N. 132 SENTENZA 20 - 29 maggio 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale - Mutamento della  persona  fisica  del  giudice  nel
  corso del dibattimento - Obbligo, secondo il  diritto  vivente,  di
  ripetere l'assunzione della prova testimoniale laddove le parti non
  consentano alla lettura dei verbali delle dichiarazioni  gia'  rese
  nel dibattimento. 
- Codice di procedura penale, artt. 525, comma 2,  526,  comma  1,  e
  511. 
-   
(GU n.23 del 5-6-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 511, 525,
comma 2, e 526, comma 1, del codice di procedura penale, promosso dal
Tribunale  ordinario  di  Siracusa,   sezione   unica   penale,   nel
procedimento penale a carico di P.S. V. e altri, con ordinanza del 12
marzo 2018,  iscritta  al  n.  114  del  registro  ordinanze  2018  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  36,  prima
serie speciale, dell'anno 2018. 
    Udito nella camera di consiglio del  3  aprile  2019  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 12 marzo 2018  il  Tribunale  ordinario  di
Siracusa,  sezione  unica   penale,   ha   sollevato   questioni   di
legittimita' costituzionale degli artt. 511, 525,  comma  2,  e  526,
comma 1, del codice di procedura penale, chiedendo a questa Corte  di
valutare «se  i  medesimi  siano  costituzionalmente  illegittimi  in
relazione all'art. 111 della Costituzione, se interpretati nel  senso
che ad ogni mutamento della persona fisica di un  giudice,  la  prova
possa ritenersi legittimamente  assunta  solo  se  i  testimoni  gia'
sentiti nel dibattimento, depongano nuovamente  in  aula  davanti  al
giudice-persona fisica che deve deliberare sulle medesime circostanze
o se invece cio' debba avvenire solo allorquando non siano violati  i
principi costituzionali della effettivita' e della ragionevole durata
del processo». 
    L'ordinanza di  rimessione  e'  stata  pronunciata  nel  processo
penale a carico di P.S. V., B. S., G. S. e F. S., dirigenti aziendali
imputati  dei  delitti  di  cui  agli  artt.  416  (associazione  per
delinquere),  340  (interruzione  di  ufficio,  servizio  pubblico  o
servizio di pubblica necessita') e 629 (estorsione) del codice penale
(quest'ultimo - nella prospettiva accusatoria - commesso in danno  di
diversi lavoratori dipendenti). 
    2.- In punto di rilevanza delle questioni, il giudice  rimettente
espone anzitutto: 
    - che nel processo  a  quo,  dopo  la  costituzione  delle  parti
civili, avvenuta alle udienze del 6 dicembre 2007  e  del  12  giugno
2008, l'istruzione dibattimentale si e' svolta,  mediante  escussione
dei testimoni, alle udienze del 17 giugno 2010, del 18 novembre 2010,
del 26 maggio 2011, del 29 settembre 2011 e del 26 gennaio 2012; 
    - che, dopo un primo mutamento della  composizione  del  collegio
giudicante, stante il mancato consenso dei difensori  degli  imputati
alla lettura, ai sensi dell'art. 511 cod.  proc.  pen.,  dei  verbali
delle deposizioni testimoniali gia' assunte in  dibattimento,  si  e'
reso   necessario   disporre    la    rinnovazione    dell'escussione
testimoniale; 
    - che altri testimoni sono stati  sentiti  alle  udienze  del  18
marzo 2013, del 13 maggio 2013 e del 27 gennaio 2014; 
    -  che  e'  poi  intervenuto   un   ulteriore   mutamento   della
composizione  dell'organo  giudicante,  cosi'  che  l'escussione  dei
testimoni e' stata ripetuta all'udienza del 16 marzo 2015; 
    - che, successivamente, la composizione del  collegio  e'  mutata
piu' volte, con conseguente necessita' di  rinnovare  -  fino  a  sei
volte - l'escussione dei testimoni. 
    Osserva  a  questo  punto  il  giudice  a  quo  che,  a   seguito
dell'ennesimo mutamento dell'organo  giudicante,  e  dell'opposizione
dei difensori degli imputati - espressa all'udienza  del  5  febbraio
2018 - alla lettura delle dichiarazioni  testimoniali  in  precedenza
rese,  procedere  ora  alla  citazione  e  all'escussione  di   tutti
testimoni comporterebbe inevitabilmente la prescrizione definitiva di
tutti i  reati,  «con  insanabile  pregiudizio  anche  delle  istanze
civilistiche delle parti civili». Solo ove si ritenesse consentita la
lettura, ai sensi dell'art. 511 cod. proc. pen., delle  dichiarazioni
gia' rese dai testimoni, sarebbe invece  possibile  pervenire  a  una
pronuncia di merito. 
    3.- Quanto alla non manifesta infondatezza  delle  questioni,  il
Tribunale di Siracusa rileva che  la  richiesta  delle  difese  degli
imputati di integrale rinnovazione dell'istruzione dibattimentale  si
fonda sul combinato disposto degli artt. 525, comma 2, e  526,  comma
1,  cod.  proc.  pen.,   i   quali   rispettivamente   prevedono   la
partecipazione alla deliberazione della sentenza degli stessi giudici
che hanno partecipato al dibattimento e il divieto di  utilizzazione,
ai  fini  della   deliberazione,   di   prove   diverse   da   quelle
legittimamente acquisite nel dibattimento. 
    Il  giudice  a   quo   dubita,   tuttavia,   della   legittimita'
costituzionale di tali disposizioni, lette in combinato disposto  con
l'art. 511 cod. proc. pen., il  quale  prevede  che  la  lettura  dei
verbali di dichiarazioni, contenute nel fascicolo  del  dibattimento,
sia disposta solo dopo l'esame della persona che le ha rese,  a  meno
che l'esame non abbia luogo. 
    3.1.- Le norme censurate, ove interpretate nel senso  di  imporre
indefettibilmente la rinnovazione dell'escussione  dei  testimoni  in
caso di mutamento della persona  fisica  del  giudice,  violerebbero,
anzitutto, il canone della ragionevole durata del  processo,  di  cui
all'art. 111, secondo comma, Cost. 
    L'obbligo di risentire, a richiesta delle parti, i testimoni gia'
escussi in dibattimento in corrispondenza  di  ogni  mutamento  della
composizione del collegio giudicante sarebbe infatti suscettibile  di
dilatare i tempi  del  processo  sino  a  una  durata  potenzialmente
«infinita».  L'abnorme  allungamento  dei  tempi  processuali,   poi,
combinandosi  con  il  meccanismo  della  prescrizione   dei   reati,
comporterebbe «lo svilimento assoluto del processo penale». 
    Il  rimettente  evidenzia  come,  nella   prassi,   il   rispetto
dell'oralita' e dell'immediatezza del processo penale, cui si  ispira
la disciplina censurata, sia solo formale, atteso  che  i  testimoni,
sovente  nuovamente  escussi  a  distanza  di  anni  dall'inizio  del
processo, si limitano a confermare quanto in  precedenza  dichiarato.
Nel giudizio a quo, poi, la richiesta  degli  imputati  di  rinnovare
l'audizione dei testimoni  sarebbe  stata  esercitata  con  modalita'
abusive  e  meramente  strumentali  all'allungamento  dei  tempi  del
processo,  fino  alla  prescrizione  dei  reati  contestati.  Nessuna
domanda - osserva il rimettente - e' stata infatti posta dalle difese
ai testimoni riconvocati, i quali, esaminati dal pubblico  ministero,
hanno semplicemente confermato la precedente deposizione. 
    A fronte di un simile scenario, la compressione del canone  della
ragionevole durata del processo, di cui all'art. 111, secondo  comma,
Cost., non potrebbe trovare alcuna giustificazione. 
    Solo  interpretando  le  disposizioni  censurate  nel  senso   di
escludere  che  esse  impongano  indefettibilmente  la   rinnovazione
dell'escussione dei testimoni in  caso  di  mutamento  della  persona
fisica  del  giudice,  sarebbe,  invece,  possibile   affermarne   la
conformita' all'art. 111, secondo comma, Cost. 
    E invero - sottolinea il rimettente - il codice di rito contempla
diverse ipotesi di utilizzabilita', ai fini della decisione, di  atti
di natura probatoria formatisi davanti a un  diverso  giudice,  quali
gli atti di cui si da' lettura ai  sensi  dell'art.  511  cod.  proc.
pen., le risultanze dell'incidente probatorio  di  cui  all'art.  392
cod. proc. pen., nonche' le prove acquisite in altro procedimento, ai
sensi  dell'art.  238  cod.  proc.  pen.  In  particolare,  a  fronte
dell'utilizzabilita' dei verbali di  prove  testimoniali  assunte  in
altro procedimento, sarebbe del tutto  irragionevole  concludere  per
l'inutilizzabilita' dei verbali  delle  prove  assunte  nel  medesimo
procedimento, nei confronti dello stesso imputato  ed  alla  presenza
dello stesso difensore. La non coincidenza tra giudice che assume  la
prova  testimoniale  e  giudice   che   decide   sarebbe,   pertanto,
eventualita' ammessa dallo stesso codice di rito. 
    Con riferimento alla prova testimoniale, d'altra  parte,  sarebbe
possibile interpretare  le  disposizioni  censurate,  alla  luce  del
canone di ragionevole  durata  del  processo  di  cui  all'art.  111,
secondo  comma,  Cost.,  nel  senso  che,  una  volta  rispettato  il
principio del contraddittorio in sede di prima assunzione della prova
dichiarativa, il mutamento dell'organo  giudicante  renda  «possibile
(ed anzi doveroso)» ripetere l'escussione dei testimoni,  solo  nella
misura in cui la durata del processo di primo  grado  non  ecceda  il
limite di ragionevolezza, individuato dalla legge 24 marzo  2001,  n.
89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del  termine
ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del  codice  di
procedura civile) in tre anni. Ove tale limite  sia  stato  superato,
«la prova testimoniale (gia' validamente assunta nel  contraddittorio
delle parti dinanzi ad un giudice terzo  ed  imparziale)  non  potra'
essere ripetuta e di essa dovra' essere  data  lettura  ex  art.  511
c.p.p.». 
    Tale soluzione rappresenterebbe, ad avviso del giudice a quo,  un
adeguato bilanciamento tra principi di oralita'  e  immediatezza  del
processo   penale,   peraltro   non   espressamente   menzionati   in
Costituzione, e il canone della ragionevole durata  del  processo  di
cui all'art. 111, secondo comma, Cost. 
    3.2.- In secondo luogo, il Tribunale di Siracusa ritiene  che  il
riconoscimento di un diritto incondizionato dell'imputato di chiedere
la  rinnovazione  dell'escussione  dei  testimoni  contrasti  con  il
principio costituzionale dell'effettivita' del processo, riconosciuto
da questa Corte sin dalla sentenza n. 353 del 1996 ed  implicito  nel
dettato  dell'art.  111,  primo  comma,  Cost.,   che   recita:   «la
giurisdizione si attua». 
    Nelle  sedi  giudiziarie  «periferiche»,  infatti,  in  forza  di
frequenti trasferimenti e congedi dei giudici,  la  composizione  dei
collegi giudicanti sarebbe soggetta a  continui  mutamenti.  In  tali
condizioni,  il  rispetto  «formale  e  categorico»   del   principio
dell'oralita' determinerebbe l'impossibilita' oggettiva di portare  a
termine il processo, «con inevitabile pregiudizio delle ragioni delle
persone offese e con enorme dispendio di attivita'  processuali».  Il
principio  dell'oralita',  pertanto,  dovrebbe  ritenersi  subvalente
rispetto al principio costituzionale dell'effettivita' del  giudizio,
poiche' «in una situazione di fatto che non  consente  la  permanenza
dello stesso giudice persona fisica per  piu'  di  qualche  anno,  il
rispetto rigoroso  dell'oralita'  comporta  matematicamente  che  "la
giurisdizione NON si attua"». 
    Del resto, l'oralita' del processo sarebbe principio di rango non
costituzionale, che conosce deroghe nel codice di  rito,  ad  esempio
nel caso  gia'  ricordato  di  assunzione  della  prova  nelle  forme
dell'incidente probatorio, oppure in relazione alle dichiarazioni del
coimputato che non intenda sottoporsi ad esame,  e,  comunque,  nella
fase di appello. 
    4. - Il Presidente del Consiglio dei ministri non e'  intervenuto
nel presente giudizio; ne' si e' costituita alcuna  delle  parti  del
giudizio a quo. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale  ordinario
di  Siracusa,  sezione  unica  penale,  dubita   della   legittimita'
costituzionale degli artt. 511, 525, comma 2, e  526,  comma  1,  del
codice di procedura penale, chiedendo a questa Corte di valutare  «se
i medesimi siano costituzionalmente illegittimi in relazione all'art.
111 della  Costituzione,  se  interpretati  nel  senso  che  ad  ogni
mutamento  della  persona  fisica  di  un  giudice,  la  prova  possa
ritenersi legittimamente assunta solo se i testimoni gia' sentiti nel
dibattimento, depongano nuovamente in aula davanti al giudice-persona
fisica che deve deliberare sulle medesime  circostanze  o  se  invece
cio' debba avvenire solo allorquando non  siano  violati  i  principi
costituzionali della effettivita'  e  della  ragionevole  durata  del
processo». 
    L'imposizione,  a  ogni  di  mutamento  della  composizione   del
collegio  giudicante,  dell'obbligo  di  rinnovare  l'escussione  dei
testimoni, fatto salvo il caso in cui le parti  processuali  prestino
il consenso alla lettura delle deposizioni  precedentemente  rese  in
dibattimento, sarebbe suscettibile di dilatare in maniera  abnorme  i
tempi del processo, in contrasto il canone di ragionevole durata,  di
cui all'art. 111, secondo comma, Cost. 
    La  disciplina  censurata  violerebbe,  altresi',  il   principio
costituzionale dell'effettivita' del  processo,  inscritto  nell'art.
111,  primo  comma,  Cost.,  poiche'  la  (potenzialmente   infinita)
reiterazione dell'assunzione della prova dichiarativa impedirebbe  di
concludere utilmente  il  processo,  cosi'  frustrando  la  piena  ed
effettiva attuazione della giurisdizione. 
    2.- Le questioni, cosi' come formulate, sono inammissibili. 
    2.1. - Gli artt. 525, comma 2, e 526, comma 1, cod.  proc.  pen.,
rispettivamente prevedono la partecipazione alla deliberazione  della
sentenza degli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento e
il divieto di utilizzazione, ai fini della  deliberazione,  di  prove
diverse da quelle  legittimamente  acquisite  nel  dibattimento.  Dal
canto suo, l'art. 511 cod. proc. pen., nel  disciplinare  la  lettura
degli atti contenuti nel fascicolo del  dibattimento  e  utilizzabili
per la decisione, consente la lettura dei  verbali  di  dichiarazioni
solo dopo l'esame della persona che le ha rese, a  meno  che  l'esame
non abbia luogo. 
    Secondo l'interpretazione degli artt. 525, comma 2, 526, comma 1,
e 511 cod. proc. pen. offerta dal diritto vivente, da tale  combinato
disposto deriva  l'obbligo,  per  il  giudice  del  dibattimento,  di
ripetere l'assunzione della prova dichiarativa ogni qualvolta muti la
composizione del collegio giudicante, laddove  le  parti  processuali
non acconsentano alla lettura delle dichiarazioni rese dai  testimoni
innanzi al precedente organo giudicante (Corte di cassazione, sezioni
unite penali,  sentenza  17  febbraio  1999,  n.  2;  sezione  prima,
sentenza 4  novembre  1999,  n.  12496;  sezione  prima,  sentenza  7
dicembre 2001-10 maggio 2002, n. 17804; sezione  prima,  sentenza  23
settembre 2004, n. 37537; sezione quinta, sentenza 7 novembre 2006-31
gennaio 2007, n. 3613; sezione quinta, sentenza 15 dicembre 2011,  n.
46561; sezione quinta, sentenza 11 maggio 2017, n. 23015). 
    Tale interpretazione e' stata ripetutamente fatta  propria  anche
dalla giurisprudenza di questa Corte, che peraltro ha, finora, sempre
escluso  l'illegittimita'  costituzionale   della   disciplina   oggi
nuovamente censurata, cosi' come  interpretata  dal  diritto  vivente
(sentenza n. 17 del 1994; ordinanze n. 205 del 2010, n. 318 del 2008,
n. 67 del 2007, n. 418 del 2004, n. 73 del 2003, n. 59 del  2002,  n.
431 e n. 399 del 2001). 
    2.2.-   Il   giudice   a   quo   prospetta,   nella   motivazione
dell'ordinanza di rimessione, la possibilita' di una diversa  lettura
-  definita  «costituzionalmente  orientata»  -  delle   disposizioni
censurate, secondo la quale  l'obbligo  di  ripetizione  della  prova
dichiarativa,  in   caso   di   mutamento   dell'organo   giudicante,
sussisterebbe solo nella misura in cui la  durata  del  processo  non
ecceda il limite di durata ragionevole, individuato in tre anni dalla
legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di
violazione  del  termine  ragionevole   del   processo   e   modifica
dell'articolo 375 del codice di procedura civile). Ove il processo si
protragga oltre detto limite temporale,  la  prova  dichiarativa  non
dovrebbe essere nuovamente assunta - anche se la parte interessata ne
faccia  richiesta  -  e  le  dichiarazioni  rese  innanzi  all'organo
giudicante poi mutato potrebbero essere utilizzate per la  decisione,
mediante lettura dei relativi verbali. 
    Il rimettente, tuttavia, non fa propria  questa  interpretazione,
evitando cosi' di riassumere le prove dichiarative, ma ritiene invece
di promuovere il presente incidente di  costituzionalita',  chiedendo
alla  Corte,  alternativamente,  di  avallare  tale   interpretazione
attraverso una sentenza di rigetto, ovvero di dichiarare  illegittime
le disposizioni censurate se interpretate secondo il diritto vivente. 
    In tal modo, il giudice a quo da un lato formula  un  petitum  in
termini di irrisolta alternativita' (sentenza  n.  87  del  2013);  e
dall'altro mira evidentemente a conseguire  un  avallo  alla  propria
interpretazione   asseritamente   secundum    constitutionem    delle
disposizioni censurate, il  che  determina  l'inammissibilita'  delle
questioni (ex plurimis, ordinanze n. 97 del 2017, n. 87 e n.  33  del
2016, n. 92 del 2015). 
    3.- Questa Corte non puo' esimersi, peraltro, dal sottolineare le
incongruita' dell'attuale disciplina,  cosi'  come  interpretata  dal
diritto vivente. 
    3.1.- Nell'impianto del vigente codice di  procedura  penale,  il
principio di immediatezza della prova e'  strettamente  correlato  al
principio di oralita': principi, entrambi, che sottendono un  modello
dibattimentale  fortemente  concentrato  nel  tempo,  idealmente   da
celebrarsi in un'unica udienza o, al piu', in udienze celebrate senza
soluzione di continuita' (come risulta evidente dal tenore  dell'art.
477 cod. proc. pen.). Solo a tale condizione, infatti, l'immediatezza
risulta funzionale rispetto ai suoi obiettivi essenziali: e cioe', da
un lato, quello di consentire «la diretta percezione,  da  parte  del
giudice  deliberante,  della  prova  stessa  nel  momento  della  sua
formazione, cosi' da poterne cogliere tutti i  connotati  espressivi,
anche quelli di carattere non verbale, particolarmente  prodotti  dal
metodo dialettico dell'esame e del controesame; connotati che possono
rivelarsi  utili  nel  giudizio  di  attendibilita'   del   risultato
probatorio» (ordinanza n. 205 del 2010);  e,  dall'altro,  quello  di
assicurare che il giudice che decide  non  sia  passivo  fruitore  di
prove dichiarative gia' da altri  acquisite,  ma  possa  -  ai  sensi
dell'art.  506  cod.  proc.  pen.  -  attivamente  intervenire  nella
formazione  della  prova  stessa,  ponendo  direttamente  domande  ai
dichiaranti e persino indicando alle parti «nuovi o piu' ampi temi di
prova,  utili  per  la  completezza  dell'esame»:   poteri   che   il
legislatore concepisce come strumentali alla  formazione  progressiva
del convincimento che condurra' il giudice alla decisione, idealmente
collocata in un momento immediatamente  successivo  alla  conclusione
del dibattimento e alla (contestuale) discussione. 
    L'esperienza maturata in trent'anni di vita del vigente codice di
procedura penale restituisce, peraltro, una realta' assai lontana dal
modello ideale immaginato dal  legislatore.  I  dibattimenti  che  si
concludono nell'arco di un'unica udienza sono l'eccezione; mentre  la
regola e' rappresentata da dibattimenti che  si  dipanano  attraverso
piu' udienze, spesso intervallate da rinvii di mesi o di  anni,  come
emblematicamente illustra  l'odierno  giudizio  a  quo  (Ritenuto  in
fatto, punto 2.). 
    In una simile situazione, il principio di immediatezza rischia di
divenire un mero simulacro: anche se il giudice che decide  resta  il
medesimo, il suo convincimento al momento della decisione  finira'  -
in  pratica  -  per  fondarsi  prevalentemente  sulla  lettura  delle
trascrizioni delle dichiarazioni rese in udienza,  delle  quali  egli
conservera' al piu' un pallido ricordo. 
    D'altra parte, la dilatazione in  un  ampio  arco  temporale  dei
dibattimenti crea inevitabilmente il rischio che il  giudice  che  ha
iniziato il processo  si  trovi  nell'impossibilita'  di  condurlo  a
termine, o comunque  che  il  collegio  giudicante  muti  la  propria
composizione, per le ragioni piu' varie. Il che  comporta,  oggi,  la
necessita'  di  rinnovare  le  prove  dichiarative  gia'  assunte  in
precedenza,  salvo  che  le  parti  consentano  alla  loro   lettura.
Frequente e', d'altra parte, l'eventualita' che la  nuova  escussione
si  risolva  nella  mera  conferma  delle  dichiarazioni  rese  tempo
addietro dal testimone, il quale  avra'  d'altra  parte  una  memoria
ormai assai meno vivida dei fatti sui quali, allora,  aveva  deposto:
senza, dunque, che il nuovo giudice possa trarre dal contatto diretto
con  il  testimone  alcun  beneficio  addizionale,  in   termini   di
formazione del proprio convincimento, rispetto a quanto  gia'  emerge
dalle  trascrizioni  delle  sue  precedenti  dichiarazioni,  comunque
acquisibili al fascicolo dibattimentale ai sensi dell'art. 511, comma
2, cod. proc. pen. una volta che il testimone venga risentito. 
    La dilatazione dei tempi processuali che deriva dalla  necessita'
di riconvocare i testimoni - dilatazione che puo' assumere dimensioni
imponenti in dibattimenti complessi, come quello pendente  di  fronte
al giudice a quo - produce costi significativi, in termini  tanto  di
ragionevole durata del processo, quanto di efficiente amministrazione
della  giustizia  penale;  e  cio'  anche  in  considerazione   della
possibilita' che, proprio per effetto delle dilatazioni temporali  in
parola, il reato si prescriva prima della sentenza definitiva. 
    Il tutto a fronte di una assai dubbia  idoneita'  complessiva  di
tale  meccanismo  a  garantire,  in  maniera  effettiva  e  non  solo
declamatoria, i diritti fondamentali dell'imputato, e in  particolare
quello a una decisione giudiziale corretta  sull'imputazione  che  lo
riguarda. 
    3.2.- In un simile contesto fattuale - con il quale non puo'  non
fare i conti ogni discorso sulla tutela dei  diritti  fondamentali  -
questa  Corte  ritiene  doveroso  sollecitare  l'adozione  di  rimedi
strutturali in  grado  di  ovviare  agli  inconvenienti  evidenziati,
assicurando  al  contempo  piena  tutela   al   diritto   di   difesa
dell'imputato. 
    Il che potrebbe avvenire non  solo  favorendo  la  concentrazione
temporale  dei  dibattimenti,  si'  da  assicurarne   idealmente   la
conclusione  in  un'unica  udienza  o   in   udienze   immediatamente
consecutive, come avviene di regola in molti  ordinamenti  stranieri;
ma anche, ove  cio'  non  sia  possibile,  attraverso  la  previsione
legislativa di ragionevoli deroghe  alla  regola  dell'identita'  tra
giudice avanti al quale si forma la prova e giudice  che  decide.  Al
riguardo, occorre infatti considerare che il diritto della parte alla
nuova audizione dei testimoni di fronte al nuovo giudice o al  mutato
collegio  «non  e'  assoluto,  ma  "modulabile"  (entro   limiti   di
ragionevolezza)  dal  legislatore»  (ordinanza  n.  205  del   2010),
restando ferma - in particolare - la possibilita' per il  legislatore
di introdurre «presidi normativi volti a prevenire il  possibile  uso
strumentale e dilatorio» del diritto in questione (ordinanze  n.  318
del 2008 e n. 67 del 2007). 
    La  stessa  giurisprudenza  della  Corte  europea   dei   diritti
dell'uomo - che pure ascrive  alle  garanzie  dell'equo  processo  la
possibilita', per l'imputato, di  confrontarsi  con  i  testimoni  in
presenza del giudice che dovra' poi decidere sul merito delle accuse,
sul   presupposto   della   maggiore   affidabilita'   epistemologica
dell'osservazione diretta del comportamento  dei  testi  (ex  multis,
Corte EDU, sentenze 27 settembre 2007, Reiner e altri contro Romania,
paragrafo 74 e 30 novembre 2006, Grecu contro Romania, paragrafo  72)
- riconosce cionondimeno  che  il  principio  dell'immediatezza  puo'
essere sottoposto  a  ragionevoli  deroghe,  purche'  siano  adottate
misure appropriate per assicurare che  il  nuovo  giudice  abbia  una
piena conoscenza del materiale probatorio. Ad esempio, la  Corte  EDU
ha indicato quale "misura compensativa" adeguata la possibilita', per
il nuovo giudice, di disporre la rinnovazione della  deposizione  dei
(soli) testimoni la cui deposizione sia  ritenuta  importante  (Corte
EDU, sentenze 2 dicembre 2014, Cutean contro Romania, paragrafo 61, e
6 dicembre 2016, Škaro contro Croazia, paragrafo 24); e ha escluso la
violazione dell'art. 6 della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1955, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848, in un  caso  in  cui  non  era  stata  rinnovata
l'escussione dei testimoni nonostante la sostituzione  di  un  membro
del  collegio  giudicante,  sottolineando  come   i   verbali   delle
deposizioni in precedenza raccolte fossero a disposizione  del  nuovo
componente del collegio,  e  l'imputato  non  avesse  chiarito  quali
elementi nuovi e pertinenti la rinnovazione avrebbe potuto  apportare
(Corte EDU,  sentenza  10  febbraio  2005,  Graviano  contro  Italia,
paragrafi 39-40; in senso analogo, decisione 9 luglio 2002, P. K.  c.
Finlandia). 
    Resta, dunque, aperta  per  il  legislatore  la  possibilita'  di
introdurre ragionevoli  eccezioni  al  principio  dell'identita'  tra
giudice avanti al quale e' assunta la prova e giudice che decide,  in
funzione    dell'esigenza,    costituzionalmente    rilevante,     di
salvaguardare  l'efficienza  dell'amministrazione   della   giustizia
penale,  in  presenza   di   meccanismi   "compensativi"   funzionali
all'altrettanto  essenziale   obiettivo   della   correttezza   della
decisione - come,  ad  esempio,  la  videoregistrazione  delle  prove
dichiarative, quanto meno nei dibattimenti piu' articolati -, e ferma
restando  la  possibilita'  (gia'  oggi  implicitamente  riconosciuta
dall'art. 507 cod. proc. pen.:  ex  plurimis,  Corte  di  cassazione,
sezione terza penale, sentenza 18 settembre 1997, n.  10015)  per  il
giudice  di  disporre,  su  istanza  di   parte   o   d'ufficio,   la
riconvocazione del  testimone  avanti  a  se'  per  la  richiesta  di
ulteriori chiarimenti o l'indicazione di  nuovi  temi  di  prova,  ai
sensi dell'art. 506 cod. proc. pen. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibili    le    questioni    di    legittimita'
costituzionale degli artt. 525, comma 2, 526,  comma  1,  e  511  del
codice di procedura penale, sollevate, in  riferimento  all'art.  111
della  Costituzione,  dal  Tribunale  ordinario   di   Siracusa   con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 maggio 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA