N. 66 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 febbraio 2019

Ordinanza del 28 febbraio 2019 del Consiglio  nazionale  forense  sul
reclamo proposto da Giuliani Carla, Novaro Lucrezia e Sanna  Giovanni
contro Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Savona e altri . 
 
Professioni - Avvocato e procuratore - Elezione  dei  componenti  dei
  consigli degli ordini circondariali forensi - Limiti all'elettorato
  passivo - Ineleggibilita' degli avvocati che abbiano gia' espletato
  due mandati consecutivi - Norma di interpretazione  autentica  che,
  ai fini del rispetto del divieto  di  rielezione,  prevede  che  si
  tenga conto anche dei mandati espletati, anche solo in parte, prima
  dell'entrata in vigore dell'art. 3, comma 3, secondo periodo, della
  legge n. 113 del 2017. 
- Legge 12 luglio 2017,  n.  113  (Disposizioni  sulla  elezione  dei
  componenti dei consigli degli ordini circondariali  forensi),  art.
  3, comma 3, secondo periodo; decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135
  (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione  per
  le imprese e per  la  pubblica  amministrazione),  convertito,  con
  modificazioni, nella legge 13 (recte: 11)  febbraio  2019,  n.  12,
  art. 11-quinquies. 
(GU n.18 del 2-5-2019 )
 
                     CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE 
 
    Il Consiglio, nelle persone dei consiglieri: 
        avv. Francesco Logrieco, Presidente f.f.; 
        avv. Carla Broccardo, segretario f.f.; 
        avv. Fausto Amadei, componente; 
        avv. Antonio De Michele, componente; 
        avv. Lucio Del Paggio, componente; 
        avv. Diego Geraci, componente; 
        avv. Anna Losurdo, componente; 
        avv. Enrico Merli, componente; 
        avv. Arturo Pardi, componente; 
        avv. Michele Salazar, componente; 
        avv. Vito Vannucci, componente; 
        avv. Francesca Sorbi, componente; 
        avv. Francesco Marullo Di Condojanni, componente; 
        avv Carlo Allorio, componente; 
        avv Priamo Siotto, componente; 
        avv. Giuseppe Getano Iacona, componente. 
    Il Consiglio nazionale forense, nel reclamo  elettorale  iscritto
al n. 9/2019 di ruolo generale proposto il 17  gennaio  dagli  avv.ti
Carla Giuliani,  Lucrezia  Novara  e  Giovanni  Sanna,  assistiti  da
quest'ultimo e dall'avv. Giovanni Delucca, avverso  il  provvedimento
di  proclamazione   degli   eletti   della   Commissione   elettorale
dell'ordine degli avvocati di Savona  dell'11  gennaio  2019  nonche'
avverso  tutti  gli  atti  prodromici  relativi  alla   consultazione
elettorale per il rinnovo del Consiglio dell'ordine di Savona per  il
quadriennio 2019/2022, contro il Consiglio dell'ordine degli avvocati
di Savona, e la commissione elettorale costituita presso il  medesimo
Ordine in persona della presidente avv. Vittoria Fiori,  nonche'  nei
confronti dei consiglieri eletti  avv.ti  Alessandro  Aschero,  Fabio
Cardone, Daniela Giaccardi, Mario Randacio,  Mario  Spotorno,  e  dei
candidati non eletti avv.ti Andrea Geddo, Giuseppe  Farrauto,  Simone
Mariani  e  Francesco  Bruno  quest'ultimo  costituito  nel  presente
giudizio; 
    udita la relazione del consigliere avv. Michele Salazar; 
    sentito il Procuratore generale presso la  Corte  di  cassazione,
cons. dott. Riccardo Fuzio; 
    sentito l'avv. Giovanni Sanna per i reclamanti; 
    sentito  il  prof.  avv.  Luigi  Piscitelli  per   il   Consiglio
dell'ordine degli avvocati di Savona, nonche' per gli avv.ti  Daniela
Giaccardi,  Alessandro  Aschero,  Mario  Randacio,  Mario   Spotorno,
Francesco Bruno e per la  presidente  della  commissione  elettorale,
avv. Vittoria Fiori; 
    Letti gli atti ed i documenti prodotti; 
    A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 15  febbraio
2019; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza. 
I. L'oggetto del giudizio. 
    1.1. In data 7 dicembre 2018 venivano indette le elezioni per  il
rinnovo del Consiglio  dell'ordine  di  Savona  per  la  consiliatura
2019/2022. L'assemblea elettorale veniva convocata per  i  giorni  10
gennaio 2019 in Albenga, presso la sede dell'Organismo di  mediazione
(ex Palazzo di giustizia) e 11 gennaio 2019 in Savona presso la  sede
del  Consiglio  (Palazzo  di  giustizia).  La  data  ultima  per   la
presentazione    delle    candidature    veniva    individuata    nel
quattordicesimo  giorno  precedente  la  data  del  voto,  ai   sensi
dell'art. 8 della legge n. 113/2017. 
    Con provvedimento consiliare del 27 dicembre 2018 veniva nominata
la commissione elettorale, la quale, il successivo 31 dicembre  2018,
ammetteva  alla  competizione  elettorale  sedici  delle  candidature
presentate, ed  in  particolare  quelle  degli  avvocati:  Alessandro
Aschero; Francesco Bruno; Fabio Cardone;  Daniela  Giaccardi;  Simone
Mariani; Mario Randacio; Mario Spotorno; Lucrezia Novaro;  Elisabetta
Ferrero; Mario Noberasco; Claudia Arduino; Paolo  Dogliotti;  Barbara
Pasquali; Alessandra  Magliotto;  Giuseppe  Farrauto;  Andrea  Geddo.
Dichiarava   irricevibile   perche'   tardiva   una   diciassettesima
candidatura. 
    In data 11 gennaio 2019,  la  medesima  commissione,  in  ragione
degli esiti delle votazioni, dichiarava  eletti  undici  consiglieri,
fra i  quali  si  collocavano  gli  avv.ti  Fabio  Cardone,  con  286
preferenze,  Daniela  Giaccardi,  con  226   preferenze;   Alessandro
Aschero, con 186 preferenze,  Mario  Randacio,  con  161  preferenze,
Mario Spotorno, con 87 preferenze. Non risultavano tra gli eletti gli
avv.ti Francesco Bruno e Simone Mariani. 
    1.2. Gli avv.ti Carta Giuliani, Lucrezia Novaro, e Giovanni Sanna
hanno proposto reclamo  avverso  il  provvedimento  di  proclamazione
degli eletti nonche' avverso tutti gli  atti  prodromici  e  comunque
relativi  al  procedimento   elettorale,   articolando,   dopo   aver
argomentato circa la propria legittimazione al reclamo, i tre  motivi
di reclamo di seguito esaminati. 
    i) Violazione del combinato disposto degli articoli 6 e 11, legge
n. 113/2017 in ordine allo svolgimento  delle  operazioni  elettorali
anche per nullita' dell'avviso di convocazione dell'Assemblea. 
    I  reclamanti  hanno  contestato  la  nullita'   assoluta   delle
consultazioni  elettorali  in  ragione  dell'individuazione  di   due
differenti luoghi per il voto, in violazione del  disposto  dell'art.
6, commi 3 e  11  della  legge  n.  113/2017  che,  nell'indicare  al
singolare «il luogo» delle votazioni, non consentirebbe  di  ritenere
legittima  l'opzione  prescelta  dal   Consiglio   dell'Ordine.   Per
l'effetto hanno individuato come unico seggio  validamente  prescelto
quello di Savona, ritenendo di conseguenza  viziata  la  convocazione
dell'Assemblea elettorale  nella  parte  in  cui  conteggia  l'ultimo
giorno utile per la presentazione delle candidature in relazione alla
data del 10 gennaio, giorno delle votazioni in  Albenga,  e  non  del
giorno successivo, 
    ii) Violazione dell'art. 3 della legge n. 113/2017  in  relazione
al disposto dell'art. 17 della medesima e iii) Violazione della norma
di interpretazione autentica di cui all'art. 1 del  decreto-legge  n.
2/2019. 
    I reclamanti hanno contestato che gli avv.ti  Fabio  Cardone  (1°
eletto) Daniela Giaccardi (2ª eletta) Alessandro Aschero (3°  eletto)
Mario Randacio (6° eletto) e Mario Spatorno (11° eletto),  nonche'  i
candidati non eletti, Simone Mariani e Francesco Bruno, si trovassero
e si trovino nella situazione di incandidabilita' e/o ineleggibilita'
prevista dall'art. 3, comma 3 della legge n. 113/2017. Tutti e  sette
i  candidati  avrebbero  svolto  due  mandati  precedenti  di  durata
superiore al biennio, risultando eletti sia nella tornata  elettorale
per il rinnovo relativo agli anni 2012/2015, sia in quella successiva
relativa agli anni 2015/2018. Da tali  circostanze  conseguirebbe  la
nullita' assoluta delle operazioni elettorali  in  contestazione,  in
quanto ben sette  delle  sedici  candidature  ammesse  non  avrebbero
potuto legittimamente dare luogo  ad  elezioni  valide  ai  fini  del
rinnovo  dell'Organo  consiliare,  composto  per  legge   da   undici
consiglieri. 
    A sostegno  delle  proprie  argomentazioni,  i  reclamanti  hanno
richiamato il principio di diritto affermato dalla sentenza n.  32781
del 19 dicembre 2018 delle Sezioni Unite, poi  recepito  dall'art.  1
del  decreto-legge  11  gennaio  2019,  n.   2   che,   in   via   di
interpretazione autentica,  ha  disposto  che  «L'art.  3,  comma  3,
secondo periodo, della legge 12 luglio 2017, n.  113,  si  interpreta
nei senso che, ai fini del rispetto del divieto di  cui  al  predetto
periodo, si tiene conto dei mandati espletati, anche solo  in  parte,
prima  della  sua  entrata  in  vigore,  compresi   quelli   iniziati
anteriormente all'entrata in vigore della legge 31 dicembre 2012,  n.
247. Resta fermo quanto previsto dall'art. 3, comma 3, terzo periodo,
e comma 4, della legge 12 luglio 2017, n. 113». 
    1.3. Tanto premesso, i reclamanti concludevano chiedendo a questo
Giudice di 1) dichiarare la nullita' assoluta delle elezioni,  stante
lo svolgimento delle stesse in due luoghi differenti, anziche' in uno
solo contemplato dagli articoli  6  e  11  della  legge  n.  113/2017
nonche' di qualunque atto presupposto e conseguenziale; 2) dichiarare
la nullita' delle elezioni in quanto ben sette  candidati  su  sedici
erano  ineleggibili  e  quindi,  era  impossibile  l'elezione  di  un
Consiglio dell'Ordine composto  da  undici  soggetti  eleggibili;  3)
annullare l'atto di proclamazione degli eletti dell'11 gennaio  2019,
prot. 36/19, pubblicato sul  sito  istituzionale  dell'Ordine  il  12
gennaio 2019, dichiarando  invalidi  i  risultati  delle  elezioni  e
qualunque atto presupposto e conseguenziale. 
    1.4. In data 14 febbraio i reclamanti depositavano note difensive
le quali, oltre a reiterare le argomentazioni gia' svolte negli  atti
introduttivi  contenevano  motivi  nuovi,  in  particolare  la'  dove
denunciavano: 1) la nullita' della deliberazione del  COA  di  Savona
dei 7 dicembre 2018 per violazione dell'art. 4, comma 1, della  legge
n. 113/2017 e  della  allegata  Tabella  A;  2)  diversi  profili  di
nullita' della convocazione senza data e senza firma  pubblicata  sul
sito del COA in data 10 dicembre 2018; 3) la violazione  dell'art.  9
della legge n. 113/2017 in relazione alle  modalita'  di  scelta  dei
componenti della  commissione  elettorale;  4)  la  violazione  degli
articoli 3, 5 e 6 della legge n. 113/2017 in relazione alle modalita'
di svolgimento delle elezioni; 5) la  violazione  dell'art.  3  della
legge n. 113/2017 in relazione alle modalita'  di  svolgimento  delle
elezioni; 6) la violazione di cui all'art. 4, comma 1, della legge n.
113/2017 e della Tabella A della legge medesima. 
    1.5. In data 14 febbraio 2019, si  costituivano  in  giudizio  il
Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Savona, nonche' i consiglieri
eletti Fabio Cardone, Daniela Giaccardi,  Alessandro  Aschero,  Mario
Randacio e Mario Spotorno, il candidato  non  eletto  Avv.  Francesco
Bruno e la presidente della  commissione  elettorale,  avv.  Vittoria
Fiori, tutti rappresentati e difesi dal prof. avv. Luigi Piscitelli. 
    La difesa dei resistenti  chiedeva  il  rigetto  delle  richieste
avversarie,   eccependo,   in   via   preliminare,   un   vizio    di
contraddittorio attesa la notificazione del reclamo soltanto a taluni
dei controinteressati e non a tutti gli  eletti,  e  articolando  nel
merito argomentazioni volte a replicare alle allegazioni avversarie e
a  sollecitare  il  giudice  adito  a  sollevare  un   incidente   di
legittimita' costituzionale con riferimento alle norme applicabili al
giudizio. 
    In particolare, i  resistenti  replicavano  al  primo  motivo  di
reclamo  confermando  la  legittimita'  dell'opzione  prescelta   dal
Consiglio dell'ordine nel consentire le operazioni  di  voto  in  due
diversi  seggi  elettorali,   entrambi   forniti   di   uno   stabile
collegamento con l'Assemblea elettorale, trovandosi l'uno  presso  la
sede dell'Organismo di mediazione forense di Albenga, l'altro  presso
i locali del Consiglio in Savona. L'opzione, lungi  dal  violare  gli
articoli 6 e 11 della legge n. 113/2017, avrebbe consentito una  piu'
ampia partecipazione degli elettori alla consultazione elettorale. 
    I resistenti, dopo aver dato  conto  della  circostanza  che  gli
interventi  normativi  sulle  norme  asseritamente  violate   fossero
intervenuti successivamente tanto al  momento  dell'ammissione  delle
candidature quanto a  quello  successivo  della  proclamazione  degli
eletti, contestavano la  ragionevolezza  del  disposto  dell'art.  3,
comma 3 della legge n. 113/2017, con riferimento  all'interpretazione
offertane sia dalle SS.UU. con la decisione n.  32781/2018,  sia  dal
legislatore con l'art. 1 del decreto-legge  n.  2/2019  prima  e  con
l'art. 11-quinquies del  decreto-legge  n.  135/2018,  come  inserito
dalla legge di conversione n. 12/2019 poi,  depositando  all'uopo  la
memoria difensiva in data 14 febbraio 2019. 
    Infine il Consiglio dell'ordine di Savona e gli avv.ti  con  esso
costituiti, chiedevano il rigetto  del  reclamo  e  sollecitavano  il
Giudice adito a rimettere alla Corte costituzionale la  questione  di
legittimita' costituzionale «delle disposizioni che  stabiliscono  il
divieto del terzo mandato dopo due mandati consecutivi  e  di  quelle
che impongono la considerazione a tal fine dei mandati svolti fino al
31 dicembre 2018, data dalla quale possono dirsi applicate  a  regime
le nuove regole sull'ordinamento degli Ordini», ovvero degli articoli
3 della legge n. 113/2017 e 1 del decreto-legge  n.  2/2019.  Con  la
memoria difensiva depositata il 14 febbraio 2019, tali eccezioni sono
state estese all'art. 1 della legge n.  12/2019  di  conversione  del
c.d. decreto-legge semplificazioni (n. 135/2018), che al terzo  comma
ha disposto che «il decreto-legge 11 gennaio 2019, n. 2, e' abrogato.
Restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi
gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla  base  del
medesimo  decreto-legge  11  gennaio  2019,   n.   2»;   e   all'art.
11-quinquies  del  decreto-legge  n.  135/2019,  che   in   sede   di
conversione  ha  riproposto  le   prescrizioni   della   disposizione
abrogata. 
    1.6. In particolare, la difesa dei resistenti ha posto in  dubbio
la costituzionalita' delle norme citate per le ragioni che seguono. 
    i) In primo luogo, i resistenti hanno denunciato l'illegittimita'
costituzionale delle norme richiamate  nonche'  «dell'interpretazione
fornita dalle SS.UU, della Corte di cassazione  con  la  sentenza  n.
32781/2018», in quanto volte a comprimere,  in  violazione  dell'art.
51, comma 3 della Costituzione l'elettorato  passivo  in  assenza  di
ragionevoli giustificazioni dotate di uguale rilievo  costituzionale.
Evidenziano, a  questo  proposito,  le  profonde  differenze  tra  la
fattispecie oggetto del giudizio e gli analoghi divieti previsti  per
le cariche elettive di sindaco e di presidente della  regione.  Cio',
da un lato, in ragione della diversa natura degli  enti  considerati:
in   un   caso,   l'Ordine   degli   avvocati,   formazione   sociale
rappresentativa  di  una  specifica  e  ben   individuata   categoria
professionale  orientato  al  perseguimento   di   fini   settoriali;
nell'altro caso comuni e regioni,  «enti  pubblici  a  fini  generali
[...]  rappresentativi  dell'intera   collettivita'».   Ulteriore   e
rilevante  profilo  di  differenziazione  viene   individuato   nella
collegialita' delle  funzioni  del  Consiglio  dell'Ordine,  che  non
riconosce neppure in capo al presidente funzioni proprie che  possano
condurre ad una personalizzazione nella  gestione  dell'Ente.  Non  a
caso, osservano i resistenti, le limitazioni al diritto di elettorato
passivo introdotte per gli enti  locali  a  partire  dal  1993  hanno
sempre  riguardato  gli  organi  monocratici  di  vertice  e  mai  le
assemblee consiliari, come invece fatto per i Consigli forensi con le
norme in discussione. 
    Il ricambio e la gestione democratica  dell'Organo,  nel  sistema
forense, sarebbero ad opinione  della  difesa,  ampiamente  garantiti
dalle concrete modalita' di svolgimento  delle  elezioni  (elettorato
attivo generalizzato,  periodicita'  dei  rinnovi),  come  dimostrato
proprio dalle operazioni elettorali contestate che  -  nonostante  la
presenza di piu' candidati con ampia esperienza  consiliare  -  hanno
consentito  il  rinnovamento   di   una   quota   consistente   della
composizione del Consiglio. 
    A riprova della violazione dell'art. 51 Cost. richiamano  percio'
l'insegnamento costante della giurisprudenza costituzionale,  secondo
la quale la legittima compressione del diritto di elettorato  passivo
deve essere giustificata dal perseguimento di un interesse  pubblico,
assente, per quanto osservato nel caso di specie. 
    ii) In secondo luogo i resistenti rilevano  ulteriore  violazione
dei precetti costituzionali, e segnatamente degli articoli 2  e  118,
precetti  che  tutelano  rispettivamente  le  formazioni  sociali   a
carattere   associativo   ed   individuano   «nella    sussidiarieta'
orizzontale (alla quale viene ricondotta l'autonomia funzionale)  una
fondamentale linea di costruzione dello Stato ordinamento» vincolante
per il legislatore, «soprattutto quando l'autogoverno  e'  funzionale
alla  tutela  di  diritti  costituzionalmente  protetti  (art.  24)».
Reputano, infine, irragionevoli e disfunzionali  le  norme  censurate
sotto il profilo della violazione dell'art. 3 Cost. e  del  principio
di buon andamento (art. 97 Cost.). 
    iii) I resistenti deducono altresi' la violazione degli  articoli
3  e  51  Cost.,  nonche'  dell'art.  117  in  relazione  all'art.  6
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta'  fondamentali,  sotto  il  profilo  della   violazione   del
principio  di  certezza  del  diritto  e  di   affidamento,   nonche'
dell'interpretazione dell'art. 3, comma 3 della legge n.  113/2017  e
delle leggi di interpretazione autentica che si  sono  succedute,  in
quanto  volte  ad  attribuire  rilevanza  a  fatti   avvenuti   prima
dell'entrata in  vigore  delle  norme  stesse.  Contestano  a  questo
proposito  in  primo  luogo,  l'irragionevolezza  di  una   soluzione
interpretativa che, in violazione degli articoli 3 e 51 Cost., mentre
consente pro futuro di ricoprire la carica per una durata complessiva
di otto anni, pari a due  mandati  quadriennali  (durata  prevista  a
partire  dalla  legge  n.  247/2012),  dall'altro  vieta  una   terza
candidatura a quanti abbiano svolto due mandati consiliari di pari al
biennio prima dell'entrata in vigore del divieto. In  secondo  luogo,
richiamano l'eccezionalita' dei casi in cui la legge puo' disporre in
senso retroattivo e la violazione, nel caso di specie, del  principio
dell'affidamento  di  quanti  hanno  legittimamente  confidato  nella
generale  operativita'  della  legge  per  l'avvenire,  nonche'   del
principio di certezza dei rapporti giuridici, viepiu'  importante  in
una materia sensibile come quella elettorale. 
    iv)  Ulteriori  questioni  di  legittimita'  vengono  poste   con
riferimento al decreto-legge n. 2/2019 in relazione alle prescrizioni
dell'art. 77 Cost. per tre ordini di ragioni  concorrenti.  In  primo
luogo per l'assenza dei presupposti della decretazione d'urgenza  per
l'adozione di una norma interpretativa di  una  disposizione  vigente
meramente riproduttiva di  un'interpretazione  giurisprudenziale;  in
secondo luogo per la violazione della riserva  di  legge  formale  in
materia elettorale stabilita dall'art. 72 Cost.; in terzo  luogo,  in
relazione al principio di ragionevolezza, in quanto il decreto-legge,
che  la  Costituzione  qualifica  «provvedimento  provvisorio»,   non
sarebbe  idoneo  a  garantire  la  certezza  necessaria  in   materia
elettorale. 
    v) Del medesimo decreto-legge, e con esso dell'art.  11-quinquies
del  decreto-legge  n.  135/2018,  come  inserito  dalla   legge   di
conversione  n.  12/2019,  si  contesta   altresi'   la   natura   di
interpretazione autentica, attesone  il  carattere  «innovativo»  che
avrebbe  oltretutto   determinato   un'abnorme   interferenza   sulle
operazione elettorali in atto al momento della pubblicazione, in  tal
modo compromettendo l'uguaglianza e la liberta' dei voto e ledendo il
corretto esercizio del diritto di difesa e del  giusto  procedimento,
in violazione degli articoli 2, 24, 48, 51, e 111 Cost.», violando in
tal modo altresi' «l'art. 117 in  relazione  all'art.  6  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali  come  interpretato  dalla  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, in base al quale il principio di preminenza del diritto  e
la  nozione  di  giusto  processo  consacrati   dall'art.   6   della
Convenzione  non  consentono  l'emanazione  di  norme   con   effetti
retroattivi, tra cui quelle di interpretazione autentica,  idonee  ad
incidere sui procedimenti gia' in corso». 
    1.7  All'udienza  del  15  febbraio  2019,  e'   intervenuto   il
Procuratore generale presso la Corte di cassazione, sottolineando  la
particolare complessita' dell'interpretazione della disciplina  delle
elezioni  forensi,  la  quale,  nonostante  i   numerosi   interventi
normativi   e    giurisprudenziali    succedutisi    a    far    data
dall'approvazione del nuovo ordinamento professionale con la legge n.
247/2012, ha dato occasione per la  prospettazione  di  questioni  di
costituzionalita' certamente da condividere nella loro premessa,  la'
dove mettono  in  evidenza  i  «guasti»  di  una  poco  comprensibile
modifica, intervenuta prima con la  legge  del  2012  e  poi  con  la
integrazione della  normativa  del  2017,  della  disciplina  per  la
elezione e costituzione dei nuovi COA che,  pur  dopo  una  decisione
delle Sezioni Unite, non ha raggiunto un  grado  di  affidabilita'  e
razionalita' in un sistema gia' pesantemente ostacolato dalle vicende
del  precedente  regolamento  ministeriale  e,  da  ultimo,  con   la
introduzione della norma di interpretazione autentica. Il medesimo ha
rilevato la delicatezza dei valori sui quali interviene la  legge  n.
113/2017, per come interpretata prima  dalle  SS.UU.  nel  suo  unico
precedente sul tema, e dal legislatore, poi, con il decreto-legge  n.
2/2019 e con la legge n. 12/2019. 
    Il P.G. ha richiamato, innanzitutto, l'art. 2 della  Costituzione
atteso che, ferma la natura  pubblicistica  della  generalita'  delle
funzioni  attribuite  ai   Consigli   dell'ordine   degli   avvocati,
l'intervento sulla materia elettorale e,  dunque,  sulla  scelta  dei
propri  rappresentati   istituzionali   da   parte   degli   iscritti
all'Ordine, avviene in  modo  incisivo  sull'autonomia  di  un  corpo
intermedio - formazione sociale ove  il  singolo  svolge  la  propria
personalita' - condizionando tanto il diritto di  elettorato  attivo,
quanto quello di elettorato passivo, garantiti dagli articoli 48 e 51
della Costituzione. 
    I dubbi di  costituzionalita',  in  assenza  del  contrappeso  di
valori costituzionali ugualmente fondanti - in primis il criterio  di
ragionevolezza (art.  3  Cost.)  -  potrebbero  essere  prospettabili
anzitutto con riferimento  alle  disposizioni  prima  espresse  dalla
legge n. 247/2012, poi dalla  legge  n.  113/2017,  volte  a  vietare
l'elezione di quanti  abbiano  gia'  svolto  due  precedenti  mandati
consiliari. 
    In secondo luogo, e a  maggior  ragione,  gli  stessi  potrebbero
essere sollevati con riferimento alle  previsioni  di  legge  che  ne
hanno disposto l'applicazione retroattiva, ferma  restando  la  piena
discrezionalita' del legislatore il quale, in  ragione  dell'art.  11
delle preleggi, puo' in casi eccezionali  disporre  anche  in  questo
senso, come gia' ha  fatto  legittimamente  in  precedenza  anche  in
materia elettorale. Le  scelte  legislative  di  tale  segno,  pero',
dovrebbero  essere  espresse  in  modo  chiaro   e   attraverso   una
dettagliata  normativa  transitoria,  in  modo  tale  da   restituire
all'interprete un quadro di applicazione razionale.  Le  vicende  che
hanno interessato l'interpretazione dell'art. 3, comma 3 della  legge
n. 113/2017,  dimostrano  l'esatto  opposto,  in  considerazione  che
neppure l'arrêt delle Sezioni Unite, quale giudice  dell'impugnazione
delle sentenze del Consiglio nazionale forense e non gia' in funzione
nomofilattica, ha dissolto i dubbi, tanto da aver richiesto ulteriori
interventi interpretativi, peraltro meramente riproduttivi di  quelli
espressi dalla sentenza n. 32781/2018. 
    La chiarezza del quadro normativo e' a maggior ragione necessaria
allorquando  il  legislatore  intervenga  in  deroga   al   principio
stabilito  dall'art.  11  delle  preleggi,   incidendo   su   diritti
costituzionalmente  garantiti  come  il  diritto   all'elettorato   e
l'autonomia delle formazioni sociali. In questo caso, ha rilevato  il
P.G., «l'eccezionalita' e' al quadrato» perche' comprime  il  diritto
di  elettorato  attivo  e  passivo  garantiti   dalla   Costituzione,
compressione di per se' eccezionale, come piu' volte ha avuto modo di
chiarire la Consulta. Nel caso oggetto  del  giudizio,  pertanto,  il
Collegio  adito  e'  chiamato  a  ricercare   valori   costituzionali
utilmente  bilanciabili   in   assenza   dei   quali   i   dubbi   di
costituzionalita'  supererebbero  il  livello  della  non   manifesta
infondatezza prescritto dall'ordinamento costituzionale. 
    In terzo luogo, ai richiamati dubbi di costituzionalita' riferiti
alla violazione dell'art. 2 Cost.  e  degli  articoli  48  e  51,  si
aggiungono quelli relativi all'art. 77 del testo costituzionale,  per
cui non e' semplice  scorgere  i  requisiti  di  straordinarieta'  ed
urgenza prescritti dal  costituente  anche  in  considerazione  della
natura di interpretazione autentica delle disposizioni. 
    Il P.G. rileva come si tratti  di  vicenda  normativa  del  tutto
singolare. Il decreto-legge n. 2/2019, prima, e la legge  n.  12/2019
poi, sono entrambi intervenuti nel momento in cui molte consultazioni
elettorali erano state gia' indette ovvero in corso di svolgimento  e
finanche sub judice, circostanze che potrebbero ingenerare dubbi  con
riferimento al principio di separazione trai poteri  che  costituisce
uno dei fondamenti del moderno Stato di diritto. Come pure singolare,
e  potenzialmente  foriera  di  dubbi  di  costituzionalita',  e'  la
successione intervenuta tra le due distinte leggi di  interpretazione
autentica. 
    Tanto   premesso.   in   ragione   del    dovere    di    fornire
un'interpretazione della legge conforme a Costituzione, anche  tenuto
conto del primo vaglio di costituzionalita', per cosi dire «esterno»,
effettuato dal Capo dello Stato in sede di promulgazione della  legge
n. 12/2019, il P.G. ha concluso per il superamento delle eccezioni di
costituzionalita' proposte e l'accoglimento del reclamo. 
    1.8. Nella medesima  udienza  le  parti  si  sono  richiamate  ai
rispettivi  atti  difensivi  ed  hanno  ulteriormente  illustrato  le
reciproche deduzioni  ed  istanze,  anche  con  riferimento  all'art.
11-quinquies del decreto-legge n. 135/2018 come inserito dalla  legge
di conversione n. 12/2019. 
    La difesa dei reclamanti  ha  argomentato  con  riferimento  alla
perfetta tenuta costituzionale  del  sistema  normativo  relativo  al
divieto di terzo mandato consecutivo, richiamando a tal proposito  la
decisione della Corte costituzionale n. 236/2015 -  che  ha  ritenuto
costituzionalmente legittime le ipotesi di  decadenza  e  sospensione
previste dall'art. 11, comma 1, lettera a), del  decreto  legislativo
31 dicembre 2012, n. 235 anche se riferite a  fatti  precedenti  alla
propria entrata in vigore - nonche' l'ordinanza n.  12461/2018  della
Corte di cassazione, che  ha  ritenuto  conformi  a  Costituzione  le
analoghe previsioni del decreto  legislativo  n.  139  del  2005  con
riferimento all'elezione dell'Ordine dei  commercialisti  ed  esperti
contabili. 
    Di talche' il Collegio ha trattenuto la causa in riserva. 
II. La proposizione della questione di legittimita' costituzionale. 
    Nella sua qualita' di giudice speciale ai sensi dell'articolo 111
Cost. e della  VI  disp.  trans.  Cost.,  il  Collegio,  non  potendo
decidere la questione senza fare  applicazione  delle  norme  di  cui
all'art. 3, comma 3 della legge 12 luglio 2017,  n.  113  e  all'art.
11-quinquies  del  decreto-legge  14  dicembre  2018,  n.  135,  come
inserito dalla legge di conversione 13  febbraio  2019,  n.  12,  ne'
fornirne una interpretazione costituzionalmente orientata, solleva la
questione di legittimita' costituzionale delle norme stesse, ex  art.
23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per le  seguenti  argomentazioni
in 
 
                               Diritto 
 
1. Sulla rilevanza delle questioni. 
    1.1. La questione di legittimita' costituzionale delle  norme  di
cui all'art. 3, comma 3 della legge 12 luglio 2017, n. 113 e all'art.
11-quinquies  del  decreto-legge  14  dicembre  2018,  n.  135  (come
inserito dalla legge di conversione  13  febbraio  2019,  n.  12)  e'
rilevante  per  la  decisione  del  giudizio  principale  innanzi  al
Consiglio nazionale forense. Tale giudizio non puo', infatti,  essere
definito  indipendentemente   dalla   risoluzione   della   sollevata
questione (art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87). 
    In  particolare,  i  reclamanti  chiedono  l'annullamento   delle
elezioni del Consiglio dell'ordine degli avvocati di Savona, fondando
le proprie doglianze, tra l'altro,  sulla  ammissione,  asseritamente
illegittima,  alla  competizione  elettorale   e   sulla   successiva
proclamazione quali eletti  degli  avvocati  i  quali  incorrerebbero
nella causa di ineleggibilita' di cui alle disposizioni sospettate di
illegittimita'   costituzionale.    Inoltre,    l'ammissione    delle
candidature,  nella  prospettiva  dei  reclamanti,  invaliderebbe  il
procedimento elettorale nel suo complesso, atteso che i candidati  in
situazione di  ineleggibilita'  sarebbero  ben  sette  rispetto  alle
diciassette candidature  presentate  e  agli  undici  componenti  del
Consiglio da eleggere. 
    Le predette disposizioni sono, dunque, di applicazione necessaria
nel presente giudizio, incidendo direttamente la loro interpretazione
e applicazione sulla fondatezza delle  doglianze  dei  reclamanti  e,
conseguentemente,  sulla  validita'  delle  elezioni  del   Consiglio
dell'ordine degli avvocati di Savona 
    1.2. A tale valutazione di rilevanza si giunge  in  seguito  alla
delibazione delle eccezioni pregiudiziali e delle censure preliminari
in senso non ostativo rispetto all'esame delle questioni  logicamente
successive implicanti  l'applicazione  delle  norme  sulle  quali  si
solleva questione di legittimita' costituzionale. 
    1.3. Va, allora, innanzitutto esclusa la violazione del principio
del  contradditorio  e/o  l'inammissibilita'  del   reclamo   perche'
notificato, a detta dei resistenti, soltanto a cinque e non a tutti i
candidati eletti. 
    Per costante giurisprudenza domestica e di legittimita', difatti,
l'integrazione del contraddittorio avviene ad opera del giudice adito
senza che l'originaria omissione possa comportare alcuna  conseguenza
sull'ammissibilita' o sulla procedibilita' del giudizio. 
    1.4 Allo stesso modo l'individuazione di un  seggio  distinto  ed
ulteriore rispetto alla  sede  del  Consiglio  dell'Ordine  non  pare
integrare alcun motivo di invalidita' delle operazioni elettorali. 
    Atteso che l'art. 11 della legge  n.  113/2017  consente  che  il
seggio elettorale venga determinato in luogo diverso dai  locali  del
tribunale presso cui e' costituito il Consiglio, del tutto  legittima
appare la deliberazione consiliare  che,  nell'ambito  della  propria
autonomia,  puo'  regolare  nel  dettaglio   lo   svolgimento   delle
operazioni elettorali nel modo ritenuto piu'  consono,  purche'  tali
modalita' non violino i diritti degli elettori o degli aspiranti alle
cariche consiliari,  Nel  caso  oggetto  del  presente  giudizio,  la
previsione di un luogo e di una  data  ulteriori  rispetto  a  quelli
fissati per la sede del Consiglio in Savona  non  ha  compresso,  ne'
violato, ma al contrario ampliato, l'effettivo esercizio del  diritto
degli elettori, tanto che nessuna violazione di tale diritto e' stata
denunciata dai reclamanti stessi. 
    1.5.   Non   v'e'   necessita',   al   contrario,   di   delibare
preliminarmente  ai  fini  della  sussistenza  del  requisito   della
rilevanza della questione di  costituzionalita',  i  motivi  aggiunti
proposti dai reclamanti  con  le  note  difensive  depositate  il  14
febbraio u.s. in quanto gli stessi sono  inammissibili.  Al  giudizio
innanzi al Consiglio nazionale forense, ai sensi dell'art.  36  della
legge  n.  247/2012,  trovano  applicazione  in  via  sussidiaria  le
disposizioni del codice di procedura civile con la conseguenza che la
rituale proposizione del reclamo consuma il potere  di  impugnazione,
con la conseguenza che non e' possibile presentare  motivi  aggiunti,
oltre a quelli gia' formulati in sede di reclamo, opzione consentita,
al contrario, nel giudizio amministrativo, seppur entro certi limiti. 
    1.6.  Tanto  premesso,  il  Consiglio  nazionale  forense   viene
chiamato a fare applicazione, anzitutto, della  disposizione  di  cui
all'art. 3, comma 3 della legge 12 luglio  2017,  n.  113,  la  quale
prevede al secondo periodo che, «fermo restando  quanto  previsto  al
comma 4, i consiglieri non possono essere  eletti  per  piu'  di  due
mandati consecutivi», escludendo dal relativo computo, ai  sensi  del
successivo comma 4, i mandati di durata inferiore a due anni. 
    Tale disposizione e' stata oggetto di una recente pronuncia delle
Sezioni Unite della Corte di cassazione (sentenza  n.  32781  del  19
dicembre  2018),  la  quale  ha  ritenuto  la  previsione  in  parola
applicabile anche ai mandati espletati anteriormente  all'entrata  in
vigore della legge 12 luglio 2017, n. 113. 
    E' poi intervenuto l'art. 1 del decreto-legge 11 gennaio 2019, n.
2 (entrato in vigore il giorno stesso), a mente del quale: «l'art. 3,
comma 3, secondo periodo, della legge 12  luglio  2017,  n.  113,  si
interpreta nel senso che, ai fini del rispetto del divieto di cui  al
predetto periodo, si tiene conto dei mandati espletati, anche solo in
parte, prima della sua entrata in vigore,  compresi  quelli  iniziati
anteriormente all'entrata in vigore della legge 31 dicembre 2012,  n.
247. Resta fermo quanto previsto dall'art. 3, comma 3, terzo periodo,
e comma 4, della legge 12 luglio 2017, n. 113».  Successivamente,  la
legge  13  febbraio  2019,  n.  12,  nel  convertire  in   legge   il
decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, ha integrato il  testo  dello
stesso  con  la  disposizione  di  cui  all'art.  11-quinquies.  Tale
disposizione riproduce integralmente il  contenuto  dell'art.  1  del
richiamato  decreto-legge  n.  2/2019  che,  conseguentemente,  viene
abrogato dall'art. 1, comma 3 della medesima legge di conversione. 
    Assieme all'art. 3, comma  3,  secondo  periodo  della  legge  12
luglio 2017, n. 113, il Consiglio  nazionale  forense  e',  pertanto,
chiamato ad applicare anche la  norma  di  interpretazione  autentica
contenuta nel  richiamato  art.  11-quinquies  del  decreto-legge  n.
135/2018, come introdotto dalla legge di conversione. 
    1.7. La soluzione della questione di legittimita'  costituzionale
delle disposizioni di cui all'art. 3, comma 3, secondo periodo, della
legge  12  luglio  2017,  n.  113   e   all'art.   11-quinquies   del
decreto-legge n. 135/2018, come introdotto dalla legge di conversione
13 febbraio 2019,  n.  12,  e'  dunque  pregiudiziale  rispetto  alla
trattazione del merito del reclamo. 
2. Sulla non manifesta infondatezza della questione  di  legittimita'
costituzionale relativa all'art. 3, comma 3, secondo  periodo,  della
legge 12 luglio 2017, n. 113. 
    2.1 L'art. 3, comma 3, secondo  periodo  della  legge  12  luglio
2017, n. 113 - che dispone  il  divieto  di  elezione  nel  Consiglio
dell'ordine degli avvocati per piu' di due mandati consecutivi  -  e'
sospettato di illegittimita' costituzionale  per  contrasto  con  gli
articoli 2, 3, 18, 48, 51 e 118 della Costituzione, sotto  i  profili
della irragionevole limitazione del diritto di  elettorato  attivo  e
passivo  (articoli  3,  48  e  51  Cost.)  e  della  illegittima   ed
irragionevole compressione dell'ambito di  autonomia  riservato  agli
ordini circondariali forensi (enti pubblici non economici a carattere
associativo) dagli articoli 2, 18 e 118 della Costituzione, anche  in
relazione all'art. 3 Cost. 
    2.2.  Sul  primo   profilo   di   illegittimita'   (irragionevole
compressione  del  diritto  di  elettorato  attivo  e  passivo,   con
violazione degli articoli 3, 48 e 51 Cost.), si osserva quanto segue. 
    La  giurisprudenza  costituzionale   annovera   il   diritto   di
elettorato passivo  tra  i  diritti  assistiti  dal  predicato  della
inviolabilita' di cui all'art. 2 Cost. (cfr., ex multis, sentenza  n.
388/1991). Ne consegue che restrizioni di tale  diritto,  perseguite,
ad esempio, mediante la  previsione  di  cause  di  incandidabilita',
ineleggibilita' o incompatibilita', sono  ammissibili  esclusivamente
all'esito di un bilanciamento  riservato  alla  discrezionalita'  del
legislatore,  ma  soggetto  allo  scrutinio   di   ragionevolezza   e
proporzionalita' - tra il diritto stesso e concorrenti  interessi  di
rilievo costituzionale. Infatti, «se l'art. 51 Cost. assicura in  via
generale il diritto di elettorato passivo senza porre discriminazioni
sostanziali tra cittadini, e' proprio tale precetto costituzionale  a
svolgere il  ruolo  di  garanzia  generale  di  un  diritto  politico
fondamentale,  riconosciuto  ad  ogni  cittadino  con   i   caratteri
dell'inviolabilita' e dell'uguaglianza  (ex  articoli  2  e  3  della
Costituzione); [...] pertanto, le restrizioni del contenuto  di  tale
diritto sono ammissibili in presenza di situazioni  peculiari  ed  in
ogni caso per motivi adeguati e ragionevoli, finalizzati alla  tutela
di un interesse generale, che presuppone un  bilanciamento  che  deve
operare tra il diritto individuale di elettorato passivo e la  tutela
delle cariche pubbliche, cui possono accedere e permanere solo coloro
che sono in possesso delle condizioni  che  tali  cariche,  per  loro
natura, appunto richiedono (sentenze n. 25 del  2008  e  n.  288  del
2007)» (cfr. Corte costituzionale, ordinanza n. 276/2012). 
    Cosi', ad esempio, e' stata ritenuta costituzionalmente legittima
la previsione di cause di incandidabilita' o  ineleggibilita'  legate
alla   commissione   di   fatti   penalmente   rilevanti,   accertati
dall'autorita' giudiziaria. In tali casi, il  bilanciamento  avviene,
in effetti, per  «assicurare  la  salvaguardia  dell'ordine  e  della
sicurezza pubblica,  la  tutela  della  libera  determinazione  degli
organi  elettivi,  il  buon  andamento   e   la   trasparenza   delle
amministrazioni pubbliche, allo scopo di fronteggiare una  situazione
di  grave  emergenza  nazionale  coinvolgente  interessi  dell'intera
collettivita', connessi a valori costituzionali di primario  rilievo»
(cfr. Corte costituzionale n. 118/1994, punto 3.1  del  «considerato»
in diritto). In dette situazioni, la valutazione  di  ineleggibilita'
compiuta dal legislatore - confermata come  ragionevole  dal  Giudice
delle leggi - risulta apprezzabilmente  legata  ad  un  predicato  di
indegnita' morale - espressa dal giudicato  penale  -  riferibile  al
soggetto sul quale grava la preclusione. 
    Tale predicato non e', invece, manifestamente configurabile in un
contesto  normativo,  quale  quello  che  qui  interessa,   dove   la
preclusione  all'esercizio  del  diritto  di  elettorato  passivo  e'
agganciata esclusivamente al fatto di essere  stati  gia'  eletti  in
passato. Un presupposto «neutro», che  non  appare  collegabile  alla
tutela di valori costituzionali di primario rilievo, come invece  nel
caso della sostanziale inidoneita' a ricoprire  la  carica  sotto  il
profilo etico e morale, in ragione  della  commissione  di  fatti  di
rilievo penale (si pensi,  ad  esempio,  al  decreto  legislativo  n.
235/2012). 
    La consolidata giurisprudenza costituzionale segnala da tempo che
le cause di ineleggibilita', derogando  al  principio  costituzionale
della generalita' del diritto di elettorato passivo, sono di  stretta
interpretazione  e  devono  percio'  rigorosamente  contenersi  entro
limiti di quanto sia ragionevolmente indispensabile per garantire  la
soddisfazione delle esigenze di pubblico interesse a  cui  esse  sono
preordinate (ex multis, vedi Corte  costituzionale,  sentenze  numeri
46/1969; 58/1972; 166/1972; 53/1990). 
    In  questa  ottica,  il  diritto  di  elettorato  passivo  ed  il
principio di liberta' di accesso  alle  cariche  pubbliche,  protetti
dall'art. 51 Cost.,  devono  percio'  essere  scrutinati  in  stretta
correlazione con il corrispondente diritto all'elettorato  attivo  ed
al  principio  di  liberta'  di  voto,  consacrati  con   particolare
solennita' nell'art. 48 Cost., (cfr.  sentenze  Corte  costituzionale
numeri 96/1968; 42/1987; 429/1995; 4/2010), Ogni  preclusione  legale
alla possibilita' di taluni soggetti di  partecipare  a  competizioni
elettorali ed essere  eletti  si  traduce,  infatti,  inevitabilmente
nella  compressione  dello   spazio   di   libera   scelta   lasciato
all'elettore, il quale si vedra' sottrarre la facolta' di  scegliere,
quali destinatari del proprio  voto  taluni  a  vantaggio  di  altri.
Mentre nel caso esaminato dalla Corte costituzionale nel  1994  (cfr.
la citata sentenza n. 118/1994), tale compressione  si  giustifica  -
come si e' visto - in relazione a valutazioni  legate  all'indegnita'
morale dei candidati, «allo scopo di fronteggiare una  situazione  di
grave   emergenza   nazionale»,   nel   caso   qui   esaminato   tali
giustificazioni   non   sono   invece   replicabili,   cosicche'   la
compressione  della   facolta'   di   scelta   dell'elettore   appare
particolare grave. Sono, infatti, sottratte alla sua liberta' di voto
proprio quelle persone alle quali gia' in passato aveva  ritenuto  di
assegnare  la  preferenza,  all'esito  di  una  o  piu'   valutazioni
favorevoli circa le capacita' del soggetto votato e la sua  idoneita'
a svolgere il mandato. La preclusione legale finisce cosi' anche  per
differenziare il voto all'interno del corpo  elettorale  considerato,
comportando  essa  l'invalidita'  del  voto  assegnato  al  candidato
ineleggibile rispetto al voto  dato  al  candidato  che  non  incorre
invece nella preclusione legale stessa. In definitiva, il divieto  di
terzo mandato consecutivo finisce per comprimere non solo il  diritto
di elettorato passivo, impedendo a taluni avvocati di essere rieletti
(pur in assenza di presupposti di rilievo penale), ma anche  -  forse
soprattutto - il  diritto  di  elettorato  attivo,  precludendo  alla
classe forense la scelta di  farsi  rappresentare  da  colleghi  piu'
esperti e affidabili, gia' in possesso delle  competenze  piu'  utili
allo svolgimento del mandato consiliare. Viene dunque ad essere  leso
il diritto civile e  politico  di  cittadini-avvocati  di  concorrere
liberamente alla scelta dei propri rappresentanti. 
    Dalla pur rapida disamina volta a  scrutinare  la  non  manifesta
infondatezza  delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale  che
questo Giudice si trova ad esaminare, emerge pertanto con nettezza la
particolare consistenza dei diritti costituzionalmente fondati e  dei
principi costituzionali coinvolti, in considerazione anche della loro
intima connessione con il  principio  democratico,  che  e'  uno  dei
principi supremi del vigente ordine costituzionale repubblicano. 
    2.3. Avendo individuato negli articoli 48 e 51 Cost. i diritti  e
gli interessi costituzionalmente rilevanti da bilanciare  con  quelli
alla base delle disposizioni legislative  da  applicare  al  caso  di
specie, occorre ora accertare se altri interessi meritevoli di tutela
siano  in  grado  di  giustificare  le  limitazioni  al  diritto   di
elettorato determinate dal legislatore statale. 
    Come afferma la Corte costituzionale, il criterio alla  luce  del
quale effettuare tale valutazione non puo' che  essere  quello  della
«indispensabilita' del limite  [al  diritto  di  elettorato  passivo]
rispetto all'esigenza primaria di assicurare una libera  competizione
elettorale» che la Corte stessa, «a partire dalla sentenza n. 46  del
1969, costantemente richiede in riferimento al principio fondamentale
contenuto  nell'art.  51  della  Costituzione».   Ne   consegue   che
«l'eleggibilita' e' la norma, l'ineleggibilita' e'  l'eccezione  [di]
modo  che,  ove  la  giustificazione  dell'eccezione   si   rivelasse
ragionevolmente priva di  un  legame  necessario  con  l'esigenza  di
assicurare una corretta e libera concorrenza elettorale, non puo' non
seguirne  la  dichiarazione  d'illegittimita'  costituzionale   della
disposizione che la prevede» (cosi'  la  sentenza  n.  344/1993,  che
peraltro richiama, a sostegno, le sentenze numeri 388 e 310 del 1991;
539 del 1990; 510 del 1989; 1020 e 235 del 1988). 
    Applicando tale criterio al caso concreto che ci occupa, si rende
pertanto necessario procedere all'individuazione di un  interesse  di
rilievo costituzionale in grado di «competere in ponderazione» con il
diritto di elettorato passivo. 
    La ratio del divieto di elezione per il terzo mandato consecutivo
e' stata individuata dalla richiamata sentenza  n.  32781/2018  delle
SS.UU. della Corte di cassazione nella tutela del «preminente  valore
dell'avvicendamento o del  ricambio  nelle  cariche  rappresentative»
(cosi', in particolare, p.  20  di  tale  sentenza),  da  assicurarsi
evitando che rendite di posizione derivanti  dalla  permanenza  nella
carica per periodi eccessivamente lunghi possano condurre ad esiti di
sclerotizzazione della rappresentanza, limitando la par condicio  tra
i candidati e alterando la libera competizione elettorale. 
    Pare a questo giudice che quello descritto integri  un  obiettivo
di carattere essenzialmente politico  che,  nelle  motivazioni  della
decisione  sopra  richiamata,  la   Cassazione   stessa   lega   agli
orientamenti  attualmente  prevalenti  nell'opinione   pubblica,   un
obiettivo  che,  seppur  liberamente  perseguibile  dal   legislatore
nell'ambito della sfera  di  discrezionalita'  politica  che  gli  e'
propria, sembra difficilmente comparabile, sotto il profilo del  tono
costituzionale, ai diritti ed  ai  principi  in  tema  di  elettorato
attivo e passivo gia'  illustrati.  Si  tratta,  in  particolare,  di
interessi che, pur ritenuti meritevoli  di  tutela  dal  legislatore,
presentano elementi di intrinseca irragionevolezza.  E  cio'  per  le
seguenti particolari ragioni. 
    2.3.1. Anzitutto, va osservato che la Corte di  cassazione  nella
decisione n. 32781/2018 ha fatto premio sull'analogia con  i  divieti
di rielezione  previsti  per  i  sindaci,  nonostante  in  precedenti
arresti,  relativi  al  sistema  ordinistico,  avesse  al   contrario
rimarcato l'impossibilita' di «comparazione»  tra  il  sistema  delle
elezioni previsto per le cariche amministrative di province e  comuni
e quello previsto «per i componenti dei consigli degli ordini,  avuto
riguardo alla diversita' degli enti di cui sono organi il sindaco  ed
il  presidente  della   provincia   ed   alle   profonde   differenze
riscontrabili tra i rispettivi sistemi elettorali» (Cass.  ordinanze,
21 maggio 2018, numeri 12461 e 1462). 
    Come  correttamente   rilevato   dalla   difesa   del   Consiglio
dell'Ordine e degli altri  controinteressati  costituiti,  l'analogia
tra i differenti sistemi citati elettorali  e'  insussistente,  oltre
che infondata: alla base del divieto di  rielezione  dei  sindaci  vi
sono, infatti,  ragioni  che  discendono  direttamente  dalla  natura
dell'ente e dalla  configurazione  dell'organo.  Altro  e',  infatti,
ragionare della rappresentativita' di  un  ente  territoriale  avente
carattere politico, altro e' ragionare della rappresentativita' di un
ente pubblico associativo, e altro  e',  soprattutto,  ragionare  del
divieto di rielezione relativo ad organi monocratici  di  vertice  di
enti politici - come il sindaco, rappresentante organico  del  comune
e, di conseguenza, dotato di poteri gestionali diretti  e  di  poteri
autoritativi e di indirizzo di sicuro rilievo - e altro e'  ragionare
sul divieto di rielezione di membri di un organo collegiale  chiamato
a reggere  un  ente  pubblico  associativo  avente  natura  meramente
amministrativa. Non e', dunque, un caso che il divieto di  rielezione
sia previsto solo per gli  organi  di  vertice  degli  enti  politici
territoriali e non anche per i membri delle assemblee rappresentative
locali. 
    2.3.2. Si consideri poi che al consigliere dell'Ordine (e  a  ben
vedere anche al presidente, che ha bisogno di una delibera consiliare
anche  per  atti  ordinari  come  il  conferimento  di   un   mandato
giudiziale) non sono attribuiti poteri propri, oltre a quelli che gli
competono in quanto componente di un collegio.  Soprattutto,  non  si
ravvisano nei poteri attribuiti al consigliere dell'Ordine, in quanto
componente dell'organo collegiale, elementi  sufficienti  a  ritenere
che il consigliere  stesso  possa  sfruttare  il  proprio  ruolo  per
precostituire le condizioni per una  rielezione,  cosi'  falsando  la
rappresentativita' e la qualita' democratica delle elezioni  forensi.
La  collegialita'  dell'organo  stempera  la  posizione  del  singolo
consigliere che, d'altronde, non possiede poteri diretti ad  incidere
-  direttamente  e  indipendentemente   dalla   partecipazione   alla
formazione della volonta' dei collegio - sul  funzionamento  e  sugli
indirizzi dell'ente. 
    2.4. La stessa Corte costituzionale, nel precedente piu' prossimo
al  caso  che  ci  occupa  (sent.  n.  344/1993),  ha   condotto   un
ragionamento   non   dissimile.   Nel   dichiarare   l'illegittimita'
costituzionale delle disposizioni che  prevedevano  l'ineleggibilita'
del consigliere regionale alla carica di deputato o senatore essa ha,
infatti, escluso che dalla  mera  titolarita'  dei  poteri  derivanti
dallo status di consigliere  -  sia  individuali,  sia  collegiali  -
potesse discendere la capacita' di incidere  sul  libero  svolgimento
della competizione elettorale «nel senso di alterare la par  condicio
fra i vari concorrenti attraverso la possibilita' di  esercitare  una
captatio benevolentiae o un metus publicae potestatis  nei  confronti
degli elettori» (cosi' la sentenza n. 5/1978, richiamata dalla  sent.
n. 344/1993). 
    In questo significativo precedente  la  Corte  esamina  i  poteri
propri del consigliere regionale ed esclude recisamente la  rilevanza
di tutti i poteri che competono al consigliere in  quanto  componente
l'assemblea regionale. E cio' nel presupposto che di  tali  poteri  e
facolta',  in  quanto  riferiti  al  collegio  nel  suo  insieme,  il
consigliere non possa ontologicamente giovarsi ai fini dell'eventuale
condizionamento  del  corpo  elettorale   in   proprio   favore.   Il
ragionamento  e',  come  detto,  replicabile   per   il   consigliere
dell'ordine, che, a ben vedere, non gode di alcun potere individuale,
ma solo partecipa all'esercizio di poteri collegiali. 
    Ne',  afferma  assai  significativamente  la  Corte,  preclusioni
legali al diritto di elettorato potrebbero  essere  fatte  discendere
dal mero rilievo del prestigio associato alla carica. Di conseguenza,
«si  rivelerebbe  palesemente  irragionevole  una  disciplina   della
ineleggibilita'  che   mirasse   a   delimitare   l'influenza   nella
competizione elettorale  della  notorieta'  derivante  dal  ricoprire
determinate cariche pubbliche, tanto piu'  nell'ambito  di  societa',
come quella nella quale viviamo, dove l'emergere di  figure  note  al
pubblico dipende da fattori molteplici  e  si  verifica  in  svariati
settori della vita sociale» (cosi' ancora la sentenza n. 344/1993). 
    2.5.  Non  si  puo',   pertanto,   inficiare   il   rapporto   di
rappresentanza a mezzo della previsione di cause di ineleggibilita' o
incompatibilita'  irragionevoli   e/o   sproporzionate   (o   ancora,
disponendo divieti di rielezione). E' proprio cio',  e  non  gia'  la
possibilita' di essere rieletti, ad alterare  la  corretta  e  libera
competizione  elettorale,  considerata  con  giurisprudenza  costante
valore costituzionale essenziale, che in piu' occasioni ha indotto la
Corte   a   censurare   disposizioni   che   stabilivano   cause   di
ineleggibilita' irragionevoli e dagli  effetti  sproporzionati  (cfr.
ancora Corte costituzionale, n. 344 del 1993). 
    Da cio' consegue l'irragionevolezza del bilanciamento operato dal
legislatore nel disporre  il  divieto  di  rielezione  per  il  terzo
mandato consecutivo, con violazione degli articoli 3, 48 e  51  della
Costituzione. 
    2.6. Il divieto di rielezione per piu' di due mandati consecutivi
realizza, inoltre,  una  irragionevole  compressione  dell'ambito  di
autonomia riservato agli ordini forensi dagli articoli 2,  18  e  118
della Costituzione, in relazione all'art. 3 Cost. 
    2.6.1. La natura di  ente  pubblico  non  economico  a  carattere
associativo  dell'Ordine  circondariale   forense   e'   disciplinata
dall'art. 24, comma 3 della legge  31  dicembre  2012,  n.  247,  che
riconosce e  valorizza  l'autonomia  regolamentare,  organizzativa  e
finanziaria delle comunita'  degli  avvocati  organizzate  in  ordini
professionali. Corre sottolineato dal Procuratore  generale  nel  suo
intervento, si tratta, dunque, di vere e proprie formazioni  sociali,
cui la legge, in attuazione del principio pluralista che caratterizza
la forma di Stato delineata dal  costituente,  assicura  uno  statuto
autonomo basato  sull'autogoverno,  in  modo  non  dissimile,  a  ben
vedere, da quanto previsto per l'ordine giudiziario. 
    Da tale assetto ordinamentale discendono specifiche  conseguenze,
anche  e  soprattutto  sul  piano  dei  principi  che  governano   la
formazione degli organi dell'ente. Da un lato, infatti, l'elettivita'
dei  Consigli  e'  pienamente  coerente  con  la  natura  associativa
dell'ente. D'altro canto, la natura  amministrativa  e  non  politica
dell'ente medesimo non  consente,  per  le  ragioni  gia'  viste,  di
estendere alle elezioni forensi la ratio del  divieto  di  rielezione
previsto per gli organi di vertice degli enti politici territoriali. 
    2.6.2. A cio' si aggiunga che il carattere associativo  dell'ente
incide direttamente sulla natura e sulle dinamiche  del  rapporto  di
rappresentanza tra l'iscritto e l'eletto:  proprio  perche'  l'ordine
forense e' ente esponenziale di una comunita' di  professionisti,  il
rapporto di rappresentanza e' caratterizzato da tratti  peculiari  di
prossimita', che a loro volta discendono dalla specifica solidarieta'
che  conforma  la   comunita'   professionale   e   l'ente   che   la
istituzionalizza. Dalla peculiare declinazione che, su  questa  base,
assume il rapporto di fiducia tra elettore ed  eletto,  consegue,  ad
esempio, che nelle elezioni forensi non sia previsto voto  di  lista,
ma solo il voto a singoli candidati (art. 8, legge n. 113/2017; Cass.
SS.UU. sentenza n. 32781/2018); e  consegue  soprattutto  che,  ferma
restando la piena liberta' della competizione  elettorale  (evidente,
ad esempio, nella possibilita' di accedere  in  condizioni  di  piena
eguaglianza alle candidature, anche al di fuori da liste o  cordate),
l'iscritto sia sovente guidato, nell'espressione  del  proprio  voto,
dalla  considerazione  dell'autorevolezza  che  deriva  al  candidato
dall'esperienza maturata nella gestione dell'ente e  dal  radicamento
nella comunita'  professionale,  a  loro  volta  strettamente  legate
(almeno in potenza) all'aver ricoperto per  piu'  mandati  la  carica
elettiva. 
    2.6.3. Quello della disciplina del rapporto di rappresentanza e',
dunque,  ambito  disciplinare  profondamente  connesso  all'autonomia
dell'ordine circondariale  forense  e  alla  peculiare  natura  della
relazione associativa che lega gli iscritti tra loro e questi  ultimi
ai  rappresentanti  eletti.  Ne  consegue  che,  nel  rispetto  della
liberta' di  associazione  (art.  18  Cost.,  riferibile  anche  alle
associazioni ad appartenenza obbligatoria quali l'ordine  forense)  e
del principio di sussidiarieta'  orizzontale  (art.  118  Cost.),  la
legge dovrebbe opportunamente astenersi dall'interferire nel  ridetto
ambito, lasciando che  la  permanenza  in  carica  per  piu'  mandati
discenda  dal  libero  articolarsi  dei   rapporti   di   fiducia   e
solidarieta' interni  alla  comunita'  professionale,  piuttosto  che
dall'intervento autoritativo di un divieto di rielezione. 
    In buona sostanza, la  preclusione  legale  de  qua  integra  una
interferenza  statale  nelle  dinamiche  elettorali  interne  ad  una
formazione  sociale  che  non  appare  sorretta   da   una   adeguata
ragionevolezza e proporzionalita', e sotto tale profilo  realizza  un
ulteriore  vulnus  al  parametro   costituito   dall'art.   3   della
Costituzione della Repubblica. 
3. Sulla non manifesta infondatezza della questione  di  legittimita'
costituzionale relativa all'art. 11-quinquies  del  decreto-legge  14
dicembre 2018, n. 135, come introdotto dalla legge di conversione  13
febbraio 2019, n. 12. 
    3.1. Se quanto sopra riportato segnala i  dubbi  di  legittimita'
costituzionale che riguardano il limite dei due  mandati  consecutivi
in quanto tale, a maggior ragione ancor piu' gravi dubbi  si  pongono
con  riferimento  all'intervento   normativo   statale   operato,   a
procedimenti elettorali gia' iniziati  ed  in  corso,  per  conferire
rilievo in senso retroattivo ai mandati svolti prima dell'entrata  in
vigore delle norme preclusive. 
    Sussistono, infatti, ulteriori e specifici dubbi di  legittimita'
costituzionale in relazione all'art. 11-quinquies  del  decreto-legge
14 dicembre 2018, n. 135, come introdotto dalla legge di  conversione
13 febbraio 2019, n. 12. La disposizione contrasta,  in  particolare,
con l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della violazione del
principio   di   ragionevolezza   delle    norme    retroattive    di
interpretazione autentica. 
    Innanzitutto, la possibilita' per il legislatore di dettare norme
retroattive - quali quelle di  interpretazione  autentica  -  non  e'
esente  da  limiti.  Se,  da  una  parte,  un  espresso  divieto   di
retroattivita' e' previsto  in  Costituzione  solo  dall'art.  25  in
relazione  alle  disposizioni  penali  sfavorevoli,  dall'altra,   le
disposizioni retroattive incontrano il limite dell'art. 3  Cost.  ove
tale limite sia frutto di un  ragionevole  e  puntuale  bilanciamento
«tra le ragioni che ne hanno  motivato  la  previsione  e  i  valori,
costituzionalmente  tutelati,   al   contempo   potenzialmente   lesi
dall'efficacia a ritroso della  norma  adottata»  (cfr.,  da  ultimo,
Corte costituzionale, sentenza n. 73/2017). 
    Sulla base di tale principio,  la  Corte  ha  individuato  alcuni
limiti generali all'efficacia retroattiva delle leggi attinenti  alla
salvaguardia di principi  costituzionali.  Tra  tali  limiti  e',  in
particolare  ricompreso  «il  rispetto  del  principio  generale   di
ragionevolezza,  che  si   riflette   nel   divieto   di   introdurre
ingiustificate disparita' di trattamento; la tutela  dell'affidamento
legittimamente sorto nei soggetti quale  principio  connaturato  allo
Stato  di  diritto;  la  coerenza  e  la  certezza   dell'ordinamento
giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al
potere giudiziario» (cosi', in particolare, la sentenza  n.  170  del
2013, ma cfr. anche le sentenze n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010). 
    Il contrasto della disposizione censurata  con  il  principio  di
ragionevolezza rileva sotto molteplici profili. 
    3.1.1. Anzitutto,  essa  interviene  su  procedimenti  elettorali
attualmente  in  corso,  incidendo  pesantemente   non   solo   sulla
presentazione delle  candidature,  ma  anche  sull'ammissibilita'  di
candidature gia' presentate e, talora, gia' ammesse al voto. Anche  a
voler  ritenere,  dunque,  in  astratto  che   il   legislatore   sia
intervenuto  per  chiarire  il  quadro  giuridico  determinato  dalla
sentenza della Cassazione sopra ricordata (in questo senso si esprime
la relazione di accompagnamento al  decreto-legge  n.  2/2019,  e  la
motivazione dell'emendamento governativo alla  legge  di  conversione
del decreto-legge n. 135/2018), si palesano irragionevoli le concrete
modalita' con le quali tale  obiettivo  e'  stato  perseguito  e,  in
particolare l'assoluta assenza di considerazione per  la  circostanza
che erano in corso le elezioni per  il  rinnovo  dei  Consigli  degli
ordini forensi; circostanza  notoria,  conosciuta  al  legislatore  e
palesata anche nella disposizione successiva a quella qui considerata
(il comma 2), che consente, appunto, il  differimento  della  tornata
elettorale fino al mese di luglio 2019. 
    L'incidenza  della   disposizione   censurata   su   procedimenti
elettorali in corso, inoltre, ridonda in una violazione del principio
del legittimo affidamento sia di coloro che, in buona fede, si  siano
candidati confidando nella possibilita'  di  essere  eletti,  sia  di
coloro che, altrettanto in buona fede, abbiano deciso di esprimere il
proprio voto a favore di tali candidati. La lesione del principio  di
legittimo  affidamento  si  traduce,  pertanto,  in   una   ulteriore
irragionevole violazione dei  diritti  di  elettorato  passivo  e  di
elettorato attivo di cui ai piu' volte richiamati articoli  48  e  51
Cost. 
    3.2. D'altro canto, la giurisprudenza costituzionale  che  si  e'
occupata,  a  diverso  titolo,  della  retroattivita'  di  interventi
normativi in materia di elettorato passivo ha chiarito, per un verso,
che la ragionevolezza della retroattivita' in materia elettorale deve
essere valutata «con particolare rigore» (cfr. sentenza n. 376/2004);
e, per altro verso,  ha  ritenuto  la  legittimita'  di  disposizioni
immediatamente  operanti  su  mandati  elettivi  in  essere  solo  in
presenza di un rilevante interesse pubblico  concorrente,  quale,  ad
esempio,  quello  alla  tutela   della   legalita'   nella   pubblica
amministrazione (cfr. sentenza n.  236/2015,  relativa  all'immediata
operativita' della sospensione dalla carica in caso di condanna anche
non definitiva per delitti di corruzione, pure se  intervenuta  prima
dell'entrata  in  vigore  della  legge),  interesse  non  ravvisabile
ovviamente nel caso di specie. 
    Non pare, infatti, potersi dubitare che  la  norma  in  questione
disponga,   appunto,   in   senso   retroattivo,    consistendo    la
retroattivita' propriamente nel conferimento di effetti pro futuro  a
fatti accaduti  in  passato  o  a  rapporti  giuridici  esauriti.  Si
recuperano cosi', senza valide  ragioni,  vicende  del  passato  gia'
regolate in un certo modo, e si conferisce loro un  nuovo  e  diverso
rilievo giuridico per il futuro. 
    E' questo proprio il caso che ci  occupa:  i  mandati  consiliari
precedenti all'entrata in vigore delle disposizioni  preclusive  sono
manifestamente  rapporti  giuridici  esauriti.  Eppure  ad  essi   il
legislatore, in  sede  di  interpretazione  autentica,  riconduce  un
effetto per il futuro. Un effetto, lo si  e'  detto,  particolarmente
grave ed incisivo: quello di  comprimere  il  diritto  di  elettorato
passivo ed il diritto di elettorato attivo  degli  avvocati.  E  cio'
sempre   per   un   fine:   evitare   sclerotizzazioni   e   favorire
l'avvicendamento che, come pure si e' detto, non appare dotato  dello
stesso tono costituzionale. 
    3.3. Quanto sopra trova conforto anche nel generale principio  di
irretroattivita'   che   regola   la    successione    delle    fonti
dell'ordinamento nel tempo. Questo principio, infatti,  non  consente
alcuna derogabilita' da parte del legislatore,  almeno  in  tutte  le
ipotesi in cui la legge, come  nel  caso  di  specie,  incide  su  un
diritto costituzionalmente garantito quale e'  quello  di  elettorato
passivo ex art. 51 Cost., producendo cosi'  un  «sacrificio  del  suo
nucleo  essenziale»  (Corte  cost.,  n.  85/2013).  L'art.  11  delle
preleggi  al  codice   civile,   nel   prevedere   espressamente   la
irretroattivita'  della  legge,  pur   non   avendo   diretta   forza
costituzionale e pur essendo derogabile dal  legislatore  successivo,
assume indubbiamente rilievo  costituzionale  quando  sono  in  gioco
diritti fondamentali come quelli protetti  dagli  articoli  48  e  51
Cost. In tali casi, infatti, le leggi che li comprimono  non  possono
essere retroattive anche se non sono  leggi  penali.  Il  fatto  che,
nella specie, l'art. 11-quinquies del decreto-legge n. 135/2018  come
modificato dalla legge di conversione (n. 12/2019) intacchi «nel  suo
nucleo essenziale» il diritto di cui all'art. 51 Cost., rende percio'
inderogabile il principio di irretroattivita'  sancito  dall'art.  11
delle preleggi. 
    Deve ritenersi  insomma  che,  pur  non  essendo  tale  principio
implicitamente costituzionale, tuttavia la sua rilevanza al  riguardo
puo' rinvenirsi in campi ben individuati come  in  tutte  le  materie
costituzionalmente  riservate,  data  l'esigenza  che  esse   vengano
disciplinate in via generale ed astratta, anziche' avendo riguardo  a
situazioni definite o definibili quali sono i fatti passati (in  tale
senso, L. Paladin, Appunti sul principio  di  irretroattivita'  delle
leggi, in Foro amm., I, 1959, pag. 248). Nel nostro caso  risulta  di
tutta evidenza che, proprio attraverso  l'intervento  retroattivo  di
interpretazione  autentica,  detto  art.   11-quinquies   ha   inciso
illegittimamente su una materia -  quella  dell'elettorato  attivo  e
passivo - che, essendo oggetto di  una  tutela  astratta  e  generale
riservata alla legge, non puo' essere  in  alcun  modo  ricondotta  a
situazioni e fatti comunque da definire, come sono  appunto  i  fatti
passati. 
    3.4. Come rilevato anche dal Procuratore generale presso la Corte
di   cassazione,   viene   in   evidenza,   inoltre,   per    effetto
dell'irragionevolezza   della   retroattivita'   della   disposizione
censurata, la violazione delle funzioni costituzionalmente  riservate
al potere  giudiziario,  che  -  come  risulta  dalla  giurisprudenza
costituzionale richiamata - e' uno dei canoni  di  valutazione  della
ragionevolezza  delle  norme   di   interpretazione   autentica.   La
sopravvenienza   legislativa   ha   infatti    pesantemente    inciso
sull'esercizio  delle  funzioni  attribuite  dalla  legge  a   questo
Consiglio,  che  e'  giudice  speciale  anche   ove   investito   del
contenzioso in materia di elezioni dei consigli degli Ordini  forensi
e  si  e'  trovato  a  dover   decidere   sull'ammissibilita'   delle
candidature  e  sull'eleggibilita'  dei  candidati  gia'  eletti   in
passato. La giurisdizione elettorale domestica  e'  infatti  elemento
caratterizzante l'ordinamento forense, ed  attuazione  specifica  del
principio  di  autonomia  cui  l'ordinamento   italiano   ha   inteso
conformare l'ordine degli avvocati, secondo una risalente  tradizione
confermata dalla Costituzione, che - come noto - non ha  soppresso  i
giudici speciali precostituzionali (cfr. VI disp. trans.  Cost).  Nel
momento in cui e' entrata  in  vigore  la  norma  di  interpretazione
autentica  retroattiva,  erano  gia'  pendenti  diversi  procedimenti
giurisdizionali presso questa Autorita' giudiziaria, ed  e'  anzi  di
tutta evidenza che,  scegliendo  di  intervenire  normativamente  sui
procedimenti elettorali della tornata del 2019, il legislatore  abbia
inteso intervenire - al fine di orientarli in una direzione specifica
-  anche  (o  forse  soprattutto)   sugli   inevitabili   conseguenti
procedimenti  giurisdizionali  attivati  nelle  forme   dei   reclami
elettorali previsti dall'ordinamento forense. 
    4. Per le ragioni sopraesposte la norma in questione non  pare  a
questo Giudice sfuggire a seri dubbi di  costituzionalita'  sotto  il
profilo della ragionevolezza e della proporzionalita', alla luce  dei
limiti  che  le  norme  di  interpretazione  autentica,  come  detto,
incontrano nel sistema costituzionale delle fonti. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento
agli articoli 2, 3, 18, 48, 51 e 118 della Costituzione, la questione
di legittimita' costituzionale delle norme di cui all'art.  3,  comma
3, secondo periodo, della legge 12 luglio 2017,  n.  113  e  all'art.
11-quinquies  del  decreto-legge  14  dicembre  2018,  n.  135,  come
inserito dalla legge di conversione 13 febbraio 2019, n. 12; 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale. 
    Sospende  il   giudizio   fino   alla   decisione   della   Corte
costituzionale. 
    Ordina che, a cura della segreteria, la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti costituite, al Procuratore generale  presso  la
Corte  di  cassazione,  nonche'  al  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri, e sia comunicata al Presidente del Senato della  Repubblica
ed al Presidente della Camera dei deputati. 
    Cosi' deciso in Roma nella Camera di consiglio  del  15  febbraio
2019. 
 
                    Il Presidente f.f.: Logrieco 
 
 
                                        Il segretario f.f.: Broccardo