N. 82 SENTENZA 20 febbraio - 11 aprile 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale ‒ Dibattimento ‒ Facolta' dell'imputato di richiedere
  l'applicazione della pena, ex art.  444  del  codice  di  procedura
  penale,  relativamente  al  reato  concorrente  emerso  nel   corso
  dell'istruzione dibattimentale e oggetto di nuova contestazione. 
- Codice di procedura penale, art. 517. 
-   
(GU n.16 del 17-4-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  517  del
codice di procedura  penale,  promosso  dal  Tribunale  ordinario  di
Alessandria, nel procedimento penale a carico di G. S., con ordinanza
del 25 ottobre 2017, iscritta al n. 3 del registro ordinanze  2018  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  4,  prima
serie speciale, dell'anno 2018. 
    Udito nella camera di consiglio del 20 febbraio 2019  il  Giudice
relatore Franco Modugno. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Alessandria, con ordinanza  del  25
ottobre 2017, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo
comma, della Costituzione, questione di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 517 del codice di procedura penale, nella parte in cui  non
prevede la  facolta'  dell'imputato  di  richiedere  al  giudice  del
dibattimento l'applicazione della pena, a norma  dell'art.  444  cod.
proc. pen., relativamente  al  reato  concorrente  emerso  nel  corso
dell'istruzione  dibattimentale  e  che  forma   oggetto   di   nuova
contestazione. 
    1.1.-  Premette  il  giudice  rimettente  che,  nel   corso   del
dibattimento, all'esito di perizia balistica, era emerso  che  i  tre
fucili oggetto della  imputazione  di  illecita  detenzione  di  arma
comune da sparo di cui agli artt. 2 e 7 della legge 2  ottobre  1967,
n. 895 (Disposizioni per il controllo delle armi), contestata al capo
b), - all'imputato era stata contestata anche una contravvenzione  in
materia di rifiuti, rubricata sotto il capo a) nonche'  il  reato  di
tentata violenza privata, rubricata sotto  il  capo  c)  -  erano  da
considerarsi armi da sparo atte all'impiego; ma era  altresi'  emerso
che uno dei tre fucili recava la matricola  abrasa  e  non  meramente
illeggibile, come  riferito  dall'ufficiale  di  polizia  giudiziaria
esaminato nel dibattimento. 
    In relazione  a  detta  arma,  pertanto,  il  pubblico  ministero
procedeva alla contestazione del reato  di  cui  all'art.  23,  terzo
comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110  (Norme  integrative  della
disciplina vigente per il controllo delle  armi,  delle  munizioni  e
degli esplosivi), in  quanto  arma  clandestina  (capo  d),  ed  alla
correlativa contestazione del delitto di ricettazione della  medesima
arma (capo e). 
    In riferimento a tali nuove contestazioni,  l'imputato  formulava
richiesta  di  applicazione  della  pena,   indicando   il   relativo
trattamento sanzionatorio e subordinando  la  richiesta  stessa  alla
concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. 
    A fronte di tale richiesta - ha puntualizzato il giudice a quo  -
il pubblico ministero ha  negato  il  proprio  consenso,  in  quanto,
trattandosi di nuove «contestazioni fisiologiche e non  patologiche»,
esse  non  consentirebbero  «la  remissione   in   termini   per   il
patteggiamento», alla luce dei principi affermati nella  sentenza  di
questa Corte n. 265 del  1994.  A  questo  punto,  il  Tribunale,  su
accordo delle parti, disponeva lo stralcio dei reati di cui  ai  capi
a) e c) che venivano separatamente definiti con sentenza. 
    Nel ritenere corretta la  qualificazione  giuridica  delle  nuove
contestazioni elevate dal pubblico  ministero  e  non  sussistendo  i
presupposti per l'adozione di  una  sentenza  di  proscioglimento  ai
sensi dell'art. 129 cod. proc. pen., il giudice a quo  reputa  dunque
astrattamente accoglibile la richiesta di applicazione della pena per
i reati connessi  contestati  in  dibattimento  (connessione  che  il
giudice  a  quo  desume  dalla  continuazione  fra  tutti   i   reati
concernenti le armi); ma, al tempo stesso, ritiene fondati i  rilievi
del  pubblico  ministero,  dal  momento  che,  trattandosi  di  nuova
contestazione cosiddetta fisiologica a norma dell'art. 517 cod. proc.
pen., non e' prevista una "rimessione in termini" rispetto al termine
di decadenza stabilito dall'art. 446, comma 1, cod. proc. pen. 
    1.2.- Verificata,  pertanto,  la  rilevanza  della  normativa  in
questione per la decisione sulla domanda di applicazione della  pena,
il Tribunale reputa che  la  stessa,  nella  parte  in  cui  preclude
all'imputato la possibilita' di formulare richiesta di patteggiamento
in  riferimento  al  reato  concorrente,  frutto   di   contestazione
suppletiva "fisiologica", contrasti con il diritto di difesa e con  i
principi  di  uguaglianza  e  di  ragionevolezza,  in  rapporto  alla
differente disciplina riservata ad eguali situazioni. 
    Nel   rievocare   i   percorsi   seguiti   dalla   giurisprudenza
costituzionale, il giudice a quo rammenta, infatti, come ad un  primo
iniziale  orientamento  di  rigore,  che  faceva  leva  sulla  natura
premiale dei  riti  alternativi  e,  dunque,  sulla  possibilita'  di
accedere agli stessi solo laddove si fosse garantita  la  definizione
del processo senza procedere alla celebrazione del  dibattimento  (si
citano le sentenze nn. 593 e 277 del 1990 e n. 316 del 1992), con  la
successiva  sentenza  n.  265  del  1994  tale   orientamento   venne
modificato  nel  caso  di   contestazioni   dibattimentali   tardive,
dichiarando illegittimi gli artt. 516 e 517 cod.  proc.  pen.,  nella
parte in cui non prevedevano la facolta' per l'imputato di richiedere
al giudice del dibattimento l'applicazione di pena a norma  dell'art.
444 cod. proc.  pen.  relativamente  al  fatto  diverso  o  al  reato
concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione
concerneva un fatto che gia' risultava  dagli  atti  di  indagine  al
momento dell'esercizio della azione penale (contestazione  cosiddetta
patologica),  ovvero  quando  l'imputato  aveva   tempestivamente   e
ritualmente proposto la  richiesta  di  applicazione  della  pena  in
ordine alla originaria imputazione. 
    Piu' di recente, rammenta ancora il giudice a quo, questa  Corte,
con la sentenza n. 184 del 2014, ha rimosso la preclusione a definire
il processo con l'applicazione della pena su  richiesta,  in  seguito
alla contestazione nel dibattimento di una circostanza aggravante che
gia' risultava dagli  atti  di  indagine  al  momento  dell'esercizio
dell'azione penale. 
    Per cio' che concerne il giudizio abbreviato, dopo una prima fase
caratterizzata da alcune pronunce di inammissibilita', fondate  sulle
innovazioni  introdotte  dalla  legge  16  dicembre  1999,   n.   479
(Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in
composizione monocratica e altre modifiche  al  codice  di  procedura
penale. Modifiche al codice di  procedura  penale  e  all'ordinamento
giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile  pendente,
di indennita' spettanti al giudice  di  pace  e  di  esercizio  della
professione forense), la Corte, con la sentenza n. 333 del  2009,  ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale degli artt. 516 e 517 cod.
proc.  pen.,  nella  parte  in  cui  non  prevedevano   la   facolta'
dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento  il  giudizio
abbreviato, relativamente al fatto diverso  o  al  reato  concorrente
contestati in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un
fatto  che  gia'  risultava  dagli  atti  di  indagine   al   momento
dell'esercizio della azione penale. 
    Con tale ultima pronuncia e con la successiva sentenza n. 139 del
2015  -  la  quale  ha  dichiarato  l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 517 cod. proc. pen., nella parte in cui  non  prevedeva  la
facolta' di richiedere il  giudizio  abbreviato  con  riferimento  al
reato  per  il  quale  vi  sia  stata  contestazione  suppletiva   di
circostanza aggravante che gia' risultava agli  atti  al  momento  di
esercizio della azione penale - la Corte,  sottolinea  il  giudice  a
quo, ha parificato le situazioni del patteggiamento  e  del  giudizio
abbreviato, rimovendo definitivamente le preclusioni derivanti  dalle
contestazioni "patologiche". 
    1.3.- In merito, invece, alle contestazioni  "fisiologiche",  con
la sentenza n. 237 del  2012  la  Corte,  modificando  il  precedente
orientamento negativo, ha dichiarato l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 517 cod. proc. pen., nella parte in cui non  consentiva  di
richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato per  il
reato concorrente emerso  nel  corso  del  dibattimento,  e  divenuto
oggetto  della  nuova  contestazione.  Cio',   in   particolare,   in
considerazione  della  non  necessaria  prevedibilita'  di  possibili
variazioni della accusa nel corso della istruzione dibattimentale. 
    La medesima soluzione e' stata adottata anche nella  sentenza  n.
273 del 2014, con la quale  e'  stato  dichiarato  costituzionalmente
illegittimo l'art. 516 cod.  proc.  pen.,  nella  parte  in  cui  non
prevedeva la facolta' dell'imputato  di  richiedere  al  giudice  del
dibattimento il giudizio abbreviato per il fatto diverso  emerso  nel
corso  della  istruzione   dibattimentale   ed   oggetto   di   nuova
contestazione. 
    Anche per cio'  che  concerne  il  patteggiamento  -  puntualizza
ancora il giudice rimettente - la Corte, con la sentenza n.  206  del
2017, ha  ritenuto  estensibili,  alla  richiesta  di  patteggiamento
formulata in dibattimento in caso di "contestazione fisiologica"  del
fatto  diverso  a  norma  dell'art.   516   cod.   proc.   pen.,   le
argomentazioni gia'  svolte  in  relazione  al  giudizio  abbreviato,
rilevando come l'imputato, il quale subisca una nuova  contestazione,
viene a trovarsi in una posizione diversa e deteriore, per  cio'  che
attiene alla facolta' di accesso ai riti alternativi, rispetto a  chi
fosse stato  chiamato  a  rispondere  della  stessa  imputazione  fin
dall'inizio. Da qui, la declaratoria di illegittimita' costituzionale
dell'art. 516 cod. proc. pen., nella parte  in  cui  non  prevede  la
facolta' dell'imputato di  richiedere  al  giudice  del  dibattimento
l'applicazione della pena a norma  dell'art.  444  cod.  proc.  pen.,
relativamente al  fatto  diverso  emerso  nel  corso  dell'istruzione
dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione. 
    Pure in questa circostanza, sottolinea il giudice rimettente,  e'
stato ribadito che condizione essenziale per il diritto di difesa  e'
che l'imputato abbia ben chiari i termini dell'accusa che  gli  viene
mossa,  con  la  conseguenza  che,  in  presenza  di   una   modifica
"fisiologica" della stessa, non puo' essergli preclusa la facolta' di
richiedere il patteggiamento, sol  perche',  non  avendolo  richiesto
prima, si sarebbe assunto il rischio di tale evenienza. 
    Una valutazione, questa, la cui coerenza e' stata gia' esclusa da
questa Corte in riferimento al giudizio abbreviato, con la  ricordata
sentenza n. 273 del 2014, sul rilievo che la stessa farebbe dipendere
dalle scelte del pubblico ministero  -  se  esercitare  separatamente
l'azione penale o invece procedere alla  contestazione  suppletiva  -
rispettivamente, la possibilita' di recuperare o meno la opzione  per
il rito alternativo. 
    1.4.- Alla stregua dei riferiti rilievi, la preclusione a  fruire
dei  vantaggi  connessi  al  patteggiamento  in  ipotesi   di   reato
concorrente  emerso  nel  corso  del  dibattimento  ed   oggetto   di
contestazione suppletiva, si tradurrebbe, ad  avviso  del  giudice  a
quo, in una compressione dei diritti di difesa  non  addebitabile  ad
alcuna colpevole inerzia,  ne'  giustificabile  alla  stregua  di  un
prevedibile  sviluppo  dibattimentale  il  cui  rischio   sia   stato
consapevolmente assunto. L'opzione per  il  patteggiamento,  infatti,
costituisce  -  per  consolidata  giurisprudenza   costituzionale   -
espressione del diritto di difesa, il cui esercizio  e'  condizionato
dal fatto che  l'imputato  ben  conosca  il  quadro  dell'accusa.  La
contestata preclusione si  tradurrebbe,  dunque,  in  una  violazione
dell'art. 24, secondo comma, Cost. 
    Si determinerebbe, al tempo stesso, una disparita' di trattamento
fra l'imputato al quale sin dall'inizio siano stati contestati  tutti
gli addebiti, con possibilita' di optare per un rito  alternativo,  e
l'imputato che invece - per carenza di indagini o altra  causa  -  si
sia visto elevare una imputazione incompleta, e che, a seguito  della
istruzione dibattimentale, subisca l'imputazione di un reato connesso
a norma dell'art. 12 comma 1, lettera  b),  cod.  proc.  pen.,  senza
poter piu' fruire di un rito alternativo. Il che violerebbe l'art.  3
Cost. sotto il profilo dell'uguaglianza. 
    Si  deduce,  altresi',  la  irragionevolezza   della   disciplina
processuale che sarebbe scaturita dalle sentenze di questa  Corte  n.
