N. 112 SENTENZA 6 marzo - 10 maggio 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Intermediazione finanziaria - Attivita' di vigilanza della  CONSOB  -
  Abusi  di  mercato  -  Confisca   obbligatoria,   diretta   o   per
  equivalente, del profitto dell'illecito, del prodotto  e  dei  beni
  utilizzati per commetterlo - Inottemperanza  alle  richieste  della
  CONSOB  o  ritardo  recato  all'esercizio  delle  sue  funzioni   -
  Applicazione della sanzione anche nei confronti di colui  al  quale
  la medesima CONSOB, nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza,
  contesti un abuso di informazioni privilegiate. 
- Decreto legislativo 24 febbraio 1998,  n.  58  (Testo  unico  delle
  disposizioni in materia di intermediazione  finanziaria,  ai  sensi
  degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996,  n.  52),  artt.
  187-sexies e 187-quinquiesdecies, come introdotti, rispettivamente,
  dall'art. 9, comma 2, lett. a) e b), della legge 18 aprile 2005, n.
  62  (Disposizioni   per   l'adempimento   di   obblighi   derivanti
  dall'appartenenza  dell'Italia  alle   Comunita'   europee.   Legge
  comunitaria 2004); art. 187-sexies del decreto  legislativo  n.  58
  del 1998,  nella  versione  risultante  dalle  modifiche  apportate
  dall'art. 4, comma 14, del decreto legislativo 10 agosto  2018,  n.
  107, recante «Norme di adeguamento della normativa  nazionale  alle
  disposizioni del regolamento (UE) n. 596/2014, relativo agli  abusi
  di mercato e che abroga  la  direttiva  2003/6/CE  e  le  direttive
  2003/124/UE, 2003/125/CE e 2004/72/CE». 
(GU n.20 del 15-5-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel  giudizio  di   legittimita'   costituzionale   degli   artt.
187-sexies e 187-quinquiesdecies del decreto legislativo 24  febbraio
1998,  n.  58  (Testo  unico  delle  disposizioni   in   materia   di
intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli  8  e  21  della
legge 6 febbraio 1996, n. 52), introdotti, rispettivamente, dall'art.
9, comma 2, lettere a) e b),  della  legge  18  aprile  2005,  n.  62
(Disposizioni    per    l'adempimento    di    obblighi     derivanti
dall'appartenenza   dell'Italia   alle   Comunita'   europee.   Legge
comunitaria  2004),  promosso  dalla  Corte  di  cassazione,  sezione
seconda civile, nel procedimento vertente tra D. B. e la  Commissione
nazionale per le societa' e la borsa (CONSOB), con ordinanza  del  16
febbraio 2018, iscritta al  n.  54  del  registro  ordinanze  2018  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  14,  prima
serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  D.  B.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 5 marzo 2019 il Giudice  relatore
Francesco Vigano'; 
    uditi l'avvocato Renzo Ristuccia per D.  B.  e  l'avvocato  dello
Stato Pio Giovanni  Marrone  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 16 febbraio 2018, la Corte  di  cassazione,
sezione seconda civile, ha sollevato - in riferimento agli artt.  24,
111 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione  all'art.  6
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con  legge  4  agosto  1955,  n.  848,  e
all'art. 14, comma  3,  lettera  g),  del  Patto  internazionale  sui
diritti civili e politici adottato a New York il  16  dicembre  1966,
ratificato e reso esecutivo con la legge 25  ottobre  1977,  n.  881,
nonche' in riferimento agli artt. 11 e 117, primo  comma,  Cost.,  in
relazione  all'art.  47  della   Carta   dei   diritti   fondamentali
dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000  e
adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 - questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 187-quinquiesdecies del decreto  legislativo
24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di
intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli  8  e  21  della
legge 6 febbraio 1996, n. 52), nel testo  originariamente  introdotto
dall'art. 9, comma 2, lettera b), della legge 18 aprile 2005,  n.  62
(Disposizioni    per    l'adempimento    di    obblighi     derivanti
dall'appartenenza   dell'Italia   alle   Comunita'   europee.   Legge
comunitaria 2004), «nella parte in cui  detto  articolo  sanziona  la
condotta  consistente  nel  non  ottemperare   tempestivamente   alle
richieste della CONSOB o nel ritardare l'esercizio delle sue funzioni
anche  nei  confronti  di  colui  al  quale   la   medesima   CONSOB,
nell'esercizio delle funzioni di  vigilanza,  contesti  un  abuso  di
informazioni privilegiate». 
    Con la medesima ordinanza, la Corte  di  cassazione  ha  altresi'
sollevato - in riferimento agli artt.  3,  42  e  117,  primo  comma,
Cost.,  quest'ultimo  in  relazione   all'art.   1   del   Protocollo
addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 maggio 1952, ratificato
e reso esecutivo  con  legge  4  agosto  1955,  n.  848,  nonche'  in
riferimento agli artt. 11 e 117, primo  comma,  Cost.,  in  relazione
agli artt. 17 e 49 CDFUE - questioni di  legittimita'  costituzionale
dell'art.  187-sexies  del  d.lgs.  n.  58  del   1998,   nel   testo
originariamente introdotto dall'art. 9, comma 2,  lettera  a),  della
legge n. 62 del 2005, «nella parte in cui esso assoggetta a  confisca
per equivalente non soltanto il profitto  dell'illecito  ma  anche  i
mezzi   impiegati   per   commetterlo,   ossia   l'intero    prodotto
dell'illecito». 
    Dal momento che - come si  dira'  piu'  innanzi  (Considerato  in
diritto, punto 1.1.) - questa Corte ritiene di  dover  sospendere  il
giudizio sulle questioni di legittimita'  aventi  ad  oggetto  l'art.
187-quinquiesdecies del  d.lgs.  n.  58  del  1998,  con  conseguente
necessita'  di  definire  in  questa  sede  soltanto   le   questioni
concernenti  l'art.  187-sexies  del  medesimo  decreto  legislativo,
saranno  qui  esposti,  nel  prosieguo,  i   soli   argomenti   spesi
nell'ordinanza di rimessione e negli atti del  presente  giudizio  in
relazione a tali questioni. 
    1.1.- Il procedimento a quo  trae  origine  da  un  provvedimento
sanzionatorio emesso il 2 maggio 2012, con il  quale  la  Commissione
nazionale per le  societa'  e  la  borsa  (CONSOB)  ha  irrogato  nei
confronti di D. B., tra l'altro, una sanzione pecuniaria  di  200.000
euro  in  relazione   all'illecito   amministrativo   di   abuso   di
informazioni  privilegiate  previsto  dall'art.  187-bis,  comma   1,
lettera a), del  d.lgs.  n.  58  del  1998,  nella  versione  vigente
all'epoca dei fatti, con riguardo all'acquisto, effettuato da  D.  B.
nel febbraio 2009, di 30.000 azioni di  una  societa'  quotata  della
quale era socio e consigliere  di  amministrazione,  sulla  base  del
possesso dell'informazione privilegiata relativa all'imminente lancio
di un'offerta pubblica di acquisto volontaria e totalitaria  di  tale
societa', promossa da altra societa' costituita ad hoc e della  quale
egli stesso era socio. 
    In relazione a tale operazione, la CONSOB  ha  altresi'  disposto
nei  confronti  di  D.  B.  la  confisca  di  beni  immobili  fino  a
concorrenza dell'importo di  149.760  euro,  pari  all'intero  valore
delle azioni acquistate mediante  la  condotta  sopra  descritta,  ai
sensi dell'art. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998. 
    D. B. ha proposto opposizione avanti alla Corte d'appello di Roma
avverso il provvedimento sanzionatorio della CONSOB. 
    La Corte d'appello di Roma ha tuttavia  rigettato  l'opposizione,
confermando  cosi'  il  provvedimento  sanzionatorio  adottato  dalla
CONSOB, con sentenza depositata il 20 novembre 2013. 
    Contro tale sentenza D. B. ha  quindi  proposto  il  ricorso  per
cassazione che ha dato origine al presente  procedimento  incidentale
di legittimita' costituzionale. 
    1.2.- Secondo il giudice a quo, l'art. 187-sexies del  d.lgs.  n.
58 del 1998 sarebbe, in particolare, di dubbia compatibilita' con  la
Costituzione nella parte in cui assoggetta a confisca per equivalente
«non  soltanto  il  profitto  dell'illecito,  ma  l'intero   prodotto
dell'illecito, vale a dire l'equivalente  della  somma  del  profitto
dell'illecito  (ossia  la   plusvalenza   ritratta   dalle   illecite
operazioni  di  trading)  e  dei  mezzi  impiegati   per   realizzare
l'illecito (ossia il denaro o le altre utilita' impiegate dall'agente
per finanziare dette operazioni di trading)». 
    1.3.- Ad avviso del rimettente, le questioni  concernenti  l'art.
187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998 sarebbero, anzitutto,  rilevanti
nel giudizio a quo. 
    Espone la Corte di cassazione che D. B., essendo in  possesso  di
un'informazione  privilegiata,  aveva  «speso  €   123.175,07   (beni
utilizzati per commettere l'illecito) per acquistare  titoli  da  cui
[aveva]  ricavato  €  149.760  (prodotto  dell'illecito),   ritraendo
dall'operazione di trading una  plusvalenza  di  €  26.580  (profitto
dell'illecito)». 
    Sulla base dell'art. 187-sexies del d.lgs. n.  58  del  1998,  in
questa sede censurato, la CONSOB ha  disposto  la  confisca  di  beni
immobili sino a concorrenza dell'importo di 149.760 euro, equivalente
al prodotto dell'illecito; prodotto che  sarebbe  a  sua  volta  pari
«alla somma del profitto ritratto dall'illecito e dei mezzi impiegati
per commetterlo». 
    Secondo la sezione rimettente, l'accoglimento delle questioni  di
legittimita' prospettate determinerebbe,  allora,  la  necessita'  di
rideterminare l'importo della confisca per equivalente nella somma di
26.580 euro, pari al solo profitto dell'illecito. 
    1.4.- Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni,  il
rimettente muove  dal  presupposto  interpretativo,  condiviso  dalla
giurisprudenza della Corte di cassazione e di  questa  stessa  Corte,
che  la  confisca  per  equivalente  applicata  nel  caso  di  specie
costituisca   misura    ablativa    dalla    natura    «eminentemente
sanzionatoria», in ragione della  sua  connotazione  «prevalentemente
afflittiva». Essa  colpirebbe  infatti  beni  privi  di  rapporto  di
pertinenzialita' con l'illecito, cio' che  ne  marcherebbe  la  netta
distinzione rispetto  alla  confisca  diretta,  la  quale  reagirebbe
invece «alla pericolosita' indotta  nell'autore  dell'illecito  dalla
disponibilita' dei beni utilizzati per commetterlo  e  dei  beni  dal
medesimo ricavati». 
    Secondo il giudice a quo, l'illegittimita'  costituzionale  della
confisca obbligatoria del prodotto  dell'illecito  discenderebbe,  in
sostanza, dalla «mancanza  di  proporzionalita'  tra  la  misura  del
sacrificio  imposta  al  sanzionato  e  le  finalita'  pubbliche   da
perseguire». Il suo importo risulterebbe infatti,  «in  relazione  al
profitto realizzato in una specifica  operazione  di  trading,  [...]
inversamente  proporzionale  al  vantaggio   concretamente   derivato
all'agente dall'uso di una informazione  privilegiata,  vale  a  dire
inversamente  proporzionale  al  tasso  di  profitto  dell'operazione
stessa; infatti, il tasso di profitto generato da una  operazione  di
trading realizzata abusando di  informazioni  privilegiate  e'  tanto
maggiore quanto  minore  e'  l'entita'  dei  mezzi  che  l'agente  ha
impiegato (e pertanto vengono assoggettati a confisca) per conseguire
il profitto ritratto dall'operazione stessa». 
    Il rimettente dubita, allora, della compatibilita' di tale misura
con l'art. 3  Cost.,  in  relazione  tanto  alle  caratteristiche  di
potenziale eccessivita' della misura,  quanto  alla  mancanza  di  un
rapporto predefinito tra il valore dei beni suscettibili di  confisca
e il profitto realizzato dall'agente. 
    Il difetto di proporzionalita' della misura  desterebbe,  d'altra
parte, dubbi anche in ordine alla sua conformita' con le esigenze  di
tutela del diritto di proprieta', riconosciuto, a livello  nazionale,
dall'art. 42 Cost. e, a livello  sovranazionale,  dall'art.  1  Prot.
addiz. CEDU (quest'ultimo rilevante nell'ordinamento italiano tramite
l'art. 117, primo comma, Cost.), in  particolare  «sotto  il  profilo
dell'inadeguato bilanciamento tra la tutela del diritto di proprieta'
e le ragioni di interesse generale» che giustificano la misura  della
confisca. 
    Infine, le medesime ragioni  evidenzierebbero  la  non  manifesta
infondatezza dei dubbi di compatibilita' della  misura  in  questione
con gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione  agli  artt.
17 e 49 CDFUE.  L'art.  17  CDFUE  tutela,  infatti,  il  diritto  di
proprieta' in termini analoghi all'art. 1 Prot. addiz.  CEDU;  mentre
l'art.  49,  paragrafo  3,  CDFUE   sancisce   il   principio   della
proporzionalita' delle pene, che secondo il rimettente  ben  potrebbe
essere ritenuto  applicabile  anche  alle  sanzioni  non  formalmente
qualificate come pene, ma aventi  natura  penale  secondo  i  criteri
Engel. 
    1.5.- A parere del giudice a quo, i dubbi da ultimo  evidenziati,
relativi alla possibile incompatibilita' della  disciplina  censurata
con gli artt. 17  e  49  CDFUE,  renderebbero  necessario  un  rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia UE per chiarire: a) se  a  tali
disposizioni debba riconoscersi «efficacia  diretta  nell'ordinamento
degli Stati membri, con conseguente dovere di non applicazione  delle
norme interne con le norme contrastanti»; b) se le nozioni di «reato»
e  «pena»  contenute  nell'art.  49  CDFUE  «vadano   riferite   alle
previsioni  sanzionatorie   formalmente   qualificate   come   penali
nell'ordinamento dei singoli Stati membri, oppure  vadano  intese  in
conformita' alla nozione di "materia penale"  elaborata  dalla  Corte
europea dei diritti dell'uomo in riferimento  agli  articoli  6  e  7
CEDU»; e, infine, c) se gli artt. 17 e 49 CDFUE  vadano  interpretati
nel senso che «impongano di ritenere non proporzionata  una  confisca
per equivalente il cui oggetto non sia limitato  all'equivalente  del
profitto ricavato dalle illecite operazioni di trading, ma si estenda
anche  all'equivalente  dei  mezzi  impiegati  per  realizzare   tali
operazioni». 
    La sezione rimettente ritiene peraltro  che  -  versandosi  nella
specie in  una  ipotesi  di  «doppia  pregiudizialita'»,  stanti  gli
evidenziati dubbi di compatibilita' della disposizione censurata  sia
la Costituzione, sia con la Carta - debba procedersi in prima battuta
all'incidente di costituzionalita', secondo le indicazioni offerte da
questa Corte con la sentenza n. 269 del 2017. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le  questioni  prospettate  siano  dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate. 
    2.1.-  L'Avvocatura  generale  dello  Stato  eccepisce  anzitutto
l'inammissibilita' delle questioni, in quanto  tendenti  a  ottenere,
mediante   una    pronuncia    di    natura    additivo-manipolativa,
l'introduzione nell'ordinamento di una nuova fattispecie di confisca,
limitata al  profitto  ricavato  dall'illecito.  Siffatto  intervento
rientrerebbe  in  un'area   riservata   alla   discrezionalita'   del
legislatore, come confermato dalla circostanza che l'art. 8, comma 3,
lettera g), della legge 25 ottobre 2017, n. 163  (Delega  al  Governo
per il recepimento delle direttive europee e  l'attuazione  di  altri
atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2016-2017) ha
delegato  il  Governo  a  rivedere  l'art.  187-sexies  del   decreto
legislativo  in  parola,  limitando  la  confisca  al  solo  profitto
dell'illecito. 
    2.2.- La questione sarebbe, inoltre, inammissibile anche sotto il
profilo dell'omessa considerazione, da parte  del  rimettente,  della
giurisprudenza delle Sezioni unite penali della Corte  di  cassazione
(sono citate le sentenze 30 gennaio 2014, n. 10561 e 21 luglio  2015,
n. 31617), secondo cui la confisca avente a oggetto  denaro  o  altri
beni  fungibili  non  potrebbe   qualificarsi   come   confisca   per
equivalente,  bensi'  come  confisca  diretta.  In   base   a   detta
giurisprudenza, verrebbe meno il presupposto interpretativo da cui ha
preso le mosse il rimettente, relativo alla natura  afflittiva  della
confisca per equivalente di cui all'art. 187-sexies del d.lgs. n.  58
del 1998. 
    3.- Si e' costituito in giudizio D. B., chiedendo  l'accoglimento
delle questioni di legittimita' costituzionale prospettate. 
    La parte - dopo  aver  ribadito  gli  argomenti  gia'  sviluppati
nell'ordinanza di rimessione - sottolinea come la sproporzione  della
confisca in esame  rispetto  alla  gravita'  degli  illeciti  cui  si
correla sia  stata  riconosciuta  sia  dalla  CONSOB,  nella  propria
relazione annuale per il 2012, sia dallo stesso legislatore: il quale
- dapprima con la legge 9 luglio 2015, n. 114 (Delega al Governo  per
il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di  altri  atti
dell'Unione europea - Legge di  delegazione  europea  2014),  rimasta
inattuata, e poi con la gia' menzionata legge n. 163 del  2017  -  ha
delegato il Governo a limitare la confisca di cui all'art. 187-sexies
al solo profitto dell'illecito. 
    Osserva inoltre la parte costituita che  l'art.  1  Prot.  addiz.
CEDU impone la ricerca di un  equilibrio  tra  pubblico  interesse  e
sacrificio della proprieta' e che, in  base  a  detto  principio,  la
Corte EDU ha ritenuto contrarie alla  garanzia  convenzionale  talune
fattispecie di confisca che realizzavano una ingerenza sproporzionata
nel diritto di proprieta'. 
    4.- La CONSOB, parte controricorrente nel procedimento a quo, non
si e' costituita in questo giudizio. 
    5.- Nella propria memoria depositata in prossimita'  dell'udienza
pubblica,  l'Avvocatura  generale   dello   Stato   ha   chiesto   la
restituzione degli atti al giudice a quo affinche' valuti l'incidenza
dello  ius  superveniens  rappresentato  dalla   modifica   dell'art.
