N. 48 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 15 marzo 2019

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 15  marzo  2019  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Appalti  pubblici  -  Norme  della  Regione  Toscana   -   Legge   di
  manutenzione dell'ordinamento regionale 2018 - Disposizioni per  la
  semplificazione  amministrativa  delle  procedure  negoziate  sotto
  soglia - Modifiche all'art. 35-ter della legge regionale n. 38  del
  2007. 
Impiego  pubblico  -  Norme  della  Regione  Toscana   -   Legge   di
  manutenzione  dell'ordinamento  regionale  2018  -  Mobilita'   dei
  dirigenti - Modifiche all'art. 18 della legge regionale  n.  1  del
  2009. 
Opere pubbliche - Procedimento amministrativo - Norme  della  Regione
  Toscana - Legge di manutenzione dell'ordinamento regionale  2018  -
  Interventi, progetti  e  opere  oggetto  di  dibattito  pubblico  -
  Modifiche all'art. 8 della legge regionale n. 46 del 2013. 
- Legge della  Regione  Toscana  7  gennaio  2019,  n.  3  (Legge  di
  manutenzione dell'ordinamento regionale 2018), artt. 2, commi  1  e
  2, 11 e 18; «nonche', in via conseguenziale»  legge  della  Regione
  Toscana 2 agosto  2013,  n.  46  (Dibattito  pubblico  regionale  e
  promozione della partecipazione alla elaborazione  delle  politiche
  regionali e locali), art. 8, commi 5 e 6. 
(GU n.23 del 5-6-2019 )
    Ricorso  ai  sensi  dell'art.  127  della  Costituzione  per   il
Presidente  del   Consiglio   dei   ministri   (codice   fiscale   n.
80188230587), in persona del Presidente  del  Consiglio  pro-tempore,
rappresentato e difeso in virtu' di  legge  dall'avvocatura  generale
dello Stato (Fax 06/96514000 PEC ags_m2@mailcert.avvocaturastato.it),
presso i cui uffici e' legalmente domiciliato in Roma, alla  via  dei
Portoghesi n. 12 contro la Regione Toscana, in persona del Presidente
pro tempore  della  Giunta  regionale,  nella  sua  sede  in  Firenze
(50122), Palazzo Strozzi Sacrati, Piazza del  Duomo  n.  10,  per  la
declaratoria della illegittimita' costituzionale 
      1) dell'art. 2, commi  1  e  2,  della  legge  regionale  della
Toscana 7 gennaio 2019, n. 3, per contrasto con l'art. 117, comma 1 e
comma 2, lettera e) della Costituzione; 
      2) dell'art. 11 della legge regionale della Toscana  7  gennaio
2019,  n.  3,  per  contrasto  con  gli  articoli  97  e   98   della
Costituzione; 
      3) dell'art. 18 della legge regionale della Toscana  7  gennaio
2019, n. 3 e, in via conseguenziale, dell'art. 8, commi 5 e 6,  della
legge regionale della Toscana 2 agosto 2013, n. 46, per contrasto con
gli articoli 118, comma 1, e 97 della Costituzione; 
    giusta deliberazione del Consiglio dei Ministri in data  7  marzo
2019; 
    Sul Bollettino ufficiale della Regione  Toscana  dell'11  gennaio
2019, n. 3, sezione I, e' stata pubblicata la legge  regionale  n.  3
del   7   gennaio   2019,   intitolata   «Legge    di    manutenzione
dell'ordinamento regionale 2018». 
    Tale  legge  contiene,  per  la  piu'  parte,   disposizioni   di
adeguamento dell'ordinamento regionale  a  norme  sopravvenute  o  ad
impegni assunti dalla Regione con il Governo. 
    Alcune  disposizioni  di  tale  legge   sono   costituzionalmente
illegittime. 
    Segnatamente,   l'art.   2,   rubricato   «Disposioni   per    la
semplificazione  della  gestione   amministrativa   delle   procedure
negoziate  sotto  soglia.  Modifiche  all'art.  35-ter  della   legge
regionale n. 38/2007, contrastando con  l'art.  56,  comma  2,  della
Direttiva UE 26 febbraio 2014, n. 2014/24/UE, viola l'art. 117, comma
1, Cost. a mente del quale la potesta' legislativa delle  Regioni  e'
esercitata  nel  rispetto,  tra  l'altro,   dei   vincoli   derivanti
dall'ordinamento comunitario;  e,  contrastando  pure  con  la  norma
interposta di cui all'art. 133, comma 8, del decreto  legislativo  18
aprile 2016, n. 50, viola anche l'art. 117, comma 2, lettera e) Cost.
che riserva allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia
di «tutela della concorrenza». 
    L'art.  11  della  legge  regionale,  rubricato  «Mobilita'   dei
dirigenti. Modifiche all'art. 18 della  legge  regionale  n.  1/2009»
viola le norme di cui agli  articoli  97  e  98  della  Costituzione,
mentre l'art. 18 della stessa legge, rubricato «Interventi,  progetti
e opere oggetto di Dibattito pubblico.  Modifiche  all'art.  8  della
legge regionale 46/2013»,  viola  invece  i  parametri  di  cui  agli
articoli 118, comma 1, e 97 della Carta. 
    Tali disposizioni, eccedendo le competenze regionali ed invadendo
quelle statali ovvero violando direttamente precetti  costituzionali,
vengono percio' impugnate con il presente ricorso ex art.  127  Cost.
affinche' ne sia dichiarata l'illegittimita' costituzionale e ne  sia
pronunciato il conseguente annullamento per i seguenti 
 
                          Motivi di diritto 
 
 
                                  I 
 
L'art. 2 della legge regionale Toscana n. 3/2019 
    L'art. 2 della legge in esame interviene nella legge regionale 13
luglio 2007, n. 38 - recante «Norme in materia di contratti  pubblici
e relative disposizioni sulla sicurezza e regolarita' del  lavoro»  -
e, segnatamente, sull'art. 35-ter della stessa -  aggiunto  dall'art.
1, comma 1, della legge regionale 6 agosto 2018, n. 46  -  del  quale
modifica entrambi i commi nei quali la disposizione si articola. 
    Piu' precisamente, il comma 1 dell'art. 2 della  legge  regionale
n. 3/2019 stabilisce che:   -  «1.  Il  secondo  periodo  del  commal
dell'art. 35-ter della legge regionale 13 luglio 2007, n.  38  (Norme
in materia  di  contratti  pubblici  e  relative  disposizioni  sulla
sicurezza e regolarita'  del  lavoro)  e'  sostituito  dal  seguente:
«Nell'avviso di manifestazione di  interesse  e'  indicato  che  sono
invitati  tutti  gli  operatori  economici  che   hanno   manifestato
interesse, l'intenzione di avvalersi della facolta' di cui  al  primo
capoverso e le modalita' di verifica, anche a campione,  dell'assenza
dei motivi di esclusione e del rispetto dei criteri di selezione.». 
    Il comma 2 dell'art. 2 della legge regionale  n.  3/2019  dispone
invece che «Al comma 2 dell'art.  35-ter  della  legge  regionale  n.
38/2007 le  parole:  «nel  bando»  sono  sostituite  dalle  seguenti:
«nell'avviso.». 
    Giova a questo punto ricordare che l'art. 1, comma 1, della legge
regionale n. 46/2018 -che, come s'e' detto, ha  aggiunto  alla  legge
regionale n. 38/2007 la norma (l'art.  35-ter)  sulla  quale  e'  ora
intervenuto l'art. 2 della legge regionale n.  3/2019  -  ha  formato
oggetto di ricorso ex art. 127 Cost. notificato  in  data  8  ottobre
2018 - r.ric. n. 73/2018  -  perche'  la  disposizione,  contrastando
(anch'essa) con l'art. 56, comma 2, della  Direttiva  2014/24/UE,  e'
stata ritenuta violativa dell'art. 117, comma 1,  Cost.;  e  perche',
contrastando pure con la norma di cui  all'art.  133,  comma  8,  del
decreto legislativo n. 50/2016, e' stata considerata altresi'  lesiva
dell'art. 117, comma 2, lettera e) Cost.. 
    L'art. 35-ter  della  legge  regionale  n.  38/2007  era  infatti
originariamente  cosi'  formulato:  «1.  Nelle  procedure  negoziate,
quando il criterio di aggiudicazione e' quello del minor  prezzo,  le
stazioni  appaltanti  possono  decidere  di  esaminare   le   offerte
economiche  prima  di  verificare  la  documentazione  amministrativa
attestante l'assenza dei motivi di  esclusione  ed  il  rispetto  dei
criteri di selezione ai sensi del  decreto  legislativo  n.  50/2016.
Nell'avviso di manifestazione di interesse sono indicate l'intenzione
di avvalersi di tale possibilita' e le modalita' di venfica, anche  a
campione, dell'assenza dei motivi di esclusione e  del  rispetto  dei
criteri di selezione. 
    2. La verifica di cui al comma 1 e' effettuata nel  rispetto  dei
principi di imparzialita' e trasparenza, in modo che  nessun  appalto
sia aggiudicato ad un offerente che debba  essere  escluso  ai  sensi
dell'art. 80 del decreto legislativo n. 50/2016 o che non soddisfi  i
criteri di selezione stabiliti nel bando. Nel  caso  di  applicazione
dell'esclusione automatica delle offerte di cui all'art. 97, comma 8,
del  decreto  legislativo  n.  50/2016,  la  soglia  di  anomalia  e'
ricalcolata sulla base dell'esito della verifica». 
    Con l'atto di impugnazione si e' eccepito che la norma  regionale
in questione, prevedendo che nelle  procedure  negoziate,  quando  il
criterio di aggiudicazione e' quello del minor  prezzo,  le  stazioni
appaltanti possono decidere di esaminare le offerte economiche  prima
di verificare la documentazione amministrativa  attestante  l'assenza
di motivi di esclusione ed il rispetto dei criteri  di  selezione  ai
sensi del  decreto  legislativo  n.  50/2016,  contrasta  con  quanto
disposto dall'art.  56,  comma  2,  della  Direttiva  2014/24/UE  del
Parlamento europeo e del Consiglio  il  quale  consente  l'inversione
dell'apertura  delle  buste  -  e,  quindi,  l'esame  delle   offerte
economiche prima della verifica dell'assenza di motivi di  esclusione
e del rispetto dei criteri di  selezione  -  solo  ed  esclusivamente
nelle procedure aperte e non anche in quelle negoziate: principio poi
recepito e ribadito - a livello nazionale - dall'art. 133,  comma  8,
del decreto legislativo n. 50/2016,  come  modificato  dall'art.  83,
comma 1, del decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56. 
    E si e' percio' concluso che la norma regionale impugnata si pone
in contrasto, come s'e' detto, sia  con  l'art.  56  della  Direttiva
2014/24/UE sia con l'art. 133, comma 8, del  decreto  legislativo  n.
50/2016 quale norma interposta,  violando  cosi'  tanto  l'art.  117,
comma 1, Cost. quanto l'art. 117, comma 2, lettera e) Cost.. 
    Detto giudizio di costituzionalita' e' tuttora pendente. 
    In questo contesto, l'art. 2 della legge regionale oggetto  della
presente impugnazione apporta all'art. 35-ter della  legge  regionale
n. 38/2007 modifiche del tutto marginali, inserendo, in aggiunta,  la
previsione  che  nell'avviso  di  manifestazione  di  interesse   «e'
indicato che sono invitati tutti gli operatori  economici  che  hanno
manifestato interesse» (comma 1), sostituendo le parole  «nel  bando»
con quelle «nell'avviso» (comma 2) e lasciando per il resto  immutato
il testo previgente. 
    In tal modo la  norma  oggetto  del  precedente  ricorso  subisce
modifiche di mero dettaglio, prive di carattere sostanziale, che  non
eliminano il vizio che ne determina  l'illegittimita'  costituzionale
costituito dal fatto che,  contrariamente  a  quanto  previsto  dalla
disciplina comunitaria e nazionale di settore, quando il criterio  di
aggiudicazione e' quello del minor  prezzo,  le  stazioni  appaltanti
hanno la possibilita' di anticipare l'esame delle offerte rispetto al
controllo del possesso dei requisiti di  partecipazione  anche  nelle
procedure negoziate. 
    Ed infatti, come s'e' detto nella precedente impugnazione, l'art.
56, comma 2, della Direttiva 2014/24/UE ha previsto  la  possibilita'
di  invertire  l'ordine  di  apertura  delle  buste  soltanto   nelle
procedure di gara aperte e non anche in quelle  negoziate,  principio
poi recepito nell'ordinamento interno dall'art.  133,  comma  8,  del
codice dei contratti pubblici. 
    Se il legislatore nazionale ha dunque previsto la possibilita' di
anticipare l'esame delle offerte rispetto al controllo  del  possesso
dei requisiti di partecipazione soltanto nelle  procedure  aperte  di
importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria - analogamente
a quanto previsto dal legislatore sovranazionale per le procedure  di
importo superiore a quelle soglie -, implicitamente escludendo quella
possibilita' per le procedure negoziate, deve logicamente concludersi
che anche il legislatore regionale, doppiamente vincolato  sul  punto
dai limiti rivenienti dalle previsioni di cui al primo e  al  secondo
comma, lettera e) dell'art. 117 della Carta costituzionale, non  puo'
prevedere  quella  possibilita'  con   riferimento   alle   procedure
negoziate senza impingere nella contestuale violazione di entrambi  i
parametri costituzionali sopra indicati. 
    Conclusione, questa, che trova conferma nella  giurisprudenza  di
codesta Ecc.ma  Corte  la  quale  ha  in  piu'  occasioni  dichiarato
l'incostituzionalita' di una norma che, nel modificare una precedente
norma impugnata, si sia limitata alla sostituzione di alcune  parole,
senza mutarne la  sostanza:  si  veda,  ex  multis,  la  sentenza  n.
179/2012 la quale, a fronte di una modifica semplicemente formale del
testo di una norma gia' impugnata, ha affermato che la «... modifica,
in conseguenza  del  suo  carattere  sostanzialmente  marginale,  non
incide in alcun modo sul  contenuto  precettivo  delle  di  posizioni
impugnate. Pertanto, la questione di legittimita' costituzionale - in
forza del principio di effettivita'  della  tutela  costituzionale  -
deve essere trasferita sulla norma nel testo risultante dalla  ultima
modifica» (nel medesimo senso v. la sentenza n. 159/2012). 
    Principio, questo, che vale, a piu' forte  ragione,  nell'ipotesi
in cui - come nella fattispecie - la nuova norma non incide,  neppure
marginalmente,   sul   profilo   da   cui   deriva   l'illegittimita'
costituzionale della norma precedente. 
    La  differente  formulazione,  inoltre,  secondo  codesto  Ecc.mo
Collegio, impone, nonostante il  trasferimento  della  questione,  la
dichiarazione di illegittimita'  della  norma  in  entrambi  i  testi
scrutinati, e, quindi,  anche  in  quello  modificato  rispetto  alla
originaria formulazione della norma. 
    Si insiste pertanto acche' l'art. 2 della legge regionale Toscana
n. 3/2019 sia dichiarato costituzionalmente illegittimo. 
 
                                 II 
 
L'art. 11 della legge regionale Toscana n. 3/2019 
    L'art. 11 della legge regionale n. 3/2019 interviene invece sulla
legge regionale 8 gennaio 2009, n. 1 - recante  il  «Testo  unico  in
materia  di  organizzazione  e  ordinamento  del  personale»   -   e,
segnatamente, sull'art. 18 della stessa legge del quale modifica  nel
modo  che  segue  il  secondo   comma:   «Nel   corso   dell'incarico
dirigenziale il direttore generale  e  i  direttori,  per  specifiche
esigenze organizzative, possono: 
      a)  sentiti  i  dirigenti  interessati,  disporre  la  modifica
dell'incarico ai dirigenti della struttura di cui sono responsabili; 
      b)  sentiti  i  dirigenti  interessati,  assegnarli  ad   altro
incarico di livello corrispondente; 
      e) assegnare un incarico di differente livello,  esclusivamente
previo consenso del dirigente interessato». 
    Anche  tale  disposizione   e'   costituzionalmente   illegittima
violando, come si vedra', i principi di cui agli  articoli  97  e  98
della Costituzione. 
    E' dunque d'uopo rammentare che l'art. 19 del decreto legislativo
30 marzo 2001, n. 165 -recante le  «Norme  generali  sull'ordinamento
del  lavoro  alle  dipendenze  delle  amministrazioni  pubbliche»   -
prevede, per quanto qui interessa: 
      1) al comma  1,  che  «Ai  fini  del  conferimento  di  ciascun
incarico di funzione dirigenziale si tiene conto, in  relazione  alla
natura e alle caratteristiche  degli  obiettivi  prefissati  ed  alla
complessita' della struttura interessata, delle  attitudini  e  delle
capacita'  professionali  del  singolo   dirigente,   dei   risultati
conseguiti in precedenza nell'amministrazione di appartenenza e della
relativa  valutazione,  delle  specifiche  competenze   organizzative
possedute,  nonche'  delle  esperienze  di  direzione   eventualmente
maturate  all'estero,  presso  il  settore  privato  o  presso  altre
amministrazioni  pubbliche,   purche'   attinenti   al   conferimento
dell'incarico. Al conferimento degli  incarichi  e  al  passaggio  ad
incarichi diversi non si applica l'art. 2103 del codice civile»; 
      2) al comma 1- ter,  che  «Gli  incarichi  dingenziali  possono
essere revocati esclusivamente nei casi e con  le  modalita'  di  cui
all'art. 21, comma 1, secondo periodo»; 
      3) al comma 2, che «Tutti gli incarichi di funzione dingenziale
nelle amministrazioni dello Stato,  anche  ad  ordinamento  autonomo,
sono conferiti secondo le disposizioni del presente articolo. Con  il
provvedimento di  conferimento  dell'incarico,  ovvero  con  separato
provvedimento  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  o  del
Ministro competente per  gli  incarichi  di  cui  al  comma  3,  sono
individuati l'oggetto dell'incarico e gli  obiettivi  da  conseguire,
con riferimento alle priorita', ai  piani  e  ai  programmi  definiti
dall'organo di vertice nei propri atti di indirizzo e alle  eventuali
modifiche degli stessi  che  intervengano  nel  corso  del  rapporto,
nonche' la durata  dell'incarico,  che  deve  essere  correlata  agli
obiettivi prefissati e che, comunque, non puo' essere inferiore a tre
anni ne' eccedere il termine di cinque anni. La durata  dell'incarico
puo' essere inferiore a tre anni se coincide con il conseguimento del
limite di eta' per il collocamento  a  riposo  dell'interessato.  Gli
incarichi  sono  rinnovabili.  Al   provvedimento   di   conferimento
dell'incarico accede un contratto individuale con cui e' definito  il
corrispondente  trattamento  economico,  nel  rispetto  dei  principi
definiti dall'art. 24. E' sempre ammessa la  risoluzione  consensuale
del rapporto». 
    Inoltre, l'art. 27, comma 1,  del  medesimo  decreto  legislativo
stabilisce che «Le regioni a statuto ordinario, nell'esercizio  della
propria potesta' statutaria, legislativa e regolamentare, e le  altre
pubbliche  amministrazioni,  nell'esercizio  della  propria  potesta'
statutaria e regolamentare, adeguano ai principi dell'art.  4  e  del
presente capo i propri  ordinamenti,  tenendo  conto  delle  relative
peculiarita'. Gli enti pubblici non economici nazionali si  adeguano,
anche  in  deroga  alle  speciali  disposizioni  di  legge   che   li
disciplinano, adottando appositi regolamenti di organizzazione». 
    Come chiarito, anche  recentemente,  dalla  giurisprudenza  della
Suprema Corte di Cassazione, "[...] Nel lavoro pubblico privatizzato,
alla  qualifica  dirigenziale   corrisponde   soltanto   l'attitudine
professionale all'assunzione di incarichi dirigenziali  di  qualunque
tipo,   e   non   e'   pertanto   applicabile   -   come,   peraltro,
e.spressamenteprevisto dal decreto legislativo n. 165 del 2001,  art.
19 - l'art. 2103 del codice civile, risultando la regola del rispetto
di determinate specifiche professionalita' acquisite non  compatibile
con lo statuto del dirigente pubblico locale, con la  sola  eccezione
della dirigenza tecnica, la quale va tuttavia interpretata  in  senso
stretto, ossia nel senso che il dirigente tecnico, il cui incarico e'
soggetto ai principi della  temporaneita'  e  della  rotazione,  deve
comunque svolgere mansioni tecniche (Cass., n. 3451 del 2010). 
    9. Tuttavia, con riguardo all'istituto  della  revoca  anticipata
(di cui all'art. 22  del  CCNL  dirigenza  enti  locali  del  1996  e
all'art. 13 del CCNL dirigenza enti locali del 1999), ai  fini  della
salvaguardia  dei  principi  costituzionali  di  buon  andamento   ed
imparzialita' dell'amministrazione, la revoca  deve  essere  adottata
con un atto formale e deve essere motivata in  modo  esplicito  e  le
ragioni organizzative,  per  costituire  legittimo  fondamento  della
revoca anticipata  dell'incarico  dirigenziale,  devono  attenere  al
settore cui e' preposto il dirigente»  (cosi'  Cass.,  sez.  lav.,  3
febbraio 2017, n. 2972). 
    Da tanto deriva che: 
      a) qualunque modifica dell'incarico dirigenziale conferito  non
puo' avvenire che su base consensuale; 
      b)  la  revoca  dell'incarico  dirigenziale  puo'  aver   luogo
esclusivamente nei casi in cui, ai sensi  dell'art.  21  del  decreto
legislativo n. 165/2001, sia ravvisabile una responsabilita' di  tipo
dirigenziale. 
    Tali  principi  generali  in  materia  di  dirigenza  pubblica  -
rivenienti dalle disposizioni contenute nel Capo II del Titolo II del
decreto legislativo n.  165/2001  -  vincolano  anche  le  regioni  a
statuto  ordinario  le  quali,  a  mente  di  quanto  stabilito   dal
richiamato art. 27 dello stesso decreto legislativo, sono  tenute  ad
adeguarsi,  nell'esercizio   della   propria   potesta'   statutaria,
legislativa e regolamentare, ai principi ivi fissati. 
    L'art. 11 della legge regionale Toscana n. 3/2019 non si conforma
invece a quei principi. 
    Ed infatti, quantomeno nelle ipotesi di cui alle lettera a) e  b)
del comma 2 dell'art. 18 della legge regionale n. 1/2009 -  come  ora
novellato dall'art. 11 della legge regionale n. 3/2019 -, la modifica
dell'incarico dirigenziale avviene in modo unilaterale, su iniziativa
del direttore generale o dei  direttori,  e  senza  il  consenso  del
dirigente interessato; 
    Inoltre, la revoca dell'incarico conferito e l'assegnazione di un
incarico differente, pur essendo, nel caso di cui alla lettera c) del
comma 2 dell'art. 18 della legge regionale n. 1/2009 - anch'esso come
novellato dall'art. 11 della legge regionale n. 3/2019 - condizionata
al consenso del dirigente, prescinde completamente  dalla  ricorrenza
di  un'ipotesi  di  responsabilita'  dirigenziale,   potendo   essere
disposta sulla sola base di non meglio individuate esigenze  di  tipo
organizzativo. 
    Per questi profili, la disciplina recata dall'art. 11 della legge
regionale in questione confligge, come s'e' detto, con i principi  di
buon andamento e di imparzialita' della pubblica  amministrazione  di
cui agli articoli 97 e 98 della Costituzione. 
 
                                 III 
 
L'art. 18 della legge regionale Toscana n. 3/2019 
    L'art.  18  della  legge  regionale   n.   3/2019   -   rubricato
«Interventi,  progetti  e  opere  oggetto  di   Dibattito   Pubblico.
Modifiche all'art. 8 della LR 46 / 2013» - modifica invece  l'art.  8
della legge regionale 2 agosto 2013,  n.  46,  intitolata  «Dibattito
pubblico   regionale   e   promozione   della   partecipazione   alla
elaborazione delle politiche regionali e locali». 
    L'art.  8  della  legge  regionale  n.  46/2013   individua   gli
interventi, i progetti e  le  opere  oggetto  di  dibattito  pubblico
stabilendo sia i casi nei quali si deve fare o  puo'  farsi  luogo  a
dibattito pubblico (commi 1, 2 e 3) sia quelli nei quali  non  si  fa
luogo a dibattito pubblico (comma 4). 
    Il comma 5 dell'art. 8 stabilisce poi che «Il Dibattito  Pubblico
si svolge sulle seguenti tipologie di opere nazionali per le quali la
Regione e' chiamata ad esprimersi: 
      a) infrastrutture stradali e ferroviarie; 
      b) elettrodotti; 
      c) impianti per il trasporto o lo stoccaggio di combustibili, 
      d) porti e aeroporti; 
      e) bacini idroelettrici e dighe; 
      f) reti di radiocomunicazione»; mentre il  successivo  comma  6
disciplina le modalita' di svolgimento del dibattito pubblico per  le
opere indicate dal comma precedente. 
    L'art. 18 della legge regionale n. 3/2019 aggiunge, alle  ipotesi
nelle quali non si effettua il dibattito  pubblico,  un  altro  caso,
prevedendo che a questo non si fa luogo anche «per le opere nazionali
di cui al comma 5, quando il  regolamento  emanato  con  decreto  del
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  10  maggio  2018,  n.   76
(Regolamento recante modalita' di  svolgimento,  tipologie  e  soglie
dimensionali delle opere sottoposte a dibattito pubblico) prevede  lo
svolgimento del  dibattito  pubblico  ivi  disciplinato.»  (cosi'  la
lettera b-bis,  aggiunta,  dall'art.  18  della  legge  regionale  n.
3/2019, al comma 4 dell'art. 8 della legge regionale n. 46/2013). 
    La disposizione di cui all'art. 8, comma 4, della legge regionale
n. 46/2013 - come modificata dall'art. 18 della  legge  regionale  n.
3/2019 -, letta in combinato disposto con i successivi commi  5  e  6
dello stesso art.  8,  determina  un'indebita  sovrapposizione  della
normativa regionale  con  la  regolamentazione  statale  dettata  dal
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 76 del 10 maggio
2018 («Regolamento recante  modalita'  di  svolgimento,  tipologie  e
soglie dimensionali delle opere sottoposte  a  dibattito  pubblico»),
provocando  incertezza  in  ordine  alla   disciplina   in   concreto
applicabile nelle diverse ipotesi. 
    Occorre infatti rammentare che l'art. 22 del decreto  legislativo
18 aprile 2016, n. 50 ha previsto che con decreto del Presidente  del
Consiglio dei ministri siano fissati i criteri  per  l'individuazione
delle «grandi opere infrastrutturali e di  architettura  di  rilevana
sociale, aventi impatto sull'ambiente, sulle  citta'  e  sull'assetto
del territorio», distinte per tipologia e soglie dimensionali, per le
quali  e'  obbligatorio  il  ricorso  alla  procedura  di   dibattito
pubblico; e siano altresi' definiti le modalita' di svolgimento e  il
termine di conclusione della medesima procedura. 
    In attuazione di tale disposizione e' stato pertanto  emanato  il
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 76/2018 il quale
ha stabilito che  "sono  soggette  a  dibattito  pubblico,  ai  sensi
dell'art. 22, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo n. 50
del 2016, le opere rientranti nelle tipologie di cui all'allegato  1»
al medesimo decreto presidenziale (art. 3, comma 1): in tale allegato
sono percio' elencate tali opere  distinte  per  tipologie  e  soglie
dimensionali. 
    Lo stesso art. 3 del decreto del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri n. 76/2018 prevede anche i casi nei  quali  si  fa  luogo  a
riduzione dei parametri  di  riferimento  delle  soglie  dimensionali
(comma 2) nonche' le modalita' di svolgimento del dibattito  pubblico
per le opere di cui all'allegato 1 di importo compreso tra la  soglia
ivi indicata e due  terzi  della  medesima  (comma  3):  sono  infine
indicate le fattispecie nelle quali  il  dibattito  pubblico  non  si
effettua (comma 5). 
    Le  tipologie  di  opere  genericamente  indicate  dal  comma   5
dell'art. 8 della legge regionale n. 46 del 2013  comprendono  quindi
anche opere che, in base alla disciplina apprestata dal  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri n. 76/2018, non sono soggette a
dibattito pubblico. 
    Accade infatti che opere nazionali di interesse regionale  -  pur
rientrando, in astratto, tra quelle elencate dal comma 5 dell'art.  8
della legge regionale  n.  46  del  2013  -  non  siano  in  concreto
assoggettate al dibattito pubblico previsto dalla  normativa  statale
perche' non raggiungono le soglie dimensionali o  di  valore  fissate
dall'Allegato al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n.
76/2018; ovvero perche' diverse dalle ulteriori fattispecie  indicate
dall'art.  3  del  decreto  presidenziale;  ovvero   ancora   perche'
rientrano tra quelle per le quali lo stesso art. 3  del  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri citato esclude  che  si  faccia
luogo a dibattito pubblico. 
    Le opere nazionali di interesse regionale le quali,  pur  essendo
escluse, per le ragioni di cui sopra, dal dibattito pubblico previsto
dalla normativa statale, rientrano  tra  le  tipologie  elencate  dal
comma 5 dell'art. 8 della legge regionale n. 46 del 2013, per effetto
del combinato disposto dei commi 4 -  come  modificato  ed  integrato
dall'art. 18 della legge regionale n. 3/2019 -, 5  e  6  della  legge
regionale n. 46/2013, sono quindi sottoposte  al  dibattito  pubblico
regionale previsto dalla stessa legge regionale n. 46/2013. 
    Sotto questo profilo, l'art. 18 della legge regionale n. 3/2019 -
e, quindi, il comma 4 della legge regionale n. 46/2013, come da  essa
modificato ed integrato -, nonche', in via conseguenziale, i commi  5
e 6 della stessa legge regionale n. 46/2013, sono  costituzionalmente
illegittimi contrastando sia con l'art. 118, comma 1, Cost.  sia  con
l'art. 97 Cost.. 
    Ed  infatti,  per  le  «grandi  opere   infrastrutturali   e   di
architettura di  rilevanza  sociale,  aventi  impatto  sull'ambiente,
sulle citta' e sull'assetto del territorio» indicate dall'art. 22 del
decreto  legislativo  n.  50/2016  e  dettagliate  dal  decreto   del
Presidente del Consiglio dei ministri n. 76/2018, solo lo Stato ha il
potere di individuare quelle  -  nazionali  -  oggetto  di  dibattito
pubblico. 
    Le Regioni, di conseguenza, non hanno il potere di assoggettare i
progetti relativi alle opere anzidette, ancorche' di loro  interesse,
perche' in relazione ad esse  chiamate  ad  esprimersi,  a  dibattito
pubblico regionale, come invece previsto,  per  la  Regione  Toscana,
dalla legge regionale n. 46/2013. 
    Per le opere nazionali - anche se di interesse regionale - per le
quali lo Stato esclude il dibattito pubblico - statale - (altrimenti)
previsto dall'art. 22  del  decreto  legislativo  n.  50/2016  e  dal
decreto del Presidente del Consiglio  dei  ministri  n.  76/2018,  e'
altresi' escluso anche il dibattito pubblico regionale. 
    E la ragione di cio' si rinviene, da un lato,  nella  circostanza
che la  realizzazione  delle  «grandi  opere  infrastrutturali  e  di
architettura di  rilevanza  sociale,  aventi  impatto  sull'ambiente,
sulle citta' e sull'assetto del territorio» di cui  all'art.  22  del
decreto legislativo  n.  50/2016  rientra  nell'esclusiva  competenza
dello Stato; e, per un altro, nel fatto che l'assoggettamento di tali
opere al dibattito pubblico regionale pure nelle ipotesi  in  cui  la
normativa statale esclude il dibattito «nazionale» si traduce  in  un
evidente    appesantimento     ed     aggravamento     dell'attivita'
amministrativa, nonche' in un inevitabile allungamento dei  tempi  di
realizzazione dei progetti: con  conseguente  interferenza  regionale
nell'esercizio di funzioni amministrative  riservate  allo  Stato  al
fine di assicurarne l'esercizio unitario e correlato pregiudizio  del
principio di buon andamento dell'amministrazione pubblica. 
    Tale conclusione appare del resto coerente con l'insegnamento  di
codesta Ecc.ma Corte  che,  proprio  di  recente,  ha  delineato  con
estrema  chiarezza  la  fisionomia,  la   finalita'   ed   i   limiti
dell'istituto del dibattito pubblico. 
    Nella sentenza n. 235 del 2018 codesto Ecc.mo Collegio ha infatti
precisato, in relazione al decreto del Presidente del  Consiglio  dei
ministri n. 76/2018, quanto segue: «4. - Si tratta,  dunque,  di  una
disciplina esaustiva dell'istituto alla cui stregua, da una parte, e'
da escludere che soggetti  diversi  da  quelli  individuati,  possano
prendere l'iniziativa; dall'altra, vi  e'  la  garanzia  che  vengano
adeguatamente in rilievo le  esigenze  e  i  problemi  dei  territori
incisi dall'opera,  atteso  che  le  posizioni  emergenti  a  livello
locale, facenti capo a soggetti pubblici e privati, possono e debbono
trovare spazio nel dibattito pubblico statale,  il  quale,  per  come
strutturato, e' fisiologicamente teso a consentire di convogliare  in
tale  sede  contributi,  confronti   e   conflitti   con   cittadini,
associazioni ed istituzioni di ogni livello. 
    5. L'intervento  del  legislatore   regionale   comporta   dunque
l'intederenza  lamentata  dal  ricorrente  e  quindi  la   violazione
dell'art. 118, primo comma, Cost.. 
    6. Tale intervento appare  peraltro  ingiustificato  anche  sotto
altro e sostanziale profilo. 
    6.1. L'assetto dato a questa fondamentale fase  del  procedimento
deve, infatti, ritenersi un ragionevole punto di  equilibrio  fra  le
esigenze della partecipazione e quelle dell'efficienza. 
    Non vi e' dubbio che, come evidenzia anche il Consiglio di  Stato
nel proprio parere n. 855 del 1° aprile 2016 sullo schema di  decreto
legislativo recante «Codice degli appalti pubblici e dei contratti di
concessione», il dibattito pubblico sia «uno strumento essenziale  di
coinvolgimento   delle   collettivita'   locali   nelle   scelte   di
localizzazione e  realizzazione  di  grandi  opere  aventi  rilevante
impatto ambientale, economico e sociale sul territorio coinvolto». 
    Esso  configura,  analogamente  alPinchiesta  pubblica   prevista
dall'art. 24-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme
in materia ambientale,), una fondamentale  tappa  nel  cammino  della
cultura  della  partecipazione,  rappresentata  da  un   modello   di
procedimento  amministrativo  che  abbia,   tra   i   suoi   passaggi
ineliminabili,  il  confronto   tra   la   pubblica   amministrazione
proponente  l'opera  e  i  soggetti,  pubblici  e  privati,  ad  essa
interessati e coinvolti dai  suoi  effetti,  alimentandosi  cosi'  un
dialogo che, da un lato, faccia emergere eventuali piu' soddisfacenti
soluzioni  progettuali,  e,  dall'altra,  disinneschi  il   conflitto
potenzialmente implicito in qualsiasi intervento  che  abbia  impatto
significativo sul territorio. 
    Ma proprio perche' si e' in presenza  di  un  prezioso  strumento
della  democrazia  partecipativa,  se  ne  devono  evitare  abusi   e
arbitrarie ripetizioni, in particolare  con  riferimento  ai  diversi
piani (statale e regionale) su cui lo stesso deve svolgersi, pena  un
ingiustificato appesantimento dell'intera procedura. 
    6.2. Cio' e' appunto quanto si verifica nel caso in questione, in
cui  il  dibattito  pubblico  previsto  dal   legislatore   regionale
costituisce una  duplicazione  di  quello  previsto  dalla  normativa
statale  e  quindi  comporta  prolungamenti   dei   tempi   delPnione
amministrativa e un aggravamento degli oneri procedimentali senta che
ne sussista alcuna giustificazione. 
    7. Risulta dunque fondata anche la censura dedotta dal ricorrente
di violazione dell'art.  97,  primo  comma,  Cost.  per  lesione  del
principio di buon andamento dell'amministrazione...». 
    Alla luce  di  tale  autorevole  insegnamento  si  deve  pertanto
concludere che il dibattito pubblico regionale sulle opere  nazionali
di rilevante impatto ambientale, economico e sociale e'  escluso  non
soltanto quando, come nel caso deciso, esso costituirebbe  un'inutile
duplicazione del dibattito pubblico  gia'  previsto  dalla  normativa
statale, ma anche nell'ipotesi, che qui ricorre, in cui questa stessa
normativa escluda, tout  court,  che  si  faccia  luogo  a  dibattito
pubblico. 
    Per il complesso delle considerazioni  che  precedono  l'art.  18
della legge regionale n. 3/2019,  contrastando  con  il  decreto  del
Presidente del Consiglio dei  ministri  n.  76  del  2018,  attuativo
dell'art. 22 del decreto legislativo n. 50/2016, viola quindi, per le
ragioni esposte, sia l'art. 118, comma 1, Cost. sia l'art.  97  della
Carta  fondamentale;  e,  per  la  connessione  che  li   lega   alla
disposizione - il comma  4  dell'art.  8  della  legge  regionale  n.
46/2013 - modificata dall'art. 18 della legge  regionale  n.  3/2019,
parimenti incostituzionali - e per i medesimi motivi - debbono in via
conseguenziale ritenersi anche i commi 5 e  6  dello  stesso  art.  8
della legge regionale n. 46 del 2013; ai quali pertanto espressamente
si  chiede  che  si  estenda  -  ai  sensi  dell'art.   27,   secondo
periodo, legge dell'11  marzo  1953,  n.  87  -  la  declaratoria  di
incostituzionalita'. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  chiede  che  codesta
Ecc.ma  Corte  costituzionale  voglia  dichiarare  costituzionalmente
illegittimi,  e  conseguentemente  annullare,  per  i  motivi   sopra
rispettivamente indicati ed illustrati, gli articoli 2, commi 1 e  2,
11 e 18 della legge della Regione  Toscana  7  gennaio  2019,  n.  3;
nonche', in  via  conseguenziale,  ai  sensi  dell'art.  27,  secondo
periodo, legge 11 marzo 1953, n. 87, l'art. 8, commi  5  e  6,  della
legge della Regione Toscana 2 agosto 2013, n. 46. 
    Con l'originale notificato del ricorso si depositeranno: 
      1.  attestazione  relativa  alla  approvazione,  da  parte  del
Consiglio dei ministri nella riunione del giorno 7 marzo 2019,  della
determinazione di impugnare la legge della Regione Toscana 7  gennaio
2019, n. 3 secondo i  termini  e  per  le  motivazioni  di  cui  alla
allegata relazione  del  Ministro  per  gli  affari  regionali  e  le
autonomie; 
      2.  copia  della  legge  regionale  impugnata  pubblicata   nel
Bollettino Ufficiale della Regione Toscana n. 3 dell'11 gennaio 2019. 
    Con riserva di illustrare e sviluppare in prosieguo i  motivi  di
ricorso anche alla luce delle difese avversarie. 
      Roma, 10 marzo 2019 
 
           Il Vice Avvocato Generale dello Stato: Mariani 
 
 
                   L'Avvocato dello Stato: D'Elia