 42 del 2017, n. 95 del 2016, n. 221 del 2015). 
    Nel caso in esame, non  osta,  quindi,  all'ammissibilita'  delle
questioni  la  possibilita'  di  interpretazioni  alternative,   come
prospettate da alcune pronunce dei giudici amministrativi e da alcune
parti del giudizio. 
    5.- Le questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  18,
comma 1, lettera b), ultimo periodo, della legge n. 240 del 2010,  in
riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., non sono fondate. 
    5.1.- La disposizione censurata si  inserisce  all'interno  della
disciplina delle procedure di chiamata dei  professori  universitari,
attraverso le quali gli atenei provvedono alla copertura dei posti di
professore di prima e di seconda fascia. Si tratta  di  procedure  di
valutazione   comparativa,   che   presuppongono   il   conseguimento
dell'abilitazione   scientifica    nazionale    e    possiedono    le
caratteristiche del concorso, finalizzato  alla  scelta  del  miglior
candidato in relazione al posto da ricoprire. 
    In particolare, all'art. 18,  primo  comma,  lettera  b),  ultimo
periodo, sono elencate le condizioni che precludono la partecipazione
ai procedimenti di chiamata. Sono espressamente esclusi  «coloro  che
abbiano un grado di  parentela  o  affinita'  fino  al  quarto  grado
compreso con  un  professore  appartenente  al  dipartimento  o  alla
struttura  che  effettua  la  chiamata  ovvero  con  il  rettore,  il
direttore generale o un componente del consiglio di amministrazione». 
    Nella prospettazione del rimettente, questo elenco evidenzierebbe
una lacuna. Non e' contemplato, infatti, il coniuge di chi  sia  gia'
inserito nel dipartimento  coinvolto  nelle  procedure  indicate.  E'
viceversa  previsto,  quale  situazione  ostativa,  il  rapporto   di
affinita',  il  quale  presuppone  il  coniugio.  Sotto  il   profilo
testuale, quindi, il coniugio non  ricade  nel  divieto  in  esame  e
sull'irragionevolezza di questa omissione si appuntano le censure del
giudice a quo. 
    5.2.- Nell'ambito della disciplina delle modalita' di  accesso  e
di avanzamento nella carriera accademica, le  preclusioni  introdotte
dalla disposizione censurata sono volte a  garantire  l'imparzialita'
delle procedure. Attraverso la  previsione  di  limitazioni  riferite
alla situazione soggettiva dei possibili candidati, la legge  n.  240
del 2010 ha inteso rafforzare, in termini assoluti e  preclusivi,  le
garanzie di imparzialita'  della  scelta  dell'amministrazione.  Sino
all'introduzione della disciplina in esame, ad evitare il pericolo di
condizionamenti nello svolgimento della procedura era valso,  invece,
l'obbligo di astensione del soggetto che si trovasse in situazione di
incompatibilita' (art. 51 del codice di procedura civile,  richiamato
dall'art. 11 del d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487,  «Regolamento  recante
norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le
modalita' di svolgimento dei concorsi, dei  concorsi  unici  e  delle
altre forme di assunzione nei pubblici  impieghi»).  Nelle  cause  di
incompatibilita', e nei modi di farle valere, di cui all'art. 51 cod.
proc.  civ.,  la  giurisprudenza  amministrativa  ha  individuato  un
modello  generale,  estensibile   a   tutti   i   campi   dell'azione
amministrativa,  quale   applicazione   dell'obbligo   costituzionale
d'imparzialita' nelle procedure di accesso ad impieghi pubblici. 
    Nell'intervento legislativo in  esame,  che  pure  ha  introdotto
procedure selettive, non solo nazionali, ma  anche  locali,  volte  a
meglio  tutelare  l'imparzialita'  della   selezione,   le   previste
situazioni  di  rigida  incandidabilita'  sono  espressione   di   un
bilanciamento fra il diritto  di  ogni  cittadino  a  partecipare  ai
concorsi universitari e le ragioni dell'imparzialita', che  e'  tutto
improntato alla prevalenza di tali ragioni. Che essa non  includa  il
coniugio  come  motivo  di  incandidabilita'  degli  aspiranti   alla
chiamata non puo'  ritenersi  irragionevole.  Il  coniugio  richiede,
infatti,   un   diverso   bilanciamento.   Esso   pone    a    fronte
dell'imparzialita' non soltanto il diritto a partecipare ai concorsi,
ma anche le molteplici ragioni  dell'unita'  familiare,  esse  stesse
costituzionalmente tutelate. 
    Sono  infatti  fuor  di  dubbio  le  peculiarita'   del   vincolo
matrimoniale  rispetto  a  tutte  le   altre   situazioni   personali
contemplate dalla disposizione censurata. Il matrimonio scaturisce di
frequente da una relazione che,  nell'universita'  come  altrove,  si
forma nell'ambiente di lavoro dove si radicano le prospettive  future
di entrambe le parti. Si caratterizza per l'elemento  volontaristico,
viceversa mancante  negli  altri  rapporti  considerati,  e  comporta
convivenza, responsabilita' e doveri di cura reciproca e  dei  figli,
cosi' come previsto dal codice civile. 
    La  considerazione  di  tali  elementi   differenziali   vale   a
giustificare, su un piano di ragionevolezza, il trattamento riservato
dalla disposizione censurata al vincolo derivante dal matrimonio. Se,
da un lato, la comune residenza  coniugale  costituisce  elemento  di
garanzia  dell'unita'  familiare,  dall'altro   lato,   la   presenza
dell'elemento volontaristico puo' rendere eludibile e, quindi,  priva
di effetti, la eventuale previsione  normativa  dell'incandidabilita'
del coniuge, frustrandone cosi' le stesse finalita'. 
    Appare dunque  piu'  aderente  alle  esigenze  qui  in  gioco  un
bilanciamento che affidi la finalita' di  garantire  l'imparzialita',
la trasparenza e la parita' di trattamento nelle procedure  selettive
a meccanismi meno gravosi, attinenti ai componenti degli  organi  cui
e'  rimessa  la  valutazione  dei  candidati.  Come  gia'  osservato,
nell'art. 51 cod.  proc.  civ.  e'  stata  individuata  l'espressione
dell'obbligo  costituzionale  d'imparzialita'  nelle   procedure   di
accesso all'impiego pubblico. E in tale articolo, la' dove lo  si  e'
voluto, il coniugio e' esplicitamente regolato, accanto  al  rapporto
di parentela e di affinita' fino al quarto grado. 
    E' inoltre significativo che, in altri sistemi  giuridici  vicini
al nostro, da un  lato,  vengono  promossi  percorsi  accademici  che
favoriscono  l'unita'  familiare,  e   dall'altro   lato,   che   qui
maggiormente rileva, l'esigenza di preservare l'accesso alla carriera
accademica da possibili  condizionamenti  e'  soddisfatta  attraverso
meccanismi diversi dalla drastica previsione dell'incandidabilita'. 
    L'attuale  regolazione  delle  situazioni   che   precludono   la
partecipazione alle procedure di  chiamata  costituisce,  dunque,  il
risultato di un bilanciamento non  irragionevole  tra  la  pluralita'
degli interessi in gioco. La  disposizione  censurata  non  si  pone,
dunque, in contrasto con il parametro di cui all'art.  3  Cost.,  ne'
lede i principi di imparzialita' e buon andamento di cui all'art.  97
Cost. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara inammissibile l'intervento di Dario Francia; 
    2)  dichiara   non   fondate   la   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 18, comma 1,  lettera  b),  ultimo  periodo,
della  legge  30  dicembre  2010,  n.  240  (Norme  in   materia   di
organizzazione  delle  universita',   di   personale   accademico   e
reclutamento, nonche' delega al Governo per incentivare la qualita' e
l'efficienza del sistema universitario), sollevate dal  Consiglio  di
giustizia amministrativa per la  Regione  Siciliana,  in  riferimento
agli artt. 3 e 97 della Costituzione,  con  l'ordinanza  indicata  in
epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 marzo 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                      Giuliano AMATO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 9 aprile 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA