N. 76 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 settembre 2014

Ordinanza  del  29  settembre  2014  della   Commissione   tributaria
regionale per la Toscana  sul  ricorso  proposto  da  Niccoli  S.r.l.
contro Agenzia delle entrate - Direzione provinciale di Firenze. 
 
Imposte e tasse - Imposta sul  valore  aggiunto  (IVA)  -  Violazioni
  relative alle esportazioni -  Mancata  presentazione,  nei  termini
  previsti,  da  parte  del   cedente   o   del   prestatore,   della
  comunicazione di cui  all'art.  1,  comma  1,  lettera  c),  ultimo
  periodo,  del  decreto-legge  n.  746  del  1983,  convertito,  con
  modificazioni, nella legge n. 17  del  1984  -  Applicazione  della
  sanzione amministrativa prevista dall'art. 7, comma 3, del  decreto
  legislativo n. 471 del 1997. 
- Decreto  legislativo  18  dicembre  1997,  n.  471  (Riforma  delle
  sanzioni tributarie non penali in materia di  imposte  dirette,  di
  imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi,  a  norma
  dell'articolo 3, comma 133, lettera q),  della  legge  23  dicembre
  1996, n. 662), art. 7, comma 4-bis,  inserito  dall'art.  1,  comma
  383, della legge 30 dicembre 2004, n.  311  ("Disposizioni  per  la
  formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  (legge
  finanziaria 2005)"). 
(GU n.21 del 22-5-2019 )
 
            LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI FIRENZE 
                            XVII Sezione 
 
    composta dai sig.ri: 
        Paolo Pecchioli, Presidente/relatore; 
        Maria Cannizzaro, giudice; 
        Turco Alessandro, giudice; 
    riunita in camera di consiglio, pronuncia la  presente  ordinanza
nella causa iscritta al n. 124 del  ruolo  generale  dell'anno  2014,
promossa, in grado di appello, da Niccoli Srl,  in  persona  del  suo
legale rappresentante Fiorenzo Niccoli,  rappresentata  e  difesa  in
giudizio dal  prof.  Enrico  Fazzini  e  dal  dott.  Luca  Quercioli,
appellante  avverso  la   sentenza   della   Commissione   tributaria
provinciale di Firenze - Sez. 2, n. 6 del 9. maggio/20 giugno 2013; 
    Contro Agenzia delle entrate - Direzione provinciale di  Firenze,
in persona del proprio direttore pro tempore, nel giudizio avente  ad
oggetto atto di irrogazione di sanzione amministrativa pecuniaria  n.
T8BIR0800004/2011 di € 174.950,30 per violazione di obblighi relativi
all'imposta sul valore aggiunto. 
    La Commissione, visti gli atti e sentite le parti, osserva. 
    1. - Con atto n. T8BCO0801262  2010,  l'Ufficio  controlli  della
Direzione provinciale di Firenze  dell'Agenzia  delle  entrate  aveva
contestato alla S.r.l. Niccoli la mancata presentazione telematica di
n. 3 dichiarazioni  di  intento  inviate  dalle  soc.  Naxos  S.r.l.,
Maglificio Nova spa e Malo spa  a  seguito  delle  quali  la  Niccoli
S.r.l. aveva emesso fatture in regime di non  imponibilita'  IVA,  ai
sensi dell'art. 8 D.P.R. n. 633/1972.  Le  dichiarazioni  telematiche
avrebbero dovuto  essere  presentate  all'Ufficio  fiscale  nell'anno
2007, mentre sono state presentate il 12 marzo 2009. 
    L'atto di contestazione dell'Ufficio, in data 11  novembre  2010,
preso atto che da tali comunicazioni tardive si  ricavava  un'imposta
sul valore aggiunto non corrisposta di €  174.950,30,  ha  provveduto
alla determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria  per  il
corrispondente importo di € 174.950,30. Successivamente  e  cioe'  in
data 11 luglio 2011, l'Agenzia delle entrate ha notificato l'atto  di
irrogazione della  sanzione  amministrativa  pecuniaria,  sempre  per
l'importo di € 174.950,30. 
    2. - La S.r.l.  Niccoli  ha  proposto  ricorso  alla  Commissione
tributaria provinciale di Firenze la quale lo ha respinto  affermando
l'infondatezza della tesi della contribuente secondo cui  il  ritardo
nella presentazione della dichiarazione telematica darebbe  luogo  ad
una violazione meramente formale, che  non  sarebbe  causa  di  danno
erariale. 
    La  Commissione   ha   invece   ritenuto   «che   la   telematica
comunicazione consenta all'agenzia un potere immediato  di  controllo
nei confronti oltre che del contribuente stesso anche  nei  confronti
del committente che ha presentato  la  dichiarazione  di  intento  ed
eventuale infedelta' della dichiarazione medesima. A  fronte  di  una
specifica disposizione di legge appare legittima l'applicazione della
sanzione fatta dall'Agenzia delle entrate». 
    La S.r.l. Niccoli ha  proposto  appello  avverso  tale  decisione
ribadendo che la violazione contestata  derivi  da  un  «mero  errore
formale che non ha portato ad  alcuna  ipotesi  evasiva  o  ad  alcun
arricchimento della ricorrente a danno dell'erario». 
    L'appellante  ha  poi  proceduto  alla  ricostruzione  del  fatto
esponendo quanto segue: 
        «Le clienti Naxos  S.r.l.,  Malo  S.p.a.  e  Maglificio  Noba
S.p.a. avevano comunicato a Niccoli S.r.l. di volersi avvalere  della
facolta'  prevista   per   i   soggetti   che   effettuano   cessioni
all'esportazione di acquistare beni senza addebitarvi  l'imposta  sul
valore aggiunto, ai sensi dell'art. 8 D.P.R. n. 633/71  [recte:  72].
In seguito, pertanto, Niccoli S.r.l. ha emesso  le  fatture  a  Naxos
S.r.l. e Malo S.p.a. (mentre  non  ne  ha  emesse  nei  confronti  di
Maglificio Noba S.p.a.) senza l'addebito  dell'Iva,  annotando  anche
correttamente tutte le dichiarazioni di intento ricevute sul registro
cartaceo tenuto, cosi' come confermato anche  dall'Ufficio  nell'atto
impugnato. La Societa' appellante  semplicemente  non  ha  comunicato
telematicamente con tempestivita' all'Amministrazione finanziaria  le
dichiarazioni d'intento, avendovi comunque provveduto - sia  pure  in
un termine successivo - e senza che fosse stata precedentemente mossa
alcuna contestazione. Infatti, Niccoli S.r.l., in data 12 marzo  2009
ha inviato la comunicazione telematica delle dichiarazioni di intento
ricevute e in base alle quali la medesima  aveva  emesso  fatture  in
regime di imponibilita' Iva ai sensi dell'art. 8, comma 2, D.P.R.  n.
633/1972». 
    Prosegue l'appello affermando: 
        a) l'assenza assoluta  di  indebito  arricchimento  da  parte
della   Societa'   risulta   dalla   circostanza   che,   trattandosi
dell'applicazione dell'art. 8,  comma  2,  D.P.R.  n.  633/1972,  non
sarebbe stata comunque versata alcuna somma a titolo di  imposta  sul
valore aggiunto; 
        b)  tenendo  conto  della   violazione   meramente   formale,
l'elevata sanzione costituisce violazione del principio di  capacita'
contributiva che informa l'ordinamento  tributario  interno,  nonche'
del principio di proporzionalita' sancito dal diritto comunitario; 
        c) il termine per la  presentazione  della  dichiarazione  di
intento  non  puo'  considerarsi  perentorio,  perche'  tale  non  e'
qualificato dalla  legge  e  non  e'  percio'  stabilito  a  pena  di
decadenza; 
        d) il comportamento sanzionato  non  sta  nel  tardivo  invio
della dichiarazione bensi' soltanto nella sua  omissione,  mentre  lo
spontaneo adempimento esclude  qualsiasi  rilevanza  della  eventuale
colpevolezza di colui che avrebbe dovuto provvedere. L'appellante  ha
richiamato sentenze della Corte di giustizia della Comunita'  europea
nelle   quali   e'   statuito,   in   relazione   al   principio   di
proporzionalita', che non e'  lecito  comminare  sanzioni  totalmente
sproporzionate rispetto alla  gravita'  dell'infrazione,  mentre  nel
caso concreto non vi e' alcun ragionevole rapporto  fra  la  gravita'
della sanzione e il comportamento sanzionato,  che  non  ha  prodotto
alcun danno all'Erario. 
    L'appellante ha richiamato inoltre il principio di cui  al  comma
5-bis dell'art. 6 decreto legislativo 18 dicembre 1997,  n.  472,  in
base al quale «non sono  punibili  le  violazioni  che  non  arrecano
pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo  e  non  incidono
sulla  determinazione  della  base  imponibile,  dell'imposta  e  sul
versamento del tributo». 
    3. - La  Direzione  provinciale  di  Firenze  dell'Agenzia  delle
entrate  si   e'   costituita   in   giudizio   depositando   proprie
controdeduzioni,  con   le   quali   ha   osservato   che   la   tesi
dell'appellante circa la asserita  assenza  di  danno  all'Erario  e'
irrilevante, in quanto vi e' un'espressa previsione normativa da  cui
deriva il potere sanzionatorio dell'Amministrazione.  Si  tratta  del
comma 4-bis dell'art. 7, decreto legislativo  n.  471/1997  il  quale
dispone: «E' punito con la sanzione prevista dai comma 3 il cedente o
il prestatore  che  omette  di  inviare,  nei  termini  previsti,  la
comunicazione, di cui all'art. 1, comma 1, lettera c), ultimo periodo
del  decreto-legge  29  dicembre  1983  n.   746,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17, o  la  invia  con
dati incompleti o inesatti». 
    Poiche' l'art. 1, lettera c), decreto-legge n.  746/1983  obbliga
il cedente o il prestatore a comunicare  all'Agenzia  delle  entrate,
esclusivamente per via  telematica,  entro  il  giorno  16  del  mese
successivo,  i  dati  contenuti  nella  dichiarazione  ricevuta,   la
violazione sanzionata si configura pur se il cedente abbia tenuto  il
registro cartaceo ed  abbia  effettuato  tardivamente  l'invio  della
comunicazione, come nel presente  caso  (con  ritardo  di  circa  due
anni). 
    Inoltre, certamente si  configura  il  danno  all'Erario  perche'
anche  la  tardiva  comunicazione  impedisce  all'Amministrazione  il
tempestivo esercizio di immediate forme di controllo. 
    Ne' rileva il principio della capacita' contributiva, perche' nel
caso di specie non si tratta di questioni attinenti al tributo bensi'
all'ammontare della sanzione. 
    Anche principio  di  proporzionalita'  e'  erroneamente  invocato
perche' la  gravita'  della  sanzione  non  deve  essere  commisurata
all'entita'  del  danno  erariale,  bensi'  all'abuso  commesso   che
ostacola gli opportuni controlli da parte dell'Erario. 
    L'importo della sanzione deve essere valutato in base a parametri
analoghi a quelli previsti nell'ordinamento  interno  per  infrazioni
della stessa natura e della stessa gravita',  che  conferiscono  alla
sanzione carattere effettivo, proporzionato e dissuasivo. 
    4.  -  Prima  di  entrare   nel   merito   della   questione   di
costituzionalita', appare opportuno richiamare brevemente  il  quadro
normativo in materia. 
    L'art. 8 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 qualifica  ed  elenca  le
cessioni all'esportazione non imponibili. 
    Il decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito in legge 27
febbraio 1984, n. 17, all'art. 1, lettera c), fra le  condizioni  per
l'applicabilita' delle disposizioni di cui alla lettera c) del  primo
comma e al secondo comma dell'art. 8 D.P.R. n. 633/1972  (cessioni  e
prestazioni  di  servizi  rese  a  soggetti  che,  avendo  effettuato
cessioni  all'esportazione  con   operazioni   intracomunitarie,   si
avvalgono della facolta' di acquistare o  importare  beni  e  servizi
senza  pagamento  dell'imposta),  ha  prescritto  che  «l'intento  di
avvalersi della facolta' di effettuare acquisti o importazioni  senza
applicazione della imposta risulti da apposita dichiarazione, redatta
in conformita' al modello approvato con decreto  del  Ministro  delle
finanze, contenente l'indicazione  del  numero  di  partita  IVA  del
dichiarante nonche' l'indicazione dell'ufficio  competente  nei  suoi
confronti, consegnata o spedita al  fornitore  o  prestatore,  ovvero
presentata in dogana, prima dell'effettuazione della operazione». 
    L'art. 1, legge 30 dicembre 2004, n. 311, comma 381, ha  aggiunto
all'art. 1, comma 1, lettera c)  del  decreto-legge  n.  746/1983  la
disposizione secondo cui l'obbligo di comunicazione all'Agenzia delle
entrate, da parte del ricevente o  prestatore,  dell'esercizio  della
facolta' di effettuare acquisti  o  importazioni  senza  applicazione
dell'imposta deve essere adempiuto «esclusivamente per via telematica
entro il giorno 16 del mese successivo»;  tale  obbligo  riguarda  la
comunicazione dei dati contenuti nella dichiarazione ricevuta. 
    La configurazione di una procedura formale da osservare in  tempi
predeterminati comporta la sanzionabilita'  dei  casi  in  cui  siano
violati gli obblighi relativi. 
    La sanzione e' stabilita dal comma 383 dello stesso  art.  1  ora
ricordato, il quale ha inserito il comma  4-bis  all'art.  7  decreto
legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 disponendo che e' punito con  la
sanzione di cui al comma 3 dello stesso  art.  7  «il  cedente  o  il
prestatore  che  omette  di  inviare,  nei   termini   previsti,   la
comunicazione» sopra detta (prevista dall'art. 1,  comma  1,  lettera
"c" ultimo periodo decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746  convertito
in legge 27 febbraio 1984, n. 17). 
    Il comma 3 dell'art. 7 stabilisce che «e' punito con la  sanzione
amministrativa dal 100 al 200 per cento dell'imposta, fermo l'obbligo
del pagamento del tributo» chi effettua operazioni senza addebito  di
imposta, in mancanza della dichiarazione di intento di  cui  all'art.
1, comma 1, lettera c), decreto-legge n. 746/1983. 
    5. - Il sistema  sanzionatorio  deve  essere  esaminato  nel  suo
complesso, percio' prendendo in considerazione anche altre ipotesi di
violazione di obblighi. Ci riferiamo all'art. 7, comma 4 dello stesso
decreto legislativo n. 471/1997,  in  base  al  quale  e'  prescritta
identica sanzione a carico  di  «chi,  in  mancanza  dei  presupposti
richiesti dalla legge, dichiara all'altro contraente o in  dogana  di
volersi avvalere della facolta' di acquistare o di importare merci  e
servizi senza pagamento dell'IVA». 
    In  forza  del  comma  5  dell'art.  7  si  applica  la  sanzione
amministrativa nella stessa misura a carico di chi «nelle  fatture  o
nelle dichiarazioni in dogana relative a cessioni alla  esportazione,
indica quantita', qualita' o corrispettivi diversi da quelli reali». 
    Pertanto  in  base  al  sistema  di  cui  all'art.   7,   decreto
legislativo n. 471/1997, dopo l'inserimento, da  parte  dell'art.  1,
comma 383 del comma 4-bis, la  stessa  sanzione  si  applica  per  la
semplice omissione di invio della comunicazione nei termini previsti,
per la mancanza della dichiarazione di intento, per la  dichiarazione
in assenza dei relativi presupposti, anche se soltanto nel primo caso
non vi e' o puo' non esservi il mancato pagamento del tributo. 
    Evidentemente  e'  ritenuto  ex  lege   che   l'omissione   della
comunicazione nei termini reca pregiudizio all'azione di controllo  e
che per questo motivo tale  omissione  non  e'  costitutiva  di  mera
violazione formale. 
    Questa scelta del legislatore non  e'  di  per  se'  censurabile,
perche' non e'  seriamente  contestatibe  che,  seppure  in  limitata
misura, l'omissione abbia per l'azione di  controllo  quel  carattere
pregiudizievole  che  e'  il   presupposto   logico-giuridico   della
previsione normativa. 
    E' proprio per questo motivo che non puo' essere accolta la  tesi
del  contribuente  circa  l'applicabilita'  alla  fattispecie   delle
disposizioni che  dichiarano  la  non  punibilita'  delle  violazioni
meramente  formali  e  che  non  arrecano  pregiudizio  all'esercizio
dell'azione di controllo dell'Agenzia delle  entrate  (v.  sul  punto
Cassazione Sez. Trib. 8 marzo 2013,  n.  5897),  acquistando  percio'
sicura rilevanza la valutazione della costituzionalita'  del  sistema
sanzionatorio sopra sinteticamente ricordato. 
    6.  -  Ad  un  primo  esame  appare  configurarsi  una  stridente
disparita',  nel  momento  stesso  in  cui  comportamenti  diversi  e
produttivi di diversi effetti, sia riguardo all'intralcio che possono
provocare rispetto all'esercizio dei poteri dell'Amministrazione  sia
riguardo al versamento dei tributi dovuti in base  alla  legge,  sono
assoggettati alla stessa sanzione, non rilevando da questo  punto  di
vista la graduazione della sanzione medesima  (dal  100  al  200  per
cento  dell'imposta),   rimessa   alla   discrezionalita'   dell'ente
impositore. 
    Occorre pero' verificare se questa situazione normativa sia  tale
da risolversi in termini di violazione dei  principi  e  delle  norme
costituzionali,   tenendo   doverosamente   conto   dei    precedenti
giurisprudenziali dell'ecc.ma Corte. 
    In materia ci sembra opportuno richiamare la sentenza Corte cost.
30 luglio 1997, n. 291, la quale  osserva  che  anche  riguardo  alle
sanzioni tributarie «il legislatore gode di  ampia  discrezionalita',
con il solo limite della non arbitrarieta' o palese  irragionevolezza
delle scelte». Ne consegue che  il  problema  in  esame  puo'  essere
risolto sulla base di tale criterio, cioe' valutando  se  l'identita'
di sanzioni nelle  ipotesi  diverse  sopra  richiamate  travalichi  i
limiti segnati dalla Corte,  cadendo  nella  arbitrarieta'  o  palese
irragionevolezza delle scelte. 
    D'altronde, come opportunamente osserva il ricorrente, il sistema
comunitario riguardante l'imposta sul valore aggiunto e' ispirato  al
principio di proporzionalita'. Si veda la decisione  della  Corte  di
giustizia dell'Unione europea 29 luglio 2010, n. 188/09  nella  quale
il  carattere  forfettario  di  una  sanzione  e'   stato   giudicato
contrastante col principio di  proporzionalita',  perche'  l'aliquota
fissa, derivante proprio  dal  carattere  forfettario,  determina  la
«assenza di rapporto fra  tale  importo  e  quello  risultante  dagli
errori eventualmente commessi dal  soggetto  passivo»  (v.  anche  la
sentenza della stessa Corte di giustizia  del  9  febbraio  2012,  n.
212/10). 
    E' poi utile ricordare che,  in  linea  generale,  la  Corte  (v.
sentenza 19 luglio 2012, n. 263/11), ha rimesso al Giudice  nazionale
la verifica se  la  norma  di  diritto  nazionale  sia  contraria  al
principio di proporzionalita': tale verifica consiste  nell'accertare
«se  l'importo  della  sanzione  non  ecceda  quanto  necessario  per
conseguire  gli  obiettivi   consistenti   nell'assicurare   l'esatta
riscossione dell'imposta ed evitare l'evasione». 
    7. - D'altronde, anche se il  principio  di  proporzionalita'  ha
avuto la sua massima  espressione  ed  applicazione  nell'ordinamento
comunitario, non e'  affatto  estraneo  a  quello  nazionale  sia  in
ragione del necessario adeguamento all'ordinamento comunitario sia  -
non meno - perche'  tale  principio  deve  essere  individuato  anche
nell'ambito dell'ordinamento nazionale, seppure  talvolta  sia  stato
espresso in termini di ragionevolezza della norma (il che ricomprende
necessariamente la verifica della proporzionalita', quando si sia  in
tema di sanzioni). 
    Si veda ad es. Cons. Stato Sez. VI 6 agosto  2013,  n.  4117  che
sostanzialmente equipara il principio di ragionevolezza a  quello  di
proporzionalita' in un  caso  di  sanzione  per  false  dichiarazioni
nell'ambito di pubbliche gare. 
    Si veda anche Cons. Stato Sez. VI 5  agosto  2013,  n.  4085  che
richiama  il   «principio   generale   di   proporzionalita'»   nella
determinazione  di  sanzione  amministrativa  pecuniaria   da   parte
dell'Autorita' garante della concorrenza e del mercato in un caso  di
pratiche   commerciali   scorrette.   Si   veda    anche    Tribunale
amministrativo regionale Toscana Sez. I 16 dicembre  2010,  n.  6770,
secondo cui e' violato proprio il principio di  proporzionalita'  nel
caso in cui e' sanzionato con esclusione dalla gara non  soltanto  il
mancato versamento del  contributo  all'Autorita'  di  vigilanza  sui
contratti pubblici, ma anche il fatto che il pagamento  sia  avvenuto
tempestivamente con modalita' diverse da quelle  prescritte,  perche'
in  quest'ultimo  caso  la   sanzione   risulta   eccessiva   e   non
proporzionata rispetto all'obbiettivo di garantire il  pagamento  del
contributo dovuto. 
    Altrettanto merita attenzione  l'applicazione  del  principio  di
proporzionalita' da parte della Corte di cassazione,  in  particolare
in tema di rapporti di lavoro, riguardo alla relazione  tra  addebito
al lavoratore  e  recesso  del  datare  di  lavoro  nonche'  riguardo
all'inadempimento del lavoratore ai propri doveri in  relazione  alla
sanzione disciplinare irrogata. 
    8. - A questo punto e' importante ricordare che  della  questione
in esame si e' gia'  occupata  la  Commissione  tributaria  regionale
della Lombardia con sentenza del 17 dicembre 2012 che ha rilevato che
«nel rispetto del diritto comunitario e dei suoi principi generali e,
quindi, anche del principio di  proporzionalita'»,  si  configura  il
divieto di «imporre sanzioni sproporzionate  rispetto  alla  gravita'
dell'infrazione».  Questa  affermazione  trova  il  suo   presupposto
nell'opinione che la violazione  in  questione  non  abbia  carattere
sostanziale e non comporti alcuna perdita di gettito per l'Erario. La
conseguenza che la decisione ne trae e' che non  sia  applicabile  la
sanzione di cui all'art.  7,  comma  4-bis,  decreto  legislativo  n.
471/1997 ma, in luogo di essa, sia applicabile la minore sanzione  di
cui  all'art.  11,  comma  1,  lettera  a)   dello   stesso   decreto
legislativo, stabilita in misura fissa da € 258,00 a € 2.065,00. 
    Quest'ultima sanzione riguarda «altre violazioni  in  materia  di
imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto», come tali  diverse
da quelle stabilite dalle precedenti disposizioni di cui all'art. 7. 
    Ad avviso di questo Collegio  la  valutazione  della  Commissione
tributaria regionale  della  Lombardia  va  presa  in  considerazione
perche' esprime il convincimento che, nel caso di specie,  l'art.  7,
comma 4-bis, decreto  legislativo  n.  471/1997  sia  costitutivo  di
violazione  del  principio  di   proporzionalita'.   Ma   da   questa
affermazione la sentenza in esame ricava deduzioni che risultano  non
accettabili innanzitutto perche', avendo il legislatore previsto  una
specifica sanzione per la violazione in esame, non  appare  corretto,
in  base  al  generale  principio  di  legalita',  che   il   Giudice
sostituisca  ad  libitum  una  diversa  sanzione  rispetto  a  quella
puntualmente prevista dal legislatore; in secondo luogo  si  pone  il
problema  della  nozione  di  violazione  di  carattere   sostanziale
recepita  dalla  sentenza,  rispetto  alla  violazione  di  carattere
formale, posto che la prima, soltanto in una valutazione restrittiva,
puo' apparire verificarsi unicamente quando la violazione si  traduca
in diretta perdita di gettito per l'Erario, potendo invece  avere  lo
stesso carattere sostanziale anche quando sia impedita o elusa piu' o
meno scientemente l'azione di controllo dell'Amministrazione. 
    E' per queste ragioni che,  ad  avviso  di  questo  Collegio,  la
verifica della violazione  del  principio  di  proporzionalita',  ove
avvenga,  debba  tradursi  nell'eliminazione  dall'ordinamento  della
disposizione che lo viola e non gia' nell'applicazione di  una  norma
diversa. 
    9. - Rilevanza e non manifesta infondatezza 
    Non possono  sollevarsi  seri  dubbi  circa  la  rilevanza  della
questione di costituzionalita', perche' e' rimesso al giudizio  della
Corte l'accertamento dell'eventuale  contrasto  con  la  Costituzione
della  norma  sanzionatoria  applicata  dall'Agenzia  delle  entrate,
percio'   verificandosi   l'effetto   che,   se   il   giudizio    di
costituzionalita'  dovesse  risolversi  nel  senso   ritenuto   dalla
presente  ordinanza  di  rinvio,  la  norma   sanzionatoria   sarebbe
cancellata dall'ordinamento e la sanzione applicata verrebbe meno. 
    D'altronde  l'interpretazione  della  disposizione  in  esame  e'
l'unica possibile: non e' prospettabile una  diversa  interpretazione
costituzionalmente orientata  della  stessa,  in  considerazione  del
carattere assolutamente  vincolante  della  prescrizione  che  vi  e'
contenuta. 
    Sotto il profilo  della  non  manifesta  infondatezza,  e'  utile
ribadire che l'art.  7,  decreto  legislativo  n.  471/1997  accomuna
nell'unica sanzione pecuniaria una serie di  violazioni  delle  norme
tributarie fra loro intrinsecamente diverse, dovendosi aggiungere che
la fattispecie contemplata dal comma 4-bis, che interessa il presente
caso, e' differenziata dalle altre soprattutto  perche'  sanziona  un
comportamento che  di  per  se'  non  costituisce  manifestazione  di
evasione fiscale ed e' anzi estraneo al versamento dell'imposta  che,
nel caso di specie, e' escluso dallo stesso legislatore. 
    Riguardo alla «ragionevolezza», quale  criterio  nell'ambito  del
quale si situa il criterio della «proporzionalita'»  proprio  perche'
«ragionevolezza» dei sistemi sanzionatori significa «proporzione» con
l'entita' degli obblighi violati, nella loro intrinseca consistenza e
in relazione agli effetti dannosi che ne derivano, l'ecc.ma Corte  si
e'  piu'  volte  espressa  con  riferimento  a   diverse   discipline
normative: cosi' Corte costituzionale 17  novembre  2010,  n.  331  e
seguenti riguardo a preclusioni di leggi regionali  all'installazione
di impianti  di  produzione  di  energia  elettrica  nucleare;  Corte
costituzionale 13 luglio 2011, n. 211 riguardo alla  disposizione  di
cui all'art. 48, comma  1,  seconda  parte,  decreto  legislativo  n.
163/2006; Corte costituzionale 18 luglio 2011, n. 214  riguardo  alle
aliquote ridotte per l'applicazione dell'ICI ad alloggi  di  edilizia
economica e popolare; Corte costituzionale 28 ottobre  2011,  n.  281
riguardo al prezzo di assegnazione allo Stato dell'immobile  dopo  il
terzo incanto negativo ex art. 85, comma 1, D.P.R. n. 602/1973. 
    Percio'  in  relazione  a  quanto  sopra  osservato   emerge   la
violazione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo della  violazione  del
principio di ragionevolezza nella sua manifestazione  in  termini  di
proporzionalita', quale emerge dal  quadro  complessivo  del  sistema
sanzionatorio. 
    Infatti,  anche  se  il  ritardo  nella  comunicazione  in  esame
all'Agenzia delle entrate deve essere sanzionato, non si vede come il
comportamento omissivo, che e'  del  tutto  estraneo  all'adempimento
degli obblighi tributari  in  termini  di  versamento  delle  imposte
dovute, possa essere ragionevolmente equiparato ai comportamenti  che
con varie modalita' rendono emergente l'infedelta'  del  contribuente
proprio perche' finalizzati ad evitare il pagamento dei tributi. 
    La palese differenza delle situazioni sia riguardo all'illiceita'
commessa dal contribuente, sia  riguardo  agli  effetti  che  produce
sulla percezione  delle  entrate  da  parte  dello  Stato,  non  puo'
tradursi meramente sul piano della discrezionalita' del  legislatore,
proprio perche' si  tratta  di  situazioni  che  ragionevolmente  non
possono essere valutate nello stesso modo. 
    Cio' e' sufficiente ai fini della verifica  della  non  manifesta
infondatezza della questione di costituzionalita'. 
    In conclusione il Collegio ritiene di dover sollevare, alla  luce
dell'art. 3 Cost., la questione  di  costituzionalita'  dell'art.  7,
comma 4-bis, decreto legislativo 18 dicembre 1997, n.  471,  inserito
dall'art. 1, legge 30 dicembre 2004,  n.  311,  nella  parte  in  cui
prescrive che e' punito con la sanzione prevista nel  comma  3  dello
stesso art. 7 il cedente o il prestatore che omette di  inviare,  nei
termini previsti, la  comunicazione  di  cui  all'art.  1,  comma  1,
lettera c), ultimo periodo, del decreto-legge 29  dicembre  1983,  n.
746, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio  1984  n,
n. 17 in tal modo equiparando sotto il profilo sanzionatorio tutte le
violazioni relative alle esportazioni previste dai commi 3  e  6  del
citato art. 7. 
    Poiche'  il  presente   giudizio   non   puo'   essere   definito
indipendentemente dalla  risoluzione  di  tale  questione,  ai  sensi
dell'art. 23, legge 11  marzo  1953,  n.  87,  ne  conferma  la  gia'
disposta sospensione  e  altresi'  dispone  l'immediata  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. 
    Ordina che, a cura della segreteria, la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti in causa e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri  e  sia  comunicata  ai  presidenti  delle  due  Camere  del
Parlamento. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Commissione tributaria regionale  di  Firenze,  Sezione  XVII,
ritenuta non manifestamente infondata e  rilevante  la  questione  di
legittimita' costituzionale sopra illustrata; 
    visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    sospeso il presente giudizio; 
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
    Ordina che la presente ordinanza sia  notificata  alle  parti  in
causa e al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata  ai
presidenti delle due Camere del Parlamento. 
    Cosi' deciso in Firenze, nella Camera di consiglio del  9  giugno
2014. 
 
                      Il Presidente: Pecchioli