N. 79 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 ottobre 2018

Ordinanza  del  15  ottobre   2018   del   Consiglio   di   giustizia
amministrativa per la  Regione  siciliana  sul  ricorso  proposto  da
Vivona Liboria e altri contro Comune di  Castellammare  del  Golfo  e
altri. 
 
Assistenza e solidarieta' sociale - Norme della Regione  Siciliana  -
  Disposizioni  sulle   Istituzioni   pubbliche   di   assistenza   e
  beneficienza (IPAB)  -  Procedimento  per  la  fusione  e,  in  via
  subordinata, per l'estinzione delle IPAB - Previsione, nel caso  di
  estinzione,    della    devoluzione    dei    beni     patrimoniali
  dell'istituzione al Comune territorialmente competente, che assorbe
  anche il personale dipendente. 
- Legge della Regione Siciliana 9 maggio 1986, n.  22  (Riordino  dei
  servizi e delle attivita' socio-assistenziali in Sicilia), art. 34. 
(GU n.23 del 5-6-2019 )
 
              Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 
                      PER LA REGIONE SICILIANA 
 
    In sede giurisdizionale ha pronunciato la presente ordinanza, sul
ricorso numero di registro generale  915  del  2017,  proposto  dalle
signore Liboria Vivona, Santina Maria Benenati, Agata  Ganci,  Angela
Campisi, Rosa Sabella, Maria Bambina e Vincenza Adamo,  rappresentate
e difese dall'avvocato Girolamo Rubino, con domicilio  eletto  presso
il suo studio in Palermo, via Guglielmo Oberdan, 5; 
    Contro Comune di Castellammare del Golfo, in persona del  Sindaco
e  legale  rappresentante  pro  tempore,   rappresentato   e   difeso
dall'avvocato Maria Beatrice Miceli, con domicilio eletto  presso  il
suo studio in Palermo, via Nunzio Morello, 40; 
    Nei confronti Regione Siciliana ed  Assessorato  regionale  della
famiglia, delle politiche  sociali  e  del  lavoro,  in  persona  dei
rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e  difesi
dall'Avvocatura dello Stato, presso  la  cui  sede  distrettuale,  in
Palermo, via Alcide De Gasperi, 81, sono ex lege domiciliati; 
    I.P.A.B. «Istituto Regina  Elena  e  Vittorio  Emanuele  II»,  in
persona del commissario straordinario pro tempore,  non  costituitosi
in giudizio; 
    Per la riforma della sentenza n. 2122 del 4 settembre 2017,  resa
dal Tribunale amministrativo regionale Sicilia di Palermo, Sez. III; 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visti gli atti di costituzione in  giudizio  dell'Amministrazione
regionale e del Comune di Castellammare del Golfo; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Nominato relatore nell'udienza pubblica del  giorno  22  febbraio
2018 il cons. avv. Carlo  Modica  de  Mohac  e  uditi  per  le  parti
l'avvocato Daniele Piazza su delega  dell'avvocato  Girolamo  Rubino,
l'avvocato Maria Beatrice Miceli, l'avvocato dello Stato M.  Cristina
Quiligotti; 
    1. Con nota prot. n. 36467  del  1°  ottobre  2013  l'Assessorato
della famiglia, delle politiche sociali e del  lavoro  della  Regione
siciliana chiedeva al Comune di Castellammare del Golfo il parere del
Consiglio  Comunale  in  ordine  all'estinzione  dell'IPAB  «Istituto
Regina Elena e Vittorio Emanuele II di Castellammare del Golfo»,  con
consequenziale subentro  dell'Amministrazione  comunale  in  tutti  i
rapporti attivi e passivi  nonche'  nella  titolarita'  del  rapporto
d'impiego con i dipendenti gia' facenti capo all'ente assistenziale. 
    Sia la Giunta municipale (deliberazione n.  398  del  5  dicembre
2013) che il Consiglio comunale (deliberazione n. 93 del 10  dicembre
2013)  esprimevano  parere  sfavorevole  in  ordine  all'ipotesi   di
devoluzione di ogni rapporto attivo e passivo dell'IPAB  in  capo  al
Comune. 
    Non ostante cio',  con  D.P.  n.  179  del  10  maggio  2016,  il
Presidente della Regione disponeva  l'estinzione  della  I.P.A.B.  in
questione, stabilendo la devoluzione  al  Comune  di  «ogni  rapporto
attivo e passivo» e l'«assorbimento» del personale dipendente in capo
all'ente locale; e con D.A. n. 1227 del 31 maggio 2016 il  competente
Assessore regionale nominava un «Commissario  straordinario»  con  il
compito di provvedere alla immediata esecuzione del D.P. n.  179  del
10 maggio 2016. 
    2. Con ricorso innanzi al Tribunale amministrativo  regionale  di
Palermo, il Comune di Castellammare del Golfo  impugnava  i  predetti
decreti  e  gli   atti   e   provvedimenti   ad   essi   presupposti,
consequenziali e comunque connessi, chiedendone l'annullamento per le
conseguenti statuizioni reintegratorie e di condanna. 
    Con il primo  mezzo  di  gravame  lamentava  violazione  e  falsa
applicazione dell'art. 62 della legge n. 6972 del 1890 ed eccesso  di
potere per difetto di istruttoria e di motivazione, deducendo che nei
decreti impugnati non v'e' menzione dei pareri negativi espressi  dal
Consiglio comunale e dalla Giunta municipale, e  che  difetta  -  nei
predetti decreti - anche qualsiasi motivazione in ordine alle ragioni
che hanno condotto l'Amministrazione regionale a discostarsene. 
    Con il secondo mezzo lamentava violazione  e  falsa  applicazione
dell'art. 3, comma 5,  del  decreto-legge  24  giugno  2014,  n.  90,
convertito in legge 11 agosto 2014, n.  114,  nonche'  dell'art.  34,
comma 2, della l.r. 9 maggio 1986, n. 22 e dell'art.  248,  comma  5,
del decreto  legislativo  n.  267/2000,  deducendo  che  l'automatico
trasferimento  del  personale  della  I.P.A.B.  nei  ruoli   organici
dell'ente locale confligge con i limiti posti dalla vigente normativa
in materia di contenimento della spesa  per  le  assunzioni  a  tempo
indeterminato negli enti locali. 
    Con il terzo motivo lamentava  violazione  e  falsa  applicazione
dell'art. 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, dell'art.
3 del decreto del Presidente della Repubblica 10 dicembre 1957, n. 3,
dell'art. 5 del decreto-legge  10  novembre  1978,  n.  702  e  degli
articoli 5 e 6 della legge 20 marzo 1975, n. 70, nonche'  eccesso  di
potere per carenza istruttoria e difetto  di  motivazione,  deducendo
che il previsto assorbimento del personale deve  essere  interpretato
«in maniera costituzionalmente orientata», con conseguente  passaggio
all'ente locale solo del personale che sia  stato  reclutato  tramite
pubblico concorso; e che pertanto i decreti impugnati vanno annullati
nella parte in  cui  non  provvedono  in  conformita'.  Nel  contesto
argomentativo del suddetto terzo  mezzo  di  gravame,  il  ricorrente
comune sollevava anche la questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 34, comma 2, della l.r. n. 22/1986 per  contrasto  con  gli
articoli 81, 97, comma 1 e 3, 117 e 119 della Costituzione, deducendo
che l'automatico subentro dell'ente locale in tutti i rapporti attivi
e passivi dell'IPAB, a prescindere dalla verifica dei limiti di spesa
per le assunzioni e della  modalita'  di  assunzione  del  personale,
confligge con i principii e  con  le  disposizioni  introdotte  dalle
predette norme costituzionali. 
    2.1. Ritualmente  costituitasi,  l'Amministrazione  regionale  si
opponeva all'accoglimento del ricorso di primo grado. 
    2.2. Con ricorso per motivi aggiunti il comune impugnava gli atti
consequenziali  ed  esecutivi  in  epigrafe  indicati,  ribadendo  le
censure formulate col ricorso principale. 
    2.3. Si costituivano in primo grado altresi' le intimate  signore
Liboria Vivona e Santina  Benenati,  dipendenti  della  I.P.A.B,  che
chiedevano  il  rigetto  del  ricorso;  nonche',  mediante  un   atto
d'intervento ad opponendum, le signore Agata Ganci,  Angela  Campisi,
Rosa Sabella, Maria Bambina e Vincenza  Adamo,  anch'esse  dipendenti
della I.P.A.B., che si associavano  alla  richiesta  di  rigetto  del
ricorso. 
    2.4. Con ordinanza n. 986 del  19  settembre  2016  il  Tribunale
amministrativo regionale accoglieva la domanda cautelare, e disponeva
l'acquisizione di «documentati chiarimenti in ordine  alle  modalita'
con cui  e'  avvenuta  originariamente  l'assunzione  dei  dipendenti
dell'IPAB nel cui rapporto d'impiego dovrebbe subentrare il Comune di
Castellammare del Golfo». 
    2.5. Con sentenza n. 2122  del  4  settembre  2017  il  Tribunale
amministrativo regionale accoglieva il ricorso del comune  annullando
i provvedimenti impugnati e compensando le spese di giudizio. 
    3. Con l'appello in esame  le  signore  Liboria  Vivona,  Santina
Benenati, Agata Ganci, Angela Campisi, Rosa Sabella, Maria Bambina  e
Vincenza  Adamo,  dipendenti  della  I.P.A.B.,  hanno  impugnato   la
sentenza in questione e ne chiedono la  riforma  per  le  conseguenti
statuizioni conformative e di condanna. 
    Con  il  primo  mezzo  di   gravame   le   appellanti   lamentano
l'ingiustizia  dell'impugnata  sentenza  per   violazione   e   falsa
applicazione dell'art. 62 della legge n. 6972 del 1890 ed eccesso  di
potere per difetto di motivazione, deducendo che il Giudice di  primo
grado avrebbe errato nell'affermare che l'assorbimento da  parte  del
comune dei dipendenti dell'IPAB estinta dev'essere  subordinata  alla
verifica  della  sussistenza  delle  risorse  finanziarie   dell'ente
locale; ed ha ulteriormente errato  nel  non  aver  valutato  che  il
parere  sfavorevole  di  quest'ultimo  non  e'   assistito   da   una
sufficiente e congrua motivazione. 
    Con  il  secondo  mezzo  di  gravame  le   appellanti   lamentano
l'ingiustizia  dell'impugnata  sentenza  per   violazione   e   falsa
applicazione dell'art. 3, comma 5, del decreto-legge 24 giugno  2014,
n. 90 convertito in legge 11 agosto 2014, n. 114,  nonche'  dell'art.
34, comma 2, della l.r. 9 maggio 1986, n. 22 e dell'art.  248,  comma
5, del decreto legislativo n. 267/2000, deducendo che il  Giudice  di
primo grado avrebbe errato altresi' nel non aver ritenuto operanti  -
ed applicabili alla fattispecie - le limitazioni alle  assunzioni  di
personale (rectius: i divieti di assunzione) introdotti  dalla  legge
n. 114/2014 cit. al fine di contenere la spesa pubblica. 
    Con  il  terzo  mezzo  di   gravame   le   appellanti   lamentano
l'ingiustizia  dell'impugnata  sentenza  per   violazione   e   falsa
applicazione dell'art. 35 del decreto legislativo 30 marzo  2001,  n.
165, dell'art. 3 del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  10
dicembre 1957, n. 3, dell'art. 5 del decreto-legge 10 novembre  1978,
n. 702, degli articoli 5 e 6 della legge 20 marzo 1975, n. 70  e  per
difetto di motivazione, deducendo  che  il  Giudice  di  primo  grado
avrebbe errato anche nell'affermare che occorre  interpretare  l'art.
34   cit.   «in    maniera    costituzionalmente    orientata»;    e,
conseguentemente,  nel  ritenere  legittimo   il   trasferimento   di
personale nei ruoli del comune solamente per i soggetti  che  fossero
stati assunti dalla I.P.A.B., illo tempore, a seguito di un  pubblico
concorso. 
    Con il quarto ed ultimo mezzo di gravame le appellanti  lamentano
- infine - l'ingiustizia delle impugnata sentenza nella parte in  cui
ha ritenuto affetti dal vizio di illegittimita' derivata taluni  atti
esecutivi del decreto di estinzione impugnato. 
    3.1. Ritualmente costituitosi, il  Comune  di  Castellammare  del
Golfo ha eccepito l'infondatezza del gravame. 
    L'Amministrazione  regionale  si  e'   costituita   per   aderire
all'appello principale, contestando anche essa la sentenza  di  primo
grado. 
    3.2. Nel corso del giudizio le parti contendenti hanno  insistito
nelle rispettive domande ed eccezioni; ed all'udienza fissata per  la
discussione conclusiva sul merito dell'appello,  la  causa  e'  stata
posta in decisione. 
    4. Il Collegio ritiene che la causa non possa essere decisa senza
sollevare incidente di costituzionalita', nei termini che seguono. 
    4.1. L'art. 4, lettera 'm' dello Statuto della Regione  siciliana
attribuisce alla regione potesta' legislativa esclusiva in materia di
«pubblica beneficenza ed opere pie». 
    L'art.  34  della  l.r.  9  maggio  1986,  n.  22  -  recante  le
disposizioni   sul   riordino   dei   servizi   e   delle   attivita'
socio-assistenziali in Sicilia - stabilisce: 
        a) al primo comma, che «L'Assessore regionale  per  gli  enti
locali avvia il procedimento  amministrativo  per  la  fusione  delle
istituzioni pubbliche, proprietarie delle strutture non  utilizzabili
o non riconvertibili, con altre  IPAB  che  dispongono  di  strutture
giudicate utilizzabili o riconvertibili in esito  alle  procedure  di
cui ai precedenti articoli o con IPAB  che,  mediante  l'integrazione
delle strutture, su proposta del comune territorialmente  competente,
possono  attivare  servizi   socio-assistenziali   e   socio-sanitari
conformi alle previsioni  degli  articoli  31  e  32  della  presente
legge»; 
        b) al secondo  comma,  che  «In  subordine  l'istituzione  e'
estinta e i beni patrimoniali sono devoluti al  comune,  che  assorbe
anche il personale dipendente, facendone salvi i diritti acquisiti in
rapporto al maturato economico»; 
        c) ed al terzo comma che «La fusione e l'estinzione non hanno
luogo  qualora  la  struttura  non  utilizzabile   o   riconvertibile
appartenga ad istituzione che disponga di altre strutture  agibili  e
riconvertibili». 
    Il menzionato secondo comma attribuisce - quindi -  alla  regione
il potere di accertare  se  le  IPAB  non  siano  piu'  in  grado  di
funzionare autonomamente (nemmeno a seguito di processi di fusione  o
di riconversione), nonche' di decidere se debbano  essere  soppresse;
decisione dalla quale consegue automaticamente sia la devoluzione dei
beni patrimoniali che il trasferimento del personale della  soppressa
istituzione al comune territorialmente competente. 
    Nel nostro Ordinamento vige il principio di autonomia finanziaria
dei  Comuni,  espressamente  declinato  sia   dall'art.   119   della
Costituzione, che dai singoli Statuti delle regioni speciali; e,  con
specifico riferimento alla Regione siciliana, dall'art. 15, comma  2,
del suo Statuto. 
    Corollario (logico, prim'ancora che giuridico) di tale  principio
e'  quello  secondo  cui  ad  ogni  trasferimento  di  funzioni  deve
corrispondere  un  adeguato  trasferimento  (o  un'attribuzione)   di
risorse economico-finanziarie per farvi fronte; principio  che  vale,
all'evidenza,  anche  per  il  caso  di  trasferimento  di  complessi
patrimoniali che determinino  oneri  (quali  spese  di  manutenzione,
restauro etc.) forieri di perdite economiche, nonche' - ovviamente  -
per il caso di trasferimento di personale. 
    Tale «principio di correlazione fra funzioni  e  risorse»  (cosi'
ormai correntemente definito in  teoria  generale)  e'  desumibile  -
oltre  che  dalla  logica  giuridica  (e  dunque  dal  «principio  di
ragionevolezza» al quale  la  Corte  costituzionale  attribuisce,  da
sempre, valore fondamentale) - dall'intero assetto del Titolo V della
Carta costituzionale; e, in particolare, dai commi  primo,  quinto  e
sesto dell'art. 119 della Costituzione,  disposizioni  costituzionali
che nella misura  in  cui  (e  nelle  parti  nelle  quali)  mirano  a
garantire uno standard minimo di tutela in favore degli enti locali -
e dunque un valore costituzionale di base -  sono  ad  essi  comunque
applicabili  (e  da  essi   invocabili)   a   prescindere   da   ogni
delimitazione territoriale (il che risponde al criterio  metodologico
secondo cui agli enti locali ubicati nelle Regioni a statuto speciale
non puo' essere  riconosciuta  una  autonomia  finanziaria  inferiore
rispetto a quella devoluta agli enti ubicati nelle regioni a  statuto
ordinario). 
    Il primo comma dell'art. 119 della Costituzione stabilisce che «i
comuni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa»,  e  sembra
che  tale  norma  organizzativa  di  base  sia  stata  disattesa  dal
legislatore siciliano, il quale con  il  quarto  comma  dell'art.  34
della l.r. n. 22 del 1986 ha creato un meccanismo idoneo ad  incidere
«estemporaneamente» (id est:  al  di  fuori  da  ogni  programmazione
finanziaria locale; consentendo, con  semplici  atti  provvedimentali
adottati dall'Amministrazione regionale, di  determinare  sostanziali
modifiche ai  bilanci  comunali  e  deroghe  alle  leggi  finanziarie
statali e regionali; e finanche alla  legislazione  sul  contenimento
della spesa  pubblica,  non  ostante  quest'ultima  abbia  natura  di
«legislazione di principio») sull'autonomia finanziaria dei Comuni. 
    Il quinto comma dell'art. 119 della Costituzione  stabilisce  che
«Le  risorse  derivanti  dalle  fonti  di  cui  ai  commi  precedenti
consentono  ai  comuni  (omissis)  di  finanziare  integralmente   le
funzioni  pubbliche  loro  attribuite»,   e   pure   tale   principio
costituzionale - che ad avviso del Collegio non  puo'  non  ritenersi
applicabile anche ai Comuni siciliani (salvo che, come gia'  cennato,
non  si  ritenga  costituzionalmente  legittimo  tributare  ad   essi
un'autonomia inferiore  rispetto  a  quella  riconosciuta  agli  enti
locali delle regioni ordinarie) - sembra essere stato  disatteso  dal
legislatore siciliano, il quale con  il  quarto  comma  dell'art.  34
della l.r. n. 22 del 1986 ha creato un meccanismo idoneo a gravare  i
comuni di una nuova funzione (quella di gestione e  manutenzione  dei
patrimoni in dissesto delle soppresse I.P.A.B.; e quella,  di  natura
socio-assistenziale, di ricollocazione ed eventuale  riqualificazione
del personale da esse dipendente), senza dotarli (di  un  minimo)  di
risorse finanziarie (aggiuntive)  necessarie  per  il  raggiungimento
dell'obiettivo. 
    Il  sesto  comma  del  piu'  volte  menzionato  art.  119   della
Costituzione stabilisce che «... per provvedere a scopi  diversi  dal
normale esercizio delle  loro  funzioni,  lo  Stato  destina  risorse
aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore  di  determinati
comuni ...», principio (invero connesso al precedente) che  sembra  -
anch'esso - violato dal legislatore siciliano, il quale con l'art. 34
della l.r. n. 22 del 1986 ha creato un meccanismo idoneo a  devolvere
ai comuni coinvolti nel processo di 'acquisizione forzosa' in  esame,
una serie di compiti volti al perseguimento  di  «scopi  diversi»  da
quelli corrispondenti al  «normale  esercizio  delle  loro  funzioni»
(come cristallizzato in via ordinaria alla data dell'attribuzione e/o
del trasferimento delle funzioni in capo ad essi, e della devoluzione
delle correlata risorse), senza dotarli  delle  necessaria  provvista
finanziaria. 
    Anche ove si prescinda dalla questione della (piena  o  parziale)
applicabilita'  ai  Comuni  siciliani  delle  disposizioni  contenute
nell'art. 119 della Costituzione, il  «principio  della  correlazione
fra funzioni e risorse» costituisce - come si e' gia' accennato -  un
principio  immanente  e   pervasivo   del   sistema   costituzionale,
desumibile - per  quanto  attiene  alla  Regione  siciliana  -  anche
dall'art. 15, comma 2, dello Statuto regionale siciliano (che afferma
che nella regione gli enti  locali  sono  «dotati  della  piu'  ampia
autonomia amministrativa e finanziaria»); e pertanto l'art. 34  della
legge regionale in esame si rivela comunque  in  contrasto  con  tale
norma statutaria di rango costituzionale (come lo sono le norme dello
Statuto regionale siciliano). 
    Proprio  occupandosi  della  questione  del   «trasferimento   di
funzioni senza risorse», la Corte costituzionale ha affermato  (Corte
costituzionale, n. 145 del 2008; nonche' n. 29 del 2004; n.  138  del
1999 e n. 222  del  1994)  che  le  norme  di  legge  che  consentono
operazioni  istituzionali  di   tal   fatta   sono   da   considerare
costituzionalmente illegittime - in quanto lesive del  «principio  di
correlazione  fra  funzioni  e  risorse»,  nonche'   del   «principio
fondamentale  del  coordinamento  della  finanza  pubblica»   e   del
«principio dell'equilibrio  dei  bilanci  pubblici»  declinati  dagli
articoli 117, lettera 'e' e 119 primo, settimo ed ottavo comma  della
Costituzione (Corte costituzionale, n. 52 del 2010, nn. 139 e 237 del
2009, e n. 417 del 2005; nonche' 217 del 2012 e  nn.  82,  176,  238,
239, 263, 272 e 273 del 2015) - quando  determinano  i  seguenti  due
effetti: 
        a)  un'alterazione  del  «rapporto  tra  complessivi  bisogni
regionali e insieme dei mezzi finanziari per farvi fronte»; 
        b) ed una variazione del rapporto entrate/spese foriero di un
«grave squilibrio» nel bilancio. 
    Nella fattispecie disciplinata dall'art. 34 della l.r. n. 22  del
1986 cio' si verifica (o comunque ben puo' verificarsi) ogniqualvolta
il numero dei dipendenti in transito dalla soppressa  I.P.A.B.  verso
il comune obbligato ad assumerli e/o le  spese  di  manutenzione  dei
beni patrimoniali ceduti, determinino spese impreviste (non esistendo
capitoli di bilancio sui quali farle gravare)  e/o  che  non  possano
trovare adeguata copertura in bilancio (se  non  facendo  ricorso  ad
indebitamenti o a strumenti straordinari). 
    Infine, l'art.  34  cit.  si  pone  in  contrasto  anche  con  la
legislazione sul contenimento della  spesa  pubblica  (nella  specie:
art. 3, comma 5, del decreto-legge 24 giugno 2014, n.  90  convertito
in legge n. 114 del 2014; art. 1, comma 228, della legge n.  208  del
2015) gia' ritenuta dalla Corte costituzionale prevalente sulle leggi
regionali e comunque applicabili in  tutto  il  territorio  nazionale
(dunque anche nelle Regioni a statuto speciale) in quanto espressione
del (gia' menzionato) «principio fondamentale» secondo cui - in forza
degli articoli 119, secondo comma, e  117  lettera  'e'  della  Carta
costituzionale - spetta allo Stato  il  coordinamento  della  finanza
pubblica (Corte costituzionale, n. 52 del 2010, nn.  139  e  237  del
2009, e n. 417 del 2005; nonche' 217 del 2012 e  nn.  82,  176,  238,
239,  263  e  273  del  2015).   Esso   pertanto   e'   da   ritenere
costituzionalmente illegittimo anche sotto  questo  profilo,  perche'
idoneo a «scompaginare» la politica di contenimento delle  assunzioni
come misura volta a perseguire il riequilibrio finanziario. 
    In conclusione, l'art. 34 della l.r. 9 maggio 1986, n.  22  della
Regione siciliana si pone in contrasto con il principio  fondamentale
del coordinamento della finanza pubblica, nonche' con i principii  di
correlazione fra funzioni e risorse e con il principio di  equilibrio
dei bilanci pubblici desumibili dagli articoli 117 lettera 'e',  119,
primo, secondo, quinto, sesto settimo ed ottavo della Costituzione, e
15, secondo comma dello Statuto regionale siciliano. 
    Pertanto  va  posta  la  relativa   questione   di   legittimita'
costituzionale, sotto i vari profili individuati, innanzi alla  Corte
costituzionale. 
    4.2. A tal fine occorre chiarire  le  ragioni  per  le  quali  la
predetta questione appare al Collegio rilevante e non  manifestamente
infondata. 
    4.2.1. La soluzione  della  indicata  questione  di  legittimita'
costituzionale si appalesa rilevante in quanto pregiudiziale ai  fini
della decisione della causa, posto che - come si passa ad  illustrare
- dai destini della norma regionale derivano i destini dell'impugnato
provvedimento e dunque del giudizio pendente in  appello  innanzi  al
Giudice amministrativo. 
    Va subito precisato che al Collegio non appare corretto procedere
direttamente    ed    immediatamente    ad    una    «interpretazione
costituzionalmente orientata» dell'art. 34 della l.r. n. 22 del  1986
che valorizzi la rilevanza ostativa del parere negativo espresso  dal
comune e  che  pertanto  elimini  ogni  «rilevanza»  della  ventilata
questione ai fini della decisione della causa. 
    Che il Giudice amministrativo non possa operare in tal senso,  lo
si ricava dalla semplice lettura del testo in esame (art.  34  cit.),
la cui  chiarezza  non  consente  -  posto  che  in  claris  non  fit
interpretatio - alcuna interpretazione teleologica. 
    Ed invero in nessun luogo del testo normativo e' specificato  che
il parere che il comune e'  chiamato  ad  esprimere  in  ordine  alla
soppressione dell'IPAB (ed alle conseguenti operazioni di devoluzione
ad esso del patrimonio e di transito del personale nei propri  ruoli)
debba essere considerato vincolante o parzialmente vincolante  (oltre
che obbligatorio) su determinati punti. Ne'  cio'  appare  desumibile
dalla comparazione della norma con altre norme connesse. 
    E    poiche'    per    procedere    ad    una    «interpretazione
costituzionalmente orientata» di una norma, deve comunque  sussistere
un  certo  spazio  di  indeterminatezza   della   pericope   (oggetto
dell'operazione ermeneutica), un minimo di intrinseca elasticita' del
testo che consenta all'interprete di intenderlo in un senso  anziche'
in un altro (in modo che la portata del  precetto  normativo  risulti
infine estesa,  ridotta  o  condizionata),  non  sembra  -  vista  la
rigidita' del testo  in  esame  -  che  l'operazione  ermeneutica  in
questione (volta a 'salvare' la norma da  censure  di  illegittimita'
costituzionale mediante un non previsto e non deducibile  dilatamento
della rilevanza del parere del Comune) fosse e sia possibile. 
    Diversamente opinando, infatti, si giungerebbe  alla  conclusione
che all'interprete  puo'  essere  concesso  di  modificare  le  norme
«rimodellandone» i testi. 
    Ne', d'altra parte - per escludere la rilevanza  della  questione
ai fini della decisione della causa - si  potrebbe  sostenere  che  a
fronte di  un  parere  sfavorevole  (in  ordine  alla  necessita'  di
sopprimere  la  I.P.A.B.)  del  comune  occorre,  per  provvedere  in
contrario  avviso,  una  «motivazione  rinforzata»,   e   che   nella
fattispecie l'Amministrazione regionale non la ha  fornita;  rilievo,
quest'ultimo, (che sarebbe di per se') tranciante e percio' idoneo ad
assorbire ogni altra questione (compresa, per l'appunto,  quella  qui
adombrata). 
    Nella fattispecie dedotta in giudizio, ad avviso del Collegio  la
motivazione  fornita  dall'Amministrazione  regionale   si   appalesa
sufficiente in quanto proporzionata alle laconiche ed inconsistenti -
queste si' - motivazioni con le quali il  comune  aveva  ritenuto  di
poter - a sua volta - giustificare il suo parere sfavorevole. 
    Al riguardo va sottolineato che l'ente locale si e'  limitato  ad
affermare tautologicamente di non avere le  risorse  finanziarie  per
accollarsi  i  costi  di  gestione  derivanti  dall'acquisizione  del
patrimonio e del personale della  sopprimenda  I.P.A.B.,  ma  non  ha
spiegato analiticamente (e nemmeno sufficientemente)  la  ragione  di
tale affermazione (la quale appare smentita  in  giudizio  da  taluni
fatti allegati dalle appellanti), ne' la ragione per la quale, a  suo
avviso, la predetta I.P.A.B. ben avrebbe potuto continuare ad operare
autonomamente. 
    Sicche',  posto  che  -  come  cennato  -  il  Collegio   ritiene
insufficientemente motivato il parere del comune e, correlativamente,
proporzionalmente   motivata   -   invece   -    la    determinazione
dell'Amministrazione  regionale  procedente,   la   rilevanza   della
questione di costituzionalita' dell'art. 34 della l.r. n. 22 del 1986
affiora in tutta la sua evidenza: non appare  revocabile  in  dubbio,
infatti, che  -  a  questo  punto  -  l'esito  del  giudizio  dipende
esclusivamente dalla «tenuta» della disposizione in questione. 
    4.2.2. La posizione logica in ordine alla necessita' di sollevare
la questione di costituzionalita' dell'art. 34 della l.r. n.  22  del
1986 non muta neanche ove l'attenzione  si  concentri  esclusivamente
sul contrasto della norma in questione  con  il  c.d.  «principio  di
coordinamento della finanza pubblica» (articoli 117 lett. 'e' ed art.
119, secondo comma, della Costituzione), contrasto  scaturente  dalla
violazione dei cc.dd. «limiti assunzionali»  introdotti  dalla  (gia'
precedentemente menzionata) normativa sul contenimento della spesa  e
sul blocco delle assunzioni. 
    Anche in tal caso appare evidente che non e' possibile  «salvare»
la   norma   regionale   in   esame   affermando   che   -    secondo
un'interpretazione costituzionalmente orientata  -  essa  si  applica
(rectius: dev'essere applicata) «riduttivamente» e cioe' nel rispetto
dei predetti limiti e divieti; e che  se  cosi'  applicata  non  puo'
essere considerata costituzionalmente illegittima. 
    Tale ragionamento non regge e non  fa  venir  meno  la  rilevanza
della questione. 
    Se per  un  verso,  infatti,  la  rilevanza  della  questione  di
costituzionalita' permane comunque  per  la  parte  della  norma  che
impone ai comuni l'acquisizione  forzosa  del  patrimonio  (ancorche'
passivo) della soppressa I.P.A.B.; per altro verso  non  puo'  essere
ignorato che secondo il  consolidato  orientamento  della  Corte  dei
conti - Sezione  delle  Autonomie,  «nei  casi  di  trasferimento  di
personale ad altro ente pubblico, derivante dalla soppressione di  un
ente obbligatoriamente disposta, non si ritiene applicabile il limite
assunzionale previsto dalla normativa vigente in materia di spese  di
personale ai fini del coordinamento della finanza pubblica», e che in
tal caso «la deroga al detto vincolo comporta (omissis) il necessario
riassorbimento  della  spesa  eccedente  negli  esercizi   finanziari
successivi a quello del superamento del  limite»  (Corte  dei  conti,
sezione delle Autonomie, del n. 4/2016). 
    Chiarita, pertanto,  la  'giusta  interpretazione'  dell'art.  34
della l.r. n. 22 del 1986 e  stabilito  che  dalla  sua  applicazione
deriva l'obbligo del Comune di procedere all'assunzione del personale
proveniente dalla I.P.A.B con accollo degli oneri finanziari  che  ne
conseguono, anche se cio' possa finire con  il  produrre  dissesti  o
indebitamenti straordinari (non decisi autonomamente), non  v'e'  chi
non  veda  come  anche  sotto  questo  profilo,  la  rilevanza  della
questione riaffiori con tutto il suo peso. 
    Ed invero se, come appare indubitabile, la norma va applicata nel
senso indicato dal Giudice contabile, ancora una volta gli esiti  del
giudizio in corso non possono che dipendere dalla sua  'tenuta',  che
non puo' che  essere  disposta  dall'unico  Giudice  a  questo  punto
competente ad orientare la decisione: il Giudice delle Leggi. 
    4.3.  Passando  al  secondo  requisito  necessario   perche'   la
questione  possa  essere  sollevata,  va  sottolineato  che  essa  si
appalesa altresi' non manifestamente infondata in quanto -  come  del
resto gia' illustrato nei primi Capi della presente ordinanza  -  non
appare  revocabile  in  dubbio  che  l'introduzione  mediante   legge
regionale di  un  congegno  atto  ad  incidere  sui  principii  sopra
richiamati costituisca una evidente «rottura» dell'ordinario  assetto
(id  est:  del  regime  di  riparto)  delle  competenze   legislative
stabilito  dalla  Costituzione  (e,   nella   specie,   dalle   norme
costituzionali citate), e che determini  una  eccessiva  compressione
dell'autonomia finanziaria degli enti locali. 
    5.  In  conclusione,  dev'essere  sollevata   la   questione   di
legittimita' costituzionale,  per  contrasto  con  gli  articoli  97,
secondo e quarto comma, 117  lettera  'e',  e  119,  primo,  secondo,
quinto, sesto, settimo ed  ottavo  della  Costituzione,  nonche'  con
l'art.  15,  secondo  comma  dello   Statuto   regionale   siciliano,
unitamente o separatamente considerati, dell'art.  34  della  l.r.  9
maggio 1986, n. 22  della  Regione  siciliana,  nella  parte  in  cui
obbliga i comuni ad assorbire il patrimonio  ed  il  personale  delle
Istituzioni  pubbliche  di   assistenza   e   beneficenza   soppresse
autoritativamente dall'Amministrazione regionale,  e  cio'  anche  in
deroga alle norme sul contenimento  della  spesa  pubblica  (comprese
quelle che introducono  divieti  di  assunzioni  o  limitazioni  alle
assunzioni di personale) e sull'equilibrio dei bilanci pubblici  (non
ostante tali norme siano espressione del principio  fondamentale  del
coordinamento della finanza pubblica). 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il  Consiglio  di  giustizia  amministrativa   per   la   Regione
Siciliana, in  sede  giurisdizionale,  -  ritenuta  rilevante  e  non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 34 della l.r. 9 maggio 1986, n. 22 della Regione siciliana,
per contrasto con  gli  articoli  117  lettera  'e',  e  119,  primo,
secondo, quinto, sesto, settimo ed ottavo della Costituzione, nonche'
con l'art. 15,  secondo  comma  dello  Statuto  regionale  siciliano,
unitamente o separatamente considerati, nella parte in cui obbliga  i
comuni ad assorbire il patrimonio ed il personale  delle  Istituzioni
pubbliche di assistenza  e  beneficenza  soppresse  autoritativamente
dall'Amministrazione regionale, e cio' anche in deroga alle norme sul
contenimento della spesa pubblica (comprese  quelle  che  introducono
divieti di assunzioni o limitazioni alle assunzioni di  personale)  e
sull'equilibrio dei bilanci pubblici (non ostante  tali  norme  siano
espressione  del  principio  fondamentale  del  coordinamento   della
finanza pubblica) - dispone: 
        la   immediata   trasmissione   degli   atti    alla    Corte
costituzionale, sospendendo il presente giudizio fino  all'esito  del
giudizio incidentale di legittimita' costituzionale; 
        che  la  presente  ordinanza  sia  notificata  a  cura  della
segreteria alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri,  e
comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e  della  Camera
dei  deputati,  nonche'  al   Presidente   dell'Assemblea   regionale
siciliana e al Presidente della Regione siciliana. 
    Cosi' deciso in Palermo nella Camera di consiglio del  giorno  22
febbraio 2018 con l'intervento dei signori magistrati: 
        Rosanna De Nictolis, Presidente; 
        Giulio Castriota Scanderbeg, consigliere; 
        Carlo Modica de Mohac, consigliere, estensore; 
        Giuseppe Verde, consigliere; 
        Maria Immordino, consigliere. 
 
                     Il Presidente: De Nictolis 
 
 
                                         L'estensore: Modica de Mohac