530 del 1995 e n. 237  del  2012,  in  quanto,  mentre  nel  caso  di
contestazione "fisiologica" di reato connesso a norma  dell'art.  517
cod. proc. pen. l'imputato puo' recuperare in dibattimento i vantaggi
derivanti da alcuni riti speciali, in particolare proporre domanda di
oblazione in relazione al  fatto  diverso  ed  al  reato  concorrente
(sentenza n. 530 del 1995), e richiedere il  giudizio  abbreviato  in
caso di contestazione del reato concorrente  emerso  in  dibattimento
(sentenza n. 237 del 2012), altrettanto non avviene  -  senza  alcuna
valida giustificazione - per l'applicazione della pena  su  richiesta
delle parti in riferimento al reato concorrente  contestato  a  norma
dell'art. 517 cod. proc. pen., in ipotesi di contestazione  anch'essa
"fisiologica". 
    Considerato, infine, che  i  progressivi  allargamenti  circa  le
possibilita' di accesso ai riti alternativi in dibattimento  in  caso
di contestazione del reato concorrente sono avvenuti solo  a  seguito
di singole declaratorie di illegittimita' costituzionale,  reputa  il
giudice a quo impraticabile  una  interpretazione  costituzionalmente
orientata che soddisfi anche l'ipotesi del patteggiamento,  ritenendo
di conseguenza necessaria, anche per il caso dedotto,  una  pronuncia
additiva del Giudice delle leggi. 
    2.- Nel giudizio di costituzionalita' non  ha  spiegato  atto  di
intervento il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Tribunale  ordinario   di   Alessandria   dubita   della
legittimita' costituzionale dell'art. 517  del  codice  di  procedura
penale, nella parte in cui non prevede la facolta'  dell'imputato  di
richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione della  pena,  a
norma  dell'art.  444  cod.  proc.  pen.,  relativamente   al   reato
concorrente emerso nel corso  dell'istruzione  dibattimentale  e  che
forma oggetto di nuova contestazione. 
    A parere del giudice rimettente, la censurata lacuna normativa si
porrebbe  in  contrasto  con  l'art.   24,   secondo   comma,   della
Costituzione, in quanto la preclusione a fruire dei vantaggi connessi
al patteggiamento, in ipotesi di reato concorrente emerso  nel  corso
del  dibattimento  ed  oggetto  di   contestazione   suppletiva,   si
tradurrebbe  in  una  compressione  dei   diritti   di   difesa   non
addebitabile ad alcuna colpevole  inerzia,  ne'  giustificabile  alla
stregua di un prevedibile sviluppo dibattimentale il cui rischio  sia
stato consapevolmente assunto dall'imputato. 
    Sarebbe altresi' vulnerato l'art. 3 Cost., sotto il  profilo  del
principio  di  uguaglianza,  in  quanto  la   censurata   preclusione
determinerebbe una disparita' di trattamento fra l'imputato al  quale
sin dall'inizio  siano  stati  contestati  tutti  gli  addebiti,  con
possibilita' di optare per un  rito  alternativo,  e  l'imputato  che
invece - per carenza di indagini o altra causa - si sia visto elevare
una  imputazione  incompleta,  e  che,  a  seguito  della  istruzione
dibattimentale, subisca la imputazione di un reato connesso  a  norma
dell'art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., senza poter  piu'
fruire di un rito alternativo. 
    Verrebbe anche compromesso il  principio  di  ragionevolezza,  in
quanto risulterebbe incoerente la disciplina processuale che  sarebbe
scaturita dalle richiamate sentenze di questa Corte n. 530 del 1995 e
n. 237 del 2012, dal momento che, mentre nel  caso  di  contestazione
cosiddetta "fisiologica" di reato connesso a norma dell'art. 517 cod.
proc. pen., l'imputato puo' recuperare  in  dibattimento  i  vantaggi
derivanti da alcuni riti speciali, in particolare proponendo  domanda
di oblazione in relazione al fatto diverso ed  al  reato  concorrente
(sentenza n. 530 del 1995), e richiedendo il giudizio  abbreviato  in
caso di contestazione del reato concorrente  emerso  in  dibattimento
(sentenza n. 237 del 2012), un simile recupero non viene consentito -
senza alcuna valida giustificazione - per l'applicazione  della  pena
su  richiesta  delle  parti  in  riferimento  al  reato   concorrente
contestato a norma dell'art. 517  cod.  proc.  pen.,  in  ipotesi  di
contestazione anch'essa "fisiologica". 
    2.- La questione e' fondata. 
    2.1.-  Come  ha  puntualmente  rammentato   lo   stesso   giudice
rimettente, la tematica  dei  rapporti  tra  le  nuove  contestazioni
dibattimentali  ed  il  "recupero",  da  parte  dell'imputato,  della
facolta' di formulare in quella sede  richiesta  di  applicazione  di
riti  alternativi  -  opzioni,  queste,  temporalmente  precluse  dal
raggiungimento   di   uno    stadio    processuale    concettualmente
"incompatibile" con modelli procedimentali ad esso, per  definizione,
"alternativi" - ha formato oggetto di numerosi interventi da parte di
questa Corte, contrassegnati da una linea evolutiva ispirata  ad  una
sempre maggiore apertura. 
    Nel codice di rito vigente,  infatti,  e'  apparso  coerente  con
l'impostazione  tendenzialmente   accusatoria,   assegnare   -   come
chiaramente emerge dalla Relazione  al  Progetto  preliminare  -  uno
spazio alle modifiche della contestazione ben piu'  ampio  di  quanto
ammesso nel  codice  previgente,  considerato  che,  collocandosi  la
formulazione dell'addebito all'esito delle indagini  preliminari,  e,
dunque, di una fase non  destinata  alla  raccolta  delle  prove,  e'
logico  presupporre  che   l'istruzione   probatoria   dibattimentale
fisiologicamente comporti la possibilita' che in quella sede  vengano
ad emersione elementi di novita', che rendono  necessario  modificare
il quadro della accusa, in termini e con una portata del tutto ignoti
nella logica del codice del 1930, nel quale la fase del  dibattimento
faceva invece seguito ad una articolata fase di istruttoria,  al  cui
esito  l'accusa  era  chiamata  a   cristallizzarsi   nell'atto   che
determinava la translatio iudicii. 
    2.2.- L'istituto  delle  nuove  contestazioni  dibattimentali  si
pone, peraltro, in possibile frizione col diritto di difesa e  -  per
cio' che qui maggiormente interessa - con le opzioni relative ai riti
alternativi, che di quel diritto sono parte essenziale.  Rispetto  al
tema di accusa contestato in dibattimento  -  e  che  costituisce  un
novum rispetto alla  contestazione  elevata  all'atto  dell'esercizio
della azione penale -  vengono,  infatti,  in  discorso  le  facolta'
difensive  che  l'imputato  avrebbe  potuto  esercitare  prima  della
mutatio libelli (basti pensare, al riguardo, alle facolta'  difensive
esercitabili in sede di udienza preliminare e, piu' in  generale,  al
tema del diritto alla prova, anche nella prospettiva delle cosiddette
indagini difensive, ignote nella versione originaria  del  codice  di
rito), nonche' le preclusioni che caratterizzano  l'accesso  ai  riti
speciali. 
    Le nuove contestazioni dibattimentali hanno dunque rappresentato,
proprio sotto quest'ultimo profilo, un vero e proprio punctum dolens,
che ha comportato, sin dai primi  tempi  di  applicazione  del  nuovo
codice di procedura, l'attenzione di questa Corte, dal momento che, a
fronte del "nuovo" quadro contestativo, risultavano ormai  spirati  i
termini entro i quali formulare la richiesta di procedimenti speciali
e  dei  meccanismi  di  definizione   anticipata   del   procedimento
(oblazione). Riti e meccanismi che, per giurisprudenza costituzionale
costante  (da  ultimo,  sentenza  n.  141  del  2018),  costituiscono
anch'essi modalita' di esercizio, e tra  le  piu'  qualificanti,  del
diritto di difesa. 
    Per  effetto  delle  nuove  contestazioni  elevate  dal  pubblico
ministero nel corso del  dibattimento,  l'imputato  potrebbe  infatti
trovarsi a dover fronteggiare un'accusa in ordine alla quale  sarebbe
suo interesse chiedere i citati riti  o  meccanismi  alternativi;  ma
tali opportunita' gli sono  normativamente  precluse,  essendo  ormai
decorsi i termini utili per le relative richieste. 
    Da qui, l'avvio di  un  progressivo  percorso  di  riallineamento
costituzionale della disciplina codicistica, le  cui  tappe  salienti
non pare superfluo rievocare, anche per giungere alla enunciazione di
taluni  approdi,  che  valgano  ad  esaurire,  pro  futuro,  l'intera
tematica. 
    2.3.- In una prima - e ormai  superata  -  fase,  l'atteggiamento
della Corte fu, come e' noto, improntato ad un rigoroso atteggiamento
negativo rispetto a possibilita' di "recupero" postumo della facolta'
di accedere  ai  riti  alternativi,  una  volta  spirato  il  termine
"fisiologico" del loro espletamento. La Corte ha, infatti, piu' volte
osservato, tanto a proposito  dell'applicazione  di  pena  concordata
quanto  a  proposito  del  giudizio   abbreviato,   che   l'interesse
dell'imputato a beneficiare dei vantaggi conseguenti a tali  giudizi,
in tanto rileva, in quanto  egli  rinunzi  al  dibattimento  e  venga
percio'  effettivamente  adottata  una  sequenza  procedimentale  che
consenta  di  raggiungere  l'obiettivo  di  rapida  definizione   del
processo perseguito dal legislatore con l'introduzione di detti  riti
speciali. Ed  ha  altresi'  ritenuto,  piu'  specificamente,  che  la
preclusione all'ammissione di tali giudizi, in caso di  contestazione
dibattimentale suppletiva, non risultasse irragionevole.  Si  tratta,
infatti - ha  affermato  la  Corte  -  di  un'evenienza  che  non  e'
infrequente in un sistema  processuale  imperniato  sulla  formazione
della prova in dibattimento ed e' - soprattutto  -  ben  prevedibile,
dato lo stretto rapporto intercorrente tra  l'imputazione  originaria
ed il reato connesso; e, per contro, di un'evenienza che e'  preclusa
ove tali riti siano introdotti. 
    Di  conseguenza,  si  osservo',  il  relativo   rischio   rientra
naturalmente nel calcolo in base al quale l'imputato si  determina  a
chiederli o meno, onde egli non ha che da addebitare a  se'  medesimo
le conseguenze della propria scelta (tra le tante,  sentenze  n.  129
del 1993, n. 316 del  1992,  n.  277  e  n.  593  del  1990,  nonche'
l'ordinanza n. 213 del 1992). 
    Il tema, pero', e' stato poco dopo approfonditamente riesaminato,
specie alla luce della "non colpevole inerzia" serbata  dall'imputato
a fronte della  "tardivita'"  della  contestazione  nuova  mossa  dal
pubblico ministero, in quanto  elevata  in  forza  di  elementi  gia'
acquisiti all'atto della contestazione originaria, posta a  base  del
provvedimento dispositivo del giudizio. 
    La giurisprudenza della Corte  ha  cosi'  finito  per  "adeguare"
gradualmente l'accesso ai riti alternativi, a fronte di contestazioni
dibattimentali cosiddette "patologiche", appunto perche' frutto di un
"ritardo" imputabile al pubblico ministero. 
    2.4.- Gia' con la sentenza n. 265 del 1994, la Corte  ha  rivisto
le proprie  posizioni,  in  caso,  appunto,  di  nuove  contestazioni
"patologiche". Nel frangente, la  Corte  ha  infatti  osservato  che,
poiche' le valutazioni dell'imputato circa la  convenienza  del  rito
speciale  -  giudizio  abbreviato  e  di  applicazione   della   pena
("patteggiamento")   -   vengono   indissolubilmente   a   dipendere,
anzitutto, dalla concreta impostazione data al processo dal  pubblico
ministero, e cioe'  dalla  natura  dell'addebito,  quando  non  possa
rinvenirsi  alcun  profilo  di  inerzia  dell'imputato  e  quindi  di
addebitabilita'  al  medesimo   delle   conseguenze   della   mancata
instaurazione del rito differenziato - come nel caso di errore, sulla
individuazione del fatto e del titolo del reato, in cui e' incorso il
pubblico ministero - risulta lesivo del diritto di difesa  precludere
all'imputato  l'accesso  ai  riti  speciali  a   seguito   di   nuove
contestazioni per fatto diverso o per reato concorrente nel corso del
dibattimento, dal momento che l'imputazione  subisce  una  variazione
sostanziale. E cio', anche nel caso in cui il procedimento  richiesto
dall'imputato sia stato ingiustificatamente  o  erroneamente  negato,
con    la    conseguente    inapplicabilita',    relativamente     al
"patteggiamento", del comma 1  dell'art.  448  cod.  proc.  pen.  con
riguardo alla nuova contestazione: in tal modo, infatti, risulterebbe
inevitabilmente incongrua la pena richiesta, in quanto formulata  con
riferimento ad imputazione modificata nel corso del dibattimento. 
    Tale preclusione - ha osservato  la  Corte  -  risultava  inoltre
censurabile in  riferimento  all'art.  3  Cost.,  venendo  l'imputato
irragionevolmente discriminato, ai fini dell'accesso ai  procedimenti
speciali,  in  dipendenza  della  maggiore  o  minore   esattezza   o
completezza della discrezionale valutazione circa le risultanze delle
indagini preliminari, operata dal pubblico ministero. 
    Conseguentemente, con riguardo al  procedimento  di  applicazione
della pena su richiesta,  avendo  la  Corte  gia'  affermato  che  e'
possibile fare  applicazione  dell'istituto  della  restituzione  nel
termine,   e   quindi   non   sussistendo   ostacoli   di   carattere
logico-sistematico,   vennero   dichiarati   incostituzionali,    per
violazione degli artt. 3 e 24 Cost., gli artt. 516 e 517  cod.  proc.
pen., nella parte in cui non prevedevano la facolta' dell'imputato di
richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione  della  pena  a
norma dell'art. 444 cod. proc. pen., relativamente al fatto diverso o
al reato concorrente contestato  in  dibattimento,  quando  la  nuova
contestazione concernesse un fatto che gia' risultava dagli  atti  di
indagine preliminare al momento  dell'esercizio  dell'azione  penale,
ovvero  quando  l'imputato  avesse  tempestivamente   e   ritualmente
proposto  la  richiesta  di  applicazione  di  pena  in  ordine  alle
originarie imputazioni. 
    Diverse furono le conclusioni in tema di giudizio abbreviato.  Si
ritenne, infatti, che, pur essendo censurabile, in  riferimento  agli
artt. 3 e 24 Cost., la preclusione per l'imputato all'accesso ai riti
speciali a seguito di nuove contestazioni per  fatto  diverso  o  per
reato concorrente nel corso del dibattimento nel caso di errore sulla
individuazione del fatto e del titolo del reato in cui fosse  incorso
il pubblico ministero, con  riferimento  al  giudizio  abbreviato  la
questione dovesse tuttavia essere dichiarata inammissibile poiche'  -
come gia' rilevato dalla Corte in un giudizio su analoga questione  -
la scelta di un meccanismo di trasformazione del rito, come auspicato
dal giudice rimettente, oltre che opinabile  da  un  punto  di  vista
tecnico-sistematico  data  l'inconciliabilita'  della  procedura  del
giudizio abbreviato con quella dibattimentale, non potesse  ritenersi
scelta costituzionalmente obbligata, ponendosi in termini alternativi
ad   altre   possibili   opzioni   attinenti   alla    sfera    della
discrezionalita' legislativa (quali - si osservo' nel frangente -  la
possibilita' di applicazione della riduzione della pena di  un  terzo
da  parte  del  giudice  all'esito  del  dibattimento  verificati   i
presupposti suddetti ovvero la preclusione, in tali casi, della nuova
contestazione, con conseguente trasmissione degli  atti  al  pubblico
ministero relativamente ad essa). 
    2.5.- Il problema del giudizio abbreviato venne, pero', novamente
affrontato e risolto con la successiva sentenza n. 333 del 2009.  Con
tale pronuncia, infatti,  la  Corte  ha  ritenuto  costituzionalmente
illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost.,
l'art. 517 cod. proc. pen., nella  parte  in  cui  non  prevedeva  la
facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del  dibattimento  il
giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente contestato  in
dibattimento, quando la nuova contestazione concerneva un  fatto  che
gia' risultava  dagli  atti  di  indagine  al  momento  di  esercizio
dell'azione penale. Premesso - rilevo' la Corte - che  il  dubbio  di
costituzionalita'  investiva  la  fattispecie   della   contestazione
suppletiva  tardiva  (derivante,  cioe',  da  un'incompletezza   gia'
apprezzabile  sulla  base  degli  atti  di  indagine  e   non   dalla
fisiologica emersione di nuovi  elementi  nel  corso  dell'istruzione
dibattimentale), e che oggetto di scrutinio era la perdita, da  parte
dell'imputato, della facolta'  di  accesso  al  giudizio  abbreviato,
essendo la nuova contestazione intervenuta dopo che  era  spirato  il
termine ultimo di proposizione della  relativa  richiesta,  la  norma
censurata violava gli evocati parametri costituzionali, poiche', come
gia' riconosciuto dalla sentenza n. 265  del  1994,  nell'ipotesi  di
contestazione   dibattimentale   tardiva,   precludere   all'imputato
l'accesso ai  riti  speciali  e'  «lesivo  del  diritto  di  difesa»,
risultando la libera scelta dell'imputato verso il  rito  alternativo
sviata da aspetti di anomalia nella condotta processuale del pubblico
ministero,    collegati    all'erroneita'     o     all'incompletezza
dell'imputazione,  riscontrabili  gia'  sulla  base  degli   elementi
acquisiti nel corso delle indagini. 
    Si ritenne anche violato  l'art.  3  Cost.,  «venendo  l'imputato
irragionevolmente discriminato, ai fini dell'accesso ai  procedimenti
speciali,  in  dipendenza  della  maggiore  o  minore   esattezza   o
completezza della discrezionale valutazione  delle  risultanze  delle
indagini preliminari operata dal pubblico  ministero  nell'esercitare
l'azione penale». 
    Infatti - si  osservo'  -  la  citata  sentenza  del  1994  aveva
dichiarato inammissibile l'omologa  questione  relativa  al  giudizio
abbreviato, ma solo  perche'  il  vulnus  costituzionale,  ugualmente
ravvisabile,  poteva  essere  colmato  attraverso  plurime  soluzioni
rimesse alla discrezionalita' legislativa, stante l'inconciliabilita'
di  fondo  del  rito  abbreviato  con  la  procedura  dibattimentale.
Tuttavia - osservo' ancora la Corte - la successiva evoluzione  della
disciplina   dell'istituto,   svincolato   dai   presupposti    della
definibilita' del processo allo stato degli atti e del  consenso  del
pubblico  ministero  e  dotato  di  un  meccanismo  di   integrazione
probatoria,  doveva  indurre  a  ritenere   superata   la   segnalata
incompatibilita', sicche' lo  stesso  giudice  dibattimentale  poteva
ritenersi abilitato a disporre e celebrare il giudizio abbreviato. 
    L'accesso  al  rito  alternativo  per  il  reato  oggetto   della
contestazione suppletiva tardiva, anche quando avvenga  in  corso  di
dibattimento, risultava comunque sia idoneo a produrre un effetto  di
economia processuale, giacche' consentiva al giudice del dibattimento
di decidere sulla nuova imputazione allo stato degli atti. 
    La declaratoria di illegittimita' della norma censurata,  dunque,
si imponeva, oltre che per rimuovere i profili di contrasto  con  gli
artt. 3 e 24, secondo comma, Cost. gia' rilevati dalla  sentenza  del
1994, anche per eliminare  la  differenza  di  regime,  in  punto  di
recupero della facolta' di accesso ai riti alternativi  a  fronte  di
una contestazione suppletiva  tardiva,  secondo  che  si  discuta  di
patteggiamento  o  di  giudizio  abbreviato:  differenza   che,   nel
rinnovato panorama normativo, si rivelava essa stessa  fonte  di  una
discrasia rilevante sul piano del rispetto dell'art. 3 Cost. 
    La dichiarazione di illegittimita' costituzionale, per violazione
degli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., dell'art.  517  cod.  proc.
pen. comportava la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo  1953,  n.
87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul  funzionamento  della   Corte
costituzionale), dell'art. 516 del medesimo codice,  nella  parte  in
cui non prevedeva la facolta' dell'imputato di richiedere al  giudice
del  dibattimento  il  giudizio  abbreviato  relativamente  al  fatto
diverso contestato in dibattimento,  quando  la  nuova  contestazione
concernesse un fatto che gia' risultava dagli  atti  di  indagine  al
momento di  esercizio  dell'azione  penale.  Infatti,  i  profili  di
violazione degli evocati parametri costituzionali, riscontrabili  con
riferimento all'ipotesi di contestazione nel corso  del  dibattimento
di un reato concorrente, sussistevano, allo  stesso  modo,  anche  in
rapporto  alla  parallela  ipotesi  in  cui  la  nuova  contestazione
dibattimentale consista, ai sensi  dell'art.  516  cod.  proc.  pen.,
nella modifica dell'imputazione originaria per diversita' del fatto. 
    2.6.- Il progressivo "sgretolamento" delle  preclusioni  ai  riti
alternativi in caso di contestazione "patologica" e' stato portato ad
ulteriore stadio con la sentenza n. 184 del 2014,  con  la  quale  e'
stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli
artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., l'art. 517 cod. proc. pen., nella
parte in cui non prevedeva la facolta' dell'imputato di richiedere al
giudice del dibattimento l'applicazione di pena,  a  norma  dell'art.
444 cod. proc. pen., in seguito alla contestazione  nel  dibattimento
di una circostanza  aggravante  che  gia'  risultava  dagli  atti  di
indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale. 
    2.7.- L'ultimo  "tassello"  che  ha  completato  l'operazione  di
"recupero"  dei   riti   alternativi   in   caso   di   contestazioni
"patologiche" e' rappresentato dalla sentenza n. 139 del 2015, con la
quale  e'  stato  dichiarato  costituzionalmente   illegittimo,   per
violazione degli artt. 3 e 24 Cost.,  l'art.  517  cod.  proc.  pen.,
nella parte in cui, nel caso  di  contestazione  di  una  circostanza
aggravante che gia' risultava  dagli  atti  di  indagine  al  momento
dell'esercizio  dell'azione  penale,  non   prevedeva   la   facolta'
dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento  il  giudizio
abbreviato relativamente al reato oggetto della nuova contestazione. 
    2.8.- Il fulcro delle  decisioni  di  cui  innanzi  si  e'  detto
appare,  dunque,  essere  concentrato   essenzialmente   sulla   "non
addebitabilita'" all'imputato dello spirare del termine "fisiologico"
per la scelta dei riti alternativi, l'opzione per i  quali  non  puo'
non presupporre un completamento della imputazione elevata  nei  suoi
confronti.   Solo   attraverso   una    esauriente    e    tempestiva
cristallizzazione del quadro di accusa e' infatti possibile assegnare
un termine per l'esercizio di facolta'  processuali  che  -  come  le
scelte sui riti alternativi - con quel quadro devono  necessariamente
misurarsi, traendo esse naturale  alimento  proprio  dalla  natura  e
specificazione delle fattispecie incriminatrici e  dalle  correlative
basi fattuali. 
    2.9.- La giurisprudenza costituzionale ha pero'  subito  notevoli
evoluzioni  anche  per  cio'  che  attiene  al  terreno  delle  nuove
contestazioni che nascano da acquisizioni dibattimentali  e,  dunque,
del tutto "fisiologiche" nel quadro della mutatio  libelli.  Il  che,
come si e' rammentato, costituiva  la  ragione  di  fondo  che  aveva
orientato inizialmente la Corte  ad  escludere  qualsiasi  "recupero"
postumo, sul piano  delle  richieste  di  riti  alternativi,  proprio
facendo leva sulla "prevedibilita'" che  l'imputazione  possa  subire
modifiche alla luce della istruzione probatoria dibattimentale. 
    Gia' con la sentenza n.  530  del  1995,  infatti,  la  Corte  ha
dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt.
3, primo comma, e 24, secondo comma, Cost.,  l'art.  517  cod.  proc.
pen., nella parte in cui non prevedeva la facolta'  dell'imputato  di
proporre domanda di oblazione, ai sensi degli artt. 162 e 162-bis del
codice penale,  relativamente  al  reato  concorrente  contestato  in
dibattimento, in quanto -  posto  che  l'istituto  dell'oblazione  si
fonda sia sull'interesse dello Stato  di  definire  con  economia  di
tempo  e  di  spesa  i  procedimenti  relativi  ai  reati  di  minore
importanza,  sia  sull'interesse  del   contravventore   di   evitare
l'ulteriore corso del procedimento e la eventuale condanna (con tutte
le conseguenze della stessa); e comporta,  come  effetto  tipico,  la
estinzione del  reato  -  la  preclusione  dell'accesso  all'istituto
stesso  (ed  ai  connessi  benefici),  nel  caso  in  cui  il   reato
suscettibile di  estinzione  per  oblazione  costituisca  oggetto  di
contestazione  nel  corso  dell'istruzione  dibattimentale  ai  sensi
dell'art. 517 cod.  proc.  pen.,  risultava  lesiva  del  diritto  di
difesa, nonche' priva di razionale giustificazione. 
    Nel frangente, venne  dichiarato  costituzionalmente  illegittimo
(ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del  1953),  per  violazione
degli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, Cost., anche  l'art.
516 cod. proc. pen., nella parte in cui  non  prevedeva  la  facolta'
dell'imputato di proporre domanda di oblazione, ai sensi degli  artt.
162 e 162-bis cod. pen., relativamente al fatto diverso contestato in
dibattimento. 
    2.10.- Il "cammino" della Corte e' poi proseguito con la sentenza
n. 237 del 2012, con la quale e' stato dichiarato  costituzionalmente
illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., l'art. 517 cod.
proc.  pen.,  nella  parte  in  cui   non   prevedeva   la   facolta'
dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento  il  giudizio
abbreviato  relativamente  al  reato  concorrente  emerso  nel  corso
dell'istruzione  dibattimentale,  che  forma  oggetto   della   nuova
contestazione. 
    Dopo aver sottolineato  che  la  questione  di  costituzionalita'
aveva  ad  oggetto  la  fattispecie  della  contestazione  suppletiva
"fisiologica"  di  un  reato  concorrente,  vale  a  dire  la   nuova
contestazione in dibattimento di  un  fatto  emerso  solo  nel  corso
dell'istruzione dibattimentale, e che oggetto  di  scrutinio  era  la
perdita,  da  parte  dell'imputato,  della  facolta'  di  accesso  al
giudizio abbreviato, essendo la nuova contestazione intervenuta  dopo
che era spirato il termine  ultimo  di  proposizione  della  relativa
richiesta, la Corte ha ritenuto  che  la  norma  censurata,  valutata
nell'odierno panorama ordinamentale, violasse gli  evocati  parametri
costituzionali, dal  momento  che,  rappresentando  la  contestazione
suppletiva di reato concorrente operata ai sensi dell'art.  517  cod.
proc. pen.  un  atto  equipollente  agli  atti  tipici  di  esercizio
dell'azione penale,  il  mancato  riconoscimento  all'imputato  della
facolta' di optare, anche in tale caso, per  il  giudizio  abbreviato
era  fonte  di  ingiustificata  disparita'  di   trattamento   e   di
compressione delle facolta' difensive. 
    Poiche' l'esigenza di corrispettivita' tra riduzione della pena e
deflazione  processuale  non  puo'   prevalere   sul   principio   di
uguaglianza, ne' tantomeno sul diritto di difesa,  e  atteso  che  la
decisione di valersi del giudizio abbreviato  costituisce  una  delle
scelte piu' delicate attraverso le quali  si  esplicano  le  facolta'
defensionali,  allorche'  all'accusa  originaria  ne  venga  aggiunta
un'altra, sia  pure  connessa,  non  possono  non  essere  restituiti
all'imputato termini e condizioni per esprimere le proprie opzioni. 
    Inoltre, l'accesso al rito alternativo per il reato oggetto della
contestazione suppletiva tardiva, anche quando avvenga  in  corso  di
dibattimento, risulta comunque sia idoneo a produrre  un  effetto  di
economia processuale, giacche' consente al giudice  del  dibattimento
di decidere sulla nuova imputazione allo stato degli atti. 
    La declaratoria di incostituzionalita' della norma  censurata  si
imponeva, altresi' - osservo' ancora la Corte - al fine di  rimuovere
la disparita' di trattamento tra giudizio abbreviato e oblazione dopo
che la sentenza  n.  530  del  1995  ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen., nella parte  in
cui non prevedevano la facolta' dell'imputato di proporre domanda  di
oblazione relativamente al  fatto  diverso  e  al  reato  concorrente
contestati   in   dibattimento,   indipendentemente   dal   carattere
"patologico" o "fisiologico" della nuova contestazione. 
    Un rilievo, quest'ultimo, in forza del quale  la  Corte  si  fece
carico di "armonizzare" fra loro situazioni, scaturite  dalle  stesse
decisioni della Corte, che imponevano  un  necessario  riallineamento
sul piano della  ammissione  ai  riti  alternativi  o  meccanismi  di
soluzione  anticipata  della  regiudicanda;  pena,   altrimenti,   la
evidente compromissione del principio di uguaglianza. 
    2.11.- Un ulteriore "segmento" inerente al critico  rapporto  tra
mutatio libelli e riti alternativi venne rimosso con la  sentenza  n.
273 del 2014. 
    Con   tale    pronuncia,    infatti,    e'    stato    dichiarato
costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt.  3  e  24,
Cost., l'art. 516 cod. proc. pen., nella parte in cui  non  prevedeva
la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice  del  dibattimento
il giudizio abbreviato relativamente  al  fatto  diverso  emerso  nel
corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto  della  nuova
contestazione. Sono, infatti, estensibili - osservo' la  Corte  -  le
considerazioni svolte nella richiamata sentenza n. 237 del  2012  con
la quale era stato dichiarato illegittimo l'art. 517 cod. proc. pen.,
nella parte  in  cui  non  consentiva  all'imputato  di  chiedere  il
giudizio abbreviato al giudice del dibattimento in relazione al reato
concorrente oggetto di contestazione suppletiva "fisiologica", volta,
cioe',   ad   adeguare   l'imputazione    alle    nuove    risultanze
dell'istruzione dibattimentale. 
    Pertanto, anche in rapporto alla contestazione "fisiologica"  del
fatto diverso, l'imputato che subisce la nuova contestazione viene  a
trovarsi in posizione diversa e deteriore - quanto alla  facolta'  di
accesso  ai  riti  alternativi  e  alla  fruizione  della   correlata
diminuzione di pena - rispetto a chi, della stessa imputazione, fosse
stato  chiamato  a  rispondere  sin  dall'inizio.   La   disposizione
censurata, inoltre, determinava - ribadi', ancora una volta, la Corte
-  una  ingiustificata  disparita'  di  trattamento   di   situazioni
analoghe,   tenuto   conto   del   possibile   recupero,   da   parte
dell'imputato, della facolta' di accesso al giudizio  abbreviato  per
circostanze puramente "occasionali" che  determinino  la  regressione
del procedimento, come  nel  caso  in  cui,  a  seguito  delle  nuove
contestazioni, il reato rientri tra quelli per  cui  si  procede  con
udienza preliminare e questa non sia stata tenuta. 
    2.12.- A  completamento  degli  interventi  che  hanno  preso  in
considerazione il tema delle nuove contestazioni  "fisiologiche",  va
rammentata la sentenza n. 206  del  2017,  con  la  quale  la  Corte,
rievocando   precedenti   dicta,   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 516 cod. proc. pen., nella parte in cui  non
prevedeva la facolta' dell'imputato  di  richiedere  al  giudice  del
dibattimento l'applicazione della pena a  norma  dell'art.  444  cod.
proc.  pen.,  relativamente  al  fatto  diverso  emerso   nel   corso
dell'istruzione  dibattimentale,  che  forma  oggetto   della   nuova
contestazione. 
    L'importanza di correlare la domanda di applicazione  della  pena
ad un  quadro  accusatorio  "ben  sedimentato"  giustifica  l'assunto
secondo il quale al "patteggiamento"  non  puo'  essere  riservato  -
proprio sul  terreno  delle  nuove  contestazioni  -  un  trattamento
deteriore rispetto a quello riconosciuto (al  lume  della  richiamata
giurisprudenza costituzionale) al giudizio abbreviato. 
    2.13.- Un punto sostanziale e quasi definitivo di "approdo" della
giurisprudenza costituzionale e' stato da  ultimo  raggiunto  con  la
sentenza n. 141 del 2018, con la quale -  operandosi  un  tendenziale
superamento della distinzione tra nuove contestazioni  "fisiologiche"
o "patologiche" - e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 517 cod. proc. pen., nella parte in cui,  in  seguito  alla
nuova contestazione di una circostanza aggravante, non  prevedeva  la
facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del  dibattimento  la
sospensione del procedimento con messa alla prova. 
    In tale pronuncia, la Corte ha sottolineato che «[i]n  un  quadro
complessivo di principi, quale quello che, come e'  stato  ricordato,
si e'  andato  delineando  in  modo  sempre  piu'  nitido  attraverso
l'evoluzione  giurisprudenziale,  e'  chiaro   che,   nel   caso   di
contestazione suppletiva di una circostanza aggravante, non prevedere
nell'art. 517 cod. proc. pen. la facolta' per l'imputato di  chiedere
la sospensione del procedimento con messa alla prova si risolve, come
e' stato ritenuto per il patteggiamento e per il giudizio abbreviato,
in una violazione degli artt. 3 e 24 Cost.». 
    La Corte ha, infatti,  ribadito  che  «[l]a  richiesta  dei  riti
alternativi  "costituisce  [...]   una   modalita',   tra   le   piu'
qualificanti (sentenza n. 148 del 2004), di esercizio del diritto  di
difesa (ex plurimis, sentenze n. 219 del 2004, n. 70 del 1996, n. 497
del 1995 e n. 76  del  1993)"  (sentenza  n.  237  del  2012),  e  si
determinerebbe una situazione in contrasto  con  il  principio  posto
dall'art. 3 Cost. se  nella  medesima  situazione  processuale  fosse
regolata diversamente la facolta' di chiederli». 
    D'altra parte, va pure osservato  che  non  avrebbe  alcun  senso
l'aver imposto - anche in ragione di non pochi interventi  di  questa
Corte (fra le altre, sentenze n. 201 del 2016, n. 148 del 2004  e  n.
497 del 1995) - la previsione dell'avviso a pena di nullita', rivolto
all'imputato nei vari atti con i quali  si  dispone  il  giudizio  in
mancanza  di  udienza  preliminare  (a  proposito  di   quest'ultima,
ordinanza n. 309 del 2005), circa la facolta' di richiesta  dei  riti
alternativi, ove ad un siffatto avviso - sanzionato,  se  omesso,  in
modo cosi'  grave,  e,  dunque,  chiamato  a  svolgere  una  funzione
tutt'altro che meramente "didascalica" - fosse correlata una facolta'
processuale  che,  peraltro,  finirebbe  per  risultare   nei   fatti
sostanzialmente elusa, nelle ipotesi in cui i contorni dell'accusa  -
oggetto  e  termine   di   riferimento   delle   "scelte"   difensive
dell'imputato - subiscano in dibattimento ("fisiologicamente" o meno)
un  significativo  e  qualificato  mutamento  contenutistico,   senza
offrire una possibilita' di "rinnovare"  quelle  scelte  in  rapporto
alla "novazione" della accusa. 
    Questa Corte  ha  infatti  avuto  modo  di  puntualizzare,  nella
richiamata sentenza n. 141 del 2018, che «[i]l dato  rilevante  [...]
e' la sopravvenienza di una contestazione suppletiva, quali che siano
gli elementi che l'hanno giustificata, esistenti fin dalle indagini o
acquisiti nel  corso  del  dibattimento,  ed  e'  ad  essa  che  deve
ricollegarsi  la  facolta'  dell'imputato   di   chiedere   un   rito
alternativo, indipendentemente dalla ragione per cui la richiesta  in
precedenza e' mancata». 
    Se, dunque, la possibilita' di richiedere i riti  alternativi  si
salda a fil doppio al diritto di difesa - in particolare, al  diritto
di scegliere il modello processuale piu' congeniale all'esercizio  di
quel diritto  -  e  se  e'  la  regiudicanda,  nelle  sue  dimensioni
"cristallizzate", a costituire la base su cui  operare  tali  scelte,
non puo' che desumersi la incoerenza con quel  diritto  di  qualsiasi
preclusione che ne limiti l'esercizio concreto, tutte le volte in cui
il sistema ammetta una mutatio libelli in sede dibattimentale. 
    Cio', tanto piu' nelle ipotesi - come quella che ricorre nel caso
di specie - in cui sono addirittura nuove regiudicande ad aggiungersi
a  quelle  precedentemente  contestate,  sia   pure   attraverso   il
collegamento offerto dalla connessione, di cui all'art. 12, comma  1,
lettera b), cod. proc. pen. 
    2.14.-  L'epilogo  cui  occorre  pervenire  agli  effetti   della
specifica questione oggetto del presente giudizio e', a questo punto,
manifesto. Dal momento che - come si e' ricordato - questa  Corte  ha
gia' ritenuto, con la sentenza n. 184  del  2014,  costituzionalmente
illegittimo l'art. 517 cod.  proc.  pen.,  nella  parte  in  cui  non
prevedeva la facolta' per l'imputato di chiedere il patteggiamento in
ipotesi di contestazione "patologica" di una circostanza  aggravante,
e' chiaro che la identica ratio decidendi fa ritenere che la medesima
facolta'  debba  essere  riconosciuta  anche  in  rapporto   ad   una
contestazione "fisiologica" di un reato connesso. 
    Allo stesso modo, coglie nel segno il rilievo del giudice a  quo,
che evoca la irrazionalita' della censurata  preclusione  che  ancora
residua nel sistema, a fronte della  sentenza  additiva  n.  237  del
2012, con la quale, nel caso di contestazione "fisiologica" del reato
connesso, si e' consentito all'imputato  di  richiedere  il  giudizio
abbreviato:  rito,   quest'ultimo,   il   cui   "innesto"   in   sede
dibattimentale, risulta ben  piu'  problematico  del  patteggiamento,
tant'e' che questa Corte - come si e' accennato - si era inizialmente
orientata (con la sentenza n. 265 del 1994) per  la  inammissibilita'
della questione. 
    Deve d'altra parte porsi in  evidenza  che  l'accoglimento  della
questione risulta, per certi aspetti ormai  dovuto  alla  luce  della
sentenza n. 206 del 2017, dal momento che, come gia'  segnalato,  con
tale pronuncia e' stata estesa la facolta' di proporre  richiesta  di
patteggiamento relativamente al fatto diverso emerso nel corso  della
istruzione dibattimentale, e, dunque, oggetto di nuova  contestazione
ugualmente "fisiologica". Fatto diverso e  reato  connesso,  entrambi
emersi per  la  prima  volta  in  dibattimento,  integrano,  infatti,
evenienze  processuali  che,  sul  versante  dell'accesso   ai   riti
alternativi, non possono non rappresentare situazioni  fra  loro  del
tutto analoghe. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 517 del codice
di procedura penale, nella parte  in  cui  non  prevede  la  facolta'
dell'imputato   di   richiedere   al   giudice    del    dibattimento
l'applicazione della pena, a norma dell'art.  444  cod.  proc.  pen.,
relativamente al reato concorrente emerso nel corso del  dibattimento
e che forma oggetto di nuova contestazione. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                      Franco MODUGNO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria l'11 aprile 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA