N. 80 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 febbraio 2019

Ordinanza  del  20  febbraio  2019   del   Consiglio   di   giustizia
amministrativa per la Regione  siciliana  sul  ricorso  proposto  dal
Comune di Piazza Armerina contro Regione siciliana e altri. 
 
Assistenza e solidarieta' sociale - Norme della Regione  Siciliana  -
  Disposizioni  sulle   Istituzioni   pubbliche   di   assistenza   e
  beneficienza (IPAB)  -  Procedimento  per  la  fusione  e,  in  via
  subordinata, per l'estinzione delle IPAB - Previsione, nel caso  di
  estinzione,    della    devoluzione    dei    beni     patrimoniali
  dell'istituzione al Comune territorialmente competente, che assorbe
  anche il personale dipendente. 
- Legge della Regione Siciliana 9 maggio 1986, n.  22  (Riordino  dei
  servizi e delle attivita' socio-assistenziali in Sicilia), art. 34. 
(GU n.23 del 5-6-2019 )
 
               IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 
                      PER LA REGIONE SICILIANA 
 
    In sede giurisdizionale ha pronunciato la presente ordinanza  sul
ricorso numero di registro generale 372 del 2018, proposto dal Comune
di Piazza Armerina, in persona del Sindaco  e  legale  rappresentante
pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato  Fabio  Lo  Presti,
con domicilio eletto presso il suo studio in Giustizia, Pec Registri; 
    contro Regione Siciliana e Assessorato regionale della  famiglia,
delle politiche sociali e del lavoro, nelle  persone  dei  rispettivi
presidente  ed  assessore   pro-tempore,   rappresentati   e   difesi
dall'Avvocatura dello Stato, presso  la  cui  sede  distrettuale,  in
Palermo, via V. Villareale n. 6, sono ex lege domiciliati; 
    nei confronti  I.p.a.b.  denominata  «Istituto  assistenziale  S.
Giuseppe e S. Giovanni Battista  di  Rodi»,  in  persona  del  legale
rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio; 
    e con l'intervento di ad opponendum: sig.ri Maurizio Mario Rausa,
Domenico Russo, Antonio Maurizio  Campagna,  Maria  Concetta  Lavuri,
Angela Parisi, Silvana Samparese, Rosa Maria Santoro e Maria Giuseppa
Manuella, rappresentati e difesi  dall'avv.  Cristina  Gulisano,  con
domicilio digitale eletto presso il  suo  studio  in  Giustizia,  Pec
Registri; 
    per la riforma della sentenza n. 648 del 27 marzo 2018, resa  dal
Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - Sezione  staccata
di Catania, Sez. I^; 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visti  gli  atti  di  costituzione  in  giudizio  della   Regione
siciliana; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Nominato relatore nell'udienza pubblica del  giorno  15  novembre
2018 il cons. Carlo Modica de Mohac e uditi per le parti  gli  avv.ti
Bonaventura Lo Duca, su delega dell'avv. Fabio Lo Presti,  l'avvocato
dello Stato Stefano Vivacqua, e l'avv. Pietro Maria  Mela  su  delega
dell'avv. Cristina Gulisano; 
    1. Con decreto n. 198 del 18  maggio  2016  il  Presidente  della
Regione siciliana disponeva l'estinzione della  «i.p.a.b.»  (id  est:
istituzione pubblica di  assistenza  e  beneficienza,  d'ora  innnazi
«I.P.A.B.») denominata  «Istituto  assistenziale  S.  Giuseppe  e  S.
Giovanni Battista di Rodi», trasferendone il personale e devolvendone
il patrimonio - con ogni attivita' e passivita' - al Comune di Piazza
Armerina (nel cui territorio aveva sede). 
    2. Con ricorso innanzi al Tribunale amministrativo  regionale  di
Palermo, il comune  impugnava  il  predetto  decreto  e  gli  atti  e
provvedimenti  ad  essi  presupposti,   consequenziali   e   comunque
connessi, chiedendone l'annullamento per le  conseguenti  statuizioni
reintegratorie e di condanna. 
    Con il primo  mezzo  di  gravame  lamentava  violazione  e  falsa
applicazione dell'art. 34 della legge regionale  n.  22  del  1986  e
dell'art. 12  del  codice  civile,  nonche'  eccesso  di  potere  per
travisamento dei fatti ed incompetenza, deducendo che  fra  le  cause
che giustificano l'adozione del provvedimento di  estinzione  di  una
I.P.A.B. non figurano le ipotesi di «grave situazione debitoria» e di
«impossibilita' di funzionamento»; e che la normativa  in  esame  non
prevede alcun obbligo o onere a carico dei  comuni  (ne',  fra  essi,
quello di assorbire il personale del disciolto ente). Con il  secondo
mezzo di gravame, il comune ricorrente lamentava violazione  e  falsa
applicazione, sotto differente  profilo,  dell'art.  34  della  legge
regionale n. 22 del 1986, nonche' dell'art. 62 della  legge  n.  6972
del 1890 e degli articoli 3 e seguenti della legge n. 241  del  1990,
ed eccesso di potere per difetto di  istruttoria  e  di  motivazione,
deducendo che prima di avviare  il  procedimento  di  estinzione,  la
Regione avrebbe dovuto verificare la possibilita' di  effettuare  una
fusione dell'I.P.A.B. con altro ente dello stesso genere. 
    Con ordinanza n. 79 del  6  febbraio  2017  questo  Consiglio  di
Giustizia Amministrativa accoglieva la domanda cautelare proposta dal
comune ricorrente. 
    3. Infine con sentenza n. 648 del 27  marzo  2018,  il  Tribunale
amministrativo regionale adito ha respinto il ricorso. 
    4. Con l'appello  in  esame  il  Comune  di  Piazza  Armerina  ha
impugnato la sentenza in questione e ne  chiede  la  riforma  per  le
conseguenti statuizioni conformative e di condanna. 
    Con  il  primo  mezzo  di  gravame  l'appellante  comune  lamenta
l'ingiustizia dell'impugnata sentenza  per  violazione  dell'art.  34
della legge regionale n. 22  del  1986  e  dell'art.  12  del  codice
civile, nonche' per travisamento dei fatti, difetto di' istruttoria e
di motivazione, deducendo che  il  Giudice  di  primo  grado  avrebbe
errato: 
        nel ritenere che fra le cause giustificatrici dell'estinzione
di  una  I.P.A.B.,  e'  contemplata  anche   l'ipotesi   di   mancato
funzionamento o di grave situazione debitoria; 
        nel non aver verificato se sia stata previamente  tentata  la
soluzione alternativa della fusione con altra I.P.A.B.; 
        e, in definitiva, nell'aver ritenuto che il provvedimento  di
estinzione  sia  stato   basato   su   un'adeguata   istruttoria,   e
sufficientemente motivato; 
    Con il secondo mezzo di  gravame  il  comune  appellante  lamenta
violazione e falsa applicazione dell'art. 34, comma  2,  della  legge
regionale 9 maggio 1986, n. 22 e  dell'art.  97  della  Costituzione,
deducendo che il Giudice di primo grado avrebbe errato altresi': 
        nel  non  aver  ritenuto  operanti  -  ed  applicabili   alla
fattispecie - le limitazioni alle assunzioni di personale (rectius: i
divieti di assunzione) al fine di contenere la spesa pubblica; 
        e nell'aver ritenuto  legittimo  anche  il  trasferimento  di
personale gia' assunto dall'I.P.A.B. senza concorso. 
    Con atto di intervento ad opponendum gli impiegati  dell'I.P.A.B.
si  sono  associati  -   avendo   interesse   all'assunzione   presso
l'Amministrazione comunale - alla richiesta di rigetto del ricorso in
appello proposto dal Comune. 
    Ritualmente costituitasi, anche  l'Amministrazione  regionale  ha
chiesto il rigetto dell'appello del Comune. 
    Nel corso del giudizio le parti contendenti hanno insistito nelle
rispettive domande  ed  eccezioni;  ed  all'udienza  fissata  per  la
discussione conclusiva sul merito dell'appello,  la  causa  e'  stata
posta in decisione. 
    5. Come gia' accaduto per un precedente caso analogo, il Collegio
non puo' che ribadire quanto affermato con l'ordinanza di  rimessione
emessa nel ricorso n. reg. gen. 915/2017, e cioe' che  la  causa  non
puo' essere decisa se non venga previamente risolta la  questione  di
costituzionalita' dell'art. 34 della legge regionale 9  maggio  1986,
n. 22 della Regione siciliana, nella parte in cui obbliga i comuni ad
assorbire il patrimonio ed il personale delle  Istituzioni  pubbliche
di   assistenza    e    beneficenza    soppresse    autoritativamente
dall'Amministrazione regionale, e cio' anche in deroga alle norme sul
contenimento della spesa pubblica (comprese  quelle  che  introducono
divieti di assunzioni o limitazioni alle assunzioni di  personale)  e
sull'equilibrio dei bilanci pubblici (non ostante  tali  norme  siano
espressione  del  principio  fondamentale  del  coordinamento   della
finanza pubblica). 
    Va pertanto sollevato incidente di costituzionalita', nei termini
che seguono. 
    5.1. L'art. 4, lettera 'm' dello Statuto della Regione  siciliana
attribuisce alla Regione potesta' legislativa esclusiva in materia di
«pubblica beneficenza ed opere pie». 
    L'art. 34 della legge regionale 9 maggio 1986, n. 22 - recante le
disposizioni   sul   riordino   dei   servizi   e   delle   attivita'
socio-assistenziali in Sicilia - stabilisce: 
        a) al primo comma, che «L'Assessore regionale  per  gli  enti
locali avvia il procedimento  amministrativo  per  la  fusione  delle
istituzioni pubbliche, proprietarie delle strutture non  utilizzabili
o non riconvertibili, con altre  IPAB  che  dispongono  di  strutture
giudicate utilizzabili o riconvertibili in esito  alle  procedure  di
cui ai precedenti articoli o con IPAB  che,  mediante  l'integrazione
delle strutture, su proposta del comune territorialmente  competente,
possono  attivare  servizi   socio-assistenziali   e   socio-sanitari
conformi alle previsioni  degli  articoli  31  e  32  della  presente
legge»; 
        b) al secondo  comma,  che  «In  subordine  l'istituzione  e'
estinta e i beni patrimoniali sono devoluti al  comune,  che  assorbe
anche il personale dipendente, facendone salvi i diritti acquisiti in
rapporto al maturato economico», 
        c) ed al terzo comma che «La fusione e l'estinzione non hanno
luogo  qualora  la  struttura  non  utilizzabile   o   riconvertibile
appartenga ad istituzione che disponga di altre strutture  agibili  e
riconvertibili». 
    Il menzionato secondo comma attribuisce - quindi -  alla  Regione
il potere di accertare se le II.PP.AA.BB. non siano piu' in grado  di
funzionare autonomamente (nemmeno a seguito di processi di fusione  o
di riconversione), nonche' di decidere se debbano  essere  soppresse;
decisione dalla quale consegue automaticamente sia la devoluzione dei
beni patrimoniali che il trasferimento del personale della  soppressa
istituzione al comune territorialmente competente. 
    Nel nostro Ordinamento vige il principio di autonomia finanziaria
dei  Comuni,  espressamente  declinato  sia   dall'art.   119   della
Costituzione, che dai singoli Statuti delle Regioni speciali; e,  con
specifico riferimento alla Regione siciliana, dall'art. 15, comma  2,
del suo Statuto. 
    Corollario (logico, prim'ancora che giuridico) di tale  principio
e'  quello  secondo  cui  ad  ogni  trasferimento  di  funzioni  deve
corrispondere  un  adeguato  trasferimento  (o  un'attribuzione)   di
risorse economico-finanziarie per farvi fronte, principio  che  vale,
all'evidenza,  anche  per  il  caso  di  trasferimento  di  complessi
patrimoniali che determinino  oneri  (quali  spese  di  manutenzione,
restauro etc.) forieri di perdite economiche, nonche' - ovviamente  -
per il caso di trasferimento di personale. 
    Tale «principio di correlazione fra funzioni  e  risorse»  (cosi'
ormai correntemente definito in  teoria  generale)  e'  desumibile  -
oltre  che  dalla  logica  giuridica  (e  dunque  dal  «principio  di
ragionevolezza» al quale  la  Corte  costituzionale  attribuisce,  da
sempre, valore fondamentale) - dall'intero assetto del Titolo V della
Carta costituzionale; e, in particolare, dai commi  primo,  quinto  e
sesto dell'art. 119 della Costituzione,  disposizioni  costituzionali
che nella misura  in  cui  (e  nelle  parti  nelle  quali)  mirano  a
garantire uno standard minimo di tutela in favore degli Enti locali -
e dunque un valore costituzionale di base -  sono  ad  essi  comunque
applicabili  (e  da  essi   invocabili)   a   prescindere   da   ogni
delimitazione territoriale (il che risponde al criterio  metodologico
secondo cui agli enti locali ubicati nelle Regioni a statuto speciale
non puo' essere  riconosciuta  una  autonomia  finanziaria  inferiore
rispetto a quella devoluta agli enti ubicati nelle Regioni a  statuto
ordinario). 
    Il primo comma dell'art. 119 della Costituzione stabilisce che «i
comuni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa»,  e  sembra
che  tale  norma  organizzativa  di  base  sia  stata  disattesa  dal
legislatore siciliano, il quale con  il  quarto  comma  dell'art.  34
della legge regionale n. 22 del 1986 ha creato un  meccanismo  idoneo
ad  incidere  «estemporaneamente»  (id  est:  al  di  fuori  da  ogni
programmazione finanziaria locale;  consentendo,  con  semplici  atti
provvedimentali   adottati   dall'Amministrazione    regionale,    di
determinare sostanziali modifiche ai bilanci comunali e deroghe  alle
leggi finanziarie statali e regionali; e finanche  alla  legislazione
sul contenimento della spesa pubblica, non ostante quest'ultima abbia
natura di «legislazione di principio») sull'autonomia finanziaria dei
Comuni. 
    Il quinto comma dell'art. 119 della Costituzione  stabilisce  che
«Le  risorse  derivanti  dalle  fonti  di  cui  ai  commi  precedenti
consentono ai comuni (... omissis ...) di finanziare integralmente le
funzioni  pubbliche  loro  attribuite»,   e   pure   tale   principio
costituzionale - che ad avviso del Collegio non  puo'  non  ritenersi
applicabile anche ai comuni siciliani (salvo che, come gia'  cennato,
non  si  ritenga  costituzionalmente  legittimo  tributare  ad   essi
un'autonomia inferiore  rispetto  a  quella  riconosciuta  agli  Enti
locali delle Regioni ordinarie) - sembra essere stato  disatteso  dal
legislatore siciliano, il quale con  il  quarto  comma  dell'art.  34
della legge regionale n. 22 del 1986 ha creato un meccanismo idoneo a
gravare i  comuni  di  una  nuova  funzione  (quella  di  gestione  e
manutenzione dei patrimoni in dissesto delle  soppresse  I.P.A.B.;  e
quella, di natura socio-assistenziale, di ricollocazione ed eventuale
riqualificazione del personale da esse dipendente), senza dotarli (di
un minimo) di risorse  finanziarie  (aggiuntive)  necessarie  per  il
raggiungimento dell'obiettivo. 
    Il  sesto  comma  del  piu'  volte  menzionato  art.  119   della
Costituzione stabilisce che «... per provvedere a scopi  diversi  dal
normale esercizio delle  loro  funzioni,  lo  Stato  destina  risorse
aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore  di  determinati
comuni ... », principio (invero connesso al precedente) che sembra  -
anch'esso - violato dal legislatore siciliano, il quale con l'art. 34
della legge regionale n. 22 del 1986 ha creato un meccanismo idoneo a
devolvere ai comuni coinvolti nel processo di 'acquisizione  forzosa'
in esame, una serie di  compiti  volti  al  perseguimento  di  "scopi
diversi" da quelli corrispondenti al "normale  esercizio  delle  loro
funzioni"»  (come  cristallizzato  in   via   ordinaria   alla   data
dell'attribuzione e/o del trasferimento delle  funzioni  in  capo  ad
essi, e della devoluzione delle  correlata  risorse),  senza  dotarli
delle necessaria provvista finanziaria. 
    Anche ove si prescinda dalla questione della (piena  o  parziale)
applicabilita'  ai  comuni  siciliani  delle  disposizioni  contenute
nell'art. 119 della Costituzione, il  «principio  della  correlazione
fra funzioni e risorse» costituisce - come si e' gia' accennato -  un
principio  immanente  e   pervasivo   del   sistema   costituzionale,
desumibile - per  quanto  attiene  alla  Regione  siciliana  -  anche
dall'art. 15, comma 2, dello Statuto regionale siciliano (che afferma
che nella Regione gli enti  locali  sono  «dotati  della  piu'  ampia
autonomia amministrativa e finanziaria»); e pertanto l'art. 34  della
legge regionale in esame si rivela comunque  in  contrasto  con  tale
norma statutaria di rango costituzionale (come lo sono le norme dello
Statuto regionale siciliano). 
    Proprio  occupandosi  della  questione  del   «trasferimento   di
funzioni senza risorse», la Corte costituzionale ha affermato  (Corte
cost., n. 145 del 2008; nonche' n. 29 del 2004; n. 138 del 1999 e  n.
222 del 1994)  che  le  norme  di  legge  che  consentono  operazioni
istituzionali di tal fatta  sono  da  considerare  costituzionalmente
illegittime - in quanto lesive del  «principio  di  correlazione  fra
funzioni  e  risorse»,  nonche'  del  «principio   fondamentale   del
coordinamento   della   finanza   pubblica»    e    del    «principio
dell'equilibrio dei bilanci pubblici» declinati dagli  articoli  117,
lettera 'e' e 119 primo, settimo ed ottavo comma  della  Costituzione
(Corte cost., n. 52 del 2010, nn. 139 e 237 del 2009, e  n.  417  del
2005; nonche' 217 del 2012 e nn. 82, 176, 238, 239, 263,  272  e  273
del 2015) - quando determinano i seguenti due effetti: 
        a)  un'alterazione  del  «rapporto  tra  complessivi  bisogni
regionali e insieme dei mezzi finanziari per farvi fronte»; 
        b) ed una variazione del rapporto entrate/spese foriero di un
«grave squilibrio» nel bilancio. 
    Nella fattispecie disciplinata dall'art. 34 della legge regionale
n. 22 del 1986 cio' si verifica (o  comunque  ben  puo'  verificarsi)
ogniqualvolta il numero dei dipendenti in  transito  dalla  soppressa
I.P.A.B. verso il comune obbligato  ad  assumerli  e/o  le  spese  di
manutenzione  dei  beni  patrimoniali   ceduti,   determinino   spese
impreviste (non  esistendo  capitoli  di  bilancio  sui  quali  farle
gravare) e/o che non possano trovare adeguata copertura  in  bilancio
(se non facendo ricorso ad indebitamenti o a strumenti straordinari). 
    Infine, l'art.  34  cit.  si  pone  in  contrasto  anche  con  la
legislazione sul contenimento della  spesa  pubblica  (nella  specie:
art. 3, comma 5, del decreto-legge 24 giugno 2014, n.  90  convertito
in legge n. 114 del 2014; art. 1, comma 228, della legge n.  208  del
2015) gia' ritenuta dalla Corte costituzionale prevalente sulle leggi
regionali e comunque applicabili in  tutto  il  territorio  nazionale
(dunque anche nelle Regioni a statuto speciale) in quanto espressione
del (gia' menzionato) «principio fondamentale» secondo cui - in forza
degli articoli 119, secondo comma, e  117  lettera  'e'  della  Carta
costituzionale - spetta allo Stato  il  coordinamento  della  finanza
pubblica (Corte cost., n. 52 del 2010, nn. 139 e 237 del 2009,  e  n.
417 del 2005; nonche' 217 del 2012 e nn. 82, 176, 238, 239, 263 e 273
del  2015).  Esso  pertanto   e'   da   ritenere   costituzionalmente
illegittimo  anche   sotto   questo   profilo,   perche'   idoneo   a
«scompaginare» la politica  di  contenimento  delle  assunzioni  come
misura volta a perseguire il riequilibrio finanziario. 
    In conclusione, l'art. 34 della legge regionale 9 maggio 1986, n.
22 della Regione siciliana si pone  in  contrasto  con  il  principio
fondamentale del coordinamento della finanza pubblica, nonche' con  i
principii di correlazione fra funzioni e risorse e con  il  principio
di equilibrio dei bilanci  pubblici  desumibili  dagli  articoli  117
lettera 'e', 119, primo, secondo, quinto,  sesto  settimo  ed  ottavo
della Costituzione, e  15,  secondo  comma  dello  Statuto  regionale
siciliano. 
    Pertanto  va  posta  la  relativa   questione   di   legittimita'
costituzionale, sotto i vari profili individuati, innanzi alla  Corte
costituzionale. 
    5.2. A tal fine occorre chiarire  le  ragioni  per  le  quali  la
predetta questione appare al Collegio rilevante e non  manifestamente
infondata. 
    5.2.1. La soluzione  della  indicata  questione  di  legittimita'
costituzionale si appalesa rilevante in quanto pregiudiziale ai  fini
della decisione della causa, posto che - come si passa ad  illustrare
- dai destini della norma regionale derivano i destini dell'impugnato
provvedimento e dunque del giudizio pendente in  appello  innanzi  al
Giudice amministrativo. 
    Va subito precisato che al Collegio non appare corretto procedere
direttamente    ed    immediatamente    ad    una    «interpretazione
costituzionalmente orientata» dell'art. 34 della legge  regionale  n.
22 del 1986 che valorizzi la rilevanza ostativa del  parere  negativo
espresso dal comune e che pertanto  elimini  ogni  «rilevanza»  della
ventilata questione ai fini della decisione della causa. 
    Che il Giudice amministrativo non possa operare in tal senso,  lo
si ricava dalla semplice lettura del testo in esame (art.  34  cit.),
la cui  chiarezza  non  consente  -  posto  che  in  claris  non  fit
interpretatio - alcuna interpretazione teleologica. 
    Ed invero in nessun luogo del testo normativo e' specificato  che
il parere che il comune e'  chiamato  ad  esprimere  in  ordine  alla
soppressione dell'IPAB (ed alle conseguenti operazioni di devoluzione
ad esso del patrimonio e di transito del personale nei propri  ruoli)
debba essere considerato vincolante o parzialmente vincolante  (oltre
che obbligatorio) su determinati punti. Ne'  cio'  appare  desumibile
dalla comparazione della norma con altre norme connesse. 
    E    poiche'    per    procedere    ad    una    «interpretazione
costituzionalmente orientata» di una norma, deve comunque  sussistere
un  certo  spazio  di  indeterminatezza   della   pericope   (oggetto
dell'operazione ermeneutica), un minimo di intrinseca elasticita' del
testo che consenta all'interprete di intenderlo in un senso  anziche'
in un altro (in modo che la portata del  precetto  normativo  risulti
infine estesa,  ridotta  o  condizionata),  non  sembra  -  vista  la
rigidita' del testo  in  esame  -  che  l'operazione  ermeneutica  in
questione (volta a 'salvare' la norma da  censure  di  illegittimita'
costituzionale mediante un non previsto e non deducibile  dilatamento
della rilevanza del parere del Comune) fosse e sia possibile. 
    Diversamente opinando, infatti, si giungerebbe  alla  conclusione
che all'interprete  puo'  essere  concesso  di  modificare  le  norme
«rimodellandone» i testi. 
    5.2.2. La posizione logica in ordine alla necessita' di sollevare
la questione di costituzionalita' dell'art. 34 della legge  regionale
n. 22 del  1986  non  muta  neanche  ove  l'attenzione  si  concentri
esclusivamente sul contrasto della norma in  questione  con  il  c.d.
«principio di coordinamento della  finanza  pubblica»  (articoli  117
lett. 'e' ed art. 119, secondo comma, della Costituzione),  contrasto
scaturente  dalla  violazione  dei   cc.dd.   «limiti   assunzionali»
introdotti dalla  (gia'  precedentemente  menzionata)  normativa  sul
contenimento della spesa e sul blocco delle assunzioni. 
    Anche in tal caso appare evidente che non e' possibile  «salvare»
la   norma   regionale   in   esame   affermando   che   -    secondo
un'interpretazione costituzionalmente orientata  -  essa  si  applica
(rectius: dev'essere applicata) «riduttivamente» e cioe' nel rispetto
dei predetti limiti e divieti; e che  se  cosi'  applicata  non  puo'
essere considerata costituzionalmente illegittima. 
    Tale ragionamento non regge e non  fa  venir  meno  la  rilevanza
della questione. 
    Se per  un  verso,  infatti,  la  rilevanza  della  questione  di
costituzionalita' permane comunque  per  la  parte  della  norma  che
impone ai comuni l'acquisizione  forzosa  del  patrimonio  (ancorche'
passivo) della soppressa I.P.A.B.; per altro verso  non  puo'  essere
ignorato che secondo il  consolidato  orientamento  della  Corte  dei
conti - Sezione  delle  Autonomie,  «nei  casi  di  trasferimento  di
personale ad altro ente pubblico, derivante dalla soppressione di  un
ente obbligatoriamente disposta, non si ritiene applicabile il limite
assunzionale previsto dalla normativa vigente in materia di spese  di
personale ai fini del coordinamento della finanza pubblica», e che in
tal caso «la deroga al detto vincolo comporta (...  omissis  ...)  il
necessario  riassorbimento  della  spesa  eccedente  negli   esercizi
finanziari successivi a quello del superamento del limite» (Corte dei
conti, sezione delle Autonomie, del. n. 4/2016). 
    Chiarita, pertanto, la «giusta interpretazione» dell'art. 34  del
legge regionale n. 22 del 1986 e stabilito che dalla sua applicazione
deriva l'obbligo del Comune di procedere all'assunzione del personale
proveniente dalla I.P.A.B con accollo degli oneri finanziari  che  ne
conseguono, anche se cio' possa finire con  il  produrre  dissesti  o
indebitamenti straordinari (non decisi autonomamente), non  v'e'  chi
non  veda  come  anche  sotto  questo  profilo,  la  rilevanza  della
questione riaffiori con tutto il suo peso. 
    Ed invero se, come appare indubitabile, la norma va applicata nel
senso indicato dal Giudice contabile, ancora una voltagli  esiti  del
giudizio in corso non possono che dipendere dalla sua  «tenuta»,  che
non puo' che  essere  disposta  dall'unico  Giudice  a  questo  punto
competente ad orientare la decisione: il Giudice delle leggi. 
    5.3.  Passando  al  secondo  requisito  necessario   perche'   la
questione  possa  essere  sollevata,  va  sottolineato  che  essa  si
appalesa altresi' non manifestamente infondata in quanto -  come  del
resto gia' illustrato nei primi Capi della presente ordinanza  -  non
appare  revocabile  in  dubbio  che  l'introduzione  mediante   legge
regionale di  un  congegno  atto  ad  incidere  sui  principii  sopra
richiamati costituisca una evidente «rottura» dell'ordinario  assetto
(id  est:  del  regime  di  riparto)  delle  competenze   legislative
stabilito  dalla  Costituzione  (e,   nella   specie,   dalle   norme
costituzionali citate), e che determini  una  eccessiva  compressione
dell'autonomia finanziaria degli enti locali. 
    6.  In  conclusione,  dev'essere  sollevata   la   questione   di
legittimita' costituzionale,  per  contrasto  con  gli  articoli  97,
secondo e quarto comma, 117  lettera  'e',  e  119,  primo,  secondo,
quinto, sesto, settimo ed  ottavo  della  Costituzione,  nonche'  con
l'art.  15,  secondo  comma  dello   Statuto   regionale   siciliano,
unitamente o separatamente  considerati,  dell'art.  34  della  legge
regionale 9 maggio 1986, n. 22 della Regione siciliana,  nella  parte
in cui obbliga i comuni ad assorbire il patrimonio  ed  il  personale
delle Istituzioni pubbliche di  assistenza  e  beneficenza  soppresse
autoritativamente dall'Amministrazione regionale,  e  cio'  anche  in
deroga alle norme sul contenimento  della  spesa  pubblica  (comprese
quelle che introducono  divieti  di  assunzioni  o  limitazioni  alle
assunzioni di personale) e sull'equilibrio dei bilanci pubblici  (non
ostante tali norme siano espressione del principio  fondamentale  del
coordinamento della finanza pubblica). 
 
                                P.Q.M. 
 
    Il  Consiglio  di  giustizia  amministrativa   per   la   Regione
Siciliana,  in  sede  giurisdizionale  -  ritenuta  rilevante  e  non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 34 della legge regionale 9 maggio 1986, n. 22 della Regione
siciliana, per contrasto con gli articoli 117  lettera  'e',  e  119,
primo, secondo, quinto, sesto, settimo ed ottavo della  Costituzione,
nonche'  con  l'art.  15,  secondo  comma  dello  Statuto   regionale
siciliano, unitamente o separatamente considerati, nella parte in cui
obbliga i comuni ad assorbire il patrimonio  ed  il  personale  delle
Istituzioni  pubbliche  di   assistenza   e   beneficenza   soppresse
autoritativamente dall'Amministrazione regionale,  e  cio'  anche  in
deroga alle norme sul contenimento  della  spesa  pubblica  (comprese
quelle che introducono  divieti  di  assunzioni  o  limitazioni  alle
assunzioni di personale) e sull'equilibrio dei bilanci pubblici  (non
ostante tali norme siano espressione del principio  fondamentale  del
coordinamento della finanza pubblica) - dispone: 
        la   immediata   trasmissione   degli   atti    alla    Corte
costituzionale, sospendendo il presente giudizio fino  all'esito  del
giudizio incidentale di legittimita' costituzionale; 
        che  la  presente  ordinanza  sia  notificata  a  cura  della
segreteria alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri,  e
comunicata ai presidenti del Senato della Repubblica e  della  Camera
dei  deputati,  nonche'  al   presidente   dell'Assemblea   regionale
siciliana e al presidente della Regione siciliana. 
    Cosi' deciso in Palermo nella Camera di consiglio del  giorno  15
novembre 2018 con l'intervento dei signori magistrati: 
        Rosanna De Nictolis, Presidente; 
        Silvia La Guardia, consigliere; 
        Carlo Modica de Mohac, consigliere, estensore; 
        Giuseppe Barone, consigliere; 
        Giuseppe Verde, consigliere. 
 
                     Il Presidente: De Nictolis 
 
 
                                         L'estensore: Modica de Mohac