N. 49 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 25 marzo 2019

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 25  marzo  2019  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Ambiente - Norme della Regione autonoma  Sardegna  -  Modifiche  alle
  leggi  regionali  n.   20   e   n.   21   del   2014,   istitutive,
  rispettivamente, dei Parchi naturali regionali di Gutturu  Mannu  e
  di Tepilora - Organi del parco -  Attribuzione  delle  funzioni  di
  revisore dei conti al "revisore dei  conti",  in  sostituzione  del
  "collegio dei revisori dei conti". 
Impiego pubblico - Norme della Regione autonoma Sardegna  -  Gestione
  dei terreni  da  parte  dell'Agenzia  Forestas  -  Inquadramento  a
  carattere temporaneo, nel proprio organico, del personale impegnato
  dagli affittuari. 
Edilizia e urbanistica - Norme  della  Regione  autonoma  Sardegna  -
  Tolleranze edilizie - Disciplina - Applicazione  nelle  ipotesi  di
  disposizioni   in   materia   di   distanze    e    di    requisiti
  igienico-sanitari che individuano misure minime. 
Sanita' pubblica - Norme della Regione  autonoma  Sardegna  -  Durata
  delle  attestazioni  o  certificazioni  di  malattie   croniche   -
  Individuazione da parte della Giunta  regionale  delle  malattie  e
  delle condizioni di salute, da inserire in un apposito  elenco,  ai
  fini  delle  prestazioni  sanitarie  o   sociali   nel   territorio
  regionale. 
Lavoro e occupazione  -  Norme  della  Regione  autonoma  Sardegna  -
  Disposizioni in materia di formazione  professionale  -  Iscrizione
  d'ufficio nella lista speciale  ad  esaurimento  dei  soggetti  che
  abbiano fatto ricorso al giudice amministrativo. 
- Legge della Regione autonoma Sardegna 11 gennaio 2019, n. 1  (Legge
  di semplificazione 2018), artt. 4, comma 1, lettera a); 5, comma 1,
  lettera a); 7, comma 2; 13; 53; 59; e 61. 
(GU n.24 del 12-6-2019 )
    Ricorso  ex art. 127 Costituzione del  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale
dello Stato codice fiscale n.  80224030587,  fax  06/96514000  e  Pec
roma@mailcert.avvocaturastato.it  presso  i  cui   uffici   ex   lege
domicilia in Roma, via dei Portoghesi  n.  12,  nei  confronti  della
Regione autonoma della Sardegna,  in  persona  del  Presidente  della
Giunta regionale pro-tempore per la dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale degli articoli 4, comma 1, lettera  a);  5,  comma  1,
lettera a); 7, comma 2, 13, 53, 59 e 61 della legge  regionale  della
Sardegna 11 gennaio 2019, n. 1,  recante  «Legge  di  semplificazione
2018», pubblicata nel B.U.R.  del  17  gennaio  2019,  n.  4,  giusta
delibera del Consiglio dei ministri in data 7 marzo 2019. 
    La legge della Regione Sardegna n. 1 dell'11 gennaio 2019 citata,
che  consta  di  64  articoli,  detta   disposizioni   in   tema   di
semplificazione. 
    E' avviso del Governo che, con le norme denunciate  in  epigrafe,
la Regione autonoma  della  Sardegna  abbia  ecceduto  dalla  propria
competenza statutaria, legge costituzionale 26 febbraio 1948,  n.  3,
«Statuto speciale per  la  Sardegna»,  e  successive  integrazioni  e
modificazioni, in violazione della normativa costituzionale, come  si
confida di dimostrare in appresso con  l'illustrazione  dei  seguenti
motivi, 
1. Gli articoli 4, comma 1, lettera a) e 5, comma 1, lettera a) della
legge regionale n. 1 del 2019 citata violano gli articoli 97  e  117,
comma 2, lettera s), della  Costituzione  in  relazione  all'art.  24
della legge 6 dicembre 1991, n. 394. 
    1.1. L'art. 4, della  legge  regionale  n.  1  del  2019  citata,
rubricato «Modifiche alla legge regionale n. 20 del  2014  (Parco  di
Gutturu Mannu)», al comma 1, lettera a), modifica l'art. 3, comma  2,
della legge regionale n. 20 del 2014, sostituendo la lettera c),  che
inseriva, tra gli organi dell'Ente, «il  collegio  dei  revisori  dei
conti», prevedendo al suo posto un organo monocratico,  il  «revisore
dei conti». 
    Analoga modifica viene apportata dall'art. 5,  comma  1,  lettera
a), citato, rubricato «Modifiche alla legge regionale n. 21 del  2014
(Parco di Tempilora», che modifica l'art. 3,  comma  2,  lettera  c),
della legge regionale n.  21  del  2014,  ove,  in  sostituzione  del
«collegio dei revisori dei conti», prevede un organo monocratico,  il
«revisore dei conti». 
    Le norme censurate in riferimento agli enti  gestori  delle  aree
protette attribuiscono, dunque, le funzioni di revisore dei  conti  a
un organo monocratico in contrasto con quanto  previsto  dalla  legge
quadro sulle aree protette. 
