N. 120 SENTENZA 3 aprile - 16 maggio 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati e pene - Esclusione della punibilita' per particolare  tenuita'
  del fatto - Reati di competenza del giudice di pace. 
- Codice penale, art. 131-bis. 
(GU n.21 del 22-5-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 131-bis del
codice penale, promosso  dal  Tribunale  ordinario  di  Catania,  nel
procedimento penale a carico di D. C.,  con  ordinanza  del  6  marzo
2018, iscritta al n. 167 del registro  ordinanze  2018  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  47,  prima   serie
speciale, dell'anno 2018. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  3  aprile  2019  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Catania, con ordinanza del 6  marzo
2018, ha sollevato, in riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 131-bis del codice
penale, «nella misura  in  cui  esso  non  e'  applicabile  ai  reati
rientranti nella competenza del Giudice di Pace». 
    In punto di fatto il rimettente premette che con atto di  appello
del 5 aprile 2017, D. C., imputato del reato di lesioni colpose lievi
(art. 590 cod. pen.), ha proposto impugnazione, anche ai  fini  delle
statuizioni civili, avverso  la  sentenza  del  Giudice  di  pace  di
Catania, «con la quale il medesimo era stato condannato alla pena  di
euro 400,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della
parte civile costituita». 
    Il giudice a quo riferisce che l'appellante ha lamentato l'errata
valutazione da parte del giudice di primo grado della sussistenza del
nesso di causalita' tra il sinistro stradale  occorso  e  le  lesioni
personali riportate dalla persona offesa, nonche' l'omessa  pronuncia
ai sensi dell'art. 35 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n.  274
(Disposizioni sulla competenza penale del giudice di  pace,  a  norma
dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999,  n.  468)  in  ragione
dell'intervenuto risarcimento del danno e, in subordine,  ha  chiesto
sentenza di assoluzione ai sensi del combinato disposto di  cui  agli
artt. 530 del codice di procedura penale e 131-bis cod. pen.,  stante
la  tenuita'  dell'offesa  subita  dalla   persona   offesa,   avendo
quest'ultima  riportato  lesioni  personali  lievi   da   cervicalgia
post-traumatica, giudicate guaribili in giorni otto. 
    Il rimettente aggiunge,  inoltre,  che  il  Giudice  di  pace  ha
dichiarato  la  penale  responsabilita'  dell'imputato   sulla   base
dell'attivita'   istruttoria   espletata,   correttamente   ritenendo
sussistente il nesso eziologico tra la condotta colposa del  medesimo
(consistita nella mancata  osservanza  della  distanza  di  sicurezza
mentre si trovava alla guida del veicolo) e  il  danno  patito  dalla
persona offesa costituitasi parte civile, ma  nulla  ha  statuito  in
ordine alla possibilita' di una pronuncia ai sensi degli artt.  34  e
35 del d.lgs. n. 274 del 2000. 
    Riguardo  alla  doglianza  relativa  alla  mancata   applicazione
dell'art. 35 del citato decreto legislativo,  il  rimettente  osserva
che  la  giurisprudenza,  allo   stato,   e'   ondivaga   in   ordine
all'applicabilita' di tale disposizione nel giudizio d'appello e che,
ad ogni modo, sarebbe preliminare verificare l'applicabilita',  nella
specie, dell'art. 131-bis cod. pen., stante il disposto dell'art. 129
cod. proc. pen. per cui il giudice deve verificare innanzi  tutto  la
possibilita' di emettere una  pronuncia  di  assoluzione  nel  merito
(quale quella di assoluzione ex art. 131-bis cod. pen.) piuttosto che
di mero proscioglimento (quale quella di dichiarazione di  estinzione
del reato per condotte riparatorie ex art. 35 citato). 
    Con riferimento, in particolare, al profilo  della  tenuita'  del
fatto, osserva il rimettente che il Giudice di pace nulla  ha  deciso
in ordine alla possibilita' di una pronuncia ai  sensi  dell'art.  34
del d.lgs. n. 274 del 2000 durante tutto il corso del procedimento  e
che, per contro, l'appellante, nell'atto introduttivo del giudizio di
secondo grado, ha richiesto una pronuncia  di  assoluzione  ai  sensi
dell'art. 131-bis cod. pen. 
    Il rimettente si  sofferma  sulle  differenze  intercorrenti  tra
l'art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000  e  l'art.  131-bis  cod.  pen.,
anche alla luce della sentenza della  Corte  di  cassazione,  sezioni
unite penali, 22 giugno-28 novembre 2017, n. 53683. 
    In punto di rilevanza, il rimettente ritiene che  sussisterebbero
tutti i presupposti per adottare una  pronuncia  ai  sensi  dell'art.
131-bis cod. pen., atteso che la pena prevista per il  reato  di  cui
all'art.  590  cod.  pen.  rientra  nei  limiti  edittali   stabiliti
dall'art. 131-bis, primo comma, cod. pen.  e  che  si  tratta,  nella
specie, di un'offesa di particolare  tenuita',  tenendo  anche  conto
delle  modalita'  della  condotta,  meramente  colposa  e  alla  luce
dell'esiguita' del danno cagionato alla persona offesa. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente afferma che
l'art. 131-bis cod. pen., cosi' come  interpretato  dalla  menzionata
pronuncia della Corte  di  cassazione,  violerebbe  il  principio  di
eguaglianza (art. 3 Cost.), nella misura  in  cui  la  causa  di  non
punibilita',  prevista   dalla   disposizione   censurata,   non   e'
applicabile a fatti di minor disvalore, quali sono quelli  rientranti
nella sfera di competenza  del  giudice  di  pace,  mentre  ben  puo'
trovare applicazione in  relazione  a  fatti  di  maggiore  gravita',
rientranti nella cognizione del tribunale. 
    Sarebbe, infatti, del tutto irrazionale che una norma di  diritto
sostanziale, quale e' l'art.  131-bis  cod.  pen.  -  introdotta  per
evitare all'imputato le possibili ricadute negative scaturenti  dalla
condanna per fatti di minima offensivita', i  quali,  per  il  comune
sentire  sociale,  sono  connotati  da   minimo   disvalore   -   sia
inapplicabile proprio ai reati che,  per  essere  di  competenza  del
giudice di pace, sono per definizione di minore gravita'. 
    2.- Con atto depositato il 18 dicembre 2018,  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  alla  Corte   di
dichiarare la questione inammissibile o infondata. 
    L'Avvocatura  generale,  in  primo  luogo,   eccepisce   che   il
rimettente,  nell'argomentare  la  rilevanza  della  questione,   da'
priorita',  nell'ordine  di  trattazione,  alla  questione   relativa
all'applicazione della  causa  di  non  punibilita'  per  particolare
tenuita' del fatto di cui all'art.  131-bis  cod.  pen.,  rispetto  a
quella della sussistenza della causa di estinzione del reato prevista
dall'art. 35 del d.lgs. n. 274 del 2000 come effetto  della  condotta
riparatoria.  Afferma  che,  a  differenza  di  quanto  ritenuto  dal
Tribunale ordinario di Catania, la  verifica  della  sussistenza  dei
presupposti per un proscioglimento ex art. 131-bis cod. pen. non puo'
che seguire, logicamente e giuridicamente, l'esclusione di una  causa
di estinzione del reato quale quella prevista dall'art. 35 del d.lgs.
n. 274 del 2000. 
    Nel merito, l'Avvocatura ritiene che la  questione  sia  comunque
infondata e, a tal proposito, richiama la menzionata pronuncia  della
Corte di cassazione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Catania, con ordinanza del 6  marzo
2018, ha sollevato, in riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 131-bis del codice
penale, nella parte in cui tale disposizione non  e'  applicabile  ai
reati rientranti nella  competenza  del  giudice  di  pace  ai  sensi
dell'art.  4  del  decreto  legislativo  28  agosto  2000,   n.   274
(Disposizioni sulla competenza penale del giudice di  pace,  a  norma
dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468). 
    Secondo il  Tribunale  rimettente  e'  violato  il  principio  di
eguaglianza e di ragionevolezza di cui all'art.  3  Cost.,  allorche'
una norma di diritto sostanziale  sull'esclusione  della  punibilita'
per particolare tenuita' dell'offesa - qual e'  l'art.  131-bis  cod.
pen., introdotta per evitare  all'imputato  le  conseguenze  negative
derivanti da una condanna per fatti di minima offensivita' - non  sia
applicabile a reati che, per essere  di  competenza  del  giudice  di
pace, sono per definizione di minore gravita'. 
    2.- Va preliminarmente rigettata l'eccezione di  inammissibilita'
dell'Avvocatura generale dello  Stato,  che,  sotto  questo  profilo,
deduce che il Tribunale rimettente ha  omesso  di  esaminare  innanzi
tutto la possibile causa di estinzione del reato ai  sensi  dell'art.
35 del d.lgs. n. 274  del  2000,  quale  conseguenza  delle  condotte
riparatorie del danno alla persona offesa. 
    Premesso che, in generale, il giudice  a  quo  puo'  prendere  in
considerazione per prima una  questione,  preliminare  o  di  merito,
sulla base del criterio  della  ragione  piu'  liquida  che  comporti
l'assorbimento di altre questioni (sentenza n. 188 del 2018), si  ha,
nella specie,  che  il  Tribunale  rimettente  motiva  plausibilmente
l'ordine in cui ha esaminato  le  censure  dell'imputato,  appellante
avverso la sentenza di condanna del giudice di pace. 
    Ritiene infatti che, secondo il criterio di priorita'  desumibile
dall'art. 129 del codice di procedura  penale,  l'accertamento  della
causa di non punibilita' per la particolare tenuita'  dell'offesa  ai
sensi dell'art. 131-bis cod. pen., ove applicabile anche ai reati  di
competenza  del  giudice  di  pace,  sia   logicamente   prioritario,
ancorche' dedotto dall'appellante in  via  subordinata,  rispetto  al
riconoscimento della causa di estinzione del reato prevista dall'art.
35 del d.lgs. n. 274 del 2000. 
    Quindi, il mancato previo esame della sussistenza, o no,  di  una
condotta riparatoria idonea a determinare l'estinzione del reato  non
inficia   l'ammissibilita'   della    questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 131-bis cod. pen. Motivatamente  il  giudice
rimettente ritiene che sia questa la disposizione che, escludendo  la
punibilita' per la particolare tenuita' dell'offesa,  il  giudice  di
primo grado avrebbe potuto innanzi tutto applicare e che  invece  non
ha applicato; cio' di cui l'imputato appellante si duole come  motivo
di impugnazione. Invece - puo' aggiungersi - lo stesso appellante non
ha affatto censurato la mancata applicazione dell'art. 34 del  citato
decreto legislativo sull'esclusione della procedibilita'  dell'azione
penale in caso di particolare  tenuita'  del  fatto,  preclusa  dalla
richiesta (accolta) della persona offesa, costituitasi parte  civile,
di risarcimento del danno; ne' il  giudice  rimettente  ha  investito
tale norma di alcuna censura di illegittimita' costituzionale. 
    Pertanto, da una parte sussiste una plausibile motivazione  della
rilevanza della questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
131-bis cod. pen., che e' quindi  ammissibile,  ma  dall'altra  parte
tale rilevanza circoscrive e delimita il  perimetro  della  questione
stessa a tale unica disposizione (su tale aspetto si  tornera'  infra
al n. 7). 
    3.- Passando al merito,  occorre  preliminarmente  inquadrare  il
contesto  normativo  nel  cui  ambito  si  pone   la   questione   di
legittimita' costituzionale nei limiti appena sopra fissati. 
    L'art. 131-bis cod.pen. - inserito  dall'art.  1,  comma  2,  del
decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28,  recante  «Disposizioni  in
materia di non punibilita' per  particolare  tenuita'  del  fatto,  a
norma dell'articolo 1, comma 1, lettera m),  della  legge  28  aprile
2014, n. 67», in  attuazione  della  legge  28  aprile  2014,  n.  67
(Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e  di
riforma  del  sistema  sanzionatorio.  Disposizioni  in  materia   di
sospensione del procedimento con messa alla  prova  e  nei  confronti
degli irreperibili) - prevede una generale causa di esclusione  della
punibilita' che si raccorda con  l'altrettanto  generale  presupposto
dell'offensivita' della condotta,  requisito  indispensabile  per  la
sanzionabilita' penale di qualsiasi condotta in violazione di  legge.
Ha affermato questa Corte che «l'offensivita' deve ritenersi di norma
implicita nella configurazione del fatto e nella  sua  qualificazione
di illecito da parte del legislatore» (sentenza n. 333 del 1991). 
    Il legislatore del 2015,  perseguendo  una  finalita'  deflattiva
analoga a quella sottesa a misure di depenalizzazione ed  esercitando
l'ampia discrezionalita' nel definire «l'estensione di cause  di  non
punibilita', le  quali  costituiscono  altrettante  deroghe  a  norme
penali generali» (sentenza n. 140 del 2009), ha considerato  i  reati
al di sotto di una soglia massima di gravita' - quelli per i quali e'
prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a  cinque  anni,
nonche' quelli puniti con la pena pecuniaria, sola o  congiunta  alla
predetta pena detentiva - e ha tracciato una  linea  di  demarcazione
trasversale per escludere la punibilita' - ma non l'illiceita' penale
- delle condotte che  risultino,  in  concreto,  avere  un  tasso  di
offensivita' marcatamente ridotto, quando  appunto  l'«offesa  e'  di
particolare tenuita'». 
    Su questo presupposto fa perno la norma censurata, poi  integrata
da requisiti ulteriori della causa di  non  punibilita',  che  meglio
delineano la fattispecie della particolare tenuita'  dell'offesa:  il
comportamento deve risultare non abituale; deve ricorrere l'esiguita'
del danno o del pericolo; occorre tener conto delle  modalita'  della
condotta. La stessa particolare tenuita' e' ulteriormente specificata
nel secondo comma dell'art. 131-bis cod. pen., che la esclude  quando
l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudelta', anche
in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha  profittato
delle  condizioni  di  minorata  difesa  della  vittima,   anche   in
riferimento all'eta'  della  stessa  ovvero  quando  la  condotta  ha
cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non  volute,  la
morte o le lesioni gravissime di una persona. 
    La perdurante illiceita' penale della condotta, anche  quando  il
fatto e'  di  lieve  entita',  risulta  inequivocabilmente  dall'art.
651-bis cod. proc. pen., secondo cui la sentenza penale  irrevocabile
di proscioglimento pronunciata per particolare tenuita' del fatto  in
seguito   a   dibattimento   ha   efficacia   di   giudicato   quanto
all'accertamento della sussistenza del fatto,  della  sua  illiceita'
penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio
civile o amministrativo per le restituzioni  e  il  risarcimento  del
danno promosso nei confronti del prosciolto e del responsabile civile
che sia stato citato ovvero  sia  intervenuto  nel  processo  penale.
Quindi e' proprio l'illiceita' penale, tra l'altro, che fa stato  nel
giudizio civile o amministrativo con conseguente configurabilita' del
danno anche non patrimoniale perche' cagionato da  reato  (art.  185,
secondo comma, cod. pen.). Questa Corte ha affermato in proposito che
«il fatto particolarmente lieve, cui fa  riferimento  l'art.  131-bis
cod. pen., e' comunque un fatto offensivo, che  costituisce  reato  e
che il legislatore preferisce non  punire,  sia  per  riaffermare  la
natura di extrema ratio della pena e agevolare la  "rieducazione  del
condannato", sia per  contenere  il  gravoso  carico  di  contenzioso
penale gravante sulla giurisdizione» (ordinanza n. 279 del 2017). 
    Inoltre,  sono   iscrivibili   nel   casellario   giudiziario   i
provvedimenti definitivi che hanno dichiarato la non  punibilita'  ai
sensi dell'art. 131-bis cod. pen., come previsto dall'art.  3,  comma
1, lettera f), del d.P.R. 14 novembre 2002, n.  313,  recante  «Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari  in  materia  di
casellario giudiziale, di casellario giudiziale europeo, di  anagrafe
delle sanzioni amministrative dipendenti  da  reato  e  dei  relativi
carichi pendenti. (Testo A)». 
    Questa causa di non  punibilita',  cosi'  declinata,  costituisce
«innovazione di diritto penale  sostanziale»  (Corte  di  cassazione,
sezioni unite penali, sentenza 25 febbraio-6 aprile 2016,  n.  13681)
ed e' di carattere generale tanto che - come stabilisce espressamente
l'ultimo comma dell'art. 131-bis - trova applicazione anche quando la
legge prevede la particolare tenuita' del danno o del  pericolo  come
circostanza  attenuante;  cio'  peraltro  non  esclude,  «ma  neppure
automaticamente  comporta,  l'applicazione   della   causa   di   non
punibilita'» (sentenza n. 207 del 2017). 
    4.- La novita' normativa si colloca sulla scia di una  disciplina
di settore ispirata dalla stessa ratio. 
    L'art. 27 del d.P.R. 22  settembre  1988,  n.  448  (Approvazione
delle  disposizioni  sul  processo  penale  a  carico   di   imputati
minorenni), come sostituito dall'art. 1 della legge 5 febbraio  1992,
n. 123 (Sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del  fatto.
Modifiche al testo delle disposizioni sul processo penale a carico di
imputati  minorenni,  approvato  con  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 22 settembre 1988,  n.  448),  prevede  la  «tenuita'  del
fatto»  come  presupposto  perche'   il   giudice   possa   emettere,
concorrendo   altre   condizioni    (quale    l'occasionalita'    del
comportamento), una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza
del fatto, avente natura sostanziale di causa di non punibilita', nei
confronti dell'imputato minorenne. L'originaria limitazione alla sede
processuale dell'udienza preliminare, del giudizio direttissimo e del
giudizio immediato e' stata dichiarata costituzionalmente illegittima
con conseguente generalizzazione dell'operativita' di  tale  speciale
causa di non punibilita' al processo minorile (sentenza  n.  149  del
2003). 
    Parimenti l'art. 34  del  d.lgs.  n.  274  del  2000  esclude  la
procedibilita' per i reati di competenza del giudice di  pace  quando
«[i]l fatto e' di particolare tenuita'». La nozione  di  "particolare
tenuita'" del fatto e' ancora piu' ampia  perche'  e'  la  risultante
complessiva di plurimi fattori concorrenti,  centrati  sull'esiguita'
del danno  o  del  pericolo  derivati  dalla  condotta  astrattamente
sussumibile  nella  fattispecie  di   reato,   ma   integrati   anche
dall'occasionalita' della condotta  e  dalla  valutazione  del  grado
della colpevolezza, nonche' dal bilanciamento tra il pregiudizio  che
l'ulteriore corso del  procedimento  puo'  recare  alle  esigenze  di
lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta a
indagini o dell'imputato e  l'interesse  della  persona  offesa  alla
prosecuzione del procedimento. 
    Lo spettro piu' ampio della particolare  tenuita'  del  fatto  ex
art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000 e' coerente con la costruzione  di
questa fattispecie  come  condizione  di  procedibilita'  dell'azione
penale, piuttosto che come causa di non punibilita'. 
    Si tratta di una regola di carattere generale, tant'e' che  trova
applicazione anche nel caso in cui i reati di competenza del  giudice
di pace siano giudicati da un giudice diverso da quest'ultimo,  quale
potrebbe essere il tribunale (art. 63, comma 1, del d.lgs. n. 274 del
2000). 
    Le tre citate disposizioni - l'art. 131-bis cod. pen. per i reati
di competenza del giudice togato, l'art. 27 del  d.P.R.  n.  448  del
1988 per i reati commessi da minorenni e l'art. 34 del d.lgs. n.  274
del 2000 per i reati di competenza del giudice di pace - convergono a
realizzare, sotto questo aspetto, una regolamentazione di sostanziale
uniformita'  in  termini  di  rilevanza  della  particolare  tenuita'
dell'offesa, nel nucleo essenziale delle norme, pur con vari elementi
differenziali e specializzanti. Infatti,  «il  legislatore  ben  puo'
introdurre una causa di proscioglimento per la "particolare  tenuita'
del fatto" strutturata diversamente» (sentenza n. 25 del 2015); tanto
che - si e' affermato (ordinanza n. 46 del  2017)  -  l'art.  131-bis
cod. pen. costituisce  «una  disposizione  sensibilmente  diversa  da
quella dell'art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000». 
    5.- E'  pero'  sorto  non  di  meno  il  problema  interpretativo
dell'applicabilita', o no, della causa di non  punibilita'  ai  sensi
dell'art. 131-bis cod. pen. anche ai reati di competenza del  giudice
di pace. 
    Tale  questione  ha   registrato   un   iniziale   contrasto   di
giurisprudenza, composto infine dalle Sezioni unite  della  Corte  di
cassazione che hanno affermato, come principio  di  diritto,  che  la
causa di esclusione della punibilita' per  particolare  tenuita'  del
fatto, prevista dall'art. 131-bis cod. pen., non e'  applicabile  nei
procedimenti relativi a reati  di  competenza  del  giudice  di  pace
(Corte di cassazione, sezioni unite  penali,  sentenza  22  giugno-28
novembre 2017, n. 53683). 
    Tale arresto giurisprudenziale, cui la  Corte  di  cassazione  ha
dato continuita' anche  in  seguito,  costituisce  "diritto  vivente"
sicche' la disposizione  censurata  esprime  il  contenuto  normativo
cosi' ricostruito. Il dato giurisprudenziale, anche in un ordinamento
che non conosce una rigida regola dello stare  decisis,  ma  solo  la
forma attenuata di vincolo interpretativo introdotta  dall'art.  618,
comma 1-bis, cod. proc. pen.,  identifica  la  norma  espressa  dalla
disposizione su cui questa Corte e' chiamata a svolgere il  sindacato
di costituzionalita': «le norme vivono nell'ordinamento nel contenuto
risultante dall'applicazione fattane dal giudice» (sentenza n. 95 del
1976). 
    Il rimettente e' ben consapevole di cio' e quindi  muove  le  sue
censure considerando la norma espressa dalla  disposizione  censurata
nel contenuto ricostruito dalla citata pronuncia delle Sezioni  unite
della  Corte  di  cassazione  senza  necessita'  di   verificare   la
possibilita' di una diversa interpretazione. 
    L'inapplicabilita'  dell'art.  131-bis  cod.  pen.  ai  reati  di
competenza del giudice di pace, predicata da tale pronuncia, si fonda
non gia' sul principio di specialita' (art. 15 cod. pen.),  ma  sulla
cosiddetta riserva di  codice  posta  dall'art.  16  cod.  pen.,  che
prevede che nelle materie regolate da leggi speciali - e tale  e'  il
d.lgs. n. 274 del 2000 - le disposizioni del codice penale - e quindi
anche l'art. 131-bis - si  applicano  salvo  che  non  sia  stabilito
altrimenti. Ma la legge penale speciale in questione  (il  d.lgs.  n.
274  del  2000)  contiene  gia',  nel  suo  complesso,  una  distinta
disciplina della  materia.  In  particolare,  l'art.  34  regolamenta
integralmente la fattispecie del fatto di  particolare  tenuita'  che
cosi'  scherma  l'applicabilita',  altrimenti   operante,   dell'art.
131-bis cod. pen. Si tratta di regimi alternativi di fattispecie  che
hanno come nucleo comune la particolare tenuita'  del  fatto  e  come
elementi differenziali i requisiti  di  contorno  che  caratterizzano
l'una e l'altra fattispecie. 
    6.- Tutto cio' premesso, la sollevata questione  di  legittimita'
costituzionale non e' fondata. 
    Le ragioni che giustificano, sul piano del rispetto dei  principi
di eguaglianza e di ragionevolezza, questa  alternativita'  risiedono
nelle connotazioni peculiari dei reati di competenza del  giudice  di
pace e del procedimento innanzi a quest'ultimo rispetto ai  reati  di
competenza del tribunale. La eterogeneita' delle fattispecie di reato
poste a  confronto  esclude  la  dedotta  lesione  del  principio  di
eguaglianza (sentenza n. 207 del 2017). Questa Corte  ha  piu'  volte
posto in rilievo che «il procedimento penale davanti  al  giudice  di
pace configura un modello di giustizia  non  comparabile  con  quello
davanti al tribunale, in ragione dei  caratteri  peculiari  che  esso
presenta» (sentenza n. 426 del 2008; nello stesso senso, ordinanze n.
28 del 2007, n. 415 e n. 228 del 2005). 
    In particolare - nel  dichiarare  non  fondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 60 del d.lgs. n. 274 del  2000,
nella parte in cui non consente  di  applicare  le  disposizioni  del
codice penale, relative alla sospensione condizionale della pena, nei
casi di condanna a  pena  pecuniaria  per  reati  di  competenza  del
giudice di pace, neppure quando il beneficio sia stato invocato dalla
difesa - questa Corte ha  evidenziato  che  il  giudice  di  pace  e'
chiamato a conoscere di reati di ridotta gravita', espressivi, per lo
piu', di conflitti interpersonali a carattere privato. Si  tratta  di
reati per i quali «e' stato configurato un nuovo e  autonomo  assetto
sanzionatorio,    nel    segno    della    complessiva    mitigazione
dell'afflittivita',  lungo  le  tre  linee  direttrici  della  totale
rinuncia alla pena detentiva, della centralita' della pena pecuniaria
e del ricorso, nei  casi  di  maggiore  gravita'  o  di  recidiva,  a
speciali  sanzioni   "paradetentive",   limitative   della   liberta'
personale, ma comunque  nettamente  distinte  dalle  pene  carcerarie
(permanenza domiciliare e lavoro sostitutivo)» (sentenza  n.  47  del
2014). In questo contesto - che vede un rito orientato, piu' che alla
repressione del conflitto sotteso al singolo episodio criminoso, alla
sua   composizione,   oltre   che   a    finalita'    deflattive    -
l'inapplicabilita' del beneficio (per  l'imputato  condannato)  della
sospensione condizionale della pena risulta funzionale a evitare  che
le sanzioni applicabili dal giudice di pace  restino  prive  di  ogni
concreta attitudine dissuasiva e, con essa, anche della capacita'  di
fungere da stimolo alla collaborazione con l'opera di mediazione  del
giudice e alla composizione del conflitto. 
    Per le stesse ragioni e' stata ritenuta manifestamente  infondata
la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 del d.lgs. n.
274 del 2000, sollevata, in riferimento agli  artt.  3  e  24  Cost.,
nella parte in cui esclude l'applicazione  della  pena  su  richiesta
delle  parti  (cosiddetto  patteggiamento)  nel  procedimento  penale
davanti al giudice di pace (ordinanza n. 50 del 2016). 
    Le ragioni giustificative di questo duplice regime di  esclusione
di istituti di carattere sia sostanziale (la sospensione condizionale
della pena) che processuale (l'applicazione della pena su richiesta),
quali gia' affermate da  questa  Corte,  a  maggior  ragione  valgono
quando la diversita' di disciplina consiste  soltanto  nella  diversa
modulazione  dei  requisiti  della  non  punibilita'  del  fatto   di
particolare tenuita', che nel suo nucleo essenziale e' previsto tanto
dall'art. 131-bis cod. pen. per i reati  di  competenza  del  giudice
togato quanto dall'art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000 per i reati  di
competenza del giudice di pace. 
    Anche la  giurisprudenza  di  legittimita'  ha  sottolineato  «la
natura eminentemente "conciliativa" della giurisdizione di pace,  che
da' risalto peculiare alla posizione dell'offeso dal reato, tanto  da
attribuirgli, nei reati procedibili a querela, un (singolare)  potere
di iniziativa nella vocatio in jus»  (Corte  di  cassazione,  sezioni
unite penali, sentenza 16  luglio-27  ottobre  2015,  n.  43264).  Si
tratta  infatti  di  un  procedimento  «improntato  a  finalita'   di
snellezza,  semplificazione  e  rapidita',   che   lo   rendono   non
comparabile con il procedimento davanti al tribunale, e comunque tali
da giustificare sensibili deviazioni rispetto al  modello  ordinario»
(sentenza n. 298 del 2008; nello stesso senso, ordinanze  n.  28  del
2007, n. 85 e n. 415 del 2005, n. 349 del 2004). 
    Si ha quindi che, sia per i reati di  competenza  del  tribunale,
sia per quelli di competenza del giudice di pace, rileva comunque  la
particolare  tenuita'  del  fatto;  ma  i   presupposti   della   non
punibilita', nell'un caso, e  della  non  procedibilita'  dell'azione
penale, nell'altro, non sono pienamente sovrapponibili, ma segnano la
differenza tra i due istituti. 
    Lo scostamento di disciplina, maggiormente significativo, risiede
nella particolare valutazione che il giudice e' chiamato  a  fare  ai
sensi dell'art. 34  del  d.lgs.  n.  274  del  2000  per  operare  un
bilanciamento tra il pregiudizio per l'imputato e  l'interesse  della
persona offesa alla prosecuzione  del  procedimento.  Cio'  pero'  e'
coerente con le rilevate peculiarita' del processo penale innanzi  al
giudice di pace e dei reati devoluti alla sua  cognizione.  Per  tali
reati, che gia' di per se' non sono gravi, e'  richiesta  al  giudice
una valutazione piu' ampia,  arricchita  da  elementi  ulteriori.  Il
giudice deve tener conto del pregiudizio che  l'ulteriore  corso  del
procedimento puo' recare alle  esigenze  di  lavoro,  di  studio,  di
famiglia  o  di  salute  della  persona  sottoposta  ad  indagini   o
dell'imputato; pregiudizio che puo'  concorrere  a  far  ritenere  di
particolare tenuita' il fatto addebitato  all'indagato,  allargandone
la portata ove non sussista un interesse della  persona  offesa  alla
prosecuzione del procedimento. 
    Nel  complesso,  la  particolare  tenuita'  del  fatto  ai  sensi
dell'art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000 ha  uno  spettro  piu'  ampio
dell'offesa di  particolare  tenuita'  ex  art.  131-bis  cod.  pen.,
tant'e'  che  incide  piu'  radicalmente  sull'esercizio  dell'azione
penale e non gia' solo sulla punibilita'. E infatti la pronuncia  del
giudice non e' iscritta  nel  casellario  giudiziario,  a  differenza
della sentenza che dichiara la non punibilita' ex art.  131-bis  cod.
pen.;  ne',  a  differenza   di   quest'ultima,   la   pronuncia   di
improcedibilita' ex art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000  e'  idonea  a
formare alcun giudicato sull'illiceita' penale della  condotta,  come
nella fattispecie dell'art. 651-bis cod. proc. pen.; neppure, per  la
stessa  ragione,  tale  pronuncia  e'  impugnabile  dall'imputato,  a
differenza della  sentenza  di  proscioglimento  per  la  particolare
tenuita' del fatto ex art. 131-bis cod. pen.  (Corte  di  cassazione,
sezione quinta penale, sentenza 8 marzo-12 luglio 2018, n. 32010). 
    L'alternativita' delle due disposizioni emerge anche sotto  altro
aspetto. Hanno precisato le Sezioni unite (Cass., sez. un.  pen.,  n.
53683  del  2017)  che  -  quando  all'imputazione  di  un  reato  di
competenza del giudice di pace si aggiunge,  a  carico  dello  stesso
indagato o imputato, un reato di competenza del tribunale  legato  da
nesso di connessione, pur nel  limitato  ambito  applicativo  di  cui
all'art. 6 del d.lgs.  n.  274  del  2000,  secondo  cui  ricorre  la
connessione soltanto nel caso  di  persona  imputata  di  piu'  reati
commessi con la stessa unica azione od omissione (sentenza n. 64  del
2009) - si ha non solo che si radica la competenza nel tribunale  per
entrambi i reati, ma anche che vengono meno le  ragioni  del  maggior
favore per l'imputato della regola processuale della improcedibilita'
dell'azione penale  per  la  particolare  tenuita'  del  fatto  e  si
riespande la regola comune codicistica della non punibilita'  per  la
particolare tenuita' dell'offesa,  estesa  anche  al  reato  che,  in
mancanza della connessione, sarebbe stato di competenza  del  giudice
di pace. 
    7.- In vero, vi e', interna alla disciplina della  procedibilita'
dell'azione penale per i reati di competenza  del  giudice  di  pace,
anche una deroga alla regola dell'improcedibilita' ai sensi  dell'art
34 del d. lgs. n. 274 del 2000: e' quella che deriva dall'opposizione
della persona offesa dopo l'esercizio  dell'azione  penale,  prevista
dal comma 3 di tale disposizione. Infatti, in tal caso, l'opposizione
ha l'effetto di precludere al giudice - dopo che l'azione penale  sia
gia' stata esercitata non essendo stata ritenuta,  nella  fase  delle
indagini  preliminari,  la  particolare  tenuita'  del  fatto  -   la
possibilita'  di  rilevare   successivamente,   in   giudizio,   tale
presupposto; si e' parlato di "facolta' inibitoria" o di  "potere  di
veto" della persona offesa al recupero in giudizio della possibilita'
per il giudice di valutare la  particolare  tenuita'  del  fatto  per
dichiarare improcedibile l'azione penale gia' esercitata. 
    In proposito, questa Corte (ordinanza n. 63  del  2007)  ha  gia'
rilevato che l'art. 34, comma 3, del d.lgs. n. 274 del 2000  prevede,
nella fase successiva all'esercizio dell'azione penale, non gia'  una
condizione positiva (il «consenso»), ma una condizione  negativa  (la
non  opposizione:  «se  l'imputato  e  la  persona  offesa   non   si
oppongono»). 
    Successivamente le Sezioni unite (Cass., sez. un. pen., n.  43264
del  2015),  componendo  un  contrasto   di   giurisprudenza,   hanno
precisato, in termini restrittivi, la portata dell'opposizione  della
persona offesa che paralizza  l'operativita'  dello  speciale  regime
dell'art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000, affermando che la  «volonta'
di opposizione deve essere necessariamente  espressa,  non  potendosi
desumere da atti o comportamenti che non abbiano il carattere di  una
formale ed inequivoca manifestazione  di  volonta'».  Inoltre,  hanno
puntualizzato che  l'opposizione  e'  atto  personale  della  persona
offesa e va dichiarata in udienza, sicche' la mancata  partecipazione
al  dibattimento  della  persona  offesa   (regolarmente   citata   o
irreperibile) non e' ostativa della facolta' del giudice di  valutare
la sussistenza dei presupposti previsti dall'art. 34,  comma  1.  E',
pero', sufficiente la  richiesta  di  risarcimento  del  danno  della
persona offesa costituitasi parte civile, cosi' come nella specie  si
e' verificato nel giudizio a quo, secondo la narrazione  del  giudice
rimettente. 
    In  tale  evenienza,  in   cui   risulti   ritualmente   proposta
l'opposizione  della  persona  offesa  dopo  l'esercizio  dell'azione
penale, si ha che, da una parte, continua comunque a  non  applicarsi
la causa di non  punibilita'  di  cui  all'art.  131-bis  cod.  pen.,
perche' in  generale  tale  disposizione  non  riguarda  i  reati  di
competenza del giudice di pace e si e' sopra  argomentato  in  ordine
alla giustificatezza di tale regime alternativo. Ma d'altra parte, in
concreto, neppure la causa di non procedibilita' di cui  all'art.  34
del d.lgs. n. 274 del 2000 trova applicazione, ne' potrebbe ritenersi
- allo stato attuale della  giurisprudenza  -  che  si  riespanda  il
regime comune dell'art. 131-bis cod. pen.,  giacche'  la  piu'  volte
richiamata pronuncia delle sezioni unite (Cass., sez.  un.  pen.,  n.
53683 del 2017) predica cio' solo con riferimento  all'ipotesi  della
connessione con altro reato di competenza del tribunale. 
    Questa facolta' di opposizione, pero', costituisce una deroga che
appartiene alla  regolamentazione  dell'improcedibilita'  dell'azione
penale in caso di reati di competenza del giudice di pace  per  fatti
di  particolare  tenuita',  deroga  collegata  alla  speciale  tutela
riconosciuta  alla  persona  offesa,  di  cui  e'   espressione,   in
parallelo, la (parimenti derogatoria)  facolta'  di  quest'ultima  di
proporre ricorso immediato al giudice  per  i  reati  perseguibili  a
querela (art. 21 del d.lgs. n. 274 del 2000). 
    8.- In conclusione, non viola i  principi  di  eguaglianza  e  di
ragionevolezza la non applicabilita', ritenuta dalla  giurisprudenza,
della  causa  di  non  punibilita'  per   la   particolare   tenuita'
dell'offesa di cui all'art. 131-bis cod. pen. in  caso  di  reati  di
competenza del giudice di pace, per i quali opera invece la causa  di
improcedibilita' dell'azione penale per la particolare  tenuita'  del
fatto di cui all'art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000. 
    La sollevata questione di legittimita' costituzionale  va  quindi
dichiarata non fondata. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art.  131-bis  del  codice  penale,  sollevata,  in  riferimento
all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale  ordinario  di  Catania,
con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 aprile 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                     Giovanni AMOROSO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 16 maggio 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA