N. 117 ORDINANZA 6 marzo - 10 maggio 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Intermediazione finanziaria - Attivita' di vigilanza della  CONSOB  -
  Abusi di mercato - Inottemperanza alle  richieste  della  CONSOB  o
  ritardo recato all'esercizio  delle  sue  funzioni  -  Applicazione
  della sanzione anche nei confronti di colui al  quale  la  medesima
  CONSOB, nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza, contesti un
  abuso di informazioni  privilegiate  -  Rinvio  pregiudiziale  alla
  Corte di giustizia dell'Unione europea. 
- Decreto legislativo 24 febbraio 1998,  n.  58  (Testo  unico  delle
  disposizioni in materia di intermediazione  finanziaria,  ai  sensi
  degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio  1996,  n.  52),  art.
  187-quinquiesdecies, come introdotto dall'art. 9, comma 2,  lettera
  b),  della  legge  18  aprile  2005,  n.   62   (Disposizioni   per
  l'adempimento di obblighi derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia
  alle Comunita' europee. Legge comunitaria 2004). 
(GU n.20 del 15-5-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel   giudizio   di   legittimita'    costituzionale    dell'art.
187-quinquiesdecies del decreto legislativo 24 febbraio 1998,  n.  58
(Testo  unico  delle  disposizioni  in  materia  di   intermediazione
finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della  legge  6  febbraio
1996, n. 52), come introdotto dall'art. 9, comma 2, lettera b), della
legge 18 aprile  2005,  n.  62  (Disposizioni  per  l'adempimento  di
obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  alle   Comunita'
europee. Legge comunitaria 2004), promosso dalla Corte di cassazione,
sezione seconda civile, nel procedimento vertente tra il sig. D. B. e
la Commissione nazionale per le societa' e  la  borsa  (CONSOB),  con
ordinanza del 16 febbraio  2018,  iscritta  al  n.  54  del  registro
ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 14, prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visti l'atto di costituzione del sig. D. B.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 5 marzo 2019 il Giudice  relatore
Francesco Vigano'; 
    uditi l'avvocato Renzo Ristuccia per il sig. D. B.  e  l'avvocato
dello Stato Pio Giovanni Marrone per il Presidente del Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
      
    1.- Questa Corte e' chiamata a decidere su plurime  questioni  di
legittimita' costituzionale  sollevate  dalla  Corte  di  cassazione,
sezione seconda civile, con ordinanza del 16 febbraio 2018 (r. o.  n.
54 del 2018). 
    Per cio' che in questa sede rileva, la Corte di cassazione chiede
se l'art. 187-quinquiesdecies del  decreto  legislativo  24  febbraio
1998,  n.  58  (Testo  unico  delle  disposizioni   in   materia   di
intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli  8  e  21  della
legge 6 febbraio 1996, n. 52), sia costituzionalmente legittimo nella
parte in cui  sanziona  la  mancata  ottemperanza  nei  termini  alle
richieste della Commissione nazionale per  le  societa'  e  la  borsa
(CONSOB), ovvero la causazione di un ritardo nell'esercizio delle sue
funzioni, «anche nei confronti di colui al quale la medesima  CONSOB,
nell'esercizio delle proprie funzioni di vigilanza, contesti un abuso
di informazioni privilegiate». 
    La Corte di cassazione dubita che  tale  disposizione,  in  parte
qua, contrasti con gli artt.  24,  111  e  117,  primo  comma,  della
Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6 della  Convenzione
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali (CEDU), e all'art. 14, comma 3, lettera  g),  del  Patto
internazionale relativo ai diritti civili e politici, nonche' con gli
artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione  all'art.  47  della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE). 
    2.- Il procedimento pendente avanti alla Corte di cassazione trae
a sua volta origine da un procedimento  sanzionatorio  avviato  dalla
CONSOB nei confronti del sig. D. B. 
    2.1.-  Dagli  atti  di  causa  risulta  che,  all'esito  di  tale
procedimento, con  delibera  del  2  maggio  2012,  la  CONSOB  aveva
irrogato al sig. D. B. le seguenti sanzioni amministrative: 
    a)  una  sanzione  pecuniaria  di  200.000  euro   in   relazione
all'illecito amministrativo di  abuso  di  informazioni  privilegiate
previsto dall'art. 187-bis, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 58 del
1998, nella  versione  vigente  all'epoca  dei  fatti,  con  riguardo
all'acquisto, effettuato dal sig. D. B. nel febbraio 2009, di  30.000
azioni di una societa' quotata della quale era socio e consigliere di
amministrazione,   sulla   base   del   possesso    dell'informazione
privilegiata relativa all'imminente lancio di un'offerta pubblica  di
acquisto di tale societa', da lui promossa assieme ad altri due  soci
della medesima societa'; 
    b) una sanzione  pecuniaria  di  100.000  euro  in  relazione  al
medesimo  illecito  amministrativo  nell'ipotesi  di   cui   all'art.
187-bis, comma 1, lettera c), sempre nella versione vigente all'epoca
dei fatti, per avere il sig. D.  B.  indotto  una  terza  persona  ad
acquistare azioni della societa' in questione,  essendo  in  possesso
della menzionata informazione privilegiata; 
    c)  una  sanzione  pecuniaria  di  50.000   euro   in   relazione
all'illecito  amministrativo  di  cui  all'art.   187-quinquiesdecies
(Tutela dell'attivita' di vigilanza  della  Banca  d'Italia  e  della
Consob) del d.lgs. n. 58 del 1998, nella versione  vigente  all'epoca
dei fatti, per avere rinviato piu' volte la data dell'audizione  alla
quale era stato convocato  e,  una  volta  presentatosi  alla  stessa
CONSOB, per essersi rifiutato di  rispondere  alle  domande  che  gli
erano state rivolte; 
    d) la sanzione accessoria della perdita temporanea dei  requisiti
di onorabilita' per la durata di diciotto mesi; 
    e) la confisca di denaro o beni fino a  concorrenza  dell'importo
di 149.760 euro,  pari  all'intero  valore  delle  azioni  acquistate
mediante la condotta descritta sub a). 
    Per le stesse condotte di cui ai punti a) e  b)  dell'esposizione
che precede, al sig. D. B.  era  stato  altresi'  contestato,  in  un
separato procedimento penale, il delitto  di  abuso  di  informazioni
privilegiate previsto dall'art. 184 del d.lgs. n. 58  del  1998.  Per
tale delitto, il sig. D. B. ha concordato con il  pubblico  ministero
la pena, condizionalmente sospesa, di undici  mesi  di  reclusione  e
300.000  euro  di  multa,  applicata  dal  giudice  per  le  indagini
preliminari del Tribunale di Milano il 18 dicembre 2013. 
    2.2. - Il sig. D. B. aveva proposto opposizione avanti alla Corte
d'appello  di  Roma  avverso  il  provvedimento  sanzionatorio  della
CONSOB,  allegando  tra  l'altro  l'illegittimita'   della   sanzione
irrogatagli ai sensi dell'art. 187-quinquiesdecies del d.lgs.  n.  58
del 1998. 
    La   Corte   d'appello   di   Roma   aveva   tuttavia   rigettato
l'opposizione,  confermando  cosi'  il  provvedimento   sanzionatorio
adottato dalla CONSOB, con sentenza depositata il 20 novembre 2013. 
    2.3.- Contro tale sentenza il sig. D. B. aveva quindi proposto il
ricorso per cassazione che ha dato origine al  presente  procedimento
incidentale di legittimita' costituzionale. 
    3.-  Come  anticipato,  la  Corte  di  cassazione  dubita   della
legittimita' costituzionale dell'art. 187-quinquiesdecies del  d.lgs.
n. 58 del 1998, «nella  parte  in  cui  detto  articolo  sanziona  la
condotta  consistente  nel  non  ottemperare   tempestivamente   alle
richieste della CONSOB o nel ritardare l'esercizio delle sue funzioni
anche  nei  confronti  di  colui  al  quale   la   medesima   CONSOB,
nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza, contesti un abuso  di
informazioni privilegiate», in ragione  del  possibile  contrasto  di
tale previsione  con  varie  norme  della  Costituzione  italiana  e,
mediatamente, con gli artt. 6 CEDU e 47 CDFUE, nonche' con l'art.  14
del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici. 
    3.1.- Secondo la Corte di cassazione, la  disposizione  censurata
contrasterebbe anzitutto con l'art. 24 Cost., il  cui  secondo  comma
recita: «La difesa e' diritto inviolabile in ogni stato e  grado  del
procedimento». 
    Rileva la Corte di cassazione che l'accertamento di  un  illecito
amministrativo come quello  di  cui  e'  causa  e',  nell'ordinamento
italiano, prodromico alla possibile irrogazione, nei confronti di chi
ne sia riconosciuto autore, sia di sanzioni propriamente penali,  sia
di sanzioni amministrative di natura sostanzialmente "punitiva"; cio'
che si era appunto verificato nel caso di specie. Per  tale  ragione,
il soggetto al quale la CONSOB intenda addebitare la  commissione  di
un tale illecito amministrativo dovrebbe godere di tutte le  garanzie
inerenti al diritto di difesa nei  procedimenti  penali,  cosi'  come
riconosciute dalla giurisprudenza costituzionale sulla base dell'art.
24 Cost. Tra  tali  garanzie  si  iscriverebbe,  in  particolare,  il
«diritto di non collaborare alla propria incolpazione». 
    3.2.- In secondo luogo, la disposizione censurata  contrasterebbe
con il «principio della parita' delle parti»  nel  processo,  sancito
dall'art. 111, secondo comma, Cost. 
    Rileva in proposito la Corte di cassazione che  «[i]l  dovere  di
collaborare con la CONSOB in capo a colui  che  dalla  stessa  CONSOB
venga  sanzionato  per  l'illecito  amministrativo  di  cui  all'art.
187-bis [del d.lgs. n. 58 del 1998] non sembra [...] compatibile  con
la posizione di  parita'  che  tale  soggetto  e  la  CONSOB  debbono
rivestire nella fase giurisdizionale di impugnativa del provvedimento
sanzionatorio». 
    3.3.- In  terzo  luogo,  la  Corte  di  cassazione  dubita  della
compatibilita' della  disciplina  censurata  con  l'art.  117,  primo
comma, Cost., il quale stabilisce che «[l]a potesta'  legislativa  e'
esercitata  dallo  Stato  e  dalle   Regioni   nel   rispetto   della
Costituzione,  nonche'   dei   vincoli   derivanti   dall'ordinamento
comunitario   e   dagli   obblighi   internazionali»,   in    ragione
dell'incompatibilita' di tale disciplina con gli artt. 6  CEDU  e  14
del Patto internazionale sui diritti civili e politici. 
    Quanto all'art. 6 CEDU,  la  Corte  di  cassazione  osserva  che,
secondo la costante giurisprudenza della Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, il diritto di non cooperare alla propria incolpazione e il
diritto   al   silenzio   -   anche   nell'ambito   di   procedimenti
amministrativi funzionali all'irrogazione di sanzioni  aventi  natura
sostanzialmente "punitiva" - debbano considerarsi come implicitamente
riconosciuti da tale norma convenzionale, situandosi anzi  «al  cuore
della nozione di processo equo». 
    Quanto poi al Patto internazionale sui diritti civili e politici,
la Corte di cassazione osserva che l'art. 14,  paragrafo  3,  lettera
g), di tale strumento riconosce esplicitamente  il  diritto  di  ogni
individuo accusato di un reato a  «non  essere  costretto  a  deporre
contro se stesso o a confessarsi colpevole».  Tale  diritto  dovrebbe
necessariamente essere riconosciuto anche a colui che sia  sottoposto
a   un'indagine   condotta   da   un'autorita'   amministrativa,   ma
potenzialmente  funzionale  all'irrogazione  nei  suoi  confronti  di
sanzioni di carattere "punitivo". 
    3.4.- Infine, la Corte di cassazione sospetta che  la  disciplina
in esame violi il combinato disposto dello  stesso  art.  117,  primo
comma, Cost. e dell'art. 11 Cost. (che autorizza le  «limitazioni  di
sovranita' necessarie ad un ordinamento che assicuri  la  pace  e  la
giustizia fra le Nazioni»), in ragione dell'incompatibilita' di  tale
disciplina con l'art. 47, paragrafo 2, CDFUE. 
    Rilevato che  l'art.  187-quinquiesdecies,  e  piu'  in  generale
l'intera disciplina del d.lgs. n. 58 del 1998,  ricadono  nell'ambito
di applicazione del diritto dell'Unione europea ai sensi dell'art. 51
CDFUE, il giudice a quo osserva che  la  formulazione  dell'art.  47,
paragrafo  2,  CDFUE  e'  sostanzialmente  sovrapponibile  a   quella
dell'art. 6, paragrafo 1, CEDU, e deve pertanto essere interpretata -
secondo quanto  previsto  dall'art.  52,  paragrafo  3,  CDFUE  -  in
conformita'  all'interpretazione  della   corrispondente   previsione
convenzionale, sopra menzionata,  fornita  dalla  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo. 
    La  Corte  di  cassazione  rileva,  inoltre,  che  dalla   stessa
giurisprudenza della Corte di giustizia UE in materia di tutela della
concorrenza si evince il principio secondo  cui  la  Commissione  non
puo' imporre all'impresa l'obbligo di fornire risposte attraverso  le
quali  questa  sarebbe  indotta  ad   ammettere   l'esistenza   della
trasgressione, che deve invece essere provata dalla Commissione. 
    La Corte di cassazione sottolinea, tuttavia, come dalla direttiva
2003/6/CE del Parlamento europeo e  del  Consiglio,  del  28  gennaio
2003,  relativa  all'abuso  di  informazioni  privilegiate   e   alla
manipolazione  del  mercato  (abusi  di  mercato)  -   direttiva   in
attuazione della quale l'art. 187-quinquiesdecies e' stato introdotto
nel d.lgs. n. 58  del  1998  -  si  evinca  un  generale  obbligo  di
collaborazione con l'autorita' di vigilanza, la cui  violazione  deve
essere sanzionata dallo Stato membro ai sensi dell'art. 14, paragrafo
3, della direttiva medesima;  ed  evidenzia  come  tale  obbligo  sia
sancito anche dal recente Regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativo agli  abusi  di
mercato  (regolamento  sugli  abusi  di  mercato)  e  che  abroga  la
direttiva 2003/6/CE del Parlamento  europeo  e  del  Consiglio  e  le
direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE della Commissione. 
    Tale considerazione induce il giudice a quo a domandarsi se detto
obbligo, ove ritenuto applicabile anche nei  confronti  dello  stesso
soggetto  nei  cui  confronti  si  stia  svolgendo  l'indagine,   sia
compatibile con l'art. 47 CDFUE; e, conseguentemente, se quest'ultimo
osti   a   una    disposizione    nazionale    che,    come    l'art.
187-quinquiesdecies del d.lgs. n. 58 del 1998, presupponga un  dovere
di prestare  collaborazione  alle  indagini  (e  conseguentemente  di
sanzionare l'omessa collaborazione) anche da parte  de  soggetto  nei
cui  confronti  la  CONSOB  stia  svolgendo  indagini  relative  alla
possibile commissione di un illecito punito con sanzioni di carattere
sostanzialmente penale. 
    3.5.- Rilevato, dunque, che l'art. 187-quinquiesdecies del d.lgs.
n. 58 del 1998 si espone a  dubbi  di  illegittimita'  costituzionale
sotto  il  profilo  della  sua  possibile  contrarieta'  a  parametri
costituzionali nazionali (artt. 24, secondo  comma,  e  111,  secondo
comma,  Cost.),  nonche'  sotto  il  profilo  della   sua   possibile
incompatibilita' con la CEDU e con la stessa CDFUE - incompatibilita'
dalla quale deriverebbe pure, in via mediata, la  sua  illegittimita'
costituzionale in forza degli artt. 11 e 117, primo comma,  Cost.  -,
la Corte di cassazione ritiene di  dover  anzitutto  sottoporre  tali
questioni all'esame di questa Corte. 
    Nell'ipotesi in cui  i  dubbi  di  illegittimita'  costituzionale
fossero dichiarati infondati,  la  Corte  di  cassazione  si  riserva
peraltro espressamente di misurarsi  «con  il  dovere,  sulla  stessa
gravante ai sensi del terzo comma dell'articolo 267 TFUE, di attivare
il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE (ove non gia' attivato dalla
stessa Corte costituzionale nel giudizio incidentale) e  di  dare  al
diritto   dell'Unione   un'applicazione   conforme   alla   decisione
conseguentemente adottata dalla Corte di giustizia». 
    4.- Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le  questioni  sollevate   siano   dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate. 
    5.- Si e' altresi' costituito in giudizio il sig. D. B., il quale
ha invece sostenuto la fondatezza delle  questioni,  in  relazione  a
tutti i parametri sollevati. 
    6.- Non si e' costituita in giudizio  la  CONSOB,  che  pure  era
parte nel giudizio a quo. 
      
 
                       Considerato in diritto 
 
      
    1.- Questa Corte deve  pronunciarsi  sulla  questione,  formulata
dalla Corte di cassazione, se l'art. 187-quinquesdecies del d.lgs. n.
58 del 1998 sia costituzionalmente illegittimo, nella  parte  in  cui
sanziona la mancata ottemperanza nei  termini  alle  richieste  della
Commissione nazionale per le societa' e la borsa (CONSOB), ovvero  la
causazione di un ritardo nell'esercizio delle  sue  funzioni,  «anche
nei confronti di colui al quale la  medesima  CONSOB,  nell'esercizio
delle  proprie  funzioni  di  vigilanza,   contesti   un   abuso   di
informazioni privilegiate». 
    Come  risulta  dall'esposizione  che  precede,  la  questione  e'
proposta in riferimento a una pluralita'  di  parametri,  taluni  dei
quali di matrice nazionale (il diritto di difesa e il principio della
parita' tra le parti nel processo, di cui rispettivamente agli  artt.
24, secondo comma, e 111, secondo comma, della  Costituzione),  altri
di matrice internazionale ed europea (il diritto a un processo  equo,
di cui agli artt. 6 CEDU, 14 del  Patto  internazionale  relativo  ai
diritti civili e politici, e 47 della Carta dei diritti  fondamentali
dell'Unione europea), questi ultimi pure suscettibili di  determinare
l'illegittimita' costituzionale della disposizione censurata in forza
degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. 
    2.- Con riferimento in particolare alle norme della CDFUE, questa
Corte ha recentemente affermato la propria competenza a vagliare  gli
eventuali  profili  di  contrarieta'  delle  disposizioni  di   legge
nazionali alle norme della Carta che il giudice rimettente ritenga di
sottoporle. 
    Cio' in quanto «[i] principi e i diritti  enunciati  nella  Carta
intersecano in larga misura i principi e i  diritti  garantiti  dalla
Costituzione italiana (e dalle  altre  Costituzioni  nazionali  degli
Stati membri). Sicche' puo' darsi il caso che  la  violazione  di  un
diritto  della  persona  infranga,  ad  un  tempo,  sia  le  garanzie
presidiate dalla Costituzione italiana, sia quelle  codificate  dalla
Carta dei diritti dell'Unione» (sentenza n. 269 del 2017, punto  5.2.
del Considerato in diritto). 
    In tali ipotesi, questa  Corte  -  che  e'  essa  stessa  «organo
giurisdizionale» nazionale ai sensi dell'art. 267  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea (TFUE) - potra' dunque valutare  se
la disposizione censurata violi le garanzie  riconosciute,  al  tempo
stesso,  dalla  Costituzione  e   dalla   Carta,   attivando   rinvio
pregiudiziale  alla  Corte  di  giustizia  ogniqualvolta   cio'   sia
necessario per chiarire il significato  e  gli  effetti  delle  norme
della Carta; e potra',  all'esito  di  tale  valutazione,  dichiarare
l'illegittimita'   costituzionale   della   disposizione   censurata,
rimuovendo cosi' la stessa  dall'ordinamento  nazionale  con  effetti
erga omnes.  Cio'  fermo  restando  «che  i  giudici  comuni  possono
sottoporre  alla  Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea,   sulla
medesima disciplina, qualsiasi questione pregiudiziale a loro  avviso
necessaria» (sentenza n. 20 del 2019, punto 2.3. del  Considerato  in
diritto),  anche  al  termine   del   procedimento   incidentale   di
legittimita' costituzionale; e  fermo  restando,  altresi',  il  loro
dovere -  ricorrendone  i  presupposti  -  di  non  applicare,  nella
fattispecie  concreta  sottoposta  al  loro  esame,  la  disposizione
nazionale in contrasto con i diritti sanciti dalla Carta (sentenza n.
63 del 2019, punto 4.3. del Considerato in diritto). 
    La  sentenza  n.  20  del  2019  ha  ulteriormente  chiarito,  in
proposito, che  «[i]n  generale,  la  sopravvenienza  delle  garanzie
approntate dalla CDFUE rispetto a quelle della Costituzione  italiana
genera [...] un concorso di rimedi giurisdizionali,  arricchisce  gli
strumenti di tutela dei  diritti  fondamentali  e,  per  definizione,
esclude ogni  preclusione».  Tale  concorso  di  rimedi  consente  in
effetti alla Corte costituzionale «di  contribuire,  per  la  propria
parte, a rendere effettiva la possibilita', di cui ragiona  l'art.  6
del Trattato sull'Unione europea (TUE)  [...]  che  i  corrispondenti
diritti fondamentali garantiti dal diritto europeo, e in  particolare
dalla  CDFUE,  siano  interpretati  in  armonia  con  le   tradizioni
costituzionali comuni agli Stati membri, richiamate  anche  dall'art.
52, paragrafo 4, della stessa CDFUE come fonti rilevanti» (punto 2.3.
del Considerato in diritto). 
    Il tutto, come gia' evidenziato dalla sentenza n. 269  del  2017,
«in un quadro di costruttiva  e  leale  cooperazione  fra  i  diversi
sistemi di garanzia, nel quale le Corti costituzionali sono  chiamate
a valorizzare il dialogo  con  la  Corte  di  giustizia  (da  ultimo,
ordinanza n. 24  del  2017),  affinche'  sia  assicurata  la  massima
salvaguardia dei diritti a livello sistemico (art. 53  della  CDFUE)»
(punto 5.2. del Considerato in diritto). 
    3.- Tutte le norme della  Costituzione,  della  CEDU,  del  Patto
internazionale sui diritti civili e politici e della  CDFUE  invocate
dalla Corte di cassazione convergono nel riconoscimento -  esplicito,
nel caso dell'art. 14 del Patto internazionale; implicito,  in  tutti
gli altri casi - del diritto della persona  a  non  contribuire  alla
propria incolpazione e a non essere costretta a rendere dichiarazioni
di natura confessoria (nemo tenetur se ipsum accusare). 
    Secondo la Corte di cassazione, tale "diritto  al  silenzio"  non
potrebbe  non  estendersi  anche   ai   procedimenti   di   carattere
formalmente amministrativo, ma funzionali all'irrogazione di sanzioni
di  carattere  sostanzialmente  "punitivo",  come   quello   previsto
dall'art. 187-bis del d.lgs. n. 58 del 1998  (Abuso  di  informazioni
privilegiate), della cui violazione il sig. D. B. e'  stato  ritenuto
responsabile dalla CONSOB in esito a un procedimento  conclusosi  con
l'irrogazione delle  sanzioni  gia'  menzionate  al  punto  2.1.  del
Ritenuto in fatto. 
    4.-  Questa  Corte  ritiene  che  il   dubbio   di   legittimita'
costituzionale     prospettato     si     risolva      essenzialmente
nell'interrogativo se sia costituzionalmente legittimo sanzionare, ai
sensi dell'art. 187-quinquiesdecies del d.lgs. n. 58 del 1998, chi si
sia rifiutato di rispondere a  domande  dalle  quali  sarebbe  potuta
emergere la  propria  responsabilita',  nell'ambito  di  un'audizione
disposta dalla CONSOB nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza. 
    Non pare infatti a questa Corte che  il  "diritto  al  silenzio",
fondato  sulle  norme  costituzionali,   europee   e   internazionali
invocate, possa di per se' legittimare il  rifiuto  del  soggetto  di
presentarsi all'audizione disposta dalla CONSOB, ne' il suo  indebito
ritardo nel presentarsi alla stessa audizione, purche' sia  garantito
- diversamente da quanto avvenuto nel caso di specie - il suo diritto
a non  rispondere  alle  domande  che  gli  vengano  rivolte  durante
l'audizione stessa. Di quest'ultima garanzia, peraltro, nel  caso  di
specie il  sig.  D.  B.  non  disponeva:  cio'  che  potrebbe  essere
valorizzato dal giudice del procedimento  principale  per  concludere
che egli non possa essere sanzionato  ne'  per  il  silenzio  serbato
nell'audizione, ne' per  il  ritardo  nel  presentarsi  all'audizione
stessa. 
    5.- Nella versione applicabile ratione temporis ai fatti  di  cui
e' causa nel  procedimento  a  quo,  l'art.  187-quinquiesdecies  del
d.lgs.  n.  58  del  1998  prevedeva:  «[f]uori  dai  casi   previsti
dall'articolo 2638 del codice  civile,  chiunque  non  ottempera  nei
termini alle richieste della CONSOB ovvero ritarda l'esercizio  delle
sue funzioni e' punito con la sanzione amministrativa  pecuniaria  da
euro cinquantamila ad euro un milione». 
    Tra  le  funzioni  attribuite  alla   CONSOB   si   annovera   in
particolare, ai sensi dell'art. 187-octies, comma 3, lettera c),  del
d.lgs.  n.  58  del  1998,  il  potere  di  «procedere  ad  audizione
personale» nei confronti di  «chiunque  possa  essere  informato  sui
fatti». 
    Il tenore letterale dell'art. 187-quinquiesdecies del  d.lgs.  n.
58 del 1998, nella versione vigente all'epoca dei fatti,  si  estende
anche all'ipotesi in  cui  l'audizione  personale  sia  disposta  nei
confronti di colui che la CONSOB abbia gia' individuato,  sulla  base
delle informazioni in proprio possesso, come il possibile  autore  di
un illecito il cui accertamento ricade entro la  sua  competenza.  In
particolare, la  norma  consente  che  costui  venga  punito  con  la
sanzione amministrativa pecuniaria da cinquantamila euro a un milione
per il fatto di essersi rifiutato di rispondere in sede di  audizione
personale disposta dalla CONSOB. 
    6.- A identica conclusione si deve  pervenire  oggi,  sulla  base
dell'attuale formulazione dell'art. 187-quinquiesdecies del d.lgs. n.
58 del 1998, come modificata dal d.lgs. n. 129 del 2017, che al comma
1 prevede: «[f]uori dai  casi  previsti  dall'art.  2638  del  codice
civile, e'  punito  ai  sensi  del  presente  articolo  chiunque  non
ottempera nei termini alle richieste della  Banca  d'Italia  e  della
CONSOB,  ovvero  non  coopera  con  le  medesime  autorita'  al  fine
dell'espletamento  delle  relative  funzioni  di  vigilanza,   ovvero
ritarda l'esercizio delle stesse». 
    La  novellata  formulazione  dell'art.  187-quinquiesdecies   del
d.lgs.  n.  58  del  1998,  infatti,  si  limita  a  esplicitare  che
l'illecito puo' essere commesso non solo da  chi  non  ottempera  nei
termini alle richieste delle autorita' ovvero ne ritarda  l'esercizio
delle funzioni, ma anche - piu' in generale - da chi non coopera  con
le  autorita'  medesime  al  fine  dell'espletamento  delle  relative
funzioni di vigilanza. Anche sulla  base  della  nuova  disposizione,
tuttavia, nessuna facolta' di non rispondere e'  prevista  per  colui
che sia gia' stato individuato dalla CONSOB come il possibile  autore
di un illecito, il  cui  accertamento  rientri  entro  le  competenze
dell'autorita' stessa. 
    7.- Occorre  pertanto  stabilire  se  il  "diritto  al  silenzio"
evocato  dalla  Corte  di  cassazione  si  applichi,  oltre  che  nei
procedimenti penali, anche nelle audizioni personali  disposte  dalla
CONSOB nell'ambito della propria attivita'  di  vigilanza,  che  puo'
preludere all'instaurazione di procedimenti  sanzionatori  di  natura
"punitiva" nei confronti di chi sia individuato  come  autore  di  un
illecito. 
    Come osserva la Corte di cassazione, nel senso  di  una  risposta
affermativa a tale quesito depongono argomenti fondati sia  sull'art.
24  della  Costituzione  italiana,  sia  sull'art.   6   CEDU,   come
interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. 
    7.1.- La costante giurisprudenza di questa Corte ritiene  che  il
"diritto al silenzio" dell'imputato - pur  non  godendo  di  espresso
riconoscimento costituzionale - costituisca un «corollario essenziale
dell'inviolabilita' del diritto di difesa», riconosciuto dall'art. 24
Cost. (ordinanze n. 202 del 2004, n. 485 e n.  291  del  2002).  Tale
diritto garantisce  all'imputato  la  possibilita'  di  rifiutare  di
sottoporsi all'esame testimoniale e, piu' in generale,  di  avvalersi
della  facolta'  di  non  rispondere  alle  domande  del  giudice   o
dell'autorita' competente per le indagini. 
    Questa Corte non e' stata, sino ad oggi, chiamata a valutare se e
in che misura tale diritto  -  appartenente  al  novero  dei  diritti
inalienabili della persona umana (sentenze n. 238 del  2014,  n.  323
del  1989  e  n.  18  del  1982),  che   caratterizzano   l'identita'
costituzionale  italiana  -  sia  applicabile  anche  nell'ambito  di
procedimenti amministrativi funzionali all'irrogazione di sanzioni di
natura "punitiva" secondo i criteri Engel. 
    Tuttavia, in molteplici occasioni essa ha  ritenuto  che  singole
garanzie riconosciute nella materia penale dalla CEDU e dalla  stessa
Costituzione  italiana  si  estendano  anche  a  tale  tipologia   di
sanzioni.  Cio'  e'  avvenuto,  in  particolare,  in  relazione  alle
garanzie del divieto di retroattivita' delle modifiche  sanzionatorie
in peius (sentenze n. 223 del 2018, n. 68 del 2017, n. 276 del  2016,
n. 104 del 2014 e n. 196 del 2010), della sufficiente precisione  del
precetto sanzionato (sentenze n. 121 del 2018  e  n.  78  del  1967),
nonche' della retroattivita' delle modifiche sanzionatorie in  mitius
(sentenza n. 63 del 2019). 
    Inoltre, questa  Corte  ha  gia'  piu'  volte  affermato  che  le
sanzioni amministrative previste nell'ordinamento italiano in materia
di abuso di informazioni privilegiate costituiscono, in ragione della
loro particolare afflittivita', misure di natura "punitiva" (sentenze
n. 63 del 2019, n. 223 del 2018 e n.  68  del  2017),  cosi'  come  -
peraltro - ritenuto  dalla  stessa  Corte  di  giustizia  UE  (Grande
sezione,  sentenza  20  marzo  2018,  in  cause  riunite  C-596/16  e
C-597/16, Di Puma e Consob, paragrafo 38). 
    A tale  conclusione  questa  Corte  e'  giunta  valorizzando,  in
particolare, l'ammontare assai elevato  delle  sanzioni  previste  in
materia di abuso di informazioni privilegiate, punibili oggi con  una
sanzione pecuniaria che  puo'  giungere,  a  carico  di  una  persona
fisica, sino all'importo di cinque milioni di  euro,  aumentabili  in
presenza di particolari circostanze fino al triplo,  ovvero  fino  al
maggiore importo di dieci volte  il  profitto  conseguito  ovvero  le
perdite evitate per effetto dell'illecito. Tali  sanzioni  pecuniarie
sono, inoltre, affiancate dalle sanzioni  di  carattere  interdittivo
previste dall'art. 187-quater del d.lgs. n. 58 del 1998, che limitano
fortemente  le  opzioni  professionali  dei  soggetti  colpiti  dalla
sanzione, e sono applicate congiuntamente alla  confisca,  diretta  e
per equivalente, del profitto dell'illecito. 
    A fronte di simili scenari  sanzionatori,  secondo  la  Corte  di
cassazione parrebbe plausibile il riconoscimento, in  favore  di  chi
sia incolpato di un tale illecito, dei medesimi diritti di difesa che
la Costituzione italiana riconosce alla persona sospettata  di  avere
commesso un  reato,  e  in  particolare  del  diritto  a  non  essere
costretto - sotto minaccia di una pesante sanzione  pecuniaria,  come
quella applicata al  ricorrente  nel  giudizio  a  quo  -  a  rendere
dichiarazioni suscettibili di essere utilizzate successivamente  come
elementi di prova a proprio carico. 
    E  cio'  anche  in  relazione  al  rischio   che,   per   effetto
dell'obbligo di cooperazione con l'autorita' di vigilanza attualmente
sancito dal diritto derivato dell'Unione europea, il sospetto  autore
di un illecito amministrativo avente natura "punitiva" possa altresi'
contribuire, di fatto, alla formulazione di un'accusa in sede  penale
nei  propri  confronti.   Nell'ordinamento   italiano,   l'abuso   di
informazioni privilegiate e', infatti, previsto al tempo stesso  come
illecito amministrativo (art. 187-bis del d.lgs. n. 58  del  1998)  e
come illecito penale (art. 184 del  d.lgs.  n.  58  del  1998);  e  i
relativi  procedimenti   possono   essere   attivati   e   proseguiti
parallelamente (come e' in effetti accaduto nei confronti del sig. D.
B.), nei limiti in cui cio' sia compatibile con il diritto al ne  bis
in idem (Corte di giustizia, Grande sezione, sentenza 20 maggio 2018,
in causa C-537/16, Garlsson Real Estate SA e altri, paragrafi 42-63). 
    Infatti, per quanto nell'ordinamento italiano non sia  consentito
utilizzare nel processo penale le  dichiarazioni  rese  all'autorita'
amministrativa senza le garanzie  del  diritto  di  difesa,  tra  cui
segnatamente l'avvertimento circa la facolta' di non  rispondere,  e'
ben  possibile  che  tali  dichiarazioni  -  ottenute  dall'autorita'
amministrativa mediante la  minaccia  di  sanzione  per  il  caso  di
mancata cooperazione -  possano  in  concreto  fornire  all'autorita'
stessa  informazioni  essenziali  in   vista   dell'acquisizione   di
ulteriori elementi di prova  della  condotta  illecita,  destinati  a
essere  utilizzati  anche  nel  successivo  processo  penale   contro
l'autore della condotta. 
    7.2.- I dubbi sollevati dalla Corte di cassazione sono confortati
anche dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti  dell'uomo
concernente l'art. 6 CEDU. 
    Nonostante l'assenza di un riconoscimento esplicito  del  diritto
in questione nel testo della  Convenzione  (a  differenza  di  quanto
accade  nell'art.  14,   paragrafo   3,   lettera   g),   del   Patto
internazionale sui diritti civili e politici), la Corte di Strasburgo
ha in plurime occasioni  affermato  che  il  «diritto  a  restare  in
silenzio  e  a  non  contribuire   in   alcun   modo   alla   propria
incriminazione» (Corte EDU, sentenza 25 febbraio 1993,  Funke  contro
Francia, paragrafo 44) si colloca al cuore  della  nozione  di  "equo
processo" proclamata dall'art. 6, paragrafo 1, CEDU (ex multis, Corte
EDU, sentenza 5 aprile 2012, Chambaz contro Svizzera, paragrafo  52).
Tale diritto e', infatti,  finalizzato  a  proteggere  l'accusato  da
indebite pressioni dell'autorita' volte a provocarne  la  confessione
(sentenza 8 febbraio 1996, John Murray contro Regno Unito,  paragrafo
45). Nella valutazione  della  Corte  EDU,  inoltre,  il  diritto  in
questione e' strettamente connesso alla presunzione di  innocenza  di
cui all'art. 6, paragrafo 2, CEDU (sentenze 21 dicembre 2000,  Heaney
e McGuinnes contro Irlanda, paragrafo 40; 17 dicembre 1996,  Saunders
contro Regno Unito, paragrafo 68). 
    Il diritto in esame e' stato, d'altra parte, piu' volte  ritenuto
violato in relazione a soggetti sanzionati dall'ordinamento nazionale
per  non  avere  fornito   risposte   ad   autorita'   amministrative
nell'ambito di procedimenti di accertamento di violazioni  di  natura
amministrativa (Corte EDU,  4  ottobre  2005,  Shannon  contro  Regno
Unito, paragrafi  38-41;  sentenza  5  aprile  2012,  Chambaz  contro
Svizzera, paragrafi 50-58). 
    In particolare, e' stata riscontrata la  violazione  dell'art.  6
CEDU in un caso in cui un soggetto, nei cui  confronti  era  pendente
un'indagine  amministrativa  relativa  a  illeciti  tributari,  aveva
reiteratamente omesso di rispondere  alle  richieste  di  chiarimenti
formulate dall'autorita' che  stava  conducendo  l'indagine,  ed  era
stato punito per questa sua condotta con sanzioni  pecuniarie  (Corte
EDU, sentenza 3 maggio 2001, J. B. contro Svizzera, paragrafi 63-71).
In quest'ultimo caso,  decisiva  e'  stata  la  considerazione  della
natura  "punitiva",  secondo  i   criteri   Engel,   delle   sanzioni
applicabili dall'autorita' amministrativa alle violazioni  tributarie
oggetto dell'indagine.  Secondo  l'apprezzamento  della  Corte,  tale
natura "punitiva" chiamava infatti in causa  l'intero  spettro  delle
garanzie assicurate dalla CEDU per la materia penale, compresa quella
del "diritto al silenzio" da parte di  chi  sia  incolpato  di  avere
commesso un illecito. 
    Pare pertanto che, anche secondo la Corte EDU, il diritto  a  non
cooperare alla propria  incolpazione  e  a  non  essere  costretto  a
rendere dichiarazioni di natura confessoria, riconducibile all'art. 6
CEDU,  comprenda  il  diritto  di  chiunque  sia  sottoposto   a   un
procedimento amministrativo, che potrebbe sfociare nella  irrogazione
di sanzioni di carattere  "punitivo"  nei  propri  confronti,  a  non
essere  obbligato  a  fornire  all'autorita'  risposte  dalle   quali
potrebbe emergere la propria responsabilita', sotto minaccia  di  una
sanzione in caso di inottemperanza. 
    8. - Ai  fini  della  decisione  dell'incidente  di  legittimita'
costituzionale sottoposto all'esame di questa Corte, occorre peraltro
considerare - come correttamente messo in  evidenza  dalla  Corte  di
cassazione - che l'art. 187-quinquiesdecies  del  d.lgs.  n.  58  del
1998, in questa sede censurato, e' stato introdotto  nell'ordinamento
italiano in esecuzione di uno specifico obbligo posto dalla direttiva
2003/6/CE; e che tale disposizione  costituisce,  oggi,  la  puntuale
attuazione  di  un'analoga  disposizione  del  regolamento  (UE)   n.
596/2014, che ha abrogato la direttiva medesima. 
    8.1.-  Piu'  in  particolare,  l'art.  14,  paragrafo  3,   della
direttiva  2003/6/CE  prevedeva:  «[g]li  Stati  membri  fissano   le
sanzioni da applicare per l'omessa collaborazione  alle  indagini  di
cui all'articolo 12». 
    A sua volta, l'art. 12, paragrafo 2, lettera b),  della  medesima
direttiva prevedeva che alle autorita' competenti dei  singoli  Stati
membri fosse conferito quantomeno  il  potere,  nell'esercizio  della
loro  attivita'  di  vigilanza  e   di   indagine,   di   «richiedere
informazioni a qualsiasi persona,  incluse  quelle  che  intervengono
successivamente nella trasmissione  degli  ordini  o  nell'esecuzione
delle operazioni in questione, e ai loro mandanti e,  se  necessario,
convocare e procedere all'audizione di una persona». 
    Il combinato  disposto  degli  artt.  12  e  14  della  direttiva
sembrava, dunque, imporre agli Stati il dovere di sanzionare  in  via
amministrativa - e fatto salvo il possibile ricorso a sanzioni penali
per la medesima condotta (art. 14, paragrafo 1,  della  direttiva  in
esame)  -  anche  chi,  avendo  materialmente   compiuto   operazioni
qualificabili come illecite, o avendo dato l'ordine di compierle,  si
rifiutasse di rispondere  alle  domande  postegli  dall'autorita'  di
vigilanza in sede di  audizione,  dalle  quali  potesse  emergere  la
propria responsabilita' per un illecito il cui  accertamento  rientra
nella sua competenza. 
    8.2.- Oggi, l'art. 30, paragrafo 1, lettera b),  del  regolamento
(UE) n. 596/2014 stabilisce analogamente che, fatti salvi le sanzioni
penali e i poteri di controllo delle  autorita'  competenti  a  norma
dell'art. 23, gli Stati  membri  provvedono  affinche'  le  autorita'
competenti abbiano il potere di adottare le sanzioni amministrative e
altre misure amministrative adeguate per l'«omessa  collaborazione  o
il mancato seguito dato nell'ambito di  un'indagine,  un'ispezione  o
una richiesta di cui all'articolo 23, paragrafo 2». 
    A sua volta, l'art. 23, paragrafo 2,  lettera  b),  del  medesimo
regolamento stabilisce che le autorita' competenti  debbano  disporre
dei poteri «di richiedere o esigere informazioni da chiunque, inclusi
coloro che, successivamente, partecipano alla trasmissione di  ordini
o all'esecuzione delle operazioni di cui  trattasi,  nonche'  i  loro
superiori e, laddove opportuno, convocarli  allo  scopo  di  ottenere
delle informazioni». 
    Anche sulla base delle normative dell'Unione attualmente vigenti,
dunque, parrebbe sussistere a carico dello Stato membro un dovere  di
sanzionare il silenzio serbato in sede di audizione da parte  di  chi
abbia posto in essere operazioni che integrano illeciti  sanzionabili
dalla medesima autorita', ovvero da parte di chi abbia dato  l'ordine
di compiere tali operazioni. 
    9.- Da tutto cio' consegue che  una  eventuale  dichiarazione  di
illegittimita'    costituzionale    in    parte     qua     dell'art.
187-quinquiesdecies del d. lgs. n. 58 del 1998 rischierebbe di  porsi
in contrasto  con  il  diritto  dell'Unione,  e  in  particolare  con
l'obbligo che discende oggi dall'art. 30, paragrafo  1,  lettera  b),
del regolamento (UE) n. 596/2014, obbligo di cui il  menzionato  art.
187-quinquesdecies costituisce attuazione. 
    Peraltro, tale obbligo - cosi'  come  quello  che  discendeva  in
passato dall'art.  14,  paragrafo  3,  della  direttiva  2003/6/CE  -
potrebbe risultare di dubbia compatibilita' con gli  artt.  47  e  48
CDFUE, i quali pure  sembrano  riconoscere  un  diritto  fondamentale
dell'individuo a non contribuire alla propria incolpazione  e  a  non
essere costretto a rendere dichiarazioni di natura  confessoria,  nei
medesimi limiti desumibili dall'art. 6  CEDU  e  dall'art.  24  della
Costituzione italiana. 
    9.1.- A questa Corte e'  nota  la  copiosa  giurisprudenza  della
Corte di giustizia UE formatasi in materia di diritto al  silenzio  e
illeciti anticoncorrenziali. Tale giurisprudenza riconosce, in  linea
di principio, la necessita' di tutelare i diritti  della  difesa  dei
soggetti che potrebbero essere incolpati di un illecito, ma al  tempo
stesso  afferma   la   sussistenza   di   un   «obbligo   di   attiva
collaborazione» incombente su tali soggetti. Questi  ultimi,  secondo
quanto affermato dalla Corte di giustizia, non solo devono «tenere  a
disposizione della  Commissione  tutte  le  informazioni  riguardanti
l'oggetto  dell'indagine»  (sentenza  18  ottobre  1989,   in   causa
C-374/87, Orkem, paragrafo 27; nello stesso senso, sentenza 29 giugno
2006, in causa C-301/04 P, SGL Carbon AG, paragrafo 40) e «soddisfare
le richieste della stessa di produzione di  documenti  preesistenti»,
ma sono altresi' obbligati a «rispondere ai  quesiti  di  mero  fatto
posti dalla Commissione»  (Tribunale  di  primo  grado,  sentenza  20
febbraio  2001,  in  causa   I-112/98,   Mannesmannröhren-Werke   AG,
paragrafi 77-78; nello stesso senso, sentenza SGL  Carbon  AG,  cit.,
paragrafi 44-49). Secondo tale giurisprudenza, l'obbligo di  risposta
ai quesiti posti dalla Commissione non sarebbe contrario  al  diritto
di difesa, ne' al diritto  a  un  processo  equo,  in  quanto  «nulla
impedisce al destinatario di dimostrare,  in  un  momento  successivo
nell'ambito  del  procedimento  amministrativo  o  nel  corso  di  un
procedimento dinanzi al giudice comunitario, nell'esercizio dei  suoi
diritti di difesa, che i fatti esposti nelle risposte [...] hanno  un
significato  diverso  da  quello   considerato   dalla   Commissione»
(Tribunale di primo  grado,  sentenza  20  febbraio  2001,  in  causa
I-112/98, Mannesmannröhren-Werke AG, paragrafi  77-78;  nello  stesso
senso, Corte di giustizia, 29 giugno 2006, in causa C-301/04  P,  SGL
Carbon AG, paragrafi 44-49). L'unico limite al dovere  di  rispondere
che incombe sulle imprese interessate e'  rappresentato  dal  divieto
per la Commissione  di  «imporre  all'impresa  l'obbligo  di  fornire
risposte attraverso le quali  questa  sarebbe  indotta  ad  ammettere
l'esistenza della trasgressione, che deve invece essere provata dalla
Commissione» (Corte di giustizia, sentenza 18 ottobre 1989, in  causa
C-374/87, Orkem,  paragrafo  35;  nello  stesso  senso,  sentenza  24
settembre 2009, nelle cause riunite C-125/07 P, C-133/07 P,  C-135/07
P e C-137/07 P, Erste Group  Bank  AG,  paragrafo  271;  sentenza  25
gennaio 2007, in causa C-407/04 P, Dalmine, paragrafo 34; sentenza 29
giugno 2006, in causa C-301/04 P, SGL Carbon AG, paragrafo 42). 
    In tal modo, la Corte di giustizia UE esclude che i diritti della
difesa  nell'ambito  dei  procedimenti  sanzionatori  in  materia  di
concorrenza  possano  considerarsi  lesi  dall'obbligo  a  carico  di
un'impresa,   che   potrebbe   successivamente    essere    incolpata
dell'illecito, di fornire  informazioni  inerenti  a  circostanze  di
fatto suscettibili di essere utilizzate  a  fondamento  di  un'accusa
formulabile nei suoi  confronti.  Secondo  tale  giurisprudenza,  una
violazione  dei  diritti  della  difesa  parrebbe  dunque  sussistere
soltanto  laddove  all'impresa  vengano  poste  domande  miranti,  in
sostanza,  a  ottenerne  la  confessione  relativa  alla  commissione
dell'illecito; fermo restando,  pero',  il  dovere  dell'impresa,  in
linea di principio, di rispondere alle domande della Commissione. 
    9.2.- Tuttavia, tale giurisprudenza - formatasi  con  riguardo  a
persone giuridiche  e  non  fisiche,  e  in  larga  misura  in  epoca
antecedente all'adozione della CDFUE e all'attribuzione  alla  stessa
del medesimo valore giuridico dei trattati - appare  a  questa  Corte
difficilmente conciliabile con il carattere "punitivo" - riconosciuto
dalla stessa Corte di giustizia nella gia' ricordata sentenza Di Puma
- delle sanzioni amministrative previste nell'ordinamento italiano in
materia di abuso di informazioni privilegiate, che parrebbe suggerire
la necessita' di riconoscere all'autore  dell'illecito  una  garanzia
analoga a quella che gli viene riconosciuta  in  materia  penale.  E'
evidente, infatti, che ritenere  sussistente  -  al  pari  di  quanto
avviene nel diverso ambito degli illeciti concorrenziali - un obbligo
del trasgressore di rispondere a quesiti  di  mero  fatto,  salva  la
possibilita' di dimostrare successivamente che i fatti esposti «hanno
un  significato  diverso»  da   quello   considerato   dall'autorita'
competente, si risolve in una limitazione significativa della portata
del principio nemo  tenetur  se  ipsum  accusare,  il  quale  implica
normalmente, in materia penale, il  diritto  dell'interessato  a  non
fornire alcun contributo dichiarativo  -  nemmeno  indiretto  -  alla
propria incolpazione. 
    Tale  giurisprudenza,  inoltre,  non  appare   a   questa   Corte
compiutamente in linea  con  la  poc'anzi  analizzata  giurisprudenza
della  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,   che   pare   invece
riconoscere  un'estensione  ben  maggiore  al  diritto  al   silenzio
dell'incolpato,  anche  nell'ambito  di  procedimenti  amministrativi
funzionali all'irrogazione di sanzioni di natura "punitiva". 
    9.3.- D'altra parte, la questione se gli artt.  47  e  48  CDFUE,
alla luce della rammentata giurisprudenza  della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo concernente l'art. 6 CEDU,  impongano  di  riferire
tale diritto anche  a  procedimenti  amministrativi  suscettibili  di
sfociare nell'irrogazione  di  sanzioni  di  natura  "punitiva",  non
risulta essere stata mai affrontata dalla Corte di giustizia UE. 
    Ne' il diritto derivato dell'Unione europea ha offerto sinora una
risposta   a   tale   questione,   che   e'   anzi   stata   lasciata
intenzionalmente (considerando n. 11)  aperta  dalla  direttiva  (UE)
2016/343 del Parlamento e  del  Consiglio,  del  9  marzo  2016,  sul
rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e  del
diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali. 
    10.- Nel gia' ricordato spirito di leale cooperazione  tra  corti
nazionali ed europee nella definizione di livelli  comuni  di  tutela
dei diritti fondamentali - obiettivo questo di primaria importanza in
materie oggetto di armonizzazione normativa, come quella all'esame  -
questa Corte, prima  di  decidere  sulla  questione  di  legittimita'
costituzionale ad essa sottoposta, ritiene necessario sollecitare  un
chiarimento, da  parte  della  Corte  di  giustizia  UE,  sull'esatta
interpretazione ed eventualmente sulla  validita',  alla  luce  degli
artt. 47 e 48 CDFUE,  dell'art.  14,  paragrafo  3,  della  direttiva
2003/6/CE in quanto tuttora  applicabile  ratione  temporis,  nonche'
dall'art. 30  paragrafo  1,  lettera  b),  del  regolamento  (UE)  n.
596/2014. 
    10.1.- Anzitutto, occorre chiarire se le disposizioni  menzionate
della direttiva 200376/CE e del regolamento (UE) n. 596/2014  debbano
essere interpretate nel senso che consentono allo Stato membro di non
sanzionare chi si rifiuti  di  rispondere  a  domande  dell'autorita'
competente dalle quali possa emergere la sua responsabilita'  per  un
illecito punito con sanzioni penali o con sanzioni amministrative  di
natura "punitiva". Cio' anche in relazione all'inciso  «conformemente
al[l']ordinamento nazionale» degli Stati membri di cui  all'art.  14,
paragrafo 1, della direttiva, e all'inciso «conformemente al  diritto
nazionale» di cui all'art. 30, paragrafo 1, del  regolamento,  incisi
che parrebbero far salva in ogni caso la necessita' di rispettare gli
standard  di  tutela  dei  diritti  fondamentali  riconosciuti  dagli
ordinamenti degli Stati membri, nell'ipotesi in cui essi fossero piu'
elevati di quelli riconosciuti a livello del diritto dell'Unione. 
    Nel caso di una risposta affermativa a tale quesito, infatti,  la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale in parte qua dell'art.
187-quinquesdecies del d.lgs. n. 58 del 1998 sollecitata dalla  Corte
di cassazione - fondata sul diritto fondamentale della persona a  non
essere costretto a rendere dichiarazioni di natura confessoria -  non
si porrebbe in contrasto con il diritto dell'Unione. 
    10.2.- Nell'ipotesi, invece, di una risposta  negativa  da  parte
della Corte di giustizia a tale primo quesito, si chiede alla  stessa
Corte stessa se le disposizioni menzionate della direttiva  2003/6/CE
e del regolamento (UE) n. 596/2014 siano compatibili con gli artt. 47
e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea,  anche
alla luce  della  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo in materia di art. 6 CEDU e delle tradizioni costituzionali
comuni agli Stati membri, nella misura in cui impongono di sanzionare
anche  chi  si  rifiuti  di  rispondere  a   domande   dell'autorita'
competente dalle quali possa emergere la propria responsabilita'  per
un  illecito  punito   con   sanzioni   penali   e/o   con   sanzioni
amministrative di natura "punitiva". 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dispone di sottoporre  alla  Corte  di  giustizia  dell'Unione
europea, in via pregiudiziale ai sensi e per  gli  effetti  dell'art.
267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea  (TFUE),  come
modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e
ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, le  seguenti  questioni
pregiudiziali: 
    a) se l'art. 14,  paragrafo  3,  della  direttiva  2003/6/CE,  in
quanto tuttora applicabile ratione temporis, e l'art.  30,  paragrafo
1, lettera b),  del  regolamento  (UE)  n.  596/2014  debbano  essere
interpretati nel senso  che  consentono  agli  Stati  membri  di  non
sanzionare chi si rifiuti  di  rispondere  a  domande  dell'autorita'
competente dalle quali possa emergere la propria responsabilita'  per
un illecito punito con sanzioni amministrative di natura "punitiva"; 
    b) se, in caso di  risposta  negativa  a  tale  prima  questione,
l'art. 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6/CE, in quanto  tuttora
applicabile ratione temporis, e l'art. 30, paragrafo 1,  lettera  b),
del Regolamento (UE) n. 596/2014 siano compatibili con gli artt. 47 e
48 della Carta dei diritti fondamentali  dell'Unione  europea,  anche
alla luce  della  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo in materia di art. 6 CEDU e delle tradizioni costituzionali
comuni agli Stati membri, nella misura in cui impongono di sanzionare
anche  chi  si  rifiuti  di  rispondere  a   domande   dell'autorita'
competente dalle quali possa emergere la propria responsabilita'  per
un illecito punito con sanzioni amministrative di natura "punitiva"; 
    2) sospende il presente  giudizio  sino  alla  definizione  della
suddetta questione pregiudiziale; 
    3) ordina la trasmissione  di  copia  della  presente  ordinanza,
unitamente agli atti del giudizio, alla cancelleria  della  Corte  di
giustizia dell'Unione europea. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 marzo 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA