N. 65 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 febbraio 2019

Ordinanza del 28 febbraio 2019 del Consiglio  nazionale  forense  sul
reclamo proposto  da  Giusteschi  Conti  Nicola  e  Duykers  Mannocci
Ricardo contro Consiglio dell'Ordine degli avvocati di  La  Spezia  e
altri. 
 
Professioni - Avvocato e procuratore - Elezione  dei  componenti  dei
  consigli degli ordini circondariali forensi - Limiti all'elettorato
  passivo - Ineleggibilita' degli avvocati che abbiano gia' espletato
  due mandati consecutivi - Norma di interpretazione  autentica  che,
  ai fini del rispetto del divieto  di  rielezione,  prevede  che  si
  tenga conto anche dei mandati espletati, anche solo in parte, prima
  dell'entrata in vigore dell'art. 3, comma 3, secondo periodo, della
  legge n. 113 del 2017. 
- Legge 12 luglio 2017,  n.  113  (Disposizioni  sulla  elezione  dei
  componenti dei consigli degli ordini circondariali  forensi),  art.
  3, comma 3, secondo periodo; decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135
  (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione  per
  le imprese e per  la  pubblica  amministrazione),  convertito,  con
  modificazioni, nella legge 13 (recte: 11)  febbraio  2019,  n.  12,
  art. 11-quinquies. 
(GU n.18 del 2-5-2019 )
 
                     CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE 
 
    Il Consiglio, nelle persone dei consiglieri: 
        avv. Francesco Logrieco, Presidente f.f.; 
        avv. Carla Broccardo, segretario f.f.; 
        avv. Fausto Amadei, componente; 
        avv. Antonio De Michele, componente; 
        avv. Lucio Del Paggio, componente; 
        avv. Diego Geraci, componente; 
        avv. Anna Losurdo, componente; 
        avv. Enrico Merli, componente; 
        avv. Arturo Pardi, componente; 
        avv. Michele Salazar, componente; 
        avv. Vito Vannucci, componente; 
        avv. Francesca Sorbi, componente; 
        avv. Francesco Marullo di Condojanni, componente; 
        avv. Carlo Allorio, componente; 
        avv. Priamo Siotto, componente; 
        avv. Giuseppe Gaetano Iacona, componente. 
    Il Consiglio nazionale forense, nel reclamo  elettorale  iscritto
al n. 8/2019 di ruolo generale presentato il 21  gennaio  2019  dagli
avvocati Nicola Giusteschi Conti (C.F.  GSTNCL67R28E463X)  e  Ricardo
Duykers Mannocci  (C.F.  DYKRRD60H22G702Y),  rappresentati  e  difesi
dall'avv. Fabio Valerini del foro di La Spezia, avverso la  decisione
della Commissione elettorale dell'Ordine degli avvocati di La  Spezia
dell'11 gennaio 2019, contro il Consiglio dell'Ordine degli  avvocati
di La  Spezia  e  la  Commissione  elettorale  costituita  presso  il
medesimo Ordine, nonche' nei  confronti  dei  controinteressati  avv.
Salvatore  Lupinacci,  rappresentato  e  difeso   dall'avv.   Daniele
Granara, avvocati  Alessandro  Cardasi,  Carmelo  Maurizio  Sergi   e
Federica Eminente rappresentati e difesi dall'avv. Luigi Cocchi, e di
altri controinteressati, non costituiti; 
    udita la relazione del consigliere avv. Enrico Merli; 
    sentito il procuratore generale presso la  Corte  di  cassazione,
cons. dott. Riccardo Fuzio; 
    sentiti procuratori delle parti; 
    letti gli atti ed i documenti prodotti; 
    a scioglimento della riserva espressa all'udienza del 15 febbraio
2019; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza. 
I. L'oggetto del giudizio. 
    1.1. Gli avvocati  Nicola  Giusteschi  Conti  e  Ricardo  Duykers
Mannocci, il primo iscritto all'albo degli avvocati di La Spezia,  il
secondo  candidato  alle  elezioni  per  il  rinnovo  del   Consiglio
dell'Ordine degli avvocati di La Spezia per il quadriennio 2019/2022,
hanno proposto reclamo avverso la proclamazione degli eletti  dell'11
gennaio 2019, riferendo quanto segue. 
    Le elezioni, indette con deliberazione e contestuale decreto  del
Consiglio dell'Ordine in data 5 dicembre 2018, si tenevano nei giorni
7, 8, 9, 10 ed 11 gennaio  2019.  In  tale  ultima  data,  chiusa  la
votazione ed  effettuato  lo  scrutinio,  la  Commissione  elettorale
procedeva alla proclamazione degli eletti, fra i quali,  nelle  prime
quattro posizioni, si collocavano  gli avvocati  Salvatore  Lupinacci
con 444 preferenze, Federica Eminente  con  280  preferenze,  Carmelo
Maurizio Sergi con 249 preferenze,  ed  Alessandro  Cardosi  con  241
preferenze. Per contro, il reclamante avv. Ricardo  Duykers  Mannocci
si collocava al 4° posto tra  candidati  non  eletti,  riportando  96
preferenze. 
    1.2. Tanto premesso,  i'  reclamanti  hanno  formulato  un  unico
motivo di reclamo,  contestando  l'illegittimita'  del  provvedimento
assunto  dalla  Commissione  elettorale  per  «Violazione  e/o  falsa
applicazione dell'art. 3, comma 3, della legge 12 luglio 2017 n.  113
e/o  della  norma  di   interpretazione   autentica   contenuta   nel
decreto-legge 11 gennaio 2019, n. 2.». 
    Tale disposizione e' stata interpretata dalla Corte di cassazione
SS.UU. civili per la prima volta con la  sentenza  n.  32781  del  20
dicembre 2018 che, nell'occasione, ha enunciato il seguente principio
di  diritto:  «in  tema  di  elezioni  dei  Consigli   degli   ordini
circondariali forensi, la disposizione dell'art. 3, comma 3,  secondo
periodo, della legge 12 luglio 2017, n. 113,  in  base  alla  quale i
consiglieri non  possono  essere  eletti  per  piu'  di  due  mandati
consecutivi, si intende riferita anche  ai  mandati  espletati  anche
solo in parte prima della sua  entrata  in  vigore»,  precisando  che
l'efficacia retroattiva della norma si applica anche a  quei  mandati
svolti «anche solo in parte sotto il regime anteriore alle riforme di
cui alle leggi 31 dicembre 2012 n. 247 e 12 luglio 2017, n. 113.». 
    Il portato della decisione e' stato trasfuso nel decreto-legge 11
gennaio 2019, n. 2, recante «Misure urgenti e  indifferibili  per  il
rinnovo dei consigli degli ordini circondariali forensi», il cui art.
1, comma 1, prescriveva che l'art. 3, comma 3, secondo periodo, legge
n. 113/2017 «si interpreta nel senso che, ai fini  del  rispetto  del
divieto di cui al  predetto  periodo,  si  tiene  conto  dei  mandati
espletati, anche solo in parte, prima della sua  entrata  in  vigore,
compresi quelli iniziati anteriormente all'entrata  in  vigore  della
legge 31 dicembre 2012, n. 247. Resta fermo quanto previsto dall'art.
3, comma 3, terzo periodo, e comma 4 della legge 12 luglio  2017,  n.
113.». 
    Cosi  ricostruito  il  quadro  normativa  e   interpretativo   di
riferimento,  i  reclamanti  rilevano  come  gli avvocati  Lupinacci,
Cardosi, Sergi ed Eminente siano  stati  illegittimamente  proclamati
eletti, avendo ricoperto l'ufficio di consigliere in via continuativa
dal 2004 al 2018 i primi tre, e dal 2005 al 2018 l'ultima, sia pur in
ragione dei risultati di diverse tornate elettorali. 
    1.3. Tanto premesso, i reclamanti concludono  per  l'annullamento
del provvedimento di proclamazione degli eletti e degli atti ad  esso
prodromici con riferimento alle posizioni dei Consiglieri  Lupinacci,
Cardosi e Sergi ed Eminente e  che,  per  l'effetto,  questo  Giudice
disponga il subentro dei primi quattro non  eletti,  individuati  nei
candidati avvocati Federica Giorgi,  Davide  Barboni,  Luca  Bicci  e
Ricardo Duykers Mannocci. In via cautelare, chiedono al  Collegio  di
disporre l'anticipazione degli  effetti  della  decisione  di  merito
anche provvedendo inaudita altera parte. 
    1.4. In data 4 febbraio 2019, si  e'  ritualmente  costituito  il
Consigliere Salvatore Lupinacci, rappresentato e  difeso  dall'avv.to
Daniele Granara, chiedendo il rigetto del reclamo con  argomentazioni
fondate,  per  quanto  in  questa  sede  rileva,  sulle  ragioni   di
incostituzionalita' della normativa applicabile. 
    In  particolare,  la  difesa  dei  resistenti  sollecita   questo
Consiglio a valutare non manifestamente  infondate  le  questioni  di
legittimita' «degli articoli 3, comma 3, secondo periodo e 17,  comma
3, legge n. 113/2017, con riferimento agli articoli 1, 2,  3  e  51»,
proposte per le ragioni che seguono. 
        i)   «in   via   principale»,    il    resistente    denuncia
l'illegittimita'  costituzionale  delle  norme   richiamate   nonche'
«dell'interpretazione fornita dalle SS.UU. della Corte di  cassazione
con la sentenza n. 32781/2018», in  quanto  volte  a  comprimere,  in
violazione degli articoli 51, comma 3 e 1 della  Costituzione,  tanto
l'elettorato  passivo  quanto,  di  riflesso,  quello  attivo,  e  il
conseguente diritto degli iscritti all'albo di esprimere  liberamente
il proprio voto nei confronti dei  colleghi  ritenuti  meritevoli  di
fiducia, indipendentemente o, addirittura,  in  ragione  dei  mandati
consiliari gia' svolti. 
    Evidenzia,  a  questo  proposito,  la  differenza  tra  l'ipotesi
considerata e gli analoghi divieti previsti per le  cariche  elettive
di Sindaco e di Presidente della regione. Mentre, difatti,  nel  caso
delle elezioni amministrative la compressione dei  diritti  garantiti
dall'art.  51  Costituzione   risulta   sufficientemente   bilanciata
dall'opposto valore costituito dalla  necessita'  di  consentire  «la
piu' ampia alternanza delle forze politiche  nell'accesso  a  cariche
elettive»,  a  garanzia  della  «piu'  ampia   rappresentanza   della
collettivita'», tale condizione non sussiste nel  caso  dell'elezione
alle cariche forensi. Nel caso oggetto del giudizio, la  compressione
del  diritto  di  elettorato  risulterebbe  completamente  priva   di
contrappesi  costituzionali  tali  da  considerarla  legittima   alla
stregua degli articoli 51, comma 3 e 1 della Costituzione, in ragione
della completa assenza di connotazione politica degli  eligendi,  che
si candidano individualmente e non gia' attraverso raggruppamenti  di
lista «ideologicamente o programmaticamente connotati». 
        ii) «In via di  gradato  subordine»,  il  resistente  ravvisa
ulteriori profili di illegittimita'  costituzionale  della  normativa
richiamata  nella  violazione  dell'art.  11  delle  Preleggi,  nella
«violazione dei principi che regolano l'applicazione della legge  nel
tempo»,  nonche'  nella  «violazione  del  principio   di   legittimo
affidamento», con riferimento al principio di ragionevolezza espresso
dall'art. 3 della Costituzione. 
    La difesa del consigliere Lupinacci rileva  come  la  normativa -
gia' incostituzionale nella sua applicazione pro futuro - lo  sarebbe
a maggior ragione la' dove interpretata in senso retroattivo  perche'
volta a considerare integrato il divieto a fronte di mandati svolti e
conclusi in data precedente all'entrata  in  vigore  della  legge  n.
113/2017. 
    Al  riguardo,  vengono  richiamate  le   sentenze   della   Corte
costituzionale n.  118/1957  e  n.  194/1976,  secondo  le  quali  il
legislatore deve, nel valutare prudentemente l'ipotesi eccezionale di
retroattivita'  di  una  legge,  fare  riferimento  al  principio  di
certezza dei rapporti preteriti il quale costituisce «uno dei cardini
della tranquillita' sociale  e  del  vivere  civile.»,  cui  consegue
l'«esigenza del rispetto del principio  generale  di  ragionevolezza»
(Corte costituzionale n. 6/1994). 
    L'interpretazione retroattiva, inoltre,  violerebbe  altresi'  il
principio  del  legittimo  affidamento  del  professionista  iscritto
all'albo, principio «connaturato  allo  Stato  di  diritto»,  il  cui
rispetto e' stato piu' volte individuato dalla  Corte  costituzionale
come necessario argine alla discrezionalita' del  legislatore  (Corte
costituzionale n. 156/2007 e n. 282/2006). In tal senso,  osserva  la
difesa, si e' espressa anche la Corte di  giustizia  UE,  secondo  la
quale «il principio della tutela del  legittimo  affidamento  rientra
tra i principi fondamentali del diritto dell'Unione». 
        iii)  «In  via  di  ulteriore  subordine»,  l'avv.  Lupinacci
censura l'interpretazione dell'art. 3 della legge n. 113/2017, che si
spinge a considerare utili al fine  del  computo  dei  mandati  anche
quelli svolti prima dell'entrata in vigore della legge n. 247/2012 la
quale, riformando l'ordinamento professionale forense,  ha  riformato
altresi' funzioni ed elezioni dei Consigli  dell'Ordine,  sicche'  le
ragioni  di  incostituzionalita'  e  irragionevolezza  gia'  espresse
rispetto all'interpretazione dell'art. 3 della legge n. 113/2017  pro
futuro o retroattiva valgono a maggior ragione con  riferimento  alla
tesi accolta dalle SS.UU. della Corte di cassazione con  la  sentenza
n. 32781/2018, prima e con il decreto legislativo n. 2/2019, poi. 
    1.5. Con riferimento a quest'ultima fonte normativa,  e  piu'  in
generale al complesso iter che ha condotto alla promulgazione di  una
disposizione  di  interpretazione  autentica  dell'art.  3  comma  3,
secondo periodo, della legge 12 luglio 2017, n. 113, l'avv. Lupinacci
articola ulteriori censure di legittimita' costituzionale. 
    Contesta in particolare, tanto con  riferimento  all'art.  1  del
decreto-legge n. 2/2019 quanto all'iter della  legge  di  conversione
del decreto-legge n. 135/2018 che  ne  ha  riprodotto  il  testo,  la
violazione dell'art. 77, Costituzione per assenza  dei  requisiti  di
straordinarieta'  ed  urgenza  ai  quali  la   Carta   costituzionale
subordina la legittima adozione di provvedimenti  governativi  aventi
forza di legge. 
    Richiama a questo proposito la giurisprudenza costituzionale  che
ha stigmatizzato con la  declaratoria  di  incostituzionalita'  tanto
decreti-legge, quanto leggi di conversione dei medesimi, adottati  in
carenza dei presupposti prescritti  dal  precetto  richiamato  (Corte
costituzionale n. 29/1995; Id. n. 128/2008). 
    Rileva al riguardo che le  elezioni  dei  consigli  degli  ordini
forensi circondariali non costituiscono  un  fatto  straordinario  ed
inatteso, considerato che esse vengono previste con  largo  anticipo,
ad  intervalli  regolari  e  predeterminati.  La  carenza   di   tale
requisito, in tesi, comporta percio'  l'insorgere  di  «un  vizio  di
costituzionalita' non  sanato  dalla  legge  di  conversione»  (Corte
costituzionale   n.    10/2015),    poiche'    «Lo    scrutinio    di
costituzionalita'  si   svolge   su   un   piano   diverso   rispetto
all'esercizio del  potere  legislativo  poiche'  ha  la  funzione  di
preservare l'assetto delle fonti normative e i valori  a  tutela  dei
quali esso stesso e' predisposto.»(Corte costituzionale n. 128/2008). 
    Ad   avviso   del   deducente,   l'assenza   dei   requisiti   di
straordinarieta' e urgenza, infine, risulterebbe conclamata a  fronte
della  riproposizione   della   prescrizione   da   parte   dell'art.
11-quinquies del decreto-legge n. 135/2018 come modificato in sede di
conversione, che ha in  tal  modo  lasciato  decadere  la  precedente
fonte. 
    1.6. Con riferimento a  quest'ultima  operazione,  il  reclamante
denuncia la totale estraneita' rispetto ai contenuti e alle finalita'
complessive della  legge  11  febbraio  2019,  n.  12  relativa  alla
«Conversione  in  legge,  con  modificazioni,  del  decreto-legge  14
dicembre 2018, n. 135, recante disposizioni  urgenti  in  materia  di
sostegno  e  semplificazione  per  le  imprese  e  per  la   pubblica
amministrazione». Tale circostanza determina un  diverso  profilo  di
incostituzionalita' dell'utilizzo della decretazione d'urgenza atteso
che,  secondo   il   costante   insegnamento   della   giurisprudenza
costituzionale,  l'inserzione  successiva  di  norme  eterogenee  non
collegabili alle «condizioni preliminari» fissate dall'art. 15, comma
3 legge  n.  400/1988  reciderebbe   irrimediabilmente   «il   legame
essenziale tra decretazione  di  urgenza  e  potere  di  conversione»
(Corte costituzionale n. 355/2010, Id., n. 22/2012  e  n.  355/2013).
Sottolinea,  inoltre,  come  la  legge  n.  12/2019  non  presenti  i
caratteri  propri  della  legge  di   conversione   che   ha   natura
specialissima e dovrebbe essere composta  di  un  solo  articolo,  in
deroga rispetto agli articoli 71 e 72 Costituzione. 
    1.7. Ulteriore ragione di incostituzionalita'  del  decreto-legge
n. 2/2019 (e  con  esso  della  successiva  legge  n.  12/2019,  come
sottolineato in udienza),  e'  ravvisato  dall'avv.  Lupinacci  nella
natura asseritamente interpretativa delle disposizioni  adottate.  La
legge n. 113/2017 e', difatti, legge ordinaria,  con  la  conseguenza
che la sua interpretazione in via  autentica  per  configurarsi  tale
avrebbe dovuto provenire dal medesimo Organo e non gia' dal Governo. 
    1.8. In data 4  febbraio  2019  si  sono  ritualmente  costituiti
gli avvocati Alessandro Cardosi, Carmelo Maurizio  Sergi  e  Federica
Eminente, rappresentati e difesi dall'avv. Luigi Cocchi, chiedendo il
rigetto del reclamo anch'essi con argomentazioni fondate, per  quanto
in questa sede rileva, sulle  ragioni  di  incostituzionalita'  della
normativa applicabile. 
    In   particolare,   le   difese   contestano   la    legittimita'
costituzionale, dapprima, del decreto-legge n.  2/2019  e  poi,  come
sottolineato in udienza, della legge n. 12/2019  con  riferimento  ai
seguenti precetti costituzionali: 
        a) all'art. 77 Costituzione, stante la carenza dei  requisiti
straordinari di necessita' ed urgenza «del  tutto  inesistenti  nella
pretesa di interpretare - con effetto puramente  dichiarativo  -  una
norma di legge vigente», tra l'altro in senso  contrario  al  diritto
vivente; 
        b) alla medesima  norma  costituzionale,  in  relazione  alla
legge n. 12/2019, attesa la  pacifica  impossibilita'  di  introdurre
nella legge di conversione norme del tutto nuove e non  pertinenti  a
quelle contenute nel di pubblicato; 
        c) agli articoli 3 e 51 Costituzione, in  relazione  all'art.
11 delle Preleggi, in quanto il decreto-legge si  pone  in  contrasto
sia con il principio di retroattivita', sia con quello  che  presiede
all'interpretazione  «di  norme  incidenti  su  diritti  e   liberta'
fondamentali». 
    A questo proposito, le difese rilevano come «limiti posti a  tali
diritti  e  liberta'  fondamentali,  che  dovrebbero  discendere   da
contrapposte esigenze di interessi pubblici di  eguale  intensita'  e
copertura  normativa,  non  possono  essere  introdotti  con  effetto
retroattivo e colpire i soggetti destinatari che abbiano compiuto  le
loro scelte e si siano  autodeterminati  in  assenza  e  prima  della
introduzione di tali limiti e divieti». 
    L'interpretazione degli  articoli  28  e  65  legge  n.  247/2012
avallata dalle sezioni unite con la sentenza n.  32781/2018  e  dalle
fonti normative successive, fondata su un concetto di' retroattivita'
«esclusivamente "quoad effectum"» si tradurrebbe quindi in realta' in
«una guarentigia puramente formale»  volta  ad  incidere  ex  post  i
diritti e le liberta' fondamentali di soggetti all'interno dei  corpi
sociali ai quali appartengono; 
        d) all'art. 2 della Costituzione, attesa la  natura  di  enti
pubblici  non  economici  a  carattere   associativo   degli   ordini
circondariali forensi. La base associativa e la rappresentanza - «non
politica  ma  democratica  dei  consiglieri» -  fa   dubitare   della
conformita' ai parametri  costituzionali  (e  internazionali)  di  un
divieto  (di  terzo  mandato)  previsto  in  un  sistema   elettorale
«singolare»,  espressivo  di   una   specifica   formazione   sociale
riconosciuta dalla Costituzione, senza nessun valore dotato  di  pari
rango che possa bilanciare la compressione  determinata  dalla  legge
anche al principio di autoresponsabilita' del singolo elettore. 
    1.9. A sostegno delle censure di  illegittimita'  prospettate  le
difese richiamano altresi' le fonti internazionali e, in particolare,
gli articoli 7 ed 11 della Convenzione europea  per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e l'art. 11 della
Carta europea dei diritti fondamentali. L'art. 7 vieta  l'irrogazione
di  sanzioni  per  «divieti  non  previsti  al   momento   dei   suoi
comportamenti»;  gli  articoli  11   Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  ed
11  Carta  europea  dei  diritti  fondamentali  vietano  di   imporre
limitazioni alla liberta' di associazione. 
    1.10 Pertanto, gli avvocati Sergi, Cardosi ed Eminente concludono
in via principale per l'accoglimento del reclamo e in via subordinata
«perche' vengano dichiarate non manifestamente  infondate  e  rimesse
alla   Corte   costituzionale   le    questioni    di    legittimita'
costituzionale: 
        degli articoli 28 e 65 legge n. 247/2012, 3  e  17  legge  n.
113/2017 e del decreto legge n. 2/2019 per violazione degli  articoli
77, 3 e 51 Costituzione in relazione all'art. 11 delle preleggi; 
        degli articoli 8 legge n. 247/2012 e 3 legge n. 113/2017  per
violazione degli articoli 2, 3, 51 e 117,  comma  1  Costituzione  in
relazione  agli  articoli  7  e  11  Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e 11
Carta europea dei diritti fondamentali». 
    1.11  All'udienza  del  15  febbraio  2019,  e'  intervenuto   il
Procuratore generale presso la Corte di cassazione, sottolineando  la
particolare complessita' dell'interpretazione della disciplina  delle
elezioni  forensi,  la  quale,  nonostante  i   numerosi   interventi
normativi   e    giurisprudenziali    succedutisi    a    far    data
dall'approvazione del nuovo ordinamento professionale con la legge n.
247/2012, ha dato occasione per la  prospettazione  di  questioni  di
costituzionalita' certamente da condividere nella loro premessa,  la'
dove mettono  in  evidenza  i  «guasti»  di  una  poco  comprensibile
modifica, intervenuta prima con la  legge  del  2012  e  poi  con  la
integrazione della  normativa  del  2017,  della  disciplina  per  la
elezione e costituzione dei nuovi COA che,  pur  dopo  una  decisione
delle sezioni unite, non ha raggiunto un  grado  di  affidabilita'  e
razionalita' in un sistema gia' pesantemente ostacolato dalle vicende
del  precedente  regolamento  ministeriale  e,  da  ultimo,  con   la
introduzione della norma di interpretazione autentica. Il medesimo ha
rilevato la delicatezza dei valori sui quali interviene la  legge  n.
113/2017, per come interpretata prima  dalle  SS.UU.  nel  suo  unico
precedente sui tema, e dal legislatore, poi, con il decreto-legge  n.
2/2019 e con la legge n. 12/2019. 
    Il P.G. ha richiamato, innanzitutto, l'art. 2 della  Costituzione
atteso che, ferma la natura  pubblicistica  della  generalita'  delle
funzioni  attribuite  ai   Consigli   dell'ordine   degli   avvocati,
l'intervento sulla materia elettorale e,  dunque,  sulla  scelta  dei
propri  rappresentati   istituzionali   da   parte   degli   iscritti
all'ordine, avviene in  modo  incisivo  sull'autonomia  di  un  corpo
intermedio - formazione sociale ove  il  singolo  svolge  la  propria
personalita' - condizionando tanto il diritto di  elettorato  attivo,
quanto quello di elettorato passivo, garantiti dagli articoli 48 e 51
della Costituzione. 
    I dubbi di  costituzionalita',  in  assenza  del  contrappeso  di
valori costituzionali ugualmente fondanti - in primis il criterio  di
ragionevolezza   (art.   3    Costituzione) -    potrebbero    essere
prospettabili  anzitutto  con  riferimento  alle  disposizioni  prima
espresse dalla legge n. 247/2012, poi dalla legge n. 113/2017,  volte
a vietare l'elezione di quanti abbiano  gia'  svolto  due  precedenti
mandati consiliari. 
    In secondo luogo, e a  maggior  ragione,  gli  stessi  potrebbero
essere sollevati con riferimento alle  previsioni  di  legge  che  ne
hanno disposto l'applicazione retroattiva, ferma  restando  la  piena
discrezionalita' del legislatore il quale, in  ragione  dell'art.  11
delle Preleggi, puo' in casi eccezionali  disporre  anche  in  questo
senso, come gia' ha  fatto  legittimamente  in  precedenza  anche  in
materia elettorale. Le  scelte  legislative  di  tale  segno,  pero',
dovrebbero  essere  espresse  in  modo  chiaro   e   attraverso   una
dettagliata  normativa  transitoria,  in  modo  tale  da   restituire
all'interprete un quadro di applicazione razionale.  Le  vicende  che
hanno interessato l'interpretazione dell'art. 3, comma 3 della  legge
n. 113/2017,  dimostrano  l'esatto  opposto,  in  considerazione  che
neppure l'arrêt delle sezioni unite, quale Giudice  dell'impugnazione
delle sentenze del Consiglio nazionale forense e non gia' in funzione
nomofilattica, ha dissolto i dubbi, tanto da aver richiesto ulteriori
interventi interpretativi, peraltro meramente riproduttivi di  quelli
espressi dalla sentenza n. 32781/2018. 
    La chiarezza del quadro normativo e' a maggior ragione necessaria
allorquando  il  legislatore  intervenga  in  deroga   al   principio
stabilito  dall'art.  11  delle  Preleggi,   incidendo   su   diritti
costituzionalmente  garantiti  come  il  diritto   all'elettorato   e
l'autonomia delle formazioni sociali, In questo caso, ha rilevato  il
P.G., «l'eccezionalita' e' al quadrato» perche' comprime  il  diritto
di  elettorato  attivo  e  passivo  garantiti   dalla   Costituzione,
compressione di per se' eccezionale, come piu' volte ha avuto modo di
chiarire la Consulta. Nel caso oggetto  del  giudizio,  pertanto,  il
Collegio  adito  e'  chiamato  a  ricercare   valori   costituzionali
utilmente  bilanciabili   in   assenza   dei   quali   i   dubbi   di
costituzionalita'  supererebbero  il  livello  della  non   manifesta
infondatezza prescritto dall'ordinamento costituzionale. 
    In terzo luogo, ai richiamati dubbi di costituzionalita' riferiti
alla violazione dell'art. 2 Costituzione e degli articoli 48 e 51, si
aggiungono quelli relativi all'art. 77 del testo costituzionale,  per
cui non e' semplice  scorgere  i  requisiti  di  straordinarieta'  ed
urgenza prescritti dal  costituente  anche  in  considerazione  della
natura di interpretazione autentica delle disposizioni. 
    Il P.G. rileva come si tratti  di  vicenda  normativa  del  tutto
singolare. Il decreto-legge n. 2/2019, prima, e la legge  n.  12/2019
poi, sono entrambi intervenuti nel momento in cui molte consultazioni
elettorali erano state gia' indette ovvero in corso di svolgimento  e
finanche sub judice, circostanze che potrebbero ingenerare dubbi  con
riferimento al principio di separazione tra i poteri che  costituisce
uno dei fondamenti del moderno Stato di diritto. Come pure singolare,
e  potenzialmente  foriera  di  dubbi  di  costituzionalita',  e'  la
successione intervenuta tra le due distinte leggi di  interpretazione
autentica. 
    Tanto   premesso,   in   ragione   del    dovere    di    fornire
un'interpretazione della legge conforme a Costituzione, anche  tenuto
conto del primo vaglio di costituzionalita', per cosi dire «esterno»,
effettuato dal Capo dello Stato in sede di promulgazione della  legge
n. 12/2019, il P.G. ha concluso per il superamento delle eccezioni di
costituzionalita'  proposte  e   l'accoglimento   del   reclamo   con
concessione della cautela richiesta. 
    1.12. Nella medesima udienza  le  parti  si  sono  richiamate  ai
rispettivi  atti  difensivi  ed  hanno  ulteriormente  illustrato  le
reciproche   deduzioni   ed   istanze,   anche   alla   luce    della
pubblicazione nella Gazzetta  Ufficiale  della  richiamata  legge  n.
12/2019. 
    La difesa dei reclamanti  ha  argomentato  con  riferimento  alla
perfetta tenuta costituzionale  del  sistema  normativo  relativo  al
divieto di terzo mandato consecutivo, richiamando a tal proposito  la
decisione della Corte costituzionale n. 236/2015 -  che  ha  ritenuto
costituzionalmente legittime le ipotesi di  decadenza  e  sospensione
previste dall'art. 11, comma 1, lettera a), del  decreto  legislativo
31 dicembre 2012, n. 235 anche se riferite a  fatti  precedenti  alla
propria entrata in vigore - nonche' l'ordinanza n.  12461/2018  della
Corte di cassazione, che  ha  ritenuto  conformi  a  Costituzione  le
analoghe previsioni del decreto  legislativo  n.  139  del  2005  con
riferimento all'elezione dell'Ordine dei  commercialisti  ed  esperti
contabili. 
    Di talche' il Collegio ha trattenuto la causa in riserva. 
II. La proposizione della questione di legittimita' costituzionale. 
    Nella sua qualita' di Giudice speciale  ai  sensi  dell'art.  111
Costituzione e della VI disp. trans. Costituzione, il  Collegio,  non
potendo decidere la questione senza fare applicazione delle norme  di
cui all'art. 3, comma 3 della legge 12 luglio 2017, n. 113 e all'art.
11-quinquies  del  decreto-legge  14  dicembre  2018,  n.  135,  come
inserito dalla legge di conversione 13  febbraio  2019,  n.  12,  ne'
fornirne una interpretazione costituzionalmente orientata, solleva la
questione di legittimita' costituzionale delle norme stesse, ex  art.
23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per le  seguenti  argomentazioni
in 
 
                               Diritto 
 
1. Sulla rilevanza delle questioni. 
    1.1. La questione di legittimita' costituzionale delle  norme  di
cui all'art. 3, comma 3 della legge 12 luglio 2017, n. 113 e all'art.
11-quinquies  del  decreto-legge  14  dicembre  2018,  n.  135  (come
inserito dalla legge di conversione  13  febbraio  2019,  n.  12)  e'
rilevante  per  la  decisione  del  giudizio  principale  innanzi  al
Consiglio nazionale forense. Tale giudizio non puo', infatti,  essere
definito  indipendentemente   dalla   risoluzione   della   sollevata
questione (art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87). 
    In  particolare,  i  reclamanti  chiedono  l'annullamento   delle
elezioni del Consiglio  dell'ordine  degli  avvocati  di  La  Spezia,
fondando  le  proprie  doglianze,  tra  l'altro,  sulla   ammissione,
asseritamente  illegittima,  alla  competizione  elettorale  e  sulla
successiva  proclamazione  quali  eletti  degli  avvocati   Salvatore
Lupinacci, Federica Eminente, Carmelo  Maurizio  Sergi  e  Alessandro
Cardosi, i quali incorrerebbero nella causa di ineleggibilita' di cui
alle disposizioni sospettate  di  illegittimita'  costituzionale.  Le
predette disposizioni sono, dunque, di  applicazione  necessaria  nel
presente giudizio, incidendo direttamente la loro  interpretazione  e
applicazione sulla  fondatezza  delle  doglianze  dei  reclamanti  e,
conseguentemente,  sulla  validita'  delle  elezioni  del   Consiglio
dell'ordine degli avvocati di La Spezia. 
    1.2. Il Consiglio nazionale forense  e'  stato  chiamato  a  fare
applicazione, anzitutto, della disposizione di cui all'art. 3,  comma
3 della legge 12 luglio 2017, n. 113, la  quale  prevede  al  secondo
periodo  che,  «fermo  restando  quanto  previsto  al  comma   4,   i
consiglieri non possono  essere  eletti  per  piu'  di'  due  mandati
consecutivi» escludendo dal relativo computo, ai sensi del successivo
comma 4, i mandati di durata inferiore a due anni. 
    Tale disposizione e' stata oggetto di una recente pronuncia delle
sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza  n.  32781  del  19
dicembre  2018),  la  quale  ha  ritenuto  la  previsione  in  parola
applicabile anche ai mandati espletati anteriormente  all'entrata  in
vigore della legge 12 luglio 2017, n. 113 e della legge n. 247/2012. 
    E' poi intervenuto l'art. 1 del decreto-legge 11 gennaio 2019, n.
2 (entrato in vigore il giorno stesso), a mente del quale: «l'art. 3,
comma 3, secondo periodo, della legge 12  luglio  2017,  n.  113,  si
interpreta nel senso che, ai fini del rispetto del divieto di cui  al
predetto periodo, si tiene conto dei mandati espletati, anche solo in
parte, prima della sua entrata in vigore,  compresi  quelli  iniziati
anteriormente all'entrata in vigore della legge 31 dicembre 2012,  n.
247. Resta fermo quanto previsto dall'art. 3, comma 3, terzo periodo,
e comma 4, della legge 12 luglio 2017, n. 113».  Successivamente,  la
legge  13  febbraio  2019,  n.  12,  nel  convertire  in   legge   il
decreto-legge 14 dicembre 2018 n. 135, ha integrato  il  testo  dello
stesso  con  la  disposizione  di  cui  all'art.  11-quinquies.  Tale
disposizione riproduce integralmente il  contenuto  dell'art.  1  del
richiamato  decreto-legge  n.  2/2019  che,  conseguentemente,  viene
abrogato dall'art. 1, comma 3 della medesima legge di conversione. 
    Assieme all'art. 3, comma  3,  secondo  periodo  della  legge  12
luglio 2017, n. 113, il Consiglio  nazionale  forense  e',  pertanto,
chiamato ad applicare anche la  norma  di  interpretazione  autentica
contenuta nel richiamato  art.  11-quinquies  del  decreto  legge  n.
135/2018, come introdotto dalla legge di conversione. 
    1.3. La soluzione della questione di legittimita'  costituzionale
delle disposizioni di cui all'art. 3, comma 3, secondo periodo, della
legge  12  luglio  2017,  n.  113   e   all'art.   11-quinquies   del
decreto-legge n. 135/2018, come introdotto dalla legge di conversione
13 febbraio 2019,  n.  12,  e'  dunque  pregiudiziale  rispetto  alla
trattazione del merito del reclamo. 
2. Sulla non manifesta infondatezza della questione  di  legittimita'
costituzionale relativa all'art. 3, comma 3, secondo  periodo,  della
legge 12 luglio 2017, n. 113. 
    2.1 L'art. 3, comma 3, secondo  periodo  della  legge  12  luglio
2017, n. 113 - che dispone  il  divieto  di  elezione  nel  Consiglio
dell'ordine degli avvocati per piu' di due mandati consecutivi  -  e'
sospettato di illegittimita' costituzionale  per  contrasto  con  gli
articoli 2, 3, 18, 48, 51 e 118 della Costituzione, sotto  i  profili
della irragionevole limitazione del diritto di  elettorato  attivo  e
passivo (articoli 3, 48 e 51 Costituzione)  e  della  illegittima  ed
irragionevole compressione dell'ambito di  autonomia  riservato  agli
ordini circondariali forensi (enti pubblici non economici a carattere
associativo) dagli articoli 2, 18 e 118 della Costituzione, anche  in
relazione all'art. 3 Costituzione. 
    2.2  Sul   primo   profilo   di   illegittimita'   (irragionevole
compressione  del  diritto  di  elettorato  attivo  e  passivo,   con
violazione degli articoli 3, 48 e 51 Costituzione), si osserva quanto
segue. 
    La  giurisprudenza  costituzionale   annovera   il   diritto   di
elettorato passivo  tra  i  diritti  assistiti  dal  predicato  della
inviolabilita' di cui  all'art.  2  Costituzione  (cfr.,  ex  multis,
sentenza n. 388/1991). Ne consegue che restrizioni di  tale  diritto,
perseguite,  ad  esempio,  mediante  la  previsione   di   cause   di
incandidabilita',   ineleggibilita'    o    incompatibilita',    sono
ammissibili esclusivamente all'esito di un bilanciamento -  riservato
alla discrezionalita' del legislatore, ma soggetto allo scrutinio  di
ragionevolezza  e  proporzionalita'  -  tra  il  diritto   stesso   e
concorrenti interessi di rilievo costituzionale. Infatti, «se  l'art.
51 Costituzione assicura in via generale  il  diritto  di  elettorato
passivo senza porre discriminazioni  sostanziali  tra  cittadini,  e'
proprio tale precetto costituzionale a svolgere il ruolo di  garanzia
generale di un diritto politico fondamentale,  riconosciuto  ad  ogni
cittadino con i caratteri dell'inviolabilita' e dell'uguaglianza  (ex
articoli 2 e 3 della Costituzione); [...]  pertanto,  le  restrizioni
del contenuto  di  tale  diritto  sono  ammissibili  in  presenza  di
situazioni  peculiari  ed  in  ogni  caso  per  motivi   adeguati   e
ragionevoli, finalizzati alla tutela di un  interesse  generale,  che
presuppone  un  bilanciamento  che  deve  operare  tra   il   diritto
individuale  di  elettorato  passivo  e  la  tutela   delle   cariche
pubbliche, cui possono accedere e permanere solo coloro che  sono  in
possesso delle condizioni che tali cariche, per loro natura,  appunto
richiedono (sentenze n. 25 del 2008 e n. 288 del 2007)»  (cfr.  Corte
costituzionale, ordinanza n. 276/2012). 
    Cosi', ad esempio, e' stata ritenuta costituzionalmente legittima
la previsione di cause di incandidabilita' o  ineleggibilita'  legate
alla   commissione   di   fatti   penalmente   rilevanti,   accertati
dall'autorita' giudiziaria. In tali casi, il  bilanciamento  avviene,
in effetti, per  «assicurare  la  salvaguardia  dell'ordine  e  della
sicurezza pubblica,  la  tutela  della  libera  determinazione  degli
organi  elettivi,  il  buon  andamento   e   la   trasparenza   delle
amministrazioni pubbliche, allo scopo di fronteggiare una  situazione
di  grave  emergenza  nazionale  coinvolgente  interessi  dell'intera
collettivita', connessi a valori costituzionali di primario  rilievo»
(cfr. Corte costituzionale n. 118/1994, punto 3.1  del  «considerato»
in diritto). In dette situazioni, la valutazione  di  ineleggibilita'
compiuta dal legislatore - confermata come  ragionevole  dal  Giudice
delle leggi - risulta apprezzabilmente  legata  ad  un  predicato  di
indegnita' morale - espressa dal giudicato  penale  -  riferibile  al
soggetto sul quale grava la preclusione. 
    Tale predicato non e', invece, manifestamente configurabile in un
contesto  normativo,  quale  quello  che  qui  interessa,   dove   la
preclusione  all'esercizio  del  diritto  di  elettorato  passivo  e'
agganciata esclusivamente al fatto di essere  stati  gia'  eletti  in
passato. Un presupposto «neutro», che  non  appare  collegabile  alla
tutela di valori costituzionali di primario rilievo, come invece  nel
caso della sostanziale inidoneita' a ricoprire  la  carica  sotto  il
profilo etico e morale, in ragione  della  commissione  di  fatti  di
rilievo penale (si' pensi, ad  esempio,  al  decreto  legislativo  n.
235/2012). 
    La consolidata giurisprudenza costituzionale segnala da tempo che
le cause di ineleggibilita', derogando  al  principio  costituzionale
della generalita' del diritto di elettorato passivo, sono di  stretta
interpretazione e devono percio'  rigorosamente  contenersi  entro  i
limiti di quanto sia ragionevolmente indispensabile per garantire  la
soddisfazione delle esigenze di pubblico interesse a  cui  esse  sono
preordinate (ex multis, vedi Corte  costituzionale,  sentenze  numeri
46/1969: 58/1972; 166/1972, 53/1990). 
    In  questa  ottica,  il  diritto  di  elettorato  passivo  ed  il
principio di liberta' di accesso  alle  cariche  pubbliche,  protetti
dall'art.  51  Costituzione,  devono  percio'  essere  scrutinati  in
stretta correlazione con  il  corrispondente  diritto  all'elettorato
attivo  ed  al  principio  di  liberta'  di  voto,   consacrati   con
particolare solennita' nell'art. 48 Costituzione (cfr. sentenze Corte
costituzionale  numeri  96/1968;  42/1987;  429/1995;  4/2010).  Ogni
preclusione  legale  alla  possibilita'   di   taluni   soggetti   di
partecipare a competizioni elettorali ed essere  eletti  si  traduce,
infatti, inevitabilmente nella compressione dello  spazio  di  libera
scelta  lasciato  all'elettore,  il  quale  si  vedra'  sottrarre  la
facolta' di scegliere, quali destinatari del proprio voto,  taluni  a
vantaggio  di  altri.  Mentre  nel   caso   esaminato   dalla   Corte
costituzionale nel 1994 (cfr. la citata sentenza n.  118/1994),  tale
compressione si giustifica - come  si  e'  visto  -  in  relazione  a
valutazioni legate all'indegnita' morale dei candidati,  «allo  scopo
di fronteggiare una situazione di  grave  emergenza  nazionale»,  nel
caso qui esaminato tali giustificazioni non sono invece  replicabili,
cosicche' la compressione  della  facolta'  di  scelta  dell'elettore
appare particolarmente  grave.  Sono,  infatti,  sottratte  alla  sua
liberta' di voto proprio quelle persone alle quali  gia'  in  passato
aveva ritenuto di assegnare la preferenza, all'esito di  una  o  piu'
valutazioni favorevoli circa le capacita' del soggetto  votato  e  la
sua idoneita' a svolgere il mandato. La  preclusione  legale  finisce
cosi'  anche  per  differenziare  il  voto  all'interno   del   corpo
elettorale  considerato,  comportando  essa  l'invalidita'  del  voto
assegnato  al  candidato  ineleggibile  rispetto  al  voto  dato   al
candidato che non incorre invece nella preclusione legale stessa.  In
definitiva, il divieto  di  terzo  mandato  consecutivo  finisce  per
comprimere non solo il diritto di  elettorato  passivo,  impedendo  a
taluni avvocati di essere rieletti (pur in assenza di presupposti  di
rilievo penale), ma  anche  -  forse  soprattutto  -  il  diritto  di
elettorato attivo, precludendo alla classe forense la scelta di farsi
rappresentare da  colleghi  piu'  esperti,  gia'  in  possesso  delle
competenze piu' utili allo svolgimento del mandato consiliare.  Viene
dunque  ad  essere   leso   il   diritto   civile   e   politico   di
cittadini-avvocati di concorrere liberamente alla scelta  dei  propri
rappresentanti. 
    Dalla pur rapida disamina volta a  scrutinare  la  non  manifesta
infondatezza  delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale  che
questo Giudice si trova ad esaminare, emerge pertanto con nettezza la
particolare consistenza dei diritti costituzionalmente fondati e  dei
principi costituzionali coinvolti, in considerazione anche della loro
intima connessione con il  principio  democratico,  uno  dei  supremi
cardini del vigente ordine costituzionale repubblicano. 
    2.3. Avendo individuato negli articoli 48  e  51  Costituzione  i
diritti e gli interessi costituzionalmente  rilevanti  da  bilanciare
con quelli alla base delle disposizioni legislative da  applicare  al
caso di specie, occorre ora accertare se altri  interessi  meritevoli
di tutela siano in grado di giustificare le limitazioni al diritto di
elettorato determinate dal legislatore statale. 
    Come afferma la Corte costituzionale, il criterio alla  luce  del
quale effettuare tale valutazione non puo' che  essere  quello  della
«indispensabilita' del limite  [al  diritto  di  elettorato  passivo]
rispetto all'esigenza primaria di assicurare una libera  competizione
elettorale» che la Corte stessa, «a partire dalla sentenza n. 46  del
1969, costantemente richiede in riferimento al principio fondamentale
contenuto  nell'art.  51  della  Costituzione».   Ne   consegue   che
«l'eleggibilita' e' la norma, l'ineleggibilita' e'  l'eccezione  [di]
modo  che,  ove  la  giustificazione  dell'eccezione   si   rivelasse
ragionevolmente priva di  un  legame  necessario  con  l'esigenza  di
assicurare una corretta e libera concorrenza elettorale, non puo' non
seguirne  la  dichiarazione  d'illegittimita'  costituzionale   della
disposizione che la prevede» (cosi'  la  sentenza  n.  344/1993,  che
peraltro richiama, a sostegno, le sentenze numeri 388 e 310 del 1991;
539 del 1990; 510 del 1989; 1020 e 235 del 1988). 
    Applicando tale criterio al caso concreto che ci occupa, si rende
pertanto necessario procedere all'individuazione di un interesse  di'
rilievo costituzionale in grado di «competere in ponderazione» con il
diritto di elettorato passivo. 
    La ratio del divieto di elezione per il terzo mandato consecutivo
e' stata individuata dalla richiamata sentenza  n.  32781/2018  delle
SS.UU. della Corte di cassazione nella tutela del «preminente  valore
dell'avvicendamento o del  ricambio  nelle  cariche  rappresentative»
(cosi, in particolare, p.  20  di  tale  sentenza),  da  assicurarsi,
evitando che rendite di posizione derivanti  dalla  permanenza  nella
carica per periodi eccessivamente lunghi possano condurre ad esiti di
sclerotizzazione della rappresentanza, limitando la par conditio  tra
i candidati e alterando la libera competizione elettorale. 
    Pare a questo Giudice che quello descritto integri  un  obiettivo
di carattere essenzialmente politico  che,  nelle  motivazioni  della
decisione  sopra  richiamata,  la   Cassazione   stessa   lega   agli
orientamenti  attualmente  prevalenti  nell'opinione   pubblica;   un
obiettivo  che,  seppur  liberamente  perseguibile  dal   legislatore
nell'ambito della sfera  di  discrezionalita'  politica  che  gli  e'
propria, sembra difficilmente comparabile, sotto il profilo del  tono
costituzionale, ai diritti ed  ai  principi  in  tema  di  elettorato
attivo e passivo gia'  illustrati.  Si  tratta,  in  particolare,  di
interessi che, pur ritenuti meritevoli  di  tutela  dal  legislatore,
presentano elementi di intrinseca irragionevolezza.  E  cio'  per  le
seguenti particolari ragioni. 
    2.3.1. Anzitutto, va osservato che la Corte di  cassazione  nella
decisione n. 32781/2018 ha fatto premio sull'analogia con  i  divieti
di rielezione  previsti  per  i  sindaci,  nonostante  in  precedenti
arresti,  relativi  al  sistema  ordinistico,  avesse  al   contrario
rimarcato l'impossibilita' di «comparazione»  tra  il  sistema  delle
elezioni previsto per le cariche amministrative di province e  comuni
e quello previsto «per i componenti dei Consigli degli ordini,  avuto
riguardo alla diversita' degli enti di cui sono organi il Sindaco  ed
il  Presidente   della   provincia   e   alle   profonde   differenze
riscontrabili  tra  i  rispettivi  sistemi  elettorali»  (Cassazione,
ordinanza 21 maggio 2018, numeri 12461 e 12462). 
    Come correttamente rilevato  dalla  difesa  dell'avv.  Lupinacci,
l'analogia  tra   i   differenti   citati   sistemi   elettorali   e'
insussistente,  oltre  che  infondata:  alla  base  del  divieto   di
rielezione dei sindaci  vi  sono,  infatti,  ragioni  che  discendono
direttamente  dalla   natura   dell'ente   e   dalla   configurazione
dell'organo. Altro e', infatti, ragionare della rappresentativita' di
un ente territoriale avente carattere politico,  altro  e'  ragionare
della rappresentativita' di un ente pubblico associativo: e altro e',
soprattutto, ragionare del divieto di rielezione relativo  ad  organi
monocratici  di  vertice  di  enti  politici  -  come   il   Sindaco,
rappresentante organico del  comune  e,  di  conseguenza,  dotato  di
poteri gestionali diretti e di poteri autoritativi e di indirizzo  di
sicuro rilievo - e altro e' ragionare sul divieto  di  rielezione  di
membri di un organo collegiale chiamato a reggere  un  ente  pubblico
associativo avente natura meramente amministrativa. Non e' dunque  un
caso, ad esempio, che il divieto di rielezione sia previsto solo  per
gli organi di vertice degli enti politici territoriali  e  non  anche
per i membri delle assemblee rappresentative locali. 
    2.3.2. Si consideri poi che al consigliere dell'Ordine (e  a  ben
vedere anche al Presidente, che ha bisogno di una delibera consiliare
anche  per  atti  ordinari  come  il  conferimento  di   un   mandato
giudiziale) non sono attribuiti poteri propri, oltre a quelli che gli
competono in quanto componente di un collegio.  Soprattutto,  non  si
ravvisano nei poteri attribuiti al consigliere dell'Ordine, in quanto
componente dell'organo collegiale, elementi  sufficienti  a  ritenere
che il consigliere  stesso  possa  sfruttare  il  proprio  ruolo  per
precostituire le condizioni per una  rielezione,  cosi'  falsando  la
rappresentativita' e la qualita' democratica delle elezioni  forensi.
La  collegialita'  dell'organo  stempera  la  posizione  del  singolo
consigliere che, d'altronde, non possiede poteri diretti ad  incidere
-  direttamente  e  indipendentemente   dalla   partecipazione   alla
formazione della volonta' del collegio - sul  funzionamento  e  sugli
indirizzi dell'ente. 
    2.4. La stessa Corte costituzionale, nel precedente piu' prossimo
al caso  che  ci  occupa  (sentenza  n.  344/1993),  ha  condotto  un
ragionamento   non   dissimile.   Nel   dichiarare   l'illegittimita'
costituzionale delle disposizioni che  prevedevano  l'ineleggibilita'
del consigliere regionale alla carica di deputato o senatore essa ha,
infatti, escluso che dalla  mera  titolarita'  dei  poteri  derivanti
dallo status di consigliere  -  sia  individuali,  sia  collegiali  -
potesse discendere la capacita' di incidere  sul  libero  svolgimento
della competizione elettorale «nel senso di alterare la  par  candido
fra i vari concorrenti attraverso la possibilita' di  esercitare  una
captatio benevolentiae o un metus publicae potestatis  nei  confronti
degli  elettori»  (cosi  la  sentenza  n.  5/1978,  richiamata  dalla
sentenza n. 344/1993). 
    In questo significativo precedente  la  Corte  esamina  i  poteri
propri del consigliere regionale ed esclude recisamente la  rilevanza
di tutti i poteri che competono al consigliere in  quanto  componente
l'assemblea regionale. E cio' nel presupposto che di  tali  poteri  e
facolta',  in  quanto  riferiti  al  collegio  nel  suo  insieme,  il
consigliere non possa ontologicamente giovarsi ai fini dell'eventuale
condizionamento  del  corpo  elettorale   in   proprio   favore.   Il
ragionamento  e',  come  detto,  replicabile   per   il   consigliere
dell'ordine, che, a ben vedere, non gode di alcun potere individuale,
ma partecipa solo all'esercizio di poteri collegiali. 
    Ne',  afferma  assai  significativamente  la  Corte,  preclusioni
legali al diritto  di  elettorato  passivo  potrebbero  essere  fatte
discendere dal mero rilievo del prestigio associato alla  carica.  Di
conseguenza, «si rivelerebbe palesemente irragionevole una disciplina
della ineleggibilita' che  mirasse  a  delimitare  l'influenza  nella
competizione elettorale  della  notorieta'  derivante  dal  ricoprire
determinate cariche pubbliche, tanto piu'  nell'ambito  di  societa',
come quella nella quale viviamo, dove l'emergere di  figure  note  al
pubblico dipende da fattori molteplici  e  si  verifica  in  svariati
settori della vita sociale» (cosi' ancora la sentenza n. 344/1993). 
    2.5.  Non  si  puo',   pertanto,   inficiare   il   rapporto   di
rappresentanza a mezzo della previsione di cause di ineleggibilita' o
incompatibilita'  irragionevoli   e/o   sproporzionate   (o   ancora,
disponendo divieti di rielezione). E' proprio cio',  e  non  gia'  la
possibilita' di essere rieletti, ad alterare  la  corretta  e  libera
competizione  elettorale,  considerata  con  giurisprudenza  costante
valore costituzionale essenziale, che in piu' occasioni ha indotto la
Corte   a   censurare   disposizioni   che   stabilivano   cause   di
ineleggibilita' irragionevoli e dagli  effetti  sproporzionati  (cfr.
ancora Corte costituzionale, n. 344 del 1993). 
    Da cio' consegue l'irragionevolezza del bilanciamento operato dal
legislatore nel disporre  il  divieto  di  rielezione  per  il  terzo
mandato consecutivo, con violazione degli articoli 3, 48 e  51  della
Costituzione. 
    2.6. Il divieto di rielezione per piu' di due mandati consecutivi
realizza, inoltre,  una  irragionevole  compressione  dell'ambito  di
autonomia riservato agli ordini forensi dagli articoli 2,  18  e  118
della Costituzione, in relazione all'art. 3 Costituzione. 
    2.6.1 La natura  di  ente  pubblico  non  economico  a  carattere
associativo  dell'ordine  circondariale   forense   e'   disciplinata
dall'art. 24, comma 3 della legge  31  dicembre  2012.  n.  247,  che
riconosce e  valorizza  l'autonomia  regolamentare,  organizzativa  e
finanziaria delle comunita'  degli  avvocati  organizzate  in  ordini
professionali. Come sottolineato dal  Procuratore  generale  nel  suo
intervento, si tratta, dunque, di vere e proprie formazioni  sociali,
cui la legge, in attuazione del principio pluralista che caratterizza
la forma di Stato delineata dal  Costituente,  assicura  uno  statuto
autonomo basato  sull'autogoverno,  in  modo  non  dissimile,  a  ben
vedere, da quanto previsto per l'ordine giudiziario. 
    Da tale assetto ordinamentale discendono specifiche  conseguenze,
anche  e  soprattutto  sul  piano  dei  principi  che  governano   la
formazione degli organi dell'ente. Da un lato, infatti, l'elettivita'
dei Consigli e' pienamente coerente con la loro  natura  associativa.
D'altro canto, la natura amministrativa e  non  politica  dell'Ordine
circondariale forense non consente, per le  ragioni  gia'  viste,  di
estendere alle elezioni forensi la ratio del  divieto  di  rielezione
previsto per gli organi di vertice degli enti politici territoriali. 
    2.6.2. A cio' si aggiunga che  il  carattere  associativo  incide
direttamente  sulla  natura  e  sulle  dinamiche  del   rapporto   di
rappresentanza tra l'iscritto e l'eletto:  proprio  perche'  l'ordine
forense ha carattere esponenziale di una comunita' di professionisti,
il rapporto di rappresentanza e' caratterizzato da  tratti  peculiari
di  prossimita',  che  a  loro  volta  discendono   dalla   specifica
solidarieta' che conforma la comunita' professionale e l'ente che  la
istituzionalizza. Dalla peculiare declinazione che, su  questa  base,
assume il rapporto di fiducia tra elettore ed  eletto,  consegue,  ad
esempio, che nelle elezioni forensi  non  sia  previsto  il  voto  di
lista, ma solo  il  voto  a  singoli  candidati  (art.  8,  legge  n.
113/2017; Cassazione SS.UU., n. 32781/2018); e  consegue  soprattutto
che, ferma restando la piena liberta' della  competizione  elettorale
(evidente, ad esempio, nella possibilita' di accedere  in  condizioni
di piena eguaglianza alle candidature, anche al di fuori da  liste  o
cordate),  l'iscritto  sia  sovente  guidato,  nell'espressione   del
proprio voto, dalla considerazione dell'autorevolezza che  deriva  al
candidato dall'esperienza maturata nella  gestione  dell'ente  e  dal
radicamento nella comunita' professionale, a loro volta  strettamente
legate (almeno in potenza) all'aver ricoperto  per  piu'  mandati  la
carica elettiva. 
    2.6.3. Quello della disciplina del rapporto di rappresentanza e',
dunque,  ambito  disciplinare  profondamente  connesso  all'autonomia
dell'ordine circondariale  forense  e  alla  peculiare  natura  della
relazione associativa che lega gli iscritti tra loro e questi  ultimi
ai  rappresentanti  eletti.  Ne  consegue  che,  nel  rispetto  della
liberta' di associazione (art. 18 Costituzione, riferibile anche alle
associazioni ad appartenenza obbligatoria quali l'ordine  forense)  e
del principio di sussidiarieta' orizzontale (art. 118  Costituzione),
la legge dovrebbe opportunamente astenersi dall'interferire  in  tale
ambito, lasciando che  la  permanenza  in  carica  per  piu'  mandati
discenda  dal  libero  articolarsi  dei   rapporti   di   fiducia   e
solidarieta' interni  alla  comunita'  professionale,  piuttosto  che
dall'intervento autoritativo di un divieto di rielezione. 
    In buona sostanza, la  preclusione  legale  de  qua  integra  una
interferenza  statale  nelle  dinamiche  elettorali  interne  ad  una
formazione  sociale  che  non  appare  sorretta   da   una   adeguata
ragionevolezza e proporzionalita', e sotto tale profilo  realizza  un
ulteriore  vulnus  al  parametro   costituito   dall'art.   3   della
Costituzione della Repubblica. 
3. Sulla non manifesta infondatezza della questione  di  legittimita'
costituzionale relativa all'art. 11-quinquies  del  decreto-legge  14
dicembre 2018, n. 135, come introdotto dalla legge di conversione  11
febbraio 2019, n. 12. 
    3.1. Se quanto sopra riportato segnala i  dubbi  di  legittimita'
costituzionale che riguardano il limite dei due  mandati  consecutivi
in quanto tale, a maggior ragione ancor piu' gravi dubbi  si  pongono
con  riferimento  all'intervento   normativo   statale   operato,   a
procedimenti elettorali gia' iniziati  ed  in  corso,  per  conferire
rilievo in senso retroattivo ai mandati svolti prima dell'entrata  in
vigore delle norme preclusive. 
    Sussistono, infatti, ulteriori e specifici dubbi di  legittimita'
costituzionale in relazione all'art. 11-quinquies  del  decreto-legge
14 dicembre 2018, n. 135, come introdotto dalla legge di  conversione
11 febbraio 2019, n. 12. La disposizione contrasta,  in  particolare,
con l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della violazione del
principio   di   ragionevolezza   delle   norme    retroattive    di'
interpretazione autentica. 
    Innanzitutto, la possibilita' per il legislatore di dettare norme
retroattive - quali quelle di  interpretazione  autentica  -  non  e'
esente  da  limiti.  Se,  da  una  parte,  un  espresso  divieto   di
retroattivita' e' previsto  in  Costituzione  solo  dall'art.  25  in
relazione  alle  disposizioni  penali  sfavorevoli,  dall'altra,   le
disposizioni   retroattive   incontrano   il   limite   dell'art.   3
Costituzione, ove tale limite sia frutto di un ragionevole e puntuale
bilanciamento «tra le ragioni che ne hanno motivato la  previsione  e
i' valori, costituzionalmente tutelati,  al  contempo  potenzialmente
lesi dall'efficacia a ritroso della norma adottata» (cfr., da ultimo,
Corte costituzionale sentenza n. 73/2017). 
    Sulla base di tale principio,  la  Corte  ha  individuato  alcuni
limiti generali all'efficacia retroattiva delle leggi attinenti  alla
salvaguardia di principi  costituzionali.  Tra  tali  limiti  e',  in
particolare,  ricompreso  «il  rispetto  del  principio  generale  di
ragionevolezza,  che  si   riflette   nel   divieto   di   introdurre
ingiustificate disparita' di trattamento; la tutela  dell'affidamento
legittimamente sorto nei soggetti quale  principio  connaturato  allo
Stato  di  diritto;  la  coerenza  e  la  certezza   dell'ordinamento
giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al
potere giudiziario» (cosi', in particolare, la sentenza  n.  170  del
2013, ma cfr. anche le sentenze n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010). 
    Il contrasto della disposizione censurata  con  il  principio  di
ragionevolezza rileva sotto molteplici profili. 
    3.1.1. Anzitutto,  essa  interviene  su  procedimenti  elettorali
attualmente  in  corso,  incidendo  pesantemente   non   solo   sulla
presentazione delle  candidature,  ma  anche  sull'ammissibilita'  di
candidature gia' presentate e, talora, gia' ammesse al voto. Anche  a
voler  ritenere,  dunque,  in  astratto  che   il   legislatore   sia
intervenuto  per  chiarire  il  quadro  giuridico  determinato  dalla
sentenza della Cassazione sopra ricordata (in questo senso si esprime
la relazione di accompagnamento al  decreto-legge  n.  2/2019,  e  la
motivazione dell'emendamento governativo alla  legge  di  conversione
del decreto-legge n. 135/2018), si palesano irragionevoli le concrete
modalita' con le quali tale  obiettivo  e'  stato  perseguito  e,  in
particolare, l'assoluta assenza di considerazione per la  circostanza
che erano in corso le elezioni per  il  rinnovo  dei  Consigli  degli
Ordini forensi; circostanza  notoria,  conosciuta  al  legislatore  e
palesata anche nella disposizione successiva a quella qui considerata
(il comma 2), che consente, appunto, il  differimento  della  tornata
elettorale fino al mese di luglio 2019. 
    L'incidenza  della   disposizione   censurata   su   procedimenti
elettorali in corso, inoltre, ridonda in una violazione del principio
del legittimo affidamento sia di coloro che, in buona fede, si  siano
candidati confidando nella possibilita'  di  essere  eletti,  sia  di
coloro che, altrettanto in buona fede, abbiano deciso  di'  esprimere
il proprio voto a favore di tali candidati. La lesione del  principio
di legittimo affidamento  si  traduce,  pertanto,  in  una  ulteriore
irragionevole violazione dei  diritti  di  elettorato  passivo  e  di
elettorato attivo di cui ai piu' volte richiamati articoli  48  e  51
Costituzione. 
    3.2. D'altro canto, la giurisprudenza costituzionale che  si'  e'
occupata,  a  diverso  titolo,  della  retroattivita'  di  interventi
normativi in materia di elettorato passivo ha chiarito, per un verso,
che la ragionevolezza della retroattivita' in materia elettorale deve
essere valutata «con particolare rigore» (cfr. sent. n. 376/2004); e,
per  altro  verso,  ha  ritenuto  la  legittimita'  di   disposizioni
immediatamente  operanti  su  mandati  elettivi  in  essere  solo  in
presenza di un rilevante interesse pubblico  concorrente,  quale,  ad
esempio,  quello  alla  tutela   della   legalita'   nella   pubblica
amministrazione (cfr. sentenza n.  236/2015,  relativa  all'immediata
operativita' della sospensione dalla carica in caso di condanna anche
non definitiva per delitti di corruzione, pure se  intervenuta  prima
dell'entrata  in  vigore  della  legge),  interesse  non  ravvisabile
ovviamente nel caso di specie. 
    Non pare, infatti, potersi dubitare che  la  norma  in  questione
disponga,   appunto,   in   senso   retroattivo,    consistendo    la
retroattivita' propriamente nel conferimento di effetti pro futuro  a
fatti  accaduti  in  passato o  a  rapporti  giuridici  esauriti.  Si
recuperano cosi, senza  valide  ragioni,  vicende  del  passato  gia'
regolate in un certo modo, e si conferisce loro un  nuovo  e  diverso
rilievo giuridico per il futuro. 
    E' questo proprio il caso che ci  occupa:  i  mandati  consiliari
precedenti all'entrata in vigore delle disposizioni  preclusive  sono
manifestamente  rapporti  giuridici  esauriti.  Eppure  ad  essi   il
legislatore, in  sede  di  interpretazione  autentica,  riconduce  un
effetto per il futuro. Un effetto, lo si  e'  detto,  particolarmente
grave ed incisivo: quello di  comprimere  il  diritto  di  elettorato
passivo ed il diritto di elettorato attivo  degli  avvocati.  E  cio'
sempre per un fine - quello di evitare  sclerotizzazioni  e  favorire
l'avvicendamento - che, come pure si  e'  detto,  non  appare  dotato
dello stesso tono costituzionale. 
    3.3. Quanto sopra trova conforto anche nel generale principio  di
irretroattivita'   che   regola   la    successione    delle    fonti
dell'ordinamento nel tempo. Questo principio, infatti,  non  consente
alcuna derogabilita' da parte del legislatore,  almeno  in  tutte  le
ipotesi in cui la legge, come  nel  caso  di  specie,  incide  su  un
diritto costituzionalmente garantito quale e'  quello  di  elettorato
passivo ex art. 51 Costituzione, producendo cosi' un «sacrificio  del
suo nucleo essenziale» (Corte costituzionale, n. 85/2013). L'art.  11
delle preleggi al  codice  civile,  nel  prevedere  espressamente  la
irretroattivita'  della  legge,  pur   non   avendo   diretta   forza
costituzionale e pur essendo derogabile dal  legislatore  successivo,
assume indubbiamente rilievo  costituzionale  quando  sono  in  gioco
diritti fondamentali come quelli protetti  dagli  articoli  48  e  51
Costituzione. In tali casi, infatti, le leggi che li  comprimono  non
possono essere retroattive anche se non sono leggi penali.  Il  fatto
che, nella specie, l'art. 11-quinquies del decreto legge n.  135/2018
come modificato dalla legge di conversione (n. 12/2019) intacchi «nel
suo nucleo essenziale» il diritto di cui  all'art.  51  Costituzione,
rende percio' inderogabile il principio di  irretroattivita'  sancito
dall'art. 11 delle preleggi. Deve  ritenersi  insomma  che,  pur  non
essendo tale principio implicitamente costituzionale, tuttavia la sua
rilevanza al riguardo puo' rinvenirsi in campi ben  individuati  come
in tutte le materie costituzionalmente riservate, data l'esigenza che
esse vengano disciplinate  in  via  generale  ed  astratta,  anziche'
avendo riguardo a situazioni definite o definibili quali sono i fatti
passati  (in  tale  senso,  L.  Paladin,  Appunti  sul  principio  di
irretroattivita' delle leggi, in Foro amm., I, 1959, pag.  248).  Nel
nostro  caso  risulta  di  tutta  evidenza  che,  proprio  attraverso
l'intervento retroattivo di  interpretazione  autentica,  detto  art.
11-quinquies ha inciso  illegittimamente  su  una  materia  -  quella
dell'elettorato attivo e passivo - che, essendo oggetto di una tutela
astratta e generale riservata alla legge, non puo'  essere  in  alcun
modo ricondotta a situazioni e fatti comunque da definire, come  sono
appunto i fatti passati. 
    3.4. Come rilevato anche dal Procuratore generale presso la Corte
di   cassazione,   viene   in   evidenza,   inoltre,   per    effetto
dell'irragionevolezza   della   retroattivita'   della   disposizione
censurata, la violazione delle funzioni costituzionalmente  riservate
al potere  giudiziario,  che  -  come  risulta  dalla  giurisprudenza
costituzionale richiamata - e' uno dei canoni  di  valutazione  della
ragionevolezza  delle  norme   di   interpretazione   autentica.   La
sopravvenienza   legislativa   ha   infatti    pesantemente    inciso
sull'esercizio  delle  funzioni  attribuite  dalla  legge  a   questo
Consiglio,  che  e'  Giudice  speciale  anche   ove   investito   del
contenzioso in materia di elezioni dei consigli degli ordini  forensi
e  si  e'  trovato  a  dover   decidere   sull'ammissibilita'   delle
candidature  e  sull'eleggibilita'  dei  candidati  gia'  eletti   in
passato. La giurisdizione elettorale domestica  e'  infatti  elemento
caratterizzante l'ordinamento forense, ed  attuazione  specifica  del
principio  di  autonomia  cui  l'ordinamento   italiano   ha   inteso
conformare l'ordine degli avvocati, secondo una risalente  tradizione
confermata dalla Costituzione, che - come noto - non ha  soppresso  i
giudici speciali precostituzionali (cfr. VI disp. trans. Cost.).  Nel
momento in cui e' entrata  in  vigore  la  norma  di  interpretazione
autentica  retroattiva,  erano  gia'  pendenti  diversi  procedimenti
giurisdizionali presso questa Autorita' giudiziaria, ed  e'  anzi  di
tutta evidenza che,  scegliendo  di  intervenire  normativamente  sui
procedimenti elettorali della tornata del 2019, il legislatore  abbia
inteso intervenire - al fine di orientarli in una direzione specifica
-  anche  (o  forse  soprattutto)   sugli   inevitabili   conseguenti
procedimenti  giurisdizionali  attivati  nelle  forme   dei   reclami
elettorali previsti dall'ordinamento forense. 
    4. Per le ragioni sopraesposte la norma in questione non  pare  a
questo Giudice sfuggire a seri dubbi di  costituzionalita'  sotto  il
profilo della ragionevolezza e della proporzionalita', alla luce  dei
limiti  che  le  norme  di  interpretazione  autentica,  come  detto,
incontrano nel sistema costituzionale delle fonti. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento
agli articoli 2, 3, 18, 48, 51 e 118 della Costituzione, la questione
di legittimita' costituzionale delle norme di cui all'art.  3,  comma
3, secondo periodo, della legge 12 luglio 2017,  n.  113  e  all'art.
11-quinquies  del  decreto-legge  14  dicembre  2018,  n.  135,  come
inserito dalla legge di conversione 13 febbraio 2019, n. 12; 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale. 
    Sospende  il   giudizio   fino   alla   decisione   della   Corte
costituzionale. 
    Ordina che, a cura della Segreteria, la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti costituite, al Procuratore generale  presso  la
Corte  di  cassazione,  nonche'  al  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri, e sia comunicata al Presidente del Senato della  Repubblica
ed al Presidente della Camera dei deputati. 
      Cosi' deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 15  febbraio
2019. 
 
                    Il Presidente f.f.: Logrieco 
 
 
                                        Il segretario f.f.: Broccardo