    La legge 6 dicembre 1991, n. 394, infatti, all'art. 24, rubricato
«Organizzazione amministrativa del parco naturale»,  ai  commi  e  2,
prevede espressamente che «...1. in relazione  alla  peculiarita'  di
ciascuna area interessata, ciascun parco naturale regionale  prevede,
con  apposito  statuto,  una   differenziata   firma   organizzativa,
indicando i criteri per la composizione del consiglio  direttivo,  la
designazione del presidente e del direttore, i poteri del  consiglio,
del presidente e del  direttore,  la  composizione  e  i  poteri  del
collegio dei revisori dei conti e degli organi di consulenza  tecnica
e scientifica, le modalita' di convocazione e di funzionamento  degli
organi statutari, la costituzione delle comunita' del parco;  2.  nel
collegio dei revisori dei conti deve essere assicurata la presenza di
un membro designato dal Ministro del tesoro.» 
    Il suddetto art. 24 della legge n. 394 del 1991,  nel  solco  del
disposto dell'art. 9, commi 2  e  comma  10,  della  medesima  legge,
contempla, pertanto, tra gli organi del Parco regionale  il  collegio
dei revisori dei conti, all'interno del quale deve essere  ricompresa
la presenza di un membro  designato  dal  Ministro  del  tesoro  (ora
Ministero dell'economia e delle finanze). 
    Per quanto esposto le predette previsioni della  legge  regionale
n.  1  del  2019,  che  si  impugnano,  incidono  in  maniera  palese
sull'assetto   organizzativo   interno    dell'ente    parco,    come
predeterminato dal  parametro  interposto  statale  costituito  dalla
citata «Legge quadro  sulle  aree  protette»  n.  394  del  1991,  in
mancanza di specifica facolta' normativamente riconosciuta,  operando
una illegittima variazione novativa organica con conseguenti riflessi
sotto il profilo della  regolarita'  amministrativa  dell'Ente  parco
stesso. 
    Le norme regionali  censurate  intervengono  in  una  materia  di
competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art.  117,  comma  2,
lettera s), della Costituzione in tema  di  «tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema» e non rispettano  la  normativa  statale  che  fissa
criteri generali di tutela validi per tutto il territorio  nazionale,
trasformando la struttura dell'organo di revisione da  collegiale  in
monocratico,  incidendo  sulla  sua  funzionalita',  in   chiave   di
riduzione di tutela  e,  pertanto,  violano  anche  l'art.  97  della
Costituzione. 
    1.1.2. La disciplina delle aree protette rientra, infatti,  nella
competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell'ambiente»
ex art. 117, secondo comma, lettera s), ed e' contenuta nella  citata
legge n. 394  del  1991  che  detta  i  principi  fondamentali  della
materia, ai quali la legislazione regionale e' chiamata ad  adeguarsi
(sentenze n. 315 e n. 193 del 2010, n. 44, n. 269 e n. 325 del  2011,
n. 14 del 2012, n. 212 del 2014 e n. 36 del 17 febbraio 2017),  quale
norma interposta, (sentenze n. 44 del 2011 n. 315 e n. 20 del  2010),
espressione, per l'appunto, dell'esercizio della competenza esclusiva
statale in materia di tutela dell'ambiente, ai sensi  dell'art.  117,
secondo comma, lettera s), della Costituzione. 
    Le regioni,  pertanto,  nell'ambito  di  aree  protette,  possono
soltanto determinare maggiori livelli di tutela, ma non derogare alla
legislazione statale. 
    In particolare, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito come
«il territorio dei  parchi  siano  essi  nazionali  o  regionali  ben
(possa) essere oggetto di regolamentazione da parte della regione, in
materie riconducibili ai commi terzo e quarto  dell'art.  117  Cost.,
purche' in linea con il nucleo minimo di salvaguardia del  patrimonio
naturale, da ritenere vincolante per le regioni».  (sentenze  n.  232
del 2008, punto 5 del Considerato  in  diritto;  e  n.  44  del  2011
citata). 
    Nell'ambito, quindi, delle materie di loro competenza le  regioni
trovano un limite negli standard di tutela fissati a livello statale.
Questi,  tuttavia,  non  impediscono  al  legislatore  regionale   di
adottare discipline  normative  che  prescrivano  livelli  di  tutela
dell'ambiente piu' elevati (sentenze n. 149  del  2015;  n.  267  del
2016; n. 74  del  2017;  e  n.  66  del  2018),  i  quali  «implicano
logicamente il rispetto degli standard adeguati  e  uniformi  fissati
nelle leggi statali» (sentenza n. 315 del 2010). 
    La legge quadro n. 394 del 1991  citata  e'  stata  costantemente
ricondotta dalla giurisprudenza costituzionale alla  materia  «tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema» (da ultimo, sentenze n. 74 e  n.  36
del 2017), da cio' derivandone, dunque, che le regioni sono tenute ad
adeguarsi ai principi fondamentali da essa dettati, pena  l'invasione
di un ambito materiale di esclusiva spettanza statale. 
    La stessa  giurisprudenza  costituzionale  ha  affermato  che  lo
standard minimo uniforme di  tutela  nazionale  si  estrinseca  nella
predisposizione da parte degli enti gestori delle aree  protette  «di
strumenti  organizzativi,   programmatici   e   gestionali   per   la
valutazione di rispondenza delle attivita'  svolte  nei  parchi  alle
esigenze di protezione» dell'ambiente e  dell'ecosistema».  (sentenza
n. 171 del 2012; nello stesso senso, le sentenze n. 387 del 2008;  n.
263 e n. 44 del 2011 citata; e n. 74 del 2017 citata). 
    La predetta legge quadro n. 394 del 1991 non si limita, dunque, a
dettare standard minimi uniformi atti a tutelare soltanto i parchi  e
le riserve naturali  nazionali  e  regionali  -  istituiti  ai  sensi
dell'art. 8 della legge  quadro  (rispettivamente,  con  decreto  del
Presidente della Repubblica e con decreto del Ministro dell'ambiente)
-  ma  impone  anche  un  nucleo  minimo  di  tutela  del  patrimonio
ambientale  rappresentato  dai  parchi  e  dalle   riserve   naturali
regionali, che vincola il  legislatore  regionale  nell'ambito  delle
proprie competenze. 
    Anche in relazione  alle  aree  protette  regionali,  invero,  il
legislatore   statale   ha    predisposto    un    modello    fondato
sull'individuazione del loro soggetto gestore, ad opera  della  legge
regionale  istitutiva  (art.  23),  sull'adozione,  «secondo  criteri
stabiliti con legge regionale  in  conformita'  ai  principi  di  cui
all'art. 11, di regolamenti delle aree protette» (art. 22,  comma  1,
lettera d), peraltro significativamente ed  espressamente  ricompreso
tra i «principi fondamentali per la disciplina  delle  aree  naturali
protette regionali»), nonche' su un modello organizzativo tramite  il
quale siano attivate le finalita' del parco naturale regionale  (art.
24). 
    Il legislatore statale ha previsto, per le aree naturali protette
regionali, un quadro normativa meno dettagliato di quello predisposto
per le aree naturali protette nazionali, tale che le regioni  abbiano
un qualche  margine  di  discrezionalita'  tanto  in  relazione  alla
disciplina  delle  stesse  aree   protette   regionali   quanto   sul
contemperamento tra la protezione di queste ultime e altri  interessi
meritevoli di tutela da parte dello stesso legislatore regionale. 
    Deve essere, comunque, garantita la  conforme  corrispondenza  ai
canoni previsionali inderogabili imposti dalla  normativa  nazionale,
quale manifestazione di quello  standard  minimo  di  tutela  che  il
legislatore  statale  ha  individuato  nell'esercizio  della  propria
competenza  esclusiva  in  materia   di   «tutela   dell'ambiente   e
dell'ecosistema» e che, come detto, le regioni possono prevedere  con
un surplus di tutela, ma non derogare  in  peius  come  nel  caso  di
specie, ove in aperto contrasto con la  norma  primaria  statale,  la
complessa e delicata  funzione  di  riscontro  contabile  sugli  atti
dell'ente  parco  e'  stata  di  fatto  trasferita  da  un  organo  a
collegiale costituito per garantire il rispetto del principio di buon
andamento della Costituzione anche in  relazione  all'art.  97  della
Costituzione (il collegio dei revisori  dei  conti,  al  cui  interno
trova,    altresi',     collocazione     specifico     rappresentante
dell'Amministrazione centrale finanziaria) a un organo monocratico. 
    Pertanto, sebbene la Regione  autonoma  della  Sardegna  goda  di
competenza legislativa di tipo primario in  materia  di  «ordinamento
degli uffici e  degli  enti  amministrativi  della  regione  e  stato
giuridico ed economico del personale», ai sensi dell'art. 3, comma 1,
lettera a), dello Statuto speciale, approvato  con  la  citata  legge
costituzionale n. 3/1948, tale competenza, ai sensi della  richiamata
norma statutaria, deve attuarsi «in armonia con la Costituzione  e  i
principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e  col  rispetto
degli obblighi internazionali e degli  interessi  nazionali,  nonche'
delle  norme  fondamentali  delle  riforme  economico-sociali   della
Repubblica». 
    Le norme impugnate, pertanto, incidono sull'assetto organizzativo
dell'Ente Parco, come predeterminato dal parametro interposto statale
costituito dalla citata «Legge quadro sulle aree protette» n. 394 del
1991, in violazione degli articoli 97 e 117,  comma  2,  lettera  s),
della Costituzione, con riflessi sotto il profilo  della  regolarita'
ed efficienza dell'attivita' dell'Ente stesso. 
2. L'art. 7, comma 2, della legge regionale  n.  1  del  2019  citata
viola gli articoli 97 e 117, comma 2, lettera l), della  Costituzione
in relazione all'art. 36 del decreto legislativa 30  marzo  2001,  n.
165. 
    L'art. 7, comma 2, della legge regionale n. 1/2019 citata prevede
che l'Agenzia Forestas, nell'ambito dell'acquisizione dei terreni  di
cui al comma 1, «Al fine di garantire la continuita'  gestionale  dei
terreni  e   delle   strutture,   e'   autorizzata   ad   inquadrare,
temporaneamente, nel proprio organico, il personale  impegnato  dagli
affittuari  fino  alla  data  di  risoluzione  del  contratto   anche
attraverso un  percorso  triennale  di  utilizzo,  nell'ambito  delle
risorse disponibili nel proprio bilancio e nel rispetto delle vigenti
facolta' assunzionali.» 
    La norma configura un inquadramento  del  personale  assunto  per
contratto nei ruoli regionali dell'Agenzia  Forestas  in  conseguenza
del solo «utilizzo triennale», senza uno scrutinio o una  valutazione
delle esigenze dell'Ente e dell'attivita' svolta. 
    L'art. 36 del decreto legislativo n. 165/2001 citato, dispone che
nel pubblico  impiego  le  assunzioni  a  tempo  determinato  possono
avvenire esclusivamente  per  rispondere  a  esigenze  temporanee  ed
eccezionali che, peraltro, non  sussistono  nel  caso  di  specie  e,
comunque, non possono essere individuate nel «fine  di  garantire  la
continuita' gestionale dei terreni e delle strutture»,  essendo  tale
finalita' non circoscritta espressamente nel tempo, ne' eccezionale. 
    Va osservato, inoltre,  che,  secondo  il  costante  orientamento
giurisprudenziale, a seguito della privatizzazione  del  rapporto  di
pubblico  impiego,  la  disciplina  del  rapporto  di   lavoro   alle
dipendenze della pubblica amministrazione e' retta dalle disposizioni
del codice civile e dalla contrattazione collettiva. 
    In  particolare,  dalla  norma  fondamentale,   principio   della
materia, l'art. 2, comma 3,  terzo  e  quarto  periodo,  del  decreto
legislativo n. 165/2001 citato, significativamente intitolato  «Norme
generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle  pubbliche
amministrazioni»,  discende  che   il   trattamento   economico   dei
dipendenti pubblici e' affidato ai contratti collettivi, cosicche' la
disciplina di detto trattamento  e,  piu'  in  generale,  quella  del
rapporto di  impiego  pubblico  rientra  nella  materia  «ordinamento
civile» riservata alla potesta'  legislativa  esclusiva  dello  Stato
(sentenze n. 160 del 2017; n. 72 del 2017; n. 211 e n. 61  del  2014;
n. 286 e 225 del 2013; n. 290 e n. 215 del 2012; n. 339 e n.  77  del
2011; n.  332  e  n.  151  del  2010).  Dal  richiamato  orientamento
giurisprudenziale consegue che la materia  «ordinamento  civile»,  di
cui all'art. 117, comma 2, lettera l), della Costituzione, e' materia
trasversale, che esclude la concorrenza di competenze e,  quindi,  la
rilevanza  della   residua   competenza   regionale   in   punto   di
organizzazione anche per le  autonomie  speciali,  pur  a  fronte  di
esplicite  statuizioni  di  livello  costituzionale   degli   statuti
regionali speciali sulla competenza legislativa primaria in  tema  di
«stato giuridico ed economico» del personale (sentenze n. 61/2014; n.
77/2013; n. 290/2012). Pertanto, sebbene la  Regione  autonoma  della
Sardegna goda di competenza legislativa di tipo primario  in  materia
di «ordinamento  degli  uffici  e  degli  enti  amministrativi  della
regione e stato giuridico  ed  economico  del  personale»,  ai  sensi
dell'art. 3, comma 1, lettera a), dello Statuto  speciale,  approvato
con la citata legge costituzionale n.  3/1948,  tale  competenza,  ai
sensi della richiamata norma statutaria, deve  attuarsi  «in  armonia
con la Costituzione e i  principi  dell'ordinamento  giuridico  della
Repubblica e col  rispetto  degli  obblighi  internazionali  e  degli
interessi nazionali, nonche' delle norme fondamentali  delle  riforme
economico-sociali della Repubblica». 
    Conclusivamente, «l'inquadramento temporaneo», in assenza di  una
procedura selettiva, consente  la  costituzione  di  un  rapporto  di
lavoro a tempo determinato con la pubblica amministrazione  regionale
in violazione del  principio  di  accesso  al  pubblico  impiego  per
concorso di cui all'art. 97, comma 3, della Costituzione e  contrasta
con l'art. 117, lettera l),  della  Costituzione,  che  riserva  alla
competenza esclusiva dello Stato l'ordinamento civile  e,  quindi,  i
rapporti di diritto privato regolati  dal  codice  civile  (contratti
collettivi). 
3. L'art. 13 della legge regionale n. 1/2019 citata viola l'art. 117,
comma 2, lettera l), della Costituzione in relazione  all'art.  2-bis
decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. 
    L'art. 13 citato, rubricato «Modifiche all'art. 7-bis della legge
regionale n. 23 del 1985 (tolleranze edilizie)», dispone che «1. Dopo
il comma 1 dell'art. 7-bis della legge regionale 11 ottobre 1985,  n.
23    (Norme    in    materia     di     controllo     dell'attivita'
urbanistico-edilizia, di risanamento urbanistico e  di  sanatoria  di
insediamenti ed opere abusive, di snellimento ed accelerazione  delle
procedure  espropriative),  e'  aggiunto  il  seguente:  «1-bis.   La
disposizione di cui al comma 1 si applica anche nei casi  in  cui  le
previsioni legislative o regolamentari, comprese le  disposizioni  in
materia di distanze e  di  requisiti  igienico-sanitari,  individuano
misure minime». 
    L'art. 7-bis citato, al comma 1, prevede  che  «Sono  considerate
tolleranze   edilizie,   con   conseguente   inapplicabilita'   delle
disposizioni in materia di parziale  difformita',  le  violazioni  di
altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta  che  non  eccedano
per singola unita' immobiliare il 2% delle misure progettuali.» 
    La complessiva lettura dell'art. 7-bis della legge  regionale  11
ottobre 1985, n. 23 citata comporta che le c.d. «tolleranze edilizie»
trovino applicazione «anche nelle ipotesi di disposizioni in  materia
di distanze e di requisiti igienico-sanitari che  individuano  misure
minime». 
    Ne deriva una lesione della competenza esclusiva statale ai sensi
dell'art. 117, comma 2, lettera l), della Costituzione. 
    Il decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380,
contenente  il  «Testo  unico  delle   disposizioni   legislative   e
regolamentari  in  materia  edilizia  (Testo  A)»,  all'art.   2-bis,
rubricato «Deroghe in materia di limiti di distanza tra  fabbricati»,
dispone che «Ferma restando  la  competenza  statale  in  materia  di
ordinamento civile con riferimento al diritto di  proprieta'  e  alle
connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative,  le
regioni e le  Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  possono
prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni  derogatorie
al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e
possono  dettare  disposizioni  sugli   spazi   da   destinare   agli
insediamenti residenziali, a quelli produttivi,  a  quelli  riservati
alle attivita' collettive, al verde e ai parcheggi, nell'ambito della
definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque  funzionali
a  un  assetto  complessivo  e  unitario   o   di   specifiche   aree
territoriali». 
    Il decreto  ministeriale  n.  1444  del  1968,  richiamato  dalla
predetta  norma  statale,  e'  stato  emesso   ai   sensi   dell'art.
41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, recante  la  «Legge
urbanistica» (introdotto dall'art. 17 della legge 6 agosto  1967,  n.
765), che, quanto alla  regolamentazione  delle  distanze,  introduce
norme cogenti e inderogabili (sentenza n. 114 del 2012). 
    L'art. 41-quinquies della legge n. 1150/1942 citato ha,  infatti,
previsto per i  Comuni  l'osservanza  dei  «limiti  inderogabili»  di
densita' edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati (al comma
8), disponendo che «I limiti e i  rapporti  previsti  dal  precedente
comma sono definiti per zone territoriali omogenee, con  decreto  del
Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per  l'Interno,
sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici». (al comma 9). 
    E',  del  resto,   principio   affermato   dalla   giurisprudenza
costituzionale, con riferimento alla  portata  applicativa  dell'art.
2-bis del decreto del Presidente della Repubblica  n.  380  del  2001
citato, che la legislazione regionale, che interviene sulle distanze,
interferendo con l'ordinamento civile, e' legittima  solo  in  quanto
persegua chiaramente finalita' di carattere  urbanistico,  demandando
l'operativita' dei suoi precetti a strumenti urbanistici funzionali a
un assetto complessivo e unitario di determinate zone del  territorio
(sentenze n. 232 del 2005 e n. 176 del 2016). 
    Le norme regionali che,  invece,  disciplinano  le  distanze  tra
edifici  per  altre  finalita'  risultano  invasive   della   materia
«ordinamento civile» riservata alla competenza legislativa  esclusiva
dello Stato (sentenza n. 134 del 2014). 
    In materia di distanze fra costruzioni, il riparto di  competenze
tra Stato e regione, trova il «punto di equilibrio» tra gli ambiti di
competenza, rispettivamente,  «esclusiva»  dello  Stato  (in  ragione
dell'attinenza di detta disciplina alla materia ordinamento  civile")
e «concorrente» della regione, nella materia «governo del territorio»
(per il profilo della insistenza  dei  fabbricati  su  territori  che
possono avere, rispetto ad altri,  specifiche  caratteristiche  anche
naturali o storiche) 
    L'art. 9 del decreto ministeriale n.  1444  del  1968  citato  e'
dotato di efficacia precettiva e inderogabile (sentenze n. l  14  del
2012 e n. 232 del 2005 citate; ordinanza n. 173 del 2011). 
    Come  statuito  dalla  giurisprudenza  costituzionale,  «in  tale
ambito, questa Corte ha in piu' occasioni precisato che le  norme  in
materia di distanze fra edifici costituiscono principio  inderogabile
che  integra  la   disciplina   privatistica   delle   distanze.   In
particolare, data la connessione  e  le  interferenze  tra  interessi
privati e interessi pubblici in tema  di  distanze  tra  costruzioni,
l'assetto costituzionale delle competenze in materia di  governo  del
territorio interferisce con la competenza  esclusiva  dello  Stato  a
fissare le distanze minime, sicche' le regioni devono  esercitare  le
loro funzioni nel rispetto dei principi della  legislazione  statale,
potendo, nei limiti della ragionevolezza, fissare limiti maggiori. Le
deroghe  alle  distanze  minime,  poi,  devono  essere  inserite   in
strumenti  urbanistici  funzionali  ad  un  assetto  complessivo   ed
unitario  di  determinate  zone  del  territorio,  poiche'  la   loro
legittimita'  e'  strettamente  connessa  agli  assetti   urbanistici
generali e quindi al governo del territorio, non, invece, ai rapporti
tra edifici confinanti isolatamente considerati (sentenza n. 232  del
2005).» (sentenza n. 114 del 2012 citata, punto 8.3. del  Considerato
in diritto). 
    Pertanto,  l'art.  13  citato,   nell'estendere   il   campo   di
applicazione dell'art. 7-bis, della  legge  n.  23  del  1985  citato
«anche nei casi in cui le  previsioni  legislative  o  regolamentari,
comprese le disposizioni  in  materia  di  distanze  e  di  requisiti
igienico  sanitari,  individuano  misure  minime»,  non  rispetta  la
competenza  dello  Stato  in  materia  di  «ordinamento  civile»,  in
violazione dell'art. 117, comma 2, lettera l), della Costituzione. 
4. L'art. 53 della legge regionale n. 1 del 2019 citata viola  l'art.
117, comma 2, lettera m), della Costituzione. 
    L'art. 53, rubricato «Durata delle attestazioni o  certificazioni
di malattie croniche», al comma 3, dispone che «La Giunta  regionale,
su  proposta  dell'Assessore  competente  in  materia   di   sanita',
individua le malattie e le condizioni di salute di cui  al  comma  1,
inserendole in un  apposito  elenco  da  pubblicarsi  nel  Bollettino
Ufficiale della Regione autonoma della Sardegna (BURAS)». 
    La norma censurata va letta in  correlazione  con  il  precedente
comma 1, secondo cui «Le attestazioni o le certificazioni di malattie
croniche o di condizioni di salute necessarie  al  fine  di  ottenere
prestazioni  sanitarie,  socio-sanitarie  o  sociali  nel  territorio
regionale producono  effetti  sino  all'eventuale  regressione  della
malattia o  della  condizione  di  salute  ad  un  livello  non  piu'
compatibile con l'ottenimento della prestazione». 
    La previsione normativa contenuta nel comma 3,  del  citato  art.
53, e' lacunosa e generica e interferisce nella materia di competenza
statale con riferimento ai «livelli  essenziali  delle  prestazioni»,
art. 117, comma 2, lettera m), della Costituzione,  nella  misura  in
cui, in  maniera  molto  generica,  e,  peraltro,  senza  fare  alcun
richiamo alle previsioni di cui  al  decreto  legislativo  28  aprile
1998, n. 124, recante «Ridefinizione del sistema di partecipazione al
costo delle prestazioni sanitarie e del  regime  delle  esenzioni,  a
norma dell'art. 59, comma 50, della legge 27 dicembre 1997, n.  449»,
ne'  tantomeno  ai  regolamenti  attuativi,   di   cui   ai   decreti
ministeriali Sanita' 28 maggio 1999, n. 329 (nella Gazzetta Ufficiale
n. 226 del 25 maggio 1999) e 18 maggio 2001, n. 279  (nella  Gazzetta
Ufficiale n.  160  del  12  luglio  2001),  si  pone  l'obiettivo  di
individuare, da parte della  Giunta  regionale,  «le  malattie  e  le
condizioni di salute di cui al comma 1, inserendole  in  un  apposito
elenco da pubblicarsi nel Bollettino Ufficiale della Regione autonoma
della Sardegna». 
    E' principio affermato dalla giurisprudenza che  il  confine  fra
terapie ammesse e terapie non ammesse, sulla base delle  acquisizioni
scientifiche  e   sperimentali,   e'   determinazione   che   investe
direttamente e necessariamente i principi fondamentali della materia,
collocandosi «all'incrocio fra due diritti fondamentali della persona
malata: quello ad essere curato efficacemente, secondo i canoni della
scienza e dell'arte  medica;  e  quello  ad  essere  rispettato  come
persona, e in particolare nella propria integrita' fisica e  psichica
(sentenza n. 282 del 2002), diritti la cui tutela non puo' non  darsi
in condizioni di fondamentale  eguaglianza  su  tutto  il  territorio
nazionale». (sentenza n. 338 del 2003, punto 5.1. del Considerato  in
diritto). 
    Nella predetta sentenza e' stata  sottolineata  la  potenzialita'
lesiva di alcuni interventi  normativi  regionali  posti  in  essere,
nell'esercizio di una competenza legislativa concorrente,  precisando
al riguardo che «interventi legislativi regionali,  posti  in  essere
nell'esercizio di una competenza legislativa concorrente, come quella
di cui le regioni godono in materia di tutela della salute (art  117,
terzo  comma,  Cost.),  sono   costituzionalmente   illegittimi   ove
pretendano  di  incidere  direttamente  sul   merito   delle   scelte
terapeutiche in assenza  -  o  in  difformita'  da  -  determinazioni
assunte a livello nazionale, e  quindi  introducendo  una  disciplina
differenziata, su questo punto, per una singola  regione».  (sentenza
n. 338 del 2003, punto 5.1. del Considerato in diritto). 
    Riguardo poi ai commi 1 e 2 del medesimo art. 53,  relativi  alle
modalita' individuate per dare attuazione  alla  norma,  dal  dettato
normativo stesso non appare chiaro in che modo il sanitario  curante,
istituzionalmente  deputato  ad  attestare  lo  stato   di   malattia
dell'assistito e, quindi, ad approntare diagnosi e prognosi, dovrebbe
procedere all'individuazione delle amministrazioni destinatarie della
comunicazione in questione. 
    Non sono, inoltre, specificate le modalita' attraverso  le  quali
il medesimo sanitario curante dovrebbe provvedere alla  comunicazione
alle stesse amministrazioni interessate. 
    Inoltre il decreto ministeriale Salute 23 novembre  2012,  (nella
Gazzetta Ufficiale n. 33 dell'8 febbraio 2013), recante  «Definizione
del periodo minimo di validita'  dell'attestato  di  esenzione  dalla
partecipazione  al  costo  delle   prestazioni   sanitarie»   indica,
all'allegato 1, il periodo  minimo  di  validita'  dell'attestato  di
esenzione dalla partecipazione al costo delle  prestazioni  sanitarie
in relazione alle diverse malattie  croniche  e  invalidanti  e  alla
possibilita'   di   miglioramento   delle   condizioni   di    salute
dell'assistito, valutata in base  alle  evidenze  scientifiche  (cfr.
art. 4, comma 4-bis, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, recante
«Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e  di  sviluppo»,
convertito con modificazioni con la legge 4 aprile 2012, n. 35). 
    Tale  indicazione,  tuttavia,  e'  finalizzata  esclusivamente  a
determinare  la  durata  minima  dell'attestato  di   esenzione   per
patologia. 
    E' facolta' delle singole regioni fissare  periodi  di  validita'
dell'attestato piu' lunghi di quelli indicati dal menzionato  decreto
ministeriale 23 novembre 2012 (art. 1, comma  2.  Tuttavia,  in  base
alla normativa statale vigente, solo una volta decorso il periodo  di
validita' dell'attestato, l'assistito viene sottoposto  a  una  nuova
visita finalizzata al rilascio della certificazione per  il  rinnovo,
da parte delle aziende sanitarie, dell'attestato di  esenzione  (cfr.
art. 1, comma 3, decreto ministeriale 23 novembre 2012 citato). 
    La norma censurata  non  coerente  con  la  richiamata  normativa
perche' dalla lettera dell'art. 53 citato si delinea il potere/dovere
del medico curante di valutare, prima  della  suddetta  scadenza,  lo
stato di salute del paziente affetto da malattia cronica,  riducendo,
di fatto, in caso  di  regressione  della  malattia,  il  periodo  di
validita' dell'attestato di esenzione gia' rilasciato. 
    L'art. 53 citato, pertanto, appare lesivo dei livelli  essenziali
delle prestazioni sanitarie che compete allo Stato fissare  ai  sensi
dell'art. 117, comma 2, lettera m), della Costituzione. 
5. L'art. 59 della legge regionale n. 1 del  2019  citata  viola  gli
articoli 3, 51, comma 1, e 97, ultimo comma, della Costituzione. 
    L'art.  59  citato,  rubricato  «Disposizioni   in   materia   di
formazione professionale», prevede che  «.1.  I  soggetti  ricompresi
nell'elenco di cui alla determinazione n. 4578 prot. n. 43229  del  4
ottobre 2018 del direttore generale  dell'Assessorato  regionale  del
lavoro, formazione professionale , cooperazione e  sicurezza  sociale
che, alla data  del  15  dicembre  2018,  abbiano  fatto  ricorso  al
Tribunale    amministrativo    regionale    avverso    la    medesima
determinazione,  sono  iscritti  d'ufficio  alla  lista  speciale  ad
esaurimento di cui all'art.  6,  comma  1,  lettera  f)  della  legge
regionale 5 marzo 2008, n. 3 (legge finanziaria 2008),  degli  aventi
diritto ai sensi dell'art. 11, comma  4,  della  legge  regionale  11
gennaio 2018, n. 1 (Legge di stabilita' 2018).» 
    La norma censurata consente l'iscrizione nell'elenco speciale  di
cui all'art. 6, comma 1, lettera f), della legge  regionale  5  marzo
2008, n. 3 citata  ai  soggetti  la  cui  domanda  di  iscrizione  al
suddetto elenco e' stata archiviata con determina del 4 ottobre 2018,
n. 4578,  in  conseguenza  della  mera  proposizione  di  un  ricorso
amministrativo. A  seguito  dell'iscrizione  nell'elenco  la  regione
subentra  agli  enti  di  provenienza  nei  rapporti   giuridici   ed
economici. 
    Dispone, infatti, l'art.  6,  comma  1,  lettera  f) della  legge
regionale 5 marzo 2008, n. 3 citato  che  "...il  personale  iscritto
nella lista resta a disposizione dell'Amministrazione  regionale  per
essere impiegato dai centri regionali  di  formazione  professionale,
per l'attuazione del piano di  cui  al  comma  2  e  per  ogni  altra
attivita' inerente alla formazione  professionale;  l'Amministrazione
regionale, con effetto dalla data di iscrizione nella lista  subentra
agli enti di provenienza nelle convenzioni con gli enti  locali,  nei
rapporti giuridici ed  economici  col  personale  suddetto  al  quale
continua ad applicarsi il contratto collettivo di lavoro di settore e
la rispettiva disciplina  previdenziale  privatistica,  con  oneri  a
carico dell'Amministrazione.» 
    L'art. 59 citato  sembra  essere  riconducibile  nella  categoria
delle leggi provvedimento in considerazione della ratio della  norma,
finalizzata, come detto, alla instaurazione di un rapporto di impiego
con la regione per una delimitata categoria  di  soggetti,  attraendo
alla sfera legislativa quanto e' normalmente  affidato  all'autorita'
amministrativa (sentenze n. 114 del 2017 e n. 214 del 2016). 
    E' principio affermato dalla giurisprudenza (sentenza n. 275  del
2013,  punto  7.  del  Considerato  in  diritto),  che  "Ascritta  la
disposizione  censurata  alla  categoria  delle  leggi-provvedimento,
occorre  valutare  se  essa  rispetti  i   limiti   tracciati   dalla
giurisprudenza  costituzionale  e,  in  primo  luogo,  quello   della
ragionevolezza e non arbitrarieta' (sentenze n. 85 del 2013,  n.  143
del 1989, n. 346 del 1991 e n. 429 del 1995). Si deve premettere,  al
riguardo, che queste leggi devono soggiacere ad un rigoroso scrutinio
di legittimita' costituzionale  per  il  pericolo  di  disparita'  di
trattamento insito in previsioni di tipo  particolare  e  derogatorio
(sentenze n. 85 del 2013; in senso conforme sentenze n. 20 del 2012 e
n. 2 del 1997), con l'ulteriore precisazione che "tale sindacato deve
essere tanto piu' rigoroso quanto piu' marcata sia  [...]  la  natura
provvedimentale  dell'atto   legislativo   sottoposto   a   controllo
(sentenza n. 153 del 1997)" (sentenza n. 137 del 2009, punto  2.  del
Considerato in diritto; in senso conforme sentenze n. 241 del 2008  e
n. 267 del 2007). 
    La  procedura  delineata   dalla   norma   regionale   impugnata,
consentendo l'iscrizione dei soggetti esclusi sulla base  della  mera
proposizione di una domanda giudiziale e la conseguente instaurazione
di  rapporti  di  lavoro  con  l'ente  regionale  per  effetto  della
proposizione di un ricorso  amministrativo,  viola  il  principio  di
eguaglianza  di  cui  all'art.  3  della  Costituzione,  creando  una
disciplina  particolare  per  alcuni  soggetti;  e   consentendo   la
instaurazione di un rapporto di  impiego  con  la  regione  senza  il
rispetto della procedura concorsuale, viola anche  gli  articoli  51,
comma 1, e 97, ultimo comma, della  Costituzione;  violazioni  ancora
piu'   evidenti   alla   luce   della   consolidata    giurisprudenza
costituzionale che  afferma  che  la  regola  del  pubblico  concorso
ammette eccezioni assolutamente rigorose e limitate (sentenza n.  293
del 2009), eccezioni non esistenti nel caso di specie. 
6. L'art. 61 della legge regionale  n.  del  2019  citata  viola  gli
articoli 3, 117, commi 1, e 2, lettera  l),  della  Costituzione,  in
relazione al titolo terzo del decreto legislativo 30 marzo  2001,  n.
165. 
    L'art. 61 citato, recante «Progressioni  professionali»,  dispone
che «Al personale del comparto di contrattazione regionale che  abbia
maturato i requisiti per le  progressioni  professionali  per  l'anno
2018 e non sia  transitato  nel  livello  economico  superiore,  sono
riconosciuti gli effetti giuridici della progressione con  decorrenza
dal 1° gennaio 2018. Tale decorrenza ha valore ai  fini  del  calcolo
della permanenza effettiva in servizio nel livello retributivo.» 
    La disposizione non precisa se si tratta di passaggi tra le aree,
ovvero di passaggio economico all'interno dell'area. 
    Nel primo caso dovrebbe, comunque, essere garantita la  procedura
transitoria prevista dall'art. 22 del decreto legislativo  25  maggio
2017,  n.  75,  recante  le  «Modifiche  e  integrazioni  al  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16,  commi
1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma  1,  lettere
a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7
agosto  2015,  n.  124,  in   materia   di   riorganizzazione   delle
amministrazioni pubbliche»; o quella ordinaria prevista dall'art.  54
del decreto legislativo n. 165 del 2001 citato. 
    Se, invece,  si  trattasse  di  passaggio  economico  all'interno
dell'area,  la  disposizione  confliggerebbe  con  gli   orientamenti
consolidati  espressi  dall'Aran,  dal  Dipartimento  della  funzione
pubblica e dalla Corte dei conti, che prevedono, come decorrenza, una
data non anteriore a quella  dell'approvazione  della  graduatoria  o
della presa delle funzioni. 
    La retrodatazione introdotta dalla norma censurata confligge  con
i  principi  di  coordinamento  della  finanza  pubblica  e  con   la
disciplina del rapporto di  lavoro  alle  dipendenze  della  pubblica
amministrazione che attiene all'«ordinamento  civile»,  di  cui  agli
articoli  117,  comma  3,  e  117,  comma  2,   lettera   l),   della
Costituzione, che  riserva  alla  competenza  esclusiva  dello  Stato
l'ordinamento  civile  e,  quindi,  i  rapporti  di  diritto  privato
regolabili dal codice civile (contratti collettivi). 
    Inoltre, il riconoscimento, con legge  regionale,  degli  effetti
giuridici delle progressioni al personale di cui si tratta, senza che
siano rispettate le disposizioni contenute nel titolo III del decreto
legislativo  n.  165/2001  citato,   relative   alla   contrattazione
collettiva e rappresentativita' sindacale, che indicano le  procedure
da seguire in sede di contrattazione e l'obbligo del  rispetto  della
normativa contrattuale, confligge,  anche  per  questo  aspetto,  con
l'art. 117, lettera l), della Costituzione. 
    Si pone, altresi', in contrasto con il principio  di  eguaglianza
fra i cittadini di cui all'art. 3 della Costituzione, poiche' per  il
personale delle altre regioni, nella  stessa  situazione  lavorativa,
troverebbe applicazione un diverso trattamento contrattuale. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Per i suesposti motivi si conclude perche' gli articoli 4,  comma
1, lettera a); 5, comma l, lettera a); 7, comma 2, 13, 53,  59  e  61
della legge regionale della  Regione  autonoma  della  Sardegna  l  l
gennaio 2019, n. 1,  recante  la  «Legge  di  semplificazione  2018»,
pubblicata nel B.U.R. del 17 gennaio 2019,  n.  4,  siano  dichiarati
costituzionalmente illegittimi. 
    Si produce l'attestazione della deliberazione del  Consiglio  dei
ministri del 7 marzo 2019. 
    Roma, 18 marzo 2019 
 
           Il Vice Avvocato Generale dello Stato: Palmieri