187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998 operata dall'art. 4,  comma  14,
del decreto legislativo 10 agosto 2018, n.  107,  recante  «Norme  di
adeguamento  della  normativa   nazionale   alle   disposizioni   del
regolamento (UE) n. 596/2014, relativo agli abusi di  mercato  e  che
abroga la direttiva 2003/6/CE e le direttive 2003/124/UE, 2003/125/CE
e 2004/72/CE». 
    Ad  avviso  dell'Avvocatura  generale,  l'espunzione  dal   testo
dell'art. 187-sexies,  comma  1,  del  d.lgs.  n.  58  del  1998  del
riferimento ai «beni utilizzati»  per  commettere  l'illecito,  e  la
corrispondente limitazione dell'oggetto della confisca al «prodotto o
[...]  profitto»   dell'illecito,   determinerebbero   un   mutamento
sostanziale del quadro normativo di riferimento, tale da  imporre  al
giudice  rimettente  una  nuova  valutazione  della  rilevanza  della
questione di costituzionalita'. Quest'ultima  sarebbe  stata  infatti
sollevata sul  presupposto  della  confiscabilita',  ai  sensi  della
antecedente  formulazione  del  comma  1  dell'art.  187-sexies,  non
soltanto del profitto dell'illecito, ma anche dei mezzi impiegati per
la commissione di quest'ultimo. 
    6.- Nella propria memoria depositata in prossimita'  dell'udienza
pubblica, la parte costituita ha invece sostenuto  che  l'entrata  in
vigore del d.lgs. n. 107 del 2018, che ha modificato il  testo  della
disposizione censurata, non  priverebbe  di  rilevanza  le  questioni
sottoposte a questa Corte. La novella ha infatti  espunto  dal  testo
dell'art. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998 il solo riferimento ai
«beni utilizzati» per commettere l'illecito,  mantenendo  intatta  la
confiscabilita' «del prodotto o del profitto». 
    Ad avviso della parte costituita,  militerebbe  in  favore  della
decisione nel merito delle questioni da parte di questa  Corte  anche
l'attuale  incertezza   sull'applicabilita'   del   principio   della
retroattivita'  della  legge  piu'  favorevole   all'incolpato   alle
sanzioni amministrative in materia di abusi di mercato. La difesa  di
D. B. sottolinea, sul punto, come la giurisprudenza  di  legittimita'
sia, allo stato, orientata in senso  nettamente  contrario.  Se  tale
fosse la prospettiva corretta, la restituzione degli atti al  giudice
a quo sarebbe del  tutto  inutile,  posto  che  questi  non  potrebbe
comunque fare applicazione della disposizione sopravvenuta. 
    La  parte  costituita  evidenzia,  infine,   l'inconferenza   del
richiamo, operato dall'Avvocatura dello Stato,  alle  sentenze  della
Corte di cassazione con cui si e' affermato che la confisca di  somme
di denaro ha natura di confisca diretta e non  per  equivalente,  dal
momento che - nel caso che ha  originato  il  giudizio  a  quo  -  il
provvedimento di confisca e' stato eseguito  non  gia'  su  somme  di
denaro, bensi' su beni immobili. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di cassazione,
sezione seconda civile, ha sollevato due distinti gruppi di questioni
di  legittimita'  costituzionale  concernenti,  rispettivamente,  gli
artt. 187-quinquiesdecies e 187-sexies  del  decreto  legislativo  24
febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni  in  materia  di
intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli  8  e  21  della
legge 6 febbraio 1996, n. 52). 
    1.1.- Preliminarmente, va disposta la  separazione  del  giudizio
relativamente   alle   questioni    aventi    ad    oggetto    l'art.
187-quinquiesdecies del d.lgs. n. 58  del  1998,  in  relazione  alle
quali  questa  Corte  ritiene  di  dover  promuovere,  con   separata
ordinanza, rinvio pregiudiziale alla Corte di  giustizia  dell'Unione
europea  ai  sensi  dell'art.  267  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea (TFUE), come modificato dall'art. 2 del  Trattato
di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato  dalla  legge  2  agosto
2008, n. 130. 
    Oggetto della presente sentenza sono, pertanto, le sole questioni
che concernono l'art. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998. 
    2.- La  sezione  rimettente  solleva  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 187-sexies del d.lgs. n. 58  del  1998,  nel
testo originariamente introdotto dall'art. 9, comma  2,  lettera  a),
della legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l'adempimento  di
obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  alle   Comunita'
europee. Legge comunitaria 2004), «nella parte in cui esso assoggetta
a confisca per equivalente non soltanto il profitto dell'illecito  ma
anche i mezzi impiegati  per  commetterlo,  ossia  l'intero  prodotto
dell'illecito». 
    Il giudice a quo dubita che tale disposizione contrasti: in primo
luogo, con gli artt. 3 e 42 della Costituzione; in secondo luogo, con
l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in  relazione  all'art.  1   del
Protocollo addizionale  alla  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmato  a
Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e  reso  esecutivo  con  legge  4
agosto 1955, n. 848; in terzo luogo, con gli artt. 11  e  117,  primo
comma, Cost., in relazione agli artt. 17 e 49 della Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata  a  Nizza  il  7
dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. 
    3.- L'art. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998,  nel  testo  che
era in vigore al momento dei fatti e che  e'  oggetto  delle  odierne
censure di legittimita' costituzionale,  prevedeva  al  comma  1  che
«[l]'applicazione delle sanzioni amministrative  pecuniarie  previste
dal presente capo importa sempre  la  confisca  del  prodotto  o  del
profitto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo»,  e  al
comma 2 che «[q]ualora non sia possibile eseguire la confisca a norma
del comma 1, la stessa puo' avere ad oggetto somme di denaro, beni  o
altre utilita' di valore equivalente». 
    Il giudice a quo ritiene che la confisca di somme di denaro, beni
o altre  utilita'  di  valore  equivalente  non  solo  al  «profitto»
ricavato dall'illecito, ma anche al «prodotto» dell'illecito stesso -
ritenuto pari alla somma del «profitto» e dei  «beni  utilizzati  per
commetterlo»  -  si  risolverebbe  in  una  sanzione  "punitiva"   di
carattere  sproporzionato  rispetto  al  disvalore  dell'illecito,  e
comunque in una compressione  eccessiva  del  diritto  di  proprieta'
dell'autore dell'illecito. 
    Da cio' deriverebbero i vulnera ai  parametri  costituzionali  ed
europei (questi ultimi per il tramite degli artt.  11  e  117,  primo
comma, Cost.) invocati dal rimettente. 
    In particolare, il carattere  sproporzionato  per  eccesso  della
misura sarebbe suscettibile, secondo il giudice a quo, di tradursi in
una violazione tanto dell'art. 3 Cost., quanto delle norme  che  -  a
livello  costituzionale  ed  europeo  -  tutelano   il   diritto   di
proprieta': l'art. 42 Cost., da un lato; l'art. 1 Prot. addiz. CEDU e
l'art. 17 CDFUE, dall'altro. 
    Inoltre, dalla natura sostanzialmente "punitiva"  della  confisca
in parola discenderebbe una possibile violazione dell'art. 49  CDFUE,
che sancisce il principio per cui  «[l]e  pene  inflitte  non  devono
essere sproporzionate rispetto al reato»; principio che,  secondo  il
rimettente,  ben  potrebbe  essere  esteso  anche  alle  sanzioni  di
carattere sostanzialmente "punitivo" come quella all'esame. 
    4.- Ha carattere  pregiudiziale  rispetto  all'esame  del  merito
delle  questioni,  e  delle  stesse  ulteriori   eccezioni   proposte
dall'Avvocatura generale dello Stato, la  richiesta  da  quest'ultima
formulata di restituzione degli  atti  al  giudice  a  quo  affinche'
valuti la permanente rilevanza delle questioni alla  luce  dello  ius
superveniens,   rappresentato   dalle   modifiche   apportate    alla
disposizione censurata dal decreto legislativo  10  agosto  2018,  n.
107, recante «Norme di adeguamento  della  normativa  nazionale  alle
disposizioni del regolamento (UE) n. 596/2014, relativo agli abusi di
mercato  e  che  abroga  la  direttiva  2003/6/CE  e   le   direttive
2003/124/UE, 2003/125/CE e 2004/72/CE». 
    La  richiesta  non  puo'  essere  accolta,  dovendosi  senz'altro
escludere - per le ragioni che si andranno subito a  chiarire  -  che
l'eventuale  applicazione  della  disposizione  novellata  nel   caso
concreto possa produrre effetti in mitius  rispetto  alla  previgente
disciplina, in questa sede censurata. 
    4.1.- Nel testo risultante dalle modifiche apportate  dal  d.lgs.
n. 107 del 2018, il comma 1 dell'art. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del
1998  recita:   «[l]'applicazione   delle   sanzioni   amministrative
pecuniarie  previste  dal  presente  capo  importa  la  confisca  del
prodotto o del profitto dell'illecito». Il comma 2 - che  prevede  la
confisca di  somme  di  denaro,  beni  o  altre  utilita'  di  valore
equivalente - e' rimasto invariato rispetto al testo previgente. 
    Due sono, dunque, le modifiche apportate dal d.lgs.  n.  107  del
2018  al  comma  1  dell'art.  187-sexies:  e'  scomparso  l'avverbio
«sempre», che seguiva il  verbo  «importa»;  ed  e'  venuto  meno  il
riferimento ai «beni utilizzati» per commettere l'illecito. 
    4.2.- Dal testo novellato e' stato espunto, anzitutto, l'avverbio
«sempre» che compariva nella precedente formulazione. 
    Non pare, tuttavia, che da cio' possa evincersi  -  nel  silenzio
serbato dai lavori preparatori e dalla stessa legge 25 ottobre  2017,
n. 163 (Delega al Governo per il recepimento delle direttive  europee
e  l'attuazione  di  altri  atti  dell'Unione  europea  -  Legge   di
delegazione  europea  2016-2017)  -  una  volonta'  del   legislatore
delegato di trasformare in meramente facoltativa una  misura  che  in
precedenza era, inequivocabilmente, prevista  come  obbligatoria.  La
locuzione «importa» allude, oggi come  ieri,  a  un  vero  e  proprio
obbligo a carico della Commissione nazionale per  le  societa'  e  la
borsa (CONSOB) di procedere alla confisca, da esercitare senza alcuno
spazio per apprezzamenti discrezionali sulla opportunita' o  meno  di
applicare la misura a  chi  sia  stato  ritenuto  responsabile  della
commissione di un illecito previsto dal Titolo I-bis, Capo  III,  del
d.lgs. n. 58 del 1998. 
    Ne consegue che, sotto questo  profilo,  la  novella  non  innova
rispetto al contenuto precettivo della previgente disposizione. 
    4.3.- Dal testo riformulato e' poi scomparso  il  riferimento  ai
«beni utilizzati» per commettere l'illecito. 
    Prima facie, tale eliminazione potrebbe produrre effetti nel caso
oggetto  del  giudizio  a  quo,  dal  momento  che   la   CONSOB   ha
espressamente qualificato  l'importo  di  149.470  euro  oggetto  del
provvedimento di confisca  come  importo  equivalente  al  «prodotto»
dell'illecito, a sua volta pari alla somma  del  «profitto»  ricavato
dall'illecito e dei «beni utilizzati»  per  commetterlo.  Di  talche'
potrebbe ipotizzarsi che, ove  si  assumesse  in  via  interpretativa
l'efficacia retroattiva della novella del  2018  (che  nulla  dispone
circa la propria efficacia intertemporale),  l'espunzione  dei  «beni
utilizzati» per commettere l'illecito dagli oggetti della confisca in
esame comporti la necessita' di rideterminare  l'importo  complessivo
della misura adottata dalla CONSOB nel caso di specie. 
    Una piu' attenta considerazione del  provvedimento  sanzionatorio
oggetto del giudizio  a  quo  conduce,  tuttavia,  a  una  differente
conclusione. 
    Come gia' evidenziato (Ritenuto in fatto, punto 1.4.), la  CONSOB
ha contestato a  D.  B.  di  avere  acquistato  30.000  azioni  della
societa'  di  cui  era  amministratore  al  prezzo   complessivo   di
123.175,07 euro, essendo in possesso di un'informazione privilegiata,
relativa all'imminente lancio  di  un'offerta  pubblica  di  acquisto
volontaria e totalitaria di tale societa' da parte di altra  societa'
di cui lo stesso D. B. era socio.  Secondo  la  prospettazione  della
CONSOB,  al  momento  della  diffusione  della  notizia  del   lancio
dell'offerta pubblica di acquisto, il valore delle azioni  acquistate
da D. B. - calcolato sulla base del loro prezzo ufficiale  in  quella
data - si sarebbe innalzato a  149.760  euro  complessivi;  cio'  che
avrebbe consentito allo stesso di realizzare un  risparmio,  rispetto
al prezzo che avrebbe dovuto pagare  per  acquisire  quei  titoli  al
momento del lancio dell'offerta pubblica di acquisto, pari  a  26.580
euro. 
    Nell'ottica della CONSOB,  dunque,  l'importo  di  149.760  euro,
oggetto di confisca,  e'  equivalente  al  valore  complessivo  delle
azioni acquistate in precedenza da D. B. sulla base dell'informazione
privilegiata  di  cui  egli  disponeva,  le  quali  costituivano   il
«prodotto»  della  sua  condotta  illecita;  valore   a   sua   volta
determinato sulla base  del  loro  prezzo  ufficiale  determinato  al
momento del lancio dell'offerta pubblica di acquisto. 
    In tale prospettiva, risulta evidente che  il  venir  meno  della
possibilita' di confiscare un importo pari ai «beni  utilizzati»  per
commettere l'illecito (nella  prospettiva  della  CONSOB,  il  denaro
originariamente investito per l'acquisto delle 30.000 azioni, pari  a
123.175,07 euro) lascerebbe comunque intatto l'obbligo di  confiscare
il  valore  equivalente   all'intero   «prodotto»   della   condotta,
rappresentato dalle azioni acquistate da D. B.: e  dunque  un  valore
che la CONSOB ha calcolato, per l'appunto, nella  somma  di  149.760,
confiscata nel caso di specie. 
    In altre parole, e  in  termini  piu'  generali,  il  persistente
obbligo  di  confiscare  l'intero  «prodotto»,  o   il   suo   valore
equivalente, di una condotta di insider trading  fa  si'  che,  anche
dopo la novella del 2018,  continui  a  essere  oggetto  di  confisca
obbligatoria l'intero ammontare degli strumenti finanziari acquistati
da chi disponga di un'informazione privilegiata, ovvero - nel caso in
cui essi siano stati nel frattempo rivenduti - l'intero loro  valore,
e  non  semplicemente  il  vantaggio  economico  realizzato  mediante
l'operazione finanziaria. 
    5.- L'Avvocatura generale  dello  Stato  ha  eccepito,  altresi',
l'inammissibilita' delle questioni prospettate,  che  tenderebbero  a
ottenere, mediante una  pronuncia  di  natura  additivo-manipolativa,
l'introduzione nell'ordinamento di una nuova fattispecie di confisca,
limitata al profitto ricavato dall'illecito;  cio'  che  rientrerebbe
invece nelle esclusive prerogative del legislatore. 
    L'eccezione e' infondata. 
    Questa Corte ha, invero, dichiarato inammissibile una  precedente
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  187-sexies  del
d.lgs.  n.  58  del  1998  mirante   a   riconoscere   «all'autorita'
amministrativa (in sede di irrogazione) e al giudice (nell'ambito del
giudizio di opposizione)  il  potere  di  "graduare"  la  misura  "in
rapporto alla gravita' in concreto della  violazione  commessa"»,  in
base alle stesse  istanze  di  proporzionalita'  della  sanzione  che
vengono invocate in questa sede. Questa Corte ritenne allora  che  il
petitum  assumesse  «il  carattere  di  una  "novita'  di   sistema":
circostanza che lo colloca al di fuori  dell'area  del  sindacato  di
legittimita' costituzionale, per rimetterlo alle eventuali  e  future
soluzioni di riforma, affidate  in  via  esclusiva  alle  scelte  del
legislatore» (sentenza n. 252  del  2012).  Il  carattere  "creativo"
della soluzione in quell'occasione prospettata dal giudice rimettente
discendeva, in effetti, dalla richiesta di introdurre un elemento  di
flessibilita' nel quantum confiscabile  in  relazione  alla  concreta
gravita' dell'illecito:  soluzione  reputata  inconciliabile  con  la
natura "fissa" della confisca, che - nel vigente sistema normativo  -
puo' essere obbligatoria o facoltativa, ma non  consente  graduazioni
quantitative affidate alla valutazione  discrezionale  dell'autorita'
che dispone la misura (ancora, sentenza n. 252 del 2012). 
    Il petitum delle odierne questioni di legittimita' costituzionale
e' pero' del  tutto  diverso,  essendo  finalizzato  a  ottenere  una
pronuncia non gia'  additivo-manipolativa,  come  quella  cui  mirava
l'ordinanza di rimessione decisa con la sentenza  n.  252  del  2012,
bensi' parzialmente ablativa. Il giudice a  quo  chiede  infatti,  in
sostanza, che dall'art. 187-sexies del d.lgs. n. 58  del  1998  siano
eliminati il riferimento ai «mezzi impiegati [recte: beni utilizzati]
per commetter[e]» l'illecito,  nonche'  al  «prodotto»  dell'illecito
medesimo,  con  conseguente  conservazione  della  sola  parte  della
disposizione concernente il «profitto». 
    L'intervento sollecitato mira, dunque, semplicemente,  a  ridurre
gli oggetti della confisca  prevista  dalla  disposizione  censurata;
confisca che resterebbe pero'  obbligatoria  per  la  parte  residua,
relativa al profitto dell'illecito, che dovrebbe  essere  interamente
confiscato (in via diretta o per equivalente). Nessuna  manipolazione
"creativa" deriverebbe, pertanto, dall'eventuale  accoglimento  delle
questioni ora prospettate, che  risultano  pertanto  -  sotto  questo
profilo - ammissibili. 
    6.- L'Avvocatura generale dello Stato eccepisce, infine,  che  il
giudice a quo avrebbe errato nel considerare  la  confisca  applicata
nel caso di specie come confisca per equivalente, dovendo  invece  la
stessa essere qualificata come confisca diretta, in quanto  avente  a
oggetto somme di denaro. 
    Nemmeno questa eccezione e' fondata. 
    A prescindere dalla considerazione che, come si evince dagli atti
di causa, nel caso di  specie  la  misura  ablativa  ha  attinto  due
immobili di proprieta' di D. B. e non gia' somme di  denaro,  occorre
rilevare che la CONSOB  ha  espressamente  indicato  come  «prodotto»
dell'illecito le azioni acquistate da D. B., le quali pero' non  sono
state direttamente sottoposte a  confisca.  La  misura  ablativa  ha,
piuttosto, attinto beni  di  valore  corrispondente  a  quello  delle
azioni acquistate, sino a concorrenza dell'importo pari -  appunto  -
al valore di quelle azioni, sulla base del loro prezzo  ufficiale  al
momento del lancio dell'offerta pubblica di acquisto. 
    Non v'e' dubbio, pertanto, che l'ablazione patrimoniale di cui e'
causa si debba qualificare come confisca per equivalente del prodotto
dell'illecito. 
    7.- Pur in assenza di  una  specifica  eccezione  sul  punto,  va
infine affermata - in conformita' ai principi espressi nelle sentenze
n. 269 del 2017, n. 20 del 2019 e n. 63 del 2019  -  l'ammissibilita'
delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale  prospettate   con
riferimento agli artt. 17 e 49 CDFUE, per il tramite degli artt. 11 e
117, primo comma, Cost.: questioni che questa Corte ha il compito  di
vagliare, essendo stata a cio' sollecitata dal giudice a quo. 
    8.- Nel merito, le questioni sono fondate, in relazione a tutti i
parametri invocati. 
    In materia penale, la giurisprudenza di  questa  Corte  considera
costituzionalmente illegittime pene manifestamente sproporzionate per
eccesso in relazione alla gravita' del reato,  in  ragione  del  loro
contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost. (infra,  punto  8.1.).  Sanzioni
amministrative manifestamente  sproporzionate  per  eccesso  rispetto
alla gravita' dell'illecito violano, dal canto loro, l'art.  3  Cost.
in combinato disposto con le  norme  costituzionali  che  tutelano  i
diritti  di  volta  in  volta  incisi  dalla  sanzione,   nonche'   -
nell'ambito del diritto dell'Unione europea - l'art. 49, paragrafo 3,
CDFUE (infra, punto 8.2.). La confisca per equivalente del «prodotto»
degli illeciti previsti dal Titolo I-bis, Capo III, del d. lgs. n. 58
del 1998 e dei «beni utilizzati» per commetterli conduce a  risultati
sanzionatori manifestamente sproporzionati per eccesso rispetto  alla
gravita' degli illeciti in questione (infra, punto 8.3.). Il  rischio
di eccessi punitivi conseguenti alla previsione  dell'obbligatorieta'
della  confisca  del  «prodotto»  degli  illeciti  amministrativi  in
questione e dei «beni utilizzati» per commetterli era stato del resto
da tempo rilevato da questa Corte e dalla stessa CONSOB, tanto che il
legislatore - mediante la legge n. 163 del 2017 - aveva  delegato  il
Governo a rivedere  la  disposizione  qui  censurata,  prevedendo  la
confisca del solo «profitto» derivato  dagli  illeciti  in  questione
(infra,   punto   8.4.).   La   dichiarazione    di    illegittimita'
costituzionale in parte qua  della  disposizione  censurata  non  e',
d'altra parte, in contrasto con gli obblighi  derivanti  dal  diritto
dell'Unione europea, che impongono soltanto la confisca del  profitto
che l'autore abbia ricavato dagli illeciti in questione (infra, punto
8.5.). 
    8.1.- Come gia' si  e'  osservato,  il  nucleo  essenziale  delle
censure  sollevate  dal  giudice  a   quo   concerne   il   carattere
sproporzionato  della  sanzione   costituita   dalla   confisca   per
equivalente del «prodotto» dell'illecito di  insider  trading  e  dei
«beni utilizzati» per commetterlo, e  la  sua  correlativa  eccessiva
incidenza sul diritto di proprieta' dell'autore dell'illecito. 
    La giurisprudenza di questa Corte ha  avuto  varie  occasioni  di
confrontarsi con il quesito se, e in che  limiti,  sia  possibile  un
sindacato di legittimita'  costituzionale  sulle  tipologie  e  sulla
misura  di  sanzioni  amministrative  alla  luce  del   criterio   di
proporzionalita'   della   sanzione.   Tuttavia,   l'angolo   visuale
pressoche' esclusivo dal quale tali questioni sono  state  affrontate
e' stato soltanto  quello  del  divieto  di  automatismi  legislativi
nell'applicazione della sanzione (infra, punto 8.2.2.):  divieto  che
costituisce soltanto uno dei profili che  vengono  in  considerazione
nella questione oggi all'esame di questa Corte. 
    Numerose - e assai piu' variegate nella tipologia di  valutazioni
effettuate dalla Corte - sono, invece, le pronunce che concernono  la
parallela questione del  sindacato  sulle  scelte  sanzionatorie  del
legislatore  in  materia  penale,  sulla  quale  conviene   anzitutto
brevemente soffermarsi. 
    8.1.1.  -   Nell'ambito   del   diritto   penale,   la   costante
giurisprudenza di questa Corte riconosce un'ampia discrezionalita' al
legislatore nella determinazione delle pene da comminare per  ciascun
reato. Tale discrezionalita' si estende  in  linea  di  principio  al
quomodo cosi' come  al  quantum  della  pena,  essendo  riservata  al
legislatore - in forza dello stesso art. 25, secondo comma,  Cost.  -
la scelta delle pene piu' adeguate allo  scopo  di  tutelare  i  beni
giuridici tutelati  da  ciascuna  norma  incriminatrice,  nonche'  la
determinazione dei loro limiti minimi e massimi. 
    Tale discrezionalita' e'  soggetta,  tuttavia,  a  una  serie  di
vincoli derivanti dalla Costituzione,  tra  i  quali  il  divieto  di
comminare pene manifestamente sproporzionate per eccesso,  che  viene
in questa sede in considerazione. 
    8.1.2.- Il sindacato sulla  proporzionalita'  della  pena  si  e'
storicamente  affermato,  nella  giurisprudenza  di   questa   Corte,
anzitutto sotto il profilo del principio di  eguaglianza  ex  art.  3
Cost. Da  tale  principio  si  e'  tratta  la  naturale  implicazione
relativa  alla  necessita'  che  a   fatti   di   diverso   disvalore
corrispondano  diverse  reazioni   sanzionatorie;   con   conseguente
atteggiarsi del giudizio di legittimita' costituzionale sulla  misura
della  pena  secondo  uno  schema  triadico,  imperniato  attorno  al
confronto  tra  la  previsione  sanzionatoria  censurata   e   quella
apprestata per altra figura di reato di pari o  addirittura  maggiore
gravita', assunta quale tertium comparationis  (sentenze  n.  68  del
2012, n. 409 del 1989 e n. 218 del 1974, nonche' - sotto  il  duplice
profilo del contrasto con gli artt. 3 e 8 Cost. - sentenze n. 327 del
2002, n. 508 del 2000 e n. 329 del 1997). 
    8.1.3.-  La  valorizzazione,  accanto  all'art.  3   Cost.,   del
parametro rappresentato dall'art. 27,  terzo  comma,  Cost.  -  e  in
particolare del necessario orientamento alla rieducazione che la pena
deve possedere - ha  condotto  in  altre  pronunce  questa  Corte  (a
partire dalle sentenze n. 343 del 1993, n. 422 del 1993 e n. 341  del
1994) a estendere il proprio sindacato anche a ipotesi in cui la pena
comminata dal legislatore appaia  manifestamente  sproporzionata  non
tanto in rapporto alle pene  previste  per  altre  figure  di  reato,
quanto piuttosto in rapporto - direttamente  -  alla  gravita'  delle
condotte abbracciate dalla fattispecie astratta, senza che  sia  piu'
necessaria l'evocazione di alcuno specifico tertium comparationis  da
parte del rimettente, se non al limitato  fine  di  assistere  questa
Corte nell'individuazione del  trattamento  sanzionatorio  che  possa
sostituirsi,  in  attesa  di  un  sempre  possibile  intervento   del
legislatore, a quello dichiarato incostituzionale (in  questo  senso,
in particolare, sentenze n. 40 del 2019, n. 222 del 2018 e n. 236 del
2016). Cio'  nella  consapevolezza  che  pene  eccessivamente  severe
tendono a essere percepite come ingiuste dal condannato, e  finiscono
cosi' per risolversi in un ostacolo alla sua  rieducazione  (sentenza
n. 68 del 2012). 
    Nella stessa ottica  debbono,  d'altra  parte,  essere  lette  le
numerose pronunce che hanno inciso sull'art. 69,  ultimo  comma,  del
codice penale, in ragione dell'esigenza di evitare  l'irrogazione  in
concreto di pene sproporzionate per eccesso per effetto  del  divieto
di prevalenza  di  talune  circostanze  attenuanti  sulle  aggravanti
indicate in quella disposizione (sentenze n. 205 del 2017, nn. 106  e
105 del 2014 e n. 251 del 2012). 
    8.1.4.-  La  considerazione,  accanto  all'art.  3   Cost.,   del
principio di personalita' della responsabilita'  penale  sancito  dal
primo comma dell'art. 27 Cost. -  da  leggersi  anch'esso  alla  luce
della necessaria funzione rieducativa della  pena  di  cui  al  terzo
comma  dello  stesso  art.  27  Cost.  -   e'   inoltre   alla   base
dell'ulteriore  canone  della  necessaria  individualizzazione  della
pena, pure enucleato da una risalente giurisprudenza di questa Corte,
che si oppone in linea di principio alla previsione di pene fisse nel
loro ammontare (sentenza n. 222  del  2018,  che  richiama  in  senso
conforme le sentenze n. 50 del 1980, n. 104 del  1968  e  n.  67  del
1963). Tale canone esige  che  -  nel  passaggio  dalla  comminatoria
astratta operata dal legislatore  alla  sua  concreta  inflizione  da
parte del giudice - la pena si atteggi  come  risposta  proporzionata
anche alla concreta gravita', oggettiva  e  soggettiva,  del  singolo
fatto di reato; il che comporta,  almeno  di  regola,  la  necessita'
dell'attribuzione  al  giudice  di  un  potere  discrezionale   nella
determinazione della pena nel caso concreto, entro  un  minimo  e  un
massimo predeterminati dal legislatore. 
    8.2.- Occorre a questo punto vagliare se, ed eventualmente in che
limiti, tali principi possano essere ritenuti applicabili anche  alla
materia,  che   viene   qui   in   considerazione,   delle   sanzioni
amministrative. 
    8.2.1.- Questa Corte  ha  esteso  in  molteplici  occasioni  alle
sanzioni  amministrative  di  carattere  sostanzialmente   "punitivo"
talune garanzie riservate dalla Costituzione alla materia penale. 
    Cio' e' accaduto, in particolare, in relazione ad  una  serie  di
corollari  del  principio  nullum  crimen,  nulla  poena  sine   lege
enunciato dall'art. 25, secondo comma, Cost.,  quali  il  divieto  di
retroattivita' delle modifiche sanzionatorie in  peius  (sentenze  n.
223 del 2018, n. 68 del 2017, n. 276 del 2016, n. 104 del 2014  e  n.
196 del 2010), della sufficiente precisione del  precetto  sanzionato
(sentenze  n.  121  del  2018  e  n.  78  del  1967),  nonche'  della
retroattivita' delle modifiche sanzionatorie in mitius  (sentenza  n.
63 del 2019). 
    Una tale estensione non e'  avvenuta,  invece,  in  relazione  ai
principi in materia di responsabilita' penale stabiliti dall'art.  27
Cost. (sentenza n. 281 del 2013 e ordinanza n. 169  del  2013).  Tali
principi - a cominciare dalla necessaria funzione  rieducativa  della
pena - appaiono infatti strettamente connessi alla logica della  pena
privativa,  o  quanto  meno  limitativa,  della  liberta'  personale,
attorno alla quale e' tutt'oggi costruito  il  sistema  sanzionatorio
penale, e che resta sempre piu'  o  meno  direttamente  sullo  sfondo
anche nell'ipotesi in cui vengano irrogate pene  di  natura  diversa,
come rimedio  di  ultima  istanza  in  caso  di  inadempimento  degli
obblighi da esse derivanti. 
    8.2.2.- Cionondimeno, non puo'  dubitarsi  che  il  principio  di
proporzionalita' della sanzione rispetto alla gravita'  dell'illecito
sia applicabile anche alla generalita' delle sanzioni amministrative. 
    Come anticipato, questa Corte ha  gia',  in  numerose  occasioni,
invocato tale principio - anche in relazione  a  misure  delle  quali
veniva espressamente negata  la  natura  "punitiva"  (come  nel  caso
deciso dalla sentenza n. 22 del 2018) - a fondamento di dichiarazioni
di  illegittimita'  costituzionale   di   automatismi   sanzionatori,
ritenuti non conformi al principio in questione proprio perche'  esso
postula «l'adeguatezza della sanzione al caso concreto»;  adeguatezza
che  «non  puo'  essere  raggiunta  se  non  attraverso  la  concreta
valutazione  degli  specifici  comportamenti  messi  in  atto   nella
commissione dell'illecito» (sentenza n. 161 del  2018;  nello  stesso
senso, ex multis, sentenze n. 268 del 2016 e n. 170 del 2015). 
    8.2.3.- Il principio di proporzionalita' della sanzione possiede,
peraltro, potenzialita' applicative che  eccedono  l'orizzonte  degli
automatismi legislativi,  come  dimostra  proprio  la  giurisprudenza
relativa alla materia penale appena rammentata, e  i  cui  principali
approdi  sono  estensibili  anche   alla   materia   delle   sanzioni
amministrative, rispetto alla quale -  peraltro  -  il  principio  in
parola non trae la propria  base  normativa  dal  combinato  disposto
degli artt. 3 e 27 Cost.,  bensi'  dall'art.  3  Cost.  in  combinato
disposto con le norme costituzionali che tutelano i diritti di  volta
in volta incisi dalla sanzione. 
    Non erra, pertanto, il giudice rimettente  nell'identificare  nel
combinato disposto degli artt. 3 e 42 Cost. il  fondamento  domestico
del principio di  proporzionalita'  di  una  sanzione  che,  come  la
confisca di cui e' discorso, incide in senso limitativo  sul  diritto
di proprieta' dell'autore dell'illecito; ne'  erra  nell'identificare
negli artt. 1 Prot. addiz. CEDU e nell'art. 17  CDFUE  i  fondamenti,
rispettivamente, nel diritto della Convenzione e dell'Unione europea,
del principio  in  questione,  in  quanto  riferito  a  una  sanzione
patrimoniale. 
    8.2.4.- A tali  basi  normative  parrebbe  altresi'  affiancarsi,
nell'ambito del diritto dell'Unione europea, l'art. 49, paragrafo  3,
CDFUE. 
    Ancorche' il testo di tale disposizione faccia  riferimento  alle
«pene» e al «reato», la Corte di  giustizia  dell'Unione  europea  ha
recentemente considerato applicabile tale principio all'insieme delle
sanzioni -  penali  e  amministrative,  queste  ultime  anch'esse  di
carattere "punitivo" - irrogate in seguito  alla  commissione  di  un
fatto di manipolazione  del  mercato,  ai  fini  della  verifica  del
rispetto  del  diverso  principio  del  ne  bis  in  idem  (Corte  di
giustizia, sentenza 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate SA  e  altri,
in causa C-537/16, paragrafo 56). Cio' in coerenza con la Spiegazione
relativa all'art. 49 CDFUE, ove si chiarisce che  «[i]l  paragrafo  3
riprende il principio generale della  proporzionalita'  dei  reati  e
delle pene sancito dalle tradizioni costituzionali comuni agli  Stati
membri  e  dalla  giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia   delle
Comunita'»: giurisprudenza, quest'ultima, formatasi esclusivamente in
materia  di  sanzioni  amministrative  applicate  dalle   istituzioni
comunitarie. 
    Lo stesso  art.  49,  paragrafo  3,  CDFUE  e'  stato  del  resto
recentemente invocato dalla  Sezioni  unite  civili  della  Corte  di
cassazione a fondamento dell'affermazione secondo cui anche forme  di
risarcimento con funzione prevalentemente deterrente come i "punitive
damages" eventualmente disposti da  una  sentenza  straniera  debbono
comunque rispettare il principio di proporzionalita' per poter essere
riconosciuti nel nostro ordinamento  (Corte  di  cassazione,  sezioni
unite civili, sentenza 5 luglio 2017, n. 16601). 
    8.2.5.- La stessa giurisprudenza della Corte europea dei  diritti
dell'uomo ha, in alcune sentenze su  cui  ha  giustamente  richiamato
l'attenzione la  parte  privata,  ritenuto  illegittime  -  al  metro
dell'art. 1 Prot. addiz. CEDU - confische  amministrative  aventi  ad
oggetto l'intero ammontare di denaro che  non  era  stato  dichiarato
alla dogana, e non soltanto l'importo dei diritti doganali  evasi.  E
cio' proprio in relazione al carattere manifestamente  sproporzionato
di simili misure rispetto ai  pur  legittimi  fini  perseguiti  dallo
Stato, in relazione alla concreta  gravita'  degli  illeciti  che  di
volta in volta venivano in considerazione,  tenuto  conto  anche  del
fatto che le misure ablative in questione si sommavano alle  sanzioni
pecuniarie irrogate per l'omessa  dichiarazione  delle  somme  (Corte
EDU, sentenze 31 gennaio 2017, Boljević contro Croazia;  26  febbraio
2009, Grifhorst contro Francia, paragrafi 87 e seguenti;  5  febbraio
2009, Gabrić contro Croazia paragrafi 34 e seguenti; 9  luglio  2009,
Moon contro Francia,  paragrafi  46  e  seguenti;  6  novembre  2008,
Ismayilov contro Russia). 
    8.3.- E', dunque, sulla base di tali  principi  che  deve  essere
scrutinata  la   legittimita'   costituzionale   della   disposizione
censurata,  che  impone  la  confisca  alternativa,  diretta  o   per
equivalente, del «prodotto» o del «profitto» degli illeciti  previsti
dal Titolo I-bis, Capo III, del d.lgs. n. 58 del 1998, oltre che  dei
«beni utilizzati» per commettere gli illeciti medesimi. 
    8.3.1.- Secondo le  consolidate  coordinate  penalistiche,  delle
quali  il  lessico  utilizzato  nella   disposizione   censurata   e'
debitrice, «prodotto»  di  un  illecito  e'  «il  risultato  empirico
dell'illecito,  cioe'  le  cose  create,  trasformate,  adulterate  o
acquistate mediante il reato» (Corte  di  cassazione,  sezioni  unite
penali,  sentenza  27  marzo  2008,  n.  26654).  In  altre   parole,
costituiscono  «prodotto»  tutte  le  cose  materiali  che,  in   una
prospettiva   puramente   causale,   "derivano"   dalla   commissione
dell'illecito medesimo. E' pertanto «prodotto» del reato il documento
contraffatto,  il  nastro  contenente   la   registrazione   di   una
conversazione illegittimamente intercettata, la  cosa  acquistata  da
chi ne conosceva l'origine delittuosa. 
    In questa logica, il «prodotto» di un illecito  come  l'abuso  di
informazioni privilegiate - che consiste, nel suo nucleo  essenziale,
nel compimento di operazioni di compravendita di strumenti finanziari
da parte di chi possieda un'informazione  ancora  riservata,  la  cui
successiva diffusione al pubblico potrebbe determinare una variazione
del prezzo di tali strumenti -  non  puo'  che  essere  rappresentato
dall'insieme degli strumenti  acquistati,  ovvero  dall'intera  somma
ricavata dalla loro  vendita  (Corte  di  cassazione,  sezione  prima
civile, sentenza 6 aprile 2018, n. 8590). 
    8.3.2.- Il «profitto» e', invece, l'utilita' economica conseguita
mediante la commissione dell'illecito. Nelle ipotesi di  acquisto  di
strumenti finanziari,  il  profitto  consiste  dunque  nel  risultato
economico dell'operazione valutato nel momento in cui  l'informazione
privilegiata  della  quale  l'agente  disponeva   diviene   pubblica,
calcolato piu' in particolare sottraendo al  valore  degli  strumenti
finanziari acquistati il costo effettivamente  sostenuto  dall'autore
per  compiere  l'operazione,  cosi'   da   quantificare   l'effettivo
"guadagno" (in termini finanziari, la "plusvalenza") ovvero, come nel
caso di specie, il "risparmio di spesa"  che  l'agente  abbia  tratto
dall'operazione. 
    Nelle ipotesi di vendita di strumenti finanziari  sulla  base  di
un'informazione privilegiata, il  «profitto»  conseguito  non  potra'
invece che identificarsi  nella  "perdita  evitata"  in  rapporto  al
successivo deprezzamento degli strumenti, conseguente alla diffusione
dell'informazione medesima; e  dunque  andra'  calcolato  sulla  base
della differenza tra il corrispettivo ottenuto  dalla  vendita  degli
strumenti  finanziari,  e  il  loro  successivo  (diminuito)  valore.
Conclusione, questa, suggerita anche da  un'interpretazione  conforme
al diritto dell'Unione europea dell'art. 187-sexies del d.lgs. n.  58
del 1998, avuto  riguardo  in  particolare  al  Regolamento  (UE)  n.
596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile  2014,
relativo agli abusi di mercato (regolamento sugli abusi di mercato) e
che abroga la  direttiva  2003/6/CE  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE  della
Commissione: regolamento il cui art. 30,  paragrafo  2,  lettera  b),
impone agli Stati membri l'obbligo di prevedere «la restituzione  dei
guadagni realizzati o delle perdite evitate grazie  alla  violazione,
per quanto possano essere determinati». 
    8.3.3.-  Quanto  infine  ai  «beni  utilizzati»  per   commettere
l'illecito, in tema di abusi di mercato essi - lungi dal poter essere
identificati  nei  tradizionali  instrumenta  sceleris,   in   genere
rappresentati da cose intrinsecamente pericolose  se  lasciate  nella
disponibilita' del reo, come negli esempi di scuola del grimaldello o
della stampante di monete false - non possono  che  consistere  nelle
somme di denaro investite nella transazione, ovvero  negli  strumenti
finanziari alienati dall'autore. 
    8.3.4.- Da tutto cio' consegue che, in tema di abusi di  mercato,
mentre   l'ablazione   del   «profitto»   ha   una   mera    funzione
ripristinatoria della  situazione  patrimoniale  precedente  in  capo
all'autore, la confisca del  «prodotto»  -  identificato  nell'intero
ammontare degli strumenti acquistati dall'autore, ovvero  nell'intera
somma ricavata dalla loro alienazione - cosi' come quella  dei  «beni
utilizzati» per commettere l'illecito - identificati nelle  somme  di
denaro investite nella transazione, ovvero negli strumenti finanziari
alienati dall'autore - hanno un effetto  peggiorativo  rispetto  alla
situazione patrimoniale del trasgressore. 
    Tali  forme  di  confisca  assumono  pertanto  una   connotazione
"punitiva", infliggendo all'autore dell'illecito una  limitazione  al
diritto di proprieta' di  portata  superiore  (e,  di  regola,  assai
superiore)  a   quella   che   deriverebbe   dalla   mera   ablazione
dell'ingiusto vantaggio economico ricavato dall'illecito. 
    Muovendo da questa prospettiva, del resto, la Corte Suprema degli
Stati Uniti ha recentemente affermato la natura "punitiva"  -  e  non
meramente ripristinatoria - della misura,  funzionalmente  analoga  a
quella ora in  considerazione,  del  «disgorgement»  applicato  dalla
Security Exchange Commission (SEC) in materia di abusi di mercato;  e
cio'  proprio  in  quanto  tale  misura  -  estendendosi   all'intero
risultato della transazione illecita - eccede, di regola,  il  valore
del vantaggio economico che  l'autore  ha  tratto  dalla  transazione
stessa (Corte suprema degli Stati  Uniti,  sentenza  5  giugno  2017,
Kokesh contro Security Exchange Commission). 
    8.3.5.- Nel vigente sistema sanzionatorio degli abusi di mercato,
la (predominante) componente "punitiva"  insita  nella  confisca  del
«prodotto» dell'illecito e dei «beni utilizzati» per  commetterlo  si
aggiunge all'afflizione determinata dalle altre sanzioni previste dal
d.lgs.  n.  58  del  1998   e,   in   particolare,   dalla   sanzione
amministrativa pecuniaria. Una sanzione, quest'ultima, la cui cornice
edittale e' essa pure di eccezionale severita', potendo giungere sino
ad un massimo (oggi)  di  cinque  milioni  di  euro,  aumentabili  in
presenza di particolari circostanze fino al triplo,  ovvero  fino  al
maggiore importo di dieci volte  il  profitto  conseguito  ovvero  le
perdite evitate per effetto dell'illecito. 
    8.3.6.- A giudizio di  questa  Corte,  la  combinazione  tra  una
sanzione  pecuniaria  di  eccezionale  severita',  ma  graduabile  in
funzione della concreta gravita'  dell'illecito  e  delle  condizioni
economiche dell'autore  dell'infrazione,  e  una  ulteriore  sanzione
anch'essa di carattere "punitivo"  come  quella  rappresentata  dalla
confisca  del  prodotto  e  dei  beni   utilizzati   per   commettere
l'illecito, che per di piu' non consente all'autorita' amministrativa
e poi al giudice  alcuna  modulazione  quantitativa,  necessariamente
conduce,  nella  prassi   applicativa,   a   risultati   sanzionatori
manifestamente sproporzionati. 
    Simili  risultati  sono  emblematicamente  illustrati  dal   caso
oggetto del giudizio a quo,  in  cui  l'autore  di  una  condotta  di
insider trading e'  stato  punito  con  una  sanzione  pecuniaria  di
200.000 euro, che  si  e'  aggiunta  alla  confisca  per  equivalente
dell'intero   valore   delle   azioni   acquistate   avvalendosi   di
un'informazione privilegiata, pari a ulteriori 149.760 euro, a fronte
di un vantaggio economico di 26.580 euro conseguito  dall'operazione.
A conti fatti, la componente "punitiva" di tale complessiva  sanzione
- risultante dalla somma tra la sanzione pecuniaria e la confisca  di
cio' che eccede rispetto al profitto tratto dall'operazione - e'  qui
pari a circa tredici volte tale profitto:  un  coefficiente  che  non
puo' che apparire  manifestamente  eccessivo  rispetto  ai  legittimi
scopi di prevenzione generale e speciale perseguiti dalla  norma  che
vieta l'insider trading. 
    8.4.-   Nel   dichiarare   inammissibile    la    questione    di
costituzionalita' dell'art 187-sexies  del  d.lgs.  n.  58  del  1998
all'epoca sollevata, questa Corte aveva del resto  gia'  riconosciuto
che quello delle «conseguenze ultra modum che possono  scaturire,  in
determinati contesti, dalla previsione della  confisca  obbligatoria,
non solo del profitto, ma anche dei beni strumentali alla commissione
dell'illecito» costituisce un «problema in se' reale e avvertito,  da
sottoporre all'attenzione  del  legislatore»  (sentenza  n.  252  del
2012), al quale tuttavia la Corte non ritenne in  quell'occasione  di
poter porre direttamente rimedio in  considerazione  della  peculiare
formulazione del petitum allora sottopostole (supra, punto 5). 
    L'ammonimento di questa Corte non era sfuggito  alla  CONSOB,  la
quale - come giustamente rammentato dalla difesa della parte  privata
- aveva richiamato il legislatore, nella  propria  Relazione  annuale
per il 2012,  all'opportunita'  di  riformare  «l'attuale  disciplina
della  confisca  obbligatoria  (art.  187-sexies),  suscettibile   di
rivelarsi  [...]  particolarmente  afflittiva  e  non   proporzionata
all'effettiva   gravita'   dell'illecito    accertato»,    auspicando
l'introduzione di coefficienti di  graduabilita'  del  quantum  della
sanzione, in grado di assicurarne la commisurazione  individualizzata
in relazione alla gravita' concreta dell'illecito medesimo. 
    A tale sollecitazione il legislatore ha in effetti  risposto  con
la legge n. 163 del 2017, che, all'art. 8, comma 3,  lettera  g),  ha
delegato il Governo a rivedere l'art. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del
1998 «in  modo  tale  da  assicurare  l'adeguatezza  della  confisca,
prevedendo che essa abbia  ad  oggetto,  anche  per  equivalente,  il
profitto derivato dalle previsioni del regolamento (UE) n. 596/2014»:
formulazione, questa,  che  non  fa  piu'  alcuna  menzione  ne'  del
«prodotto» dell'illecito, ne' dei «beni utilizzati» per  commetterlo,
considerati evidentemente forieri di eccessi sanzionatori. 
    A fronte poi della predisposizione da parte del  Governo  di  uno
schema di decreto che eliminava bensi' la previsione  della  confisca
dei «beni utilizzati» per commettere l'illecito, ma  non  quella  del
«prodotto»  dell'illecito  medesimo,  il  Commissario  della  CONSOB,
sentito il 17 luglio 2018  in  audizione  dalle  Commissioni  riunite
Giustizia e Finanze della Camera, auspico'  l'accoglimento  da  parte
del  legislatore  delegato  della  «posizione   gia'   espressa   dal
Parlamento e fatta propria dalla  CONSOB»,  prevedendo  «la  confisca
limitatamente al profitto delle violazioni in  materia  di  abuso  di
informazioni privilegiate e  di  manipolazione,  di  cui  agli  artt.
187-bis e 187-ter» del d.lgs. 58 del 1998. 
    Il legislatore delegato non ha, tuttavia, accolto tale  auspicio,
riconfermando nel novellato art. 187-sexies del d.  lgs.  n.  58  del
1998, come modificato dal d.lgs. n. 107 del 2018, la  confiscabilita'
tanto del «profitto» quanto del «prodotto»  dell'illecito,  con  cio'
riproponendo nella nuova disposizione i vizi che affliggevano  quella
previgente. 
    La  diversa  struttura  dell'odierna  questione  di  legittimita'
costituzionale rispetto a quella decisa con la menzionata sentenza n.
252 del 2012 consente, ora, a questa Corte di porre  rimedio  a  tali
vizi di legittimita'  costituzionale,  attraverso  una  pronuncia  di
carattere parzialmente ablativo in grado di ovviare alle  conseguenze
«ultra modum» che discendono dalla disciplina censurata. 
    8.5.- Ne' l'odierna pronuncia incontra alcun ostacolo nel diritto
dell'Unione europea, il quale non impone la confisca  del  «prodotto»
dell'illecito e dei «beni utilizzati» per commetterlo. 
    Come anticipato, infatti,  il  vigente  Regolamento  n.  596/2014
richiede soltanto agli Stati  membri  -  all'art.  30,  paragrafo  2,
lettera b) - di prevedere «la restituzione dei guadagni realizzati  o
delle perdite evitate grazie  alla  violazione,  per  quanto  possano
essere determinati». 
    Come risulta anche dalle diverse versioni linguistiche del  testo
(«the disgorgement of the  profits  gained  or  losses  avoided»,  in
inglese; «la restitution de l'avantage retire' de cette violation  ou
des pertes qu'elle a permis d'eviter», in francese; «den  Einzug  der
infolge des Verstoßes erzielten Gewinne oder vermiedene Verluste», in
tedesco; «la  restitucion  de  los  beneficios  obtenidos  o  de  las
perdidas evitadas», in spagnolo), il  regolamento  in  parola  allude
senza equivoco al solo "vantaggio economico" (in termini di  guadagno
o di perdita evitata) ottenuto dal  compimento  di  un'operazione  in
condizioni di asimmetria informativa e in violazione di un dovere  di
astensione - per effetto del possesso di un'informazione privilegiata
-  rispetto  alla  generalita'  degli  operatori  nel  mercato  degli
strumenti finanziari. 
    9.- Da quanto precede  consegue  l'illegittimita'  costituzionale
della  previsione  della   confisca   obbligatoria   del   «prodotto»
dell'illecito amministrativo e dei «beni utilizzati» per commetterlo,
in ragione del suo contrasto con gli artt. 3, 42 e 117, primo  comma,
Cost., quest'ultimo  in  relazione  all'art.  1  Prot.  addiz.  CEDU,
nonche' degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.  in  relazione  agli
artt. 17 e 49, paragrafo 3, CDFUE. 
    Il giudice a quo parrebbe, invero, circoscrivere il petitum  alla
dichiarazione di illegittimita' costituzionale della sola  previsione
della  loro  confisca  per  equivalente.  Al  riguardo,  va  tuttavia
considerato  che  l'effetto   manifestamente   sproporzionato   della
confisca in oggetto - esattamente posto  in  luce  dall'ordinanza  di
rimessione - non dipende dal fatto che la  misura  abbia  ad  oggetto
direttamente  i  beni  o  il  denaro  ricavati  dalla  transazione  o
utilizzati nella transazione stessa, ovvero beni o denaro  di  valore
equivalente; quanto, piuttosto, dalla stessa previsione  dell'obbligo
di procedere alla confisca del «prodotto» dell'illecito e  dei  «beni
utilizzati» per commetterlo. 
    Va, pertanto, dichiarato  costituzionalmente  illegittimo  l'art.
187-sexies, del d.lgs. n. 58  del  1998,  nel  testo  originariamente
introdotto dall'art. 9, comma 2, lettera a), della legge  n.  62  del
2005, nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria, diretta  o
per equivalente, del «prodotto» dell'illecito e dei «beni utilizzati»
per commetterlo, e non del solo «profitto». 
    10.- La presente dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale
deve essere estesa, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo  1953,
n. 87 (Norme sulla  costituzione  e  sul  funzionamento  della  Corte
costituzionale), all'art. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998, nella
versione risultante dalle modifiche apportate dall'art. 4, comma  14,
del d.lgs. n. 107 del 2018, nella parte in cui  prevede  la  confisca
obbligatoria,   diretta   o   per   equivalente,    del    «prodotto»
dell'illecito, e non del solo profitto, per  contrasto  con  tutti  i
parametri invocati nell'ordinanza di rimessione. 
    Nonostante la gia' ricordata disposizione della legge  delega  n.
163 del 2017 (supra, punto 8.4.), che delegava il Governo a  rivedere
l'art. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998 limitando l'oggetto della
confisca ivi prevista al solo «profitto derivato dalle previsioni del
regolamento (UE) n. 596/2014», il d.lgs. n. 107 del  2018  ha  invece
confermato  la  confisca  obbligatoria,  in  via   alternativa,   del
«profitto» o del «prodotto»  dell'illecito,  espungendo  soltanto  il
riferimento ai «beni  utilizzati»  per  commetterlo,  presente  nella
versione previgente. 
    In tal modo,  il  legislatore  delegato  ha  riprodotto,  seppure
parzialmente, una disposizione che si  espone  ai  medesimi  vizi  di
legittimita' costituzionale che affliggono la disciplina  previgente.
Anche tale disposizione  deve  pertanto  essere  dichiarata,  in  via
consequenziale, costituzionalmente illegittima in parte qua. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dispone la separazione del giudizio promosso  dalla  Corte  di
cassazione, sezione  seconda  civile,  con  l'ordinanza  indicata  in
epigrafe,  riservando  a  separata  pronuncia  la   decisione   delle
questioni     di      legittimita'      costituzionale      dell'art.
187-quinquiesdecies del decreto legislativo 24 febbraio 1998,  n.  58
(Testo  unico  delle  disposizioni  in  materia  di   intermediazione
finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della  legge  6  febbraio
1996, n. 52), sollevate in riferimento agli  artt.  24,  111  e  117,
primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con  legge  4  agosto  1955,  n.  848,  e
all'art. 14, comma  3,  lettera  g),  del  Patto  internazionale  sui
diritti civili e politici adottato a New York il  16  dicembre  1966,
ratificato e reso esecutivo con la legge 25  ottobre  1977,  n.  881,
nonche' in riferimento agli artt. 11 e 117, primo  comma,  Cost.,  in
relazione  all'art.  47  della   Carta   dei   diritti   fondamentali
dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000  e
adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007; 
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  187-sexies
del d.lgs. n. 58  del  1998,  nel  testo  originariamente  introdotto
dall'art. 9, comma 2, lettera a), della legge 18 aprile 2005,  n.  62
(Disposizioni    per    l'adempimento    di    obblighi     derivanti
dall'appartenenza   dell'Italia   alle   Comunita'   europee.   Legge
comunitaria  2004),  nella  parte  in   cui   prevede   la   confisca
obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell'illecito e
dei beni utilizzati per commetterlo, e non del solo profitto; 
    3) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'art.  27  della
legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla  costituzione  e   sul
funzionamento   della   Corte    costituzionale),    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998,  nella
versione risultante dalle modifiche apportate dall'art. 4, comma  14,
del decreto legislativo 10 agosto 2018, n.  107,  recante  «Norme  di
adeguamento  della  normativa   nazionale   alle   disposizioni   del
regolamento (UE) n. 596/2014, relativo agli abusi di  mercato  e  che
abroga la direttiva 2003/6/CE e le direttive 2003/124/UE, 2003/125/CE
e 2004/72/CE», nella parte in cui prevede la  confisca  obbligatoria,
diretta o per equivalente, del prodotto dell'illecito, e non del solo
profitto. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 marzo 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA